• Braccianti bambini trattati come schiavi nelle campagne di Latina

    Giovanissimi migranti sfruttati da clan mafiosi e padroncini fascisti. La denuncia di un lavoratore italiano: «Agenti e politici locali in una delle aziende già conosciute alle forze dell’ordine»

    «Nella mia esperienza l’unica legge vigente in alcune aziende dell’#Agro_Pontino è quella del padrone, che decide tutto a partire da chi deve lavorare, quante ore di lavoro deve fare e quanto dobbiamo essere pagati. Se qualcuno si lamenta non ti richiama più, oppure ti insulta o minaccia in modo brutale. L’ho visto personalmente minacciare braccianti del Bangladesh e indiani con fucili e pistole per farli tacere dopo tre mesi di lavoro svolto senza stipendio». A parlare è un bracciante italiano di origine calabrese che da poche settimane ha lasciato la provincia di Latina perché stanco di umiliazioni e violenze. Ha lavorato infatti sotto padrone nelle campagne dell’Agro Pontino da quando aveva 16 anni. Le sue mani sembrano quelle di un anziano bracciante di ottant’anni. Ne ha invece solo quarantadue.

    Mostra delle foto fatte di nascosto col suo cellulare mentre lavora sotto le serre con la schiena piegata accanto a quella di altri suoi compagni immigrati. E con le foto anche alcuni eloquenti vocali. Dichiara e dimostra, ora che è al sicuro in un paese vicino Milano, qualcosa di inaspettato anche per chi si occupa di studiare e denunciare lo sfruttamento dei braccianti italiani e immigrati della provincia di Latina da vent’anni. «Ancora in queste settimane, soprattutto il venerdì, il sabato e la domenica, arrivano anche minori a lavorare come schiavi. Sono ragazzi provenienti dal Bangladesh e dall’India. Hanno 14 anni, altre volte 15. Qualcuno arriva al massimo a 17. Non parlano italiano se non pochissime parole che il caporale indiano, su mandato di sedicenti capi della comunità indiana o bangladese, fa imparare loro per eseguire correttamente gli ordini del padrone italiano. Devono soprattutto capire quando arriva l’ordine di scappare perché si teme l’arrivo dei Carabinieri o di qualche controllo specifico».

    Sono giovanissimi immigrati che anziché frequentare corsi di formazione e di lingua, le scuole italiane come i loro coetanei o pensare a vivere in modo sereno la loro adolescenza, sono impiegati senza contratto anche per dieci o dodici ore al giorno nella raccolta delle carote, delle cipolle o dei ravanelli che garantiscono profitti illeciti a padroni e criminali italiani e immigrati e a un sistema agromafioso che, ricorda l’Eurispes, fattura ogni anno circa 24,5 miliardi di euro.

    «Il padrone li recluta parlando coi caporali o con il capo indiano della comunità per pagarli appena 4 euro l’ora. Parliamo di 40 euro al giorno per svolgere un lavoro faticoso e pericoloso. Devono infatti camminare in ginocchio per raccogliere gli ortaggi, usare coltelli affilati per tagliare cespi di insalata o i famosi cavolirapa per il mercato tedesco, e sollevare cassette molto pesanti dopo averle riempite completamente. Le loro pause, come anche le mie, sono al massimo di quaranta minuti per tutta la giornata. I dolori alla schiena, anche a quell’età, o alle ginocchia, sono molto forti e qualcuno di loro per evitare di sentire la fatica prende, come anche molti altri immigrati sfruttati, pasticche o oppio che alcuni hanno dentro i loro zaini». Si tratta di un fenomeno già denunciato nel 2014 da “In Migrazione”, riscontrato peraltro anche in molti processi in corso presso il Tribunale di Latina.

    «Sono minori che vivono in famiglie i cui genitori fanno anche loro i braccianti. Se sommi lo stipendio di padre, madre e figlio minore, tutti sfruttati nelle campagne pontine in aziende molto note, si raggiunge a malapena il salario previsto per il lavoro di un singolo bracciante con regolare contratto. Insomma, ne fai lavorare tre al prezzo di uno, minore compreso. Quando ho provato a dire al padrone che doveva trattarci bene e darci quello che ci doveva, mi ha insultato. Mi ha chiamato calabrese di merda. Una volta mi ha anche preso a calci e a schiaffi, dicendomi che potevo rivolgermi tranquillamente ai sindacati o ai giornalisti, tanto non ha paura di nessuno». Il padrone in questione, peraltro, «è noto alle forze dell’ordine, ma sembra fregarsene. Forse è protetto o si sente protetto, anche perché in azienda, soprattutto nel fine settimana, arrivavano alcuni agenti e politici locali. Si ritrovava anche con alcuni imprenditori agricoli di successo che dicevano fossero molto vicini alla camorra. Si prendevano tutti sotto braccio e pranzavano insieme, mentre io, insieme a quei ragazzi che potevano avere l’età di mio figlio, lavoravamo per loro quasi gratuitamente. E quando qualcuno di noi ha cercato di ribellarsi è finito in ospedale con la testa rotta. Il caporale infatti lo ha preso a bastonate fino a lasciarlo in terra sporco di sangue mentre il padrone faceva sparire il bastone per evitare guai».

    Non solo pratiche però, anche il linguaggio del padrone è importante. E infatti «amava farsi chiamare Mussolini, tanto che aveva fatto montare in azienda busti e adesivi inneggianti al fascismo. Quando pagava i salari, spesso in contanti, ricordava ai braccianti immigrati, minori compresi, che in Italia ci vorrebbe Mussolini o Hitler per sistemare le cose. E poi li insultava definendoli degli indiani idioti, che in Italia devono obbedire agli ordini degli italiani e ringraziare per il lavoro che lui gli garantiva. Era un fascista amico».

    Questo è probabilmente uno di quegli imprenditori che secondo il presidente del Consiglio Giorgia Meloni non deve essere disturbato, come lei stessa ha dichiarato agli industriali durante un’iniziativa pubblica. Peraltro anticipando quanto affermato di fatto anche dal neo direttore generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro il giorno del suo insediamento. Non disturbare il manovratore, dunque, anche quando sfrutta lavoratori, ambiente e minori. È la solita dottrina di una destra che è forte con gli sfruttati, italiani e immigrati, donne e uomini, e invece attenta a non disturbare i forti, soprattutto quando sono padroni e fascisti che portano voti e consenso.

    https://ilmanifesto.it/braccianti-bambini-trattati-come-schiavi-nelle-campagne-di-latina
    #exploitation #enfants #enfance #mineurs #braccianti #Italie #Latina #agriculture #néo-esclavage #Bangladesh #Inde #migrations #caporalato

  • #Québec veut fixer à 14 ans l’âge minimal pour travailler Le Devoir - Florence Morin-Martel à Quebec
    Le ministre du Travail, Jean Boulet, a déposé mardi un projet de loi pour fixer à 14 ans l’âge minimal pour travailler, sauf exception.

    Avec ce texte législatif, le ministre Boulet souhaite favoriser la persévérance scolaire des jeunes dans un contexte de pénurie de main-d’oeuvre. « C’est la relève de demain », a dit M. Boulet.

    Pour les Québécois de moins de 16 ans, le projet de loi 19 veut aussi restreindre à 17 le nombre d’heures de travail par semaine — incluant la fin de semaine — durant l’année scolaire. Les heures travaillées entre le lundi et le vendredi seraient limitées à 10 à compter du 1er septembre prochain.


    Des exceptions sont prévues à l’interdiction de travailler avant l’âge de 14 ans, notamment pour le gardiennage, la livraison de journaux et le tutorat. Il sera aussi possible pour l’enfant d’un propriétaire — ou du conjoint ou de la conjointe de celui-ci — de travailler au sein de l’entreprise familiale si elle compte moins de 10 employés.

    « Ces exceptions-là sont véritablement le prolongement de la vie familiale et scolaire des enfants », a affirmé M. Boulet.

    À l’heure actuelle, il est permis de travailler au Québec avant l’âge de 14 ans à condition d’avoir une autorisation parentale. Pour une personne de 16 ans et moins sans diplôme, il est interdit de se rendre au boulot durant les heures de classe.

    Très attendu, le texte législatif du ministre Boulet reprend les grandes lignes du rapport du Comité consultatif du travail et de la main-d’oeuvre (CCTM), rendu public en décembre dernier.

    M. Boulet a souligné qu’il déposait ce projet de loi dans un contexte où les accidents du travail touchant les Québécois de moins de 16 ans ont bondi de 36 % en 2021.

    Le projet de loi 19 veut aussi augmenter le montant des amendes en cas d’infraction aux dispositions concernant le travail des enfants. La somme passera de 600 $ à 1 200 $ pour une première infraction et de 6 000 $ à 12 000 $ en cas de récidive.

    D’autres détails suivront.

    #enfants #filles #garçons #travail #capitalisme #néo-libéralisme #libéralisme #néo_libéralisme #accidents #conditions_de_travail

    Source : https://www.ledevoir.com/politique/quebec/787026/le-projet-de-loi-pour-encadrer-le-travail-des-enfants-depose-mardi-a-l-ass

  • À votre avis, on va en avoir combien, des histoires de «  pneumopathie fulgurante » sur jeune en bonne santé avant qu’on en finisse avec le #déni du #covid  ?
    #mort #enfant

    Les parents de Nicolas Carrère, décédé le 10 mars dernier malgré plusieurs appels au 15 et au 18, sont en colère. Ils souhaitent comprendre pourquoi le Samu et les pompiers ne se sont pas déplacés.

    Ce lundi, en ouvrant la porte de son appartement, Julie est émue, mais ne pleure pas. Ses traits sont tirés, sa voix est posée. Elle fait preuve d’une grande dignité. La veille de l’enterrement de son fils aîné, cette maman souhaite raconter son histoire. « Nicolas dormait dans cette chambre, à l’entrée. Chaque fois que je passe devant, je ressens un vide », confie-t-elle. Vendredi 10 mars, l’ adolescent de 17 ans est décédé suite à une pneumopathie fulgurante et malgré plusieurs appels au 18 et au 15. « En deux jours, l’état de santé de mon enfant s’est subitement dégradé . On est en France, ça ne doit jamais arriver ça », ajoute Lionel, le père de Nicolas.

    « Quand on me dit de ne pas aller aux urgences, j’écoute »

    Les premiers symptômes se sont manifestés le mercredi 8 mars. « Nicolas avait mal au ventre et aux côtes . Comme ce n’était pas le genre à se plaindre, j’ai décidé de l’amener chez un médecin », témoigne sa mère. Le soir même un docteur l’ausculte et l’incite à se rendre immédiatement aux urgences d’un hôpital. « Je lui ai dit que je n’avais aucun moyen de locomotion, que j’allais donc appeler une ambulance. Mais le médecin m’a expliquée que le Samu et les pompiers ne se déplaceraient pas », poursuit Julie.

    En arrivant chez elle, cette trentenaire tente quand même de joindre les secours. Elle aurait composé le 18 une première fois vers 19 heures. La conversation aurait duré, selon nos informations, une quinzaine de minutes. « Nicolas et moi, nous avons pris le téléphone tour à tour. J’ai bien précisé qu’il v omissait, avait des douleurs abdominales et aux côtes . Pourtant, notre interlocuteur nous a déconseillé de venir aux urgences. Il a diagnostiqué une grippe et a dit que ce n’était pas la peine de se déplacer », résume cette mère de quatre enfants.

    Lors de son dépôt de plainte, les gendarmes lui ont demandé pourquoi elle n’avait pas tout fait pour se rendre aux urgences. « À partir du moment où le régulateur du 18 et un médecin m’ont dit, au téléphone, que la place de mon fils n’était pas aux urgences, j’ai suivi leurs conseils. Je ne suis pas médecin, j’ai appliqué les consignes des secours », se défend-elle.

    « Je ne suis pas resté sur mon canapé à rien faire… »

    Nicolas décédera le vendredi 10 mars, sur le parking de la pharmacie de Martres-Tolosane. « Ce n’est pas normal. Mon fils avait juste une pneumopathie. En France, ça doit se guérir. Je ne comprends pas pourquoi personne ne m’a prise au sérieux. Si j’étais resté assise sur mon canapé en lui priant d’arrêter de se plaindre, OK ce serait de ma faute. Mais là, j’ai appelé cinq fois le 18 et le 15. J’ai même vu un docteur », rappelle Julie, impuissante.

    Me Brice Zanin espère désormais obtenir des réponses de la part de la justice. « Je fais confiance au parquet de Saint-Gaudens, qui a ouvert une enquête pour déterminer les causes de la mort », souligne, l’avocat de la famille de Nicolas Carrère. En attendant, ce mardi, Julie et Lionel, les parents et leurs proches, vont inhumer leur fils. « Ce sera un moment très difficile », redoutent-ils. Rémi Buhagiar

  • La triple menace des crises liées à l’#eau met en danger la vie de 190 millions d’#enfants - UNICEF
    https://www.unicef.fr/article/la-triple-menace-des-crises-liees-a-leau-met-en-danger-la-vie-de-190-millions

    New York/ Paris, le 20 mars 2023 – Selon une nouvelle analyse de l’UNICEF, 190 millions d’enfants dans 10 pays africains sont les plus exposés à la conjugaison de trois menaces liées à l’eau : le manque d’accès à l’eau, à l’assainissement et à l’hygiène (WASH) ; les maladies résultant de cette situation et ; les catastrophes climatiques.

    La triple menace sévit majoritairement au Bénin, au Burkina Faso, au Cameroun, au Tchad, en Côte d’Ivoire, en Guinée, au Mali, au Niger, au Nigeria et en Somalie, faisant de l’#Afrique de l’Ouest et du Centre l’une des régions du monde les plus touchées par l’insécurité hydrique et les changements climatiques. La plupart des pays les plus touchés, en particulier au #Sahel, sont également confrontés à l’instabilité et aux conflits armés, ce qui entrave encore l’accès des enfants à l’eau potable et à l’assainissement.

  • Santé mentale et soins psychiques de l’enfant : la surmédication dépasse toutes les bornes scientifiques
    https://theconversation.com/sante-mentale-et-soins-psychiques-de-lenfant-la-surmedication-depas

    Pour la seule année 2021, la consommation chez l’enfant et l’adolescent a augmenté de :

    7,5 % pour les antipsychotiques,

    16 % pour les anxiolytiques,

    23 % pour les antidépresseurs,

    224 % pour les hypnotiques.

    Plus largement, l’analyse de la consommation de 59 classes de médicaments psychotropes délivrés sur ordonnance en pharmacie chez les 0-19 ans pour l’ensemble des bénéficiaires du Régime Général montre que, pour chaque année entre 2018 et 2021, la consommation est supérieure à celle de l’année précédente et inférieure à celle l’année suivante. Ce qui suggère une augmentation continue de la consommation pour l’ensemble des médicaments.

    • (Je pense que c’était clair, mais je parlais des enfants qui ont besoin de soutien et parfois oui oui de traitements chimiques. Tu peux stigmatiser Borne autant qu’il te plaira.)

    • @fil : désolé pour ma réaction mais j’avais mal compris.
      Non, il est hors de question de stigmatiser les enfants et ados à qui sont prescrits ces traitements. De même pour leurs familles.
      Je rajouterai que, sur les notices des médicaments de ce type, il y a des mises en garde quant aux effets secondaires possibles sur les patients les plus jeunes (j’ai pris le cas du Zoloft ou sertraline) :

      Suicide/pensées suicidaires/tentatives de suicide ou aggravation clinique

      La dépression est associée à un risque accru d’idées suicidaires, d’auto-agression et de suicide (comportement de type suicidaire). Ce risque persiste jusqu’à obtention d’une rémission significative. L’amélioration clinique pouvant ne pas survenir avant plusieurs semaines de traitement, les patients devront être surveillés étroitement jusqu’à obtention de cette amélioration. L’expérience clinique montre que le risque de suicide peut augmenter en tout début de rétablissement.

      Les autres troubles psychiatriques dans lesquels la sertraline est prescrite, peuvent être également associés à un risque accru de comportement suicidaire. En outre, ces troubles peuvent être associés à un épisode dépressif majeur. Les mêmes précautions d’emploi que celles mentionnées pour les patients souffrant d’épisodes dépressifs majeurs devront donc être appliquées aux patients présentant d’autres troubles psychiatriques.

      Les patients présentant des antécédents de comportement de type suicidaire ou ceux exprimant des idées suicidaires significatives avant de débuter le traitement présentent un risque plus élevé de survenue d’idées suicidaires ou de comportements de type suicidaire, et doivent faire l’objet d’une surveillance étroite au cours du traitement. Une méta-analyse d’études cliniques contrôlées versus placebo sur l’utilisation d’antidépresseurs chez l’adulte présentant des troubles psychiatriques a montré une augmentation du risque de comportement de type suicidaire chez les patients de moins de 25 ans traités par antidépresseurs par rapport à ceux recevant un placebo.

      Une surveillance étroite des patients, et en particulier de ceux à haut risque, devra accompagner le traitement médicamenteux, particulièrement en début de traitement et lors des changements de dose.

      Les patients (et leur entourage) devront être avertis de la nécessité de surveiller la survenue d’une aggravation clinique, l’apparition d’idées/comportements suicidaires et tout changement anormal du comportement et, si ces symptômes survenaient, de prendre immédiatement un avis médical.

      Population pédiatrique

      La sertraline est déconseillée chez les enfants et adolescents de moins de 18 ans, à l’exception des patients présentant des troubles obsessionnels compulsifs âgés de 6 à 17 ans. Des comportements de type suicidaire (tentatives de suicide et idées suicidaires) et de type hostile (principalement agressivité, comportement d’opposition et colère) ont été plus fréquemment observés au cours des études cliniques chez les enfants et adolescents traités par antidépresseurs par rapport à ceux traités par placebo. Si, en cas de nécessité clinique, la décision de traiter est néanmoins prise, le patient devra faire l’objet d’une surveillance attentive pour détecter l’apparition de symptômes suicidaires en particulier à l’initiation du traitement. La sécurité à long terme relative au développement cognitif, émotionnel, physique et pubertaire des enfants et adolescents âgés de 6 à 16 ans a été évaluée dans une étude observationnelle à long terme pendant 3 ans maximum (voir rubrique 5.1). Quelques cas de retard de croissance et de puberté ont été rapportés après la commercialisation. La pertinence clinique et la causalité ne sont néanmoins pas clairement définies (voir rubrique 5.3 Données de sécurité préclinique correspondantes). Le médecin devra exercer une surveillance des patients pédiatriques poursuivant un traitement à long terme pour détecter toute anomalie de croissance et de développement.

      Alors, non seulement, on te dit que la prise de ce type d’anti-dépresseur (inhibiteur non sélectif de la recapture de la sérotonine) peut augmenter le risque de suicide et d’auto-agression mais qu’en plus, il n’est pas certain qu’il agisse de façon significative sur ce symptôme majeur d’un épisode dépressif. Ils font quand même très fort les fabricants et leurs prescripteurs.

  • #Santé_mentale : « des dizaines de milliers d’enfants » sont sous #psychotropes, alerte un rapport
    https://www.ladepeche.fr/2023/03/13/sante-mentale-des-dizaines-de-milliers-denfants-sont-sous-psychotropes-ale

    C’est ce que révèle un récent rapport du Haut Conseil de la famille, de l’enfance et de l’âge (HCFEA) intitulé « Quand les enfants vont mal, comment les aider ? », publié le 7 mars, et relayé par Le Parisien ce lundi 13 mars. En 2021, 5% des mineurs consommaient des psychotropes, soit deux fois plus qu’il y a dix ans. Un phénomène loin d’être isolé qui concerne aujourd’hui « des dizaines de milliers d’enfants », pointe l’instance

    En détail, d’après ce document, qui cite des chiffres transmis par la Caisse nationale de l’assurance maladie (Cnam) et des travaux récents de l’Agence nationale de sécurité du médicament et des produits de santé (ANSM), entre 2014 et 2021, chez les moins de 20 ans, le taux de consommation d’antipsychotiques a grimpé de + 48,54%. La consommation d’antidépresseurs a augmenté de + 62,58% et celle de psychostimulants de + 78,07%. Enfin, concernant les hypnotiques et les sédatifs, les autorités notent une hausse inquiétante de + 155,48%.

    « Une priorité et une urgence des #politiques de #santé »

    "Il faudrait être aveugle aujourd’hui pour ne pas faire de la santé mentale des enfants et adolescents une priorité et une urgence des politiques de santé, comme le recommande l’OMS.

    #France

    • L’analyse des bases de données de santé montre également l’impact des facteurs sociaux sur le risque de diagnostic d’hyperactivité et la #médication des enfants. Ainsi, entre 2010 et 2019, 35,2 à 38,8 % des enfants diagnostiqués TDAH vivaient dans des familles bénéficiant de la CMU ou de la CMU-C alors que ces aides ne sont attribuées qu’à 7,8 % de la population française.

      Le diagnostic de TDAH est donc beaucoup plus fréquent chez les enfants des familles les plus défavorisées. Si l’on considère également les enfants TDAH présentant un diagnostic de défavorisation sociale154, le pourcentage d’enfants présentant des difficultés sociales au sein de la cohorte TDAH varie entre 39,8 et 42,6 % sur la période.

      Ces constats sont identiques pour la consommation de méthylphénidate : Les diagnostics de défavorisation sont répertoriés dans la nomenclature CIM-10 à la rubrique « Sujets dont la santé peut être menacée par des conditions socioéconomiques et psychosociales ». Nous nous sommes référés aux codages suivants : Z55, difficultés liées à l’éducation et l’alphabétisation ; Z56, difficultés liées à l’emploi et au chômage ; Z57, exposition professionnelle à des facteurs de risque ; Z58, difficultés liées à l’environnement physique ; Z59, difficultés liées au logement et aux conditions économiques ; Z60, difficultés liées à l’environnement social ; Z61, difficultés liées à une enfance malheureuse ; Z62, autres difficultés liées à l’éducation ; Z63, autres difficultés liées à l’entourage immédiat, y compris la situation familiale ; Z64, difficultés liées à certaines situations psycho-sociales ; Z65, difficultés liées à d’autres situations psychosociales.

      Le diagnostic de TDAH et la médication par psychostimulant sont donc beaucoup plus fréquents chez les enfants des familles les plus défavorisées. S’il n’existe pas encore de données comparables pour la dépression chez l’enfant et l’adolescent en France, l’impact des difficultés sociales sur la dépression chez l’enfant est scientifiquement établi (cf. supra).

      https://www.strategie.gouv.fr/sites/strategie.gouv.fr/files/atoms/files/hcfea_sme_rapport_13032023.pdf

      #défavorisation #santé #enfants #pauvres

  • #enfants #pédagogie #dictionnaire #anarchisme

    ★ Enkis - Collectif Emma Goldman, « Dictionnaire anarchiste des enfants » - UCL

    À travers une petite centaine de définitions de termes théoriques, idéologiques ou pratiques, cet ouvrage soumet la société à l’épreuve de la critique sociale.

    ▶️ Collectif Emma Goldman : https://ucl-saguenay.blogspot.com

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Lire-Enkis-Collectif-Emma-Goldman-Dictionnaire-anarchist

  • L’exploitation sexuelle des filles persiste à l’âge adulte
    MONTRÉAL , le 1er mars 2023 – En cette semaine nationale de lutte contre l’exploitation sexuelle des mineurs, la Concertation des luttes contre l’exploitation sexuelle tient cette année encore à faire connaître et diffuser les témoignages des survivantes. La CLES veut aussi rappeler que les filles exploitées sexuellement ont un risque élevé d’être encore victimes d’exploitation sexuelle à l’âge adulte. La victimisation ne disparaît pas magiquement lorsqu’une jeune fille atteint la majorité. Au Québec, depuis 2006, nous avons une politique sur l’égalité entre les hommes et les femmes qui reconnaît la prostitution comme une violence envers les femmes et comme une des formes que prend l’exploitation sexuelle.
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/11/20/journee-mondiale-pour-la-protection-des-enfants-contre-lexploitation-sexuelle-et-la-pedocriminalite/#comment-55787

    #féminisme #enfant #prostitution

  • #Canada : Orphelinats catholiques : la grande noirceur de l’information Daniel Tremblay -Priscilla Plamondon Lalancette - Martin Movilla

    Alors que des élus, des citoyens et des survivants d’orphelinats catholiques réclament une enquête publique sur les violences extrêmes et parfois mortelles infligées à des enfants, Québec continue de restreindre l’accès aux documents disponibles pour protéger l’État de poursuites civiles.

    Les informations gouvernementales qui filtrent au compte-gouttes montrent que, depuis trois décennies, l’argent est la principale préoccupation dans le dossier des orphelins de Duplessis et des enfants victimes de sévices dans les établissements religieux.

    “Le gouvernement doit arrêter de se protéger et aider les survivants”, estime Rod Vienneau qui préside le Comité Enfants Grande Noirceur. Celui qui représente environ 1500 survivants dénonce l’opacité du gouvernement. “Ce sont aujourd’hui des personnes âgées, mais il ne faut pas oublier que ce sont des enfants qui ont été torturés, ou même tués, et qui veulent connaître la vérité.”

    Au cours des dernières semaines, l’équipe d’Enquête a essuyé des refus presque systématiques à ses demandes d’accès à l’information. Les archives demandées visaient notamment à documenter ce que Québec sait sur l’ampleur des cas d’abus et de morts suspectes d’enfants dans les orphelinats catholiques autrefois financés par l’État.

    « La vérité reste cachée. C’est comme si le gouvernement attendait que les victimes soient toutes mortes. »
    -- Une citation de Rod Vienneau, président du Comité Enfants Grande Noirceur

    Caviarder l’histoire
    La loi oblige le gouvernement à rendre les délibérations du Conseil des ministres publiques après 25 ans. En mars 1995, la question des orphelinats a été abordée par le conseil exécutif du premier ministre Jacques Parizeau. Pourtant, de grandes parties du document sont caviardées parce que “la divulgation risquerait vraisemblablement d’avoir un effet sur une procédure judiciaire”, affirme le gouvernement actuel.


    Manifestation d’orphelins de Duplessis

    Les seules bribes d’informations disponibles montrent qu’en pleine année référendaire, Québec a déjà en main des demandes d’enquête publique, d’indemnisation des victimes, d’excuses nationales et de correction des dossiers médicaux d’enfants faussement étiquetés comme “aliénés mentaux”.

    Le conseil était divisé sur le sujet. Des ministres soulignaient que des excuses pourraient conduire à payer des compensations aux survivants. François Gendron, alors ministre des Ressources naturelles, mentionnait qu’il ne faut pas fermer les yeux, puisque des victimes “lui ont fait part de choses de toutes natures, allant de sévices sérieux à des délits sexuels”. Jacques Parizeau soulevait un enjeu moral et disait “avoir l’impression que ces gens souhaitent surtout une indemnité”. Impossible toutefois de connaître le fond de sa pensée, puisque la proposition formulée par le premier ministre a été censurée au moment de nous remettre le document.

    Chose certaine, en 1998, le dossier des enfants abusés traînait toujours. Des documents provenant des archives privées de l’ex-premier ministre Lucien Bouchard et auxquels il nous a donné accès montrent que c’était une patate chaude et que le Conseil des ministres n’était pas “réceptif à l’idée d’indemniser” les orphelins.

    Le 14 octobre 1998, le chef de cabinet adjoint du premier ministre, Pierre-Luc Desgagné, écrivait qu’un mémoire circulait depuis plusieurs mois sur les enfants de Duplessis et qu’il fallait régler la question des diagnostics erronés et “l’indemnisation possible”. Le conseiller politique enchaînait : “Même si je discute avec leur avocat depuis plusieurs mois [pour gagner du temps], nous en sommes rendus à un point où nous devons décider et rendre publique notre décision quant à l’indemnisation. Le pire des scénarios serait de commencer une campagne électorale sans aucune décision dans ce dossier. De petites manifestations seraient à prévoir et il s’agit d’un dossier sympathique pour la population”.

    En mars 1999, Lucien Bouchard a finalement prononcé des excuses nationales aux orphelins et orphelines de Duplessis. Il a toutefois rejeté l’idée d’offrir une compensation financière aux victimes pour les sévices subis.

    Préoccupé par l’effet boule de neige
    C’est en 2001 que le gouvernement de Bernard Landry a mis sur pied la première mouture du Programme national de réconciliation avec les orphelins de Duplessis. Les enfants “dits illégitimes” et orphelins qui ont été internés ont pu recevoir une moyenne de 25 000 $ en aide financière. Dans le cadre de ce premier volet consacré aux orphelins traités comme des fous, 26 millions de dollars ont été versés à 1500 Québécois.


    Des communautés religieuses sont visées par des allégations de violences physiques, sexuelles et parfois même mortelles sur des enfants.

    En 2004, Québec a analysé l’idée d’élargir le programme aux victimes de l’orphelinat d’Huberdeau, puisque des enfants placés dans cet établissement avaient aussi été abusés physiquement, psychologiquement et sexuellement. Or, le gouvernement craignait de créer un précédent pour des victimes dans tous les établissements religieux. Le document daté du 9 janvier indiquait qu’“il est certain que la mise en place d’un tel programme relancerait les revendications de divers groupes de pression réclamant du gouvernement des mesures similaires pour les ex-résidents d’autres institutions semblables”.

    En 2006, le gouvernement de Jean Charest a finalement instauré le second volet du Programme national de réconciliation, mais cette fois pour les enfants maltraités dans les orphelinats. L’aide financière de 15 000 $ est toujours en vigueur. En septembre dernier, 67 millions de dollars avaient été versés à près de 4500 personnes. Mais plus de 2000 anciens pensionnaires ayant présenté une demande n’ont rien reçu.

    Le gouvernement n’a jamais rendu publique la liste complète des établissements admissibles du programme. Il y en a plus d’une centaine à travers le Québec. Impossible de connaître le nombre de victimes reconnues par établissement, le ministère de l’Emploi et de la Solidarité affirme qu’il ne comptabilise pas ces données.

    D’après Pierre Trudel, professeur et membre du Centre de recherche en droit public de l’Université de Montréal, les motivations du gouvernement pour rendre ce programme accessible au plus grand nombre de survivants ne sont pas claires. “Ça devrait être plus transparent. Normalement, un programme gouvernemental devrait prévoir de façon très transparente ce qui est permis, ce qui est visé et qui a droit à quoi”, explique-t-il.

    Selon Rod Vienneau, il ne fait aucun doute que les montants octroyés sont dérisoires. “Ce n’est pas une réparation pour les gens qui ont perdu leur vie”, insiste-t-il. L’homme dit recevoir des dizaines d’appels de survivants en pleurs chaque semaine. Il croit qu’une commission d’enquête serait libératrice pour les victimes et que le gouvernement doit en faire davantage pour les aider à guérir.

    Le secret professionnel
    Obtenir des renseignements du gouvernement relève d’un chemin de croix. En plus de se protéger des poursuites, Québec invoque le secret professionnel pour éviter que des documents capitaux dans la compréhension de l’histoire des victimes des orphelinats ne soient rendus publics.

    Pour recevoir l’aide financière du programme de réconciliation, qui ne tient pourtant compte ni des sévices subis ni des séquelles, les survivants ont dû signer une quittance qui les empêche de poursuivre leurs bourreaux et les responsables des orphelinats.

    Il s’agit en effet d’une aide financière et non d’une compensation. Un ancien haut fonctionnaire indique que les avocats du gouvernement refusaient d’utiliser le terme “indemnisation” pour éviter de reconnaître la responsabilité civile de l’État.

    Enquête a d’ailleurs voulu comprendre pourquoi Québec a instauré une quittance qui protège le gouvernement, mais aussi l’Église et les communautés religieuses de poursuites judiciaires. D’autant que l’Église catholique n’a offert aucune compensation financière aux victimes.


    L’Église n’a jamais demandé pardon aux victimes des orphelinats catholiques.

    Le ministère de la Justice dit posséder quatre documents relatifs à cette quittance, mais nous en refuse l’accès. Le cabinet du ministre Simon Jolin-Barrette répond qu’il “est essentiel que le gouvernement puisse bénéficier du respect du secret professionnel au même titre, d’ailleurs, que toute personne qui recourt aux services d’un avocat”.

    Selon le professeur Pierre Trudel, le gouvernement a tendance à multiplier les exceptions à la loi pour refuser l’accès à des documents. “Il est affligeant que l’on invoque le secret professionnel pour camoufler des situations qui se sont déroulées il y a longtemps. Lorsque l’enjeu est plus corsé, il arrive souvent qu’il invoque presque toutes les exceptions prévues dans la loi pour justifier [son] refus”, observe-t-il.

    Dans ce cas-ci, Pierre Trudel estime que Québec se trouve coincé entre la diffusion d’information publique et la protection des intérêts de l’État.

    La quête de justice
    Depuis 2020, il n’y a plus de prescription pour intenter des poursuites civiles liées à des agressions sexuelles ou à des violences subies dans l’enfance. Les demandes de recours collectifs contre des congrégations religieuses et des diocèses se sont donc multipliées au Québec.

    Dans un Québec sous l’emprise de la religion catholique, les enfants dits illégitimes étaient arrachés aux mères ou abandonnés dans les orphelinats.
    Photo : SHS -F0170-S6-P2768-3

    Deux actions collectives ont été autorisées contre des congrégations religieuses. Un recours civil vise les Soeurs de la Charité de Québec et le CIUSSS de la Capitale-Nationale pour des abus survenus à l’orphelinat de Mont-d’Youville. L’autre action collective est dirigée contre les Sœurs de la Charité pour de présumées agressions commises à l’orphelinat catholique de Montréal, à la crèche d’Youville et à l’école Notre-Dame-de-Liesse. Dans les deux cas, les anciens pensionnaires réclament des dommages pouvant atteindre 500 000 $.

    Ces recours excluent les personnes qui ont reçu l’aide financière de 15 000 $ du Programme national de réconciliation avec les orphelins de Duplessis.


    Les Soeurs de la Charité de Québec et le CIUSSS de la Capitale-Nationale sont poursuivis pour des sévices physiques, sexuels et psychologiques qui auraient été commis par une centaine d’agresseurs à l’orphelinat de Mont d’Youville.

    Une autre demande de recours collectif des enfants de Duplessis vise le gouvernement et huit congrégations religieuses. Refusée en Cour supérieure et en Cour d’appel, elle est maintenant entre les mains de la Cour suprême. Les demandeurs réclament jusqu’à 875 000 $ pour les survivants et espèrent faire annuler la quittance qui empêche des victimes d’obtenir justice. “Il faudrait que le dossier se règle une fois pour toutes”, soutient Rod Vienneau qui agit comme coordonnateur auprès des anciens pensionnaires provenant de partout au Québec.

    Des documents introuvables
    Radio-Canada a identifié plusieurs documents décisionnels qui étaient cités dans les archives de différents ministères et les a réclamés en vertu de la Loi sur l’accès à l’information. Mais les réponses obtenues indiquent souvent qu’ils sont désormais inexistants, détruits ou perdus. C’est le cas du mémoire sur les orphelins qui circulait au gouvernement en 1998.

    Une grande noirceur flotte donc toujours sur les horreurs commises dans les orphelinats catholiques.


    L’orphelinat de l’Immaculée a ouvert ses portes le 4 novembre 1931 à Chicoutimi.

    Il est notamment impossible de savoir combien d’orphelins sont morts à l’orphelinat de Chicoutimi ni ce qui advenait des dépouilles. Le gouvernement assure n’avoir aucun document en sa possession, même s’il s’agissait d’un établissement subventionné par des fonds publics.

    Radio-Canada a découvert qu’en 1993, des morts suspectes d’enfants avaient été signalées à la Sûreté du Québec par des orphelins de Duplessis. Cinq enquêtes criminelles ont été menées sans qu’aucune accusation formelle ne soit portée. Aucun appel à témoins n’a été lancé par les policiers ou par les pouvoirs publics en lien avec des meurtres allégués. Il ne s’agit pas des cas de blessures mortelles dévoilés par Enquête à l’orphelinat de Mont d’Youville de Québec et à l’orphelinat de Chicoutimi. En 2007, un citoyen dont le nom a été caviardé a aussi signalé au ministère de la Solidarité sociale qu’il avait été témoin d’un meurtre dans un orphelinat.

    En 1964, la journaliste et criminologue Alice Poznanska Parizeau avait révélé que des documents ultra-secrets du gouvernement portaient sur des morts mystérieuses d’enfants maltraités.

    De nouveaux témoignages
    Depuis la diffusion du reportage « Sacrée impunité », Enquête a reçu de nombreux nouveaux témoignages de survivants, d’employés et de familles d’anciens pensionnaires qui ont séjourné dans d’autres établissements aux quatre coins de la province.

    Robert raconte avoir été ébouillanté dans les années 1960 à la crèche de Saint-François d’Assise de Pointe-aux-Trembles. “Deux mois avant mon quatrième anniversaire de naissance, j’ai été soi-disant mis accidentellement dans un bain d’eau bouillante. C’est une histoire que je n’ai jamais crue et que je ne croirai jamais. Je vis avec des séquelles permanentes comme des brûlures, tremblements et boiteries depuis ce jour”, écrit-il.

    Daniel se souvient d’avoir fêté son 10e anniversaire à l’orphelinat de l’Hôtel-Dieu de Saint-Hyacinthe, après le décès de son père. “Ce fut la plus triste et horrible année de ma vie. Nous devions appeler les religieuses "mères"”. Mais l’une d’elles était un monstre, selon lui. “Toutes les excuses étaient bonnes pour me frapper à coups de poing. Mon matricule était le GG-3 [grand garçon no 3]. Ce genre de détails ne s’oublie pas.”


    Plus de 12 000 enfants abandonnés, orphelins ou placés pour diverses raisons, comme la maladie d’un parent, sont passés par l’orphelinat de l’Immaculée Conception. Photo : Société historique du Saguenay/SHS-P002-S07-SS1-P09998-1

    Quelques témoignages, dont celui de Lise, portent sur l’Institut Monseigneur Courchesne de Rimouski. “Il y a de ces mauvais souvenirs qu’on essaie d’enfouir au plus profond de notre mémoire, mais qui refusent de mourir et qui remontent à la surface”, explique la dame. “Combien de ravages ces supposées bonnes et chrétiennes personnes ont pu causer ? Combien de vies détruites ? Combien d’enfants morts en dedans ? Combien de suicides ?”, se questionne-t-elle. “Nous avons tous nos blessures. Parfois elles cicatrisent mais, pour d’autres, elles refusent de fermer”, déplore cette survivante.

    Lise raconte qu’elle a vécu à l’orphelinat Ville-Joie du Rosaire à Sainte-Marthe-du-Cap-de-la-Madeleine de l’âge de 5 à 8 ans. Les révélations sur les orphelinats catholiques “ont réveillé en moi des souvenirs amers et de nombreux questionnements”, écrit-elle. Lise recherche d’anciens pensionnaires pour l’aider à remettre en place les morceaux du casse-tête qui a hanté le reste de sa vie et influé sur lui.


    De nouveaux témoignages dénoncent notamment des abus qui seraient survenus à l’orphelinat de Rimouski. Photo : Bibliothèque et archives nationales du Québec

    Richard se souvient de la phrase “Es-tu ici pour toujours ?” que les enfants prononçaient à l’orphelinat Saint-Joseph de Montréal pour savoir qui était abandonné. Il rapporte que des religieuses “violentes physiquement et "psychoaffectivement" contrôlantes” créaient un milieu de terreur quotidien. “Je suis en larmes en écrivant”, soutient l’homme.

    Une travailleuse sociale confie qu’elle a accompagné pendant 5 ans une ancienne pensionnaire victime de maltraitance qui était profondément marquée parce qu’elle aurait vu des religieuses enterrer un enfant.

    Le fils d’une victime de l’orphelinat d’Huberdeau raconte par ailleurs que son père est resté traumatisé d’avoir vu “un jeune qui, après une douche très chaude et une très froide, s’était jeté par la fenêtre du troisième étage de peur des coups qu’il recevrait”.

    Source : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1958890/orphelinats-quebec-acces-information-abus

    #meurtres #tortures #génocide #violences_physiques #violences_sexuelles #sévices #établissements_religieux #congrégations_religieuses #impunité #enfants #justin_trudeau couvre bien entendu les tortionnaires #Nations_premiéres #Inuits #autochtones #pauvres #racisme #orphelinats

  • #Travail des #enfants : « Il est difficile de concevoir qu’un pays aussi riche que les Etats-Unis s’attaque aux droits des enfants »
    https://www.nouvelobs.com/monde/20230226.OBS70049/il-est-difficile-de-concevoir-qu-un-pays-aussi-riche-que-les-etats-unis-f

    Ce ne sont pas des boulots pour des gamins. Ce sont des environnements très dangereux. Ils n’y apprendront pas un métier de manière encadrée dans le cadre d’un programme d’étude, ils vont juste faire le sale boulot, du nettoyage, de la manutention dans un environnement non sécurisé. Et puis c’est un comble de vouloir les faire travailler dans les secteurs comme les abattoirs et les entreprises de nettoyage. C’est justement là qu’il y a eu des accidents, des brûlures graves qui ont déclenché les enquêtes du ministère du Travail, parce que les enfants avaient été en contact avec des substances chimiques.

    La proposition de l’Iowa prévoit également d’augmenter le nombre d’heures de travail que les adolescents sont autorisés à faire, jusqu’à six heures par jour pendant l’année scolaire. Imaginez la journée d’un gamin de 15 ans qui rentre de cours à 15 heures, part dans la foulée travailler, n’est pas de retour chez lui avant 22 heures, doit ensuite dîner et faire ses devoirs ! Le seul fait d’étendre les plages horaires de travail revient à diminuer la disponibilité des enfants pour l’école et les conduire à l’échec scolaire. Ces lois sont contraires à leur bien-être. Le texte de l’Iowa prévoit en plus d’exempter les employeurs de toute responsabilité civile en cas d’accident, et même de décès, d’un mineur sur son lieu de travail. C’est particulièrement cynique : cela signifie qu’ils savent que des gamins vont être blessés. Sinon, pourquoi auraient-il pris la peine d’en parler ? Résultat, les employeurs ne vont pas se soucier plus que ça de la sécurité des adolescents qu’ils emploient, puisqu’ils ne craindront pas d’être poursuivis.

  • Pour la fin de l’impunité
    http://carfree.fr/index.php/2023/02/24/pour-la-fin-de-limpunite

    « Nous mettrons fin à l’impunité de ces dangereux pourfendeurs de la route » a déclaré triomphalement le ministre des transports, annonçant l’introduction prochaine de l’obligation du port du casque à #Vélo, Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #cyclistes #enfants #humour #italie #marche #piétons #politique #relations_cyclistes-automobilistes

  • Accélérons le développement des #rues_scolaires !
    https://metropolitiques.eu/Accelerons-le-developpement-des-rues-scolaires.html

    Coordinatrice de campagnes de l’association bruxelloise Les Chercheurs d’air, Justine di Prima plaide pour le développement des rues scolaires. Elle décrit l’impact bénéfique de ces rues d’écoles fermées au trafic motorisé sur la #qualité_de_l'air, la santé des #enfants et leur sécurité. En Europe, la #pollution de l’air est à l’origine de 238 000 décès prématurés par an. Rien que dans la région de #Bruxelles, les deux principaux polluants – le dioxyde d’azote et les particules fines – sont responsables de près de #Débats

    / enfants, pollution, rues scolaires, santé, #Belgique, Bruxelles, qualité de l’air

    #santé

  • #RDC #enfants #esclavagisme #mines #capitalisme

    🛑 République démocratique du Congo : les petits forçats du cobalt... - Amnesty International France

    La République démocratique du Congo recèle la plus importante réserve mondiale en cobalt, un minerai crucial à la transition énergétique mondiale. Quelque 40 000 enfants travailleraient toujours dans les mines, dans des conditions particulièrement périlleuses, en particulier à Kolwezi. Un reportage réalisé pour La Chronique, le magazine des droits humains. Retrouvez l’intégralité du reportage photo qui accompagne cette enquête dans le magazine papier (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.amnesty.fr/actualites/republique-democratique-du-congo-enfants-cobalt-face-cachee-de-nos-batterie

  • Le lissage des rééditions de l’auteur pour enfants Roald Dahl crée l’indignation

    Les nouvelles éditions des livres de l’auteur britannique pour enfants Roald Dahl vont être modifiées pour supprimer le vocabulaire risquant d’être considéré comme offensant, un lissage de l’oeuvre originale qui suscite indignation et consternation.

    Les références au poids, à la santé mentale, à la violence, ou aux questions raciales ou de genre ont été expurgées et réécrites, selon le quotidien conservateur Daily Telegraph.


    Ainsi, le terme « gros » n’est plus employé pour décrire Augustis Gloop de Charlie et la Chocolaterie. Les « hommes-nuages » de James et la Pêche géante deviennent le « peuple nuage ».

    Tous les changements sont « réduits et soigneusement réfléchis », a assuré un porte-parole de la Roald Dahl Story company.

    « Roald Dahl n’était pas un ange », a réagi sur Twitter l’écrivain britannique Salman Rushdie, icône de la liberté d’expression victime d’une violente agression il y a six mois, « mais c’est de la censure absurde ».

    La patronne de PEN America Suzanne Nossel, organisation rassemblant 7000 écrivains pour la liberté d’expression, a jugé que « l’édition sélective pour faire que les mots de la littérature se conforment à des sensibilités particulières pourrait représenter une arme nouvelle dangereuse ».

    Le passage en revue a été lancé en 2020 avant le rachat en 2021 par Netflix du catalogue de l’auteur pour enfants.

    La rédactrice en chef adjointe du journal conservateur Sunday Times , Laura Hackett, a déclaré qu’elle garderait ses éditions originales de Roald Dahl, afin que ses enfants puissent « les apprécier dans toute leur gloire méchante et colorée ».

    Le premier ministre britannique, Rishi Sunak, estime que les mots doivent être « préservés » plutôt que « retouchés », a indiqué son porte-parole lundi lors d’un point de presse régulier.

    « Si Dahl nous offense, ne le réimprimons pas », a quant à lui estimé l’écrivain Philip Pullman lundi sur la BBC, soulignant que des millions de ses livres orignaux resteraient en circulation pendant de nombreuses années quels que soient les changements effectués dans de nouvelles éditions.

    « Lors de nouveaux tirages de livres écrits il y a des années, il n’est pas inhabituel de passer en revue le langage utilisé et de mettre à jour d’autres éléments comme la couverture et la mise en page », a affirmé le porte-parole de la Roald Dahl Company, soulignant la volonté de conserver histoire, personnages, et « l’irrévérence et l’esprit affûté du texte original ».

    La Roald Dahl company a par ailleurs indiqué avoir travaillé avec Inclusive Minds, un collectif pour l’inclusion et l’accessibilité de la littérature pour enfants.

    L’auteur, incontournable dans les bibliothèques de nombreux enfants, est décédé en 1990 à l’âge de 74 ans.
    . . . . .
    Source & suite : https://www.ledevoir.com/culture/782421/le-lissage-des-reeditions-de-l-auteur-pour-enfants-roald-dahl-cree-l-indig

    #Roald_Dahl #cancel_culture #enfants #censure #woke #wokisme #livres #vocabulaire #Salman_Rushdie

  • La ville de Londres va offrir des repas gratuits à tous les élèves d’école primaire RTBF - Renaud Verstraete

    Le maire travailliste de Londres, Sadiq Khan, a annoncé lundi sur la BBC un plan d’urgence de 130 millions de livres sterling (146,31 millions d’euros, NDLR) afin d’offrir à tous les élèves du primaire des repas gratuits à l’école pendant un an durant l’année scolaire 2023-2024. Il espère ainsi soutenir les familles londoniennes qui souffrent de la crise financière.


    Dès septembre, quelque 270.000 élèves des écoles primaires de Londres bénéficieront d’un repas quotidien et gratuit. Cette mesure permettra aux familles londoniennes d’économiser environ 440 livres sterling par enfant et par an. Actuellement, les repas scolaires gratuits ne sont réservés qu’aux enfants dont les parents gagnent moins de 7400 livres sterling (8329,20 euros) par an après impôts. Cette limite supérieure laisse sur le carreau quelque 800.000 enfants anglais vivant dans la pauvreté, selon l’association caritative Food Foundation.

    « En raison de la crise économique, les familles et les enfants de notre ville ont désespérément besoin d’un soutien supplémentaire », a déclaré le maire de Londres. « J’ai régulièrement encouragé le gouvernement à proposer des repas scolaires gratuits, mais il n’a tout simplement rien fait ».

    « Une bouée de sauvetage »
    Ces repas gratuits sont comme « une bouée de sauvetage » , considère Sadiq Khan, qui a également pu en bénéficier lorsqu’il était enfant. « Mes frères et sœurs et moi dépendions de ces coups de pouce pour manger à l’école et mes parents comptaient sur cela pour donner un peu de répit à notre famille sur le plan financier » , a ajouté le maire de Londres. Anna Taylor, directrice de la Food Foundation, appelle le gouvernement britannique à suivre l’exemple de M.Khan. « C’est un pas en avant monumental pour garantir l’alimentation, le bien-être et l’apprentissage des enfants de toute la capitale » , a-t-elle commenté.

    Source : https://www.rtbf.be/article/la-ville-de-londres-va-offrir-des-repas-gratuits-a-tous-les-eleves-decole-prima
    #Londres #Pauvreté #repas #enfants #Sadiq_Khan #école #cantine

  • Les Oiseaux ne se retournent pas

    Au moins un quart des personnes exilées en Europe sont des mineurs isolés. Ils fuient la même barbarie que les adultes. Que se passe-t-il dans la tête d’un enfant qui échappe à la guerre ? C’est la question qui traverse ce récit.
    Un jour, la décision a été prise : Amel, orpheline de 12 ans, partira. Il n’est pas ici question de choix : son pays est en guerre. Malheureusement, rien ne se déroule comme prévu. À la frontière, Amel perd la famille chargée de l’accompagner et se retrouve seule. Sur sa route, elle rencontre Bacem, un déserteur et joueur de oud. Ensemble, l’enfant et le soldat apprennent à se reconstruire.


    https://www.editions-delcourt.fr/bd/series/serie-les-oiseaux-ne-se-retournent-pas/album-oiseaux-ne-se-retournent-pas

    #BD #migrations #asile #réfugiés #beau #bande-dessinée #livre #voyage #parcours_migratoire #enfants #enfance #Nadia_Nakhle

    Le site de l’autrice :
    https://www.nadianakhle.com

  • En #Tunisie, la mort d’une #fillette retrouvée échouée sur une #plage suscite l’#indifférence générale

    Le corps d’une enfant a été retrouvé sur une île de l’archipel des #Kerkennah, au large de #Sfax, en décembre dernier, dans la même position que le petit #Aylan_Kurdi en 2015. Mais contrairement à lui, sa #photo n’a pas fait le tour du monde ni engendré la moindre #réaction politique. Un #silence qui en dit long sur la #banalisation des #naufrages en mer.

    Son corps sans vie a été retrouvé échoué sur une plage, le 24 décembre dernier, vêtu d’un blouson rose bonbon et d’un collant. Âgée d’environ 3 ans, la fillette reposait sur le ventre, face contre terre. Les #îles_de_Kerkennah, au large de Sfax, en Tunisie, ont été les tristes témoins de l’ignominie qui se déroule en #Méditerranée chaque jour : les naufrages qui s’enchaînent à la pelle ; ceux que l’on connaît, parce qu’ils laissent des traces derrière eux, et ceux dont on n’a pas connaissance, qualifiés d’« invisibles », pour lesquels aucune embarcation ni dépouille n’est jamais retrouvée.

    Mais cette fois, il y a une photo. L’enfant a été découvert sur la plage de #Sidi_Founkhal au petit matin, par un habitant de Sfax, originaire des Kerkennah, qui a décidé d’immortaliser l’horreur produite par nos politiques migratoires.

    Retrouvé par Mediapart, Boulbeba Bougacha, âgé de 20 ans, raconte avoir voulu « changer d’air » en allant déjeuner avec ses proches sur la plage, aux alentours de 13 heures, le 24 décembre. « On l’a trouvée là, allongée sur le ventre. On a appelé les autorités, qui sont venues la récupérer. Ça a été un choc. On sait que beaucoup de gens meurent en mer, mais on n’est jamais préparé à voir une chose pareille. »

    Sur la même plage ce jour-là, la mer a expulsé de ses entrailles au moins trois autres corps adultes, tous subsahariens. Boulbeba s’est exprimé sur les ondes de la radio locale Diwan FM, le 26 décembre 2022. Mais, fait surprenant, ni l’information ni la photo n’ont été relayées en Tunisie ou ailleurs, hormis dans quelques rares publications sur les réseaux sociaux. On se souvient de la photo du petit Aylan Kurdi, un enfant kurde retrouvé lui aussi échoué sur une plage de Turquie en 2015, quasiment dans la même position, qui avait suscité l’émoi et l’indignation partout à travers le monde.

    Dans l’archipel de Kerkennah, où règnent les familles de pêcheurs, tout le monde ou presque a entendu parler de la fillette. Mais le choc des premières découvertes de naufragé·es en mer a laissé place, depuis plusieurs années, à une forme de #résilience. « On voit des #cadavres presque tous les jours », lâche Nasser*, qui vit de la pêche.

    Lorsque nous le rencontrons à Remla, capitale des îles Kerkennah, l’homme semble soulagé d’être enfin entendu. Au printemps dernier, il dit avoir trouvé un bébé, âgé d’à peine 2 ans. « La dernière fois, j’ai vu quatre ou cinq morts d’un coup. Quand on appelle la garde nationale, ils nous demandent si ce sont des Blancs ou des Noirs. Si ce sont des Noirs, ils ne se déplacent pas. »

    Des pêcheurs traumatisés

    Depuis les années 2000, l’archipel aux 15 000 âmes s’est transformé en lieu de départ pour les personnes souhaitant émigrer vers l’Europe, du fait de sa proximité avec l’île italienne de Lampedusa. Il attire ainsi les Tunisiens, mais aussi, depuis une dizaine d’années les Subsahariens, de plus en plus nombreux à passer par la Tunisie (et le Maghreb de manière générale) pour tenter de travailler et/ou de prendre la mer.

    « De par sa localisation, Sfax a attiré beaucoup de Subsahariens, d’abord parce que c’est la deuxième plus grande ville de Tunisie et qu’il y a un fort besoin de main-d’œuvre, ensuite parce qu’elle est proche de Kerkennah, où des réseaux de passage existaient déjà », analyse Hassan Boubakri, chercheur à l’université de Sousse et de Sfax.

    Jeudi 9 février, des militaires armés contrôlent la montée à bord du Loud, nom du ferry reliant Sfax à Kerkennah en une heure. Plusieurs hommes voyageant seuls sont mis à l’écart, contrôlés puis interrogés.

    « Les autorités surveillent beaucoup l’île désormais, poursuit le spécialiste des migrations. Les Noirs ne peuvent plus rallier Kerkennah et les Tunisiens doivent présenter un justificatif démontrant qu’ils vont travailler ou rendre visite à des proches pour s’y rendre. » Les pêcheurs qui acceptent de s’exprimer confirment tous l’information. Mais ils précisent que des départs par la mer continuent de s’organiser depuis l’archipel, sans doute par l’intermédiaire des Tunisiens y ayant leur « réseau ».

    Les départs se font aussi depuis Sfax, rendant la traversée plus longue et dangereuse pour les exilé·es. « Une journée comme ça, avec un vent du Nord plutôt fort, va nous ramener plusieurs cadavres sur l’île », assure Nasser, qui se dit traumatisé par la vue de visages défigurés ou de corps à moitié dévorés par les poissons et les oiseaux migrateurs, très présents sur l’île. « La dernière fois, j’étais tellement marqué par ce que j’avais vu que sur le trajet retour vers ma maison, j’ai dû m’arrêter sur le bas-côté pour reprendre mes esprits », poursuit-il, le regard vide et abîmé.

    Il y a aussi les squelettes, que les pêcheurs disent observer surtout sur l’île de #Roumedia, située au nord-est de l’archipel. « Il y a un corps qui est là-bas depuis l’Aïd-el-Séghir [la fête marquant la fin du ramadan – ndlr], donc depuis avril dernier. On l’a signalé mais personne n’est venu le récupérer », regrette l’un des amis de Nasser, également pêcheur.

    Un autre explique avoir culpabilisé après avoir laissé un corps dans l’eau lorsqu’il était au large : « Si je l’avais signalé à la garde nationale, elle m’aurait demandé ensuite de l’accompagner jusqu’au #cadavre. C’était trop loin et il y avait de grandes chances que je n’arrive pas à le retrouver », se justifie-t-il.

    Ce dernier se souvient également avoir trouvé, il y a quelques mois, une femme enceinte sur le bord d’une plage. « C’est très dur pour nous. On sort en mer et on ne sait pas sur quoi on va tomber », ajoute-t-il, expliquant avoir constaté une hausse des naufrages en 2022. Tous affirment que « l’#odeur » est insupportable.

    Une question, qu’ils prononcent du bout des lèvres, les taraude : les poissons qu’ils pêchent et qu’ils donnent à manger à leur famille se sont-ils nourris de ces cadavres dont personne ne se préoccupe, parce que « migrants » ?

    À #Mellita, dans le sud des Kerkennah, d’autres remontent régulièrement des corps dans les mailles de leur filet. Certains, comme Ali*, en trouvent coincés dans leur charfia traditionnel, un barrage visant à bloquer le poisson et à le rediriger vers un piège.

    Dans sa maisonnette, l’homme raconte comment il a ainsi trouvé le corps d’un homme d’une quarantaine d’années coincé sous l’eau. « J’ai appelé la garde nationale à 11 heures. J’ai attendu jusqu’à 15 heures mais personne n’est venu le récupérer. Le lendemain, j’ai retrouvé le corps au même endroit. » La garde nationale aurait invoqué un « manque de moyens ».

    Si dix-huit mille personnes ont réussi à traverser la Méditerranée depuis les côtes tunisiennes en 2022 pour rejoindre l’Italie, « au moins neuf mille migrants ont dû mourir en mer », présume un habitant des Kerkennah, qui préfère garder l’anonymat.

    Pour Hassan Boubakri, également président du Centre de Tunis pour la migration et l’asile (Cetuma), plusieurs signes viennent démontrer que l’on assiste à une #banalisation de la mort en Méditerranée, dans un contexte de multiplication des naufrages. « Il y a les #médias qui font régulièrement le décompte des morts, les pêcheurs qui ne sont plus surpris de sortir des corps de leur filet, les riverains de la mer qui souffrent d’assister à tout cela… »

    Et d’ajouter que cette banalisation se traduit aussi à travers les procédures de plus en plus standardisées pour la prise en charge des naufrages et des corps retrouvés. « Tous les acteurs impliqués, comme la garde nationale, l’appareil judiciaire, la médecine légale ou le Croissant-Rouge, sont devenus, même inconsciemment, parties prenantes de cette banalisation. Tout le monde s’accorde à dire que la Méditerranée est devenue un cimetière, alors que cela devrait susciter de la compassion. Mais on est passés de la #compassion à l’#indifférence, avec très peu de perspectives sur les solutions pouvant protéger les personnes menacées », décrypte-t-il.

    La difficile #identification des non-Tunisiens

    Face à ces drames, plusieurs acteurs s’activent, dans l’ombre, pour tenter de documenter les naufrages et permettre l’identification des victimes, comme la plateforme AlarmPhone. Pour le Comité international de la Croix-Rouge (CICR), qui aide au rétablissement des liens familiaux et travaille en coopération avec le Croissant-Rouge tunisien, la recherche et l’identification des personnes disparues en mer sont indispensables.

    Si les autorités tunisiennes restent responsables pour le processus d’identification des personnes ayant perdu leur vie en mer, le CICR intervient en appui, sur la base d’une « demande de recherche », ouverte le plus souvent par un proche de disparu. Il vérifie alors les informations permettant de faire le lien avec la personne présumée disparue. Quelle est son identité ? Quels vêtements ou quels effets personnels avait-elle ? Quel signe distinctif peut permettre de l’identifier ?

    La démarche est plus simple s’agissant des ressortissants tunisiens, pour lesquels les autorités peuvent consulter le fichier des empreintes digitales et dont les familles, basées en Tunisie, se mobilisent pour les retrouver. Elle est moins évidente s’agissant des exilés non tunisiens, dont les proches restent dans le pays d’origine et n’ont pas toujours d’informations sur le projet ou le parcours migratoire de la personne disparue.

    Dans ce cas, le CICR s’autorise à prendre en compte les informations venues d’ami·es ou de connaissances ayant croisé la route d’une personne portée disparue. Mais parfois, le signalement ne vient jamais. « Certains ont peur de signaler une disparition aux ONG parce qu’ils ne font pas la différence avec les autorités. Ils ne veulent pas avoir des ennuis », commente Yaha, une Ivoirienne et entrepreneure installée à Sfax depuis six ans, qui consacre tout son temps libre à accompagner les proches de disparu·es en mer dans leurs recherches, notamment avec le Croissant-Rouge.

    À Sfax, où nous la retrouvons, Yaha rejoint deux jeunes Ivoiriens, inquiets pour un groupe de sept personnes qui ne donnent plus signe de vie. « Il y a cinq adultes et deux enfants, âgés de 2 ans et de 8 mois. Ils ont disparu depuis deux semaines. On sait qu’ils sont morts en mer. Maintenant, on veut savoir si leurs corps ont été retrouvés », souffle le premier, occupé à chercher leurs photos sur son téléphone. La fillette des Kerkennah ? Ils n’en savent rien. Le second commente : « Les gens ne préviennent pas quand ils partent. Il faut attendre qu’ils disparaissent pour qu’on le sache. »

    Tous deux iront, deux jours plus tard, dans les locaux de la garde nationale de Sfax, où ils pourront accéder au registre et aux photos des naufragé·es. Ils seront accompagnés d’un membre du Croissant-Rouge, dont la présence est censée rassurer vis-à-vis des autorités et aider sur le plan émotionnel, dans un moment particulièrement difficile.

    Identifier les personnes disparues n’est pas chose facile : durant le week-end des 28 et 29 janvier, soit la période correspondant à leur disparition, les acteurs associatifs comptent onze à douze tentatives de traversée, dont au moins trois naufrages.

    Une #morgue dépassée

    Pour l’heure, aucune demande de recherche n’a été enregistrée par le #CICR concernant la fillette des Kerkennah, que ce soit en Tunisie ou en Italie. Plusieurs acteurs locaux redoutent que ses parents soient décédés lors du naufrage. « On pense qu’il n’y a pas eu de survivants pour cette embarcation. Elle a été retrouvée à un moment où il y a eu beaucoup de naufrages. On sait juste qu’elle a la peau noire, comme les adultes retrouvés sur place le même jour », indique un membre du tissu associatif. Selon nos informations, son corps est resté un temps à la morgue de l’hôpital de Sfax, avant d’être inhumé.

    « Quand il y a un naufrage, c’est la #garde_nationale qui doit porter secours. S’il y a des personnes décédées, elle les ramène sur terre, où l’unité technique et scientifique prend des photos et des traces d’ADN. [Les corps] sont ensuite emmenés à la morgue, jusqu’à ce qu’ils soient réclamés ou qu’il y ait un ordre d’#enterrement provenant de la municipalité, pour ceux qui n’ont pas été identifiés », détaille la militante des droits humains. Problème, l’unité médico-légale de l’hôpital de Sfax, qui a une capacité de quarante places, est débordée.

    Sollicitées, leurs équipes n’ont pas souhaité s’exprimer. Mais dans un document que nous avons pu nous procurer, l’unité médico-légale fait état d’une « nette augmentation » des naufrages en mer ces dernières années, les exilé·es représentant désormais 50 % de l’activité des effectifs.

    On y apprend également que les personnes de peau noire représentent la majorité des #victimes et que les enfants, de même que les nourrissons, représentent 5 % des naufragés au large de Sfax sur le premier semestre en 2022. La plupart d’entre eux n’avaient aucun document d’identité.

    L’unité souffre de conditions de travail « difficiles », dues à un manque criant de moyens. À plusieurs reprises, des cadavres ont dû, par manque de place, être entreposés sur un brancard dans les couloirs de l’établissement. « Les migrations dépassent tout le monde, admet Wajdi Mohamed Aydi, adjoint au maire de Sfax chargé des migrations, qui évoque un manque de gouvernance à l’échelle nationale. Il y a des tentatives de traversée et des #accidents chaque semaine, voire chaque jour. On s’occupe de l’#enterrement des personnes non identifiées, en essayant de respecter au mieux leur dignité. » Lorsqu’il n’y a pas de nom, un numéro est inscrit sur la #pierre_tombale.

    Les Subsahariens confrontés à la #précarité et au #racisme

    L’élu pointe aussi un phénomène récent, celui de l’apparition d’embarcations en métal utilisées par les migrants pour la traversée (selon plusieurs sources, certains les fabriqueraient eux-mêmes, sous la houlette des réseaux de passage tunisiens).

    Une information que confirme la militante des droits humains déjà citée : « Ces nouvelles #embarcations en métal sont une catastrophe. Ils cherchent à en fabriquer un maximum de l’heure et ne les soudent pas bien. Les gens ont peu de chances de s’en sortir s’il y a un naufrage car les bateaux coulent plus vite et ils restent coincés à l’intérieur. »

    À six kilomètres au sud de Sfax, dans le quartier défavorisé de #Ben_Saïda, où vit une communauté importante de Subsahariens, Junior s’engouffre dans la maison inachevée qu’il occupe, dont les murs en briques sont restés nus. C’est ici que le jeune Guinéen (Guinée-Conakry), âgé de 16 ans, vit avec au moins soixante-dix autres jeunes, originaires de ce même pays, du Cameroun, de Côte d’Ivoire, du Sénégal ou du Mali. Tous ont déjà tenté au moins une fois la traversée et attendent de pouvoir de nouveau tenter leur « chance ».

    Dans l’intérieur sombre de l’habitation, où des matelas et couvertures sont disposés à même le sol, des dizaines de gamins se bousculent, curieux de nous voir pénétrer leur univers. Une majorité de jeunes hommes, encore dans l’adolescence, dont le visage et les corps sont déjà usés par l’exil. « On a été interceptés par la garde nationale il y a deux semaines. Ils nous ont mis en difficulté exprès. Mon frère Mohamed est tombé à l’eau et s’est noyé », résume Junior, encore en état de choc. Il montre une vidéo de la garde nationale fonçant sur une embarcation refusant de s’arrêter en mer. Il montre aussi ses pieds blessés lors de l’interception et restés sans soins depuis.

    Les quelques femmes vivant là, seules ou avec leur enfant, disent être inquiètes pour un couple et son bébé, disparus depuis trois semaines. « On sait qu’ils voulaient traverser. On n’a plus de nouvelles, on pense qu’ils sont morts en mer. » Sur son smartphone, la bouille de l’enfant, dans les bras de sa mère souriante, apparaît.

    Malgré leur disparition en mer, elles veulent partir, elles aussi. « Mais j’ai très peur de l’eau, je ne sais pas nager », hésite l’une d’elles. Elle a quitté son pays pour fuir les violences conjugales. Elle expérimente désormais la violence des frontières.

    Junior n’a pas trouvé la force de contacter le Croissant-Rouge. « J’imagine que mon frère a été enterré. Je n’ai pas cherché à savoir car c’est trop lourd pour moi, ça me fait mal au cœur rien que d’y penser. » Les ados semblent avoir intégré le #risque de mourir en mer. Ils n’ont « pas d’autre choix », assurent-ils. « On ne peut pas rester dans notre pays et on ne peut pas rester ici. »

    Ils dénoncent le « racisme » auquel ils sont confrontés en Tunisie. « Des policiers ont volé mon portable l’autre jour. Au commissariat, ils n’ont pas voulu prendre ma plainte. Dans les épiceries, ils ne veulent pas nous vendre de riz parce qu’il y a une pénurie et qu’on n’est pas prioritaires. »

    Le membre du tissu associatif déjà cité explique : « Leurs #conditions_de_vie se sont durcies. Depuis quelque temps, un blocage a été mis en place à la Poste pour qu’ils ne puissent ni envoyer ni retirer de l’argent. » Il ajoute avoir observé, au cours des derniers mois, de nombreuses « #arrestations_arbitraires » de personnes en situation irrégulière.

    « C’est aussi ça qui pousse les gens à prendre la mer, affirme Yaha. S’ils restent ici sans papiers, c’est comme une prison à ciel ouvert. S’ils veulent rentrer chez eux, ils doivent payer une pénalité [d’un montant maximal de 3 000 dinars tunisiens, soit environ mille euros – ndlr]. Avec cet argent, certains préfèrent partir en Europe, où ils pourront offrir un avenir meilleur à leurs enfants. »

    https://www.mediapart.fr/journal/international/190223/en-tunisie-la-mort-d-une-fillette-retrouvee-echouee-sur-une-plage-suscite-

    #migrations #asile #réfugiés #décès #mourir_en_mer #fille #enfant #enfance #enfants #photographie #racisme #pêcheurs #Alan_Kurdi

    ping @karine4 @_kg_

    • En Tunisie, « il faut dépasser la question des #traversées pour penser l’immigration africaine »

      Dans un contexte où le Parti nationaliste tunisien s’en prend violemment à la communauté subsaharienne et où les naufrages ne cessent de s’intensifier en mer, le géographe #Camille_Cassarini revient sur les évolutions de la présence africaine dans ce pays du Maghreb, dont les politiques migratoires n’échappent pas aux mécanismes que l’on peut observer en Europe.

      DixDix-huit mille personnes ont réussi à rejoindre l’Italie depuis les côtes tunisiennes en 2022. Un chiffre en constante augmentation ces dernières années, démontrant que la crise socio-économique, mais aussi démocratique, dans laquelle s’enfonce la Tunisie ne cesse de pousser des personnes sur les chemins de l’exil.

      À l’heure où les naufrages s’amplifient et où la découverte du corps d’une fillette, échoué sur une plage des îles Kerkennah le 24 décembre dernier, vient brutalement nous rappeler la violence des politiques de fermeture des frontières, Camille Cassarini, chercheur à l’Université de Gênes et chercheur associé au LPED/IRD, alerte sur la nécessité de reconnaître l’immigration africaine en Tunisie.

      Après avoir passé plusieurs années à Sfax pour réaliser sa thèse, ville où la communauté subsaharienne est particulièrement importante, le géographe constate qu’un certain nombre de personnes viennent d’abord pour étudier et travailler.

      « Les personnes subsahariennes sont structurellement irrégularisées par l’État tunisien et leur départ prend avant tout naissance dans ce contexte de vulnérabilité juridique », souligne ce spécialiste des mobilités africaines en Tunisie, estimant que la délivrance d’un titre de séjour et l’ouverture de leurs droits pourraient permettre à certains de se projeter en Tunisie. Il faut, dit-il, cesser de penser ces mobilités sous l’angle du transit vers l’Europe.

      Mediapart : Depuis quand observe-t-on la présence d’exilés subsahariens en Tunisie ?

      Camille Cassarini : Depuis les années 1980, avec principalement des étudiants au départ, issus de classes moyennes supérieures, venus se former dans des instituts publics tunisiens. Il y a un premier changement dans les années 1990, qui correspond au grand pari de Ben Ali sur l’enseignement privé, visant à attirer lesdites « classes moyennes émergentes » d’Afrique.

      C’est ainsi qu’on a vu arriver des Camerounais, Congolais, Sénégalais ou Ivoiriens. Au même moment, il y avait déjà des mobilités de travailleurs qui arrivaient en Tunisie puis tombaient en situation irrégulière, mais on n’en parlait pas du tout.

      Un second changement a eu lieu en 2003, avec l’arrivée de la Banque africaine de développement et de son personnel, qui, à la suite des événements en Côte d’Ivoire, a été déplacée à Tunis. En 2011 enfin, l’arrivée au pouvoir d’Alassane Ouattara en Côte d’Ivoire a mis beaucoup d’Ivoiriens sur la route. On estime qu’il y avait alors quelques milliers d’Ivoiriens à Tunis, quelques centaines à Sfax. Ces chiffres ont connu une croissance très forte dans les années qui ont suivi. Je dirais qu’aujourd’hui, entre 30 000 et 50 000 personnes originaires d’Afrique subsaharienne vivent en Tunisie.

      Quel est leur profil ?

      On retrouve toujours une très large majorité de personnes ivoiriennes, ce qui est en soi une particularité, voire un paradoxe, car la Côte d’Ivoire n’était pas un pays d’émigration, contrairement à d’autres pays d’Afrique de l’Ouest. On observe surtout la présence de travailleurs, issus de deux principaux groupes socio-ethniques en Côte d’Ivoire (les Akan et Baoulé, ainsi que les Bété, proches de Laurent Gbagbo), qui, avant, ne migraient absolument pas hors de la Côte d’Ivoire et sont issus de couches sociales assez favorisées.

      Dans quelles conditions de vie évoluent-ils ?

      Jusqu’au Covid-19, tous ces groupes vivaient d’emplois relativement précaires ; pas seulement d’emplois journaliers, payés 25 dinars par jour, mais aussi de petites activités commerciales à la valise (le fait de ramener des produits du pays d’origine pour les revendre en Tunisie).

      Cette population arrivait par avion sans visa et vivait en situation irrégulière (puisque une fois passés les trois mois de séjour autorisés, ils n’ont plus de droit au séjour), dans des logements collectifs, parfois individuels et dans des conditions relativement précaires ; mais des conditions qui, au regard de leur précédente situation en Côte d’Ivoire, n’étaient pas forcément si mauvaises.

      Leur salaire leur permettait d’opérer des renvois de fonds et de soutenir leur famille. Notamment au regard du taux de change qui existait entre le dinar tunisien et l’euro, et donc le franc CFA. À partir de 2018, l’État tunisien a développé une autre politique monétaire, faisant doper les exportations et baisser la valeur du dinar. Les cordons de la bourse ont alors été de plus en plus serrés.

      Quel impact le Covid-19 a-t-il pu avoir sur les migrations de Subsahariens vers et via la Tunisie ?

      Étant donné que ces personnes vivaient majoritairement d’emplois journaliers, sur un marché du travail informel, elles ont été les premières à perdre leur emploi. Elles ont vécu une très forte précarité, notamment parce qu’elles n’avaient ni sécurité sociale, ni parachute, ni aucune structure familiale pouvant leur venir en aide. Et on a vu des choses apparaître pour la toute première fois durant cette période, comme la mendicité et le sans-abrisme. Sur le plan des arrivées, il y a eu une forte baisse des arrivées, mais cela a repris dès que le trafic aérien s’est rouvert.

      Selon les ONG, la présence des Subsahariens a fortement augmenté en 2022. Comment l’expliquez-vous ?

      Les arrivées ont augmenté, oui, mais difficile de dire dans quelle mesure. Ce qui est sûr, c’est qu’il n’y a plus seulement que des Ivoiriens. Il y a d’autres nationalités qui ont investi cette route migratoire comme les lieux d’installation ouverts par ces mobilités. Des personnes originaires du Cameroun et de Guinée-Conakry, qui pratiquent les routes migratoires entre Afrique de l’Ouest et Afrique du Nord depuis longtemps.

      Alors qu’on les trouvait beaucoup en Libye, en Algérie ou au Maroc, les mobilités ivoiriennes ont ouvert cette route à travers la Tunisie, notamment jusqu’à Sfax. Aussi, sans doute, parce que des routes s’ouvrent et se ferment en permanence, et que les populations cherchent de nouveaux itinéraires. Chaque groupe en migration a sa propre histoire migratoire.

      Ces populations, différentes les unes des autres, cherchent-elles toutes à tenter la traversée pour l’Europe ?

      Mes travaux montrent que les Ivoiriens sont venus en Tunisie pour travailler et s’installer. Ces mobilités s’apparentent donc de plus en plus à une immigration, avec des gens qui restent plusieurs années, fondent une famille et occupent des emplois et une position sociale en Tunisie. On est face à un début d’immigration qui est appelée à rester.

      Concernant les Guinéens et Camerounais (et je le dis avec beaucoup de prudence car je n’ai pas mené d’enquête sur le sujet), on sait que ce sont des groupes connus pour rechercher une traversée vers l’Europe. On sait aussi que ce sont des groupes surreprésentés dans les demandes d’asile en Europe. C’est une donnée sur laquelle on peut s’appuyer pour faire l’hypothèse qu’ils ne sont pas forcément en Tunisie pour y rester, contrairement aux Ivoiriens. Mais il faudrait y consacrer des travaux.

      L’arrivée de nouvelles nationalités a-t-elle changé la donne pour les réseaux de passage ?

      Oui. Ces nouvelles nationalités ramènent avec elles leur expérience de la route et de la traversée. Certaines personnes sont restées très longtemps en Libye et ont acquis de bonnes connaissances dans la fabrication de bateaux. En arrivant à Sfax, qui est une ville littorale avec toute une économie de la mer, elles se sont mises à fabriquer des bateaux ou à acheter des moteurs. C’est le cas des Guinéens et des Gambiens. Aujourd’hui, on voit de nouveaux types d’embarcation en métal.

      Cela étant dit, aucune économie du passage ne se fait sans l’aval, le soutien et la protection de réseaux de passage tunisiens vers l’Europe. Les personnes en situation de domination quotidienne, sans capital social ni économique, n’ont pas les moyens de mettre en place de tels réseaux. Les Tunisiens cherchent un public, certains Subsahariens leur donnent accès à ce public-là, et ensuite, c’est de la négociation et du business. S’il y a une économie du passage des Subsahariens vers l’Europe, c’est avant tout parce qu’il y a une économie du passage des Tunisiens vers l’Europe.

      Avec l’arrivée de ces nouvelles nationalités, l’économie du passage s’est diversifiée. On a une plus grande offre du passage, pour une demande qui n’est pas nécessairement plus importante qu’avant. La conséquence de cela, c’est que les prix ont baissé. Lorsqu’il fallait payer auparavant 5 000 dinars, 1 000 ou 1 500 dinars suffisent désormais pour partir.

      Avez-vous le sentiment que le nombre de naufrages a augmenté ?

      Les organisations de la société civile disent que cela augmente. Mais depuis le début de mon travail en Tunisie, donc en 2017, j’ai toujours entendu parler des naufrages et des morts qui en découlent. L’ennui, c’est qu’on a beaucoup de mal à décompter ces naufrages, on ne sait pas exactement qui meurt, puisqu’on compte beaucoup de disparus en mer.

      En Tunisie, on sent que cette question des disparitions prend de plus en plus d’importance, d’abord chez les familles de Tunisiens disparus qui se mobilisent, mais aussi chez les familles et proches de Subsahariens, parce qu’elles sont installées en Tunisie. C’est plus compliqué en revanche pour les autres, lorsqu’ils sont en transit et n’ont pas forcément de proches en Tunisie. C’est le travail des organisations telles que la Croix-Rouge internationale que de les aider à retrouver un proche disparu.

      Ceux qui survivent à ces naufrages restent confrontés à de forts traumas et ne sont pas du tout pris en charge ensuite. Cela fait partie de toute cette architecture frontalière, qui consiste à marquer les gens dans leur mémoire, leur corps, leur histoire.

      Qu’est-ce qui pousse les gens à tenter la traversée au risque de perdre la vie en mer ?

      Je crois qu’il faut déconstruire les logiques qui amènent les gens à partir, notamment parce que j’ai connu des personnes qui avaient construit une vie en Tunisie (comme les Camerounais) et qui sont parties malgré tout pour l’Europe. Les traversées sont aussi le produit de la fermeture des frontières qui s’opère en Afrique et, sans nier l’influence des États européens dans ce domaine, il ne faut pas non plus sous-estimer la capacité des États maghrébins et africains à développer leurs propres agendas stratégiques vis-à-vis de la migration.

      En Tunisie, les personnes subsahariennes sont structurellement irrégularisées par l’État tunisien et leur départ prend avant tout naissance dans ce contexte de vulnérabilité juridique : c’est parce qu’on empêche les circulations entre pays africains que ces personnes sont amenées à partir. Soit elles dépensent l’argent économisé dans le paiement de pénalités pour rentrer dans leur pays, soit elles paient une traversée vers l’Europe, le tout sous l’effet conjugué de la baisse du dinar, du renforcement de l’appareil policier tunisien et d’un climat de peur.

      Il faut donc poser la question fondamentale du droit au séjour pour les personnes subsahariennes en Tunisie. On ne parle pas de la nationalité, mais de l’obtention d’un titre de séjour qui leur ouvre des droits. Il faut dépasser la question des traversées pour penser l’immigration africaine en Tunisie.

      La Tunisie nie-t-elle l’existence de cette immigration ?

      Jusqu’ici, il n’y avait jamais eu de débat politique ou de véritable positionnement des acteurs politiques vis-à-vis de l’immigration africaine en Tunisie. Depuis quelque temps, le Parti politique nationaliste tunisien a lancé des campagnes xénophobes et racistes de lutte contre la présence africaine en Tunisie, reprenant les mêmes discours que les partis xénophobes en Europe, autour de la théorie du « grand remplacement ». Pour la première fois, un parti fonde sa rhétorique sur la présence africaine en Tunisie. Ce n’est pas anodin, parce que le pays avait toujours nié cette présence.

      Paradoxalement, cela montre que l’immigration africaine devient un sujet politique. On ne la regarde plus seulement comme une sorte d’extériorité, on la pense au regard de la société tunisienne, de manière très violente certes, mais cela fait naître de nouveaux débats. On voit d’ailleurs des acteurs de la société civile qui, en réaction à cette campagne, appellent à la régularisation. Finalement, on a une politisation latente et progressive de la question des mobilités africaines. On est bien face à une immigration.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/190223/en-tunisie-il-faut-depasser-la-question-des-traversees-pour-penser-l-immig

  • Weekend reading : Lancet Commission on Breastfeeding vs the Infant Formula Industry - Food Politics by Marion Nestle
    https://www.foodpolitics.com/2023/02/weekend-reading-reports-from-the-lancet-commission-on-breastfeeding-vs

    The Lancet has just published its commissioned series on breastfeeding, vs the commercial formula industry: three papers, an editorial, and a comment.

    Breastfeeding has proven health benefits for both mothers and babies in high-income and low-income settings alike. Yet, less than 50% of babies worldwide are breastfed according to WHO recommendations. For decades, the commercial milk formula industry has used underhand marketing strategies, designed to prey on parents’ fears and concerns, to turn the feeding of infants and young children into a multibillion-dollar business generating revenues of about $55 billion each year.

    For decades, the commercial milk formula (CMF) industry has used underhand marketing strategies, designed to prey on parents’ fears and concerns at a vulnerable time, to turn the feeding of young children into a multibillion-dollar business. The immense economic power accrued by CMF manufacturers is deployed politically to ensure the industry is under-regulated and services supporting breastfeeding are under-resourced.

    Source : Breastfeeding 2023
    https://www.thelancet.com/series/breastfeeding-2023

    #allaitement #agro-industrie #enfants #politiques

    • [en français]

      The Lancet vient de publier sa série de publications sur l’allaitement maternel, contre l’industrie des préparations commerciales : trois articles, un éditorial et un commentaire.

      L’allaitement maternel présente des avantages avérés pour la santé des mères et des bébés, tant dans les pays à revenu élevé que dans les pays à faible revenu. Pourtant, moins de 50 % des bébés dans le monde sont nourris au sein conformément aux recommandations de l’OMS.

      Pendant des décennies, l’industrie des préparations lactées commerciales a utilisé des stratégies de marketing sournoises, conçues pour exploiter les craintes et les préoccupations des parents, afin de transformer l’alimentation des nourrissons et des jeunes enfants en une activité commerciale générant des revenus d’environ 55 milliards de dollars chaque année.

      Pendant des décennies, l’industrie des préparations lactées commerciales (CMF) a utilisé des stratégies de marketing sournoises, conçues pour exploiter les craintes et les préoccupations des parents à un moment vulnérable, afin de transformer l’alimentation des jeunes enfants en un commerce de plusieurs milliards de dollars.

      L’immense pouvoir économique accumulé par les fabricants de lait maternisé est déployé sur le plan politique pour faire en sorte que le secteur soit sous-réglementé et que les services de soutien à l’allaitement maternel manquent de ressources.

  • #Inceste 1/5 - Le zizi de Papinou

    Mère de deux filles, Jessica a découvert que son propre beau-père abusait d’elles depuis plusieurs années. Elle l’a dénoncé à la police et raconte son parcours de combattante jusqu’au jugement. En matière d’inceste, l’article 213 du Code pénal visait à l’origine à protéger les liens du sang. Pour l’avocate lausannoise Coralie Devaud, il est trop restrictif et archaïque, comme celui qui définit le viol.

    https://www.rts.ch/audio-podcast/2023/audio/inceste-1-5-le-zizi-de-papinou-25899822.html
    #podcast #audio #pédocriminalité

  • Adrien D., De la difficulté d’élever des enfants en milieu industriel, 2022
    https://sniadecki.wordpress.com/2023/02/09/adriend-enfants

    Peut-être simplement dire la vérité : « Le secret c’est de tout dire ». Leur dire ce qu’il y a derrière ces jeux, ces objets, ces bolides, ces aliments. Tant pis pour le père Noël. Prendre le temps de ridiculiser ces icônes frelatées et rire de la bêtise d’un Thomas Pesquet ou d’un Elon Musk et de leur obsession pour une planète morte. Rire de ce voisin et de sa voiture électronucléaire équipée d’un écran géant alors que passent à la radio des publicités pour la sécurité routière contre l’usage des écrans au volant. Débloquer les imaginaires, leur montrer la nature sauvage ou ce qu’il peut en rester, et les laisser imaginer un univers dans un monde qui ne les sollicite pas continuellement. Les inviter à jouer à partir de peu comme ces enfants qui ont préféré jouer pendant des heures avec un carton le soir de Noël alors qu’ils avaient reçu un nombre indécent de cadeaux. Leur raconter des histoires subversives dans lesquelles les héros ne sont pas ceux ou celles qui ont la plus grosse technologie. Les laisser s’ennuyer, les laisser imaginer d’autres mondes loin des écrans, loin du monde médiatique. Pour que revienne chez eux le goût de l’imagination, certes, mais aussi, et surtout, que revienne celui de l’empathie afin qu’ils puissent se représenter ces enfants, ces personnes qui, parfois de l’autre côté de la planète, se crèvent ou s’intoxiquent pour leur confort. Les marquer d’une autre empreinte que celle du monde industriel, celui de la réalité matérielle de nos vies, que la sensation qu’ils aient en plus haute estime soit un jour celle de la dignité pour soi et pour les autres et qu’ils ne se réfugient pas dans une raison cynique qui permet de rendre supportable notre régression technophile.

    #enfants #éducation #critique_techno #anti-industriel #capitalisme #exploitation #vérité

  • En Norvège, des #grands_ensembles attentifs aux #enfants
    https://metropolitiques.eu/En-Norvege-des-grands-ensembles-attentifs-aux-enfants.html

    Comment les villes peuvent-elles se mettre « à hauteur d’enfant » ? Grégoire Tortosa montre comment des grands ensembles situés à Oslo et Tromsø, avant-gardistes à leur manière, ont été pensés pour favoriser le #jeu libre des enfants. Le Mouvement moderne dessine une nouvelle conception de la ville à partir des années 1920. En proposant un « ensemble cohérent de principes de raisonnement reconnus et utilisés comme référence », il s’érige en paradigme urbain (Héran 2015, p. 33), dont le fonctionnalisme, le #Terrains

    / #aménagement, enfants, #voiture, #espace_public, grands ensembles, jeu, #Norvège

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-tortosa.pdf

  • Les écrans : un désastre comportemental, intellectuel & cognitif.

    Une journée (le 6 février) sans téléphone portable, c’est bien (pour les malades que nous sommes).

    Entre 2 et 8 ans un enfant « moyen » consacre aux écrans récréatifs l’équivalent de 7 années scolaires complètes ou 460 jours de vie éveillée (1,25 année), ou encore l’exacte quantité du temps de travail personnel requis pour devenir un solide violoniste.

    Mais il faudrait aussi (365 jours sur 365) la suppression stricte, intégrale, immédiate et en tout lieux (y compris à l’école) des écrans pour tous les enfants de moins de 6 ans. Et la réduction à 30 mn à 1 h (tous usages cumulés) par jour pour tous les moins de 16 ans.

    Michel Desmurget le démontre dans son bouquin : sans quoi les jeunes générations d’aujourd’hui ne donneront que des crétins.

    Quelques extraits tirés au fil de ma lecture :

    « Selon les termes d’une étude récente, « seulement 3 % du temps consacré par les #enfants et #adolescents aux #médias_digitaux est utilisé à la création de contenus » (tenir un blog, écrire des programmes informatiques, créer des vidéos ou autres contenus « artistiques », etc.).

    .. Plus de 80 % des ados et préados déclarent ne « jamais » ou « quasiment jamais » utiliser leurs #outils_numériques pour faire œuvre créative. »

    « Croire que les #digital_natives sont des ténors du bit, c’est prendre ma charrette à pédale pr une roquette interstellaire ; croire que le simple fait de maîtriser une app informatique permet à l’utilisateur de comprendre quoi que ce soit aux éléments physiques & logiciels engagés »

    De « l’effarante débilité de cette triste fiction » des DigitalNatives… comme « un groupe mutant à la fois dynamique, impatient, zappeur, multitâche, créatif, friand d’expérimentations, doué pour le travail collaboratif, etc. Mais qui dit mutant dit différent…

    .. Dès lors, ce qui transparaît implicitement ici, c’est aussi l’image d’une génération précédente misérablement amorphe, lente, patiente, monotâche, dépourvue de #créativité, inapte à l’expérimentation, réfractaire au #travail_collectif, etc.

    .. Drôle de tableau qui, a minima, dessine deux axes de réflexion. Le premier interroge les efforts déployés pour redéfinir positivement toutes sortes d’attributs psychiques dont on sait depuis longtemps qu’ils sont fortement délétères pour la #performance_intellectuelle : #dispersion, #zapping, #multitasking, impulsivité, impatience, etc. Le second questionne l’ubuesque acharnement mis en œuvre pour caricaturer et ringardiser les #générations_prédigitales. »

    « Les changements anatomiques [chez les gamers] dont se gaussent certains médias pourraient très bien poser, non les jalons d’un avenir intellectuel radieux, mais les bases d’un #désastre_comportemental à venir. »

    « les digital natives ou autres membres de je ne sais quelle confrérie des X, Y, Z, lol, zappiens ou C, n’existent pas. L’enfant mutant du numérique, que son aptitude à taquiner le #smartphone aurait transformé en omnipraticien génial des nouvelles technologies les + complexes que #Google Search aurait rendu infiniment plus curieux, agile et compétent que n’importe lequel de ses enseignants prédigitaux ; qui grâce aux jeux vidéo aurait vu son cerveau prendre force et volume ; qui grâce aux filtres de Snapchat ou Instagram aurait élevé sa créativité jusqu’aux + hauts sommets ; etc. ; cet enfant n’est qu’une légende. Il n’est nulle part dans la littérature scientifique. […] Ce qui est extraordinaire, c’est qu’une telle absurdité perdure contre vents et marées, &, en plus, contribue à orienter nos politiques publiques notamment dans le domaine éducatif. Car au-delà de ses aspects folkloriques, ce mythe n’est évidemment pas dénué d’arrière-pensées. Sur le plan domestique, d’abord, il rassure les parents en leur faisant croire que leurs rejetons sont de véritables génies du numérique et de la pensée complexe, même si, dans les faits, ces derniers ne savent utiliser que quelques (coûteuses) applications triviales.

    .. Sur le plan scolaire, ensuite, il permet, pour le plus grand bonheur d’une industrie florissante, de soutenir la numérisation forcenée du système et ce, malgré des performances pour le moins inquiétantes. »

    « Plus globalement, si un observateur ose s’alarmer du temps passé par les enfants devant les écrans de ttes sortes, la triste légion des tartufes conspue sans délai le fâcheux, arguant qu’il s’agit là d’une position « sexiste », représentant fondamentalement « un nouvel outil de #culpabilisation des mères » […] « pr nos néosuffragettes du droit à l’abrutissement, suggérer que les enfants passent bien trop de temps avec leurs écrans signifie juste, en dernière analyse, que « ns n’aimons pas les innovations qui rendent + faciles la vie des mères ».

    « Quand les adultes ont constamment le nez scotché sur leur mobile, les #interactions_précoces essentielles au #développement_de_l’enfant sont altérées. »

    « Une étude vous déplaît, trouvez-la alarmiste, idiote, dogmatique, moralisatrice, exagérée, excessive, biaisée, absurde, culpabilisante ou sexiste. Affirmez vaguement qu’on pourrait trouver d’autres recherches contradictoires tout aussi convaincantes (évidemment sans les citer).

    .. Criez aux heures noires de la prohibition, évoquez la censure, dénoncez les stratégies de la peur, beuglez votre haine de l’oppression culturelle. En désespoir de cause, caricaturez l’auteur, raillez sa #bêtise, faites-le passer pour un #crétin, un demeuré, un réactionnaire un triste sermonnaire ou un sombre élitiste. Tronquez, trompez, truquez. Mais, surtout, ne regardez jamais les faits, ne considérez jamais le cœur du travail discuté. Ce n’est pas si difficile. Avec un peu d’habitude, vous apprendrez aisément à masquer l’absolue vacuité de vos propos sous l’ombrage d’un humanisme paisible et rassurant. Une fois acquises les bases du job, vous parviendrez en quelques mots, avec la dextérité du virtuose illusionniste, à transformer la plus solide recherche en affligeante pitrerie. »

    L’explication de cette limite apparemment arbitraire des 3 ans ? « Cet âge semble constituer le seuil optimal à partir duquel inscrire efficacement dans les neurones des gosses la trace de la grenouille Budweiser, de la virgule Nike, de l’estampille Coca-Cola, du clown McDonald ou du mâle viril forcément fumeur. Selon une enquête du gpe Lagardère Publicité, dès 4 ans, + de 75 % des demandes d’achat émises par les enfants sont consécutives à une exposition publicitaire, pour un taux d’acceptation parental supérieur à 85 %. »

    « En disant, pas de télé avant 3 ans, on affiche sa bonne foi, sa probité et son indépendance. [et] en proscrivant la télé avant 3 ans, ce que l’on exprime vraiment, in fine, c’est l’idée selon laquelle l’exposition devient possible au-delà de cet âge »…

    « Avant 3 ans, petit humain n’est guère intéressant. Ce n’est qu’autour de cet âge qu’il devient une cible publicitaire pertinente et, de ce fait, une potentielle source de revenus pour les opérateurs. Peu importe alors que la télé ampute son développement. »

    « L’#industrie_audiovisuelle ne fut pas longue à réaliser le profit qu’elle pourrait tirer de cette césure. Elle accepta sans états d’âme d’abandonner le secondaire pr préserver l’essentiel. À travers ses relais experts & médiatiques elle opéra alors selon 2 axes complémentaires 1) en soutenant diligemment la condamnation des usages précoces (ce qui ne lui coûtait rien). 2) en se lançant dans une subtile (et efficace) campagne d’attiédissement des restrictions tardives. Ainsi, on ne parla plus d’une à 2 h par jour max, mais d’usages « excessifs ». »

    « La dernière étude en date montre, sans la moindre ambiguïté, que l’usage d’une #tablette « interactive » non seulement ne développe pas, mais altère lourdement le développement de la motricité manuelle fine chez des enfants d’âge préscolaire. »

    « Les recherches montrent que la tablette est, la plupart du temps, pour le jeune enfant, un écran « passif » servant à consommer des contenus audiovisuels dont on nous dit précisément qu’ils sont déconseillés (dessins animés, films, clips, etc.). »

    « Au-delà des variations de protocoles, de populations, d’approches et de méthodologies, le résultat n’a jamais varié : les contenus violents favorisent à court et long terme l’émergence de comportements agressifs chez l’enfant et l’adulte. »

    « Le lien empirique [entre contenus violents et agression] n’est donc plus à démontrer aujourd’hui, quoi qu’en disent les gamers et quelques démago-geeks qui caressent l’industrie du jeu violent dans le sens du poil. »

    « Les médias présentent souvent “les deux côtés” du débat associant violence médiatique et agression en appariant un chercheur avec un expert ou un porte-parole de l’industrie ou même un contradicteur universitaire, ce qui crée une fausse équivalence et la perception erronée que les travaux de recherches et le consensus scientifique font défaut. » Pourtant : « ds le NYT, le secr. géné. de l’Association de #psychologie déclarait que « les preuves sont écrasantes. Les contester revient à contester l’existence de la gravité ».

    Ce qui n’empêche pas « les bons petits soldats du numérique [de continuer], sous couvert d’expertise, à emplir l’espace collectif de leur affligeante #propagande. »

    « Les études qui ont mesuré l’exposition durant la petite enfance (avec ou sans analyse de contenus) ont démontré de manière constante que regarder la télévision est associé à des conséquences développementales négatives. Cela est observé pour l’attention, les performances éducatives, les fonctions exécutives et les productions langagières ». Autrement dit, pour les jeunes enfants, l’impact de la télévision n’est nullement complexe. Il est immuablement néfaste. Point. »

    « Prenez le lien entre #consommation_audiovisuelle précoce et déficits cognitifs tardifs. Même avec la meilleure volonté du monde, il semble diantrement difficile de rejeter l’hypothèse de causalité sachant, par exemple, que : (1) la présence d’une télé dans une maison effondre la fréquence, la durée et la qualité des interactions intrafamiliales ; (2) ces interactions sont fondamentales pour le #développement_cognitif du jeune enfant ; (3) certains outils statistiques reposant sur des protocoles dits « longitudinaux » ont permis d’établir la nature causale du lien observé, chez le jeune enfant, entre l’accroissement du temps d’écrans et l’émergence de retards développementaux. »

    « Il est aujourd’hui solidement établi que les écrans ont, sur la durée et la qualité de nos nuits, un impact profondément délétère. Certaines influences se révèlent relativement directes ; par ex, quand le sommeil est altéré, la mémorisation, les facultés d’apprentissage et le fonctionnement intellectuel diurne sont perturbés, ce qui érode mécaniquement la #performance_scolaire. Certaines influences s’avèrent plus indirectes ; par ex, quand le sommeil est altéré, le système immunitaire est affaibli, l’enfant risque davantage d’être malade et donc absent, ce qui contribue à augmenter les difficultés scolaires. Certaines influences émergent avec retard ; par ex, quand le sommeil est altéré, la maturation cérébrale est affectée, ce qui, à long terme, restreint le potentiel individuel (en particulier cognitif) et donc mécaniquement, le rendement scolaire. […] La plupart des influences sont multiples et il est évident que l’impact négatif des #écrans récréatifs sur la #réussite_scolaire ne repose pas exclusivement sur la détérioration du #sommeil. Ce dernier levier opère ses méfaits en synergie avec d’autres agents dont – nous y reviendrons largement – la baisse du temps consacré aux devoirs ou l’effondrement des #capacités_langagières et attentionnelles. Dans le même temps, cependant, il est clair aussi que l’influence négative des écrans récréatifs sur le sommeil agit bien au-delà du seul champ scolaire. Dormir convenablement se révèle essentiel pour abaisser le risque d’accident, réguler l’humeur et les émotions, sauvegarder la #santé, protéger le cerveau d’un #vieillissement_prématuré, etc. »

    « Ce qui ne s’est pas mis en place durant les âges précoces du développement en termes de langage, de #coordination_motrice, de prérequis mathématiques, d’#habitus_sociaux, de #gestion_émotionnelle, etc., s’avère de + en + coûteux à acquérir au fur et à mesure que le temps passe. »

    Les moins de 2 ans : « Les enfants de moins de deux ans consacrent, en moyenne, chaque jour, une cinquantaine de minutes aux écrans. […] La valeur paraît sans doute raisonnable de prime abord… elle ne l’est pas. Elle représente presque 10 % de la durée de veille de l’#enfant ; et 15 % de son temps « libre », c’est-à-dire du temps disponible une fois que l’on a retiré les activités « contraintes » telles que manger (sept fois par jour en moyenne avant 2 ans), s’habiller, se laver ou changer de couche. […] Cumulées sur 24 mois, ces minutes représentent plus de 600 heures. Cela équivaut à peu près aux trois quarts d’une année de maternelle ; ou, en matière de #langage, à 200 000 énoncés perdus, soit à peu près 850 000 mots non entendus. […] Pour le seul sous-groupe des usagers quotidiens, la moyenne de consommation s’établit à presque 90 mn. Autrement dit, plus d’1/3 des enfants de moins d’1 an ingurgitent 1 h 30 d’écrans par jour — […] principalement dans les milieux socioculturels les moins favorisés. […]

    .. En fonction des groupes étudiés, entre 1 h 30 et 3 h 30 d’usage journalier. Principale raison avancée par les #parents pour expliquer cette incroyable orgie : faire tenir les gamins tranquilles dans les lieux publics (65 %), pendant les courses (70 %) et/ou lors des tâches ménagères (58 %). Chaque jour, près de 90 % des enfants défavorisés regardent la #télévision ; 65 % utilisent des outils mobiles ; 15 % sont exposés à des consoles de jeux vidéo. En 4 ans, la proportion de bambins de - de 12 mois utilisant des écrans mobiles est passée de 40 à 92 %. »

    « La consommation numérique [Du 2-8 ans] : entre 2 et 4 ans, 2 h 45 par jour. […] Sur la dernière décennie, elles ont augmenté de plus de 30 %. Elles représentent quasiment 1/4 du temps normal de veille de l’enfant. Sur une année, leur poids cumulé dépasse allègrement 1 000 h. Cela veut dire qu’entre 2 et 8 ans un enfant « moyen » consacre aux écrans récréatifs l’équivalent de 7 années scolaires complètes ou 460 jours de vie éveillée (1,25 année), ou encore l’exacte quantité du temps de travail personnel requis pour devenir un solide violoniste. »

    « Durant la préadolescence [entre 8 et 12 ans], les enfants voient leur besoin de sommeil diminuer sensiblement. Chaque jour, ils gagnent naturellement entre 1 h 30 et 1 h 45 d’éveil. Cette « conquête », dans sa quasi-totalité, ils l’offrent à leurs babioles numériques.

    .. Ainsi, entre 8 et 12 ans, le temps d’écrans journalier grimpe à presque 4 h 40, contre 3 heures précédemment. […] Cumulé sur 1 an, cela fait 1 700 h, l’équivalent de deux années scolaires ou, si vous préférez, d’un an d’emploi salarié à plein-temps. »

    « Les préados issus de milieux défavorisés consacrent chaque jour presque 2 h de + aux écrans que leurs homologues + privilégiés. Pr sa + gde partie, cet écart provient d’un usage accru d’une part des contenus audiovisuels (+ 1h15) et d’autre part des réseaux sociaux (+ 30 mn). »

    « « Il existe une corrélation négative entre le bien-être socio-émotionnel et le temps consacré aux écrans ». Autrement dit, les préados & ados qui passent le moins de temps dans le monde merveilleux du cyber-divertissement sont aussi ceux qui se portent le mieux ! »

    .. Conclusion : nos gamins peuvent très bien se passer d’écrans ; cette abstinence ne compromet ni leur équilibre émotionnel ni leur intégration sociale. Bien au contraire ! »

    Les ados [13-18 ans] : « La consommation quotidienne de numérique atteint alors 6 h 40. […] Il équivaut à un quart de journée et 40 % du temps normal de veille. Cumulé sur un an, cela représente plus de 2 400 heures, 100 jours, 2,5 années scolaires ou encore la totalité du temps consacré de la sixième à la terminale, pour un élève de filière scientifique, à l’enseignement du français, des mathématiques et des Sciences de la Vie et de la Terre (SVT).

    .. Autrement dit, sur une simple année, les écrans absorbent autant de tps qu’il y a d’heures cumulées d’enseignement du français, des maths et des SVT durant tt le secondaire. Mais cela n’empêche pas les sempiternelles ruminations sur l’emploi du tps trop chargé des écoliers. »

    « Si vs voulez exalter l’exposition de votre progéniture au numérique, assurez-vs que le petit possède en propre smartphone/tablette et équipez sa chambre en tv/console. Cette attention pourrira son sommeil, sa santé et ses résultats scolaires, mais au moins vous aurez la paix. »

    « Pr être pleinement efficace à long terme, le cadre restrictif ne doit pas être perçu comme une punition arbitraire, mais comme une exigence positive. Il est important que l’enfant adhère à la démarche et en intériorise les bénéfices. Quand il demande pourquoi il n’a « pas le droit » alors que ses copains font « ce qu’ils veulent », il faut lui expliquer que les parents de ses copains n’ont peut-être pas suffisamment étudié la question ; lui dire que les écrans ont sur son cerveau, son intelligence, sa concentration, ses résultats scolaires sa santé, etc., des influences lourdement négatives ; et il faut lui préciser pourquoi : moins de sommeil ; moins de temps passé à des activités plus nourrissantes, dont lire, jouer d’un instrument de musique, faire du sport ou parler avec les autres ; moins de temps passé à faire ses devoirs ; etc. Mais tout cela, évidemment, n’est crédible que si l’on n’est pas soi-même constamment le nez sur un écran récréatif.

    .. Au pire, il faut alors essayer d’expliquer à l’enfant que ce qui est mauvais pour lui ne l’est pas forcément pour un adulte, parce que le cerveau de ce dernier est « achevé » alors que celui de l’enfant est encore « en train de se construire ». »

    « ÉTABLIR DES RÈGLES, ÇA MARCHE ! […] Et que se passe-t-il si l’on retire la télé ? Eh bien, même s’il déteste ça, l’enfant va se mettre à lire. Trop beau pour être vrai ? Même pas ! Plusieurs études récentes ont en effet montré que notre brave cerveau supportait très mal le désœuvrement. Il a ainsi été observé, par exemple, que 20 minutes passées à ne rien faire entraînaient un niveau de fatigue mental plus important que 20 minutes passées à réaliser une tâche complexe de manipulation des nombres. Dès lors, plutôt que de s’ennuyer, la majorité des gens préfère sauter sur la première occupation venue même si celle-ci s’avère a priori rébarbative ou, pire, consiste à s’infliger une série de chocs électriques douloureux. Cette puissance prescriptive du vide, la journaliste américaine Susan Maushart l’a observée de première main, le jour où elle a décidé de déconnecter ses trois zombies adolescents169. Privés de leurs gadgets électroniques, nos heureux élus commencèrent par se cabrer avant progressivement, de s’adapter et de se (re)mettre à lire, à jouer du saxo, à sortir le chien sur la plage, à faire la cuisine, à manger en famille, à parler avec maman, à dormir davantage, etc. ; bref, avant de se (re)mettre à vivre. »
    « Si les neurones se voient proposer une « nourriture » inadéquate en qualité et/ou quantité, ils ne peuvent « apprendre » de manière optimale ; et plus la carence s’étire dans le temps, plus elle devient difficile à combler. »

    « Les expériences précoces sont d’une importance primordiale. Cela ne veut pas dire que tt se joue avant 6 ans, comme le claironne abusivement le titre français d’un best-seller américain des années 1970. Mais cela signifie certainement que ce qui se joue entre 0 et 6 ans influence profondément la vie future de l’enfant. Au fond, dire cela, c’est affirmer un truisme. C’est stipuler que l’apprentissage ne sort pas du néant. Il procède de manière graduelle par transformation, combinaison et enrichissement des compétences déjà acquises. Dès lors, fragiliser l’établissement des armatures précoces, notamment durant les « périodes sensibles », c’est compromettre l’ensemble des déploiements tardifs. »

    PAS D’ÉCRAN AVANT (AU MOINS) 6 ANS ! « En 6 ans, au-delà d’un monceau de conventions sociales et abstraction faite des activités « facultatives » comme la danse, le tennis ou le violon, le petit humain apprend à s’asseoir à se tenir debout, à marcher, à courir, à maîtriser ses excrétions, à manger seul, à contrôler et coordonner ses mains (pour dessiner, faire ses lacets ou manipuler les objets), à parler, à penser, à maîtriser les bases de la numération et du code écrit, à discipliner ses déchaînements d’émotions & pulsions, etc. Ds ce contexte, chaque minute compte. […] Cela signifie “juste” qu’il faut le placer ds un environnement incitatif, où la “nourriture” nécessaire est généreusement accessible. Or, les écrans ne font pas partie de cet environnement. […] Plusieurs études, sur lesquelles nous reviendrons également, ont ainsi montré qu’il suffisait, chez le jeune enfant, d’une exposition quotidienne moyenne de 10 à 30 minutes pour provoquer des atteintes significatives dans les domaines sanitaire et intellectuel. […] Ce dont a besoin notre descendance pr bien grandir, ce n’est donc ni d’Apple, ni de Teletubbies ; c d’humain. Elle a besoin de mots, de sourires, de câlins. Elle a besoin d’expérimenter, de mobiliser son corps, de courir, de sauter, de toucher, de manipuler des formes riches. Elle a besoin de dormir, de rêver, de s’ennuyer, de jouer à « faire semblant ». Elle a besoin de regarder le monde qui l’entoure, d’interagir avec d’autres enfants. Elle a besoin d’apprendre à lire, à écrire, à compter, à penser. Au coeur de ce bouillonnement, les écrans sont un courant glaciaire. Non seulement ils volent au développement un temps précieux & posent les fondations des hyperusages ultérieurs, mais en + ils déstructurent nombre d’apprentissages fondamentaux liés, par ex., à l’attention. »

    « En compilant les résultats obtenus, on observe que nombre de problèmes émergent dès la première heure quotidienne. En d’autres termes, pour tous les âges postérieurs à la prime enfance, les écrans récréatifs (de toutes natures : télé, jeux vidéo, tablettes, etc.) ont des impacts nuisibles mesurables dès 60 minutes d’usage journalier. Sont concernés, par exemple, les relations intrafamiliales, la réussite scolaire, la concentration, l’obésité, le sommeil, le développement du système cardio-vasculaire ou l’espérance de vie. […] Au-delà de la prime enfance, toute consommation d’écrans récréatifs supérieure à une heure quotidienne entraîne des préjudices quantitativement détectables et peut donc être considérée comme excessive. »

    De l’importance primordiale, autrement dit, de « maintenir en deçà de 30 (borne prudente) à 60 (borne tolérante) minutes l’exposition quotidienne aux écrans récréatifs des individus de 6 ans et plus.

    .. Précisons […] : un enfant qui ne consommerait aucun écran récréatif les jours d’école et regarderait un dessin animé ou jouerait aux jeux vidéo pendant 90 minutes les mercredis et samedis resterait largement dans les clous… »

    « Les écrans sapent l’intelligence, perturbent le développement du cerveau, abîment la santé, favorisent l’obésité, désagrègent le sommeil, etc. […] À partir de la littérature scientifique disponible, on peut formuler deux recommandations formelles :

    .. (1) pas d’écrans récréatifs avant 6 ans (voire 7 ans si l’on inclut l’année charnière de cours préparatoire) ; (2) au-delà de 6 ans, pas plus de 60 minutes quotidiennes, tous usages cumulés (voire 30 minutes si l’on privilégie une lecture prudente des données disponibles). »

    « Des heures passées principalement à consommer des flux audiovisuels (films, #séries, clips, etc.), à jouer aux jeux vidéo et, pour les plus grands, à palabrer sur les réseaux sociaux à coups de lol, like, tweet, yolo, post et selfies. Des heures arides, dépourvues de fertilité développementale. Des heures anéanties qui ne se rattraperont plus une fois refermées les grandes périodes de plasticité cérébrale propres à l’enfance et à l’adolescence. »

    « La #littérature_scientifique démontre de façon claire et convergente un effet délétère significatif des écrans domestiques sur la réussite scolaire : indépendamment du sexe, de l’âge, du milieu d’origine et/ou des protocoles d’analyses, la durée de consommation se révèle associée de manière négative à la #performance_académique. »

    « Le smartphone (littéralement « téléphone intelligent ») nous suit partout, sans faiblesse ni répit. Il est le graal des suceurs de cerveaux, l’ultime cheval de Troie de notre décérébration. Plus ses applications deviennent « intelligentes », plus elles se substituent à notre réflexion et plus elles nous permettent de devenir idiots. Déjà elles choisissent nos restaurants, trient les informations qui nous sont accessibles, sélectionnent les publicités qui nous sont envoyées, déterminent les routes qu’il nous faut emprunter, proposent des réponses automatiques à certaines de nos interrogations verbales et aux courriels qui nous sont envoyés, domestiquent nos enfants dès le plus jeune âge, etc. Encore un effort et elles finiront par vraiment penser à notre place. »

    « L’impact négatif de l’usage du smartphone s’exprime avec clarté sur la réussite scolaire : plus la consommation augmente, plus les résultats chutent. »

    Y compris en « filières d’excellence. Les études de médecine en offrent une bonne illustration. En France, le concours d’entrée admet, en moyenne, 18 candidats sur 100. À ce niveau d’exigence le smartphone devient rapidement un #handicap insurmontable. Prenez, par exemple, un étudiant non équipé qui se classerait 240e sur 2 000 et réussirait son concours. 2 h quotidiennes de smartphone le conduiraient à une 400e place éliminatoire. »

    Même chose s’agissant des réseaux sociaux : « Là encore, les résultats sont aussi cohérents qu’opiniâtrement négatifs. Plus les élèves (#adolescents et #étudiants principalement) consacrent de temps à ces outils, plus les performances scolaires s’étiolent. »

    Et les usages numériques à l’école : « En pratique, évidemment, personne ne conteste le fait que certains outils numériques peuvent faciliter le travail de l’élève. Ceux qui ont connu les temps anciens de la recherche scientifique, savent mieux que quiconque l’apport “technique” de la récente révolution digitale. Mais, justement, par définition, les outils et logiciels qui nous rendent la vie plus facile retirent de facto au cerveau une partie de ses substrats nourriciers. Plus nous abandonnons à la machine une part importante de nos activités cognitives et moins nos neurones trouvent matière à se structurer, s’organiser et se câbler. Dans ce contexte, il devient essentiel de séparer l’expert et l’apprenant au sens où ce qui est utile au premier peut s’avérer nocif pour le second. »

    « « Malgré des investissements considérables en ordinateurs, connexions internet et logiciels éducatifs, il y a peu de preuves solides montrant qu’un usage accru des ordinateurs par les élèves conduit à de meilleurs scores en #mathématiques et #lecture. » En parcourant le texte, on apprend que, après prise en compte des disparités économiques entre États & du niveau de performance initiale des élèves, “les pays qui ont moins investi dans l’introduction des ordinateurs à l’école ont progressé + vite, en moyenne, que les pays ayant investi davantage”. »

    Des chercheurs « se sont demandés si l’usage de logiciels éducatifs à l’école primaire (lecture, mathématiques) avait un effet sur la performance des élèves. Résultat : bien que tous les enseignants aient été formés à l’utilisation de ces logiciels, de manière satisfaisante selon leurs propres dires, aucune influence positive sur les élèves ne put être détectée. »

    « #Bill_Joy, cofondateur de #Sun_Microsystem et programmeur de génie, concluant comme suit une discussion sur les vertus pédagogiques du numérique : « Tout cela […] ressemble à une gigantesque perte de temps…

    .. Si j’étais en compétition avec les États-Unis, j’adorerais que les étudiants avec lesquels je suis en compétition passent leur temps avec ce genre de merde. »

    « L’introduction du #numérique dans les classes est avant tout une source de distraction pour les élèves. »

    « Dans une recherche réalisée à l’université du Vermont (États-Unis), pour un cours de 1 h 15, le temps volé par les activités distractives atteignait 42 %. »

    « Les résultats se révélèrent sans appel : tout dérivatif numérique (SMS, #réseaux_sociaux, #courriels, etc.) se traduit par une baisse significative du niveau de compréhension et de mémorisation des éléments présentés. »

    « De manière intéressante, une étude comparable avait précédemment montré que l’usage de l’ordinateur se révélait délétère même lorsqu’il servait à accéder à des contenus académiques liés à la leçon en cours. »

    « Bien sûr, ce qui est vrai pour l’#ordinateur l’est aussi pour le smartphone. Ainsi, dans un autre travail représentatif de la littérature existante, les auteurs ont établi que les étudiants qui échangeaient des SMS pendant un cours comprenaient et retenaient moins bien le contenu de ce dernier. Soumis à un test final, ils affichaient 60 % de bonnes réponses, contre 80 % pour les sujets d’un groupe contrôle non distrait. Une étude antérieure avait d’ailleurs indiqué qu’il n’était même pas nécessaire de répondre aux messages reçus pour être perturbé. Il suffit, pour altérer la prise d’information, qu’un #téléphone sonne dans la salle (ou vibre dans notre poche). »

    "Pourquoi une telle frénésie ? Pourquoi une telle ardeur à vouloir digitaliser le système scolaire, depuis la maternelle jusqu’à l’université, alors que les résultats s’affirment aussi peu convaincants ? [… Parce que] « si l’on diminue les dépenses de fonctionnement, il faut veiller à ne pas diminuer la quantité de service, quitte à ce que la qualité baisse. On peut réduire, par exemple, les crédits de fonctionnement aux écoles ou aux universités, mais il serait dangereux de restreindre le nombre d’élèves ou d’étudiants. Les familles réagiront violemment à un refus d’inscription de leurs enfants, mais non à une baisse graduelle de la qualité de l’enseignement ». C’est exactement ce qui se passe avec l’actuelle numérisation du système scolaire. En effet, alors que les premieres études n’avaient globalement montré aucune influence probante de cette dernière sur la réussite des élèves, les données les plus récentes, issues notamment du #programme_PISA, révèlent un fort impact négatif. Curieusement, rien n’est fait pour stopper ou ralentir le processus, bien au contraire. Il n’existe qu’une explication rationnelle à cette absurdité. Elle est d’ordre économique : en substituant, de manière plus ou moins partielle, le numérique à l’humain il est possible, à terme, d’envisager une belle réduction des coûts d’enseignement. […] "« Le monde ne possède qu’une fraction des enseignants dont il a besoin ». Car le cœur du problème est bien là. Avec la massification de l’enseignement, trouver des professeurs qualifiés se révèle de plus en plus compliqué, surtout si l’on considère les questions de rémunération. Pour résoudre l’équation, difficile d’envisager meilleure solution que la fameuse « révolution numérique ». […] Le « professeur » devient alors une sorte de passe-plat anthropomorphe dont l’activité se résume, pour l’essentiel, à indiquer aux élèves leur programme numérique quotidien tout en s’assurant que nos braves digital natives restent à peu près tranquilles sur leurs sièges. Il est évidemment facile de continuer à nommer « enseignants » de simples « gardes-chiourmes 2.0 », sous-qualifiés et sous-payés ; et ce faisant, d’abaisser les coûts de fonctionnement sans risquer une révolution parentale. […] [en Floride], les autorités administratives se sont révélées incapables de recruter suffisamment d’enseignants pour répondre à une contrainte législative limitant le nombre d’élèves par classe (vingt-cinq au #lycée). Elles ont donc décidé de créer des classes digitales, sans professeurs. Ds ce cadre, les élèves apprennent seuls, face à un ordinateur, avec pour unique support humain un « facilitateur » dont le rôle se limite à régler les petits problèmes techniques et à s’assurer que les élèves travaillent effectivement. Une approche « criminelle » selon un enseignant, mais une approche « nécessaire » aux dires des autorités scolaires. […] 95 % du budget de l’Éducation nationale passe en salaires ! »

    Conclusion :

    1) « Plus les élèves regardent la télévision, plus ils jouent aux jeux vidéo, plus ils utilisent leur smartphone, plus ils sont actifs sur les réseaux sociaux & plus leurs notes s’effondrent. Même l’ordinateur domestique, dont on nous vante sans fin la puissance éducative, n’exerce aucune action positive sur la performance scolaire.

    2) Plus les États investissent dans les « technologies de l’information et de la communication pour l’enseignement » (les fameuses TICE), plus la performance des élèves chute. En parallèle, plus les élèves passent de temps avec ces technologies et plus leurs notes baissent.

    3) le numérique est avant tout un moyen de résorber l’ampleur des dépenses éducatives. […]

    4) Pour faire passer la pilule et éviter les fureurs parentales, il faut habiller l’affaire d’un élégant verbiage pédagogiste. Il faut transformer le cautère digital en une « révolution éducative », un « tsunami didactique » réalisé, évidemment, aux seuls profits des élèves. Il faut camoufler la paupérisation intellectuelle du corps enseignant et encenser la mutation des vieux dinosaures prédigitaux en pétillants (au choix !) guides, médiateurs, facilitateurs, metteurs en scène ou passeurs de savoir. Il faut masquer l’impact catastrophique de cette « révolution » sur la perpétuation et le creusement des inégalités sociales. Enfin, il faut éluder la réalité des usages essentiellement distractifs que les élèves font de ces outils. »

    « Si l’usage des écrans affecte aussi lourdement la réussite scolaire, c évidemment parce que leur action s’étend bien au-delà de la simple sphère académique. Les notes sont alors le symptôme d’une meurtrissure + large, aveuglément infligée aux piliers cardinaux de notre dévéloppement. Ce qui est ici frappé, c’est l’essence même de l’édifice humain en développement : langage + #concentration + #mémoire + QI + #sociabilité + #contrôle_des_émotions. Une agression silencieuse menée sans états d’âme ni tempérance, pr le profit de qqs-uns au détriment de presque tous. »

    « Le #cerveau_humain s’avère, quel que soit son âge, bien moins sensible à une représentation vidéo qu’à une présence humaine effective. C’est pr cette raison, notamment, que la puissance pédagogique d’un être de chair et d’os surpasse aussi irrévocablement celle de la machine. »

    « Pr favoriser le développement d’un enfant, mieux vaut accorder du tps aux interactions humaines : [...] l’une des méthodes les + efficaces pr améliorer le dév. de l’enfant passe par les interactions de haute qualité entre l’adulte et l’enfant, sans la distraction des écrans. »

    « Le temps total d’interaction volé par 60 mn quotidiennes de télé sur les 12 premières années de vie d’un enfant s’élève à 2 500 heures. Cela représente 156 journées de veille, presque 3 années scolaires et 18 mois d’emploi salarié à temps complet...

    .. Pas vraiment une paille, surtout si l’on rapporte ces données à des consommations non plus de une, mais de 2 ou 3 heures quotidiennes. Et, à ce désastre, il faut encore ajouter l’altération relationnelle engendrée par les expositions d’arrière-plan. »

    « La consommation d’écrans interfère fortement avec le développement du langage. Par ex., chez des enfants de 18 mois, il a été montré que chaque 1/2 h quotidienne supplémentaire passée avec un appareil mobile multipliait par 2,5 la probabilité d’observer des retards de langage. De la même manière, chez des enfants de 24 à 30 mois, il a été rapporté que le risque de #déficit_langagier augmentait proportionnellement à la durée d’exposition télévisuelle. Ainsi, par rapport aux petits consommateurs (moins de 1 heure par jour), les usagers modérés (1 à 2 heures par jour), moyens (2 à 3 heures par jour) et importants (plus de 3 heures par jour) multipliaient leur probabilité de retard dans l’acquisition du langage respectivement par 1,45, 2,75 et 3,05. [...] Le risque de déficit était quadruplé, chez des enfants de 15 à 48 mois, qd la consommation dépassait 2 h quotidiennes. Ce quadruplement se transformait même en sextuplement lorsque ces enfants avaient été initiés aux joies du petit écran avant 12 mois (sans considération de durée). »

    Plus augmente la consommation d’écrans et plus l’#intelligence_langagière diminue. « Notons que le lien alors identifié était comparable, par son ampleur, à l’association observée entre niveau d’intoxication au plomb (un puissant perturbateur endocrinien) et QI verbal [...] si vous détestez [le] marmot de vos horribles voisins & que vous rêvez de lui pourrir la vie [...], inutile de mettre du plomb ds sa gourde. Offrez-lui plutôt une télé/tablette/console de jeux. L’impact cognitif sera tout aussi dévastateur pr un risque judiciaire nul. »

    « Le jour où l’on substituera le numérique à l’humain, ce n’est plus 30 mois (comme actuellement) mais 10 ans qu’il faudra à nos enfants pour atteindre un volume lexical de 750 à 1 000 mots. »

    « Au-delà d’un socle fondamental, oralement construit au cours des premiers âges de la vie, c’est dans les livres et seulement dans les livres que l’enfant va pouvoir enrichir et développer pleinement son langage. »

    .. [...] « Chaque heure quotidienne de jeux vidéo entraînait un affaissement de 30 % du temps passé à lire seul. Des éléments qui expliquent, au moins pour partie, l’impact négatif des écrans récréatifs sur l’acquisition du code écrit ; impact qui compromet lui-même, en retour le déploiement du langage. Tout est alors en place pr que se développe une boucle pernicieuse auto-entretenue : comme il est moins confronté à l’écrit, l’enfant a + de mal à apprendre à lire ; comme il a + de mal à lire, il a tendance à éviter l’écrit et donc à lire moins ; comme il lit moins, ses compétences langagières ne se développent pas au niveau escompté et il a de plus en plus de mal à affronter les attendus de son âge. Remarquable illustration du célèbre "#effet_Matthieu". »

    Attention – « Chaque heure quotidienne passée devant le petit écran lorsque l’enfant était à l’école primaire augmente de presque 50 % la probabilité d’apparition de troubles majeurs de l’attention au collège. Un résultat identique fut rapporté dans un travail subséquent montrant que le fait de passer quotidiennement entre 1 et 3 heures devant la télévision à 14 ans multipliait par 1,4 le risque d’observer des difficultés attentionnelles à 16 ans. Au-delà de 3 heures, on atteignait un quasi-triplement. Des chiffres inquiétants au regard d’un résultat complémentaire montrant que l’existence de troubles de l’attention à 16 ans quadruplait presque le risque d’échec scolaire à 22 ans. »

    Un travail « du service marketing de #Microsoft, curieusement rendu public, [explique] que les capacités d’attention de notre belle humanité n’ont cessé de se dégrader depuis 15 ans [pour atteindre] aujourd’hui un plus bas historique : inférieures à celles du… poisson rouge. Cette altération serait directement liée au développement des technologies numériques. Ainsi, selon les termes du document, "les modes de vie digitaux affectent la capacité à rester concentré sur des périodes de temps prolongées". »

    « Sean Parker, ancien président de Facebook, admettait d’ailleurs que les réseaux sociaux avaient été pensés, en toute lucidité, pour "exploiter une vulnérabilité de la psychologie humaine". Pour notre homme, "le truc qui motive les gens qui ont créé ces réseaux c’est : “Comment consommer le maximum de votre temps et de vos capacités d’attention” ?" Ds ce contexte, pour vous garder captif, "il faut vous libérer un peu de dopamine, de façon suffisamment régulière. D’où le like ou le commentaire que vous recevez sur une photo, une publication. Cela va vous pousser à contribuer de plus en plus et donc à recevoir de plus en plus de commentaires et de likes, etc. C’est une forme de boucle sans fin de jugement par le nombre". Un discours que l’on retrouve quasiment mot pour mot chez Chamath Palihapitiya, ancien vice-président de Facebook (questions de croissance & d’audience). La conclusion de ce cadre repenti (qui déclare se sentir "immensément coupable") est sans appel : "Je peux contrôler ce que font mes enfants, et ils ne sont pas autorisés à utiliser cette merde !" »

    Conclusion – « Les écrans sapent les trois piliers les plus essentiels du développement de l’enfant.
    – 1) les interactions humaines. [...] Pour le développement, l’écran est une fournaise quand l’humain est une forge.

    – 2) le langage. [...] en altérant le volume et la qualité des échanges verbaux précoces. Ensuite, en entravant l’entrée dans le monde de l’écrit.

    – 3) la concentration. [...] Ds qqs dizaines ou centaines de milliers d’années, les choses auront peut-être changé, si notre brillante espèce n’a pas, d’ici là, disparu de la planète. En attendant, c’est à un véritable #saccage_intellectuel que nous sommes en train d’assister. »
    « La liste des champs touchés paraît sans fin : #obésité, #comportement_alimentaire (#anorexie/#boulimie), #tabagisme, #alcoolisme, #toxicomanie, #violence, #sexualité non protégée, dépression, sédentarité, etc. [...] : les écrans sont parmi les pires faiseurs de maladies de notre temps »

    Manque de sommeil : « c’est l’intégrité de l’individu tout entier qui se trouve ébranlée dans ses dimensions cognitives, émotionnelles et sanitaires les plus cardinales. Au fond, le message porté par l’énorme champ de recherches disponible sur le sujet peut se résumer de manière assez simple : un humain (enfant, adolescent ou adulte) qui ne dort pas bien et/ou pas assez ne peut fonctionner correctement. »
    « Le sommeil est la clé de voûte de notre intégrité émotionnelle, sanitaire et cognitive. C’est particulièrement vrai chez l’enfant et l’adolescent, lorsque le corps et le cerveau se développent activement. »

    Il est possible d’améliorer (ou de dégrader) « très significativement [le fonctionnement de l’individu] en allongeant (ou en raccourcissant) de 30 à 60 mn les nuits de notre progéniture. »

    « L’organisme peut se passer d’#Instagram, #Facebook, #Netflix ou GTA ; il ne peut pas se priver d’un sommeil optimal, ou tt du moins pas sans csquences majeures. Perturber une fonction aussi vitale pr satisfaire des distractions à ce point subalternes relève de la folie furieuse. »

    « Aux États-Unis, l’#espérance_de_vie augmenterait de presque un an et demi si la consommation télévisuelle moyenne passait sous la barre des 2 h quotidiennes. Un résultat comparable fut rapporté par une équipe australienne, mais à rebours. Les auteurs montrèrent en effet que la sédentarité télévisuelle amputait de quasiment deux ans l’espérance de vie des habitants de ce pays. Formulé différemment, cela veut dire "[qu’]en moyenne, chaque heure passée à regarder la télévision après 25 ans réduit l’espérance de vie du spectateur de 21,8 mn". En d’autres termes, publicité comprise, chaque épisode de Mad Men, Dr House ou Game of Thrones enlève presque 22 minutes à votre existence. »

    Conclusion | « La consommation d’#écran_récréatif a un impact très négatif sur la santé de nos enfants et adolescents. Trois leviers se révèlent alors particulièrement délétères.
    – 1) les écrans affectent lourdement le sommeil – pilier essentiel, pour ne pas dire vital, du développement.

    – 2) Les écrans augmentent fortement le degré de sédentarité tt en diminuant significativement le niveau d’#activité_physique. Or, pr évoluer de manière optimale et pour rester en bonne santé, l’organisme a besoin d’être abondamment & activement sollicité. Rester assis nous tue !

    – 3) Les contenus dits « à risque » (sexuels, tabagiques, alcooliques, alimentaires, violents, etc.) saturent l’espace numérique. Aucun support n’est épargné. Or, pour l’enfant et l’adolescent, ces contenus sont d’importants prescripteurs de normes (souvent inconsciemment). »

    « Ce que nous faisons subir à nos enfants est inexcusable. Jamais sans doute, dans l’histoire de l’humanité, une telle expérience de décérébration n’avait été conduite à aussi grande échelle. 
    7 règles essentielles :

    1) AVANT 6 ANS, pas d’écrans (du tout)
    2) APRÈS 6 ANS, pas + de 30 mn à 1 h par jour (tout compris)
    3) pas dans la chambre
    4) pas de contenus inadaptés
    5) pas le matin avant l’école
    6) pas le soir avant de dormir
    7) une chose à la fois.

    #éducation_nationale

  • Projet de loi immigration : 21 associations appellent le gouvernement et les parlementaires à interdire définitivement l’enfermement administratif des enfants

    Le projet de loi immigration, présenté ce jour en conseil des ministres, prévoit l’interdiction du placement des enfants de moins de 16 ans en centre de rétention à l’horizon 2025. Nos 21 organisations saluent ce premier pas indispensable mais appellent les parlementaires à se mobiliser pour mettre un terme définitif et sans délai à l’enfermement administratif de tous les enfants.

    En l’état, le projet du gouvernement permettrait d’éviter le placement en rétention de plusieurs dizaines d’enfants chaque année. Néanmoins, des milliers d’autres enfants continueraient à être enfermés en toute légalité, parce qu’ils auraient plus de 16 ans, qu’ils résideraient à Mayotte, ou qu’ils seraient privés de liberté aux frontières ou dans les locaux de rétention administrative (LRA).

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/04/projet-de-loi-immigration-21-associations-appe

    #migration #enfant #droit