• Santé Publique : des militants s’ATTAC à un Apple Store
    https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=z23ODHZS_I4

    Le 30 juin dernier, des militants d’ATTAC ont occupé un Apple Store de Paris, le transformant en service d’urgences improvisé. Le message : les caisses sont vides pour la santé en France, alors que les multinationales échappent à des taxes qui pourraient lui être bien utiles.

    #evasion_fiscale #apple #ATTAC #santé #hôpital #multinationales #artivisme

  • Ces Lyonnais qui jouent avec le #fisc français

    [Opération Offshore] #Paradis_fiscaux, montages acrobatiques et #trust opaques ne sont pas réservés aux #multinationales. L’usage de sociétés offshore se révèle être à la portée de PME comme de citoyens anonymes. Mediacités dévoile l’évasion et l’optimisation fiscales pratiquées depuis l’agglomération lyonnaise.


    https://www.mediacites.fr/lyon/enquete-lyon/2018/06/20/ces-lyonnais-qui-jouent-avec-le-fisc-francais
    #évasion_fiscale #France #Lyon

    Une enquête des journalistes de @wereport

  • #Evasion_fiscale : comment #Kering a fait marche arrière

    Un mémo interne montre que le géant du luxe contrôlé par la famille #Pinault a entamé un nettoyage de son montage d’évasion fiscale suisse en octobre 2017, un mois avant d’être officiellement mis en cause par la justice italienne. Cette manœuvre met à mal la défense de l’entreprise, qui affirme que tout était légal et transparent.

    https://www.mediapart.fr/journal/economie/080518/evasion-fiscale-comment-kering-fait-marche-arriere
    #France #Suisse

    • #Fashion_Valley: la festa è ormai finita

      Article de Federico Franchini, membre de @wereport

      Il modello della Fashion Valley è al capolinea. Per anni il Ticino ha approfittato delle entrate fiscali generate dalle multinazionali della moda che, tramite trucchetti contabili, hanno trasferito in Ticino utili da capogiro. Un sistema parassitario a cui la comunità internazionale ha detto basta. Gli statuti fiscali speciali dovranno sparire mentre da qualche mese è in vigore una legge federale che impone alle multinazionali di presentare una rendicontazione nazionale della propria attività. Questo proprio nell’ottica di impedire il trasferimento degli utili negli Stati fiscalmente più attrattivi. Insomma, con o senza gli sgravi previsti dalla riforma cantonale (mirati a imprese a forte capitalizzazione), gli introiti generati da queste pratiche sono destinati a diminuire in modo consistente.

      Sette miliardi di franchi. Sono gli utili netti registrati dalla Luxury Goods International (Lgi) di Cadempino dal 2006 al 2016. A questa somma manca l’anno 2015: non è disponibile nei documenti del registro di commercio del Lussemburgo. È nel Granducato che ha sede la Kering Luxembourg, la società bucalettere che controlla il 100% della Lgi. Nelle ultime settimane, la società simbolo della Fashion Valley ticinese ha ottenuto suo malgrado un’ampia visibilità internazionale: l’autorevole Mediapart ha messo a nudo le pratiche di ottimizzazione fiscale che hanno permesso alla multinazionale Kering, un colosso da 38.000 impiegati, di trasferire alla sua discreta filiale di Cadempino circa il 70% dei suoi utili.

      Secondo l’inchiesta giornalistica, Lgi ha negoziato con le autorità fiscali un’aliquota dell’8%. In Ticino, dal 2006 al 2016, la società avrebbe così pagato circa 560 milioni di franchi di tasse (in parte finite nelle casse del Cantone, in parte in quelle di alcuni Comuni; in parte minore alla Confederazione). È tanto oppure poco? La risposta è relativa: dipende da che punto si affronta la questione. È tanto, dal punto di vista del Ticino, dove Lgi è diventato il più importante contribuente del Cantone. È poco, troppo poco, se la questione la si affronta con lo sguardo di Milano o di Parigi. Le autorità italiane e francesi si stanno ormai chiedendo fino a che punto le pratiche fiscali utilizzate da Kering per eludere il loro fisco siano o meno lecite.
      Il modello su cui si basa il gruppo è semplice: la Lgi di Cadempino acquista i prodotti ideati e lavorati in Italia e Francia per poi, dopo averli fatti transitare dai magazzini ticinesi, rivenderli alle boutique del mondo intero. Giocando sui prezzi di acquisto e di vendita ecco che gli utili, compresi quelli delle licenze dei marchi, sono convogliati nella filiale vicino a Lugano. Come spiegare altrimenti che i capannoni ticinesi del gruppo facciano registrare ogni anno utili netti vicino al miliardo di franchi, cosa da fare invidia alle principali aziende svizzere?

      Il modello, semplice quanto efficace, lo si deve proprio alla Gucci. Prima ancora di essere acquistata da Kering, il marchio italiano si era insediato in Ticino per ingrassare le casse della sua filiale logistica. Era la seconda metà degli anni 90, quelli di Marina Masoni alla testa del Dipartimento finanze ed economia. Oggi alla testa di TicinoModa, la ministra liberale ha avuto un ruolo preponderante nel farsi promotrice di questo modello. Non è un caso, probabilmente, se la stessa Gucci e le altre società della moda arrivate in Ticino abbiano beneficiato dei consigli di specialisti fiscali vicini all’allora ministra. Non solo: un uomo di famiglia, Paolo Brenni (il cognato di Marina Masoni) entra subito – e ci resta fino a oggi – a far parte del Cda della Lgi. Va così in scena la narrazione entusiasta della Fashion Valley Ticino: sembra quasi di stare in un territorio abitato da illuminati stilisti e artigiani creatori. La realtà è diversa: il Ticino è piuttosto un (unico) grande centro logistico. La merce arriva e riparte soltanto per potere giustificare il trasferimento dei profitti. Nei depositi la merce è considerata “in transito” e beneficia di altri vantaggi garantiti dallo statuto di Deposito doganale aperto (Dda), sorta di punto franco esternalizzato nelle aziende. Il più grande Dda è proprio quello inaugurato dalla Lgi a Sant’Antonino nel 2014. Per chi critica questo modello, vuoi per il suo impatto sul territorio o per le pessime condizioni di lavoro, c’è subito pronta la risposta: l’indotto fiscale; vuoi mica sputarci sopra?

      Ma il sistema che ha garantito questo indotto potrebbe avere le ore contate. Gli Stati dell’Ocse, tra cui la Svizzera, hanno siglato l’accordo Beps (Base Erosion and Profit Shifting) inteso a contrastare il trasferimento e la riduzione di utili a livello globale: «L’opzione fiscale delle multinazionali, di per sé legale ma qualificata come aggressiva, deve essere limitata» scrive l’amministrazione federale. Per le multinazionali, così come per le amministrazioni fiscali compiacenti, la festa sta ormai volgendo al termine.


      http://www.areaonline.ch/Fashion-Valley-la-festa-e-ormai-finita-3d34a200
      #Tessin #fiscalité #économie

    • v. aussi

      Dietro le quinte del lusso

      Le grandi firme della moda scelgono il Ticino. Ce ne sono sempre di più e l’impatto sull’economia è notevole; negli ultimi 20 anni hanno scavalcato le banche e sono diventate il primo contribuente fiscale del Cantone. Perché scelgono di stabilirsi tra Chiasso e Airolo? Le risposte sono diverse, ma c’è un denominatore comune; in Ticino non producono quasi nulla e godono di tassazioni molto vantaggiose.I loro margini di profitto sono enormi, si parla di centinaia di milioni di euro. In che modo realizzano questi utili? La nostra inchiesta tra l’Europa e la Fashion Valley Ticino mostra che, dietro le quinte del lusso, si usa ogni astuzia per maggiorare il profitto; dalle scappatoie fiscali al sistema dei terzisti, cioè la produzione delegata ai cinesi d’Italia che lavorano in condizioni inaccettabili. Uno sguardo disincantato sulle griffes e un interrogativo sul nostro futuro: cosa succede se lasciano il Ticino?E quanto è probabile che succeda in seguito alle pressioni del fisco europeo?

      https://www.rsi.ch/play/tv/falo/video/dietro-le-quinte-del-lusso?id=8291917&station=rete-uno
      #Cadempino #Tessin #Suisse #mode #Italie #industrie_de_la_mode

    • Bienvenue au #Tessin, discrète « Fashion Valley » suisse

      En moins de deux décennies, les griffes mondiales de la mode, Hugo Boss, Armani, Versace, Gucci, ont élu domicile en Suisse italienne, profitant des allégements fiscaux accordés par les autorités. Cette « invasion », qui a opéré discrètement, a modifié le visage du canton. Le secteur est devenu le premier contributeur fiscal.


      https://www.lacite.info/economietxt/tessin-fashion-valley
      Un article de Federico Franchini paru dans @lacite

    • Alla Gucci il lavoro è su chiamata sms

      Dietro il lusso griffato Gucci, ci sono persone in carne e ossa, la cui vita deve essere sempre a disposizione quando l’impresa ti chiama. O ti manda un messaggio.

      Ore sette di mattina. Davanti al suo carrello elevatore, Giovanni si appresta a spostare parte dei 19 milioni di pezzi che ogni anno vengono spediti da quel magazzino. Lui e i suoi 150 colleghi spediscono mediamente 2.300 colli ogni ora. “Un gioiello della logistica”, è stato definito il nuovo stabilimento di Sant’Antonino della Luxury Goods International, volgarmente conosciuta come Gucci. Sarà, ma all’interno di quelle mura la vita ha ben poco di lussuoso.

      Ogni movimento di Giovanni è sorvegliato da telecamere e da tre capi reparto. Nessun tempo morto è consentito. Nei 20.000 metri quadrati del magazzino deve muoversi come un automa, in simbiosi col suo carrello elevatore. Al pari dei suoi colleghi che imballano e pongono le etichette, è vietato sgarrare. Il lavoro alienante in salsa moderna è servito.

      Giovanni quel giorno non doveva essere lì. Aveva già superato le ore settimanali previste dal contratto. Ma la sera prima aveva ricevuto un sms: «Ciao, domani 9 settembre cominci alle ore 7 a Sant Antonino». Quell’sms non era una novità, era diventato una fastidiosa abitudine. Ne riceve uno quasi ogni sera, tra le sette e le otto. Anche di venerdì, per annunciargli se il sabato lavorerà oppure no. Ma ormai lo dà per scontato, visto che riposa un sabato su cinque. La sua vita è sempre a disposizione dell’impresa. La vita familiare o sociale passa in secondo piano, diventa un optional di lusso. «Dovresti essere onorato di lavorare per Gucci» gli avevano risposto una volta che aveva osato criticare l’organizzazione del lavoro.

      Giovanni quella mattina dopo essersi svegliato di buon’ora, ha percorso parte della sua dose giornaliera di chilometri per raggiungere Sant’Antonino. E subito deve affrontare la prima grana. Per poter parcheggiare nel posteggio aziendale, i dipendenti devono arrivare almeno in due per auto. Altrimenti gli agenti di sicurezza ai cancelli non lo avrebbero fatto entrare. Lodevole iniziativa d’incoraggiamento alla mobilità condivisa, si dirà. Peccato che l’organizzazione dei turni via sms complichi non poco la possibilità di concordare il viaggio coi colleghi. Se poi non sai quando finisci, diventa cosa ardua. Alla fine, Giovanni, al pari della gran parte dei colleghi, decide di rischiare la multa parcheggiando dove non è consentito, giusto a lato delle inferiate dello stabilimento. Oppure ricorre ai posteggi del vicino negozio di mobili.

      Rispetto a molti suoi colleghi, Giovanni avrebbe poco da lamentarsi. Lavora per quell’impresa da cinque anni tramite agenzia interinale. Da un anno, ha fatto il salto. È diventato uno dei rari assunti. Come lui, hanno tutti contratti al 70 per cento per uno stipendio di 2.700 franchi lordi, tredicesima compresa. Il tempo pieno è un’esclusiva riservata ai capi, mentre la grande maggioranza dei suoi colleghi è giovane, interinale e frontaliere. Il 70% dei dipendenti fissi non è una casualità. Gli undici turni lavorativi previsti dall’azienda corrispondono tutti a sei ore e quindici minuti. Esattamente il 70 per cento quotidiano delle 42 ore settimanali a tempo pieno. Turni teorici.

      Nella pratica, Giovanni conosce solo la sera prima quando il giorno dopo entrerà in quel magazzino, ma non quando ne uscirà. È l’applicazione materiale della filosofia industriale del “just in time”, introdotta negli anni Cinquanta dalla Toyota giapponese e oggi impostasi a livello globale. In parole povere, significa produrre giusto in tempo per vendere, eliminando i costi delle scorte. Costi trasferiti sulle spalle dei dipendenti, la cui vita è sacrificata nel nome della flessibilità della produzione just in time. Chi volesse approfondire questo modello di produzione e le sue ricadute sociali può leggere le numerose opere sul tema del professore della Supsi Christian Marazzi.

      E poiché la legge consente di lavorare fino a 50 ore settimanali, per le ore spalmate sui cinque giorni e mezzo lavorativi previsti negli stabilimenti logistici ticinesi, Giovanni non riceverà supplementi di paga. Da contratto della Luxury Goods, le ore straordinarie sono compensate alla pari in tempo libero, e se non consumato entro 12 mesi, sarà remunerato alla pari. «Il supplemento salariale diventa inderogabile quando l’entità delle ore straordinarie non compensate supera di 50 ore entro l’anno civile la durata massima del lavoro settimanale stabilita per legge» recita il contratto.

      Giovanni, si diceva, ha poco da lamentarsi. Non perché non ne abbia le ragioni, ma perché se lo facesse, si ritroverebbe “just in time” per strada. E con famiglia e mutuo a carico, preferisce ingoiare il rospo. La sera dunque aspetta l’sms che gli dica quando inizierà a lavorare. E dove. Eh sì, perché lo stabilimento dove si trova oggi, Sant’Antonino, è la terza sede della logistica del gruppo, dopo Bioggio e Stabio (la sede amministrativa si trova a Cadempino). È stato inaugurato meno di un anno fa in pompa magna, alla presenza del «gotha delle autorità locali», come ha scritto un portale ticinese.

      Nell’imminenza dell’apertura, sui media circolò l’informazione che per quella sede la Luxury Goods avrebbe assunto 15 residenti su 150 dipendenti. In molti dedussero che a Sant’ Antonino venissero creati 150 nuovi posti di lavoro, di cui il 10 per cento riservato ai residenti. L’informazione non era propriamente corretta. In realtà, la Luxury Goods avrebbe fatto girare i suoi dipendenti tra i suoi stabilimenti logistici ticinesi, soprattutto da Bioggio. Questo spiega perché a Giovanni la sera prima via sms comunicano non solo l’ora, ma anche dove lavorerà il giorno dopo. L’impresa indennizza i dipendenti per il cambio di stabilimento aumentando il salario orario di 20 centesimi.

      Per quanto concerne invece i nuovi assunti a Sant’Antonino, da quel che abbiamo potuto costatare la ditta ha attinto alle liste dell’Ufficio regionale di collocamento, la disoccupazione cantonale. Sui numeri però vige il massimo riserbo.

      Infine una precisazione ai lettori: Giovanni non esiste. È un personaggio inventato, la cui storia personale è la somma delle testimonianze raccolte da chi ha lavorato o lavora all’interno degli stabilimenti ticinesi della Luxury Good Logistic. È una scelta di narrazione di storie individuali dai tratti comuni, dettata dal timore di perdere il posto, che per quanto poco invidiabile consente di portare a casa la pagnotta.

      «I diritti di cui parli non so cosa siano. Da quando lavoro, non ho conosciuto altro» risponde un giovane, interinale e frontaliere, al collega che lo incita a ribellarsi, rivolgendosi ai sindacati. Come dargli torto? Ha 25 anni e proviene dal paese che conta 44 forme di contratti precari diversi e un tasso di disoccupazione giovanile alle stelle. L’assenza dei diritti dovuta alla ricattabilità estrema dello stato di bisogno è una realtà che ha investito un’intera generazione. E dei diritti conquistati dai loro nonni e genitori, questi giovani hanno solo sentito parlare. Non li hanno mai potuti sperimentare.

      Una sola condanna in tutto il paese

      In quali sanzioni incorre la ditta che ripetutamente viola le norme legali sulla mancata pianificazione dei turni o il tempo di riposo tra un turno e l’altro? La procedura prevede un primo richiamo dell’Ispettorato del lavoro, e dopo qualche tempo, un secondo richiamo con minaccia di denuncia penale. E se non ottempera entro un altro lasso di tempo, la denuncia può essere inoltrata. Nessuna multa è prevista. In Svizzera nel 2013 è stata emessa una sola condanna relativa ai tempi di lavoro (fonte Seco).

      L’impresa informa

      Contattata da area, l’azienda «non commenta ma sottolinea che sia Lgi (Luxury Goods International) che Lgl (Luxury Goods Logistics) sono assoggettate ad un contratto di lavoro che è quello di Ticinomoda siglato con l’Ocst.»

      http://www.areaonline.ch/Alla-Gucci-il-lavoro-e-su-chiamata-sms-d0db6400

    • Una filiale da 1 miliardo franchi

      Luxury Good International Sa (Lgi) è la più importante azienda del settore presente in Ticino. Appartiene al gruppo francese Kering, detentore di marchi come Puma o Gucci. Proprio a Gucci è legato lo sviluppo del settore moda in Ticino. Era il 1996 quando la Gucci International NV, una società allora domiciliata ad Amsterdam, apre due succursali a Cadempino. L’anno successivo il gruppo vi installa la Gucci Sa, oggi Lgi Sa. In poco tempo la società diventa il centro di distribuzione mondiale della marca e si sviluppa sempre più, in seguito all’acquisizione da parte del gruppo di nuovi brand, come Bottega Veneta. Oggi, Lgi è considerata come il più grande contribuente del Cantone. Ma a quanto ammontano i suoi utili? In Svizzera le società non quotate in borsa non sono obbligate a pubblicare i bilanci. La società di Cadempino è però una filiale al 100% della Kering Luxembourg Sa, basata in Lussemburgo. In questo Stato vi è l’obbligo di depositare una copia dei rapporti annuali, ciò che ci permette di avere delle cifre ufficiali sugli utili netti realizzati dall’azienda. Nel 2012 e nel 2013 la Lgi ha registrato degli utili annuali di oltre 1 miliardo di franchi. Se consideriamo, come stimato da area nel 2014, a circa 50 milioni le imposte versate da Lgi in Svizzera, esse rappresenterebbero il 5% di un utile di un miliardo. La Db ha calcolato che, comparati a quelli di tutto il gruppo Kering (circa 31.000 dipendenti), la parte degli utili della filiale ticinese (circa 600 dipendenti) è di circa il 70%. Una sproporzione tra i benefici realizzati e posti di lavoro che, secondo l’Ong, mette in evidenza l’ampiezza delle pratiche di ottimizzazione fiscale sulle quali fa affidamento il gruppo nel nostro Cantone.
      Vf: un ospite coccolato
      Un altro colosso della moda stabilitosi in Ticino è la Vf Corporation, proprietaria di marchi come Timberland o North Face. A Stabio hanno sede tre Sagl del gruppo, le cui azioni sono detenute da una quarta ditta ticinese, la Vf Holding Sagl. Le azioni di quest’ultima sono detenute da una società lussemburghese, la Timberland Luxembourg Finance Sarl. Il gruppo arriva in Ticino nel 2009, quando, a Pazzallo, viene installata la The North Face, fino ad allora basata in Italia. Il Ticino piace e Vf decide di insediare qui il suo quartier generale europeo. Tra il 2008 e il 2010, il Municipio di Stabio e Vf hanno contrattato, in tutta discrezione, le condizioni per installare qui la nuova sede. Un accordo conveniente ad entrambe le parti: Vf diventa il più importante contribuente del comune e allo stesso tempo una società del gruppo, la The North Face Sagl, viene esonerata completamente dall’imposta cantonale e comunale sull’utile per cinque anni (rinnovabile per altri cinque). Non è stato possibile ottenere delle informazioni precise sugli utili realizzati da Vf e esentati dalle imposte grazie a questa decisione. Ma essi devono essere considerevoli: la marca è la più importante del gruppo e la sua cifra d’affari ha raggiunto 2,3 miliardi di dollari nel 2014.

      http://www.areaonline.ch/Una-filiale-da-1-miliardo-franchi-a4179400

    • Au Tessin, l’âge d’or de Kering touche à sa fin

      Condamné en Italie pour #fraude_fiscale, le groupe français de luxe est en passe de démanteler ses activités dans le canton italophone, faisant chuter sa contribution fiscale. Cette perte de 70 millions de francs contrarie surtout les communes tessinoises devenues riches grâce à l’ancien premier contribuable du canton

      https://www.letemps.ch/economie/tessin-lage-dor-kering-touche-fin

      #justice #condamnation

      #paywall

  • Unédic. Les évadés fiscaux font leur beurre sur l’argent des chômeurs
    Sylvie Ducatteau, 27 Avril 2018, L’Humanité
    https://www.humanite.fr/unedic-les-evades-fiscaux-font-leur-beurre-sur-largent-des-chomeurs-654533

    Des citoyens ont retracé le circuit très opaque de la dette de l’assurance-chômage française. Leur enquête montre que les détenteurs de cette créance, auxquels l’Unédic verse 400 millions d’euros d’intérêts par an, opèrent dans les #paradis_fiscaux.

    Ce vendredi matin, au moment même où le Conseil des ministres se penche sur les réformes de la formation professionnelle, de l’apprentissage et du système d’indemnisation du #chômage qui constituent le projet de loi « pour la liberté de choisir son avenir professionnel » – un titre pour le moins décomplexé –, une quinzaine de membres du Groupe d’audit citoyen de la dette de l’assurance-chômage (Gacdac) rendent public un premier rapport sur la dette de l’Unédic. Ils dénoncent l’opacité du financement de l’organisme chargé de la gestion des cotisations de 16,5 millions de salariés, un « système-dette » volontairement mis en place par ses dirigeants avec le soutien de l’État et des investisseurs sur les marchés financiers, détenteurs de 35 milliards d’euros de titres de créances sur l’assurance-chômage. Des investisseurs dont certains flirtent avec les paradis fiscaux, et se trouvent en bonne place sur les listings des Panamas et Paradise Papers révélés dans la presse.

    Où va l’argent de l’Unédic ? Quel est le niveau d’#évasion_fiscale tiré des cotisations des salariés et de la CSG, l’impôt payé par les salariés et les retraités pour financer une partie de la protection sociale ? Après plusieurs semaines d’enquête dans les méandres de la comptabilité et des opérations financières de l’Unédic, ce que les membres du Groupe d’audit citoyen de la dette de l’assurance-chômage (Gacdac) ont découvert les a laissés pantois. D’autant que plus d’un chômeur sur deux n’est pas indemnisé.

    Si le montant de la dette du gestionnaire des allocations-chômage, estimée entre 34 et 37 milliards d’euros, n’a pas vraiment surpris les membres du Gacdac, la proximité de l’Unédic avec certains créanciers adeptes de l’optimisation, voire de l’évasion fiscales les a, en revanche, stupéfiés. « L’opacité du système ne nous a pas aidés. Nous ignorons précisément où sont les titres (de dette de l’Unédic), mais nous savons avec certitude que les entités qui les détiennent sont présentes dans les listings des #Paradise_papers ou #Panama_Papers (ces fichiers de comptes cachés dans les paradis fiscaux qui ont fuité dans la presse – NDLR). Sur cinquante investisseurs que j’ai réussi à repérer, la moitié est présente sur ces listes », révèle Louise Ferrand, qui a conduit les recherches documentaires pour le groupe d’audit.

    Pour emprunter sur les marchés financiers, l’Unédic, via des #banques dites « placeuses », émet des titres, des obligations, pour l’essentiel assez encadrés. Pour ses besoins de financement à court terme, elle recourt à des Euro Medium Term Notes (EMTN) imaginés aux États-Unis, des prêts très flexibles en taux, durée et peu réglementés, donc très prisés des « investisseurs », qui peuvent les échanger sans trop de contraintes. Pour ses affaires, l’Unédic fait appel à une vingtaine d’établissements financiers : les banques françaises BNP Paribas, Société générale, Crédit agricole, Bred et Natixis, les britanniques Barclays et HSBC, la suisse Crédit suisse, ou encore l’italienne Unicrédit, les allemandes Commerzbank AG, Nord/LB, Landesbank Baden-Württemberg, DZ Bank AG et Helaba, les américaines Citigroup et J.P. Morgan, la canadienne Scotiabank et la japonaise Daiwa Capital.

    « Aucune de ces banques, quel que soit le montant des titres qu’elle achète, n’a à rougir puisqu’on estime qu’elles pratiquent toutes, avec plus ou moins de dextérité, l’évasion fiscale », notent les auteurs de l’audit, déçus de n’avoir pu présenter un tableau exhaustif des acteurs de la dette de l’assurance-chômage. Notamment ceux du marché dit secondaire, où se joue le gros de la partie, et qui, grâce à des réformes des Codes du commerce, monétaire et financier de 2002, bénéficient de véritables paravents qui garantissent leur anonymat.

    Une fois acquis par les banques, les titres de l’Unédic sont en effet revendus sur un autre marché, le marché secondaire, en échange d’une commission, bien sûr, via une chambre de compensation, institution financière qui joue les intermédiaires dans les transactions en assurant leur bonne exécution. En l’occurrence, Euroclear, l’une des deux chambres européennes ; la seconde, Clearstream, avait défrayé la chronique dans les années 2000. Selon le Gacdac, l’Unédic verserait autour de 400 millions d’intérêts aux investisseurs sans les connaître vraiment, expliquait son directeur, Vincent Destival, auditionné par les sénateurs en 2015 : « Nous n’avons pas de suivi précis sur la manière dont notre dette est renégociée sur les marchés entre détenteurs primaires et des investisseurs intéressés. Nous savons à quel prix mais nous ignorons qui sont les vendeurs et les acheteurs. » L’un d’eux a pourtant été repéré par les auteurs du rapport : Sicav-Fis, adepte de l’optimisation fiscale. « En fouillant, je suis tombée sur ce fonds de compensation privé. Il a été créé pour gérer la réserve du régime général des pensions de retraite des Luxembourgeois. En 2016, il possédait pour 7,95 millions d’euros de titres de l’Unédic », précise Louise Ferrand.

    Les citoyens auditeurs ont ainsi retracé le circuit d’une partie de la dette de l’assurance-chômage française passant par le Luxembourg : le Crédit suisse (sous le coup d’une enquête pour blanchiment aggravé, pour ne pas avoir déclaré des milliers de comptes au fisc français) gère pour Sicav-Fis un emprunt de 252 millions d’euros qu’il a lui-même placé avec HSBC (un champion des placements dans les paradis fiscaux, qui vient d’éviter un procès en versant 300 millions à l’État français pour compenser les impôts dus) sur le marché primaire pour le compte de l’Unédic. « Nous demandons que la clarté soit faite sur l’identité des créanciers. Nous voulons savoir où passe l’argent de la collectivité », explique Pascal Franchet, du Gacdac. Lui ne se fait pas d’illusions sur la réponse attendue à la longue liste de questions que les auditeurs posent, dans une lettre jointe à leur rapport, à la ministre du Travail, aux administrateurs et à la direction de l’#Unédic. « Les dirigeants ont fait le choix du système-dette, de l’endettement pour financer l’#assurance-chômage avec le soutien de l’État qui garantit les emprunts. Cet aval de l’État permet à l’Unédic d’obtenir des taux d’emprunt très bas auprès des banques. Mais, si les taux remontent, ce qui est probable, ce sera une catastrophe pour le système d’assurance-chômage », poursuit Pascal Franchet.

    La dette équivaut désormais à un an de recettes de cotisations. Des cotisations dont le taux stagne depuis maintenant quinze ans, alors que le nombre de #chômeurs a, lui, doublé. « En fait, les allocations-chômage sont une variable d’ajustement. D’où la nouvelle course à la #radiation qui s’annonce », déplore Pascal Franchet.

    #guerre_aux_pauvres #pillage #escroquerie #abus_de_biens_sociaux #fraude_fiscale_en_bande_organisée_avec_circonstances_aggravantes.

  • L’UE se divise sur les impôts des géants du web L’essentiel - nxp/afp - 28 Avril 2018
    http://www.lessentiel.lu/fr/economie/story/L-UE-se-divise-sur-les-impots-des-geants-du-web-30439268

    LUXEMBOURG - Augmenter les impôts des géants du web ne fait pas l’unanimité au sein de l’UE, notamment chez les petits pays à la fiscalité avantageuse comme le Luxembourg.

    La proposition visant à mieux taxer au niveau européen les géants du numérique, portée par la France, a rencontré samedi la résistance des petits pays comme #Malte ou le #Luxembourg, accusés de tirer profit de leur #fiscalité avantageuse vis-à-vis de ces entreprises.

    La taxation des géants du net, tels #Facebook ou #Amazon, « doit être discutée avec les Américains, car si l’#UE fait ça de son côté, cette taxe sera très inefficace et mauvaise pour la compétitivité européenne », a averti le ministre des Finances luxembourgeois Pierre Gramegna, à son arrivée à une réunion avec ses homologues de l’UE à Sofia consacrée à cette question.

    C’est la première fois que les #ministres_européens débattent du sujet depuis la proposition de la #Commission_européenne présentée fin mars. Cette discussion a lieu dans un contexte déjà tendu entre les États-Unis et l’UE au niveau commercial, bien que le #commissaire_européen à la #Fiscalité, #Pierre_Moscovici, ait insisté samedi sur le fait qu’il ne s’agissait pas d’une « taxe contre les Etats-Unis ».

    Le texte de la Commission prévoit dans un premier temps de taxer à 3% les revenus - et non les bénéfices comme le veut l’usage - générés par l’exploitation d’activités numériques.

    Chiffre d’affaires supérieur à 750 millions
    Cette taxe ne visera que les groupes dont le chiffre d’affaires annuel mondial s’élève à plus de 750 millions d’euros et dont les revenus dans l’UE excèdent 50 millions d’euros. Outre cette mesure « ciblée » de taxation du chiffre d’affaires des entreprises numériques, la Commission a proposé une réforme de fond des règles relatives à l’imposition des sociétés, qui prendrait le relais de la première proposition de « court terme ». Cette proposition permettrait aux pays de l’UE de taxer les bénéfices qui sont réalisés sur leur territoire, même si une entreprise n’y est pas présente physiquement.

    Le ministre slovaque des Finances, Peter Kazimir, s’est montré dubitatif samedi sur la mesure de court terme : « Au niveau européen, je doute qu’un accord soit pour bientôt, parce que sur la fiscalité, il n’est pas facile de trouver un consensus. » Dans l’Union en effet, toute réforme sur la fiscalité requiert l’unanimité. « Nous sommes plutôt prudents. Nous ne sommes pas contre, mais nous voulons écouter. C’est assez compliqué », a pour sa part commenté son homologue maltais Edward Scicluna.

    Le projet de taxation du numérique à l’échelle européenne, qui fait partie des priorités du président français Emmanuel Macron, a jusqu’à présent reçu le soutien des autres grands pays de l’UE : l’Allemagne, l’Italie, l’Espagne et le Royaume-Uni. Le ministre français des Finances Bruno Le Maire espère que la solution de court terme sera adoptée par tous les pays au plus tard début 2019.

    #gafa #facebook #internet #google #apple #fiscalité #paradis_fiscaux #évasion_fiscale #luxleaks #union_européenne #finance

  • Elle finit en taule à 91 ans pour fraude fiscale L’Essentiel - NXP - 20 Avril 2018
    http://www.lessentiel.lu/fr/luxembourg/story/Elle-finit-en-taule-a-91-ans-pour-fraude-fiscale-19390825

    LUXEMBOURG/BELGIQUE - Une nonagénaire cachait son argent au Luxembourg. La justice flamande l’a condamnée à seize mois de prison, dont dix ferme, vendredi.

    Le parquet de Flandre-Orientale, en #Belgique, a condamné une femme de 91 ans et son fils de 61 ans pour avoir caché de l’argent au #Luxembourg, selon 7sur7. Le début de l’affaire remonte à 40 ans et la retraitée n’a pas hésité à faire des montages au #Panama pour éviter de payer son dû. C’est en 2014 que la justice bloque finalement 12,3 millions d’euros sur un compte luxembourgeois lui appartenant. Un compte au nom de son fils, contenant 350 000 euros, est également saisi.


    Devant le tribunal, l’avocat de l’accusée a demandé que l’on examine la santé mentale de sa cliente. Sans succès. La cour a estimé que c’était elle « le cerveau derrière toute la fraude ». Et d’ajouter : « C’est une dame très rusée qui jusqu’à un âge bien avancé était impliquée dans des technologies fiscales de pointe ». Elle s’était d’ailleurs rendue au Panama en 2003.

    Plus de 7 millions pour l’État
    La fraudeuse et son fils ont respectivement écopé de 16 mois de prison, dont 10 ferme, et 8 mois, dont 4 ferme. Ils devront également s’acquitter d’une amende de 600 000 euros et 240 000 euros.

    Quant à l’État belge, il va s’adjuger 7,5 millions d’euros sur les 12,3 millions qui étaient cachés. L’argent proviendrait d’une entreprise de textile ayant fermé ses portes dans les années 60.

    #fraude #fraude_fiscale #évasion_fiscale #paradis_fiscaux #union_européenne

  • Une réforme pour mieux combattre les chômeurs

    D’ici la fin du premier trimestre 2019, trois fois plus de personnes seront chargées de chasser les fraudeurs, on multipliera par deux les peines encourues en cas de recherche insuffisante d’emploi... les sanctions pleuvent contre les plus faibles.

    Dans nos temps d’inégalité croissante, tous ces faibles, ces pauvres et ces exclus sont bien difficiles à supporter. Pour bloquer le réflexe empathique qui pourrait nous faire souffrir à leur contemplation, le plus simple est de ne pas les voir comme des victimes, mais plutôt comme responsables de leur situation. Ils l’ont bien cherché ! Comme le disait fort bien un député LREM, « l’immense majorité » des SDF dorment dans la rue « par choix ». Les exilés sont des clandestins ou des trafiquants, voire, parfois, des terroristes. Et les chômeurs sont donc des fainéants ou des fraudeurs, voire des vacanciers amateurs de Bahamas comme le suggérait un autre député LREM. Tous ces gens ne méritent pas notre compassion, mais une bonne punition.

    La logique vaut pour tout ce qui est faible, avec des nuances, naturellement, selon le degré de faiblesse. Les ordonnances de septembre avaient pour but de dynamiser les salariés trop mous, incompétents ou rigides, en flexibilisant l’emploi. Une bonne loi de répression contre les exilés est en préparation. Et, en même temps, conformément à la logique des temps, on prévoit d’accroître les sanctions subies par les chômeurs. Lutter contre le chômage est bien difficile. Alors pour vivre heureux, luttons plutôt contre les chômeurs.

    De la misère à l’exclusion

    Pour comprendre ce qui est à l’œuvre, une petite comparaison s’impose. En droit du travail, le salarié qui commet une faute encoure une sanction disciplinaire. Celle-ci doit être précédée par un minimum de procédure contradictoire et notamment par un entretien préalable. La faute doit être prouvée par l’autorité qui sanctionne. Les amendes et autres sanctions qui viendraient ponctionner le salaire sont interdites. Et la sanction doit être proportionnée à la faute commise. En droit du chômage, aucune de ces protections n’existe. Le chômeur n’est pas un salarié. Il est bien plus bas dans l’échelle sociale et donc, il ne mérite pas de tels égards. Selon le droit actuel, la faute est présumée : c’est au chômeur de prouver qu’il a bien été diligent dans sa recherche d’emploi (alors que l’art de se préconstituer des preuves n’est pas à la portée de tous, loin s’en faut). Les sanctions encourues sont pécuniaires. Et une faute même minime, comme un retard à un entretien ou un coup de fil raté, peut vous priver de revenus.

    Lorsque l’on sait que plus de 40% des chômeurs indemnisés perçoivent moins de 1 000 euros par mois, la perte d’un demi-mois d’allocation (ce qui est actuellement la peine la plus faible encourue), suffit généralement à ruiner un difficile équilibre tenu à force de privations et de budget calculé aux centimes. Et ce passage de la misère à l’exclusion est possible pour un rendez-vous raté, voire pour un retard. Entre la faute et la sanction, il n’y a pas de proportion. Et cette sanction peut tomber sans même que vous ayez été convoqué à un entretien préalable. La procédure est réduite à l’envoi d’une lettre à laquelle il convient de réagir dans les quinze jours… Ainsi, seuls les plus dynamiques et les plus forts ont en pratique la possibilité d’être entendus pour tenter de se défendre. Ceci est le droit actuel. Objectivement, il est déjà d’une brutalité inutile et même scandaleuse.

    Chasser les fraudeurs

    Mais peu importe l’objectivité. Seuls comptent les sentiments. Et ceux-ci nous ordonnent de sanctionner davantage les plus faibles, donc les chômeurs. C’est une cause entendue, depuis longtemps. Et, une fois de plus, nous sommes face à un gouvernement qui entend montrer sa sévérité à leur égard. On nous annonce un triplement des personnels chargés de chasser les fraudeurs d’ici à la fin du premier semestre 2019, une multiplication par deux des peines encourues en cas de recherche insuffisante d’emploi et une individualisation plus grande des pressions faites sur les chômeurs au travers d’une redéfinition de l’« offre raisonnable d’emploi ».

    De petites contreparties à ces importantes régressions sont certes prévues. Quelques milliers de démissionnaires capables de présenter un projet dûment validé par les autorités compétentes pourraient bénéficier d’une allocation. Et certaines peines actuelles, absurdes ou inappliquées, pourraient être réduites. En échange, la chasse aux quelque trois millions de chômeurs actuellement indemnisés sera plus intense que jamais. On aurait préféré qu’une détermination similaire inspire la lutte contre la fraude fiscale des plus riches, dont le coût est d’un ordre de grandeur bien plus grand que la « fraude » commise par les chômeurs déprimés ou découragés. Mais ce serait oublier que les plus fortunés sont, eux, présumés méritants, dynamiques, utiles…

    Emmanuel Dockès professeur à l’université Paris-Nanterre - Libération

  • #secret_des_affaires : un texte pour réduire la société civile au silence
    https://www.mediapart.fr/journal/france/260318/secret-des-affaires-un-texte-pour-reduire-la-societe-civile-au-silence

    Manifestation au Luxembourg, lors du procès LuxLeaks, en décembre 2016 © Reuters Au terme de trois tentatives, les lobbies économiques sont en passe d’obtenir ce qu’ils demandent depuis plus de sept ans : une loi sur le secret des affaires. La proposition, discutée le 27 mars à l’Assemblée nationale, n’efface aucune des menaces des textes précédents. Le texte, volontairement flou, porte des risques juridiques immenses, attentatoires aux libertés et à l’intérêt général.

    #France #Constitution #Corruption #droit_de_la_presse #droit_syndical #évasion_fiscale #Justice #Liberté_d'expression

  • #Yves_Saint_Laurent déshabille le fisc
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160318/yves-saint-laurent-deshabille-le-fisc

    Le système d’évasion fiscale mis en place par #Kering en #Suisse a permis à la marque mythique Yves Saint Laurent d’économiser le paiement de 180 millions d’euros d’impôt sur les sociétés en #France depuis 2009. #Balenciaga, la seconde marque tricolore du groupe, est elle aussi concernée.

    #Economie #évasion_fiscale #François-Henri_Pinault #Luxembourg #paradis_fiscaux #Pays-Bas

  • Au coeur de l’Amérique du charbon

    Fidèle à sa promesse de relancer l’#industrie_du_charbon aux États-Unis, Donald Trump a assoupli la réglementation et permis d’en augmenter la production. Un espoir pour les mines et l’économie de la #Virginie-Occidentale.

    Dans ce petit État traversé par les #Appalaches, qui se pare à l’automne de couleurs chatoyantes, résonne encore le sifflement des locomotives chargées de charbon. Depuis l’élection de Donald #Trump, l’espoir renaît en Virginie-Occidentale, une région économiquement sinistrée. Selon les statistiques de l’administration minière fédérale, 1 345 emplois y ont été créés dans la filière « charbon » au cours de l’année 2017.
    Pour ce #documentaire, la réalisatrice Carmen Butta a suivi une famille de mineurs et le travail de ces derniers jusque dans les entrailles de la terre. Elle a également assisté à une messe pentecôtiste et rencontré le shérif Martin West, qui a décidé d’attaquer en justice les trois plus puissants groupes pharmaceutiques américains pour les ravages causés par la surconsommation d’opioïdes.


    https://www.arte.tv/fr/videos/075788-000-A/au-coeur-de-l-amerique-du-charbon
    #charbon #montagne #industrie_minière #USA #Etats-Unis #pollution #extractivisme #cancer #santé #silicose #mines #film #religion #drogue #destruction #pauvreté #chasse #chômage #évasion_fiscale #Welch #désindustrialisation #mécanisation #oxycodone #big-pharma #big_pharma #industrie_pharmaceutique #misère #toxicomanie #opioïdes #overdose

    #espérance_de_vie des hommes = 64 ans, soit la plus basse des Etats-Unis

  • Bientôt sur ARTE :
    #Interpol, une police sous influence

    Pour pallier un budget insuffisant, Interpol, la police mondiale, noue d’étranges partenariats avec des #multinationales (#Philip_Morris, #Sanofi...), des institutions accusées de corruption (la #Fifa), et des pays controversés (#Qatar, #Émirats_arabes_unis...). Une #enquête sidérante au cœur de la collusion public/privé.

    Interpol, la mythique #police mondiale, souffre d’un sous-financement chronique. Ses 192 États membres ne mettent pas suffisamment la main à la poche. En 2000, #Ron_Noble, son nouveau secrétaire général, de nationalité américaine – une première pour une institution qui, auparavant, puisait ses dirigeants dans le vivier européen –, lui fait prendre un virage à 180 degrés. Dans les médias, il martèle qu’il lui faut un milliard de dollars, au lieu des quelques dizaines de millions qui lui sont alloués. Mais les États font la sourde oreille. L’organisation se lance alors dans d’ahurissants partenariats public/privé avec des multinationales (Philip Morris International, Sanofi…), des institutions accusées de corruption (la Fifa), et encaisse les chèques mirobolants d’États controversés (Qatar, Émirats arabes unis…). Consacré à la lutte contre la cybercriminalité, le Complexe mondial pour l’innovation d’Interpol, inauguré en 2015, a ainsi vu son budget multiplié par cinq grâce à la « générosité » de Singapour (qui, jusqu’en 2009, figurait sur la liste des paradis fiscaux). Ce dernier a financé, à lui seul, la construction du bâtiment, érigé sur son territoire alors qu’il devait au départ se situer près du siège lyonnais d’Interpol. Ces financements influent sur les enquêtes de l’organisation, engendrant de graves conflits d’intérêts. Le successeur de Ron Noble, l’Allemand #Jürgen_Stock, arrivé en 2014, tente d’infléchir cette tendance, mais les interrogations demeurent.

    Opacité
    Pendant cinq ans, deux journalistes indépendants, l’un français, Mathieu Martiniere, l’autre allemand, Robert Schmidt, ont mené une enquête à quatre mains et sur trois continents sur l’Organisation internationale de police criminelle (Interpol). Rares sont en effet les médias invités à franchir ses grilles. Accompagné d’un commentaire limpide décortiquant l’enchevêtrement des intérêts publics et privés, le film s’appuie sur des images d’actualité, de nombreuses interviews de journalistes et de chercheurs, mais aussi d’anciens et actuels dirigeants d’Interpol. Il dresse ainsi un état des lieux de nos polices, à l’heure où la sécurité se privatise et où la cybercriminalité atteint un tel degré de technicité qu’elle contraint les agents à coopérer avec des entreprises. Au passage, le documentaire lève le voile sur quelques dérives : des notices rouges (les célèbres avis de recherche d’Interpol) instrumentalisées pour traquer des dissidents chinois ou turcs, une coopération insuffisante entre États membres… À travers le cas d’école d’Interpol, une plongée éclairante au cœur de la collusion entre pouvoirs économique, politique et régalien.


    https://www.cinema-comoedia.com/film/249533

    C’est encore les @wereport qui sont derrière cette enquête
     :-)

  • S’opposer au « système #Apple »
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/280218/s-opposer-au-systeme-apple

    Vidéo dans l’article Quelques jours après que le tribunal des référés a jugé « d’intérêt général » la campagne d’Attac contre l’évasion fiscale d’Apple, Mediapart invite sur son plateau un porte-parole d’Attac, une militante écologiste et un délégué syndical d’Apple pour dévoiler une part d’ombre de la révolution numérique.

    #Economie #Attac #évasion_fiscale

  • S’opposer au « système #Apple »
    https://www.mediapart.fr/journal/international/280218/s-opposer-au-systeme-apple

    Vidéo dans l’article Quelques jours après que le tribunal des référés a jugé « d’intérêt général » la campagne d’Attac contre l’évasion fiscale de Apple, Mediapart invite sur son plateau un porte-parle d’Attac, une militante écologique et un délégué syndical d’Apple pour dévoiler une part d’ombre de la révolution numérique.

    #International #France #Economie #Attac #évasion_fiscale

  • « Il faut armer les syndicats contre l’évasion fiscale »
    https://www.mediapart.fr/journal/france/280218/il-faut-armer-les-syndicats-contre-levasion-fiscale

    Vidéo dans l’article #Wolters_Kluwer, éditeur spécialisé notamment dans le droit social, a privé ses salariés de toute participation financière à ses résultats suite à une opération d’optimisation fiscale. Anne de Haro, déléguée syndicale à Wolters Kluwer, raconte le combat kafkaïen des employés contre l’évasion fiscale.

    #France #Economie #évasion_fiscale #optimisation_fiscale

  • #Apple au tribunal : selon la #Justice, #Attac agit dans « l’intérêt général »
    https://www.mediapart.fr/journal/france/230218/apple-au-tribunal-selon-la-justice-attac-agit-dans-linteret-general

    Le tribunal des référés a débouté Apple face à Attac, vendredi 23 février. Alors que le géant informatique réclamait que l’ONG soit interdite de toute manifestation devant ses magasins pendant trois ans, la justice juge elle que la campagne d’Attac contre l’évasion fiscale et le paiement des impôts est « d’intérêt général ».

    #France #évasion_fiscale #Liberté_d'expression

  • Evasion fiscale : le procès d’Attac vire au procès d’Apple
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/130218/evasion-fiscale-le-proces-d-attac-vire-au-proces-d-apple

    Lundi 12 février, #Apple poursuivait #Attac devant le tribunal des référés. Pour arrêter une campagne qui dénonce ses pratiques d’évasion fiscale, le groupe informatique demande que l’association soit interdite de toute manifestation dans ses magasins dans toute la France pendant trois ans.

    #Economie #droit_de_manifestatiotion #évasion_fiscale #intaxables #Justice #Liberté_d'expression

  • Evasion fiscale : poursuivons les coupables, pas les lanceurs d’alerte !
    https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/050218/evasion-fiscale-poursuivons-les-coupables-pas-les-lanceurs-d-alerte

    En vue des procès de Nicole Briend, le 6 février, et de l’association Attac, le 12 février prochain, les députés de la France insoumise, entre autres, dénoncent la complaisance politique et judiciaire avec les délinquants et évadés fiscaux. Et réclament que les lanceurs d’alerte soient protégés et non poursuivis. « Nicole Briend et Attac, comme tous les autres, méritent notre plein soutien et doivent être relaxés ».

    #évasion_fiscale #lanceurs_d'arlerte

  • Evasion fiscale : #François-Henri_Pinault pris la main dans le sac
    https://www.mediapart.fr/journal/international/260118/evasion-fiscale-francois-henri-pinault-pris-la-main-dans-le-sac

    Marco Bizzarri, Salma Hayek et François-Henri Pinault lors d’un dîner à Milan, en 2016 © #Kering Des documents confidentiels montrent que PDG de Kering a validé un montage d’évasion fiscale destiné à rémunérer le patron de sa filiale #Gucci, #Marco_Bizzarri, via une société offshore au #Luxembourg et une résidence fiscale en #Suisse. Avec à la clé 15 millions d’économies d’impôts pour le patron italien et trois fois plus pour Kering.

    #International #France #Economie #évasion_fiscale #Italie #paradis_fiscaux

  • #paradis_fiscaux: l’Europe fait marche arrière
    https://www.mediapart.fr/journal/international/230118/paradis-fiscaux-leurope-fait-marche-arriere

    Deux mois après avoir établi sa #liste_noire des paradis fiscaux, l’Europe a déjà décidé de la revoir à la baisse. Le #Panama, Dubaï et Macao sont retirés de ce classement et redeviennent très fréquentables. Il ne reste plus que neuf confettis dans le monde classés comme des trous noirs de la finance, selon l’UE. Le cirque de la prétendue lutte contre l’évasion fiscale continue.

    #International #Economie #europe #évasion_fiscale #OCDE #Pierre_Moscovici

  • #Lactalis, roi de la dissimulation

    Bien avant le scandale des #salmonelles, Lactalis s’était déjà distingué en cachant ses défaillances aux pouvoirs publics. #Falsification_de_produits, optimisation fiscale, rejets polluants, etc., Mediacités s’est replongé dans les dossiers d’un empire très secret.


    https://www.mediacites.fr/nantes/enquete-nantes/2018/01/12/lactalis-roi-de-la-dissimulation
    #évasion_fiscale #pollution #industrie_laitière #France #paywall

    • http://www.liberation.fr/france/2018/01/12/lactalis-emmanuel-besnier-le-boss-invisible_1622133

      A la tête du géant de l’agro-alimentaire depuis près de dix-huit ans, le Mayennais cultive le secret dans sa vie comme dans son groupe. Au point que les ministres n’ont pas son portable.

      Les doigts d’une main sont beaucoup trop nombreux pour compter les interviews qu’Emmanuel Besnier a accordées à la presse - nous aussi avons tenté d’entrer en contact, mais en vain… Depuis qu’il est patron de l’empire laitier Lactalis, c’est encore plus simple : il n’a pas parlé à un journaliste. Une rare photo de lui existe, réalisée à Zagreb en 2007 au ministère croate de l’Agriculture (ci-contre). Lors de sa venue vendredi à Bercy pour répondre à la convocation de Bruno Le Maire, il a emprunté une entrée discrète afin d’échapper aux objectifs des photographes. Alors que les syndicalistes agricoles se voient accorder audience plus qu’exceptionnellement, la grande majorité des 15 000 salariés français du groupe Lactalis n’ont jamais rencontré Emmanuel Besnier car il ne se rend jamais dans ses usines. Les ministres de l’Agriculture qui se succèdent rue de Varenne ne connaissent pas son numéro de portable. « Je ne l’ai même jamais rencontré », nous confiait Stéphane Le Foll avant de quitter son ministère en 2017. Au stade de Laval, l’héritier de Lactalis assiste aux matchs de son équipe de foot préférée (dont il est actionnaire et sponsor) depuis sa loge aux mêmes vitres fumées que sa berline. Dans un restaurant de la préfecture de la Mayenne où il a ses habitudes, il déjeune dans un salon privé. Il refuse de publier les comptes de son groupe, qui ne l’ont été qu’une fois et sous la contrainte lors de l’OPA hostile mais réussie contre l’Italien Parmalat en 2011. « Il a repris l’adage de son père : le bruit ne fait pas de bien et le bien ne fait pas de bruit », a confié un jour à Paris Match son ami Jean Arthuis, eurodéputé et ex-ministre, un des rares à le fréquenter.

      La 8e fortune française.
      S’il est invisible et muet, Besnier pèse très lourd. En 2017, le magazine Forbes l’a classé 8e fortune française et 116e mondiale, avec 11,3 milliards de dollars (9,32 milliards d’euros). Pour mémoire, quatre ans plus tôt, elle était estimée à 4,3 milliards de dollars. De quoi investir dans un jet privé, des costumes et des propriétés de luxe sous les tropiques ou fréquenter le Fouquet’s et les clubs du moment ? Que nenni. Le milliardaire élancé (1,90 mètre), à l’élégance sobre (dit-on), ne se rend pas davantage au Rotary Club ou au Lions Club. Ni ne fraye parmi les politiques en vue, les puissants des affaires ou les cercles parisiens. Le PDG n’a aucune vie publique, à l’instar de son paternel Michel.

      C’est la mort de ce dernier en juin 2000 d’une crise cardiaque dans sa maison de Marbella qui l’a propulsé dans le fauteuil de PDG de Lactalis, groupe familial qu’il avait rejoint immédiatement après ses études à l’Institut supérieur de gestion, à Paris. Il n’a alors que 29 ans. Plus tôt, l’héritier a étudié dans deux institutions catholiques de Laval, sa ville de naissance. Après ses études supérieures, Emmanuel Besnier s’est forgé une expérience dans la production aux Etats-Unis, puis dans la logistique et les questions commerciales en Espagne. Avant de rejoindre le siège lavallois en 1995 pour devenir directeur du développement et occuper un bureau voisin de celui du paternel durant cinq ans. Ses interlocuteurs le disent solitaire, calme, franc et peu adepte du haussement de ton, à l’inverse de son père. Mais il serait ferme, pour ne pas dire intransigeant et brutal : à l’image de sa gestion de la crise avec les producteurs-fournisseurs de lait depuis 2016.

      En 4×3.
      Le propriétaire du leader mondial du secteur (avec sa sœur et son frère, actionnaires à 49 % du groupe mais sans responsabilité opérationnelle) a soufflé ses 47 bougies en septembre dans son château du XIXe avec sa femme et leurs trois enfants. C’est son père qui avait acheté en 1973 cette demeure d’Etrammes, près de Laval, où il a vécu au quotidien et vient désormais en famille le week-end profiter du court de tennis, de la piscine et du sauna. Pour l’anecdote, à l’occasion de son mariage, le publicitaire Jean-Claude Decaux, qui travaille avec Lactalis, avait décidé de placarder dans les panneaux 4 × 3 de Laval des affiches « Félicitations président ! » Furieux, le tout frais époux avait fait tout enlever. A Paris, le cadet loge dans un appartement du VIIe arrondissement situé près de ceux de son frère et de sa sœur. En vacances, Emmanuel Besnier et les siens rejoignent leur maison de l’île de Ré ou le chalet de Courchevel où le tycoon mayennais aime skier. Pas bling-bling, mais dans les codes bourgeois.

    • http://www.liberation.fr/france/2018/01/16/lactalis-la-ville-de-craon-a-cran_1622784

      En Mayenne, depuis l’arrêt de l’activité de l’usine où ont été retrouvées des traces de salmonelles, 250 personnes ont été placées au chômage technique. L’inquiétude et l’agacement sont palpables.

      A Craon, petite ville de la Mayenne où coule l’Oudon, et où se dresse un orgueilleux château du XVIIIe, le ciel est lourd et l’inquiétude dans toutes les têtes depuis l’arrêt de l’activité de l’usine Lactalis, où ont été retrouvées des traces de salmonelles. Avec 250 personnes placées au chômage technique sur un effectif de 327 employés affectés à la production de poudre de lait, la grande question demeure la durée de cette période d’inactivité.

      « Tout le monde est très inquiet car tout le monde connaît des gens qui travaillent à l’usine, souligne Régine, 56 ans, venue faire son marché sur une place de la ville. Personnellement, j’y ai des amis qui travaillent avec leur fils et je n’ose même pas les appeler. La Mayenne est un département rural où on a besoin de ces emplois. »

      Tirant son chariot devant les étals débordant de clémentines et de salades vertes, Régine salue en outre la « conscience professionnelle » et le sérieux des employés de Lactalis, et ne comprend pas ce qui a pu se passer pour provoquer la contamination. Mariée à un inséminateur qui fait régulièrement le tour des élevages de la région, elle ne cache pas en revanche son ressentiment vis-à-vis du géant laitier : « Est-ce qu’il ne va pas en profiter encore pour baisser le prix du lait ? Début janvier, alors que toutes les laiteries augmentaient leurs prix, Lactalis baissait le sien. Ils n’en ont rien à faire des éleveurs, ni de la laiterie ! » Une manifestation d’éleveurs devant l’usine est d’ores et déjà annoncée pour vendredi.

      « On en a marre des journalistes »

      Devant la petite camionnette d’où s’échappent les effluves parfumés de galettes de sarrasin, le sentiment d’inquiétude est tout aussi prégnant. Mais se double aussi d’exaspération, voire de franche colère face aux feux médiatiques dont fait l’objet la commune.

      « Vous fouillez la merde et vous ne faites qu’en rajouter ! » s’emporte une dame engoncée dans son anorak à l’adresse des journalistes qui défilent ces derniers jours dans la petite ville de 4 500 habitants, dont le maire, comme les employés de Lactalis, déclinent toute déclaration. « Je suis productrice de lait et au finale, c’est encore les éleveurs qui vont morfler », ajoute-t-elle, même si pour l’heure, le lait des producteurs qui fournissaient l’usine de Craon est livré sur d’autres sites.

      « Pourquoi on ne parle pas de ce qui va bien à Craon ? » suggère de son côté un amateur de crêpes et de hippisme, qui cite le dernier vainqueur des championnats du monde de gentlemen riders, remporté à Doha par un natif de Saint-Quentin-des-Anges, une commune voisine. « On en a marre des journalistes qui viennent seulement ici pour démolir, reprend un grand gaillard, aux cheveux frisés comme seul rempart à la pluie. Allez voir à Monaco ce qui s’y passe et laissez-nous tranquilles ! »

      Logique industrielle

      Une dame de 52 ans, cheveux tirés en arrière et sourire entendu, qui dit connaître plusieurs employés de Lactalis, se montre plus conciliante. Et laisse entendre à demi-mot que l’hygiène dans l’usine de Craon où l’on produit en continu, jour et nuit, du lait infantile mais aussi du fromage, n’a pas toujours été irréprochable : « Ceux qui travaillent à l’usine savent bien qu’il y a déjà eu des petits problèmes. Il fallait bien un jour que ça éclate. »

      Devant la rôtisserie, un bonnet de laine enfoncé sur le crâne, Vincent Guillet, ancien porte-parole de la Confédération paysanne, s’interroge de son côté sur une logique industrielle qui, a force de vouloir tout aseptiser au maximum, rend peut-être plus sensible l’être humain à la moindre bactérie. « Alors que dans les fromages, on a aussi des bactéries, des champignons », remarque-t-il, tout en approuvant les contrôles systématiques de la laiterie sur le lait tiré dans le tank de l’exploitation, comme à la sortie du camion-citerne. Eleveur de vaches laitières installé à Craon et produisant pour Lactalis, il déplore l’absence de syndicat au sein de l’usine : « A chaque fois que quelqu’un a voulu monter une section, il s’est fait viré. Et aujourd’hui, on envoie des gens travailler sur d’autres sites, sans personne pour discuter des conditions. »

      « Manque de rigueur dans les contrôles »

      Au bar-restaurant la Station, avec plat du jour et hors-d’œuvre à volonté, le son de cloche est un peu différent. Et on vitupère là aussi surtout contre « l’emballement » médiatique qui apparaît totalement démesuré face au problème de santé soulevé. « Il y a peut-être eu un manque de rigueur dans les contrôles, mais les conséquences ne sont pas si dramatiques, estime un client installé devant son expresso. On ne peut même pas dire combien il y a eu de cas avérés de salmonellose. Et des germes et des microbes, il y en a partout dans une maison. »

      Il en est un qui fait l’unanimité en s’attirant des huées lorsqu’il apparaît sur la chaîne d’info en continu : le président de l’Association des victimes du lait contaminé, Quentin Guillemain. « Lui, c’est un vrai fouteur de merde ! » s’exclame un retraité moustachu.
      Pierre-Henri Allain correspondant à Rennes

      Cet article est totalement désespérant. Les gens interrogés en sont quasiment à reprocher aux instances de contrôles d’avoir repéré les bactéries. Tout ça pour préserver du travail ! On est vraiment dans un pays d’aliéné·e·s.

  • Pour le #Luxembourg, #Antoine_Deltour est enfin un lanceur d’alerte plein et entier
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/110118/pour-le-luxembourg-antoine-deltour-est-enfin-un-lanceur-d-alerte-plein-et-

    Le principal artisan des révélations du scandale « #LuxLeaks » est un lanceur d’alerte, et doit être traité comme tel par la justice luxembourgeoise. C’est ce que vient de trancher la Cour de cassation du Grand-Duché, cassant la condamnation en appel du jeune homme. Mais #Raphaël_Halet, le deuxième lanceur d’alerte, reste condamné.

    #Economie #Edouard_Perrin #évasion_fiscale #procès

    • La condamnation d’Antoine Deltour annulée, Mais Il est toujours poursuivi La "justice Luxembourgeoise ne va pas l’oublier

      L’affaire sera renvoyée devant la cour d’appel, où les juges apprécieront dans quelle mesure Antoine Deltour devra être sanctionné pour s’être approprié les documents de formation interne.

      L’article d’origine :
      http://www.lessentiel.lu/fr/luxembourg/story/La-condamnation-d-Antoine-Deltour-annulee-19296323

      Dans l’affaire LuxLeaks, la Cour de cassation a cassé le jugement en appel contre Antoine Deltour, à savoir une peine de six mois de prison avec sursis, ainsi que 1 500 euros d’amende. En revanche, la Cour, dernière étape judiciaire au Luxembourg pour les protagonistes de l’affaire, a confirmé celui contre Raphaël Halet, soit une amende de 1 000 euros. Pour rappel, les deux anciens employés du cabinet d’audit PWC étaient jugés pour avoir fait fuiter des documents révélant l’ampleur des rescrits fiscaux accordés par le Luxembourg à plusieurs centaines d’entreprises.

      Concernant Antoine Deltour, la Cour de cassation a estimé que la cour d’appel ne pouvait pas reconnaître le statut de lanceur d’alerte pour une infraction (la remise des documents fiscaux au journaliste Édouard Perrin) et pas pour une autre (l’appropriation de ces documents). Il doit donc en bénéficier entièrement, d’où la décision de jeudi. En ce qui concerne les autres documents téléchargés par Antoine Deltour, à savoir les documents de formation interne et qui n’ont fait l’objet d’aucune divulgation, le pourvoi a été rejeté. L’affaire sera renvoyée devant la cour d’appel, où les juges apprécieront dans quelle mesure Antoine Deltour devra être sanctionné pour s’être approprié les documents de formation interne.

      Halet saisit la justice européenne

      Ni le statut de lanceur d’alerte accordé à Antoine Deltour, ni son appropriation des documents concernant les rescrits fiscaux ne seront remis en question. L’ancien salarié de PWC ne peut pas encore saisir la justice européenne, puisque ses péripéties judiciaires ne sont pas terminées au Luxembourg, du fait du renvoi devant la cour d’appel. L’intéressé s’est déclaré « très heureux » du jugement et « confiant » quant à la procédure à venir le concernant. Surtout, il évoque « une grande victoire pour les lanceurs d’alerte, qui, espérons-le, créera un précédent au niveau de l’Union européenne ».

      Pour ce qui est de #Raphaël-Halet, qui a aussi fait fuiter des déclarations fiscales, la Cour de cassation a estimé qu’il n’avait fait que divulguer des informations déjà connues du public, « ne pouvant relancer ou nourrir le débat sur l’évasion fiscale ». Par conséquent, elle a jugé que l’article 10 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales ne pouvait pas être accueilli. Raphaël Halet a immédiatement décidé de saisir la Cour des droits de l’homme de Strasbourg. L’affaire #LuxLeaks se poursuit donc pour lui.

      Un complément au billet de @reka
      https://seenthis.net/messages/658908

      #lanceurs_d'alerte #whistleblowers #acharnement-judiciaire

  • #Jérusalem, Israël, #Palestine : la provocation #trump
    https://www.mediapart.fr/journal/international/131217/jerusalem-israel-palestine-la-provocation-trump-0

    Au lendemain du sommet sur le #Climat voulu par Emmanuel Macron et deux ans après l’Accord de Paris, Mediapart ouvre le débat sur les effets économiques et sociaux des politiques de lutte contre les dérèglements climatiques. Avant cela : des entretiens sur la #Corse, Notre-Dame-des Landes, le « carton #Suisse » et Jérusalem. Une soirée en direct et en accès libre dès 18 heures.

    #International #France #évasion_fiscale #Finance #Notre-Dame-des-Landes