• Ci risiamo: il ministro Lollobrigida ha detto che non esiste una “razza italiana” ma “un’etnia italiana” da tutelare, soprattutto attraverso le nascite.

    Dopo la “grande sostituzione”, eccoci qui con un’altra teoria di estrema destra – quella del “differenzialismo”.

    l tentativo è chiarissimo: evitare le accuse di razzismo evitando l’impronunciabile “razza” e usando il più neutro “etnia”.

    Lo usa anche la Treccani!

    In realtà, come ha scritto Pierre-André Taguieff in diversi libri, “etnia” è un modo ripulito di dire “razza”.

    Questa innovazione linguistica la si deve ad Alain De Benoist, l’ideologo della “Nouvelle Droite”.

    Invece che fondarsi sull’inservibile razzismo “biologico-scientifico”, De Benoist si è concentrato sulle “differenze etnico-culturali”; da qui la definizione di “differenzialismo”.

    La faccio breve: siccome ogni “etnia” è “culturalmente” diversa, la convivenza è impossibile.

    Per vivere in pace, dunque, è meglio stare separati e non “contaminarsi”.

    È una forma di “razzismo politicamente corretto”, diciamo così, che ricorda sinistramente l’apartheid.

    Il pensiero di De Benoist non è affatto marginale, almeno all’interno di questo governo.

    Matteo Salvini anni fa ci faceva i convegni insieme.

    Ora invece è stato elogiato pubblicamente dal ministro della cultura Sangiuliano, e sarà ospite al Salone del Libro di Torino.

    Lollobrigida dice anche che occuparsi di natalità è un modo di “difendere la cultura italiana” e il “nostro modo di vivere”.

    Tradotto brutalmente: devono esserci più bambini bianchi.

    Altrimenti arrivano quelli «diversi» e si finisce con la “sostituzione etnica”.

    Insomma: dopo tutte le polemiche delle scorse settimane, rieccoci qui.

    Magari anche questa volta si tirerà in ballo “l’ignoranza”, o si accamperanno scuse di vario genere.

    Ma la realtà è che si tratta di precise scelte lessicali – e dunque politiche.

    https://twitter.com/captblicero/status/1656718304273104910

    #race #racisme #ethnie #terminologie #mots #vocabulaire #Lollobrigida #Italie #grand_remplacement #ethnie_italienne #différentialisme #Alain_De_Benoist #Nouvelle_Droite #extrême_droite #ethno-différentialisme #Francesco_Lollobrigida

    • Lollobrigida, l’etnia italiana e la leggenda della nazione omogenea

      Ci risiamo con una pezza che è peggiore del buco. Agli #Stati_generali_della_natalità (già il titolo meriterebbe un trattato filologico) l’irrefrenabile Lollobrigida, dopo avere detto, bontà sua, che è evidente che non esiste una razza italiana, ha dovuto colmare questa insopportabile lacuna, affermando che: “Esiste però una cultura, una etnia italiana che in questo convegno immagino si tenda a tutelare”. Esisterà dunque anche un’etnia francese (lo dica a bretoni e corsi), una spagnola (lo spieghi a baschi e catalani), una belga (l’importante che lo sappiano fiamminghi e valloni) o una inglese (basta non dirlo a scozzesi, gallesi e irlandesi). Ma forse no, lo stabordante ministro dell’Agricoltura sostiene il principio della purezza indicato peraltro nel punto 5 del Manifesto della razza: “È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”.

      La cultura italiana sarebbe dunque completamente autoctona. In un libretto scritto nel ventennio dal fondatore del Museo di Storia Naturale di Torino, c’era un capitolo (credo fosse d’obbligo) sull’elogio della razza italiana, che si era conservata pura “nonostante qualche invasione”. Quasi commovente quel “qualche”, i nostri libri di storia sono pressoché un elenco di invasioni, ma forse, proprio per questo la cultura italiana ha toccato punte di eccellenza (non adesso) come nel Rinascimento. Proprio grazie alla sintesi di culture diverse, che si sono fuse in una proposta originale fondata sull’incontro con la diversità.

      Siamo tutti d’accordo che il pensiero occidentale deve molto (non tutto, ma molto) a quello dell’antica Grecia, ma nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel sostiene, giustamente, che “gli inizi della cultura greca coincisero con l’arrivo degli stranieri”. Il tratto costitutivo per la nascita della cultura greca è quindi l’arrivo degli stranieri, di cui i greci avrebbero mantenuto “memoria grata” nella propria mitologia: Prometeo, per esempio, viene dal Caucaso, e lo stesso popolo greco si sarebbe sviluppato a partire da una “#colluvies” , termine che originariamente significava fango, immondizia, accozzaglia, scompiglio, caos.

      Gli Stati si differenzierebbero da quelle che chiamiamo “tribù” o etnia, perché contengono diversità, non omogeneità. Per quanto riguarda l’etnia, vale una celebre affermazione dell’antropologo britannico Siegfried Nadel: “L’etnia è un’unità sociale i cui membri affermano di formare un’unità sociale”. I Greci, peraltro, non associavano il concetto di #ethnos a un territorio, si poteva infatti essere greco anche in terre lontane, come volle esserlo Alessandro. L’etnicità di un popolo sta nel progetto.

      La storia viene spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi sta al potere si fonda spesso sulla storia, o meglio su una storia, quella storia. Perché, come affermava Ernest Renan, per costruire una nazione ci vuole una forte dose di memoria, ma anche un altrettanto forte dose di oblio: “L’oblio, e dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione (…) Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud”.

      Dobbiamo fingere di ricordare ciò che ci unisce e dimenticare quanto invece, del nostro passato, ci divide. Oppure accettare, come sostengono Julian S. Huxley e Alfred C. Haddon che: “Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/05/12/lollobrigida-letnia-italiana-e-la-leggenda-della-nazione-omogenea/7158926

      #nation #homogénéité #diversité #culture #culture_italienne #ethnicité #identité

  • Ukrainian Cities at War

    Listen to urban researchers sharing their insights on the situation in Ukrainian cities at war, from #Kyiv, #Kharkiv to #Mariupol. Our guests discuss Putin’s identity politics and the way his propaganda hits a wall in the context of the shelling of Ukrainian cities. Countering the images of an opposition of “Ukrainian vs Russian” inhabitants as a backdrop to the war, the discussants offer a different perspective on how ethnicity and language have played out prior to the war. At the same time, they take on predominant Western European understandings of politics and economics of Ukraine and draw a picture of a complex society that becomes more united in the context of a common enemy.

    https://urbanpolitical.podigee.io/49-ukrainian_cities_at_war
    #villes #guerre #urban_matter #Ukraine #propagande #villes_ukrainiennes #ethnicité #langue #image #géographie_urbaine
    #podcast

    ping @isskein @karine4 @_kg_

  • Druga strana svega - L’Envers d’une histoire

    Dix ans après la révolution démocratique serbe, un regard à travers le trou de la serrure d’une porte condamnée dans un appartement de #Belgrade, dévoile à la fois l’histoire d’une famille et d’un pays dans la tourmente, et révèle la #désillusion d’une révolutionnaire et son combat contre les fantômes qui hantent le passé et le présent de la #Serbie.

    « Une porte restée fermée pendant plus de soixante-dix ans dans l’appartement d’une famille de Belgrade devient le point de départ d’une formidable chronique familiale, politique et historique. La famille est celle de la réalisatrice, incarnée par sa mère, la charismatique Srbijanka Turajlić, ancienne professeure universitaire et importante figure de l’#opposition au régime des années 1990. Grâce aux conversations des deux femmes, à la fois profondes et drôles, on parcourt l’histoire mouvementée d’un pays, ses bouleversements et ses changements politiques. Il est souvent question d’engagement citoyen et des responsabilités portées par chaque génération - celles des protagonistes mais aussi celles des spectateurs. Grâce à la générosité du récit, on plonge dans une passionnante fresque dans laquelle la réalisatrice, telle une habile couturière cinématographique, arrive à assembler le personnel et le politique, et par ricochet, la petite et la grande histoire. Dans ce voyage à travers les époques et les idéaux, cette porte fermée se révèle être un magnifique prétexte pour explorer cette aventure humaine. »

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/13548_1
    #film #film_documentaire #documentaire

    #Yougoslavie #ethnicité #communisme #nationalisation #bourgeoisie #Slobodan_Milosevic #Milosevic #guerre #conflit #résistance #responsabilité #Srbijanka_Turajlic #OTPOR #Université_de_Belgrade #révolution #5_octobre_2000 #histoire #révolution

    –—

    Une citation :

    Srbijanka Turajlić, min 31’00 :

    « On ne sait pas comment une guerre éclate ! Surtout une guerre civile. On ne sait pas comment ça arrive. Alors on ne croit pas que c’est en route. Jusqu’à ce que ça démarre »

  • #Intersectionnalité : une #introduction (par #Eric_Fassin)

    Aujourd’hui, dans l’espace médiatico-politique, on attaque beaucoup l’intersectionnalité. Une fiche de poste a même été dépubliée sur le site du Ministère pour purger toute référence intersectionnelle. Dans le Manuel Indocile de Sciences Sociales (Copernic / La Découverte, 2019), avec Mara Viveros, nous avons publié une introduction à ce champ d’études. Pour ne pas laisser raconter n’importe quoi.

    « Les féministes intersectionnelles, en rupture avec l’universalisme, revendiquent de ne pas se limiter à la lutte contre le sexisme. »

    Marianne, « L’offensive des obsédés de la race, du sexe, du genre, de l’identité », 12 au 18 avril 2019

    Une médiatisation ambiguë

    En France, l’intersectionnalité vient d’entrer dans les magazines. Dans Le Point, L’Obs ou Marianne, on rencontre non seulement l’idée, mais aussi le mot, et même des références savantes. Les lesbiennes noires auraient-elles pris le pouvoir, jusque dans les rédactions ? En réalité si les médias en parlent, c’est surtout pour dénoncer la montée en puissance, dans l’université et plus largement dans la société, d’un féminisme dit « intersectionnel », accusé d’importer le « communautarisme à l’américaine ». On assiste en effet au recyclage des articles du début des années 1990 contre le « politiquement correct » : « On ne peut plus rien dire ! » C’est le monde à l’envers, paraît-il : l’homme blanc hétérosexuel subirait désormais la « tyrannie des minorités ».

    Faut-il le préciser ? Ce fantasme victimaire est démenti par l’expérience quotidienne. Pour se « rassurer », il n’y a qu’à regarder qui détient le pouvoir dans les médias et l’université, mais aussi dans l’économie ou la politique : les dominants d’hier ne sont pas les dominés d’aujourd’hui, et l’ordre ancien a encore de beaux jours devant lui. On fera plutôt l’hypothèse que cette réaction parfois virulente est le symptôme d’une inquiétude après la prise de conscience féministe de #MeToo, et les révélations sur le harcèlement sexiste, homophobe et raciste de la « Ligue du Lol » dans le petit monde des médias, et alors que les minorités raciales commencent (enfin) à se faire entendre dans l’espace public.

    Il en va des attaques actuelles contre l’intersectionnalité comme des campagnes contre la (supposée) « théorie du genre » au début des années 2010. La médiatisation assure une forme de publicité à un lexique qui, dès lors, n’est plus confiné à l’univers de la recherche. La polémique a ainsi fait entrevoir les analyses intersectionnelles à un public plus large, qu’articles et émissions se bousculent désormais pour informer… ou le plus souvent mettre en garde. Il n’empêche : même les tribunes indignées qui livrent des noms ou les dossiers scandalisés qui dressent des listes contribuent, à rebours de leurs intentions, à établir des bibliographies et à populariser des programmes universitaires. En retour, le milieu des sciences sociales lui-même, en France après beaucoup d’autres pays, a fini par s’intéresser à l’intersectionnalité – et pas seulement pour s’en inquiéter : ce concept voyageur est une invitation à reconnaître, avec la pluralité des logiques de domination, la complexité du monde social.

    Circulations internationales

    On parle d’intersectionnalité un peu partout dans le monde – non seulement en Amérique du Nord et en Europe, mais aussi en Amérique latine, en Afrique du Sud ou en Inde. Il est vrai que le mot vient des États-Unis : c’est #Kimberlé_Crenshaw qui l’utilise d’abord dans deux articles publiés dans des revues de droit au tournant des années 1990. Toutefois, la chose, c’est-à-dire la prise en compte des dominations multiples, n’a pas attendu le mot. Et il est vrai aussi que cette juriste afro-américaine s’inscrit dans la lignée d’un « #féminisme_noir » états-unien, qui dans les années 1980 met l’accent sur les aveuglements croisés du mouvement des droits civiques (au #genre) et du mouvement des femmes (à la #race).

    Cependant, ces questions sont parallèlement soulevées, à la frontière entre l’anglais et l’espagnol, par des féministes « #chicanas » (comme #Cherríe_Moraga et #Gloria_Anzaldúa), dans une subculture que nourrit l’immigration mexicaine aux États-Unis ou même, dès les années 1960, au Brésil, au sein du Parti communiste ; des féministes brésiliennes (telles #Thereza_Santos, #Lélia_Gonzalez et #Sueli_Carneiro) développent aussi leurs analyses sur la triade « race-classe-genre ». Bref, la démarche intersectionnelle n’a pas attendu le mot intersectionnalité ; elle n’a pas une origine exclusivement états-unienne ; et nulle n’en a le monopole : ce n’est pas une « marque déposée ». Il faut donc toujours comprendre l’intersectionnalité en fonction des lieux et des moments où elle résonne.

    En #France, c’est au milieu des années 2000 qu’on commence à parler d’intersectionnalité ; et c’est d’abord au sein des #études_de_genre. Pourquoi ? Un premier contexte, c’est la visibilité nouvelle de la « #question_raciale » au sein même de la « #question_sociale », avec les émeutes ou révoltes urbaines de 2005 : l’analyse en termes de classe n’était manifestement plus suffisante ; on commence alors à le comprendre, pour les sciences sociales, se vouloir aveugle à la couleur dans une société qu’elle obsède revient à s’aveugler au #racisme. Un second contexte a joué un rôle plus immédiat encore : 2004, c’est la loi sur les signes religieux à l’école. La question du « #voile_islamique » divise les féministes : la frontière entre « eux » et « nous » passe désormais, en priorité, par « elles ». Autrement dit, la différence de culture (en l’occurrence religieuse) devient une question de genre. L’intersectionnalité permet de parler de ces logiques multiples. Importer le concept revient à le traduire dans un contexte différent : en France, ce n’est plus, comme aux États-Unis, l’invisibilité des #femmes_noires à l’intersection entre féminisme et droits civiques ; c’est plutôt l’hypervisibilité des #femmes_voilées, au croisement entre #antisexisme et #antiracisme.

    Circulations interdisciplinaires

    La traduction d’une langue à une autre, et d’un contexte états-unien au français, fait apparaître une deuxième différence. Kimberlé Crenshaw est juriste ; sa réflexion porte sur les outils du #droit qu’elle utilise pour lutter contre la #discrimination. Or aux États-Unis, le droit identifie des catégories « suspectes » : le sexe et la race. Dans les pratiques sociales, leur utilisation, implicite ou explicite, est soumise à un examen « strict » pour lutter contre la discrimination. Cependant, on passe inévitablement de la catégorie conceptuelle au groupe social. En effet, l’intersectionnalité s’emploie à montrer que, non seulement une femme peut être discriminée en tant que femme, et un Noir en tant que Noir, mais aussi une femme noire en tant que telle. C’est donc seulement pour autant qu’elle est supposée relever d’un groupe sexuel ou racial que le droit peut reconnaître une personne victime d’un traitement discriminatoire en raison de son sexe ou de sa race. Toutefois, dans son principe, cette démarche juridique n’a rien d’identitaire : comme toujours pour les discriminations, le point de départ, c’est le traitement subi. Il serait donc absurde de reprendre ici les clichés français sur le « communautarisme américain » : l’intersectionnalité vise au contraire à lutter contre l’#assignation discriminatoire à un groupe (femmes, Noirs, ou autre).

    En France, la logique est toute différente, dès lors que l’intersectionnalité est d’abord arrivée, via les études de genre, dans le champ des sciences sociales. La conséquence de cette translation disciplinaire, c’est qu’on n’a généralement pas affaire à des groupes. La sociologie s’intéresse davantage à des propriétés, qui peuvent fonctionner comme des variables. Bien sûr, on n’oublie pas la logique antidiscriminatoire pour autant : toutes choses égales par ailleurs (en l’occurrence dans une même classe sociale), on n’a pas le même salaire selon qu’on est blanc ou pas, ou la même retraite si l’on est homme ou femme. Il n’est donc pas ou plus possible de renvoyer toutes les explications à une détermination en dernière instance : toutes les #inégalités ne sont pas solubles dans la classe. C’est évident pour les femmes, qui appartiennent à toutes les classes ; mais on l’oublie parfois pour les personnes dites « non blanches », tant elles sont surreprésentées dans les classes populaires – mais n’est-ce pas justement, pour une part, l’effet de leur origine supposée ? Bien entendu, cela ne veut pas dire, à l’inverse, que la classe serait soluble dans une autre forme de #domination. En réalité, cela signifie simplement que les logiques peuvent se combiner.

    L’intérêt scientifique (et politique) pour l’intersectionnalité est donc le signe d’une exigence de #complexité : il ne suffit pas d’analyser la classe pour en avoir fini avec les logiques de domination. C’est bien pourquoi les féministes n’ont pas attendu le concept d’intersectionnalité, ni sa traduction française, pour critiquer les explications monocausales. En France, par exemple, face au #marxisme, le #féminisme_matérialiste rejette de longue date cette logique, plus politique que scientifique, de l’« ennemi principal » (de classe), qui amène à occulter les autres formes de domination. En 1978, #Danièle_Kergoat interrogeait ainsi la neutralisation qui, effaçant l’inégalité entre les sexes, pose implicitement un signe d’égalité entre « ouvrières » et « ouvriers » : « La #sociologie_du_travail parle toujours des “#ouvriers” ou de la “#classe_ouvrière” sans faire aucune référence au #sexe des acteurs sociaux. Tout se passe comme si la place dans la production était un élément unificateur tel que faire partie de la classe ouvrière renvoyait à une série de comportements et d’attitudes relativement univoques (et cela, il faut le noter, est tout aussi vrai pour les sociologues se réclamant du #marxisme que pour les autres. »

    Or, ce n’est évidemment pas le cas. Contre cette simplification, qui a pour effet d’invisibiliser les ouvrières, la sociologue féministe ne se contente pas d’ajouter une propriété sociale, le sexe, à la classe ; elle montre plus profondément ce qu’elle appelle leur #consubstantialité. On n’est pas d’un côté « ouvrier » et de l’autre « femme » ; être une #ouvrière, ce n’est pas la même chose qu’ouvrier – et c’est aussi différent d’être une bourgeoise. On pourrait dire de même : être une femme blanche ou noire, un garçon arabe ou pas, mais encore un gay de banlieue ou de centre-ville, ce n’est vraiment pas pareil !

    Classe et race

    Dans un essai sur le poids de l’#assignation_raciale dans l’expérience sociale, le philosophe #Cornel_West a raconté combien les taxis à New York refusaient de s’arrêter pour lui : il est noir. Son costume trois-pièces n’y fait rien (ni la couleur du chauffeur, d’ailleurs) : la classe n’efface pas la race – ou pour le dire plus précisément, le #privilège_de_classe ne suffit pas à abolir le stigmate de race. Au Brésil, comme l’a montré #Lélia_Gonzalez, pour une femme noire de classe moyenne, il ne suffit pas d’être « bien habillée » et « bien élevée » : les concierges continuent de leur imposer l’entrée de service, conformément aux consignes de patrons blancs, qui n’ont d’yeux que pour elles lors du carnaval… En France, un documentaire intitulé #Trop_noire_pour_être_française part d’une même prise de conscience : la réalisatrice #Isabelle_Boni-Claverie appartient à la grande bourgeoisie ; pourtant, exposée aux discriminations, elle aussi a fini par être rattrapée par sa couleur.

    C’est tout l’intérêt d’étudier les classes moyennes (ou supérieures) de couleur. Premièrement, on voit mieux la logique propre de #racialisation, sans la rabattre aussitôt sur la classe. C’est justement parce que l’expérience de la bourgeoisie ne renvoie pas aux clichés habituels qui dissolvent les minorités dans les classes populaires. Deuxièmement, on est ainsi amené à repenser la classe : trop souvent, on réduit en effet ce concept à la réalité empirique des classes populaires – alors qu’il s’agit d’une logique théorique de #classement qui opère à tous les niveaux de la société. Troisièmement, ce sont souvent ces couches éduquées qui jouent un rôle important dans la constitution d’identités politiques minoritaires : les porte-parole ne proviennent que rarement des classes populaires, ou du moins sont plus favorisés culturellement.

    L’articulation entre classe et race se joue par exemple autour du concept de #blanchité. Le terme est récent en français : c’est la traduction de l’anglais #whiteness, soit un champ d’études constitué non pas tant autour d’un groupe social empirique (les Blancs) que d’un questionnement théorique sur une #identification (la blanchité). Il ne s’agit donc pas de réifier les catégories majoritaires (non plus, évidemment, que minoritaires) ; au contraire, les études sur la blanchité montrent bien, pour reprendre un titre célèbre, « comment les Irlandais sont devenus blancs » : c’est le rappel que la « race » ne doit rien à la #biologie, mais tout aux #rapports_de_pouvoir qu’elle cristallise dans des contextes historiques. À nouveau se pose toutefois la question : la blanchité est-elle réservée aux Blancs pauvres, condamnés à s’identifier en tant que tels faute d’autres ressources ? On parle ainsi de « #salaire_de_la_blanchité » : le #privilège de ceux qui n’en ont pas… Ou bien ne convient-il pas de l’appréhender, non seulement comme une compensation, mais aussi et surtout comme un langage de pouvoir – y compris, bien sûr, chez les dominants ?

    En particulier, si le regard « orientaliste » exotise l’autre et l’érotise en même temps, la #sexualisation n’est pas réservée aux populations noires ou arabes (en France), ou afro-américaines et hispaniques (comme aux États-Unis), bref racisées. En miroir, la #blanchité_sexuelle est une manière, pour les classes moyennes ou supérieures blanches, de s’affirmer « normales », donc de fixer la #norme, en particulier dans les projets d’#identité_nationale. Certes, depuis le monde colonial au moins, les minorités raciales sont toujours (indifféremment ou alternativement) hypo- – ou hyper- –sexualisées : pas assez ou bien trop, mais jamais comme il faut. Mais qu’en est-il des majoritaires ? Ils se contentent d’incarner la norme – soit d’ériger leurs pratiques et leurs représentations en normes ou pratiques légitimes. C’est bien pourquoi la blanchité peut être mobilisée dans des discours politiques, par exemple des chefs d’État (de la Colombie d’Álvaro Uribe aux États-Unis de Donald Trump), le plus souvent pour rappeler à l’ordre les minorités indociles. La « question sociale » n’a donc pas cédé la place à la « question raciale » ; mais la première ne peut plus servir à masquer la seconde. Au contraire, une « question » aide à repenser l’autre.

    Les #contrôles_au_faciès

    Regardons maintenant les contrôles policiers « au faciès », c’est-à-dire fondés sur l’#apparence. Une enquête quantitative du défenseur des droits, institution républicaine qui est chargée de défendre les citoyens face aux abus de l’État, a récemment démontré qu’il touche inégalement, non seulement selon les quartiers (les classes populaires), mais aussi en fonction de l’âge (les jeunes) et de l’apparence (les Arabes et les Noirs), et enfin du sexe (les garçons plus que les filles). Le résultat, c’est bien ce qu’on peut appeler « intersectionnalité ». Cependant, on voit ici que le croisement des logiques discriminatoires ne se résume pas à un cumul des handicaps : le sexe masculin fonctionne ici comme un #stigmate plutôt qu’un privilège. L’intersectionnalité est bien synonyme de complexité.

    « Les jeunes de dix-huit-vingt-cinq ans déclarent ainsi sept fois plus de contrôles que l’ensemble de la population, et les hommes perçus comme noirs ou arabes apparaissent cinq fois plus concernés par des contrôles fréquents (c’est-à-dire plus de cinq fois dans les cinq dernières années). Si l’on combine ces deux critères, 80 % des personnes correspondant au profil de “jeune homme perçu comme noir ou arabe” déclarent avoir été contrôlées dans les cinq dernières années (contre 16 % pour le reste des enquêté.e.s). Par rapport à l’ensemble de la population, et toutes choses égales par ailleurs, ces profils ont ainsi une probabilité vingt fois plus élevée que les autres d’être contrôlés. »

    Répétons-le : il n’y a rien d’identitaire dans cette démarche. D’ailleurs, la formulation du défenseur des droits dissipe toute ambiguïté : « perçus comme noirs ou arabes ». Autrement dit, c’est l’origine réelle ou supposée qui est en jeu. On peut être victime d’antisémitisme sans être juif – en raison d’un trait physique, d’un patronyme, ou même d’opinions politiques. Pour peu qu’on porte un prénom lié à l’islam, ou même qu’on ait l’air « d’origine maghrébine », musulman ou pas, on risque de subir l’#islamophobie. L’#homophobie frappe surtout les homosexuels, et plus largement les minorités sexuelles ; toutefois, un garçon réputé efféminé pourra y être confronté, quelle que soit sa sexualité.

    Et c’est d’ailleurs selon la même logique qu’en France l’État a pu justifier les contrôles au faciès. Condamné en 2015 pour « faute lourde », il a fait appel ; sans remettre en cause les faits établis, l’État explique que la législation sur les étrangers suppose de contrôler « les personnes d’#apparence_étrangère », voire « la seule population dont il apparaît qu’elle peut être étrangère ». Traiter des individus en raison de leur apparence, supposée renvoyer à une origine, à une nationalité, voire à l’irrégularité du séjour, c’est alimenter la confusion en racialisant la nationalité. On le comprend ainsi : être, c’est être perçu ; l’#identité n’existe pas indépendamment du regard des autres.

    L’exemple des contrôles au faciès est important, non seulement pour celles et ceux qui les subissent, bien sûr, mais aussi pour la société tout entière : ils contribuent à la constitution d’identités fondées sur l’expérience commune de la discrimination. Les personnes racisées sont celles dont la #subjectivité se constitue dans ces incidents à répétition, qui finissent par tracer des frontières entre les #expériences minoritaires et majoritaires. Mais l’enjeu est aussi théorique : on voit ici que l’identité n’est pas première ; elle est la conséquence de #pratiques_sociales de #racialisation – y compris de pratiques d’État. Le racisme ne se réduit pas à l’#intention : le racisme en effet est défini par ses résultats – et d’abord sur les personnes concernées, assignées à la différence par la discrimination.

    Le mot race

    Les logiques de domination sont plurielles : il y a non seulement la classe, mais aussi le sexe et la race, ainsi que l’#âge ou le #handicap. Dans leur enchevêtrement, il est à chaque fois question, non pas seulement d’#inégalités, mais aussi de la #naturalisation de ces hiérarchies marquées dans les corps. Reste que c’est surtout l’articulation du sexe ou de la classe avec la race qui est au cœur des débats actuels sur l’intersectionnalité. Et l’on retrouve ici une singularité nationale : d’après l’ONU, les deux tiers des pays incluent dans leur recensement des questions sur la race, l’#ethnicité ou l’#origine_nationale. En France, il n’en est pas question – ce qui complique l’établissement de #statistiques « ethno-raciales » utilisées dans d’autre pays pour analyser les discriminations.

    Mais il y a plus : c’est seulement en France que, pour lutter contre le racisme, on se mobilise régulièrement en vue de supprimer le mot race de la Constitution ; il n’y apparaît pourtant, depuis son préambule de 1946 rédigé en réaction au nazisme, que pour énoncer un principe antiraciste : « sans distinction de race ». C’est aujourd’hui une bataille qui divise selon qu’on se réclame d’un antiracisme dit « universaliste » ou « politique » : alors que le premier rejette le mot race, jugé indissociable du racisme, le second s’en empare comme d’une arme contre la #racialisation de la société. Ce qui se joue là, c’est la définition du racisme, selon qu’on met l’accent sur sa version idéologique (qui suppose l’intention, et passe par le mot), ou au contraire structurelle (que l’on mesure à ses effets, et qui impose de nommer la chose).

    La bataille n’est pas cantonnée au champ politique ; elle s’étend au champ scientifique. Le racisme savant parlait naguère des races (au pluriel), soit une manière de mettre la science au service d’un #ordre_racial, comme dans le monde colonial. Dans la recherche antiraciste, il est aujourd’hui question de la race (au singulier) : non pas l’inventaire des populations, sur un critère biologique ou même culturel, mais l’analyse critique d’un mécanisme social qui assigne des individus à des groupes, et ces groupes à des positions hiérarchisées en raison de leur origine, de leur apparence, de leur religion, etc. Il n’est donc pas question de revenir aux élucubrations racistes sur les Aryens ou les Sémites ; en revanche, parler de la race, c’est se donner un vocabulaire pour voir ce qu’on ne veut pas voir : la #discrimination_raciste est aussi une #assignation_raciale. S’aveugler à la race ne revient-il pas à s’aveugler au racisme ?

    Il ne faut donc pas s’y tromper : pour les sciences sociales actuelles, la race n’est pas un fait empirique ; c’est un concept qui permet de nommer le traitement inégal réservé à des individus et des groupes ainsi constitués comme différents. La réalité de la race n’est donc ni biologique ni culturelle ; elle est sociale, en ce qu’elle est définie par les effets de ces traitements, soit la racialisation de la société tout entière traversée par la logique raciale. On revient ici aux analyses classiques d’une féministe matérialiste, #Colette_Guillaumin : « C’est très exactement la réalité de la “race”. Cela n’existe pas. Cela pourtant produit des morts. [...] Non, la race n’existe pas. Si, la race existe. Non, certes, elle n’est pas ce qu’on dit qu’elle est, mais elle est néanmoins la plus tangible, réelle, brutale, des réalités. »

    Morale de l’histoire

    A-t-on raison de s’inquiéter d’un recul de l’#universalisme en France ? Les logiques identitaires sont-elles en train de gagner du terrain ? Sans nul doute : c’est bien ce qu’entraîne la racialisation de notre société. Encore ne faut-il pas confondre les causes et les effets, ni d’ailleurs le poison et l’antidote. En premier lieu, c’est l’#extrême_droite qui revendique explicitement le label identitaire : des États-Unis de Donald Trump au Brésil de Jair Bolsonaro, on assiste à la revanche de la #masculinité_blanche contre les #minorités_raciales et sexuelles. Ne nous y trompons pas : celles-ci sont donc les victimes, et non pas les coupables, de ce retour de bâton (ou backlash) qui vise à les remettre à leur place (dominée).

    Deuxièmement, la #ségrégation_raciale que l’on peut aisément constater dans l’espace en prenant les transports en commun entre Paris et ses banlieues n’est pas le résultat d’un #communautarisme minoritaire. Pour le comprendre, il convient au contraire de prendre en compte un double phénomène : d’une part, la logique sociale que décrit l’expression #White_flight (les Blancs qui désertent les quartiers où sont reléguées les minorités raciales, anticipant sur la ségrégation que leurs choix individuels accélèrent…) ; d’autre part, les #politiques_publiques de la ville dont le terme #apartheid résume le résultat. Le #multiculturalisme_d’Etat, en Colombie, dessinerait une tout autre logique : les politiques publiques visent explicitement des identités culturelles au nom de la « #diversité », dont les mouvements sociaux peuvent s’emparer.

    Troisièmement, se battre pour l’#égalité, et donc contre les discriminations, ce n’est pas renoncer à l’universalisme ; bien au contraire, c’est rejeter le #communautarisme_majoritaire. L’intersectionnalité n’est donc pas responsable au premier chef d’une #fragmentation_identitaire – pas davantage qu’une sociologie qui analyse les inégalités socio-économiques n’est la cause première de la lutte des classes. Pour les #sciences_sociales, c’est simplement se donner les outils nécessaires pour comprendre un monde traversé d’#inégalités multiples.

    Quatrièmement, ce sont les #discours_publics qui opposent d’ordinaire la classe à la race (ou les ouvriers, présumés blancs, aux minorités raciales, comme si celles-ci n’appartenaient pas le plus souvent aux classes populaires), ou encore, comme l’avait bien montré #Christine_Delphy, l’#antisexisme à l’antiracisme (comme si les femmes de couleur n’étaient pas concernées par les deux). L’expérience de l’intersectionnalité, c’est au contraire, pour chaque personne, quels que soient son sexe, sa classe et sa couleur de peau, l’imbrication de propriétés qui finissent par définir, en effet, des #identités_complexes (plutôt que fragmentées) ; et c’est cela que les sciences sociales s’emploient aujourd’hui à appréhender.

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    Ce texte écrit avec #Mara_Viveros_Vigoya, et publié en 2019 dans le Manuel indocile de sciences sociales (Fondation Copernic / La Découverte), peut être téléchargé ici : https://static.mediapart.fr/files/2021/03/07/manuel-indocile-intersectionnalite.pdf

    À lire :

    Kimberlé Crenshaw, « Cartographies des marges : intersectionnalité, politique de l’identité et violences contre les femmes de couleur » Cahiers du Genre, n° 39, février 2005, p. 51-82

    Défenseur des droits, Enquête sur l’accès aux droits, Relations police – population : le cas des contrôles d’identité, vol. 1, janvier 2017

    Christine Delphy, « Antisexisme ou antiracisme ? Un faux dilemme », Nouvelles Questions Féministes, vol. 25, janvier 2006, p. 59-83

    Elsa Dorlin, La Matrice de la race. Généalogie sexuelle et coloniale de la nation française, La Découverte, Paris, 2006

    Elsa Dorlin, Sexe, race, classe. Pour une épistémologie de la domination, Presses universitaires de France, Paris, 2009

    Didier Fassin et Éric Fassin (dir.), De la question sociale à la question raciale ? Représenter la société française, La Découverte, Paris, 2009 [première édition : 2006]

    Éric Fassin (dir.), « Les langages de l’intersectionnalité », Raisons politiques, n° 58, mai 2015

    Éric Fassin, « Le mot race – 1. Cela existe. 2. Le mot et la chose », AOC, 10 au 11 avril 2019

    Nacira Guénif-Souilamas et Éric Macé, Les féministes et le garçon arabe, L’Aube, Paris, 2004

    Colette Guillaumin, « “Je sais bien mais quand même” ou les avatars de la notion de race », Le Genre humain, 1981, n° 1, p. 55-64

    Danièle Kergoat, « Ouvriers = ouvrières ? », Se battre, disent-elles…, La Dispute, Paris, 2012, p. 9-62

    Abdellali Hajjat et Silyane Larcher (dir.), « Intersectionnalité », Mouvements, 12 février 2019

    Mara Viveros Vigoya, Les Couleurs de la masculinité. Expériences intersectionnelles et pratiques de pouvoir en Amérique latine, La Découverte, Paris, 2018

    https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/050321/intersectionnalite-une-introduction#at_medium=custom7&at_campaign=10

    #définition #invisibilisation #antiracisme_universaliste #antiracisme_politique #racisme_structurel

    voir aussi ce fil de discussion sur l’intersectionnalité, avec pas mal de #ressources_pédagogiques :
    https://seenthis.net/messages/796554

  • Covid-19: Increased risk among ethnic minorities is largely due to poverty and social disparities, review finds - bmj.m4099.full.pdf
    https://www.bmj.com/content/bmj/371/bmj.m4099.full.pdf

    Covid-19: Increased risk among ethnic minorities is largely due topoverty and social disparities, review findsGareth IacobucciMost of the increased risk of infection and death fromcovid-19 among people from ethnic minorities isexplained by factors such as occupation, wherepeople live, their household composition, andpre-existing health conditions, a government reviewhas concluded.1But the first quarterly report from the government’sRace Disparity Unit (RDU), based in the CabinetOffice, notes that a part of the excess risk“remainsunexplained”in some groups such as black men, andit said that further work was needed to understandwhich factors may be causing the disparities.The report summarises progress towards tacklingcovid-19 health inequalities since Public HealthEngland published a review on 2 June setting out thedisparities in risks and outcomes.2Since then theRDU has been working with the equalities minister,Kemi Badenoch, across government, with the Officefor National Statistics, and with academics toexamine what is driving these disparities and how totackle them.Raghib Ali, one of the government’s new expertadvisers on covid and ethnicity, said there was“goodevidence”that most excess risk among ethnicminorities was explained by risk factors other thanethnicity

    #Covid-19#migrant#migration#angleterre#sante#minorite#race#ethnicite#inegalite#systemesante

  • N.F.L. Team Thrown by False Positive Covid-19 Tests - The New York Times
    https://www.nytimes.com/live/2020/10/16/world/covid-coronavirus

    Regardless of race and ethnicity, those aged 65 and older represented the vast majority — 78 percent — of all coronavirus deaths over those four months.The geographic impact of coronavirus deaths shifted from May to August as well, moving from the Northeast to the South and West. And though the virus moved into parts of the country with higher numbers of Hispanic residents, the report’s data showed that alone does not entirely account for the increase in percentage of deaths among Hispanics nationwide.“Covid-19 remains a major public health threat regardless of age or race and ethnicity,” the report states. It attributes an increased risk among racial and ethnic groups who might be more likely to live in places where the coronavirus is more easily spread, such as multigenerational and multifamily households, as well as hold jobs requiring in-person work, have more limited access to health care and who experience discrimination.
    In July, federal data made available after The New York Times sued the Centers for Disease Control and Prevention revealed a clearer and more complete picture of the racial inequalities of the virus: Black and Latino people have been disproportionately affected by the coronavirus in a widespread manner that spans the country, throughout hundreds of counties in urban, suburban and rural areas, and across all age groups.

    #covid-19#migration#migrant#etatsunis#sante#inegalite#minorite#race#ethnicité#discrimnation#accessante

  • Covid-19 and ethnicity: how the information gap exacerbates inequality - The BMJ
    https://blogs.bmj.com/bmj/2020/10/08/covid-19-and-ethnicity-how-the-information-gap-exacerbates-inequality

    The covid-19 pandemic has shone a light on the health and social inequalities that have historically plagued black and minority ethnic (BAME) groups in the UK. The reasons for this are many, however there are numerous examples of ongoing patterns of miscommunication, misinformation, and disinformation that have created an information gap among these groups. This acts as a key factor in differential health seeking behaviour, experiences of healthcare, and ultimately health outcomes. These are all exacerbated by a historical context in which people from BAME groups have experienced greater levels of socioeconomic disadvantage, been ignored or abused by medical science, and received poorer quality of care from the healthcare system.
    As we move on to the next phase of the pandemic, incorporating the lessons we have learnt so far will be essential in preventing and managing the effects of a second wave of covid-19 on BAME groups. Using a more localised approach to outbreak management, which works in partnership with local BAME networks, would allow us to deliver an effective, culturally competent campaign that bridges information gaps. The success of these approaches is entirely dependent on the trust of local populations—particularly when it comes to systems that rely on the individual to self-refer, such as the test and trace system. Disparities in information provision are complex, however, and it is vital to approach any solution with an understanding of the social, political, and structural drivers of this phenomenon.
    UK policy makers have relied on behavioural science to determine communication strategies around the covid-19 response. However, behavioural science has tended to overlook the role of cultural differences in how people make decisions and navigate choice architecture. BAME groups are not a homogenous monolith, and if we want to continue to apply behavioural science to inform the covid-19 response, then we need to ensure that behavioural insights generated from within BAME communities are included.

    #Covid-19#migrant#migration#grandebretagne#BAME#inegalite#sante#minorite#ethnicite#race#communaute

  • « La réaction biologique au Covid-19 n’est pas une question d’appartenance raciale »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/06/11/la-reaction-biologique-au-covid-19-n-est-pas-une-question-d-appartenance-rac

    Au Royaume-Uni comme aux Etats-Unis, les médias et les revues médicales se font largement l’écho du nombre disproportionné de victimes du SARS-CoV-2 parmi les minorités ethniques et les migrants. Bien entendu, cette disproportion s’explique en grande partie par les différences socio-économiques et les inégalités professionnelles. Car ce sont ces segments de la population qui conduisent les bus, qui font le ménage dans les hôpitaux, qui livrent les courses et qui s’occupent des personnes âgées dans les maisons de retraite. En règle générale, ce sont eux qui occupent un travail qui ne leur permettent pas d’échapper au virus, et des logements où s’isoler des autres est plus difficile. (...)Au Royaume-Uni et aux Etats-Unis, ces injustices sont connues car des données ont été collectées et analysées.
    Alors que chaque pays a son approche pour définir les catégories démographiques comme l’« appartenance ethnique » et la « race », la France s’oppose fermement à l’utilisation de ce genre d’étiquettes pour catégoriser officiellement les individus. L’absence de classification raciale permet d’éviter une interprétation fallacieuse, courante au Royaume-Uni et aux Etats-Unis, selon laquelle certaines inégalités que l’on observe indiqueraient l’existence de prédispositions génétiques (...). La pression monte sur les pays européens autres que le Royaume-Uni : certains souhaitent que ces Etats récoltent des données sur les inégalités ethnoraciales face au Covid-19. Ce serait en effet un bon moyen de comprendre la tragédie sociale liée au virus, même s’il faut se garder de croire que ces catégories ont quelque chose de biologique. Nos connaissances actuelles sur la pandémie reposent sur des données collectées auprès de cas testés positifs. Or, le fait de tester ou non une personne dépend principalement de la présence ou non de symptômes, mais aussi d’innombrables barrières, linguistiques et géographiques, toutes étroitement liées à des facteurs socio-économiques et démographiques. Ainsi, lorsqu’on mène des études sur les malades du Covid-19 pour observer leurs caractéristiques, on prend en considération, non pas tous les malades, mais seulement la partie émergée de l’iceberg – une partie fortement déformée par les déterminants sociaux des tests.(...) Connaître l’origine ethnique des malades n’améliorera pas notre compréhension de l’étiologie et de la génétique de ce syndrome en particulier, ni du Covid-19 en général. Ces chercheurs motivent leur intérêt pour la question en invoquant le nombre disproportionné d’enfants issus de minorités qui ont été hospitalisés au Royaume-Uni avec ce syndrome. Or l’exposition au virus et les tests dépendent fortement des hiérarchies raciales dans la société, et ces inégalités en disent plus sur nous que sur le virus.

    #Covid-19#migrant#migration#sante#minorité#diaspora#france#royaumeuni#etatsunis#inegalite#genetique#race#ethnicite

  • Salvini: chiusura entro le 21 dei negozi etnici. Confesercenti: no a discriminazioni

    Nel #decreto_sicurezza ci sarà un emendamento per prevedere «la chiusura entro le 21 dei negozietti etnici che diventano ritrovo di spacciatori e di gente che fa casino». Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini in diretta Facebook sottolineando che «non è un’iniziativa contro i negozi stranieri ma per limitare abusi».

    Market etnici, Confesercenti: no a norme discriminatorie
    Contro l’iniziativa annunciata da Salvini si schiera Confesercenti. «Non si può fare una norma che discrimina determinati imprenditori rispetto ad altri. Chi ha un’attività commerciale ha diritti e doveri: il dovere di rispettare le regole e il diritto di restare aperti, sia che siano esercizi gestiti da stranieri, sia che siano esercizi gestiti da italiani» dichiara Mauro Bussoni segretario generale della Confesercenti nazionale.

    Codacons: negozi etnici utili per acquisti “last minute”
    Per il Codacons la chiusura dei “negozietti etnici” deve essere prevista solo nei centri storici delle città italiane e in tutti quei casi in cui gli esercizi in questione
    creino degrado. «Crediamo che in materia di commercio e sicurezza non sia corretto generalizzare - spiega il presidente Carlo Rienzi -. Tali negozi etnici sono molto utili ai consumatori, perché rimangono aperti più a lungo degli altri esercizi e commercializzano una moltitudine di prodotti di diverse categorie, consentendo ai cittadini di fare acquisti “last minute”. Certamente la loro apertura va vietata in tutti quei casi in cui gli esercizi in questione creino disordini, e in modo assoluto nei centri storici delle città, perché la loro presenza alimenta il degrado urbano e danneggia le bellezze artistiche come nel caso di Roma, dove alcune vie del centro sono state trasformate in #suk» conclude Rienzi.


    https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-10-11/salvini-dl-sicurezza-chiusura-entro-21-negozi-etnici--160739.shtml?uuid

    #magasins_ethniques #ethnicité #negozi_etnici #fermeture #it_has_begun #discriminations #géographie_culturelle #Italie #criminalisation #Italie #sécurité #drogue #magasins #negozi_stranieri #magasins_étrangers #terminologie #mots #vocabulaire

    #lois_raciales?

    • Italy’s Matteo Salvini says ’little ethnic shops’ should close by 9pm

      Minister calls late-night stores mostly run by foreigners ‘meeting place for drug deals’

      Italy’s far-right interior minister has come under fire for a proposal that would force what he calls “little ethnic shops” to close by 9pm.

      Matteo Salvini added the measure to his immigrant-targeting security decree, arguing late-night grocery stores, mostly run by foreigners, are “a meeting place for drug deals and people who raise hell”.

      He claimed the initiative was not specifically aimed at foreigners and was merely a way to “limit the abuses of certain shops”.

      Thousands of grocery stores across Italy are run by immigrants, mainly people from Bangladesh and India, many of whom bought premises for a low price during the financial crisis.

      Mauro Bussoni, the general secretary of Confesercenti, a retail association, said: “You can’t make a law that discriminates some entrepreneurs over others.

      “Those who have a commercial activity have rights and duties: the duty to respect rules and the right to remain open, whether the activity is managed by a foreigner or an Italian.”

      Carlo Rienzi, the president of Codacons, a consumer association, said it was unfair to “generalise”, while noting shops that stayed open late were essential for people seeking “last-minute” purchases. But he agreed there should be a clampdown on outlets that have “created disorder” or “degraded” historical town centres.

      Andrea Marcucci, a politician from the centre-left Democratic party, said imposing curfews was among the premises of “a regime”.

      If the proposal became law, an industry source said, it should also apply to Italian-owned outlets, including bars, while security measures must also extend to foreign business owners.

      “Some say that Italian people go into their shop late at night and try to extort money from them,” said the source. “But they are too afraid to report such incidents to the police.”

      Salvini’s security decree, unveiled in September, includes plans to abolish key protections for immigrants and make it easier for them to be deported.

      On Thursday, he reiterated a plan to hire 10,000 more police officers, an initiative funded by money that previously paid for migrant reception and integration projects. Parliament has until mid-November to debate and modify the decree before it becomes law.

      Salvini’s latest proposal comes after Luigi Di Maio, his coalition partner, said measures would be introduced by the end of the year to limit Sunday trading in an attempt to preserve family traditions.

      https://www.theguardian.com/world/2018/oct/12/italy-matteo-salvini-little-ethnic-shops-foreigners?CMP=share_btn_tw
      #désordre #couvre-feu #décret
      ping @isskein

  • New maps of racial diversity in the United States - Geographical

    http://geographical.co.uk/places/mapping/item/2210-mapping-the-diversity-of-the-united-states

    Repurposed NASA maps show the racial diversity (and segregation) of the United States in more detail than ever before

    Satellite data previously used by NASA to map the Earth’s land masses has been combined with census data from 1990 to 2010 in order to map the planet’s people instead, or at least those in the United States. The new map, produced by the University of Cincinnati, offers unprecedented insights into the kaleidoscopic spread of diversity in US neighbourhoods.

    Maps have been created using census data before, but usually in much less detail. This is because the census contains sensitive information such as participants’ income and education, so the government instead takes averages in large blocks measuring three square kilometres in urban areas and 108 square kilometres in rural regions. ‘Privacy is assured but it costs a significant – in some cases very significant – loss of spatial accuracy,’ explains Anna Dmowska, postdoctoral researcher and co-author of the maps. For example, if the block area is large but only a small portion of it is lived in – perhaps due to lakes, factories or parks – the block data would inaccurately show it as all being inhabited.

    #états-unis #diversité #ethnicité #diversité_ethnique #cartographie

  • American ethnicity map shows melting pot of ethnicities that make up the USA today | Daily Mail Online

    http://www.dailymail.co.uk/news/article-2408591/American-ethnicity-map-shows-melting-pot-ethnicities-make-USA-today.htm

    For decades, the United States opened its doors and welcomed with open arms millions of immigrants who all arrived through New York’s Ellis Island in the hope of a better life in America.

    Indeed, the inscription on the Statue of Liberty in New York’s harbor reads ’Give me your tired, your poor, your huddled masses yearning to be free’ and the fascinating map identifies the truly diverse nature of the United States in the 21st century.

    Although the 2010 census left out questions about ethnicity, this map shows how it looked in 2000, according to Upworthy.

    #cartographie #états-unis #ethnicité #melting-pot

  • Les mutations européennes au prisme des migrations. Un regard sociologique au-delà des frontières

    L’HDR est divisée en deux parties. La première revient de façon critique sur le parcours de recherche de l’auteure, inscrit en sociologie des migrations. Elle se conclut par une réflexion sur le paradigme transnationaliste qui a marqué les recherches sur les #migrations au cours des deux dernières décennies dans une quête de dépassement du nationalisme méthodologique. La seconde partie porte sur les questions d’#ethnicité et de #racialisation des #migrants_roumains dits roms en France : comment la catégorie « rom » s’est renforcée à travers l’activité de multiples acteurs –institutions internationales, leaders communautaires, discours xénophobes- au cours des dernières décennies pour ’raciser’ une catégorie sociale européenne particulière. Confrontant l’ethnicité construite par les élites à l’"everyday ethnicity" vécue par les sujets, elle conjugue une approche centrée sur la mobilité (inspirée du courant transnationaliste) avec une relecture des questions d’ethnicité et de race telles que développées par la sociologie américaine depuis une dizaine d’années. Cette recherche s’appuie sur un terrain ethnographique de trois ans mené dans les Alpes-Maritimes, dans des squats et des bidonvilles ainsi qu’un court terrain en Roumanie.

    https://tel.archives-ouvertes.fr/view/index/identifiant/tel-01438852/lang/fr
    #Roms #xénophobie #racisme #Roumanie #France

  • La montagne et la liberté

    James C. Scott

    http://lavoiedujaguar.net/La-montagne-et-la-liberte

    Dans les sociétés d’Asie du Sud-Est, un gouffre culturel et politique sépare les populations des hauteurs de ceux des vallées, alors qu’il est aisé de montrer que des échanges permanents ont eu lieu au cours des siècles entre les deux types de populations. Ces échanges sont dus au jeu de deux logiques : centripète, les royaumes des vallées cherchant toujours à peupler leurs terres par l’acquisition d’esclaves (les guerres sont destinées à capturer des hommes plus que du territoire) ; centrifuge, les populations des plaines étant souvent poussées par la rapacité des fonctionnaires ou des colons à s’échapper vers les hauteurs. Si les civilisations ne savent pas grimper, ce n’est pas seulement, comme le remarque Braudel, que la géographie leur complique la tâche, c’est aussi que ceux qui « grimpent » le font pour leur échapper. (...)

    #peuples_montagnards #Asie_du_Sud-Est #État #agriculture #ethnicité #nomadisme #sédentarisation #histoire #James_Scott

  • Thema - #Enfermement et catégorisations

    Au nom du maintien de la paix et d’une organisation efficace de la vie entre les murs au quotidien, l’enfermement s’accompagne de processus de #classement des individus par le #genre, l’#ethnicité et la #religion. Il convient donc d’examiner ce que l’enfermement fait à ces processus de catégorisation et, réciproquement, comment les logiques de classification sont transformées, mises à mal ou au contraire renforcées en situations de réclusion, situations dans lesquelles la possibilité d’identifier, de classer et de nommer apparaît comme un véritable outil de gestion des relations sociales et rencontre finalement peu de résistances. Envisagées dans leurs ressorts concrets, les catégorisations sont ici analysées comme des procédures disciplinaires et normatives, contribuant aux rapports de pouvoir en établissement pénitentiaire comme dans les lieux d’#enfermement des étrangers.

    http://www.sciencespo.fr/ceri/fr/critique
    #catégorisation #migrations #réfugiés #asile #détention_administrative #rétention
    cc @reka

  • The great melting | The Economist

    http://www.economist.com/news/international/21685481-cities-are-becoming-less-racially-segregated-thank-suburban-spra

    Voilà, ils ont osé faire la carte.

    Cities are becoming less racially segregated. For that, thank suburban sprawl, extortionate house prices and immigrants
    Jan 9th 2016 | CHICAGO AND NEWHAM | From the print edition

    OAK PARK, just outside Chicago, is known to architecture aficionados as the home of Frank Lloyd Wright, who built some fine houses there. This small suburban village also has another distinction: it is racially mixed. In the 1970s it vigorously enforced anti-segregation laws; today the “People’s Republic of Oak Park”, as it is sardonically known, is 64% white, 21% black and 7% Hispanic. “Oak Park stands out so much,” says Maria Krysan at the University of Illinois at Chicago. But it does not stand out quite as much as it used to.

    America remains a racially divided country, and Chicago is one of its most segregated cities. The south side is almost entirely black; northern districts such as Lincoln Park are golf-ball white; a western slice is heavily Hispanic. Yet the Chicago metropolis as a whole—the city plus suburban burghs like Oak Park—is gradually blending. For several reasons, that trend is almost certainly unstoppable.

  • La libération autoritaire des terres de l’Ouest. Pratiques étatiques et légitimations du cadastrage dans l’Éthiopie contemporaine | jssj.org
    http://www.jssj.org/article/la-liberation-autoritaire-des-terres-de-louest-pratiques-etatiques-et-legitima

    L’#Éthiopie contemporaine constitue à cet égard un cas d’école, les enjeux fonciers condensant plusieurs questions politiques structurantes. Sur le temps long, l’accès à la terre a été un déterminant principal de la différenciation sociale au sein de la société éthiopienne (Markakis, 1974 ; Freeman & Pankhurst, 2003). Le foncier est aujourd’hui l’une des modalités d’intégration de l’Éthiopie dans la globalisation néolibérale, que ce soit du point de vue des transferts de larges parcelles à des investisseurs privés étrangers ou de celui de l’activité de programmes de développement financés par des bailleurs extérieurs et procédant à la formalisation des #droits_fonciers. En cela, le foncier est un révélateur éminent des formes de l’extraversion de l’État éthiopien (Bayart, 2000). Par ailleurs, dans le cadre du fédéralisme ethnique, système politique adopté par l’Éthiopie depuis le début des années 1990, la représentation politique est territorialisée d’une manière particulière. Le #fédéralisme ethnique fait de l’appartenance à une ’’nation, nationalité et peuple’’ le principe primordial de définition de l’#identité_politique de chacun (Vaughan, 2003 ; Ficquet, 2009).Le pays est divisé en États-régions censés refléter les zones de peuplement de chaque groupe ethnique[1]. Officiellement, ces peuples sont souverains dans les limites de leurs États-régions, et ce sont eux qui gouvernent l’accès à ’’leurs’’ terres, celles-ci restant constitutionnellement la #propriété de l’État.

    #terres #foncier #éthnicité merci @cdb_77

  • J’ai été un peu mou sur le signalement de l’article de LMSI.
    Je garde les pages donnés par les liens dans le corps de l’article, avec une extension quant au premier.
    http://seenthis.net/messages/337174 Par @julien

    Discriminations, ségrégation, ethnicisation : une sélection d’articles du Café Pédagogique http://reseau-lcd-ecole.ens-lyon.fr/spip.php?article135

    Dossier : Intégration : Que dit le rapport Dhume ? http://www.cafepedagogique.net/lemensuel/lenseignant/schumaines/educationcivique/Pages/2014/149_3.aspx

    G. Felouzis : Pisa, la République et l’apartheid scolaire http://www.cafepedagogique.net/lexpresso/Pages/2013/12/03122013Article635216655764289233.aspx

    La ségrégation ethnique au collège-G. Felouzis
    PDF : http://anthropopedagogie.com/wp-content/uploads/2012/04/G.Felouzis.pdf

    LE SYSTÈME ÉDUCATIF FRANÇAIS DANS L’OCDE : QUELLES PERFORMANCES ?
    http://www.ladocumentationfrancaise.fr/var/storage/libris/3303330403686/3303330403686_EX.pdf

    #ecole #république #inégalités #ethnicité #apartheid

  • Nigeria : des centaines de personnes tuées dans le « massacre le plus meurtrier » de l’histoire de Boko Haram | Slate.fr
    http://www.slate.fr/story/96665/nigeria-centaines-personnes-tuees-massacre-meurtrier-boko-haram

    « Des centaines de corps –trop pour pouvoir les compter– restent éparpillés dans le bush au Nigeria » après une attaque de Boko Haram mercredi, considérée par Amnesty International comme « le massacre le plus meurtrier » des extrémistes islamistes, rapporte l’Associated Press.

    La plupart des victimes sont des enfants, des femmes et des personnes âgées qui n’ont pas pu s’enfuir quand les extrémistes sont entrés dans la ville de Baga, à la frontière avec le Tchad.

    Dans un communiqué, Amnesty International a déclaré que jusqu’à 2.000 personnes pourraient avoir été tuées.

    #Nigeria #Boko_Haram

  • Les #entreprises du #Web dominées par les #hommes_blancs
    http://www.lemonde.fr/pixels/article/2014/07/25/les-entreprises-du-web-restent-dominees-par-les-hommes-blancs_4462498_440899

    Les hommes blancs continuent de dominer les grosses entreprises du Web, tant chez les développeurs que dans les postes à responsabilité. Twitter a publié, mercredi 23 juillet, son « rapport de diversité », à savoir la répartition de ses effectifs par #sexe et par #ethnicité. Pinterest, le réseau social dédié aux images, a fait de même, jeudi 24 juillet. Elles emboîtent le pas à plusieurs grandes entreprises du secteur qui ont publié des statistiques similaires ces derniers mois.