• Ci risiamo: il ministro Lollobrigida ha detto che non esiste una “razza italiana” ma “un’etnia italiana” da tutelare, soprattutto attraverso le nascite.

    Dopo la “grande sostituzione”, eccoci qui con un’altra teoria di estrema destra – quella del “differenzialismo”.

    l tentativo è chiarissimo: evitare le accuse di razzismo evitando l’impronunciabile “razza” e usando il più neutro “etnia”.

    Lo usa anche la Treccani!

    In realtà, come ha scritto Pierre-André Taguieff in diversi libri, “etnia” è un modo ripulito di dire “razza”.

    Questa innovazione linguistica la si deve ad Alain De Benoist, l’ideologo della “Nouvelle Droite”.

    Invece che fondarsi sull’inservibile razzismo “biologico-scientifico”, De Benoist si è concentrato sulle “differenze etnico-culturali”; da qui la definizione di “differenzialismo”.

    La faccio breve: siccome ogni “etnia” è “culturalmente” diversa, la convivenza è impossibile.

    Per vivere in pace, dunque, è meglio stare separati e non “contaminarsi”.

    È una forma di “razzismo politicamente corretto”, diciamo così, che ricorda sinistramente l’apartheid.

    Il pensiero di De Benoist non è affatto marginale, almeno all’interno di questo governo.

    Matteo Salvini anni fa ci faceva i convegni insieme.

    Ora invece è stato elogiato pubblicamente dal ministro della cultura Sangiuliano, e sarà ospite al Salone del Libro di Torino.

    Lollobrigida dice anche che occuparsi di natalità è un modo di “difendere la cultura italiana” e il “nostro modo di vivere”.

    Tradotto brutalmente: devono esserci più bambini bianchi.

    Altrimenti arrivano quelli «diversi» e si finisce con la “sostituzione etnica”.

    Insomma: dopo tutte le polemiche delle scorse settimane, rieccoci qui.

    Magari anche questa volta si tirerà in ballo “l’ignoranza”, o si accamperanno scuse di vario genere.

    Ma la realtà è che si tratta di precise scelte lessicali – e dunque politiche.

    https://twitter.com/captblicero/status/1656718304273104910

    #race #racisme #ethnie #terminologie #mots #vocabulaire #Lollobrigida #Italie #grand_remplacement #ethnie_italienne #différentialisme #Alain_De_Benoist #Nouvelle_Droite #extrême_droite #ethno-différentialisme #Francesco_Lollobrigida

    • Lollobrigida, l’etnia italiana e la leggenda della nazione omogenea

      Ci risiamo con una pezza che è peggiore del buco. Agli #Stati_generali_della_natalità (già il titolo meriterebbe un trattato filologico) l’irrefrenabile Lollobrigida, dopo avere detto, bontà sua, che è evidente che non esiste una razza italiana, ha dovuto colmare questa insopportabile lacuna, affermando che: “Esiste però una cultura, una etnia italiana che in questo convegno immagino si tenda a tutelare”. Esisterà dunque anche un’etnia francese (lo dica a bretoni e corsi), una spagnola (lo spieghi a baschi e catalani), una belga (l’importante che lo sappiano fiamminghi e valloni) o una inglese (basta non dirlo a scozzesi, gallesi e irlandesi). Ma forse no, lo stabordante ministro dell’Agricoltura sostiene il principio della purezza indicato peraltro nel punto 5 del Manifesto della razza: “È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”.

      La cultura italiana sarebbe dunque completamente autoctona. In un libretto scritto nel ventennio dal fondatore del Museo di Storia Naturale di Torino, c’era un capitolo (credo fosse d’obbligo) sull’elogio della razza italiana, che si era conservata pura “nonostante qualche invasione”. Quasi commovente quel “qualche”, i nostri libri di storia sono pressoché un elenco di invasioni, ma forse, proprio per questo la cultura italiana ha toccato punte di eccellenza (non adesso) come nel Rinascimento. Proprio grazie alla sintesi di culture diverse, che si sono fuse in una proposta originale fondata sull’incontro con la diversità.

      Siamo tutti d’accordo che il pensiero occidentale deve molto (non tutto, ma molto) a quello dell’antica Grecia, ma nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel sostiene, giustamente, che “gli inizi della cultura greca coincisero con l’arrivo degli stranieri”. Il tratto costitutivo per la nascita della cultura greca è quindi l’arrivo degli stranieri, di cui i greci avrebbero mantenuto “memoria grata” nella propria mitologia: Prometeo, per esempio, viene dal Caucaso, e lo stesso popolo greco si sarebbe sviluppato a partire da una “#colluvies” , termine che originariamente significava fango, immondizia, accozzaglia, scompiglio, caos.

      Gli Stati si differenzierebbero da quelle che chiamiamo “tribù” o etnia, perché contengono diversità, non omogeneità. Per quanto riguarda l’etnia, vale una celebre affermazione dell’antropologo britannico Siegfried Nadel: “L’etnia è un’unità sociale i cui membri affermano di formare un’unità sociale”. I Greci, peraltro, non associavano il concetto di #ethnos a un territorio, si poteva infatti essere greco anche in terre lontane, come volle esserlo Alessandro. L’etnicità di un popolo sta nel progetto.

      La storia viene spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi sta al potere si fonda spesso sulla storia, o meglio su una storia, quella storia. Perché, come affermava Ernest Renan, per costruire una nazione ci vuole una forte dose di memoria, ma anche un altrettanto forte dose di oblio: “L’oblio, e dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione (…) Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud”.

      Dobbiamo fingere di ricordare ciò che ci unisce e dimenticare quanto invece, del nostro passato, ci divide. Oppure accettare, come sostengono Julian S. Huxley e Alfred C. Haddon che: “Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/05/12/lollobrigida-letnia-italiana-e-la-leggenda-della-nazione-omogenea/7158926

      #nation #homogénéité #diversité #culture #culture_italienne #ethnicité #identité

  • Prédire les flux migratoires grâce à l’intelligence artificielle, le pari risqué de l’Union européenne
    https://disclose.ngo/fr/article/union-europeenne-veut-predire-les-flux-migratoires-grace-a-lintelligence-a

    Depuis plusieurs mois, l’Union européenne développe une intelligence artificielle censée prédire les flux migratoires afin d’améliorer l’accueil des migrants sur son sol. Or, selon plusieurs documents obtenus par Disclose, l’outil baptisé Itflows pourrait vite se transformer en une arme redoutable pour contrôler, discriminer et harceler les personnes cherchant refuge en Europe. Lire l’article

    • C’est un logiciel qui pourrait sa place dans une dystopie. Une intelligence artificielle capable de compiler des milliers de données afin de prédire des flux migratoires et identifier les risques de tensions liées à l’arrivée de réfugiés aux frontières de l’Europe. Son nom : Itflows, pour « outils et méthodes informatiques de gestion des flux migratoires ». Financé à hauteur de 5 millions d’euros par l’Union européenne et développé par un consortium composé d’instituts de recherche, d’une société privée (Terracom) et d’organisations caritatives, Itflows qui est en phase de test devrait rentrer en service à partir d’août 2023. Et ce, malgré des alertes répétées quant aux risques de détournement de ses capacités prédictives à des fins de contrôle et de restrictions des droits des réfugiés sur le sol européen.

      Encore méconnu, ce programme doit venir compléter un dispositif technologique destiné à la surveillance des frontières, notamment espagnoles, italiennes et grecques. Financé sur le budget d’« Horizon 2020 », le programme de recherche et d’innovation de l’Union européenne, Itflows s’ajoutera alors aux drones de surveillance autonome, aux détecteurs de mensonges dans les zones de passages ou à l’utilisation de logiciels d’extraction de données cellulaires.

      D’après notre enquête, les deux ONG contribuent à nourrir l’intelligence artificielle de Itflows en lui fournissant des informations précieuses. Des données directement issues d’entretiens réalisés dans des camps de réfugiés, auprès de Nigérians, de Maliens, d’Érythréens ou encore de Soudanais. Il pourra s’agir d’éléments liés à l’origine ethnique, l’orientation sexuelle ou encore la religion des personnes interrogées. Pour leur contribution, les branches italiennes de la Croix-Rouge et d’Oxfam ont respectivement reçu 167 000 euros et 116 000 euros de fonds publics européens.

      « Nous avons contribué à réaliser trente entretiens de migrants arrivés en Italie au cours des six dernières années », confirme la Croix rouge Italie, sollicitée par Disclose. Une fois analysées, puis rendues accessibles via une application baptisée EUMigraTool, ces informations serviront aux autorités italiennes dans leur analyse « des routes migratoires et des raisons qui poussent les gens à faire le voyage », ajoute l’association. Même son de cloche du côté de Oxfam Italie, qui salue l’intérêt pour « les responsables politiques des pays les plus exposés aux flux migratoires. » Les dirigeants pourront également s’appuyer sur l’analyse des risques politiques liés à l’arrivée de migrants sur leur sol. Le projet inclut en effet la possibilité d’étudier l’opinion publique dans certains pays européens vis-à-vis des migrants à travers une veille sur le réseau social Twitter.
      Des rapports internes alarmants

      En réalité, les risques de détournement du programme existent bel et bien. C’est ce que révèlent des rapports internes (https://www.documentcloud.org/projects/logiciel-itflows-208987) au consortium que Disclose a obtenu à la suite d’une demande d’accès à des documents administratifs. Lesdits rapports, datés de janvier et juin 2021, ont été rédigés par les membres du comité éthique du projet Itflows. Leurs conclusions sont alarmantes. Le premier document, une somme de 225 pages, révèle que « le consortium Itflows est pleinement conscient des risques et des impacts potentiels en matière de droits de l’homme, que les activités de recherche empirique sur les migrations (…) et les développements technologiques prévus dans le projet peuvent poser ». Plus loin, les auteurs enfoncent le clou. Selon eux, les informations fournies par l’algorithme pourraient servir, si elles devaient être utilisées « à mauvais escient », à « stigmatiser, discriminer, harceler ou intimider des personnes, en particulier celles qui sont vulnérables comme les migrants, les réfugiés et les demandeurs d’asile ».

      Cinq mois plus tard, le comité éthique rend un second rapport. Il détaille un peu plus le danger : « Les États membres pourraient utiliser les données fournies pour créer des ghettos de migrants » ; « risque d’identification physique des migrants » ; « discrimination sur la base de la race, du genre, de la religion, de l’orientation sexuelle, d’un handicap ou de l’âge » ; « risque que les migrants puissent être identifiés et sanctionnés pour irrégularités ». Et le régulateur d’alerter sur un autre péril : la poussée des « discours de haine » que pourrait induire une éventuelle diffusion des prédictions du logiciel dans « les zones où les habitants sont informés de déplacements » de populations.
      L’Europe fait la sourde oreille

      Des alertes qui ne semblent pas avoir été entendues. Comme en atteste un bilan dressé lors d’une réunion (https://www.documentcloud.org/documents/22120596-emt-symposium-agenda-16-sep-2021?responsive=1&title=1) en ligne le 16 septembre 2021 par la coordinatrice du comité éthique de Itflows, #Alexandra_Xanthaki, devant des responsables européens, dont #Zsuzsanna_Felkai_Janssen, rattachée à la direction générale des affaires intérieures de la Commission. « Nous avons passé six mois à travailler jour et nuit pour rédiger un rapport instaurant un cadre qui intègre les droits de l’homme », débute la responsable du comité éthique, selon un enregistrement que Disclose s’est procuré. Elle poursuit : « Il me semble pourtant que ce que disent les techniciens de l’équipe aujourd’hui c’est : nous n’en tenons pas compte ». Un manque de précaution qui inquiète jusqu’au sein du conseil d’administration d’Itflows. Joint par Disclose, Alexander Kjærum, analyste pour le conseil danois pour les réfugiés et membre du conseil de surveillance estime en effet qu’il existe « un risque important que des informations se retrouvent entre les mains d’États ou de gouvernements qui les utiliseront pour implanter davantage de barbelés le long des frontières. »

      Sollicitée, la coordinatrice du programme, #Cristina_Blasi_Casagran, assure que le logiciel « ne sera pas utilisé à mauvais escient ». Selon elle, Itflows « devrait même faciliter l’entrée des migrants [dans l’Union européenne] en permettant une meilleure affectation des ressources engagées dans l’#accueil ».

      #Frontex inquiète

      Un dernier point vient renforcer le risque d’un détournement du logiciel : l’intérêt de Frontex pour Iflows. D’après des documents internes, l’agence en charge de la surveillance des frontières de l’UE suit étroitement les avancées du programme. Jusqu’à y contribuer activement via la fourniture de données récoltées dans le cadre de ses missions. Or, depuis plusieurs années, l’agence européenne est régulièrement accusée d’expulsions illégales et de violations des droits de l’homme. Interrogée sur ce point, l’ONG Oxfam considère qu’il n’y a pas de risque de détournement du logiciel au profit de l’agence. La branche italienne de la Croix rouge déclare quant à elle que « la convention de subvention régissant la mise en œuvre du projet Itflows ne désigne pas Frontex comme utilisateur de l’outil, mais simplement comme source de données ouvertes ». En 2021, Frontex a élu l’interface Itflows parmi les projets d’Horizon 2020 au « potentiel opérationnel et innovant » le plus élevé.

      #AI #IA #intelligence_artificielle #complexe_militaro-industriel #asile #migrations #frontières #EU #UE #Union_européenne #prédiction #Itflows #contrôle #logiciel #risques #Terracom #surveillance #Espagne #Italie #Grèce #horizon_2020 #camps_de_réfugiés #Croix-Rouge #Oxfam #religion #origine_ethnique #ethnie #orientation_sexuelle #données #EUMigraTool #risques #risques_politiques #twitter #réseaux_sociaux #opinion_publique #technologie #algorithme #discrimination #identification #Croix_Rouge

      ping @reka @isskein @karine4 @_kg_

  • « Ceux qui disent que tout est “#race” ont autant tort que ceux qui disent que rien n’est “race” »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/11/23/catherine-coquery-vidrovitch-ceux-qui-disent-que-tout-est-race-ont-autant-to

    Certains appellent à #décoloniser les savoirs. Qu’en pensez-vous ?

    L’approche #postcoloniale invite à faire attention aux concepts que nous utilisons car ils sont nés d’une culture complexe qui remonte à l’histoire de l’esclavage, de la colonisation et de la décolonisation. Le mot « ethnie », par exemple, a été réadapté par les ethnologues allemands de la fin du XIXe siècle car ils ont constaté que dans l’Afrique précoloniale, il y avait des Etats. Seulement, on ne pouvait pas dire qu’il y avait des Etats à l’européenne en Afrique. Ils ont alors repêché le mot grec ethnos, « le #peuple », pour parler d’ethnie. Mais ça ne désigne pas la même chose : avec l’#ethnie, il y a l’idée d’une consanguinité. Cela ne correspond pas du tout à l’Afrique, où il y a toujours eu des mélanges et où il y en a de plus en plus ! L’ethnie est un terme colonial dont il faut se méfier. Il y a besoin d’un travail de déconstruction d’un vocabulaire et de concepts qui donnent une idée fausse des réalités politiques.

    Que pensez-vous de la résurgence du terme de « race » ?

    Tous les gens raisonnables et honnêtes savent que les races n’existent pas. Seulement, le racisme, lui, existe. Et donc l’idée de race (et non la race), aussi. Il n’y a aucune raison de ne pas l’étudier, parce qu’elle tient une place importante dans la société. Si vous êtes une jeune femme noire ayant fait peu d’études, vous avez moins de chances de trouver un emploi que si vous êtes un jeune homme blanc. C’est un fait. Pourquoi ne pas en tenir compte ? L’approche décoloniale a une idée-force intéressante qui est de dire que l’analyse sociale est complexe et qu’elle ne peut pas se résumer à la classe, qu’elle doit également prendre en considération le genre et la race.

    Les #universalistes et les ~décoloniaux s’apostrophent de façon extrêmement violente alors qu’il suffirait de faire un effort pour comprendre ce que chacun veut dire. Bien sûr que l’universel est important ! Mais il n’est pas occidental, blanc. Il est multiple. Ces querelles m’agacent un peu car elles sont à la limite de l’honnêteté intellectuelle, de part et d’autre. Ceux qui disent que tout est race ont autant tort que ceux qui disent que rien n’est race. A une époque de leur histoire, les Français ont été esclavagistes, donc racistes – puisqu’il s’agissait d’un #esclavage noir. C’est incontestable. Qu’il y en ait des relents aujourd’hui, c’est une réalité. Le tout est d’en avoir conscience pour pouvoir s’en détacher.

    • le début de cet entretien avec Catherine Coquery-Vidrovitch

      Figure fondatrice de l’#histoire_africaine en France, à qui l’on doit des découvertes importantes sur l’#histoire_coloniale et esclavagiste de l’Hexagone, Catherine Coquery-Vidrovitch publie Le Choix de l’Afrique (La Découverte, 304 pages, 22 euros) dans lequel elle revient sur son parcours hors norme mais aussi ce qui l’a poussée à travailler sur l’Afrique subsaharienne, perçue par ses pairs dans les années 1960 comme une terre sans histoire.

      Quel était le contexte intellectuel de vos débuts ?

      Il n’y avait pratiquement pas d’historiens travaillant sur l’Afrique subsaharienne. Seuls les anthropologues s’y intéressaient. Les Britanniques avaient créé deux chaires d’histoire africaine en 1947 – année de la première indépendance d’un pays dit du Sud, l’Inde –, l’une à la School of Oriental Studies de Londres, l’autre au Ghana. Mais en France, rien.

      J’ai été engagée, au tout début des années 1960, au sein de la sixième section de l’Ecole pratique des hautes études, dirigée par #Fernand_Braudel (1902-1985). Avec l’Ecole des annales, il avait participé à renouveler la conception de l’#histoire et il avait créé des aires géoculturelles rassemblant des chercheurs de différentes disciplines, y compris pour l’#Afrique_subsaharienne. C’était totalement nouveau. Pour les historiens français de l’époque, les sociétés africaines n’avaient pas d’histoire.

      Quelles étaient les sources dont vous disposiez ?

      Les archives sur l’Afrique subsaharienne étaient abondantes à cause du sens administratif et archivistique des colonies. Celles de l’Afrique-Occidentale française étaient rassemblées à Dakar, celles de l’Afrique-Equatoriale française à Brazzaville. Elles sont extrêmement riches à partir des années 1880. Mais ce qui m’intéressait, ce n’était pas l’histoire coloniale, celle des administrateurs et des colonisateurs, mais celle des Africains. Comment avaient-ils subi la conquête coloniale ? Qu’est-ce que cela avait changé ? Les sources écrites ne manquaient pas, mais il fallait les rassembler ; cela n’avait presque pas été fait parce qu’on pensait que les sources africaines étaient uniquement orales.

      Dans votre dernier ouvrage, « Le Choix de l’Afrique », vous revenez régulièrement sur le lieu d’où vous parlez : celui d’une femme blanche, qui a eu une enfance clandestine pendant la seconde guerre mondiale. Pourquoi ?

      L’objectivité, extrêmement importante pour un historien, n’existe jamais totalement. On reste toujours une personnalité fabriquée par une enfance, des influences, des opinions, qui choisit de s’intéresser à un sujet plutôt qu’un autre. Ce qui m’intéressait dans ce livre, c’était de reconstituer, après coup, pourquoi j’ai choisi l’Afrique.

      Mon enfance clandestine a énormément joué. J’avais entre 4 et 9 ans durant la seconde guerre mondiale. Mes parents et mes grands-parents étaient des juifs non pratiquants, parfaitement intégrés à la société française et s’il n’y avait pas eu Vichy et les lois contre les juifs, je n’aurais probablement que très peu su que je l’étais. Mon père est mort pendant la guerre, son père s’est suicidé de désespoir et mon grand-père maternel a été dénoncé, puis gazé à Auschwitz. Je sais ce que c’est que de se sentir étrangère à son propre pays. Je sais ce que c’est que d’être « occupé ». Les colonisés ont eux aussi été occupés et personne ne les a vus sous ce jour-là. Mon enfance a été une étape de mon choix de l’Afrique.

      La seconde étape a été la découverte de l’Algérie pendant la guerre alors que mon mari y faisait son service militaire. J’étais anticolonialiste comme beaucoup de jeunes à l’époque, et contre la guerre d’Algérie.

      A quoi l’Afrique que vous découvrez en 1965 ressemblait-elle ?

      Je suis arrivée au Gabon dans une petite dictature néocoloniale. Les Français étaient encore là. La première chose qui m’a sauté aux yeux était leur #racisme. J’avais l’impression d’être en 1880 ! Alors qu’on était cinq ans après l’indépendance. C’était une situation totalement néocoloniale, notamment parce que l’école coloniale n’avait formé que quelques auxiliaires pour les postes subalternes. Jusque dans les années 1980, tout ce qui demandait un peu de savoir et de responsabilité, comme la fonction publique, était détenu par les Français. En 1965, l’adjoint du ministre de l’intérieur du Gabon était un ancien administrateur colonial. J’ai vu ainsi la genèse de la « #Françafrique » avec une très forte solidarité de l’ensemble des expatriés, qui ne fréquentaient pas les Africains.

      Cela a changé à partir des années 1990-2000. Avec la fin de la guerre froide et l’organisation des conférences nationales, on a vu se constituer des sociétés civiles. Et un effort scolaire énorme a été fait. Or, un enfant qui va à l’école sera actif quelque trente ans plus tard. Ça correspond à aujourd’hui.

      Y a-t-il une différence entre une approche française et une approche africaine de l’histoire ?

      Oui et non. Nous n’avons pas le même point de vue, c’est certain, et nous ne voyons pas nécessairement les mêmes choses. C’est pour cela qu’il est intéressant de travailler ensemble. Du côté français, il y a l’héritage d’une conscience de supériorité qui traîne encore dans pas mal d’esprits d’historiens et de chercheurs spécialisés en études africaines. Du côté africain, il y a eu une réaction nationaliste très forte dans les années 1970-1980 affirmant que l’histoire africaine devait être faite par des Africains. Cet afrocentrisme est le pendant exact de l’européocentrisme.

      Ça existe encore, mais beaucoup moins qu’avant. Les sciences sociales sont devenues internationales avec la multiplication des échanges et le développement d’Internet. Aujourd’hui, on a basculé dans une histoire globale, mondiale, comparée. C’est un acquis assez récent du côté européen, qui a longtemps eu une histoire occidentalo-centriste : on étudiait le monde à partir du point de vue européen.

      Il est important, dites-vous, de reconnecter l’histoire africaine à l’#histoire_mondiale

      Pendant plus de vingt ans, j’ai donné un cours aux Etats-Unis sur la place de l’#Afrique dans l’histoire du monde et j’ai fini par en faire un livre, Petite histoire de l’Afrique (La Découverte, 2011). Le rôle de l’économie et des cultures africaines dans le monde est multiséculaire. Mais en France, probablement à cause de l’histoire de l’esclavage et de la colonisation, on l’a ignoré.

      L’Afrique subsaharienne a été très importante sur le plan économique international pendant tout le Moyen Age, par exemple. Avant la découverte de l’Amérique, la quasi-totalité de l’or du monde partait en Occident ou en Asie à partir des mines d’Afrique subsaharienne. L’Afrique a joué un rôle important dans l’histoire du monde, mais qui le sait ? Ne pas enseigner l’histoire africaine revient à fausser l’évolution de l’histoire du monde. (...)

  • Mosaïque ethno-linguistique en Afghanistan au milieu des années 1990
    https://visionscarto.net/afghanistan-ethno-linguistique

    Titre : Mosaïque ethno-linguistique en Afghanistan au début des années 2000 Mots-clés : #guerre #conflits #afghanistan #talibans #islamisme Contexte : Atlas du Monde diplomatique, 2003, page 168 et 169 Source : - Auteur : Philippe Rekacewicz Date : 1996 et 2003 #Musée_et_archives

  • Que répondre à celles et ceux que gêne le mot race ?

    Les races n’existent pas : bien-sûr ! Faut-il donc renoncer au mot ? Sarah Mazouz répond pas la négative, car si les races n’existent pas, les manifestations du #racisme sont toujours là, et partout : #inégalités et #préjugés, commentateurs d’extrême-droite invités sur les grandes chaînes télé, petites blagues du quotidien, #violences physiques et symboliques, et plus largement encore une #discrimination massive au travail, au logement, et dans toutes les sphères de la vie sociale. Avec pédagogie, l’auteure explique l’importance du mot « Race », et pourquoi il peut et doit être utilisé dans un tout autre sens que son acception raciste. Surtout, elle dévoile ce qui se niche derrière le refus obstiné – et prétendument antiraciste – d’utiliser le mot : un déni persistant de parler d’un #rapport_de_pouvoir, doublé d’une ignorance regrettable de la multitude des travaux existants. Parce qu’il est clair, limpide, aussi utile que percutant, nous recommandons vivement la lecture de ce livre, dont voici un extrait.

    Une scène se répète souvent. Lors de journées d’études ou de séminaires portant sur la #question_raciale ou sur les auteurs·trices spécialistes de ces questions dans le monde anglophone ou en France, il se trouve quasiment toujours une personne dans le public pour faire la remarque suivante : en France, on n’utilise pas le terme de race. Il ne peut pas être utilisé comme notion servant l’analyse scientifique parce qu’elle appartient au lexique raciste. L’utiliser, c’est croire que les races existent, donc se laisser confondre avec les tenant·e·s d’une idéologie qui prône une hiérarchie naturelle entre les groupes humains.

    Passé la lassitude de devoir répondre régulièrement à cette question, on finit par le faire. Parce que la pédagogie est faite de répétition. Parce qu’il est toujours bon de lever le malentendu. Aussi, parce que la résistance à l’usage de cette notion dit quelque chose de son histoire, de la nécessité d’explicitation qui doit, par conséquent, en régler l’emploi et tout simplement de la manière dont, précisément, les processus de #racialisation jouent dans ce que l’on admet ou non, dans ce que l’on sait ou ignore.

    On souligne alors l’idéalisme qu’il y a à croire que le problème peut être réglé par la seule suppression du mot et le #déni qui consiste à considérer l’#évitement comme la solution. On s’attache à rappeler que pour les personnes soumises aux catégorisations racialisantes, l’expérience de l’assignation ou des discriminations raciales qui peuvent en découler est quotidienne (que le mot « race » soit utilisé ou non). On peut ajouter que les #discours_racistes n’ont pas besoin du mot de race pour inférioriser les membres des groupes qu’ils visent.

    C’est le cas par exemple de l’adjectif « #ethnique », qui est souvent conçu comme une manière acceptable de qualifier les processus qui relèvent, en fait, des logiques de racialisation sans avoir à utiliser les termes de race, de racialisation ou de #racisation, comme si le terme en lui-même permettait de prémunir du geste d’#essentialisation et d’#assignation_racialisante. On peut dire « #ethnie » et penser « race » dans l’acception raciste du terme. C’est le cas, par exemple de certains textes de #Maurice_Barrès où l’écrivain antisémite parle du « nez ethnique » du capitaine Dreyfus.

    À l’instar de ce que l’universitaire britannique Satnam Vidree a fait lors d’une conférence consacrée aux rapports entre « Gauche et Race », organisé le 15 octobre 2019 au CERI (Science Po), on peut également inviter notre interlocutrice ou interlocuteur à considérer les logiques de racialisation comme un #fait_social avec lequel il faut travailler, qu’elles s’incarnent dans le #racisme_explicite ou qu’elles se manifestent insidieusement et de manière sédimentée dans nos catégories de #perception même les plus anodines.

    On peut parfois ajouter que l’#inconfort suscité par la notion de race recèle quelque chose de salutaire en ce qu’il nous empêche de croire que la question est classée et qu’il nous rappelle dans quelle(s) filiation(s) historique(s) des discours, des gestes mais aussi des choix politiques, des pratiques administratives ou des décisions juridiques peuvent continuer de s’inscrire.

    On peut également inviter à rompre avec cette #fétichisation du terme « race » en rappelant que la notion de classe a acquis sa dimension critique grâce aux travaux des penseurs socialistes et en particulier grâce à Marx. Mais avant de devenir l’instrument théorique et politique mettant en lumière l’appropriation et l’exploitation dont les membres de la classe ouvrière faisaient l’objet et servant, par le concept de lutte des classes, à analyser la structuration conflictuelle du capitalisme tout en réfléchissant à la possibilité de son dépassement, la #classe a servi une lecture naturalisée des rapports sociaux au service de l’aristocratie et de la bourgeoisie. On peut d’ailleurs à ce titre ajouter qu’une des leçons du marxisme est de rappeler le sens historique et social des concepts et que les sens et les usages qu’on en fait évoluent et sont à historiciser.

    Certain·es pourront expliquer la persistance du #malentendu en reprochant aux tenant·es d’une démarche critique de la race d’utiliser le même terme que celles et ceux qu’ils souhaitent combattre. L’idée est dans ce cas que les choses seraient plus claires si un mot différent que celui de race permettait de désigner le rapport de pouvoir que les travaux critiques désignent par la notion de race. À cette objection, on peut déjà répondre que « racialisation » et « racisation » ne font pas partie du lexique utilisé par les textes et les auteurs racistes et qu’ils ont bel et bien été inventés pour désigner les processus sociaux de production des hiérarchies raciales.

    Par ailleurs, faire cette critique, c’est une fois de plus se placer sur le seul plan lexical et faire comme si le problème tenait au mot (y avoir recours produirait le racisme, l’ôter réglerait le problème, en utiliser un autre éviterait le malentendu) et non au rejet de l’exigence de reconnaissance d’un phénomène social auquel le concept invite.

    Le débat tel qu’il se configure actuellement en France et les crispations qu’il donne à voir porte en fait précisément sur le fait de dire et d’accepter que la société française racialise. On pourrait utiliser un terme qui n’a rien à voir avec celui de race mais auquel on donnerait le contenu conceptuel de la notion critique de race, on assisterait malgré tout aux mêmes levées de boucliers. En ce sens, le problème n’est pas tant celui de l’équivoque lexicale du terme « race », que celui de la résistance politique au concept de racialisation ou de racisation.

    De même, je ne pense pas que transposer au contexte français la proposition faite par le philosophe africain-américain Michael O. Hardimon dans Rethinking Race. The Case of Deflationary Realism (2017) d’utiliser le concept de « #socialrace » mettrait fin à ce type de malentendu ou aux attaques plus violentes auxquelles on peut faire face quand on utilise la notion de race de manière critique. D’abord, sans doute que certain·e·s profiteraient de la façon dont ce mot-valise a été construit pour objecter que le fait de préciser « social » laisse entendre qu’on accepte d’autres conceptions de la notion de race. Ensuite, il me semble que les analyses proposées par le philosophe pour éviter les écueils posés par la #polysémie de la notion de race, pour métaphysiques qu’elles soient, tiennent en fait beaucoup à la façon dont le concept de race est utilisé dans le contexte états-unien. Son point de départ pour examiner les formalisations possibles du concept de race est un contexte où l’usage du terme est admis, courant et peut, de ce fait, être plus vague. D’où l’objectif de Hardimon de préciser différents sens du concept de race tout en s’attachant à limiter et à cerner le sens de l’énoncé « la race existe » – ce qu’il signifie en parlant de #réalisme_déflationniste, c’est-à-dire admettre que le concept critique de race désigne des phénomènes réels tout en limitant les cas auxquels il s’applique.

    Le cas français obéit à une chronologie différente. Pendant longtemps, le terme ne pouvait s’utiliser comme un concept décrivant un rapport de pouvoir socialement produit. Puis, il a été progressivement introduit en ce sens et c’est sur cet usage-là que les polémiques et les critiques se concentrent aujourd’hui. Transposé au contexte français, le choix de forger le mot-valise « socialrace » n’offrirait pas en fait une solution préférable à celle qui consiste à expliquer en quel sens on fait usage de la notion de race ou à utiliser les notions de racialisation ou de racisation.

    Parce que, pour le moment, il n’y a pas d’autres usages explicites de la notion de race disponibles dans les discours publics. Ensuite, parce que, au risque de me répéter, c’est bien la mise en évidence des processus de racialisation qui pose problème à celles et ceux qui s’en prennent aux travaux critiques de la race.

    Les attaques qui portent sur le choix du mot « race » ne doivent pas nous tromper. Si elles jouent de l’aubaine que constitue l’histoire de ce mot, elles se concentrent en fait précisément sur le concept critique de race, entendu donc comme processus social de racialisation ou de racisation.

    Enfin si la question n’était qu’un problème de mécompréhension de ce que l’on entend par race, la vindicte aurait cessé à partir du moment où les explications ont été données, sans que nous ayons à revenir constamment sur ce que la notion critique de race signifie ou sur ce que « racialiser » veut dire.

    https://lmsi.net/Que-repondre-a-celles-et-ceux-que-gene-le-mot-race
    #race #racisme #mots #vocabulaire #terminologie...
    Et évidemment, là, aujourd’hui en France, #séparatisme
    #Sarah_Mazouz
    #historicisation #ressources_pédagogiques

    aussi signalé ici :
    https://seenthis.net/messages/897162

    ping @isskein @karine4 @cede

    • Race

      Les répercussions mondiales de la mort de George Floyd, le 25 mai 2020, l’ont montré : plus que jamais il est utile de défendre un usage critique du mot race, celui qui permet de désigner et par là de déjouer les actualisations contemporaines de l’assignation raciale.

      User de manière critique de la notion de race, c’est, en effet, décider de regarder au-delà de l’expression manifeste et facilement décelable du racisme assumé. C’est saisir la forme sédimentée, ordinaire et banalisée de l’assignation raciale et la désigner comme telle, quand elle s’exprime dans une blague ou un compliment, dans une manière de se croire attentif ou au contraire de laisser glisser le lapsus, dans le regard que l’on porte ou la compétence particulière que l’on attribue. C’est ainsi expliciter et problématiser la manière dont selon les époques et les contextes, une société construit du racial.

      Si le mot a changé d’usage et de camp, il demeure cependant tributaire de son histoire et y recourir de manière critique fait facilement l’objet d’un retournement de discrédit. Celles et ceux qui dénoncent les logiques de racialisation sont traité·es de racistes. Celles et ceux qui mettent en lumière l’expérience minoritaire en la rapportant à celle des discriminations raciales sont accusé·es d’avoir des vues hégémoniques. Dans le même temps, les discours racialisants continuent de prospérer sous le regard indifférent de la majorité.

      Si le mot de race sert à révéler, y recourir est donc d’autant plus nécessaire dans le contexte français d’une République qui pense avoir réalisé son exigence d’indifférence à la race et y être parfaitement « #aveugle », « #colour-blind », dirait-on en anglais.

      https://anamosa.fr/produit/race
      #livre

    • « Race », de Sarah Mazouz

      Sarah Mazouz est sociologue, chargée de recherches au CNRS. Ses travaux s’appuient sur des enquêtes ethnographiques et mobilisent les critical race studies, la sociologie du droit, la sociologie des politiques publiques et l’anthropologie critique de la morale. Elle montre comment s’articulent dans l’espace social immigration, nation et racialisation.

      https://soundcloud.com/radio-traces/sarah-mazouz-final


      #lecture #son

  • Coronavirus : la troublante surmortalité des minorités ethniques au Royaume-Uni
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/05/29/coronavirus-la-troublante-surmortalite-des-minorites-ethniques-au-royaume-un

    Le Covid-19 a bien davantage tué dans les zones les plus pauvres du pays et chez les « BAME » (« Black, Asian and Minority Ethnic »), populations fournissant de gros contingents de travailleurs essentiels, en première ligne pour maintenir l’activité, que dans les quartiers chics et blancs de la capitale. Le 7 mai, l’ONS publiait ainsi des données portant sur les morts en Angleterre et au Pays de Galles entre le 2 mars et le 10 avril. Il en ressortait que, pour une même classe d’âge et un même environnement socio-économique, les hommes et femmes noirs ont encore 1,9 fois plus de risques de mourir du Covid-19 que les Blancs. Le facteur de risque est de 1,8 pour les hommes d’origine bangladaise et pakistanaise, et de 1,6 pour les femmes de ces mêmes origines.
    Un constat corroboré par les résultats du projet Opensafely, se basant sur les données médicales de 17 millions de personnes résidant au Royaume-Uni (dont 5 683 sont décédées du Covid-19 dans des hôpitaux entre le 1er février et le 25 avril). Une fois écartés les facteurs de risque tels que l’âge, les maladies cardio-vasculaires, le diabète ou l’obésité, les personnes noires et d’origine asiatique ont encore 60 % à 70 % de risques de mourir en plus que les Blancs.

    #Covid-19#migrant#migration#GrandeBretagne#diaspora#ethnie#surmortalité#statistiques#données-médicales#santé#facteur-de-risque

    • Je ne sais pas particulièrement pour l’Afrique, mais ailleurs les cartes qui prétendent opposer des frontières ethniques plus légitimes que les frontières imposées par les méchants impérialistes ont généralement vocation à justifier de grosses saloperies génocidaires.

    • Carte de George Murdock, 1959. On en trouve des versions colorées avec frontières des états actuels.

      Sur reddit, il y a un gros débat sur ethnie/tribu et, ailleurs, des remarques sur le fait qu’à de très nombreux endroits les ethnies/tribus cohabitent pacifiquement. Comme le remarque @arno, l’obsession des délimitations et des frontières dérive très vite vers une « logique » (?) de « pureté » et donc d’épuration…

    • C’est ce qu’on dit, c’est ce qu’on dit... Je crois qu’il faut être très prudent avec ce genre d’affirmation, très souvent les gens se reconnaissent dans une appartenance régionale ou clanique sans qu’on leur ait brandi de carte sous le nez.
      En Éthiopie les divisions administratives (les régions) sont fondées sur des ancrages ethniques et personne ne s’entretue.
      Sur la carte il n’y a ni Tutsi ni Hutu mais Ruanda.
      Depuis 2016, c’est la minorité anglophone qui s’oppose au pouvoir au Cameroun.

  • Achille Mbembe : « Pourquoi il n’y aura pas de “gilets jaunes” en #Afrique »
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/12/18/achille-mbembe-pourquoi-il-n-y-aura-pas-de-gilets-jaunes-en-afrique_5399132_

    [Les #élites au #pouvoir en Afrique] ont su mettre à profit leurs positions et leurs avoirs dans le but de bâtir des patrimoines et consolider leur mainmise sur l’#Etat. Davantage encore, elles se sont transnationalisées. La profondeur d’enracinement de ces élites au sein de leur société est telle qu’elles sont parvenues à clientéliser des pans entiers de leurs communautés. Les chaînes de #dépendance sont dès lors étendues, et pour les dépossédés, le poids de la dette sociale peut être lourd à porter. Rompre coûte très cher, pour des gains généralement aléatoires.

    Là où il a le mieux réussi, le projet des élites au pouvoir a toujours été multiethnique, celui d’une classe sociale consciente de ses intérêts et étroitement connectée à des réseaux internationaux. Mais pour asseoir son hégémonie, cette classe sociale n’a pas hésité à manipuler la conscience ethnique. C’est en effet par ces canaux et ceux de la parentèle que se constituent les chaînes de dépendance et de la redistribution. Ce faisant, cette classe s’est servi de l’opium identitaire pour diviser les catégories subalternes de la société, rendant ainsi difficile leurs émergence et coalition en tant que classe sociale distincte. Tant que cette division de la société entre une élite structurée en classe sociale intégrale et un peuple nourri aux fantasmes de la politique identitaire persiste, les chances d’une révolution sociale radicale seront maigres.

    #clientélisme #identités #ethnie

  • Épistémicides. L’impérialisme m’a TueR
    https://www.youtube.com/watch?v=zK6hegi_wHE


    #épistémicide #Fatima_Khemilat
    #impérialisme #ethnocentrisme #post-modernisme #livres_d'histoire #histoire #sciences_non-occidentales #privilège_de_l'épistémè #cogito_ergo_sum #légitimité #disqualification #discrimination

    épistémicide = tuer la #science

    #Etat-nation -vs- #tribus #ethnies
    #civilisation -vs- #barbarie
    #culture -vs- #folklore #exotisme
    #mythes -vs- #croyance #religion
    #domination #pouvoir

    Citation de #Norbert_Elias :

    « La civilisation c’est la prise de conscience par les occidentaux de la supériorité de leur culture et de leur savoir sur les autres »

    La #découverte_de_l'Amérique...

    #reconquista #prise_de_grenade #chute_de_grenade

    #contreverse_de_Valladolid :

    La controverse de Valladolid est un débat qui opposa essentiellement le dominicain Bartolomé de #Las_Casas et le théologien Juan Ginés de #Sepúlveda en deux séances d’un mois chacune (l’une en 1550 et l’autre en 1551) au collège San Gregorio de Valladolid, mais principalement par échanges épistolaires. Ce débat réunissait des théologiens, des juristes et des administrateurs du royaume, afin que, selon le souhait de Charles Quint, il se traite et parle de la manière dont devaient se faire les conquêtes dans le Nouveau Monde, suspendues par lui, pour qu’elles se fassent avec justice et en sécurité de conscience.
    La question était de savoir si les Espagnols pouvaient coloniser le Nouveau Monde et dominer les indigènes, les Amérindiens, par droit de conquête, avec la justification morale pouvant permettre de mettre fin à des modes de vie observés dans les civilisations précolombiennes, notamment la pratique institutionnelle du sacrifice humain, ou si les sociétés amérindiennes étaient légitimes malgré de tels éléments et que seul le bon exemple devait être promu via une colonisation - émigration.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Controverse_de_Valladolid

    #eugénisme #racisme #pureté_de_sang

    #objectivité_de_la_science

  • Vu passer cette carte et ce commentaire sur FB, intéressant pour une réflexion sur les #frontières et les #migrations (https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10155024181090178&set=a.45021390177.67058.603770177&type=3&).

    Carte :


    Carte tirée d’un rapport frontex : http://frontex.europa.eu/assets/Publications/Risk_Analysis/AFIC/AFIC_2016.pdf
    Titre de la carte : « Ethnic boundaries in the region extend beyond national borders, greatly facilitating cross-border smuggling
    activities »

    Commentaire de Marie Martin :

    Look at the title.This is the scientific way the EU agency Frontex is providing essentialist (racist?) analysis on migration movements. African Frontex Intelligence Community Report 2016.

    Et elle ajoute :

    Le titre suggère que les passages aux frontières de manière non autorisée sont facilités quand passeurs et migrants font partie de la même ethnie. « Les frontières ethniques facilitent les trafics transfrontaliers ». On sait à quel point le fait il est dangereux de juger du comportement des gens sur la base de leur appartenance ethnique.

    #cartographie #visualisation #passeurs #frontières_nationales #frontières_ethniques #passeurs #ethnies

    cc @reka

  • Popoli sahariani e saheliani

    La carta riporta la dislocazione delle popolazioni camito-semitiche (famiglia molto ampia e denominazione largamente dibattuta nelle dottrine antropologiche e linguistiche, che include fra gli altri tuareg, berberi e arabi) e delle varie tribù ed etnie che abitano la fascia subsahariana.


    http://www.limesonline.com/popoli-sahariani-e-saheliani-3/87071
    #cartographie #Sahara #Sahel #langues #peuples #ethnies
    @reka: aucune idée si c’est une bonne carte... je signale ici comme ressource à utiliser ou critiquer...

  • Pourquoi le concept d’#ethnie ne nous sert plus à rien

    Le concept d’ethnie est historiquement situé. Il correspond au moment, à partir du XVe siècle, mais plus encore à partir des conquêtes coloniales du XIXe siècle, de la découverte par les Européens de sociétés autres. On a décrit ces sociétés comme « ethnos » : des peuples, et non des nations, opposant ainsi l’État-nation au peuple sans État. Ce concept me semble aujourd’hui inopérant.

    https://theconversation.com/pourquoi-le-concept-dethnie-ne-nous-sert-plus-a-rien-64651
    #concept #définition #mots #terminologie

  • Salut tout le monde,
    le programme de khâgne pour l’an prochain vient de sortir pour le concours de l’ENS de Lyon, je suis donc preneur de toute information, actualité, référence scientifique ou autre sur la question suivante : « #Population et #inégalités dans le monde ».
    #démographie #géographie #mobilités
    @reka @cdb_77 @odilon


    La lettre de cadrage est la suivante :

    Population et inégalités dans le monde

    La question au programme invite les candidats à rapprocher l’analyse des dynamiques #démographiques de l’étude des inégalités, des processus dont elles résultent et des dispositifs mis en oeuvre pour tenter de les réduire. La compréhension des dynamiques démographiques est au coeur de la réflexion géographique et l’analyse des inégalités est centrale pour la compréhension du monde globalisé. Les inégalités peuvent être définies comme des disparités - diversement perçues, construites et traitées socialement dans le monde – en matière d’accès aux biens, aux ressources et aux services. Elles recoupent plusieurs domaines qui relèvent plus largement du #développement humain. Plusieurs dimensions peuvent être prises en compte telles que les conditions d’existence, les #revenus, l’accès aux services de base, la #santé, l’#éducation, les #ressources, la #sécurité, la #justice, les droits fondamentaux.

    Il s’agit de se demander dans quelle mesure les inégalités persistent ou s’accroissent, dans un contexte d’évolution des situations de développement et de mondialisation qui tendent à reconfigurer les caractéristiques démographiques des populations humaines.

    La question invite à considérer les interactions entre population et inégalités. Les différents types de dynamiques démographiques génèrent des motifs et des formes de répartition des populations et des inégalités. Ces inégalités sont, à leur tour, à l’origine de nouvelles dynamiques démographiques.

    Les relations réciproques entre démographie et inégalités doivent être analysées sur un plan géographique, à différentes échelles (mondiale, régionale et intra-régionale). Des travaux menés à l’échelle locale seront mobilisables dans la mesure où ils servent à illustrer des processus et des dynamiques liées aux inégalités au sein des populations. Au-delà des grandes formes de #distribution spatiale, il s’agira aussi de considérer les #flux de population en relation avec les grands types d’inégalités dans le monde. Les inégalités d’accès à des biens fondamentaux tels que l’#eau potable et l’#alimentation génèrent, par exemple, de multiples formes de #mobilités et de #conflits. De même, les enjeux sociaux liés au #vieillissement des populations s’expriment sous différentes formes selon les régions du monde. Enfin, il conviendra d’aborder des champs traités plus récemment par la géographie telles que les études de #genre, les logiques de l’#exclusion sociale au détriment de celles de l’intégration, les formes de s#égrégation et de #discrimination, les régimes de #visibilité/invisibilité.
    La connaissance des principaux indicateurs synthétiques de mesure des inégalités (IDH, PIB, PPA…) est attendue. Leur spatialisation permet une lecture géographique des inégalités, à plusieurs échelles. En outre, la prise en compte de différentes approches des inégalités (par les capabilités, par exemple) complètera les informations données par les indicateurs synthétiques. Concernant les dynamiques démographiques, la connaissance des caractéristiques d’une population (pyramide des âges, sex ratio, stratifications sociales…), des indicateurs démographiques (taux de fécondité, taux de natalité…), des composantes, rythmes et modalités de la croissance (solde naturel, solde migratoire, transition démographique, vieillissement…) permet de poser des jalons de compréhension. L’analyse de ces différents paramètres devra être menée dans une perspective comparative, en cherchant à repérer et à expliquer les principaux contrastes géographiques et les discontinuités spatiales qui en résultent.
    Les principaux processus causant les inégalités au sein des populations devront être étudiés. La #croissance de la population mondiale est en effet à mettre en lien avec l’organisation des sociétés contemporaines et avec les processus globaux, qu’il s’agisse de la #mondialisation, des enjeux démographiques des changements environnementaux, des problématiques de santé globale, de l’émergence de nouveaux régimes #migratoires, ou des transformations sociales. L’analyse géographique doit considérer les conséquences spatiales du très fort accroissement démographique dans ses différentes dimensions régionales. Les processus tels que l’#urbanisation ou la #littoralisation devront être connus. A l’inverse, la décroissance démographique dans certaines régions ou dans certains Etats, conséquence d’un déficit naturel et/ou de l’#émigration renvoient à des formes d’organisation des territoires à ne pas négliger. La question implique enfin d’analyser les #transitions,
    la transition démographique en premier lieu mais également les transitions urbaine, alimentaire et mobilitaire. Il faudra aussi prendre en compte de nouveaux niveaux d’organisation : les inégalités peuvent être saisies au niveau des groupes humains, où les questions de #genre importent. Ces processus conduiront à analyser de manière critique les grandes catégories de lecture et de classification du monde sous l’angle de la population (opposition #Nord/Sud, ou jeunes/vieux par exemple).
    Au-delà de la connaissance des contrastes économiques et sociaux, le programme invite à s’interroger sur les réponses apportées par les acteurs géographiques et territoriaux aux situations d’inégalité. Les principales stratégies de réduction des inégalités entre individus et entre territoires, devront être abordées. D’un côté, les populations génèrent elles-mêmes des dynamiques pour s’extraire de leurs difficultés socio-territoriales (rôle croissant des #femmes dans ces dynamiques, logiques migratoires, nouvelles formes de #solidarité…). D’un autre côté, les politiques et les programmes de lutte contre les inégalités sont menés à différentes échelles et visent à garantir un meilleur accès aux ressources (éducation, emploi, NTIC) à toutes les populations, quel que soit leur lieu de naissance (région prospère ou en retard de développement, ville ou campagne) et leurs caractéristiques (âge, genre, #ethnie, orientation sexuelle). Ces politiques sont portées par des acteurs de nature très diverse (organisations internationales et régionales, Etats, organisations non gouvernementales et, de plus en plus, organismes privés). A ce sujet on pourra mettre en évidence le retrait de l’Etat de certains grands programmes de réduction des inégalités (comme l’Aide publique au développement) au profit d’autres acteurs. La connaissance de quelques grandes politiques démographiques incitatives, des évolutions des modalités de l’aide au développement pour les pays du Sud ou des mesures de protection sociale et de leurs impacts spatiaux dans les pays du Nord est attendue.

  • Poland Moves to Take in Ethnic Poles From Former USSR - The New York Times
    http://www.nytimes.com/aponline/2015/09/29/world/europe/ap-eu-poland-migrants.html

    Poland has earmarked funds to bring in tens of thousands of ethnic Poles now living in Kazakhstan, Ukraine and other former Soviet republics, its finance minister said Tuesday.

    The long-neglected issue was raised recently amid a heated debate over the European Union’s plan to share 120,000 refugees from the Middle East, Africa and Asia among its 28 members.

    Poland has said it will host 7,000 of them. Critics of the refugee program, however, say Poland’s first obligation is toward the ethnic Poles who Soviet dictator Josef Stalin expelled by hundreds of thousands from their homes, and to their descendants.

    Most of the expulsions took place during World War II, when Soviet authorities forcefully sent Poles from areas overtaken by the Red Army to Siberia or the bare steppes of Kazakhstan. The families were not allowed to return for decades under communism, both in the Soviet Union and Poland, until the 1990s.

    Finance Minister Mateusz Szczurek said Tuesday the Cabinet has put aside funds for the repatriations — and the Interior Ministry said it would be 30 million zlotys ($8 million) in 2016 alone. The money — for housing, Polish language lessons and professional training — would go to local governments to encourage them to take in the arrivals.

    Under the EU refugee program, funds for people from Syria and Eritrea will come from the bloc.

    Democratic Poland started the ethnic repatriation program in the late 1990s but the reluctance of local governments has been a chief obstacle. So far, some 5,000 ethnic Poles have been brought to Poland from Kazakhstan, Georgia and Uzbekistan, according to the Interior Ministry. Another 180 were evacuated from war-torn eastern Ukraine in February.

    But tens of thousands more are waiting. There are at least 34,000 ethnic Poles in Kazakhstan alone, according to estimates.

  • Hong Kong, Taiwan et l’irrédentisme chinois : le principe « un pays, deux systèmes » en échec ?

    Le 14 décembre, un drapeau flottait au centre du dernier carré d’occupants à Causeway Bay, au centre de Hong Kong : celui de la République de Chine – le nom officiel de Taïwan. A son pied, une pancarte affirmait : « Hong Kong et Taiwan à l’unisson, ensemble dans l’adversité ». Le lendemain, le campement était dégagé sans résistance par la police.
    Cette expression de solidarité n’est pas isolée. Elle indique les convergences entre les situations hongkongaise et taïwanaise, que deux crises politiques majeures ont mises en relief en 2014 : le « mouvement des Tournesols » en mars à Taiwan, et l’occupation de 75 jours qu’a connue Hong Kong entre octobre et décembre. Le mouvement taïwanais, qui a conduit à l’occupation prolongée du Yuan législatif (parlement) par les étudiants, avait pour cible un accord de libre-échange avec la Chine, préparé par les autorités du Kuomintang dans des conditions largement condamnées comme opaques. A Hong Kong, l’enjeu touchait directement au système politique. L’élection du chef de l’exécutif au suffrage universel était une promesse de longue date de Pékin, mais sa mise en œuvre toujours repoussée et ses modalités laissées dans un flou délibéré. Le 31 août dernier, l’Assemblée Nationale Populaire les a rendues publiques : le Chief Executive serait désormais élu par tous les Hongkongais ; mais parmi des candidats présélectionnés par un comité acquis au Parti Communiste Chinois. A cette annonce, étudiants et lycéens sont descendus en masse dans les rues suivis de près par des jeunes actifs, prenant de vitesse les mouvements contestataires constitués antérieurement et dirigés par leurs aînés comme Occupy Central.

    http://www.noria-research.com/hong-kong-taiwan-et-l’irredentisme-chinois-le-principe-«-un-pays-deu

    #HongKong #Hong_Kong #Taiwan #Chine #Irrédentisme #Irrédentisme_Chinois #Géopolitique #Géopolitique_de_la_Chine #Noria_Research #Ethnies #Identités #Science_Politique #Nationalisme #Nationalisme_Chinois

  • Underneath electoral hype, Israel’s ethnic divide | Middle East Eye
    http://www.middleeasteye.net/columns/underneath-electoral-hype-israel-s-ethnic-divide-604876824

    The reason Israelis are still talking about the rally days later is not because of a passionate speech delivered by the former chief of Israel’s Mossad spy agency, Meir Dagan, but rather because of a highly embarrassing - and potentially, electorally damaging - speech by an artist and frequent Haaretz contributor, Yair Garboz.

    Garboz opened the rally by describing how he viewed Israel with Netanyahu at the helm, indulging in a popular habit of attributing the most extreme aberrations and abuses of powers to a tiny, unrepresentative minority.

    “They told us that the man who killed the [former] prime minister [Rabin] was part of a delusional, tiny handful of individuals,” he said. “They told us he was under the influence of rabbis detached from reality, part of the crazy margins. They said those of yellow shirts with black badges, who shout “death to Arabs”, are a tiny handful. They told us the thieves and the bribe takers are only a handful. That the corrupt are no more than a handful…. the talismans-kissers, the idol-worshippers and those bowing and prostrating themselves on the tombs of saints - only a handful… then how is that this handful rules over us? How did this handful quietly become a majority?”

    In the heated discussion that ensued, Garboz insisted he wasn’t referring to anyone of any particular ethnic origin. But to most Israelis, the phrase about “talisman-kissers” and “tomb worshippers” was as much dogwhistle politics as American lawyer Rudy Giuliani’s remarks a few weeks earlier about Obama “not being brought up like we were” was to black Americans. Some Ashkenazi Jews do all of the above too, usually in connection to the tomb of the 19th century Rabbi Nachman of Breslaw in Uman, Ukraine. But talismans and pilgrimages are a well-known staple in the lives of Jews from Middle Eastern and North African countries – also known as Mizrachim.

    #israel #ethnies

  • Freakonomics » The Violent Legacy of Africa’s Arbitrary Borders

    http://freakonomics.com/2011/12/01/the-violent-legacy-of-africas-arbitrary-borders

    Ne pas confondre avec notre copain @freakonometrics !

    Even if they haven’t heard the term Scramble for Africa, most people know that something went wrong when the continent was divided into nation states by European colonial powers.

    Some economists, however, have taken the time to quantify the destructive nature of Africa’s national borders. Authors Stelios Michalopoulos and Elias Papaioannou have released a new working paper showing how arbitrary border decisions have affected war and civil unrest in Africa, particularly among split ethnic groups and their neighbors. Not surprisingly, the length of a conflict and its casualty rate is 25 percent higher in areas where an ethnicity is divided by a national border as opposed to areas where ethnicities have a united homeland. Examples of divided (and conflicted) groups are the Maasai of Kenya and Tanzania, and the Anyi of Ghana and the Ivory Coast. The conflict rate is also higher for people living in areas close to ethnic-partitioned hot-spots.

    #afrique #conflits

    • Et cet article de @JulietFall (Université de Genève):

      Artificial states? On the enduring geographical myth of natural borders

      Alberto Alesina, William Easterly and Janina Matuszeski’s paper Artificial States, published as a National Bureau of Economic Research Working Paper in June 2006, suggests a theory linking the nature of country borders to the economic success of countries ( Alesina, Easterly, & Matuszeski, 2006). This paper critically examines this suggestion that natural boundaries and ethnic homogeneity are desirable for economic reasons. It takes issue with the understanding of artificial and natural boundaries that they develop, arguing that this ignores two centuries of critical and quantitative geographical scholarship that has mapped, documented and critiqued the obsession of a link between topography and the appropriate shape of states and boundaries. It explores how their argument is linked to a defence of ethnically homogeneous states. The focus is on their teleological and paradoxically ahistorical vision that naturalizes politics by appealing to spatial myths of homogeneity and geometric destiny, grounded in a reactionary understanding of space as container. In so doing, I am mindful of the strong links between such proposals and calls for post-conflict partition, and the corresponding discourses of ethnic and cultural homogenization on which they rely. Instead of thinking of boundaries as geometric objects, squiggly or not, I consider boundaries through the simultaneous processes of reification, naturalization, and fetishization.

      http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0962629810000533

  • African Conflict and the Murdock Map of Ethnic Boundaries | Freewheel Burning

    http://peterslarson.com/2011/01/19/african-conflict-and-ethnic-distribution

    Un peu ancien du point de vue des conflits, pas très à jour, mais je référence car la méthode est très intéressante.

    I would like to turn something like this into a publishable paper. If there is anyone who would wish to collaborate, please feel free to write me.

    In 1959, the renowned American anthropologist, George Murdock, published “Africa: Its peoples and their culture history.” Despite having little experience in Africa, Murdock used available resources to create a comprehensive picture of the distribution of ethnic groups throughout Africa.

    #afrique #conflits

  • Les désagréables préférences raciales révélées par la #rencontre en ligne – Quartz
    http://qz.com/149342/the-uncomfortable-racial-preferences-revealed-by-online-dating

    L’application de rencontre en ligne Are You Interested - AYI : https://www.ayi.com - a publié des données provenant de quelques 2,4 millions d’interactions qui montrent certaines préférences ethniques fortes dans les tendances de rencontres. Les femmes noires préfèrent entrer en contact avec des hommes noirs, par contre les hommes noirs, latinos et blancs préfèrent entrer en contact avec des femmes asiatiques, alors que les hommes asiatiques préfèrent surtout les femmes latinos. Tags : fing internetactu2net internetactu rencontre #ethnie (...)

    #sociologie

  • #bébés bosniaques, les nouveaux sans-papiers
    http://fr.myeurop.info/2013/06/14/bebes-bosniaques-les-nouveaux-sans-papiers-10104

    Quentin Bisson

    En Bosnie, depuis plusieurs mois, les nouveaux-nés sont privés de passeport. En cause, une querelle politique sur fond de rivalités ethniques. Une situation intenable qui soulève le peuple.

    La petite Belmina Ibrišević, 3 mois, est comme tous les nouveaux-nés bosniaques de moins de 5 mois : elle (...)

    #REVUE_DU_WEB #Insolites #Société #Social #Bosnie-Herzégovine #Croates #ethnies #manifestations #numéro_national_d'immatriculation #Sarajevo #Serbes

    • Mercredi, des milliers de personnes ont manifesté malgré l’interdiction du gouvernement. Les étudiants ont été rejoints par les retraités, ralliés par les anciens combattants. Cette solidarité survient suite aux paroles malheureuses du président de la République Serbe de Bosnie. Celui-ci, avant de démissionner, a qualifié de « bâtards » les étudiants serbes protestataires.

      Vive les bâtards!

    • En France, la Police socialiste poursuite et arrête des citoyens européens pour ensuite les parquer dans des camps sur critères ethniques et prétend les renvoyer dans les régions où ils subissent l’hostilité des autorités locales, et de quoi trouve-t-on à parler ? Des autorités bosniaques ?

      Si ces enfants venaient ici, en France, non seulement ils n’auraient pas de papiers, mais encore les enfermerait-on dans des camps socialistes garantis de gauche, en attendant leur « renvoi dans leur pays » selon la terminologie devenue consacrée en Grollande.

      Et, non, nous ne partirons pas d’ici.

    • En France, la Police socialiste poursuite et arrête des citoyens européens pour ensuite les parquer dans des camps sur critères ethniques et prétend les renvoyer dans les régions où ils subissent l’hostilité des autorités locales, et de quoi trouve-t-on à parler ? Des autorités bosniaques ?

      Si ces enfants venaient ici, en France, non seulement ils n’auraient pas de papiers, mais encore les enfermerait-on dans des camps socialistes garantis de gauche, en attendant leur « renvoi dans leur pays » selon la terminologie devenue consacrée en Grollande.

      Et, non, nous ne partirons pas d’ici.

      Mais n’attendez pas un soutien pour cette police qui chasse, ces hôpitaux qui renvoient, ces fonctionnaires qui balancent, et ces médiacrates qui invitent à la haine. Quand aux politiciens qui vous mentent, vous volent, et vous vendent aux capitalistes par obligations adossées à vos futures pensions, nous vous laissons en faire ce que bon vous semble puisque vous ne voulez pas de notre avis

  • #Immolation de deux #adolescents au #Tibet :

    Deux adolescents tibétains de 17 et 18 ans se sont immolés ensemble par le feu dans une région tibétaine de la Chine. Rinchen, 17 ans, et Sonam Dargye, 18 ans, anciens camarades de classe à l’école primaire, ont mis le feu à leurs vêtements mardi dans la ville de Dzorge (Ruergai en chinois), dans la province du Sichuan, selon l’association de défense des Tibétains International Campaign for Tibet (ICT). [...] Cette double immolation porte à au moins 104 le nombre de Tibétains qui depuis 2009 se sont suicidés par le feu en Chine, ou ont tenté de le faire, pour protester contre la tutelle de Pékin et la répression de leur religion et de leur culture. Sur l’ensemble de ces immolations, 22 ont été accomplies par des adolescents âgés de 18 ans ou moins, a souligné ICT. [...] La #Chine affirme avoir « libéré pacifiquement » le Tibet et amélioré le sort de sa population en finançant le développement économique de cette région pauvre et isolée. Mais de nombreux Tibétains ne supportent plus ce qu’ils considèrent comme une domination grandissante des Han, l’#ethnie ultra-majoritaire en Chine, et la répression de leur #religion et de leur #culture. Par ailleurs, le développement profite surtout aux #Han.

    Source : http://www.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2013/02/21/deux-adolescent-tibetains-s-immolent_1835899_3216.html

    #Suicide