• La prima operazione di rimpatrio del governo italiano direttamente dall’Albania

    Il 9 maggio un #charter partito da Roma e diretto a Il Cairo ha fatto scalo a Tirana per far salire a bordo cinque cittadini egiziani rinchiusi nel Centro di permanenza per il rimpatrio di #Gjadër. Un’operazione dai dubbi profili di legittimità che il governo italiano ha fatto passare in sordina. “Un fatto gravissimo -sottolinea Gianfranco Schiavone dell’Asgi- perché il trasferimento dalla struttura all’aeroporto è avvenuto al di fuori della giurisdizione italiana”

    L’Italia ha effettuato il suo primo rimpatrio direttamente dall’Albania. Lo scorso 9 maggio un volo partito da Roma e diretto a Il Cairo ha fatto tappa sul suolo albanese per far salire a bordo cinque persone di origine egiziana trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gjadër. Una procedura inedita che il governo italiano ha deciso di far passare in sordina. “Un fatto grave che mette a rischio la tenuta del quadro giuridico europeo e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte”, denuncia Francesco Ferri, esperto di migrazioni per ActionAid Italia.

    Secondo il Viminale da quando l’11 aprile a fine giugno la struttura albanese ha riaperto i battenti come Cpr sono transitate 110 persone. Al 21 maggio in totale sono state 24 quelle riportate in Italia per poi essere rimpatriate nei loro Paesi d’origine. Si pensava dunque che nessuno fosse stato espulso direttamente da Gjadër ma i documenti della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia di frontiera, consultati da Altreconomia, dicono altro.

    Lo scorso 28 aprile, infatti, l’ufficio in seno al ministero dell’Interno ha pubblicato un bando pubblico per richiedere un servizio di noleggio di un aeromobile per l’espulsione di stranieri irregolari. Una procedura standard che però, questa volta, aveva una particolarità: l’operazione di rimpatrio verso l’Egitto richiedeva ai partecipanti alla gara una “tappa” intermedia a Tirana.

    Nel tardo pomeriggio dell’8 maggio l’operatore #Pas_professional_solution Srl, tramite il suo procuratore speciale #Angelo_Gabriele_Bettoni, firma il contratto da 113.850 euro per i servizi richiesti dal Viminale. Il giorno successivo un aereo parte da Roma Fiumicino alla volta della capitale albanese, dove atterra intorno alle 15.30, per poi ripartire un’ora e mezza dopo verso Il Cairo, con a bordo le persone provenienti dal Cpr di Gjadër.

    Secondo i dati ottenuti da Altreconomia a metà giugno dall’11 aprile al 21 maggio risultano cinque transiti e altrettanti rimpatri di cittadini egiziani dal Cpr albanese, proprio quelli finiti sul volo. Il ministero dell’Interno, interpellato sul punto, non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento. Quello che si sa per certo, però, è che quando la Direzione centrale ha pubblicato il bando e programmato l’operazione il 28 aprile, a Gjadër non c’era nessun cittadino egiziano: questi sarebbero stati “appositamente” portati nei primi giorni di maggio per poi essere caricati sul charter a Tirana.

    La mossa del governo italiano, tenuta fino a oggi “segreta”, apre molti interrogativi, innanzitutto sulla legittimità della procedura. “Anche qualora si volesse sostenere, con una tesi a mio avviso infondata, che il Cpr di Gjadër sia equiparabile ai centri posti nel territorio nazionale -spiega Gianfranco Schiavone, esperto di migrazioni e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-, non risulta in alcun modo ammissibile prevedere che la persona sia portata fuori dall’area del centro di trattenimento, sul territorio albanese, e poi da lì rimpatriata”.

    Secondo Schiavone vi è una grave violazione nella riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13 della Costituzione. “Le operazioni di polizia condotte fuori dal centro di Gjadër in territorio albanese nei confronti delle persone trasportate in questo caso in aeroporto sono prive di controllo giurisdizionale e avvengono dunque senza alcuna copertura normativa. Quanto avvenuto è dunque un fatto gravissimo”.

    In questo quadro, poi, potrebbe aver giocato un ruolo importante anche l’Egitto. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha incontrato in un bilaterale il suo omologo egiziano Mahmoud Tawfiq lo scorso 9 aprile a margine dell’incontro del “Processo di Khartoum”, una piattaforma di cooperazione. Durante l’incontro, secondo quanto dichiarato dal Viminale, i ministri hanno fatto il punto su diverse tematiche tra cui quella dei flussi migratori. Non è detto però che non si sia parlato anche dell’operazione di volo da Tirana.

    Chi con molta probabilità era al corrente dell’operazione è l’aeroporto internazionale di Tirana da cui è transitato il charter. A partire dal 2020, la proprietà dello scalo è stata acquisita da #Kastrati_Group Sha, società energetica albanese che gestisce una serie di stazioni di servizio in tutto il Paese. Fa parte del consiglio direttivo #Piervittorio_Farabbi, ingegnere aeronautico italiano e direttore operativo, che supervisiona la gestione operativa quotidiana dell’aeroporto dall’aprile 2023. Farabbi in passato è stato direttore dello scalo di Perugia e della #Sacal, società aeroportuale calabrese. La direzione dell’aeroporto, contattata da Altreconomia, non ha risposto così come il ministero albanese degli Affari interni. La polizia di Stato invece ha glissato dicendo di rivolgersi alle autorità italiane.

    Per Francesco Ferri di ActionAid Italia, che con il Tavolo asilo e immigrazione (Tai) il 17 e 18 giugno ha visitato la struttura di Gjadër, questa operazione fa fare un’ulteriore salto di qualità in termini di opacità all’operazione Albania. “Con la trasformazione delle strutture in Cpr dell’11 aprile la mancanza di trasparenza si è aggravata -spiega-. Abbiamo saputo di una persona rimpatriata da Tirana durante la visita ed è un fatto gravissimo”.

    Da un lato l’Italia anticipa artigianalmente quanto previsto dalla proposta di nuovo Regolamento sui rimpatri “minando la tenuta del quadro giuridico europeo”, dall’altro le persone sono esposte a gravi violazioni dei diritti. “Già in questi mesi abbiamo faticato molto a rintracciare chi veniva riportato in Italia da Gjadër e lasciato libero se le persone vengono rimpatriate direttamente questo diventa pressoché impossibile -sottolinea-. Diventa ancora più difficile ricostruire e conoscere in che condizioni sono state rinchiuse le persone e se i loro diritti sono stati rispettati”.

    Infine, resta rilevante il tema dei costi: la “tappa” di Tirana è costata solo di affitto charter 31.779 euro in più rispetto all’ultima operazione di rimpatrio, dello stesso numero di persone, verso l’Egitto. Significa, per cinque rimandati indietro dall’Albania, più di 6.300 euro a testa.

    https://altreconomia.it/il-primo-rimpatrio-italiano-di-migranti-irregolari-direttamente-dallalb
    #Albanie #migrations #réfugiés #Italie #externalisation #renvois #expulsions #Egypte #rétention #détention_administrative #prix #coût

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • #Kosovo Agrees to Shelter up to 50 US Deportees

    Kosovo has agreed to host up to 50 immigrants deported from the US – one of the few countries to respond positively to a US request for its allies to take in deportees.

    Kosovo on Wednesday offered to shelter up to 50 people deported from the US as President Donald Trump’s crackdown on illegal or unauthorised immigrants steps up.

    “Individuals who are subject to this decision, during the time of their stay in Kosovo, will act in line with the legislation in force and enjoy rights designated according to the law,” the Kosovo government said.

    Albin Kurti, the Acting Prime Minister, said the decision followed a US request for its allies to admit citizens from third countries.

    “Our country will accept and shelter up to 50 individuals for a one-year period with the aim to facilitate their safe return to their countries of origin. Selection of these individual will be done from a proposed list as long as they fulfill the designated criteria regarding rule of law and public order,” Kurti said.

    “The United States remain our unwavering partner and the Republic of Kosovo will always be their trusted partner,” he added.

    Last week, Bloomberg reported that Trump’s administration is pushing Serbia and other Balkan nations to take in migrants deported from the US. Serbia’s authorities have not commented on the proposal.

    The Trump administration, which claims to have deported 17,000 people in April, is currently facing protests across the country opposing federal immigration raids and the deployment of Marines.


    https://balkaninsight.com/2025/06/11/kosovo-agrees-to-shelter-up-to-50-us-deportees
    #expulsions #externalisation #migrations #réfugiés #sans-papiers #USA #Etats-Unis #accord

  • How the EU coordinates the outsourcing of migration control

    It is no secret that the EU is seeking greater cooperation from non-EU states in its migration control agenda. Less is known, however, about precisely how that cooperation is organised and encouraged. A document produced last year and released in response to an access to documents request from Statewatch provides some further details on the topic, pointing to avenues for advocacy, research and investigation.

    Coordinating the “external dimension of migration” at the “local level”

    An EU Council document (pdf) sheds light on the mechanisms behind the EU’s externalisation agenda.

    Produced by the Belgian Presidency in mid-2024 and shared with the MOCADEM working group, it outlines how EU institutions and member states align their efforts to influence migration policies beyond the EU’s borders.

    It also highlights the scale and entrenchment of the EU’s externalisation agenda, which is fuelling human rights violations with few obvious avenues for democratic control or accountability.

    A centralised coordination system built on emergency powers

    The document was produced for MOCADEM, the Operational Coordination Mechanism on the External Dimension of Migration.

    In 2022, MOCADEM was established using emergency powers related to “a terrorist attack or a natural or man-made disaster.” It is designed to “enable the [European] Union to coordinate and react in a timely manner to issues related to the external dimension of migration.”

    MOCADEM produces “country-specific action plans,” “action files, and “matrixes” designed to guide coordinated action and messaging by EU member states and institutions in discussions on migration with other states.

    As of mid-2024, ten countries were covered by action plans, and twelve had action files and matrices. Additionally, there were “thematic action files on instrumentalisation and return.” Statewatch has published most of the public documentation that exists on MOCADEM’s work.

    For the EU and its member states, this coordination makes their work on the “external dimension of migration” more efficient.

    But in doing so, it enshrines a powerful and opaque structure for exporting EU migration enforcement that actively avoids any form of democratic scrutiny or oversight.

    Diplomats, delegations, and decentralised enforcement

    “Local coordination in the area of migration varies according to the location and may follow different approaches,” the document says.

    Much of this coordination is pushed through EU delegations and national embassies in partner countries. Through regular meetings, EU and member state officials align approaches, share intelligence, and prepare joint messaging. The document gives examples from Egypt, Iraq, Libya and Niger:

    - In Egypt, the EU delegation and member state diplomatic staff co-chair bi-monthly “migration roundtables.”
    - In Iraq, a meeting chaired by the EU delegation brings together member states “to exchange information on developments in cooperation with Iraq and recent visits.”
    – In Libya, the EU delegation “launched a series of debates with Tripoli-based EU MS [member states] to discuss different aspects of migration.” The document says these follow “the priorities set in the MOCADEM action file on Libya and the strategic discussion organised in the EMWP [External Aspects of Asylum and Migration Working Party].”
    - In Niger, until the 2023 coup, member state officials convened a “migration cluster” to identify priorities and shape political dialogue.

    The document also refers to actions by EU delegations in Bosnia and Herzegovina. Here, events entitled “Rule of Law Breakfasts” are said to cover topics such as “anti-smuggling.”

    To link the actions in targeted states with discussions in Brussels, the document highlights the role played by the “Commission and EEAS [European External Action Service] services in Brussels, as well as the link via member state delegates in Brussels, via capitals, to their own embassies.”

    Samoa Agreement

    The Samoa Agreement, signed in 2023, governs the EU’s political and economic relationships with 77 countries in Africa, the Caribbean, and the Pacific. According to the Council of the EU, this covers around 2 billion people.

    The document notes that the “Partnership Dialogues” established under the Samoa Agreement can be used to push the EU’s migration control agenda. Specifically, it says they “can be used to facilitate collaboration on various areas… including migration.”

    Liaison officers

    Liaison officers deployed by member states, the European Commission and Frontex also play a role.

    According to the document, liaison officers in Morocco and Nigeria organise regular meetings on migration at the EU delegations.

    The document highlights that “closer coordination between liaison officers as well as with other EU stakeholders could have a substantial positive impact.”

    A recently-declassified report from 2018 (pdf), on the work of the Immigration Liaison Officers’ Network in Morocco, gives an idea of these officials’ activities.

    Team Europe Initiatives

    Another layer of coordination happens through “Team Europe Initiatives” (TEIs) – a structure with no legal basis but significant impact.

    The concept of “Team Europe” was introduced in April 2020 in response to the COVID-19 pandemic.

    According to the European External Action Service, it “brings together the EU, its Member States and their diplomatic network, finance institutions and implementing organizations,” along with the European Investment Bank and the European Bank for Reconstruction and Development.

    It has no legal basis in the EU treaties and has been described by Dutch MEP Sophie in’t Veld as a “fantasy body.”

    It is nevertheless a “fantasy body” that has become firmly embedded in the EU’s policy framework – albeit without the inclusion of the European Parliament.

    In a 2024 resolution, MEPs expressed regret that the Parliament had not been “fully recognised by the Commission, the Council and the EEAS as an integral player within the ‘Team Europe’ approach.”

    The June 2024 Council document notes that “country level committees” for the Team Europe Initiatives (TEIs) on the Atlantic/Western Mediterranean and Central Mediterranean migration routes have been set up in 16 African states.[1]

    “These committees meet regularly at the initiative of the EU delegations and local representation of all TEIs members are participating,” the document says.

    They provide a forum for “general coordination with EU member States on Migration,” it adds.

    According to the Belgian Presidency, these committees “have mapped the actions of EU and TEIs members related to Migration in each partner countries and agreed on a TEI implementation plan that identified gaps in programming and agreed on areas of focus for the future.”

    As a result of this work, there were implementation plans in place for seven states: Chad, Ethiopia, Ghana, Guinea, Nigeria, Senegal, and Tunisia.

    A call for scrutiny

    The mechanisms outlined by the 2024 Council document, from embassy roundtables to informal networks, development agreements to diplomatic working groups, provide some of the institutional foundations of the EU’s externalisation agenda.

    They operate largely out of public view – and with little consideration for the human rights implications of outsourcing migration enforcement to authoritarian or unstable regimes.

    For those seeking more scrutiny and accountability — and migration policies that uphold human rights and social justice — the initiatives and groups outlined here would be a good starting point for further investigation.

    https://www.statewatch.org/news/2025/june/how-the-eu-coordinates-the-outsourcing-of-migration-control

    #externalisation #migrations #réfugiés #EU #UE #Union_européenne
    #Egypte #Irak #Libye #Niger #Samoa_Agreement #Team_Europe_Initiatives

  • "Il n’y a rien de moins volontaire qu’un ’retour volontaire’" : des chercheurs dénoncent des politiques d’expulsion déguisée

    Les « #retours_volontaires » de migrants se multiplient ces derniers mois depuis des pays comme la #Tunisie ou la #Libye. Mais ces #rapatriements chapeautés par l’#ONU sont perçus par les chercheurs comme des #expulsions_déguisées, « la seule alternative possible » pour des migrants résignés, victimes de racisme et d’exactions.

    « Il n’y a rien de moins volontaire que les ’retours volontaires », ont décrypté des chercheurs face à la forte hausse de demandes de rapatriement de migrants, « acculés » aux frontières sud de l’Europe.

    « C’est très dur ici. C’est compliqué », confie Mac*, un Guinéen de 24 ans, rencontré il y a quelques semaines par l’AFP lors de l’évacuation de camps de fortune à El Amra, près de #Sfax, dans le centre-est de la Tunisie. Comme de nombreux migrants, las, le jeune homme s’est inscrit auprès de l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM) pour bénéficier d’un accompagnement afin de rentrer chez lui.

    Développés depuis 1979, les programmes d’#aide_aux_retours_volontaires (#ARV), soutenus par l’OIM n’ont jamais eu autant de succès en Tunisie, Libye ou encore en #Algérie, points de passage pour les migrants originaires d’Afrique subsaharienne qui tentent de rejoindre l’Europe.

    « La seule #alternative possible »

    En 2024, 7 250 migrants présents sur le sol tunisien, principalement originaires de Gambie, Burkina Faso et Guinée ont bénéficié de l’ARV, soit une augmentation de 1 000 % entre 2018 et 2024. En Algérie, ils étaient 7 834 (+ 600% sur la même période 2018/2024) et 16 207 en Libye (+ 65%) à être retournés dans leur pays par le biais de l’ARV, selon l’OIM. Outre le voyage, certaines de ces personnes en situation illégale peuvent bénéficier d’une aide financière pour se réinstaller dans leur pays.

    « Il n’y a rien de moins volontaire, que les ’retours volontaires », alerte Jean-Pierre Cassarino, enseignant chercheur au Collège d’Europe en Pologne, évoquant des migrants « acculés » et des « expulsions » qui ne disent pas leur nom.

    En Tunisie et en Libye, les #conditions_de_vie sont délétères pour les Africains subsahariens, victimes de #racisme, d’#exactions, de #kidnapping, d’abandons dans le désert, voire de #meurtres. La plupart peinent à se loger, vivent dans des #campements insalubres, avec un accès limité voire inexistant aux soins. La rédaction d’InfoMigrants a déjà reçu de nombreux témoignages de migrants racontant leur calvaire.

    Ces « retours volontaires » s’inscrivent alors dans un « processus de #vulnérabilité accrue », explique de son côté Ahlam Chemlali, chercheuse en migration à l’Institut danois pour les études internationales (DIIS), interrogée par l’AFP. Leur situation est devenue « de plus en plus précaire et dangereuse » et « pour beaucoup, le programme de ’retour volontaire’ est devenu la seule alternative possible ».

    Selon les textes internationaux, les participants au programme ne doivent pourtant subir « ni pressions physiques ou psychologiques » et avoir accès à des informations « objectives et fiables » sur lesquelles fonder leur décision de partir.

    L’OIM se défend d’expulsions déguisées

    Accusée de prêter main forte aux politiques d’expulsion des migrants, l’OIM s’en défend et assure intervenir seulement une fois qu’une personne a donné son consentement éclairé pour recevoir de l’aide.

    Pour l’agence de l’ONU, « mieux vaut ça que rien et que les migrants risquent leur vie en traversant la mer », décrypte Jean-Pierre Cassarino qui rappelle que l’OIM est financé « rubis sur l’ongle par l’Union européenne ».

    Ces programmes de « retours volontaires » s’inscrivent dans une politique d’#externalisation du contrôle des frontières par l’Union européenne (UE) qui exerce une forte pression sur ces pays tiers, en échange de contreparties, afin qu’ils gèrent la migration en son nom, observent les deux chercheurs.

    A l’été 2023, l’UE et la Tunisie ont conclu un « #partenariat » prévoyant une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière, incluant le financement du « retour volontaire » de 6 000 migrants irréguliers.

    Pourtant, sur le long terme, les « retours volontaires » sont sans effet, expliquent les deux spécialistes. Beaucoup de migrants tentent à nouveau le voyage car ils n’ont pas tous un endroit sûr ou vivre et ont fui des conflits, des persécutions ou des difficultés économiques, pointent-ils.

    « Le désespoir est si fort qu’il vont réessayer », rappelle Jean-Pierre Cassarino.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64924/il-ny-a-rien-de-moins-volontaire-quun-retour-volontaire--des-chercheur

    #expulsions #inefficacité #efficacité #IOM

  • L’#Italie et le transfert des migrants en #Albanie : le laboratoire et les cobayes

    Les gouvernements italien et albanais ont collaboré pour ouvrir deux centres, à #Shëngjin et à #Gjadër, destinés au #transfert_forcé, à la #détention et au #rapatriement des migrants arrivés en Italie. Ce laboratoire d’#externalisation des frontières, observé avec intérêt par d’autres pays, a un précédent : les #navires_de_quarantaine utilisés pendant la pandémie de Covid-19.

    En novembre 2023, les gouvernements italien et albanais ont signé un #accord selon lequel que les migrants et migrantes secourues par les autorités italiennes en mer Méditerranée ne sont pas conduits vers un port italien, mais en Albanie, où on a ouvert de centres de détention, d’#identification et d’#expulsion et de rapatriement. Dans les récits et les analyses, y compris les plus critiques, de la création de ces centres, on dit souvent qu’il s’agit d’un #laboratoire : avant tout, un laboratoire pour les politiques répressives et autoritaires d’Europe et d’ailleurs. On pourrait se demander laboratoire pour quoi, laboratoire pour qui, et avec le consentement de qui. Ou plutôt, on pourrait partir d’un postulat fondamental : que les laboratoires supposent généralement des cobayes.

    Le cas des centres extraterritoriaux albanais voulus par le gouvernement de Giorgia Meloni est en train de devenir un « #modèle » pour d’autres pays européens. Pourtant, ils ne sortent pas de nulle part. Ils sont eux aussi issus d’autres laboratoires. Plus précisément, d’autres tentatives d’#externalisation des frontières et de la gestion de ses migrants et demandeurs d’asile. Cependant, tout cela ne doit pas faire oublier que, tandis que les laboratoires procèdent habituellement par hypothèses potentielles, pour les personnes concernées, les mécanismes de #rétention, de #concentration et d’#exclusion sont tout sauf hypothétiques : elles les vivent en ce moment même, en cette heure.

    Du laboratoire au modèle

    En 2006, Ismaïl Kadaré avait intitulé l’un de ses derniers essais « L’identité européenne des Albanais ». On peut se demander si ce grand écrivain albanais, qui avait publié la plupart de ses œuvres sous une dictature si répressive, n’aurait jamais pu imaginer que l’Union européenne et l’Albanie seraient aujourd’hui liées par une tentative ambiguë d’externalisation de ces mêmes frontières européennes que Kadaré a vu changer au cours de sa vie.

    En octobre 2024, le gouvernement italien avait déclaré avoir achevé la construction d’un centre de détention pour migrants à Gjadër, en Albanie. Ce centre avait été ouvert en octobre dernier et était initialement destiné à accueillir des demandeurs d’asile secourus en mer et provenant de pays considérés comme « sûrs » par le gouvernement italien et l’Union Européenne. Mais les centres construits par l’Italie en Albanie n’avaient encore jamais fonctionné, car les tribunaux italiens n’ont jamais confirmé la détention des trois groupes de demandeurs d’asile qui y ont été transférés.

    Pourtant, le 11 avril 2025, alors que plusieurs centaines de migrants débarquaient à Lampedusa, une quarantaine de migrants, transférés depuis différents centres de rétention italiens, sont partis de Brindisi, dans les Pouilles, et arrivés dans le port et « #hotspot » albanais de Shëngjin, avant d’être emmenés au centre de Gjadër. Un mois plus tard, le 15 mai dernier, la Chambre des députés italienne a voté la #loi visant à transformer officiellement les centres albanais en « #centres_de_rapatriement ».

    Pour ces personnes migrantes, le passage du statut de « transféré » à celui de « détenu » a été immédiat et injustifié. Tout s’est déroulé dans l’opacité la plus totale. Selon un communiqué d’un réseau d’associations, des sources gouvernementales ont déclaré que les personnes transférées constituaient un « #danger_social » et avaient commis des délits, mais rien de tout cela n’a été prouvé. Le caractère punitif du projet albanais est donc évident. Certaines de ces personnes ont découvert qu’elles allaient être transférées en Albanie au moment même où elles sont arrivées, souvent menottées. Aucune information, aucun avertissement, aucune mesure officielle. Cela nous ramène à la dimension de modèle : comme le souligne l’Association italienne d’études juridiques sur l’immigration dans son rapport, cette affaire marque en effet un tournant dans les politiques migratoires et de gestion des frontières, ouvrant la voie à des scénarios inédits dans le contexte européen.

    Le précédent des #navires-quarantaine

    Pourtant, ce laboratoire italo-albanais n’est pas sorti de nulle part. Les pratiques d’#externalisation_des_frontières sont une caractéristique récurrente du régime actuel de gestion des migrations qualifiées d’« illégales » – et aussi, de plus en plus souvent, de « légales », comme nous le constatons par exemple aux États-Unis ces derniers mois. Un exemple parmi d’autres, ou plutôt des précurseurs : les centres de détention pour demandeurs d’asile ouverts en 2001 par le gouvernement australien sur les îles de Manus et de #Nauru. Dans le même temps, je pense qu’il est important de se pencher en priorité sur un exemple interne, européen, qui concerne à nouveau le gouvernement italien, avant même l’arrivée du gouvernement de #Giorgia_Meloni : il s’agit des navires de quarantaine mis en service pendant l’épidémie de #Covid-19.

    Le 7 avril 2020 le gouvernement italien publie un #décret dans lequel il déclare que les ports italiens ne devaient plus être considérés comme des « #POS#Place_of_safety ». Peu de jours après ce décret, en collaboration encore une fois avec la Croix-Rouge italienne, le système de navires-quarantaine a été mis en place et rapidement rendu actif, à travers de nombreuses #dérogations et #exceptions légitimées par l’#urgence_sanitaire. Le premier navire a levé l’ancre le 7 mai 2020. Immédiatement après, cinq autres grands navires sont affrétés et immédiatement mis en service.

    Exactement comme dans le cas des centres albanais, il n’y a jamais eu de communication officielle aux individus, qui n’ont même pas eu la possibilité d’un contact avec le monde extérieur. En outre, de nombreuses personnes contraintes d’embarquer sur des navires-quarantaine ont été soumises à l’obligation de quitter le territoire italien immédiatement après la fin de leur période d’isolement sur le navire en question, sans la possibilité de demander l’asile ou le regroupement familial. Les navires-quarantaine devenaient alors non seulement des centres d’expulsion externalisés et informels, mais aussi des espaces de droits suspendus : le confinement sur une base sanitaire se transformait immédiatement en un outil de gestion des frontières profondément ambigu. Ce que le gouvernement italien a pu faire sous prétexte de pandémie et de biosécurité, il tente désormais de le faire plus ouvertement à travers les centres albanais.

    Les #cobayes, c’est nous

    Les politiques migratoires sont classiquement un laboratoire d’expérimentation de pratiques et de normes à vocation autoritaire. Le cas des centres italiens en Albanie accélère ce processus. Tout cela repose avant tout sur le principe du chantage exercé sur les personnes classées comme migrants « illégaux » : désormais, tout migrant faisant l’objet d’un ordre de retour arbitraire et extrajudiciaire pourra être envoyé en Albanie et y être détenu.

    Ce qui est préoccupant dans cette dimension d’exemple ou de laboratoire, et de leur triste efficacité réelle, c’est qu’il ne s’agit ni d’une hypothèse, ni d’un projet lointain dans le temps. Pour revenir aux navires-quarantaine, il faut noter comment, pendant la pandémie, l’exemple italien a effectivement été suivi par certains : le navire #Bibby_Stockholm mis en place à l’été 2023 par le gouvernement britannique pour le confinement des demandeurs·euses d’asile, par exemple ; ou la proposition du maire de New York, Eric Adams, d’utiliser des #navires_de_croisière comme « solution créative » pour les supposées « vagues de migrants » arrivées dans la ville au cours des mois précédents. Et c’est déjà le cas pour les centres albanais. Pendant sa visite récente en Albanie, Keir Starmer, premier ministre britannique, vient de déclarer : « Nous négocions actuellement avec plusieurs pays au sujet des centres de rapatriement, que je considère comme une #innovation vraiment importante. » Il appelle ces centres « #return_hubs ».

    Face à la facilité avec laquelle ces types d’exemples répressifs sont aujourd’hui suivis et se propagent, il est nécessaire de rester vigilant et de se rappeler que, dans des situations où ces droits fondamentaux sont bafoués et où des personnes qui n’ont commis aucun crime sont soumises à des traitements inhumains et dégradants, le terme « laboratoire » s’avère alors pertinent : mais les cobayes de cette expérimentation sont nos démocraties, et nous tous et toutes.

    https://blogs.mediapart.fr/carta-academica/blog/060625/l-italie-et-le-transfert-des-migrants-en-albanie-le-laboratoire-et-l

    sur les #navi_quarantena :
    https://seenthis.net/messages/866072

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • La #Grèce veut passer un accord avec la #Libye face à l’ampleur des arrivées en #Crète

    Le gouvernement grec souhaite négocier un accord avec Tripoli pour limiter l’augmentation des départs de migrants depuis Tobrouk, à l’est de la Libye, vers la Crète. Athènes veut conclure un partenariat similaire à celui signé entre l’Italie et la Libye en 2017, afin de stopper les embarcations de migrants en route vers la Grèce.

    La Grèce cherche la parade. Face à l’augmentation des arrivées irrégulières en provenance de Libye, Athènes souhaite conclure un accord migratoire avec Tripoli.

    Fin mai, le ministre des Migrations grec, #Makis_Voridis, a fait état d’une nette augmentation des arrivées irrégulières depuis la Libye vers la Grèce au cours des premiers mois de 2025. « Grâce à une protection efficace des frontières et à une meilleure coopération avec la Turquie, les flux d’immigration ont diminué d’environ 30 % au cours des quatre premiers mois, bien que l’afflux en provenance de Libye ait augmenté de 174 % », a-t-il déclaré le 22 mai.

    Il a par ailleurs annoncé une visite officielle en Libye dans les prochaines semaines, avec le ministre des Affaires étrangères, pour négocier un accord bilatéral sur le même modèle que celui entre l’Italie et la Libye signé en 2017. La visite de Makis Voridis vise à « renforcer la coopération bilatérale » entre les deux pays, selon un communiqué publié par les autorités libyennes.

    Depuis février 2017 et la signature d’un accord controversé avec l’Italie, les gardes-côtes libyens sont chargés de stopper les embarcations de migrants en Méditerranée, en échange d’une aide financière italienne. Ces interceptions ont été maintes fois dénoncées par les ONG, rapportant des faits de violences sur les exilés, et des intimidations envers les humanitaires opérant des sauvetages en mer.

    Mais là où Rome avait négocié avec le gouvernement de Tripoli, Athènes devra s’adresser aux autorités de Tobrouk, les deux gouvernements se disputant le pouvoir en Libye depuis 2022.
    La route Tobrouk-Crète prend de l’ampleur

    La Grèce s’inquiète notamment de l’ampleur prise ces derniers mois par la route migratoire allant de Tobrouk, à l’est de la Libye, à la Crète (300 kilomètres). Depuis un an, la petite île de Gavdos, située au large de l’île grecque et ne comptant que quelque 200 habitants, est devenue une zone d’arrivées pour les migrants partis des rives de l’est libyen. Les plages de Tripiti et Karave voient débarquer ces derniers mois un afflux d’exilés sans précédent, principalement des Égyptiens, mais aussi des Pakistanais, Bangladais, Soudanais et Yéménites.

    Au total, 5 161 ont débarqué à Gavdos et en Crète l’an dernier, soit six fois plus qu’en 2023, où l’on comptait 815 arrivées. Cette augmentation pose le problème de l’accueil des demandeurs d’asile sur ces îles dénuées de structures. Selon le média grec Ekathiremini, lors d’une récente visite en Crète, le ministre Makis Voridis a appelé à la création d’un centre d’accueil temporaire à Héraklion ou à Lasithi.

    Le 26 mai, plus de 500 migrants ont été secourus au large des deux îles. Le 28 février, près de 350 migrants ont ainsi débarqué à Gavdos, un record sur une journée. Mais cette nouvelle route, bien que moins surveillée par les autorités libyennes, est très dangereuse. Les migrants doivent parcourir 300 km en haute mer, souvent entassées dans des bateaux de pêche en mauvais état ou de petites embarcations. Le 14 décembre, au moins huit personnes ont ainsi péri dans le naufrage de leur embarcation au large de la Crète et une quarantaine d’autres sont portées disparues.

    La Grèce reste surtout marquée par le drame de Pylos en juin 2023, lors duquel un chalutier chargé de 400 à 750 migrants avait sombré au large du Péloponnèse, en Grèce, tuant plus de 600 migrants. Le bateau était là encore parti de #Tobrouk, en direction de l’Italie.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64955/la-grece-veut-passer-un-accord-avec-la-libye-face-a-lampleur-des-arriv
    #migrations #accord #externalisation #asile #réfugiés

  • La detenzione dei migranti per conto terzi in Bosnia ed Erzegovina

    Il piano del governo del Regno Unito di realizzare nei Balcani degli hub di rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione ha sollevato anche le critiche di Human rights watch. “L’esternalizzazione delle responsabilità pone le persone migranti e richiedenti asilo in una situazione di grave rischio”, spiega Michael Garcia Bochenek, consulente della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione

    Nel marzo di quest’anno il governo del Regno Unito ha proposto di istituire in Bosnia ed Erzegovina -oltre che in Serbia, Albania e Macedonia del Nord- un centro per il rimpatrio in cui detenere i richiedenti asilo che hanno visto respinta la propria domanda di protezione in territorio britannico.

    Secondo il piano avanzato dalla ministra dell’Interno #Yvette_Cooper, le persone verrebbero inviate in queste strutture in attesa di essere rimpatriate nei loro Paesi di origine o in altri Paesi terzi. La proposta del Regno Unito si allinea alla visione della Commissione europea, che vorrebbe introdurre un Sistema europeo comune di rimpatrio con la possibilità, tra le altre cose, “di rimpatriare in un Paese terzo persone il cui soggiorno nell’Ue è irregolare che sono destinatarie di una decisione definitiva di rimpatrio”.

    Facendo riferimento ai Balcani a prendere posizione contro questo progetto è anche Human rights watch (Hrw), che ad aprile ha trascorso due settimane proprio in Bosnia per indagare la condizione delle persone migranti e richiedenti asilo.

    Secondo Michael Garcia Bochenek, consulente senior della divisione dei diritti dell’infanzia dell’organizzazione, “è una pessima strategia, anche solo considerando che si tratta di un Paese che già fatica a gestire il fenomeno migratorio già presente sul suo territorio”. Bochenek ha partecipato all’ispezione del centro di detenzione di Lukavica, nei pressi della capitale Sarajevo, rilevando “ritardi nell’esecuzione dei rimpatri dei richiedenti asilo respinti, oltre a coloro detenuti per motivi di sicurezza nazionale o penali, che in alcuni casi portano a reclusioni prolungate, fino a un massimo di 18 mesi”.

    Inoltre in occasione del monitoraggio i membri di Hrw non hanno potuto parlare in privato con le persone detenute a causa della presenza costante del personale della struttura. Tuttavia, spiega Bochenek ad Altreconomia, “Vaša Prava BiH -organizzazione bosniaca che ha il mandato di fornire consulenza legale gratuita alle persone trattenute- ha registrato diverse denunce da parte dei detenuti circa le condizioni di vita all’interno della struttura detentiva”.

    L’organizzazione che si occupa di diritti civili in Bosnia ed Erzegovina ha riferito che il servizio per gli Affari stranieri è solito non comunicare i dettagli delle accuse né ai detenuti né ai loro avvocati, soprattutto nei casi che riguardano minacce alla sicurezza nazionale. “Nel centro poi non sono previsti nemmeno servizi di supporto psicologico per le persone che presentano problematiche di salute mentale”, aggiunge Bochenek. Secondo quanto riportato da Hrw, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Bosnia avrebbe esplicitato le proprie preoccupazioni circa la trasparenza e la responsabilità nei centri di detenzione presso l’ufficio del Difensore civico del Paese, sollecitandolo a produrre un rapporto ufficiale sulle loro condizioni. Ad oggi però non è stata ancora pubblicata alcuna indagine.

    Volgendo poi l’attenzione al sistema di asilo della Bosnia ed Erzegovina nel suo complesso, il consulente senior di Human Rights Watch denuncia “l’assenza di un’adeguata protezione dei richiedenti asilo, tempi lunghissimi per lo svolgimento delle procedure, accesso limitato alla consulenza legale e preoccupazioni per le condizioni e l’accesso ai servizi”. Secondo i dati del ministero della Sicurezza del Paese, nel 2023 -ultimo anno per cui sono stati resi disponibili dati completi- la Bosnia ha registrato appena 147 domande di asilo. Di queste, solo quattro persone hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato e 63 la protezione sussidiaria.

    Nel report del dicembre 2024 dedicato alla Bosnia ed Erzegovina, l’Unhcr ha rilevato poi che i tempi per l’esame della richiesta di protezione sono estremamente lunghi: sebbene la legge preveda la valutazione delle domande entro sei mesi, infatti, spesso ne trascorrono altrettanti solo per la prima audizione e fino a 344 giorni per la notifica della decisione. Bochenek precisa che “in questo lasso di tempo, i richiedenti asilo sono essenzialmente privi di diritti e possono legalmente cercare lavoro solo dopo nove mesi dalla registrazione”.

    Va detto poi che per le persone in cerca di protezione la Bosnia resta principalmente un Paese di transito verso l’Unione europea. Nel 2023 oltre quattromila cittadini di Paesi terzi sono stati riammessi in Bosnia dagli Stati membri dell’Ue in base ad accordi di riammissione. A loro volta, sulla base di questi accordi, le autorità bosniache hanno trasferito 298 persone, principalmente verso la Serbia. Sono stati invece 683 i provvedimenti di detenzione e 79 quelli di espulsione. A questo proposito però Bochenek puntualizza che “a causa della formulazione vaga del rapporto annuale sulle migrazioni del ministero della Sicurezza, non è chiaro quante di queste decisioni siano state effettivamente eseguite”. È bene ricordare, come fa il rappresentante di Hrw, che “la mancanza di accesso alla protezione e i rischi di una detenzione prolungata senza adeguate garanzie di tutela portano molti cittadini di Paesi terzi riammessi in Bosnia a tentare di varcare nuovamente i confini dell’Unione europea, principalmente attraverso la Croazia”.

    Di fronte a questa realtà fatta di ritardi nelle procedure, accesso limitato all’assistenza legale e gravi carenze circa le condizioni e l’accesso ai servizi delle persone migranti, Human rights watch non ha dubbi sui percorsi che Ue e Regno Unito dovrebbero intraprendere in collaborazione con la Bosnia ed Erzegovina e gli altri Paesi della regione. “Bisognerebbe smettere di puntare sull’esternalizzazione delle frontiere e ora anche dei rimpatri -conclude Michael Garcia Bochenek-. I partner internazionali dovrebbero dare il loro contributo per rafforzare i sistemi di protezione per richiedenti asilo e migranti in Bosnia e non solo. Cambiare strada è ancora possibile, si tratta ‛solo’ di una questione di volontà politica”.

    https://altreconomia.it/la-detenzione-dei-migranti-per-conto-terzi-in-bosnia-ed-erzegovina
    #Bosnie-Herzégovine #migrations #réfugiés #détention #route_des_Balkans #Balkans #externalisation #UK #Angleterre #Serbie #Macédoine_du_Nord #Albanie #renvois #expulsions #hubs #hub_d'expulsion #déboutés #Lukavica

  • Merz : Italienisches Albanien-Modell eine Option für Deutschland

    Italiens Rechtsregierung ist bislang mit dem Vorhaben gescheitert, Asylverfahren nach Albanien auszulagern. Für #Kanzler_Merz ist das Thema trotzdem nicht erledigt – trotz mehrerer Gerichtsentscheidungen gegen das italienische Albanien-Modell.

    Bundeskanzler Friedrich Merz kann sich zur Eindämmung irregulärer Migration nach Europa auch Asylverfahren in Staaten außerhalb der EU vorstellen. Mit Blick auf den einstweiligen Stopp entsprechender Pläne Italiens durch die dortige Justiz sagte der CDU-Vorsitzende bei seinem Antrittsbesuch in Rom, er kenne die Entscheidungen der Gerichte. „Aber dies kann natürlich nach wie vor eine Option sein“, fügte er nach einem Treffen mit der rechtskonservativen Ministerpräsidentin Giorgia Meloni hinzu.

    Die Koalition in Rom aus drei rechten und konservativen Parteien will Asylverfahren für im Mittelmeer aufgegriffene Migranten in Albanien abwickeln, was durch die Justiz jedoch mehrfach unterbunden wurde. Derzeit prüft der Europäische Gerichtshof, ob ein solcher Umgang mit Migranten mit europäischem Recht vereinbar ist. Die eigens errichteten Lager in dem Nicht-EU-Land Albanien stehen seit Monaten weitgehend leer. Bislang hat das Modell noch nie funktioniert.

    (#paywall)

    https://www.migazin.de/2025/05/18/merz-italienisches-albanien-modell-option
    #Italie #Allemagne #migrations #réfugiés #modèle_italien #modèle_albanais #Albanie #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :

    https://seenthis.net/messages/900122

  • Bruxelles entend faciliter le renvoi hors d’Europe des demandeurs d’asile
    https://www.lemonde.fr/international/article/2025/05/20/bruxelles-entend-faciliter-le-renvoi-hors-d-europe-des-demandeurs-d-asile_66

    Bruxelles entend faciliter le renvoi hors d’Europe des demandeurs d’asile
    Par Philippe Jacqué (Bruxelles, bureau européen)
    La droite conservatrice et radicale, ainsi qu’une partie de la gauche nordique, semble avoir remporté la bataille idéologique en matière d’immigration à Bruxelles. Après avoir autorisé, en mars, les Etats européens à créer des « plateformes de retour » des sans-papiers hors d’Europe, la Commission européenne a décidé, mardi 20 mai, de revoir le concept de « pays tiers sûrs », et partant, de faciliter les expulsions de demandeurs d’asile vers des pays par lesquels ils n’ont fait que transiter. Ce changement ouvre également la porte à l’ouverture de centres de demandeurs d’asiles dans des pays éloignés, à l’image des projets développés, mais depuis arrêtés, par le Danemark ou le Royaume-Uni avec le Rwanda.
    La révision du concept de « pays tiers sûrs », présent dans le règlement sur la procédure d’asile adopté en mai 2024 dans le cadre du pacte asile et migration, « permettra d’accélérer les procédures d’asile et de réduire la pression sur les systèmes d’asile, tout en préservant les garanties juridiques pour les demandeurs et en assurant le respect des droits fondamentaux », précise la Commission dans un communiqué.
    L’exécutif européen répond positivement à la demande que lui avait faite une quinzaine de pays en mai 2024. A l’époque, à l’initiative du Danemark, de l’Autriche ou de l’Italie, ces pays avaient exigé de la Commission « d’identifier, d’élaborer et de proposer de nouveaux moyens et de nouvelles solutions pour prévenir l’immigration irrégulière en Europe », dont les plateformes de retour ou la redéfinition du concept de pays tiers sûrs. A l’époque, l’Allemagne s’opposait encore à ce type de projets, aujourd’hui elle les soutient.
    Concrètement, en s’appuyant sur cette notion de pays tiers sûr, « les Etats membres pourront considérer une demande d’asile comme irrecevable lorsque les demandeurs pourraient bénéficier d’une protection effective dans un pays tiers considéré comme sûr pour eux », précise l’exécutif européen.
    Alors que la législation de 2024 exige que les autorités chargées de l’asile prouvent l’existence d’un lien entre le demandeur et le pays tiers sûr concerné (avoir vécu dans ce pays, y avoir travaillé, etc.), la Commission propose de supprimer ce lien. Désormais, le simple passage d’un demandeur d’asile par un pays avant d’atteindre l’Union européenne (UE) peut être considéré comme un lien suffisant pour lui appliquer le concept de pays tiers sûr, indique la nouvelle législation. C’était une demande insistante de l’Italie, qui souhaite renvoyer en Tunisie nombre d’arrivants sur ses côtes. A contrario, la France, dont la Constitution impose ce critère de connexion dans sa propre procédure d’asile, était assez réticente et ne poussait pas au changement.
    Enfin, « en l’absence de lien ou de transit, le concept peut être appliqué s’il existe un accord ou un arrangement avec ce pays tiers sûr », précise la Commission, qui assure qu’elle contrôlera les accords passés entre les Etats membres et ces pays tiers. Cela ouvre la porte à une politique d’externalisation de la gestion de l’asile dans des pays tiers. Encore faut-il que les Etats européens trouvent des Etats volontaires pour recevoir ces demandeurs d’asile.
    Une gageure, car pour être reconnu pays tiers sûr, ces Etats devront remplir « un certain nombre de conditions, telles que la protection contre le refoulement, l’absence de risque réel d’atteintes graves et de menaces à la vie et à la liberté en raison de la race, de la religion, de la nationalité, de l’appartenance à un groupe social ou de l’opinion politique, ainsi que la possibilité de demander et de recevoir une protection effective ». « Ce sera aux Etats membres de désigner, et de s’assurer que les Etats avec qui ils souhaitent travailler sont sûrs », précise Markus Lammert, un porte-parole de la Commission.
    Si une bonne moitié des Etats-membres ainsi que l’aile droite du Parlement européen saluent cette proposition, le centre et la gauche de l’hémicycle font grise mine. « Je conteste vivement la révision du concept de pays tiers sûr », dénonce la libérale Fabienne Keller, de Renew. « La suppression du lien de connexion est problématique, car cela signifie qu’un migrant pourrait être envoyé dans un pays tiers avec lequel il n’a aucun lien et pourrait se retrouver en situation de vulnérabilité, voire de maltraitance. »
    « L’efficacité de ce concept paraît contestable puisqu’elle dépend de la bonne volonté d’Etats tiers, qui devraient accepter des personnes n’ayant aucun lien avec eux », juge Camille Le Coz, directrice du centre de réflexion Migration Policy Institute Europe. Cela risque d’encourager une logique transactionnelle avec les pays voisins de l’Europe, et surtout, « les personnes auraient certainement un intérêt limité à s’intégrer sur place et s’engageraient certainement dans des mouvements secondaires, quitte à tenter de retourner en Europe. »
    « Le plus grand risque, estime Catherine Woollard, la directrice du réseau européen des réfugiés et exilés, c’est de plonger des réfugiés dans les limbes. Des Etats européens vont invoquer ce concept d’Etat tiers sûr pour rejeter leurs demandes d’asile, tandis que les pays tiers en question refuseront d’accueillir ces personnes… On a connu cela avec l’accord UE-Turquie [signé en 2016], où des milliers de personnes rejetées par la Grèce étaient refusées par son voisin turc. Cela a créé des drames. Avec cette proposition, l’Europe tente une nouvelle fois d’externaliser la responsabilité des réfugiés vers des pays extérieurs à l’UE, alors que nombre de ces pays accueillent déjà beaucoup plus de réfugiés que la plupart des Etats membres. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#asile#payssurs#externalisation#politiquemigratoire#hubderetour#expulsion#protection#sante

  • Mauritania once again deports a large number of migrants

    Mauritania receives financial support from the EU to control migration flows.

    Hundreds of migrants from sub-Saharan Africa are being detained and deported from Mauritania. Some members of civil society in Mauritania believe this is the result of an agreement between Nouakchott and the European Union.

    At the start of 2017, the European Union (EU) expressed its intention to block the migrants’ route, particularly for those coming from sub-Saharan Africa. In 2024, the EU estimated that 239,000 unauthorized migrants attempted to cross the region’s border — 38 percent fewer than in 2023.

    Since then, Brussels has refined its migration policy by collaborating with transit countries used by these migrants — Morocco, Tunisia, Libya and more recently Mauritania, whose coast is used as a departure point.

    In February 2024, Mauritania signed a migration partnership agreement with the EU, accompanied by a financial package worth EUR 210 million. The aim was to create a fund to combat migrant smuggling and manage irregular migration from the country.

    Mauritania fulfilled its commitments. In February 2024, a large number of migrants were expelled from the country. According to Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine, Mauritania’s Home Secretary, and Info Migrants, 10,753 migrants were expelled, 14 percent more than in 2023.

    Since late February 2025, sub-Saharan migrants in Mauritania have faced a new wave of mass expulsions, with the country’s authorities citing their illegal status. But does this imply that Mauritania has become Europe’s policeman? To explore this question, Global Voices interviewed Khally Diallo, a Mauritanian member of Parliament, via WhatsApp.

    Jean Sovon (JS): What is the rationale behind the expulsion of sub-Saharan migrants from your country?

    Khally Diallo (KD): Mauritania has recently benefited from major financial support — some EUR 210 million — from the European Union and Spain as part of efforts to combat illegal migration. This partnership can be understood as part of a wider strategy to curb migration flows from West Africa, since Mauritania has, over recent years, become a major crossing point for many migrants heading for Europe.

    By signing this agreement, Mauritania agreed to step up its efforts to control migration. However, there are some obvious limitations to the enforcement of this policy. In practice, measures implemented on the ground often result in waves of arrests and deportations. These are often carried out in a targeted manner, raising questions about respect for human rights and the long-term effectiveness of this approach.

    JS: What nationalities do these operations target? Isn’t such a policy likely to spark tensions between Mauritania and its neighbours?

    KD: These ground operations do not explicitly target any specific nationalities. However, the repressive practices observed, though justified by the government as national security imperatives, reveal an occasionally uneven approach to managing migratory flows. They also appear out of step with the requirements of a broader policy approach that would be more humane, more sustainable, and grounded in an understanding of the deep-rooted causes of migration and an unconditional respect for the dignity of the individuals concerned.

    These operations must be undertaken with great care and the utmost respect for human rights to avoid any confusion or excessively harsh treatment that could damage Mauritania’s image on the international stage, especially for the countries of origin of the migrants. Such perceptions could undermine previous efforts and provoke unnecessary diplomatic tensions.

    In the migrants’ countries of origin, these deportations are difficult to accept. In Mali, the circumstances surrounding them have heightened tensions among the authorities. In Senegal, Guy Marius Sagna, a member of parliament, has taken up the issue and demanded a parliamentary enquiry.

    I have received a great deal of information from the Islamic Republic of Mauritania. I hear about human rights violations and xenophobic campaigns targeting citizens from Senegal, Mali and other African countries. For some time now, I have been receiving reports of inhuman detentions and deportations.

    Mauritania is a sovereign state and has the right to set its own rules, which Senegalese nationals who decide to go there must respect.

    I intend to propose to Senegal’s Parliament the creation of a fact-finding mission to Mauritania so we may better understand the situation of our Senegalese nationals, ECOWAS‘s citizens, African nationals and migrants in general.

    I will also question the government about the current situation of our Senegalese citizens in Mauritania.

    JS: What do human rights organizations make of this situation

    KD: Human rights organizations, many civil society members and I, as an elected representative of the people, have reacted strongly to this situation. We firmly denounce the excesses observed during the control operations, especially the arbitrary arrests and detention conditions, as well as the deportations carried out without due legal process.

    We call on the authorities to show greater restraint and discernment because the fight against illegal immigration does not justify violating fundamental rights. Mobilization intensified after several testimonials emerged on social media, revealing cases of police misconduct and blatant acts of abuse, sparking a wave of outrage.

    There have also been worrying allegations of illegal practices, with some migrants reportedly forced to pay money to avoid being deported or to obtain an insecure immigration status. Should such abuses be confirmed, they would constitute an unacceptable exploitation of vulnerable individuals and undermine efforts to promote transparency and sound governance.

    JS: Are there any solutions to resolve this issue?

    KD: In a spirit of shared responsibility, I call on foreign citizens in Mauritania to comply with legal requirements regarding residency. They must regularize their status to ensure their personal safety but also to live with dignity and peace of mind in Mauritania. At the same time, this call for regularization must be matched by a genuine commitment from the Mauritanian authorities.

    I think that access to residency permits must be improved through the establishment of well-defined, accessible, transparent and fair procedures. At present, it is evident that many foreigners face a real uphill battle to obtain these permits. Unfortunately, this complexity creates opportunities for various forms of fraud, administrative abuses and corruption at the expense of the most vulnerable. Therefore, the system for issuing residency permits must be thoroughly overhauled: to simplify the administrative processes, reduce processing time, fight illegal practices and establish welcome and assistance centers to support migrants through the process.

    Mauritania is a preferred destination for many sub-Saharan migrants, not only as a departure point for Europe but also as an economic hub for some types of employment. A study by the International Organization for Migration (IOM) on the profile of migrants in Chami, a town in northwestern Mauritania, identifies the search for better living conditions as the primary reason behind the presence of thousands of sub-Saharan migrants. The report indicates that:

    An analysis of the economic sectors employing migrants in the town of Chami reveals that artisanal gold mining is the most important, employing the most migrants (52 percent), particularly men who represent 97 percent of the workers in this sector.

    Bearing this in mind, can Nouakchott afford to dispense with the sub-Saharan workforce?

    https://globalvoices.org/2025/05/15/mauritania-deports-a-large-number-of-migrants-again

    #Mauritanie #expulsion #déportation #migrations #réfugiés #externalisation #frontières #accord #UE #EU #union_européenne #Espagne

    ping @6donie

  • Asile et migration - Le #Rwanda en discussions « initiales » avec les États-Unis sur un #accord_migratoire

    Kigali et Washington ont initié une discussion pour accueillir des migrants en provenance des États-Unis, a déclaré le ministre rwandais des Affaires étrangères aux médias d’État. L’administration du président Donald Trump a lancé une vaste campagne d’#expulsions, négociant des arrangements très controversés pour envoyer des migrants vers des pays tiers.

    Le ministre des Affaires étrangères #Olivier_Nduhungirehe a confirmé des informations antérieures selon lesquelles le Rwanda figurait parmi les pays en discussion avec Washington concernant un accord sur les migrants, suite à une question posée à la télévision d’État dimanche. « Ces informations sont vraies, nous sommes engagés dans des discussions avec le gouvernement des États-Unis d’Amérique », a-t-il déclaré.

    « Je dirais que les discussions en sont à leurs stades initiaux, mais nous continuons à parler de ce problème des migrants », a-t-il ajouté, sans donner plus de détails. Contacté par l’AFP, il a déclaré : « Vous serez informés lorsque les discussions seront finalisées ».

    L’accord de Washington avec El Salvador a créé un tollé, notamment après qu’un responsable américain a reconnu que les autorités avaient expulsé par erreur un Salvadorien, mais que les États-Unis ne pouvaient pas le faire revenir.

    Le Rwanda, petit pays d’environ 13 millions d’habitants, a été critiquée par des ONG pour son bilan en matière de droits humains et une liberté d’expression de plus en plus restreinte.

    Ce pays de la région des Grands Lacs avait précédemment conclu un accord similaire de plusieurs millions de dollars avec la Grande-Bretagne pour accueillir des migrants illégaux expulsés. Cependant, l’accord - controversé - a été immédiatement annulé après l’élection d’un nouveau gouvernement britannique l’année dernière. La Cour suprême britannique avait statué que l’envoi de migrants au Rwanda dans le cadre de cet accord serait illégal car il « les exposerait à un risque réel de mauvais traitements ».

    https://www.lalibre.be/dernieres-depeches/2025/05/05/asile-et-migration-le-rwanda-en-discussions-initiales-avec-les-etats-unis-su
    #trumpisme #USA #Etats-Unis #migrations #réfugiés #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur la mise en place de l’#externalisation des #procédures_d'asile au #Rwanda par l’#Angleterre (2022) :
    https://seenthis.net/messages/966443

  • « Le bâtiment, les machines, tout reste La Redoute sauf les salariés » : des travailleurs de l’entrepôt de Wattrelos racontent leur externalisation forcée
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2025/04/30/quand-la-redoute-externalise-ses-effectifs-chez-idlogistics-le-batiment-les-


    Dans l’entrepôt logistique du groupe de vente à distance La Redoute, à Wattrelos (Nord), le 28 juin 2022. ALEXIS CHRISTIAEN (PIB)/PHOTOPQR/VOIX DU NORD/MAXPPP

    Au terme de négociations, les salariés ont notamment obtenu le maintien de leur prime d’ancienneté, de leur 13e mois, de leur prime panier (titre-restaurant) ou de la majoration des heures après 21 heures et avant 6 heures. Des mesures « garanties » selon La Redoute. Elles devront être maintenues dans le nouvel accord d’entreprise qu’il faudra forcément négocier avec IDLogistics d’ici à quinze mois. « La négociation, c’est sûr, se fera à la baisse », prédit cependant M. Bella. La loi interdit de diminuer leurs salaires même au-delà des quinze mois. Mais les équipes passent de la convention collective du commerce à distance à celle du transport routier de marchandises, jugée moins-disante. « Comme on est mieux payé que ceux d’IDLogistics, on a très peu de perspective d’augmentation désormais », commente une préparatrice de commande.

    https://archive.ph/SeYy6

    #logistique #livraison #commerce #ouvriers #ouvrières #travail_ouvrier #travail #emploi #externalisation

    • La logistique, vivier d’emplois, mais à quel prix ?
      https://www.lemonde.fr/economie/article/2025/04/30/la-logistique-vivier-d-emplois-mais-a-quel-prix_6601858_3234.html

      La logistique, qui faisait travailler 1,56 million de salariés fin 2024, dont 400 000 à 500 000 dans des entrepôts, est l’un des secteurs qui maintiennent à flot le niveau d’emploi dans l’Hexagone. Quatre-vingt-dix mille recrutements sont attendus en 2025 dans la catégorie transports et entreposage, selon l’enquête « Besoins en main-d’œuvre » de France Travail, dont 40 400 magasiniers et préparateurs de commandes peu qualifiés (4 % de plus qu’en 2024). C’est l’un des rares métiers où les projets d’embauche augmentent en France.

      Amazon symbolise les paradoxes de la logistique. Côté face, un géant qui dynamise l’emploi local − ses effectifs en France ont été multipliés par six en dix ans, pour atteindre 24 000 personnes sur trente-cinq sites − et paie mieux que les concurrents. Côté pile, une machine inlassable, consommatrice d’intérimaires, qui peut briser en quelques années les corps et les psychismes, et où les salariés se succèdent à un rythme impressionnant.

      https://archive.ph/BgdIf
      #cadences #malades_du_travail #management_algorythmique

  • Chi chiede asilo torna in Italia : l’accordo con Tirana è carta straccia

    La Corte d’appello della capitale non convalida il trattenimento a #Gjader di un cittadino del Marocco: mancano i requisiti del protocollo. Ma Piantedosi esulta per il primo rimpatrio di un migrante del Bangladesh che, comunque, è dovuto ripassare da Roma.

    C’è un buco nella seconda fase del protocollo Roma-Tirana: se un migrante trasferito da un Cpr italiano a quello di Gjader fa domanda d’asilo non può essere trattenuto in Albania. Lo ha stabilito ieri la Corte d’appello della capitale nel primo caso di questo tipo, per un uomo del Marocco. Una sentenza esplosiva che manda in cortocircuito il nuovo tentativo del governo di riempire i centri d’oltre Adriatico.

    DOPO LA RICHIESTA di protezione internazionale, infatti, serve una nuova udienza di convalida della detenzione e siccome riguarda un richiedente asilo la competenza passa dal giudice di pace alla Corte d’appello. Che ieri ha stabilito l’assenza di requisiti per il trattenimento in Albania. L’uomo dovrà essere riportato in Italia e andrà anche liberato, difficile ci siano i tempi tecnici per un’altra udienza.

    Dei primi 40 migranti trasferiti dal territorio nazionale l’11 aprile tre erano già stati rimandati indietro nei giorni scorsi. Due per ragioni sanitarie e uno per il ricorso pendente al momento della deportazione. Un “irregolare” di origini algerine è stato invece spedito a Gjader l’altro ieri. Erano quindi in 38 nel centro alla decisione della Corte sul trentenne marocchino, difeso dagli avvocati Donato Pianoforte e Ginevra Maccarrone.

    L’UOMO ERA ARRIVATO in Italia nel 2021. Nel 2023 ha ricevuto una condanna penale. Dopo averla scontata non è stato liberato, ma è finito nel Cpr di Potenza. Da là lo hanno portato a Gjader, dove ha chiesto asilo per la prima volta. In 24 ore la commissione ha risposto negativamente, consegnandogli un diniego. La domanda è stata esaminata seguendo la procedura prevista per chi si trova in detenzione amministrativa. Procedura «accelerata» ma diversa da quella «accelerata di frontiera», riservata a chi non è mai entrato nel territorio nazionale. Come le persone salvate in acque internazionali e mandate in Albania nei primi tre round di trasferimenti: il target iniziale del progetto.

    Poi a fine marzo, per scavalcare lo stop dei giudici sul tema «paesi sicuri», il governo ha modificato la legge di ratifica del protocollo estendendo l’uso dei centri agli “irregolari”. Per l’esecutivo l’ampliamento di funzioni è possibile senza toccare l’accordo con Tirana perché quel testo consente la permanenza in Albania «al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o rimpatrio». Le prime per i richiedenti mai entrati in Italia, le seconde per gli “irregolari” destinatari di espulsione già sul territorio nazionale. Ma se il migrante chiede asilo successivamente si crea un terzo caso che richiede, appunto, un’altra procedura. Sta qui il buco, l’errore di sistema. Il cittadino marocchino era alla prima richiesta, parzialmente diversa sarebbe una «domanda reiterata», presentata dopo uno o più dinieghi. Anche in questo caso, però, l’esame seguirebbe un iter accelerato ma non «di frontiera».

    IL CASO DI IERI era prevedibile, già il 12 aprile il manifesto aveva scritto che ci sono varie strade per invocare quel controllo giurisdizionale che il governo vuole evitare a tutti i costi. Chiedere asilo era la seconda di tre. Potrebbe sembrare l’ennesimo cavillo giuridico, uno di quelli evocati dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi alla presentazione del decreto, ma succede esattamente il contrario. È l’esecutivo che, con la sponda della Commissione Ue, sta giocando sul filo di leggi nazionali, dettato costituzionale e normative europee per provare ad attuare un progetto che solleva numerose illegittimità dal punto di vista dei diritti fondamentali.

    In primis il diritto alla libertà personale che non a caso i costituenti hanno messo al riparo dagli abusi dell’autorità con la doppia riserva, di legge e di giurisdizione, prevista dall’articolo 13 della Costituzione. La verità è che il progetto Albania è sempre più un test sui margini di arbitrio del potere esecutivo. Una dinamica preoccupante, soprattutto guardando a ciò che avviene negli Usa di Trump: non a caso sullo stesso terreno dell’immigrazione.

    SEMPRE ieri, giusto tre ore dopo il deposito della sentenza, Piantedosi ha annunciato: «Primo rimpatrio dall’Albania di un cittadino straniero trattenuto a Gjader». È un uomo del Bangladesh di 42 anni con precedenti, ritenuto «socialmente pericoloso». Dal Viminale, però, confermano che tutti i rimpatri devono avvenire dall’Italia. Quindi il migrante è stato spedito in Albania la settimana scorsa, parcheggiato per un po’, riportato indietro e poi rimpatriato.

    L’unico successo della mossa potrebbe essere distogliere l’attenzione da quanto stabilito dalla Corte d’appello. Per qualche giorno forse funzionerà. Ma da ieri le fondamenta del protocollo Albania sono ricominciate a crollare.

    https://ilmanifesto.it/chi-chiede-asilo-torna-in-italia-laccordo-con-tirana-e-carta-straccia

    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #Italie #Albanie #justice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Migration Outsourcing to Albania: The Italian PM’s On-Again, Off-Again Grand Plan

      Despite the Italian migrant centres in Albania officially opening in October, the facilities have lain empty over a legal dispute. Migrants are now once again being sent there, though the project remains a source of controversy as well as hope for local communities.

      In the Albanian port of Shengjin, November’s icy coastal winds turn hands blue with the cold. The view of the water’s surface is dotted with rusted boats, which appear as if they have remained there, unmoved, for a long time. A truck cuts across the horizon, hauling away the last batches of debris left over from the construction of a migrant reception centre. The facility, set against the backdrop of empty port buildings and ships, looks sleek and modern. With its high metal walls and containers located inside, it resembles a prison.

      Shengjin is set to be the first stop for irregular migrants caught by the Italian coast guard in international waters. Here they will be held for a limited time, undergoing a short interview and health check, before being moved to a detention centre in Gjader, around 20 kilometres inland.

      The two facilities form the foundations of Italian Prime Minister Giorgia Meloni’s flagship immigration project. The idea behind it is simple – outsourcing migrant asylum procedures from Italy to Albania, which is just across the sea.

      “It is a new, courageous, unprecedented path, but one that perfectly reflects the European spirit and has all the makings of a path to be taken with other non-EU nations as well,” Meloni declared to the Senate in February last year.

      It is also proving a costly path: the building of the facilities alone has soaked up around 100 million euros already, with an estimated 700 million more to be spent over the five years of the agreement with Albania. Opposition politicians in Italy and a source closely connected to the Italian embassy in Tirana disclose that the final cost will be closer to 1 billion euros.

      Only a specific group of migrants will come to Albania: adult men, physically and mentally healthy, from 19 countries deemed safe by the Italian government. Authorities aim to use the offshore facilities to fast-track the processing of their asylum claims – a procedure that sometimes takes years in Italy will be shortened to 28 days in the case of migrants brought to Albania.

      That is, if the project finally get properly up and running. Despite being launched in October, Meloni’s plan has faced multiple setbacks in the Italian courts. The facilities built to detain up to 30,000 asylum seekers annually have so far been used only for two groups of migrants of Egyptian and Bangladeshi origin – one of 16 people and another of eight.

      Both groups were ordered by the Civil Court of Rome to be returned to Italy immediately. But after a two-month hiatus, on January 26, an Italian Navy ship set sail with 49 migrants from those two countries on board, which arrived in Shengjin three days later, on January 28.

      Headed home

      Shengjin is a small resort town northwest of Tirana that attracts Albanian and foreign tourists during the summer months. In autumn, the town seems almost deserted, with empty bars lining the seaside promenade. Only in some bars can a few men be found drinking an afternoon beer.

      One such place is a dingy tavern near the harbour, frequented by a group of Italian carabinieri and policemen who had emerged from behind the high gate of the reception centre. One of them sits on a plastic chair in front of the entrance and regards us from behind sunglasses.

      “I didn’t volunteer to be here; I was assigned. I won’t say whether it’s good or bad, it’s just that the decision was made,” he says offhandedly.

      Surely, the pay rate is higher than for serving at home, we ask?

      “It depends on where you served before. I may come out a little better, someone else not necessarily. And the work? Now it’s mostly paperwork, because we don’t have any migrants. Basically, there’s no point in me being here. I’m going back in a couple of days, because it was decided that I would be more useful in [Italy],” he says.

      There are many more like him. In December, more than half of the Italian officers were returned home, because the legal skirmishes between the Italian courts and the authorities will inevitably mean the project cannot start for at least another six months.

      One main street leads from the port to the town centre. Along the way we meet a few locals, but most don’t want to talk about the reception centre. In this post-communist country, people are taught not to discuss political topics openly.

      A few, however, enthusiastically argue that this project is an opportunity for local, small-scale entrepreneurs to make money; others are sure nothing good will come from it for them.

      “What could the city possibly gain from it? After all, no one will make any money on these migrants, and Italian officials sit and eat at the hotel,” BIRN hears from one among a group of men in their 20s.

      “We don’t want this camp for many reasons, but mostly because it will be against the rights of those migrants being sent here,” says one of two elderly men smoking cigarettes in the nearby hotel’s fancy restaurant. “They started their journey to be in Italy, not in Albania. Who has the right to change their route? And besides, for us there is nothing to be gained from it.

      Dancing to a different beat

      Before leaving Shengjin, we meet with an MP from the opposition Democratic Party of Albania, Agron Gjekmarkaj, who is from this coastal area. We talk in a restaurant near one of the local gas stations.

      “People feel that this is purely a propaganda move by Prime Minister Meloni. Her country has enough capacity to receive these migrants at home. It’s just a matter of convincing her citizens that she has gotten rid of the problem. And what concerns us most is how our prime minister is using his power for her own interests,” Gjekmarkaj argues.

      Albanian Prime Minister Edi Rama of the ruling Socialist Party is a controversial figure, wielding power with a heavy hand in a country that continues to struggle with corruption, social injustice and high levels unemployment three and a half decades after the end of Communism.

      “There is a perception that Prime Minister Rama has done Meloni a personal favour to strengthen his position with the Italian government,” Gjekmarkaj says. “This is not the first time he has done something like this. But for our country to build facilities reminiscent of prisons for migrants is just ruining our image.”

      From what Gjekmarkaj and others say, no one – apart from the prime ministers themselves – and not even members of the ruling party knew about the Italian-Albanian project before it was officially announced. This is because, they say, Rama is not in the habit of consulting other officials about his decisions.

      The Democratic Party MP argues that he is not against granting asylum to those fleeing from Africa or the Middle East. He stresses that Albanians are themselves a nation of migrants; today, more than 40 per cent of this nation of 5 million people work abroad due to the lack of prospects and low wages in their own country.

      “However, we cannot accept being treated as a country on which others can dump their problems,” Gjekmarkaj adds.

      He is not the only one to oppose the project. The Vatican, international NGOs and the Italian opposition, among others, have also expressed their doubts or disagreement.

      “What remains in Albania is a colossal structure built by local entrepreneurs with the taxes of Italian families, a structure destined to rot. What remains in Albania is the face of Giorgia Meloni, the author of an unprecedented waste of resources, wanted only on an electoral whim,” wrote former Italian prime minister Matteo Renzi on X in November. “And the judges have nothing to do with this, make no mistake: the Albania operation does not hold up, both in terms of numbers and the law.”

      Building walls and fences

      Shengjin might be the planned first stop for irregular migrants, but if the Albanian operation does eventually take off, they will spend most of the time in the detention centre – a facility located further north, on a road which leads to the centre of a village called Gjader.

      You can’t see the high steel fences from the heart of this small hamlet, but you can’t miss them going in or out of it. Those fences are an eyesore for the inhabitants, many of whom have relatives who have migrated themselves. Aleksander Preka, the village head, claims that some people felt it was testimony to how their loved ones are also treated abroad.

      Whatever reservations they might have, however, pale in comparison to the potential benefits that the Italian investment promises.

      “Until now, the people of Gjader saw only good things coming from this deal. They are selling more products, and they received a promise from the Italian embassy that they would get an improved energy system,” states Preka.

      The detention centre – unlike the one in Shengjin – also brings with it a promise of better employment opportunities. BIRN met people who work there, either hired to clean or help construct the facilities. The 400-euro monthly salary that the camp’s authorities offer may not seem like much to Italians, but in Gjader it is an enticing offer. Preka says that once Meloni’s project gets under way, it will create a significant influx of jobs.

      “We were promised by the municipal authorities that if the camp reaches its capacity, at least 150 people from the area will work there. And when we met with the Italian ambassador, we made a deal that if we don’t protest against the project, any additional workforce that will be needed will have to come from the village,” he says.

      If these promises are kept, Meloni may have thrown Gjader a lifeline. The village used to have a state agricultural cooperative and a military airfield during Communism, which ensured the availability of work for anyone living here. But those times are long gone; Gjader is now depopulating at a steady clip.

      Locals show us how many of the houses along the main road are abandoned as people leave for either the bigger cities or abroad. Agriculture and remittances from family members working in Italy, Germany or Austria are the main sources of income here. So even though we hear some concerns about the ethics of turning some of Gjader’s territory into a ‘prison’ for migrants headed to another country, no one with whom we talked directly opposes the project.

      Rrok Rroku, who claims to be the former mayor of the commune in Gjader, states that despite his opposition to the current local administration, he also would have allowed the facilities to be built.

      “Those who say that it’s a prison do so for political reasons. I have been inside the centre and the conditions there are really good. And yes, there are walls around it, because the people that will come here want to go to the European Union, so if there aren’t walls, we won’t be able to keep them in for even those 28 days,” he points out.

      He also justifies Meloni’s project: “Migration is a problem for all of the European countries, even the developed ones. Some are building fences; some are building walls. If I live in my home with my family and 10 other people come, I can’t house and feed everyone.”

      Dangerous precedent

      Outside of Gjader, we come across many who openly criticise the plan cooked up by these two prime ministers. Even before the centres in Albania were finished, human rights organisations pointed out that Meloni and Rama’s project could prove a dangerous precedent in European migration law.

      “Experience shows that offshore asylum schemes can’t be implemented in a way that respects people’s rights and international law,” says Judith Sunderland, associate Europe and Central Asia director at Human Rights Watch.

      “The 16 men taken to Albania by an Italian Navy ship are being put at risk for the sake of a terrible experiment,” she comments about the group of migrants who were eventually returned to Bari in Italy by a court, but are likely to be part of the group of 49 who were sent back to Shengjin on January 25.

      In the Albanian capital of Tirana, BIRN meets with Erida Skendaj, a lawyer and representative of the Albanian Helsinki Committee, which, like Sunderland, has had concerns about the project from the very outset. His organisation issued a statement and an open letter to the Albanian prime minister, demanding he rip up the deal, as it violates human rights and was adopted without public consultation.

      “We have not received any response,” says Skendaj.

      The lawyer is particularly worried about the fast-track asylum procedure, which she believes is aimed at deporting foreigners to their countries of origin as quickly as possible. “Besides, sending migrants to Albania, meaning outside the EU, is illegal. Non-EU countries do not provide the same protection of human rights as member countries,” she points out.

      Less critical of the agreement is Albania’s ombudsman, Erinda Ballanca. As she welcomes us into her office, she puts things straight from a legal perspective: “The project and whether it was possible or not to implement, went through the Constitutional Court of Albania. It declared that the deal is in line with the law.”

      Still, she has some concerns about certain parts of the project from a human rights perspective, especially the lack of transparency in the process of drafting and negotiating the agreement, as well as the double standards shown towards migrants.

      “Those who come to our country to ask for asylum are not held in the detention centres, whereas other migrants will be sent to the Italian facilities, also in Albania, which they cannot leave. This could be discrimination,” Ballanca points out.

      She presented those doubts to the Constitutional Court, which acknowledged that the Italian law – meaning EU law – must be applied and prevail in that case. “But we are not against the agreement in principle,” she adds.

      Facility fears

      People who have had the chance to visit the centres voice their concerns as well. Damien Boeslager, a member of the European Parliament from the Volt Europa party, inspected the facility in Gjader in November.

      “It’s very much a container village, reminding me of similar facilities in EU member states. It looks very uncomfortable, very prison-like. It’s mostly concrete with very high walls around it – not a place where you’d want human beings to be,” he says.

      Boeslager thinks the Italian government has merely created an ex-territorial camp in Albania, while everything would be much better if it were located in Italy. “It’s got a very small capacity, so it’s not a systemic solution. This is a propaganda move to send the signal that migration is being dealt with,” he claims.

      But a number of European leaders don’t seem too concerned about the humanitarian aspect of outsourcing the processing of asylum claims. On the contrary, Meloni’s flagship project is being observed with great interest from the outside.

      Ursula von der Leyen, president of the European Commission, openly called on other member states to “explore the idea of developing return hubs outside the EU”. Keir Starmer, the prime minister of the UK – which had already tried to implement a plan of relocating asylum seekers and irregular migrants to Rwanda under the previous Conservative government – admitted that he had discussed the concept of the Albanian project with Meloni herself.

      And in Albania, more than one source told BIRN that representatives of the Dutch government had visited the centre in Gjader and inquired about the possibility of building a similar facility.

      This interest petered out as soon as Meloni’s program hit a legal speed bump. Days before the official inauguration of the centres on October 11, the Court of Justice of the European Union (ECJ) ruled that a state cannot be deemed a “safe third country” by any EU government if there is a risk of persecution in any of its parts or territories. That is why the migrant groups from Bangladesh and Egypt – two countries with numerous well-documented human rights issues – were immediately returned to Italy.

      This decision put the Italian designation of 19 safe third countries under additional scrutiny, and the ECJ has now been asked to review whether the list prepared by Meloni’s government is compliant with EU law. The ECJ is set to hear the case on February 25.

      Regardless of whether that decision goes the prime minister’s way or not, sources have told BIRN of their confidence that, in time, the centres will start to function as planned. The source close to the Italian embassy in Tirana assures that a legal solution will be found, even if only because of the fact that any other outcome would be embarrassing for both Italy and Albania.

      Meloni has already used the decision of the court in Rome to further the idea that the Italian judiciary is acting against the people’s interests and that it is obstructing the current government’s plans in the name of a political vendetta. She also stated that, “the centres for migrants in Albania will work, even if I have to spend every night there from now until the end of the term of the Italian government.”

      Yet even if Meloni gets her way and the centres do get up and running, questions over the value and logic of them remain. Offshoring definitely is a new solution, as Meloni claims, but it will also be a costly one, with many legislative question marks continuing to hang over it.

      https://balkaninsight.com/2025/01/28/migration-outsourcing-to-albania-the-italian-pms-on-again-off-again-g

  • Il “clima di terrore” tra i lavoratori dei centri per migranti in Albania

    Riservatezza e “obbligo di fedeltà” sono alcune delle clausole che i dipendenti di Medihospes Albania hanno dovuto sottoscrivere per iniziare a lavorare nelle strutture di #Shëngjin e #Gjadër. Gli operatori lamentano cattiva gestione e licenziamenti improvvisi. A un anno dall’aggiudicazione dell’appalto, la prefettura di Roma e il gestore non hanno ancora firmato il contratto. Mentre il governo ha riavviato i trasferimenti nella massima opacità. La nostra inchiesta.

    “Firmando il contratto abbiamo dovuto accettare una clausola che prevede ‘l’obbligo di fedeltà’: all’interno dei centri c’era un clima di terrore”, dice Arben, nome di fantasia di un ex dipendente della Cooperativa #Medihospes, l’ente gestore delle strutture per migranti di Shëngjin e Gjadër, in Albania, volute dal Governo Meloni. Un castello di carta retto da silenzio e “fedeltà” che poche informazioni fanno crollare in fretta.

    Documenti ottenuti da Altreconomia dimostrano infatti la confusionaria gestione del ministero dell’Interno dopo la frettolosa apertura di metà ottobre 2024, quando i centri erano in gran parte inagibili. A pochi mesi di distanza, la sostanza non è cambiata: il nuovo avvio dell’11 aprile è avvenuto nel buio più totale e ancora senza un contratto esistente tra la prefettura di Roma e Medihospes.

    Riavvolgiamo però il nastro per capire che cosa è successo. Esattamente un anno fa, il 16 aprile 2024, viene aggiudicato l’appalto da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri e quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si reca in Albania il 5 giugno 2024 per inaugurarli, l’apertura sembra imminente. Non è così: tutto resta fermo per settimane con l’esecutivo che posticipa di mese in mese l’apertura. Poi, in pochissimi giorni arriva un’accelerazione.

    L’8 ottobre avviene il doppio passaggio di “consegna” della struttura di Gjadër, il cuore del progetto albanese che prevede oltre 800 posti tra l’hotspot, il Cpr e la sezione destinata al carcere: il ministero della Difesa italiano, che ha svolto i lavori, consegna le strutture alla prefettura di Roma che a sua volta ne affida la gestione a Medihospes. Il documento, ottenuto da Altreconomia, sottolinea che l’avvio è parziale e “in via d’urgenza” ma il motivo dell’improvvisa fretta del governo non è indicato. Quel che è lampante, invece, è il ritardo dei lavori come dimostra la mappa allegata al verbale di inizio attività in cui vengono delimitate le aree ancora oggetto di cantiere che coprono gran parte del perimetro dei centri.

    I problemi non sono solo relativi agli spazi inagibili. Con una nota del 14 ottobre 2024, a tre giorni dall’arrivo dei primi migranti intercettati in mare, Medihospes indica alla prefettura tutte le criticità di un avvio della gestione così precipitoso. “Sono state consegnate all’ente gestore due palazzine alloggi ma, come poi verificato nelle ore successive presso il sito di Gjadër, solo una è utilizzabile dal personale atteso che la seconda è priva di letti”. I posti destinati ad alloggi per l’ente gestore “da capitolato risultano essere 60” mentre al 14 ottobre erano stati consegnati “soli 24 posti e non 48”, come era stato evidentemente pattuito. Secondo la cooperativa ciò rappresenta una “enorme criticità che comporta un notevole aggravio dei costi per la conseguente sistemazione del personale trasfertista”.

    Ancora. “Il numero delle aree destinate a spogliatoio del personale dell’ente gestore risulta assolutamente insufficiente”. Un’altra criticità è l’assenza di un locale da destinare a mensa o sala per la distribuzione dei pasti, così come l’affidamento a Medihospes della gestione di una “control room” non rientrante nelle prestazioni previste dal capitolato e dagli atti di gara. Solo per questa attività, comunicata all’ente gestore a sette giorni dall’avvio del servizio, serviranno un totale di 336 ore settimanali per le operazioni di videosorveglianza, antintrusione, antincendio, gestione di accessi e la filodiffusione.

    La cooperativa si mette addirittura a disposizione per fornire servizi non previsti del bando di gara, compresa la citata “control room”. Il confine tra gestione e sorveglianza si fa così progressivamente sempre più labile. Tanto che l’ente segnala le problematiche relative ai “varchi con cancelli motorizzati, non essendoci cancelli pedonali per entrare nei singoli lotti”. Medihospes sottolinea che “l’apertura frequente dei cancelli carrabili aumenterebbe il rischio di tentativi di fuga dal singolo lotto verso le aree comuni”, auspicando la realizzazione di “cancelli metallici dotati di tornello” così da garantire un maggior controllo.

    Insomma, i centri allora sono ancora lontani dall’essere pronti ma il 15 ottobre, mentre la nave Libra sta trasportando le prime persone soccorse al largo di Lampedusa verso le coste albanesi, arriva la firma del “verbale di esecuzione anticipata”. La giustificazione indicata dalla prefettura è “l’esigenza e l’urgenza di assicurare nell’interesse pubblico l’avvio del servizio di accoglienza e dei servizi connessi”.

    “La mancata firma del contratto sembra testualmente fondarsi su ragioni di urgenza che tuttavia sono correlate all’interesse pubblico di vedere avviati i centri -osserva Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista di Milano e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)– con una formulazione che suona solo tautologica e lascia inspiegata la ragione stessa dell’urgenza, a fronte di un protocollo della durata di cinque anni e di un contratto di gestione della durata di due anni prorogabile per altri due”. Un contratto che ancora oggi, a un anno di distanza, non sembra essere stato firmato.

    La confusione organizzativa poi ha avuto effetti negativi soprattutto sui lavoratori assunti da Medihospes, che a luglio 2024 ha aperto una filiale con sede a Tirana. “Ho siglato il contratto la notte prima dell’arrivo della nave Libra, non ho avuto neanche il tempo per leggere attentamente tutte le clausole”, riprende Arben, che racconta di non aver mai neanche ricevuto una copia dell’originale. “Ci è stata consegnata solo la fotocopia ma due mesi dopo la firma”, aggiunge, raccontando poi nel dettaglio come ha vissuto la prima operazione del governo. “Quando le prime persone sono arrivate sembravano spaventate, con gli sguardi assenti e sopraffatti dalle informazioni ricevute nell’hotspot di Shëngjin. Anche per noi è stato difficile seguire queste procedure”.

    Dopo il primo sbarco non sono stati solo i migranti ad affrontare la confusione ma anche gli operatori albanesi che non avevano ricevuto alcuna formazione. “Ci è stato detto di mantenere un ruolo di osservazione durante quella operazione. Non conoscevamo altri colleghi, né avevamo una visione d’insieme sul funzionamento dei centri. Fino alla fine di dicembre non abbiamo avuto nemmeno un ufficio”, sottolinea l’ex lavoratore, criticando la cattiva gestione e il caos della prima operazione avvenuta in fretta e furia. Tanto che i turni di lavoro sono stati forniti ai lavoratori molto tardi. “Tra le nove e le dieci della sera prima, e questo è accaduto anche nella seconda operazione”, spiega Arben.

    Inoltre, la prima formazione dello staff, durante la quale i lavoratori sono stati istruiti su tutte le procedure che si svolgono a Shëngjin e Gjadër con esercizi di simulazione sarebbe avvenuta solo una settimana dopo il primo trasferimento. Le sessioni informative sarebbero state condotte da Benedetto Bonaffini, imprenditore di Messina e già vicepresidente nazionale della Federazione italiana esercenti pubblici e turistici (Fiepet) di Confesercenti nonché colui che ha supportato Medihospes (allora Senis Hospes, come raccontato qui) a implementare le proprie attività nella città siciliana, soprattutto nell’ambito dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

    I lavoratori albanesi assunti da Medihospes nei primi mesi di attività nei centri sono stati 99. Il contratto che hanno firmato ha stringenti clausole di riservatezza e fedeltà

    Nonostante gli esorbitanti investimenti per i centri stimati in 800 milioni di euro, i lavoratori hanno poi lamentato l’assenza di condizioni adeguate di base per il personale, tra cui il fatto che hanno dovuto viaggiare a proprie spese per coprire i venti chilometri di distanza che separano l’hotspot di Shëngjin ai centri di Gjadër. “Il mio turno più lungo è durato dalle otto del mattino alle undici di sera, anche se per legge non possiamo lavorare più di 12 ore -denuncia il lavoratore-. La cooperativa ci ha pagato tutti gli straordinari che abbiamo lavorato, ma non ci ha riconosciuto l’aumento del 25% del salario per le ore extra dopo le 19 previsto dal contratto”.

    Sulla base di una lista interna di lavoratori ottenuta da Altreconomia, Medihospes Albania avrebbe assunto 99 lavoratori nei primi mesi di attività dei centri. Tra ottobre 2024 e metà gennaio 2025 sono stati contrattualizzati dieci mediatori, 14 informatori legali, sette operatori sociali e altri professionisti sanitari e amministrativi. Uno di questi ci ha mostrato il contratto di lavoro, basato sul diritto albanese, evidenziando le stringenti clausole di riservatezza che hanno costretto molti dei suoi colleghi a non parlare con i giornalisti. L’articolo 11 s’intitola “Riservatezza”, quello successivo “Obbligo di fedeltà” e prevede il dovere dei lavoratori a “mantenere segrete tutte le informazioni relative all’attività del datore di lavoro, informazioni di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di impiego presso il datore di lavoro”. Anche dopo la fine del rapporto di lavoro.

    Oltre al contratto, i lavoratori hanno dovuto firmare poi un codice di condotta, ovvero un documento interno che stabilisce le linee guida per garantire standard etici e professionali. Quest’ultimo li obbliga a consegnare il telefono all’ingresso del centro e a riporlo in un armadietto chiuso a chiave per utilizzarlo solo durante le pause, tranne nei casi in cui abbiano presentato al direttore del centro la richiesta di tenere il cellulare per esigenze di salute. Se non rispettano il codice di condotta, le persone assunte rischiano di incorrere in sanzioni che vanno dall’ammonimento scritto alla risoluzione del contratto. Come sostengono diversi ex dipendenti sentiti da Altreconomia, i rischi di infrangere il dovere di riservatezza ha fatto sì che si diffondesse paura nel denunciare potenziali abusi per timore di azioni legali o di licenziamento da parte dell’ente gestore.

    “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio” – Arben

    Licenziamento che è comunque arrivato, per molti di loro, a metà febbraio. Infatti, dopo la conclusione dei primi tre mesi di contratto a gennaio 2025, alcuni dipendenti sono stati richiamati in vista del terzo tentativo del governo italiano di trasferire i migranti dopo i due “fallimenti” di ottobre. Ai lavoratori è stato fatto firmare un contratto di sei mesi ma le cose non hanno funzionato come il Governo Meloni auspicava: il 31 gennaio tutti e 43 i migranti portati in Albania hanno fatto rientro in Italia su decisione del Tribunale di Roma, che ha applicato la legge. “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia -sottolinea Arben-. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio”. La “giustificazione” data dall’ente gestore è stata fatta risalire a “una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di cassazione”, come si legge nella comunicazione di interruzione del contratto di lavoro inviata ai dipendenti da Walter Balice, l’amministratore di Medihospes Albania.

    L’ennesimo tentativo di rendere operativi i centri è iniziato come detto l’11 aprile di quest’anno con il trasferimento a Gjadër di 40 persone straniere rinchiuse nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani. Due sono già tornate in Italia ma è una delle poche informazioni note. L’operazione è infatti avvenuta nella più totale opacità. “Non abbiamo potuto avere accesso alla lista di chi è rinchiuso e ci sono già stati gravi atti di autolesionismo -racconta Rachele Scarpa, parlamentare del Partito democratico che ha visitato i centri il 16 aprile-. Sul contratto, invece, l’ente gestore non ha potuto rispondere altro che ‘no comment’”.

    I nodi critici rimangono così molti. Non si sa se è previsto un importo minimo garantito a Medihospes per questi mesi di stop forzato delle strutture ma soprattutto la prefettura oggi sembra trovarsi in una posizione scomoda con l’ente gestore, vista la mancata firma del contratto a un anno dall’aggiudicazione dell’appalto. La prefettura di Roma non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, così come la cooperativa che si è limitata a dire che “essendo un fornitore” non gli è permesso commentare quello che succede nei centri in Albania.

    https://altreconomia.it/il-clima-di-terrore-tra-i-lavoratori-dei-centri-per-migranti-in-albania
    #Albanie #Italie #externalisation #travail #conditions_de_travail #contrat_de_travail #Medihospes_Albania #licenciement #sous-traitance #privatisation #obbligation_de_loyauté #migrations #réfugiés #asile #control_room #Benedetto_Bonaffini #code_de_conduite #Walter_Balice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Automutilation, « violation flagrante des droits », expulsion coûteuse... Les transferts de migrants vers l’Albanie sous le feu des critiques

      Dix jours après le transfert de 40 migrants d’Italie vers l’Albanie en vue d’une expulsion vers leur pays d’origine, deux personnes ont dû être rapatriées en Italie pour des cas d’automutilation et deux autres pour des questions juridiques. Dans la structure de Gjadër, les exilés sont confrontés à une « violation fragrante de leurs droits », estiment des parlementaires qui ont visité les lieux. Les autorités italiennes, de leur côté, vantent le « premier rapatriement d’un citoyen étranger » détenu en Albanie.

      Les revers s’enchaînent pour le gouvernement italien dirigé par la Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni. Dix jours après le transfert en Albanie de 40 migrants, quatre d’entre eux sont déjà de retour en Italie, indique la presse locale.

      Le 11 avril, 40 exilés maintenus en centre de rétention italien ont été expulsés vers le centre albanais de Gjadër, dans le cadre d’un accord entre Rome et Tirana. Ils sont désormais enfermés dans la structure en attendant leur renvoi dans leur pays d’origine. Une procédure qui peut prendre des mois.

      Très peu d’informations ont filtré sur la nationalité et le profil de ces personnes. Selon Rome, plusieurs d’entre elles ont des casiers judiciaires pour des faits de violences, de tentative de meurtre ou de trafic de drogue.
      Inaptes à la détention

      Mais ce transfert, largement salué par le gouvernement, semble déjà avoir du plomb dans l’aile. Quelques jours après leur arrivée en Albanie, deux migrants ont été rapatriés vers l’Italie pour des cas d’automutilation. Du fait de leur état psychologique, ils ont été jugés inaptes à ce type de détention.

      Deux autres ont été renvoyés sur le sol italien pour des questions juridiques : l’un car son appel sur sa demande d’asile n’a pas encore été traitée par la justice italienne, l’autre parce qu’il a déposé une demande de protection internationale à son arrivée en Albanie.

      En effet, l’accord entre les deux pays stipulent que seuls les migrants jamais entrés en Italie et les personnes en situation irrégulière présente sur le territoire national peuvent être transférés en Albanie. En demandant l’asile, même une fois arrivé sur le sol albanais, cette personne n’entre dans aucune de ces deux catégories, et ne peut donc être retenue à Gjadër.
      Première expulsion controversée vers le Bangladesh

      Le gouvernement, lui, préfère mettre en avant la réussite de son projet. Samedi 19 avril, le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi s’est ainsi réjoui sur X du « premier rapatriement d’Albanie d’un citoyen étranger détenu au centre de Gjadër ». « Les opérations de rapatriement des migrants irréguliers se poursuivront dans les prochains jours comme le prévoit la stratégie du gouvernement pour une action plus efficace de lutte contre l’immigration illégale », a-t-il martelé.

      Mais le ministre omet de préciser que pour parvenir à cette évacuation, le processus a été long et coûteux. Selon la presse italienne, ce ressortissant bangladais de 42 ans a été transféré fin mars du centre de rétention de Pian del Lago, à Caltanissetta (Sicile) où il se trouvait, vers celui de Brindisi (Sicile). C’est depuis cette structure que les 40 exilés ont été envoyés en Albanie le 11 avril. Après six jours dans le centre de Gjadër, le Bangladais a été rapatrié en l’Italie, et enfin expulsé vers Dacca. Les expulsions d’étrangers vers un pays tiers ne pouvant se faire directement depuis le sol albanais.

      Au total, cette expulsion a coûté pas moins de 6 000 euros aux autorités italiennes, contre 2 800 euros si l’homme n’avait pas été transféré en Albanie, d’après les calculs de la Repubblica.

      « Comment peut-on qualifier, sinon de farce, le fait de déplacer un migrant déjà détenu dans un CPR [centre de rétention, ndlr] en Italie vers l’Albanie et de le rapatrier, alors qu’il aurait pu être rapatrié directement d’Italie, plus tôt et sans frais supplémentaires pour la communauté ? », s’est interrogé sur les réseaux sociaux le vice-président du parti libéral Italia Viva, Davide Faraone. « Les CPR en Italie ne sont pas pleins (...) Il n’existe aucune situation de surpopulation justifiant l’utilisation de centres albanais inutiles et les mouvements de navires militaires le long de la Méditerranée », a insisté le responsable politique.
      « Opacité et manque d’accès à l’information »

      Dès les premiers jours, les transferts vers l’Albanie ont suscité de vives critiques. Lors d’une visite dans la structure de Gjadër mi-avril, la députée italienne Rachele Scarpa, du Parti démocrate (centre gauche), et l’eurodéputée Cecilia Strada (Alliance progressiste des socialistes et démocrates) ont pu rencontrer quatre des quarante migrants retenus.

      Selon ces femmes politiques, toutes les personnes « ont appris dès leur arrivée qu’elles seraient transférées en Albanie. Aucune information préalable n’a été donnée, en violation flagrante de leurs droits ». L’un des exilés a raconté avoir été réveillé à 3h du matin dans le centre de rétention italien où il se trouvait, et qu’il avait découvert qu’il était en Albanie qu’après l’atterrissage. Il n’avait pas eu accès à un avocat.

      Les parlementaires dénoncent aussi le manque de transparence du gouvernement. « L’ensemble de l’opération en Albanie est mené dans l’opacité et dans un manque d’accès à l’information pourtant cruciale pour l’exercice adéquat de nos pouvoirs d’inspection en tant que parlementaires. »

      Avec le transfert de 40 exilés début avril, le gouvernement italien tente de « remettre en activité » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Fin mars, le Conseil des ministres avait adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/64111/automutilation-violation-flagrante-des-droits-expulsion-couteuse-les-t

  • L’#Italie annonce une enveloppe de 20 millions d’euros pour financer des « #retours_volontaires » depuis la #Tunisie, la #Libye et l’#Algérie

    Rome a annoncé mercredi un programme de 20 millions d’euros pour aider 3 300 migrants en situation irrégulière en Tunisie, Libye et Algérie à rentrer chez eux. Ces « retours volontaires » organisés par l’Organisation internationale des migrations (OIM) « s’inscrivent dans une stratégie plus large visant à lutter contre l’immigration illégale », s’est félicité le ministre italien de l’Intérieur, #Matteo_Piantedosi.

    L’Italie a annoncé, mercredi 2 avril, le versement d’une #allocation de 20 millions d’euros pour financer le retour volontaire vers leurs pays d’origine des migrants en situation irrégulière présents en Tunisie, en Libye et en Algérie, a indiqué le ministère italien des Affaires étrangères dans un communiqué.

    Une enveloppe qui a également ravi le ministre de l’Intérieur italien Matteo Piantedosi. « Aujourd’hui, j’ai participé [...] à la Commission mixte de coopération au développement […] au cours de laquelle a été approuvé le programme de rapatriement volontaire assisté de 3 300 migrants d’Algérie, de Tunisie et de Libye vers leurs pays d’origine », peut-on lire sur son compte X.

    Ces 3 300 retours volontaires seront chapeautés et mis en œuvre par l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM).

    « Cette initiative, en collaboration avec l’OIM, s’inscrit dans une stratégie plus large visant à lutter contre l’immigration illégale et à renforcer la coopération et le développement dans les pays d’origine des migrants », a encore écrit Matteo Piantedosi.

    Ce n’est pas la première fois que l’Italie soutient des programmes de lutte contre l’immigration clandestine en Afrique du Nord. En 2024, Giorgia Meloni, la cheffe du gouvernement, s’était déjà déplacée plusieurs fois en Tunisie pour encourager les « retours volontaires » et ainsi enrayer les traversées de la Méditerranée vers les côtes italiennes.

    La situation délétère en Tunisie pousse depuis plusieurs mois les migrants à fuir le pays par n’importe quel moyen. Beaucoup envisagent de traverser la Méditerranée pour rejoindre au plus vite - et quels que soient les risques - l’île italienne de Lampedusa. Depuis le discours anti-migrants du président Kaïs Saïed en février 2023 accusant les exilés d’être la source de violences et de crimes, ces derniers sont harcelés par la population et les autorités.

    Conséquence de cette violence : les retours ont explosé. Sur l’ensemble de l’année 2024, l’OIM a accompagné 7 250 migrants subsahariens vivant en Tunisie à rentrer « volontairement » dans leur pays, avait indiqué fin janvier le secrétaire d’État tunisien auprès du ministre des Affaires étrangères, de la Migration et des Tunisiens à l’étranger, Mohamed Ben Ayed. C’est quasiment trois fois plus qu’en 2023, où ils étaient 2 557 à rentrer depuis la Tunisie vers leur pays d’origine, et 1 614 migrants en 2022.

    La Tunisie a toutefois redemandé la semaine dernière à l’OIM - et aux différentes ONG présentes dans le pays - de faire davantage : « seulement » 1 500 personnes ont été rapatriées depuis le début de l’année, a déclaré la présidence dans un communiqué le 27 mars.

    Les difficultés liées aux rapatriements

    L’OIM promeut aussi son programme de retours volontaires dans de nombreux pays africains, comme au Niger, au Maroc ou encore en Libye où des milliers d’exilés subissent toujours de graves exactions dans les prisons officielles ou officieuses du pays... Sur l’ensemble de l’année 2024, l’OIM a pu rapatrier 16 207 migrants coincés en Libye. C’est plus qu’en 2023 où seuls 9 300 migrants avaient quitté le pays via l’agence onusienne.

    Mais ces retours dans les pays d’origine sont loin d’être évidents à mettre en œuvre. De manière générale, l’OIM est tributaire des processus imposés par les États d’origine pour délivrer les #laissez-passer. Il faut, en effet, obtenir leur feu vert avant de renvoyer les migrants. En attendant ces accords, les migrants peuvent attendre leur rapatriement pendant des mois voire des années.

    Au Niger, par exemple, les retards s’accumulent et les migrants perdent parfois patience. « Il y a des raisons pour lesquelles les retours ne peuvent pas avoir lieu dans un court délai […] Les raisons peuvent inclure la situation politique dans le pays d’origine, les délais pour obtenir les documents de voyage pour ceux qui n’en ont pas, la logistique liée à l’organisation des vols […] », expliquait déjà en 2022 l’OIM à InfoMigrants.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63771/litalie-annonce-une-enveloppe-de-20-millions-deuros-pour-financer-des-
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #IOM #aide_financière #rapatriements #déportations #retour_volontaire

    • En Tunisie, « le retour volontaire », nouvelle voie pour de nombreux migrants

      Face au verrouillage de la route maritime vers l’île italienne de Lampedusa, l’Organisation internationale pour les migrations propose aux volontaires de financer leurs retours vers leurs pays respectifs.

      Cette fois, c’est fini. « Le voyage est cassé », lâchent-ils. L’esprit est vide, les poches aussi. Pour ces Sénéglais, Ivoiriens ou Sierra-Léonais, les plages non loin d’El Amra, près de la ville de Sfax, dans le centre-est de la Tunisie, est devenu le terminus de leur « aventure ». L’Europe, leur ultime désir, reste encore une chimère. Toujours Inaccessible.

      Pour eux, une autre voie se dessine, celle d’un retour au pays. Une idée jusqu’alors impensable qu’ils commencent à évoquer du bout du bout des lèvres. Que faire d’autre ? Rejoindre l’île italienne de Lampedusa à partir des plages de Chebba ou Salakta est devenu presque impossible. Depuis le 1er janvier, seuls 432 migrants y sont parvenus, à bord d’embarcations de fortune, selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Ils étaient plus de 18 000 sur la même période, il y a deux ans.

      Cette chute vertigineuse des traversées clandestines s’explique par l’accord signé à l’été 2023 entre la Tunisie et l’Union européenne (UE). Avec 260 millions d’euros d’aides afin de renforcer, entre autres, les garde-côtes tunisiens, la route maritime est désormais verrouillée. « On est coincés », déplore Fatoumata Camara, une Guinéenne de 27 ans, qui tente, en ce début de soirée, de réchauffer sur sa poitrine sa fille Maryam, née il y a trois mois.

      Elles vivent dehors dans une zone boisée quasi inhabitée à l’entrée de Sfax, adossées à un muret de pierres, avec une dizaine d’autres compatriotes. En regardant son bébé s’agiter – les nuits glaciales l’empêchent de dormir –, Mme Camara s’en prend à elle-même : « Pourquoi je suis partie ? Je n’ai plus rien au pays. Les tentatives de prendre la mer ont échoué. »

      « Il faut rentrer »

      Elle se tait. Une minute, puis deux. « J’ai dépensé des milliers d’euros. Avec cette somme, j’aurais pu faire des choses chez moi. Ce voyage n’en vaut pas la peine. On a perdu notre temps, il faut rentrer », martèle-t-elle. Pour cette coiffeuse qui a quitté Conakry, il y a presque deux ans, « cette politique de nous empêcher de partir a réussi. Ils [l’UE et l’Etat tunisien] ont gagné ».

      Assis chacun sur le couvercle rouillé d’une boîte de conserve, Hassan Traoré, 22 ans, et Omar Touré, 28 ans, l’écoutent dans un silence chargé de chagrin. Eux aussi veulent rentrer en Guinée. C’est bien plus qu’une envie : ils ont entamé les démarches auprès de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui propose aux migrants découragés par le blocage sécuritaire de financer leurs retours vers leurs pays respectifs.

      « OIM ». L’acronyme de cette agence rattachée aux Nations unies est dans de nombreuses bouches. Des taudis informels installés sur les champs d’oliviers près d’El Amra jusqu’à Tunis, les « voyageurs », comme ils se nomment, cherchent à rencontrer les employés de l’organisation.

      Au lendemain du démantèlement de l’immense camp du « kilomètre 30 », le 4 avril, certains ont accouru à son antenne de Sfax pour y déposer une demande de retour volontaire – qui comprend la prise en charge du billet d’avion, des nuitées dans un hôtel avant le départ et une aide médicale. Mais la tâche est ardue, notamment pour ceux qui vivent loin de la ville : les taxis sont chers et les louages (minibus) n’acceptent pas les « Noirs », disent certains.

      Intensifier le rythme

      « Rentrer au pays est une humiliation. Je n’irai pas au village, je ne veux pas qu’on se moque de moi, qu’on dise que j’ai échoué, confie Hassan Traoré, en jetant un œil sur un post-it jaune sur lequel est écrit son numéro de dossier, déposé le 10 avril. Mais je suis fatigué. »

      Fatigué par deux années d’enfer à traverser les déserts algérien et libyen, éreinté par un mois dans une prison sfaxienne pour « séjour irrégulier », épuisé de demander à ses proches au pays de l’argent pour manger… Alors quand l’agent de l’OIM lui a demandé « Hassan Traoré, voulez-vous retourner en Guinée ? Vous n’y êtes pas forcé », il a répondu sans hésiter : « Oui, je veux me retourner. » Et il a signé le document validant sa décision.

      Combien de migrants ont accepté ce retour volontaire ? « Seulement 1 544 » depuis le début de l’année, a indiqué le président tunisien, Kaïs Saïed, dans un communiqué, publié fin mars, pressant l’OIM d’intensifier le rythme. En réalité, l’agence onusienne ne ménage pas sa peine. D’après les statistiques communiquées par l’OIM au Monde, plus de 250 000 migrants bloqués dans six pays de transit vers l’Europe – Maroc, Algérie, Tunisie, Libye, Egypte et Niger – ont été rapatriés chez eux grâce à ce programme depuis 2013. Près de 50 000 rien qu’en 2024, année record.

      En outre, selon les données transmises par la Commission européenne au Monde, Bruxelles a très largement augmenté sa contribution au budget de l’OIM, passant de 85,7 millions d’euros en 2014 à près de 600 millions d’euros en 2024. En dix ans, l’institution a ainsi reçu près de 3,2 milliards d’euros de fonds européens pour différents programmes, dont celui « des retours volontaires » que certains migrants comparent à un système de « déportation ». Ce à quoi un porte-parole de la Commission européenne riposte assurant que ces retours sont « libres et éclairés », organisés en « toute sécurité et dignité ».

      L’Italie a décidé, début avril, d’allouer 20 millions d’euros pour rapatrier les Subsahariens présents en Algérie, Tunisie et Libye vers leurs pays d’origine respectifs, toujours en coopération avec l’OIM. En juin 2023, la France avait octroyé 25,8 millions d’euros d’aide bilatérale à la Tunisie pour « contenir le flux irrégulier de migrants et favoriser leur retour dans de bonnes conditions », avait déclaré Gérald Darmanin, alors ministre de l’intérieur, lors de sa venue à Tunis.

      « Un pis-aller »

      « Toutes ces sommes d’argent sont insuffisantes », s’emporte Tarek Mahdi, député de Sfax. Ce proche du président Saïed plaide pour une réévaluation à la hausse des aides et la mise en place d’« un pont aérien » entre la Tunisie et les pays d’origine des migrants afin d’« accélérer » leur retour.

      « Pour beaucoup de fonctionnaires internationaux, le retour volontaire est perçu comme un dispositif humanitaire, un pis-aller face à des situations qu’ils ont contribué à provoquer », résume Camille Cassarini, chercheur à l’Institut de recherche sur le Maghreb contemporain, à Tunis.

      Depuis plusieurs années, ce programme essuie de nombreuses critiques des défenseurs des droits humains à cause des conditions dans lesquelles il est proposé. « Nous avons toujours remis en question le caractère volontaire de ces retours, car ces personnes migrantes sont interdites de se déplacer, de travailler, d’être hébergées, elles sont privées de tout droit », explique Romdhane Ben Amor, porte-parole du Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES), qui décrit l’OIM comme une « agence au service des politiques migratoires européennes », dénonçant « la complicité de l’Etat » tunisien.

      Dire « la vérité » aux plus jeunes

      D’ailleurs, en Libye, le Haut-Commissariat aux droits humains des Nations unies avait jugé en 2022 qu’en « raison de l’absence de consentement libre, préalable et éclairé et de voies alternatives viables, sûres et régulières pour la migration », de nombreux migrants sont « effectivement contraints d’accepter des retours ».

      Au Monde, l’OIM reconnaît « que les options offertes aux migrants confrontés à la perspective d’un retour peuvent être limitées et ne pas correspondre aux souhaits de l’individu ». Toutefois, elle défend ce choix « préférable », car « l’aide au retour représente souvent une solution salvatrice pour de nombreux migrants qui vivent dans des conditions particulièrement déplorables ».

      « Salvatrice ? » C’est ce que ressent Omar Touré, ce Guinéen qui vivote à l’entrée de Sfax : il se sent soulagé. Il a averti sa mère pour lui dire qu’il allait rentrer. « Elle a pleuré », lance-t-il. Sept années qu’il a quitté son pays. « Ce voyage, c’est une maladie psychologique. Mentalement et physiquement, nous sommes enfermés », argue-t-il.

      Maintenant, il attend un appel de l’OIM pour lui proposer un départ pour Conakry. Cela peut prendre des semaines ou des mois : l’agence doit vérifier son identité avec les autorités de son pays – il a déchiré ses papiers au début de son voyage – avant que celui-ci ne lui délivre un passeport. Omar Touré a juré, une fois sur ses terres, qu’il dirait « la vérité » aux plus jeunes : ne pas tenter d’aller en Europe. « La mort vous accompagne tout au long de ce voyage, clame-t-il. C’est une fausse route. »

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2025/04/18/en-tunisie-le-retour-volontaire-nouvelle-voie-pour-de-nombreux-migrants_6597

    • L’#OIM intensifie les «#retours_volontaires» de migrants depuis la #Tunisie

      En Tunisie, les migrants sont de plus en plus nombreux à demander à bénéficier du programme de « retour volontaire » de l’Organisation internationale des migrations (OIM). Pour le seul mois d’avril, 1 009 personnes sont rentrées dans leur pays d’origine via ce dispositif. Un chiffre en hausse alors que le président tunisien met la pression sur les instances internationales pour intensifier les rapatriements.

      Mardi 29 avril, 80 migrants sont montés dans des avions depuis l’aéroport de Tunis pour rentrer dans leur pays d’origine respectif (Mali, Sierra Leone et Côte d’Ivoire). Quelques jours plus tôt, le 24 avril, ils étaient 149 Guinéens à retourner chez eux. Même scène le 17 avril, avec 142 personnes originaires elles aussi de Guinée.

      Ce genre d’opérations de rapatriement s’inscrit dans le cadre du programme de « retour volontaire » de l’Organisation internationale des migrations (OIM), qui permet aux exilés d’être rapatriés chez eux et de bénéficier d’un soutien financier pour développer leur projet au pays.

      Et ce dispositif tourne à plein régime ces dernières semaines en Tunisie. Pour le seul mois d’avril, un total de 1 009 migrants ont bénéficié du « retour volontaire » de l’ONU, selon le porte-parole de la Direction générale de la sécurité nationale, le colonel Imad Mamacha, cité par la presse tunisienne. En mai, les retours de ce type devraient encore s’amplifier avec la mise en place d’un vol spécial par semaine en plus des vols commerciaux, précise Imad Mamacha.
      « Il faut que l’UE contribue au financement du retour des personnes dans leurs pays »

      Fin mars, le président tunisien Kaïs Saïed avait appelé l’OIM à intensifier ses efforts pour assurer les « retours volontaires » des personnes subsahariennes en situation irrégulière vers leurs pays d’origine. Le chef de l’État avait alors regretté que « seulement 1 544 migrants » avaient été rapatriés durant les trois premiers mois de l’année.

      Ce nombre « aurait pu être bien plus élevé si davantage d’efforts avaient été menés pour mettre un terme à ce phénomène inacceptable tant sur le plan humanitaire que juridique », pouvait-on lire dans la déclaration présidentielle. Kaïs Saïed avait demandé à « toutes les autres organisations » concernées par ce problème à soutenir également « davantage les efforts tunisiens visant à faciliter le ’retour volontaire’ des migrants irréguliers ».

      En 2024, un nombre record d’exilés étaient retournés chez eux via l’OIM : 7 250 personnes contre 2 250 en 2023, ce qui représentait déjà une hausse de 45 % par rapport à 2022.

      « Il faut que les organisations responsables fassent leur travail dans les plus brefs délais et que les pays de l’Union européenne (UE) contribuent au financement du retour des personnes dans leurs pays. Cela nécessite plus que les 20 millions d’euros répartis entre trois pays maghrébins », a aussi exhorté la semaine dernière le député de Sfax (centre-est de la Tunisie) Tarak Mahdi, joint par InfoMigrants.

      L’Italie a annoncé, début avril, le versement d’une allocation de 20 millions d’euros pour financer le « retour volontaire » vers les pays d’origine des migrants en situation irrégulière présents en Tunisie, en Libye et en Algérie. Cette somme s’ajoute aux montants prévus dans l’accord signé en juillet 2023 entre l’Union européenne et la Tunisie : 150 millions d’euros « pour favoriser la relance de l’économie à travers l’amélioration de la gestion des finances publiques et du climat des affaires et investissements », ainsi que 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière.
      Vaste opération de démantèlements des camps

      On estime que le nombre de migrants irréguliers en Tunisie se situe entre 20 000 et 25 000, selon les chiffres des ONG. Ils survivent dans des camps de fortune insalubres au milieu des champs d’oliviers d’El-Amra, près de Sfax, dans l’attente d’embarquer clandestinement sur un canot pour l’Europe. Ces camps ont commencé à se former après que les migrants ont été chassés du centre-ville de Sfax durant l’été 2023.

      Début avril, la Garde nationale tunisienne a mené une opération d’ampleur dans la région. Plusieurs campements disséminés le long de la route qui mène de Sfax à Jebeniana ont été démolis par les autorités – des évacuations qui perdurent encore aujourd’hui.

      D’après Tarak Mahdi, ces expulsions font suite à de nombreuses plaintes déposées par des propriétaires d’oliveraies empêchés d’accéder à leur terrain.

      « Parmi les migrants expulsés, plusieurs centaines ont demandé le ’retour volontaire’. Des bus les ont conduits dans des hébergements temporaires [dans l’attente de leur départ, ndlr] », avait encore indiqué le député de Sfax, proche du pouvoir.

      Mais d’après le Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES), seules les personnes dont le dossier de « retour volontaire » était prêt ont été emmenées vers des centres d’hébergement de l’OIM. Les autres se sont dispersés ou ont rejoint d’autres campements, dans le plus grand dénuement.
      Un quotidien « infernal » en Tunisie

      Le quotidien des Africains subsahariens est devenu « infernal » en Tunisie, d’après de nombreux témoignages reçus par InfoMigrants ces dernières années – notamment depuis février 2023 quand le président Kaïs Saïed a dénoncé, dans un discours virulent, l’arrivée « de hordes de migrants subsahariens » menaçant, selon lui, de « changer la composition démographique » du pays.

      Les mois suivants, des milliers de migrants avaient été chassés de leurs logements et leurs emplois informels. Plusieurs ambassades africaines avaient procédé au rapatriement express de leurs ressortissants, à la suite d’agressions. Des rafles de Noirs ont été organisées par les autorités tunisiennes pour ensuite les abandonner dans le désert, à la frontière libyenne ou algérienne. À l’été 2023, une centaine de personnes y étaient mortes de soif, selon les humanitaires.

      Ces expulsions illégales, largement dénoncées par les ONG et les instances internationales, n’ont jamais cessé en Tunisie. Le 17 mars dernier, plus de 600 personnes ont disparu après avoir été interceptées en mer par les gardes-côtes tunisiens. Elles ne sont pas revenues dans les champs d’oliviers d’El-Amra. InfoMigrants est parvenu à entrer en contact avec une soixantaine de ces exilés : ils se trouvaient alors à Tebessa, ville algérienne près de la frontière tunisienne, après avoir été abandonnés dans le désert par les forces tunisiennes.

      Les exilés sont constamment harcelés par la population et les autorités. Partout en Tunisie, les Noirs sont de plus en plus empêchés de travailler, de louer des appartements et même d’utiliser les transports publics. Ils sont interpellés chez eux, dans la rue, les commerces, les taxis...
      Condamnations à la chaîne pour « séjour irrégulier »

      Après une arrestation, ils risquent aussi de croupir dans une prison tunisienne. Les Subsahariens sont en effet de plus en plus nombreux à être condamnés pour « séjour irrégulier » par la justice et à écoper de plusieurs mois de détention aux côtés de prisonniers de droit commun.

      Les audiences pour « séjour irrégulier » se déroulent à la chaîne. Lors de son passage au tribunal début novembre, un Guinéen dit s’être retrouvé au côté d’une trentaine de Subsahariens, dont deux mineurs, une dizaine de femmes et une enceinte de huit mois. Tous ont été inculpés car en situation irrégulière sur le territoire tunisien. La situation est telle que « les prisons sont remplies de migrants subsahariens », selon un Ivoirien contacté par InfoMigrants.

      Ce passage en détention reste un traumatisme pour les exilés. Comme à l’extérieur, le racisme et les mécanismes de domination ressurgissent dans les établissements pénitentiaires de Tunisie. Les Noirs sont parqués dans un coin de la pièce, le plus souvent près des toilettes. Ils doivent partager des lits à cinq ou six personnes, quand les Tunisiens dorment à deux sur la même couchette. Si la pièce est saturée, des exilés peuvent être contraints de dormir à même le sol. Les migrants disent aussi subir la violence des détenus tunisiens. « Quand tu arrives dans la prison, si tu as la peau noire, tu deviens une cible », a témoigné à InfoMigrants un exilé subsaharien.

      Dans ce contexte, pour la plupart d’entre eux, le retour au pays reste la seule solution, même si beaucoup éprouvent de la honte d’avoir « échoué » et peuvent être rejetés par leur famille. « La migration est vue comme un investissement de la part de la famille, de la communauté [beaucoup de familles pauvres contribuent à payer les passeurs pour le voyage, ndlr]. Donc leur retour au pays, sans résultats, notamment financiers, peut être mal perçu », expliquait à InfoMigrants Denise Origlia, cheffe de projet au sein de l’association italienne AVSI en Côte d’Ivoire.

      Ainsi, pour beaucoup de spécialistes, le « retour volontaire » s’impose, le plus souvent, aux exilés malgré eux. « Le terme de ‘retour volontaire’ [utilisé par la présidence tunisienne] est largement critiqué parmi les migrants, car il s’est transformé en un retour forcé », affirme à France 24 Romdhane Ben Amor, le porte-parole du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES), une association qui vient en aide aux migrants dans le pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/64293/loim-intensifie-les-retours-volontaires-de-migrants-depuis-la-tunisie

    • Alarmstufe Rot in Tunesien

      Bulldozer, Feuer und jetzt wieder IOM-Flüchtlingslager?

      Laut der Europäischen Kommission, der Regierung Meloni und der künftigen deutschen Regierung ist Tunesien ein sicheres Land. Allerdings schlägt Tunesien derzeit ein neues Kapitel im Krieg der EU gegen afrikanische Migrant:innen auf. Die provisorischen Lager dieser Menschen werden mit Bulldozern und Feuer zerstört. 30.000 Menschen verlieren ihre letzten Lebensgrundlagen. Hunderte versammeln sich vor den regionalen IOM-Büros und in Tunis, um sich „freiwillig“ rückführen zu lassen. Das tunesische Militär und die IOM errichten, so heißt es, neue, mit Zäunen umgebene Lager in der Wüste und an der algerischen Grenze.

      Echoes und Migration-Control-Info haben wiederholt über die Entwicklungen in Tunesien berichtet, nach der rassistischen Rede von Präsident Saied und dem EU-Tunesien-Deal im Jahr 2023 sowie den illegalen Massenabschiebungen und der Aussetzung afrikanischer Migranten in der Wüste. Schwarze Afrikaner:innen wurden aus Städten wie Tunis und Sfax vertrieben und fanden Zuflucht in provisorischen Lagern unter Olivenbäumen entlang der Hauptstraße, die von Sfax nach Norden führt. Die Lager befanden sich zwischen Kilometer 10 und 40, in der Nähe der kleineren Städte El Amra und Jebiniana. Im Laufe der Zeit entstanden in diesen Lagern einige selbstorganisierte Strukturen zum Überleben, wie Badezelte, Kliniken, Kochzelte, ein Moscheebereich, Bildungsstätten für Kinder, einige Sportanlagen und sogar ein Gericht zur Schlichtung von Streitigkeiten. Insgesamt wurden 36 Lager gezählt: 19 in Al-Amra (zwischen Kilometer 20 und 30) und 17 in Jebiniana (zwischen Kilometer 31 und 40).

      Die Situation in den Lagern wurde jedoch zunehmend schlimmer - vor allem, weil die Überfahrt nach Lampeduza immer gefährlicher und komplizierter wurde. Die grausame Effizienz der mit EU-Mitteln ausgestatteten tunesischen Küstenwache, die von FRONTEX-Drohnen unterstützt wird, führte dazu, dass die Menschen auf der Flucht in Tunesien unter entsetzlichen Bedingungen gestrandet sind. Auch die Armut der verschiedenen Gemeinschaften nahm zu: Migranten aus westafrikanischen Krisenregionen konnten von ihren Familien nicht mehr unterstützt werden, und Migranten aus den Flüchtlingslagern in Darfur und im Tschad hatten ohnehin kein Geld. Die Suche nach Mitteln zum Überleben führte zu Problemen mit der einheimischen Bevölkerung und nährte rassistische Vorurteile.

      Le Monde schrieb am 19.04.25:
      Es ist fast unmöglich geworden, die italienische Insel Lampedusa von den Stränden von Chebba oder Salakta aus zu erreichen. Seit dem 1. Januar haben es nach Angaben des Hohen Flüchtlingskommissars der Vereinten Nationen (UNHCR) nur 432 Migranten an Bord von Behelfsbooten geschafft, die Insel zu erreichen. Im gleichen Zeitraum vor zwei Jahren waren es noch mehr als 18.000.

      Am 3. April erklärte der Sprecher der tunesischen Nationalgarde, Houssem El Din Jebabli, dass die Lager aufgelöst würden. Die Räumungsaktionen in der sogenannten Olivenhain-Region dauern nun schon seit Wochen an. Die Nationalgarde kündigte an, dass alle Personen, die keine Rückführung durch die IOM beantragen, in der Wüste ausgesetzt würden.

      Über die aktuelle Lage berichteten Nawaat sowie Mirco Keilberth in ND 09.04.25 und ND 14.04.25 sowie Le Monde 19.04.25.

      Die Flüchtlinge versuchen, sich tiefer in den Olivenplantagen zu verstecken, und viele von ihnen sind an andere Orte gezogen. Hunderte versammeln sich vor den Büros der IOM. Die IOM sagt, sie könne derzeit keine Rückführung organisieren, aber es gibt Gerüchte über ein neues IOM-Lager, das westlich von Beja in einem Tal mit steilen Berghängen an der Grenze zu Algerien errichtet werden soll, sodass die tunesischen Grenzsoldaten nur eine Seite des Tals bewachen müssten. Außerdem gibt es Informationen, dass das tunesische Militär ein militarisiertes Internierungslager in der Wüste von Remada eröffnen will, in einem militärischen Sperrgebiet, in dem afrikanische Migranten konzentriert werden sollen.

      Die Regierung Meloni hat kürzlich 20 Millionen Euro für den Umgang mit den Migranten bereitgestellt, und es scheint, dass dieses Geld nicht für Rückführungen, sondern für Internierungslager verwendet wird.

      Erinnern wir uns an Choucha! Die IOM ist wieder im Spiel.

      Update 29.04.25

      Die Polizei hat inzwischen erklärt, nur die größeren Camps auf Privatgelände räumen zu wollen. Weiterhin versuchen viele Menschen, entlang der Eisenbahnschienen zu Fuß nach Tunis zu gelangen. Bei Km 10 hat sich zwischen Sidi Mansour und Hagouna ein neues Camp auf Staatsland gebildet, das von den Behörden offenbar geduldet wird.

      In allen größeren Lagern herrschen Chaos und zunehmende Gewalt. Einige kleinere Lager werden geduldet - dort, wo die Männer einen Job in der Landwirtschaft gefunden haben.

      Von den Straßen und Märkten halten sich Schwarze Afrikaner:innen fern. Nur in kleinen Gruppen bieten sie ihre Arbeitskraft an.

      Am 28.04. ereignete sich vor der tunesischen Küste ein großes Schiffsunglück. Acht Personen starben bei dem Versuch, den Tunesischen Verhältnissen zu entfliehen. InfoMigrants schrieb am 28.04.25: „Die Dramen vor der tunesischen Küste reihen sich aneinander. Am Montag, den 28. April, teilte ein Sprecher der tunesischen Nationalgarde der Nachrichtenagentur AFP mit, dass acht Migranten nach dem Untergang ihres Bootes vor der Küste von El Aouabed in der Nähe der Großstadt Sfax im mittleren Osten des Landes tot aufgefunden worden waren. Der Schiffbruch hatte sich am Sonntagmorgen ereignet und 29 Menschen konnten gerettet werden. Laut dem Sprecher Houcem Eddine Jebabli waren alle Schiffbrüchigen Ausländer verschiedener Nationalitäten, darunter auch Personen aus Subsahara-Afrika.“

      Was geschah mit den Geretteten?
      DasAlarm Phone meldet am 01.05.: „Wir mussten erfahren, dass die Gruppe in Not, über die wir die Behörden alarmiert hatten, Schiffbruch erlitten hatte. Nur wenige Menschen haben überlebt, sie wurden sofort in die Wüste deportiert. Sie versuchten, vor der unerträglichen Situation in #Tunesien zu fliehen. Black Lives Matter, überall!“

      https://migration-control.info/de/blog/tunesien-alarmstufe-rot

      –-> traduction en anglais:
      High alert in Tunisia
      https://civilmrcc.eu/political-developments/high-alert-in-tunisia

  • #Migrations, #énergie : la méthode italienne qui séduit l’Afrique du Nord

    La France perd de l’influence en Algérie, et cela profite à l’Italie. Le gouvernement de #Giorgia_Meloni a un plan pour l’#Afrique_du_Nord, axé sur les #hydrocarbures et la migration. Le courant passe bien d’Alger à Tunis ou Tripoli. Prochaine étape pour Rome : la #Mauritanie. Entretien avec Anne Marijnen, maîtresse de conférences en Science politique, Université Paris 8, laboratoire Cresppa.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63683/migrations-energie--la-methode-italienne-qui-seduit-lafrique-du-nord
    https://www.rfi.fr/fr/podcasts/carrefour-du-maghreb/20250329-migrations-%C3%A9nergie-la-m%C3%A9thode-italienne-qui-s%C3%A9duit-l-afr
    #Italie #France #néo-colonialisme #externalisation #migrations #Tunisie #Libye #podcast #audio

    ping @karine4

  • Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/63692/migrants--rome-veut-recycler-ses-centres-en-albanie-en-bases-de-rapatr

    Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement
    Par La rédaction Publié le : 31/03/2025
    Le Conseil des ministre italiens a adopté vendredi un décret-loi prévoyant de convertir les centres les centres d’accueil pour demandeurs d’asile en Albanie en centres de rapatriement pour les migrants en situation irrégulière. L’opposition dénonce un projet de « propagande » qui a coûté des « centaines de millions d’euros ».
    C’est une décision qui doit permettre de « remettre en activité immédiatement » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Vendredi 28 mars, le Conseil des ministres a adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.
    Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.
    Pour cela, elle avait signé, en novembre 2023, un accord avec son homologue albanais Edi Rama, afin d’ouvrir deux centres gérés par l’Italie en Albanie, dans les localités de Gjadër et Shëngjin.Fulvio Vassallo Paleologo, avocat spécialiste des questions d’immigration, met en garde contre la légalité de cette nouvelle approche et prévoit une nouvelle « avalanche de recours en justice ». Pour lui, ce projet « relève essentiellement de la propagande » et « a une portée hautement symbolique pour le gouvernement, qui ne veut pas donner à voir l’échec du modèle Albanie ».
    Ces centres étaient devenus opérationnels en octobre, mais les juges italiens ont exigé le renvoi dans la péninsule des quelques migrants qui y avaient été transférés. Le gouvernement avait pourtant établi une liste de pays dits « sûrs » afin que les demandes d’asile de personnes originaires de ces pays puissent y être traitées de façon accélérée.Mais les juges ont invoqué une décision de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) selon laquelle les pays de l’UE ne peuvent décréter « sûr » l’ensemble d’un pays alors même que certaines régions de ce même pays ne le sont pas. Le gouvernement avait réagi en adoptant une loi réduisant la liste des « pays sûrs » à 19 (au lieu de 22), assurant que toutes les zones de ces pays étaient sûres. Le débat est désormais remonté devant la CJUE, qui se prononcera au plus tôt en mai ou juin.
    Cette situation à l’arrêt est devenue un casse-tête politique pour Giorgia Meloni. L’ancien Premier ministre et sénateur centriste Matteo Renzi, qui s’est rendu dans les centres albanais mercredi, s’est dit « choqué » à l’issue de sa visite. « Cela fait mal au cœur de voir le gâchis de centaines de millions d’euros littéralement jetés par la fenêtre par le gouvernement italien », a-t-il affirmé sur X.
    « Ces centres sont vides, coûtent beaucoup d’argent et ne servent à rien », confirme Me Guido Savio, avocat spécialiste du droit de l’immigration, interrogé par l’AFP. La « logique » du gouvernement, avec sa décision de vendredi, c’est, « faisons voir que ces centres, en fin de compte, on les fait fonctionner d’une manière ou d’une autre », explique-t-il.
    En outre, cela permettrait au gouvernement d’anticiper le projet de règlement en discussion au niveau européen qui devrait entrer en vigueur en 2027 et qui prévoit une externalisation des centres pour migrants dans des pays tiers.Pour Giorgia Meloni, « l’avantage serait de dire : ’Vous voyez, l’Europe nous suit, nous sommes les chefs de file et l’Europe fait après nous les choses que nous avons faites en premier’ », estime Me Savio. De son côté, le gouvernement s’est employé à vendre sa mini-réforme annoncée vendredi à l’opinion publique : le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi estime ainsi que grâce à leur nouveau rôle, les centres albanais permettront de « renvoyer chez eux des individus qui sinon finissent par rendre nos villes moins sûres ».

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#externalisation#paystiers#asile#droit#sante

  • Il governo sta cercando di rendere utilizzabili i centri in Albania

    La novità è che uno dei due verrà usato come un qualsiasi CPR italiano per i migranti: resterà però in gran parte inutilizzato, come l’altro.

    Nel Consiglio dei ministri di venerdì il governo ha approvato un decreto-legge per cercare di superare alcuni dei molti problemi dei centri per migranti in Albania, che dopo un anno e mezzo dall’accordo tra i governi italiano e albanese non sono ancora entrati in funzione: ogni volta che il governo ha provato a mandarci persone migranti il tribunale competente non ne ha convalidato il trattenimento in quelle strutture, ritenendolo in contrasto con le norme europee.

    Per tentare di renderli operativi il decreto in questione ha stabilito che uno dei due centri, quello di Gjader, potrà essere usato come centro di permanenza per il rimpatrio: è il nome esteso dei cosiddetti CPR, i posti in cui vengono mandate le persone che hanno già ricevuto un decreto di espulsione e aspettano di essere rimpatriate, dopo che è stata rifiutata loro la richiesta d’asilo. Ne esistono già dieci in Italia, che peraltro hanno diversi problemi per documentate violazioni dei diritti umani e perché inefficaci nelle procedure di rimpatrio.

    Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che al momento il centro di Gjader ha 48 posti nella parte adibita a CPR, che dovrebbero diventare 140 a regime. Significa che comunque una larga parte del centro di Gjader resterà inutilizzata: la struttura infatti era già pensata originariamente per essere divisa in tre parti, con un centro di trattenimento da 880 posti, un CPR da 144 posti e un carcere da 20 posti. La differenza è che nella parte adibita a CPR verranno mandate persone migranti che si trovano già in Italia, e non quelle intercettate nel mar Mediterraneo come prevedevano i piani iniziali del governo.

    Non è chiaro invece cosa succederà all’altro centro, quello di Shengjin, che è molto più piccolo di quello di Gjader ed è pensato come un hotspot per le prime procedure di identificazione dei richiedenti asilo (e quindi non può essere usato per la detenzione amministrativa, come un CPR). Per ora rimarrà sostanzialmente inutilizzato.

    In origine la funzione dei centri in Albania era molto diversa. Nella narrazione del governo i centri servivano per dirottare altrove migranti soccorsi in mare che con ogni probabilità non avrebbero avuto diritto all’asilo, senza neanche farli passare per l’Italia. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia e la stessa Meloni hanno detto più volte che l’obiettivo era creare anche un effetto di deterrenza: secondo Meloni, sapere che l’Italia non fa arrivare i migranti nel territorio dell’Unione Europea, ma che li dirotta in altri paesi, avrebbe potuto scoraggiare le partenze delle persone migranti.

    È una convinzione molto discutibile, ma in ogni caso il nuovo decreto sconfessa questo proposito, perché nel centro di Gjader saranno fatte arrivare persone che si trovano già sul territorio italiano. In sostanza il centro di Gjader funzionerà come tutti gli altri CPR italiani, con l’unica differenza che si trova in Albania.

    I due centri in origine erano destinati ai migranti a cui poteva essere applicata una procedura accelerata, la cosiddetta procedura di frontiera o di rimpatrio, che prevede un esame semplificato delle domande di asilo: può essere applicata solo ai migranti che provengono da paesi definiti “sicuri”, cioè in cui non vengano negati i diritti fondamentali, o comunque in cui non ci siano motivi di considerare a rischio l’incolumità delle persone che dovessero ritornarci.

    All’interno dell’Unione Europea le domande presentate da persone provenienti da paesi considerati sicuri possono essere giudicate inammissibili e quindi respinte, con la conseguente espulsione di chi le presenta. Ogni paese dell’Unione però può decidere autonomamente quali paesi considerare sicuri, sulla base di alcuni criteri condivisi: il problema è che l’Italia considera sicuri anche paesi che non hanno ordinamenti democratici né rispettano effettivamente i diritti umani.

    È il motivo principale per cui finora i centri in Albania sono rimasti inattivi: i tribunali che hanno giudicato il trattenimento dei migranti hanno ritenuto che non potessero ricevere la procedura accelerata per il rimpatrio, perché i loro paesi d’origine non si possono considerare sicuri. Lo hanno fatto soprattutto sulla base di una sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, secondo cui possono essere considerati «paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani e della sicurezza di tutti gli individui sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone.

    Quasi nessuno dei 22 paesi che fanno parte della lista stilata dal governo italiano rispetta questi due criteri, compresi l’Egitto e il Bangladesh, da cui provenivano le persone migranti portate finora in Albania.

    Il governo aveva assicurato che sarebbe comunque riuscito a rendere operativi i centri grazie alle nuove regole europee in materia di immigrazione, che dovrebbero però entrate in vigore solo entro il 2026. Fino ad allora è possibile che il centro di Gjader riuscirà a svolgere solo la funzione di CPR restando in larga parte inutilizzato; quello di Shengjin invece potrebbe restare inutilizzato del tutto.

    https://www.ilpost.it/2025/03/28/governo-decreto-centri-albania
    #CPR #centres_de_détention_administrative #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Albanie #Italie #externalisation

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Albania. I due centri trasformati in CPR?

      Meloni, in crescente affanno di fronte ai continui dinieghi della magistratura che non convalida l’applicazione della procedura di asilo rapida, prevista dalla legge Cutro, intende trasformare i due centri di Shengjin e Gjader in CPR.
      Per farlo servirà un passaggio legislativo e la revisione del trattato di Tirana, perché le due prigioni erano state concepite per richiedenti asilo rastrellati nel Mediterraneo, non per i senza documenti con decreto di espulsione fermati in Italia.

      https://radioblackout.org/2025/02/albania-i-due-centri-trasformati-in-cpr

    • Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement

      Le Conseil des ministre italiens a adopté vendredi un décret-loi prévoyant de convertir les centres les centres d’accueil pour demandeurs d’asile en Albanie en centres de rapatriement pour les migrants en situation irrégulière. L’opposition dénonce un projet de « propagande » qui a coûté des « centaines de millions d’euros ».

      C’est une décision qui doit permettre de « remettre en activité immédiatement » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Vendredi 28 mars, le Conseil des ministres a adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      Pour cela, elle avait signé, en novembre 2023, un accord avec son homologue albanais Edi Rama, afin d’ouvrir deux centres gérés par l’Italie en Albanie, dans les localités de Gjadër et Shëngjin.

      Fulvio Vassallo Paleologo, avocat spécialiste des questions d’immigration, met en garde contre la légalité de cette nouvelle approche et prévoit une nouvelle « avalanche de recours en justice ». Pour lui, ce projet « relève essentiellement de la propagande » et « a une portée hautement symbolique pour le gouvernement, qui ne veut pas donner à voir l’échec du modèle Albanie ».
      Blocages juridiques

      Ces centres étaient devenus opérationnels en octobre, mais les juges italiens ont exigé le renvoi dans la péninsule des quelques migrants qui y avaient été transférés.

      Le gouvernement avait pourtant établi une liste de pays dits « sûrs » afin que les demandes d’asile de personnes originaires de ces pays puissent y être traitées de façon accélérée.

      Mais les juges ont invoqué une décision de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) selon laquelle les pays de l’UE ne peuvent décréter « sûr » l’ensemble d’un pays alors même que certaines régions de ce même pays ne le sont pas.

      Le gouvernement avait réagi en adoptant une loi réduisant la liste des « pays sûrs » à 19 (au lieu de 22), assurant que toutes les zones de ces pays étaient sûres. Le débat est désormais remonté devant la CJUE, qui se prononcera au plus tôt en mai ou juin.

      Cette situation à l’arrêt est devenue un casse-tête politique pour Giorgia Meloni. L’ancien Premier ministre et sénateur centriste Matteo Renzi, qui s’est rendu dans les centres albanais mercredi, s’est dit « choqué » à l’issue de sa visite. « Cela fait mal au cœur de voir le gâchis de centaines de millions d’euros littéralement jetés par la fenêtre par le gouvernement italien », a-t-il affirmé sur X.

      « Ces centres sont vides, coûtent beaucoup d’argent et ne servent à rien », confirme Me Guido Savio, avocat spécialiste du droit de l’immigration, interrogé par l’AFP. La « logique » du gouvernement, avec sa décision de vendredi, c’est, « faisons voir que ces centres, en fin de compte, on les fait fonctionner d’une manière ou d’une autre », explique-t-il.
      Projet européen d’externalisation

      En outre, cela permettrait au gouvernement d’anticiper le projet de règlement en discussion au niveau européen qui devrait entrer en vigueur en 2027 et qui prévoit une externalisation des centres pour migrants dans des pays tiers.

      Pour Giorgia Meloni, « l’avantage serait de dire : ’Vous voyez, l’Europe nous suit, nous sommes les chefs de file et l’Europe fait après nous les choses que nous avons faites en premier’ », estime Me Savio.

      De son côté, le gouvernement s’est employé à vendre sa mini-réforme annoncée vendredi à l’opinion publique : le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi estime ainsi que grâce à leur nouveau rôle, les centres albanais permettront de « renvoyer chez eux des individus qui sinon finissent par rendre nos villes moins sûres ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/63692/migrants--rome-veut-recycler-ses-centres-en-albanie-en-bases-de-rapatr

  • El Salvador, a new migrant prison under the Trump administration

    Human rights organizations warn against normalizing mass deportations without trial.

    A three-minute video posted early Sunday morning, March 16, 2025, on the Twitter account of El Salvador’s President Nayib Bukele showed a group of Latin American immigrants in the United States (all men), heads bowed and arms held by security agents, disembarking from planes arriving from the United States at El Salvador’s Oscar Arnulfo Romero International Airport during the previous night.

    Under US president Donald Trump’s new immigration strategy, immigrants detained in the US were sent to the Centro de Confinamiento del Terrorismo (Terrorism Confinement Center, CECOT), El Salvador’s controversial high-security mega-prison founded in 2023. In its short life, this prison has been the subject of complaints of human rights violations, torture, and lack of due process.

    The US administration designated the deportees as terrorists for alleged connections to gangs like the “Tren de Aragua gang,” a criminal gang of Venezuelan origin with reported activity in Latin American countries since 2018. Hours later, Trump confirmed Bukele’s video on his TruthSocial account.

    The vast majority of those deported (238) are of Venezuelan nationality and allegedly belong, according to Trump, to the Tren de Aragua. On March 15, 2025, the Trump administration labeled the Tren de Aragua a “terrorist organization” through an executive order. Consequently, it was able to invoke the 1798 law Alien Enemies Act for their deportation to El Salvador. The Alien Enemies Act is a wartime law: it has its roots in a conflict between the United States and France, and the three times it has been used so far were all during declared wars.

    US legal experts have long been skeptical of the Trump campaign and the Republican Party’s promise to use the Alien Enemies Act in peacetime, as immigration has not historically constituted an invasion.

    Immigration advocates are concerned that the law could lead to attacks on any immigrant, regardless of their criminal record. Boston-based immigration attorney Matt Cameron told The Nation:

    “Once the Trump administration normalizes the use of the Alien Enemies Act against the country’s purported enemies — and once the flouting of court orders comes to be seen as business as usual — it will almost certainly expand its use not just against suspected Venezuelan gang members but against ever-greater numbers of people from ever-greater numbers of countries. It’s a way to short-circuit any form of due process in the immigration system.”

    Neither Trump nor Bukele shared specific details that day about the names, ages, and criminal records of the 238 passengers who were deported, nor any information about contact with Venezuelan authorities (there have been no diplomatic relations between El Salvador and Venezuela since 2019). It was also revealed that the United States government will pay USD 6 million to its Salvadoran counterpart for one year of (renewable) custody of the deportees at the CECOT, which corresponds to USD 20,000 per person deported to the mega-prison.
    The race for mass deportation

    The flights already had a judicial imprint before their departure to Salvadoran soil: before the proclamation of the Executive Order, five Venezuelans represented by the American Civil Liberties Union (ACLU) and the Democracy Forward Foundation sued the Trump administration to prevent their “imminent deportation.”

    US federal judge James Boasberg granted the plaintiffs a 14-day stay, and that same afternoon, following the proclamation of the Executive Order, he specifically blocked the application of the Alien Enemies Act. On March 24, Boasberg upheld the order preventing Trump from using war powers for deportations.

    Despite the federal order, the flights departed for El Salvador with the group of 238 deportees targeted by Trump and Bukele. The statement by ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) officials before Boasberg’s court indicated that it was uncertain whether all the deportees belonged to the Aragua Train. According to the statement, many of them had no criminal records in the US:

    “While it is true that many of the TdA members removed under the AEA do not have criminal records in the United States, that is because they have only been in the United States for a short period of time.”

    The case is still under formal appeal and could end up before the US Supreme Court. The implications of the final decision go beyond this particular case, as they could have repercussions for immigration policy, civic spaces, and even constitute a constitutional crisis.
    ‘They are not from Tren de Aragua’

    Reactions on social media from Venezuelan and international citizens and non-governmental organizations dedicated to the protection of migrants were swift. In the state of Aragua, located in central Venezuela, relatives of Francisco Javier García Casique recognized him among those detained in Bukele’s video.

    García Casique, a 24-year-old barber by trade, has no connection to the Tren de Aragua and no criminal record, according to statements made by his mother and brother to the Venezuelan news website El Estímulo. Since 2017, he was among the more than 7.8 million Venezuelan migrants estimated by the United Nations.

    After an initial stay in Peru, he arrived in the United States in 2022 after crossing the Darien Gap (a dangerous natural pass between Colombia and Panama and a significant migration route in the Americas). He had a criminal record with ICE and a deportation order, which would have required him to return to his home country.

    Identification by the families has revealed other names of those transferred to El Salvador, such as musician Arturo Suárez Trejo and soccer player Jerce Reyes Trejo. All statements so far categorically deny their relatives’ affiliation with the Tren de Aragua.

    The Venezuelan NGO, the Venezuelan Program for Education-Action in Human Rights (PROVEA), immediately reiterated “migrants and refugees have rights”:

    https://x.com/_Provea/status/1901382023517974723

    “The Trump administration is intensifying its attacks against Venezuelans, deporting them to prisons in El Salvador without guaranteeing due process.

    They are subjected to a prison system flagged for abuse by the @IACHR, separated from their families, and without guarantees for their defense.…”

    From El Salvador, investigative journalist Carlos Martínez of El Faro called attention to his country’s diaspora:

    https://x.com/chelefaro/status/1901798822784692461

    “To the Salvadoran diaspora: There are 101 people in the CECOT who did the same thing you did: entered the US without papers. Do you deserve to be treated like terrorists in a foreign prison? Do you think it’s okay for Bukele to be complicit in this?”

    Venezuelan journalist Ronna Rísquez, who has been researching and writing about the gang for more than a decade, explained on March 20 to the #DossierVenezuela podcast (directed by former Colombian vice president and journalist Francisco “Pacho” Santos):

    “There is a certain exaggeration regarding what the Tren de Aragua represents. It does exist. There may be people representing them in the United States, and some crimes have been committed by members of the Tren de Aragua, according to US authorities, but it is not known to be a massive operation there (…) Unfortunately, the Tren de Aragua case has been exploited to implement measures against Venezuelan migration that violate human rights.”

    https://globalvoices.org/2025/03/27/el-salvador-a-new-migrant-prison-under-the-trump-administration

    #externalisation #migrations #réfugiés #USA #El_Salvador #détention_administrative #rétention #expulsions #déportations #déportations_de_masse

  • Bundesregierung hält Drittstaaten-Bericht unter Verschluss

    Vom Bundesinnenministerium gehörte Sachverständige sehen hohe Hürden für ausgelagerte Asylverfahren

    Die Bundesregierung hält einen Bericht zu in Drittstaaten ausgelagerten Asylverfahren weiter zurück, berichtet das ARD-Hauptstadtstudio und zitiert aus einem offenbar geleakten Entwurf. Darin werde von einem deutschen Alleingang abgeraten, berichtet die »Tagesschau«. Angehört wurden dazu 23 nationale und internationale Sachverständige. Mehrere von ihnen zeigten sich verärgert über die verzögerte Veröffentlichung.

    Der vom Bundesinnenministerium beauftragte Bericht untersucht die Möglichkeit, an geltendes europäisches Recht anzuknüpfen und bestimmte Gruppen von Schutzsuchenden in angeblich sichere Drittstaaten zu bringen. Von Interesse war etwa das sogenannte Ruanda-Modell, in dem Großbritannien Menschen für ihr Asylverfahren und gegebenenfalls auch späteren Schutz in das ostafrikanische Land bringen wollte. Beschäftigt hat sich das Ministerium auch mit den Plänen Italiens, bestimmte Bootsmigrant*innen nach Albanien zu bringen – dem haben nationale Gerichte jedoch einen Riegel vorgeschoben und den Europäischen Gerichtshof um Klärung gebeten.

    Für die verschiedenen Drittstaatenmodelle gebe es »teils erhebliche praktische Herausforderungen und Hürden«, folgert deshalb auch der deutsche Bericht. Zudem bestünden »gewisse rechtliche Risiken«. Das Drittstaatenkonzept könne allenfalls »ein Baustein von vielen zur Migrationssteuerung« sein.

    Ein derart schlechtes Konzept dürfe nicht weiterverfolgt werden, appelliert deshalb Andreas Grünewald, Referent für Migration bei Brot für die Welt, an die kommende Bundesregierung. »Dieser fehlende Mut, dem Ergebnis des Prüfverfahrens Rechnung zu tragen, hält eine Debatte am Köcheln, die uns bei der Lösung migrationspolitischer Herausforderungen keinen Zentimeter weiter bringt«, so Grünewald, der ebenfalls als Sachverständiger für den Bericht gehört wurde, zu »nd«. Die Auslagerung von Asylverfahren binde »unglaublich viel Ressourcen, schadet dem globalen Flüchtlingsschutz – und macht uns abhängig von fragwürdigen Regierungen«, lautet seine Kritik.

    Nur wenige Staaten in relevanten Regionen kämen für ein Drittstaatenmodell überhaupt in Frage, heißt es in dem Dokument weiter. Zudem gebe es »bisher keine Hinweise darauf«, dass irgendwelche Regierungen außerhalb der EU überhaupt bereit wären, darüber zu verhandeln. Auch die Afrikanische Union hat 2021 klargestellt, dass sie die Auslagerung von Asylverfahren an afrikanische Länder strikt ablehnt. Sollte es dennoch zu Gesprächen kommen, empfiehlt der Berichtsentwurf, diese auf europäischer Ebene gemeinsam zu führen.

    Nach Europarecht dürfen Flüchtlinge derzeit nur in ein Land geschickt werden, zu dem sie eine »Verbindung« haben. Hier öffnet der deutsche Bericht jedoch eine Tür: Diese Einschränkung sei völkerrechtlich nicht vorgeschrieben und enge »politische Handlungsspielräume« ein, heißt es darin.

    Tatsächlich wird auch auf europäischer Ebene längst über die Abschaffung dieses sogenannten Verbindungselements diskutiert. Das spielt auch eine Rolle in einem Entwurf zur Erneuerung der EU-Rückführungsrichtlinie, den die neue EU-Kommission unter der zweiten Amtszeit Ursula von der Leyens mit ihrem Migrationskommissar Magnus Brunner am 11. März vorgelegt hat. Darin wird die Einrichtung von »Rückführungszentren« in Nicht-EU Ländern vorgeschlagen, in die abgelehnte Asylsuchende gebracht werden können. Angebliches Ziel dieser »Return Hubs« ist es, die Quote der tatsächlichen Abschiebungen zu erhöhen, da derzeit nur etwa 20 Prozent der ausreisepflichtigen Personen die EU verließen.

    Kommissar Brunner bezeichnet den Plan als »gerecht, aber auch unnachgiebig«. Sozialdemokrat*innen, Linke und Grüne im Europaparlament haben angekündigt, sich dagegen zu stellen. Solidarische Flüchtlingsorganisationen bezeichnen den Vorschlag als »absurd und unmenschlich« und warnen vor möglichen Menschenrechtsverletzungen.

    Gegen die geplanten Verschärfungen der europäischen Asylpolitik formiert sich auch auf der Straße Widerstand. Das Netzwerk Abolish Frontex plant für den 10. April einen transnationalen Aktionstag gegen einen weiter verschärften EU-Migrationspakt. Die Aktivist*innen kritisieren, dass der neue Gesetzesvorschlag der Kommission vom März 2025 ein Instrument sei, um »ein grausames System des Aufspürens, Filterns, Ausbeutens, Inhaftierens und Abschiebens von Menschen zu organisieren und zu legitimieren«. Er schaffe faktisch das Recht auf Asyl in Europa ab.

    https://www.nd-aktuell.de/artikel/1190002.asylverfahren-bundesregierung-haelt-drittstaaten-bericht-unter-ve
    #externalisation #migrations #réfugiés #asile #return_hubs #pays_tiers #renvois #expulsions
    #Allemagne

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    ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (►https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
    https://seenthis.net/messages/900122

  • EU liefert weiteres Patrouillenboot an Mauretanien

    Überwachungstechnik könnte zur Sicherung eines Offshore-Gasfelds sowie Migrationsabwehr genutzt werden.

    Der Rat der Europäischen Union hat am Montag erneut eine Finanzspritze für das mauretanische Militär beschlossen: 20 Millionen Euro fließen in mobile Landüberwachungsanlagen und ein weiteres Patrouillenboot. Damit steigt die Unterstützung für die Regierung in Nouakchott unter der »Europäischen Friedensfazilität« (EPF) auf insgesamt 47 Millionen Euro. Finanziert werden darüber auch Dienstleistungen und die technische Ausbildung an den Geräten.

    Offiziell heißt es, die Maßnahmen dienten der Stabilität in der Sahelzone und der Bekämpfung von Bedrohungen für die territoriale Integrität des Landes. Gemeint ist womöglich auch die Bewachung eines Offshore-Gasfelds an der Seegrenze zum Senegal im Atlantischen Ozean. Es gehört zu den größten Erdgasfunden in Westafrika und wird von den Regierungen Mauretaniens und Senegals gemeinsam entwickelt.

    Jedoch könnten die Mittel auch zur Migrationsabwehr im Sinne der EU genutzt werden. Denn Mauretanien ist mit dem Senegal ein Hauptabfahrtsland für Migrant*innen aus Subsahara-Staaten, die meist in kleinen Booten über den Atlantik in Richtung der Kanarischen Inseln und damit nach Spanien übersetzen.

    Die Lieferung eines ersten Patrouillenbootes hat die EU bereits 2024 beschlossen, es soll in Mauretaniens Hoheitsgebiet und seiner Meereszone operieren. Mauretanien könnte die Fähigkeiten an Land auch nutzen, um potenzielle Flüchtlinge bereits in der Sahelzone festzusetzen.

    Nach Informationen von »nd« ist das Thema auch in einer Entschließung des Rates zugunsten von Mauretanien explizit genannt. Darin heißt es: »Mauretanien ist ein wichtiger Partner für regionale, europäische und internationale Initiativen zur Stärkung von Frieden und Entwicklung in der Sahelzone. Das Land setzt sich nachdrücklich für die Bekämpfung der irregulären Migration über die westafrikanische Route ein.«

    Ebenfalls zur Migrationsabwehr hat die Europäische Union im Februar 2024 ein Finanzpaket in Höhe von 210 Millionen Euro für Mauretanien freigegeben, um die Zahl der Migrant*innen zu verringern, die auf den spanischen Inseln ankommen. Die Mittel sind Teil einer breiteren Migrationspartnerschaft zwischen der EU und Mauretanien. Damit soll auch die Grenze zu Mali besser gesichert werden. Ein Teil des Geldes soll zur Unterstützung bei der Aufnahme von Flüchtlingen eingesetzt werden. Zusätzlich zu den 210 Millionen Euro aus Brüssel stellt Spanien weitere 64 Millionen Euro zur Verfügung.

    Die EU hat in der Vergangenheit bereits andere afrikanische Staaten zu Vorposten ihrer Migrationspolitik gemacht, darunter etwa Marokko, Tunesien, Algerien und Ägypten. Die Zusammenarbeit mit Libyen und Niger erfolgt weniger direkt, beide Regierungen erhalten aber ebenfalls finanzielle und organisatorische Unterstützung zur Überwachung ihrer See- oder Landgrenzen. Diese Abschottungspolitik geht im Falle Libyens mit massiven Menschenrechtsverletzungen einher. Auch in Mauretanien gibt es Berichte über Misshandlungen von Migrant*innen und willkürliche Inhaftierungen.

    Die EU-Entscheidung für die Spende eines zweiten Patrouillenbootes an Mauretanien könnte auch US-amerikanischen Sanktionen geschuldet sein. Die Regierung in Nouakchott musste Anfang des Jahres einen Vertrag mit einer Tochtergesellschaft des chinesischen Staatskonzerns Poly Group über den Kauf von Patrouillenbooten kündigen. Laut einem Bericht von Africa Intelligence erfolgte dieser Schritt unter dem wachsenden Druck aus Washington, das eine Tochterfirma der Poly Group wegen angeblicher Unterstützung des russischen Kriegs in der Ukraine auf eine Sanktionsliste des Finanzministeriums gesetzt hat. Die US-Regierung hat deshalb eine Zahlung von 40 Millionen Euro aus Mauretanien an das chinesische Unternehmen blockiert.

    https://www.nd-aktuell.de/artikel/1190008.europaeische-friedensfazilitaet-eu-liefert-weiteres-patrouillenbo

    #bateaux #Mauritanie #externalisation #EU #UE #union_européenne #migrations #réfugiés #militarisation_des_frontières #surveillance_des_frontières #route_atlantique

    • European Peace Facility: Council adopts third assistance measure in support of the Armed Forces of Mauritania

      The Council today adopted a third assistance measure worth €20 million under the European Peace Facility to provide the Mauritanian armed forces with military equipment.

      This decision comes in addition to two other assistance measures worth €12 million and €15 million, adopted on 1 December 2022 and 22 July 2024 respectively. They support the efforts of the Mauritanian armed forces to promote stability in the Sahel, counter the risk of destabilisation and protect the territorial integrity and sovereignty of Mauritania and its civilian population against internal and external aggression.

      The EU’s overall support for Mauritania under the European Peace Facility now totals €47 million.

      As part of this package, the EU is already providing the Mauritanian armed forces with capacities needed to carry out military activities on land and at sea, whether in terms of surveillance, deterrence or operations.

      The newly adopted assistance measure will complement the existing package and will equip the army with mobile land surveillance assets and the navy with a second patrol boat, identical to the one expected under the assistance measure adopted in 2024.

      This equipment will support the Mauritanian Armed Forces’ efforts to increase situational awareness on national territory. They will also contribute to a permanent presence at sea, in support of maritime security and in cooperation with the existing Yaoundé architecture.

      Background:

      The European Peace Facility was established in March 2021 to finance EU external actions with military or defence implications, with the aim of preventing conflict, preserving peace and strengthening international security and stability. In particular, the EPF allows the EU to finance actions designed to strengthen the capacities of third states and regional and international organizations as regards military and defence matters.

      https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2025/03/24/european-peace-facility-council-adopts-third-assistance-measure-in-

  • Government considering sending failed asylum seekers to overseas ’migrant hubs’

    Labour’s strategy to tackle small boat arrivals comes as a number of migrants were pictured arriving in Dover on Saturday.

    The government is considering sending failed asylum seekers, including those arriving on small boats, to overseas ’#migrant_hubs', Sky News understands.

    A Home Office source has told political correspondent #Amanda_Akass that the government is in the “very early stages” of discussions around the idea, and is keen to learn about what Italy has been doing in Albania.

    The right-wing Italian government has built two facilities in the Balkan country aiming to hold migrants there while processing their asylum requests.

    Government sources told The Times newspaper that UK ministers are planning to approach countries in the western Balkans including Albania, Serbia, Bosnia and North Macedonia.

    It comes as a number of migrants were pictured arriving in Dover, Kent, on Saturday.

    On Friday, 246 people made the perilous journey across the Channel from France in five boats - bringing the provisional total for the year so far to 5,271.

    On Thursday, 341 people crossed in six boats.

    This is the earliest point in the year that crossings have reached the 5,000 mark since data on Channel crossings was first reported in 2018.

    Labour’s strategy is expected to differ substantially from the previous Tory government’s Rwanda plan, which aimed to deport all migrants who arrived in the UK illegally, regardless of whether or not their asylum claims would be successful.

    The Supreme Court ruled in 2023 that Rwanda was considered an “unsafe” country.

    Amanda Akass said the Home Office source “won’t say which countries are being considered because they don’t want to pre-empt any discussions which haven’t even officially begun yet”.

    “But I am told that the government is closely looking at the example of Italy, which has a treaty with Albania and has built two detention centres in Albania to house asylum seekers while their claims are being processed there.”

    Akass noted there have been legal challenges to that deal, adding: “But it looks like the government are watching that to see what the outcome may be.”

    https://news.sky.com/story/government-considering-sending-failed-asylum-seekers-to-overseas-migrant-h
    #accord #UK #Angleterre #Balkans #externalisation #migrations #réfugiés #asile #return_hubs #pays_tiers #renvois #expulsions #Manche

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  • At the Heart of Fortress Europe II: The Politics of Fear. Austria’s Role in Border Externalisation Policies in the Balkans

    This study provides a broad mapping of Austrian-based actors, organisations, and multilateral cooperation involved in the #push-backs of people on the move. For their part, the Austrian-based actors are heavily involved in the border externalisation policies of the whole European Union.

    Austria has been active in border regime externalisations and policing in the Balkans for decades. Its actions are often implemented through different platforms, networks, and modes of cooperation that include other EU countries on bi- and multilateral levels.

    Austria’s preferred method in strengthening externalisation structures is to build strong connections with politicians in the region, in exchange for presumed assistance in the uncertain and slow-moving European integration processes, accompanied by the strengthening of the economic ties and investments in the region.

    Part II of the study shows that on the ground, police agencies are more involved in “managing” migrations than are legal experts or humanitarian organisations. This approach has led to shifting the main focus away from establishing structures that meet the needs of people on the move and basic human rights – including the right to asylum or simply the right to freedom of movement – to combating smugglers, presented as the biggest challenge for the states, borders, and migrants. In this regard, the Austrian approach mirrors the EU one.

    https://transform-network.net/publication/at-the-heart-of-fortress-europe-ii-the-politics-of-fear
    #rapport #Autriche #externalisation #migrations #réfugiés #asile #frontières #Balkans #route_des_Balkans #refoulements

  • Accordo Danimarca-Kosovo : un modello per la nuova politica migratoria dell’UE

    Il trattato che permette a Copenaghen di inviare in Kosovo fino a 300 detenuti, inclusi migranti soggetti a un ordine di rimpatrio, è il modello di esternalizzazione dei centri detentivi per il rimpatrio più vicino ai «return hubs» proposti dalla Commissione europea. I rischi di quel modello sono già evidenti

    C’è uno spettro che aleggia sulla nuova strategia della Commissione europea sui rimpatri , che condizionerà il dibattito sulla politica migratoria dei 27 Paesi membri dell’UE nei prossimi mesi. È un accordo finora poco considerato nel dibattito pubblico europeo che, con tutti i suoi rischi e punti controversi, potrebbe fungere da modello per l’esternalizzazione dei centri per il rimpatrio di persone migranti provenienti da Paesi esterni all’UE.

    È l’accordo tra Danimarca e Kosovo siglato nel 2021 – ma non ancora implementato –, che prevede per la Danimarca un parziale utilizzo della prigione kosovara di Gjilan. L’accordo permette, in sostanza, a uno stato membro dell’Unione europea di inviare detenuti dalla cittadinanza straniera in un Paese terzo esterno all’UE per scontare la pena, o anche nell’attesa del rimpatrio. «Si tratta del fenomeno della crimmigration: la migrazione viene sempre più trattata sotto un’ottica securitaria», avverte Silvia Carta, advocacy officer a PICUM, una rete europea di organizzazioni che si occupano dei diritti delle persone migranti prive di documenti.

    Sia l’accordo bilaterale cercato dal governo danese sia la nuova proposta presentata dalla Commissione europea contribuiscono a suggerire ai cittadini che esiste un nesso quasi immediato tra migrazione e criminalità, e che queste persone vengono trasferite in centri per il rimpatrio «perché se lo sono meritate».

    Questo nella realtà non è vero, spiega Carta, rimarcando che le deroghe in materia di diritti fondamentali per le persone considerate «un rischio per la sicurezza» possono essere usate "in maniera strumentale e discriminatoria, a prescindere dal fatto che la persona abbia ricevuto condanne in passato e conferendo ai rimpatri una funzione punitiva, al di là dei principi del diritto penale”.
    Il primo passo verso l’esternalizzazione della detenzione

    Era il 15 dicembre 2021 quando i governi di Copenaghen e Pristina siglavano il trattato per l’affitto di spazi carcerari in Kosovo «ai fini dell’esecuzione delle sentenze danesi». L’intesa prevede il trasferimento di 300 detenuti nell’istituto penitenziario di Gjilan – tutti cittadini stranieri che stanno scontando attualmente una pena in Danimarca, «comprese persone a cui è stato imposto un provvedimento di espulsione» e persone «in custodia» per l’esecuzione di tale provvedimento.

    Secondo quanto previsto dal trattato, l’affitto dell’istituto penitenziario di Gjilan ha una durata iniziale di cinque anni, con la possibilità di prorogarlo per altri cinque. In cambio il governo danese destina a Pristina 15 milioni di euro per ogni anno di durata dell’accordo (fino a un massimo di 150 milioni), oltre a 5 milioni per ristrutturare la struttura carceraria e dotarla degli standard detentivi previsti dai regolamenti danesi.

    Dopo la ratifica del 23 maggio 2024 da parte del Parlamento del Kosovo, l’accordo è ora formalmente in vigore, ma la sua attuazione deve ancora iniziare. «L’opinione pubblica non ha avuto informazioni e non c’è stato alcun dibattito sulla questione», spiega Fatmire Haliti, avvocata e responsabile di programma presso il Kosova Rehabilitation Center for Torture Victims (KRCT), sottolineando come non ci sia finora mai stata alcuna consultazione con le associazioni per i diritti umani o altri meccanismi di monitoraggio.

    In una risposta scritta rilasciata a OBCT e Føljeton, il ministero della Giustizia danese sottolinea che, se un individuo non coopera con l’ordine di rimpatrio e «non può essere allontanato con la forza», il trattato prevede la possibilità di far rientrare il cittadino straniero in Danimarca, «temporaneamente o in modo più permanente». Tuttavia, alcune disposizioni prevedono che l’individuo possa essere tenuto in custodia nel carcere di Gjilan «se c’è una ragionevole possibilità che possa essere espulso nel suo Paese d’origine».
    Un nuovo modello per la politica migratoria UE?

    Uno dei punti più delicati dell’accordo Danimarca-Kosovo riguarda proprio il fatto che rende possibile nei fatti l’esternalizzazione del sistema detentivo di un Paese membro dell’UE, aggiungendo la prospettiva dell’espulsione «direttamente nel Paese d’origine dopo aver scontato la pena». Un modello che diventa ancora più rilevante ora che la Commissione europea ha presentato la sua nuova proposta di Regolamento UE sui rimpatri, che prevede anche i cosiddetti return hubs, o centri per il rimpatrio.

    Si tratta di centri collocati al di fuori del territorio dei 27 Paesi membri dell’UE, dove le persone la cui domanda di asilo è stata respinta potrebbero essere inviate prima del rimpatrio, fatta eccezione per i minori non accompagnati e le famiglie con minori. Un accordo specifico con il Paese terzo disposto ad accogliere uno o più di questi centri dovrà stabilire «le modalità di trasferimento e le condizioni per il periodo di permanenza», che potrà essere «a breve o a lungo termine», specifica il testo legislativo.

    A questo si aggiunge la questione del rimpatrio per chi è considerato un «rischio per la sicurezza» – una categoria molto estesa ("chi minaccia l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale") che può comportare una detenzione «separata» rispetto agli altri detenuti, senza un termine chiaro e con un divieto d’ingresso nell’Ue per ulteriori dieci anni.

    La proposta della Commissione lascia ampio margine di manovra agli Stati membri, ma è evidente che il modello lanciato dalla Danimarca con il Kosovo è molto in linea con la nuova proposta legislativa di Bruxelles. A partire dal fatto che a Gjilan possono essere inviate anche persone che si trovano in custodia per via di un provvedimento di espulsione, indipendentemente dalla presenza di un procedimento penale a loro carico.

    Tuttavia, «sappiamo che con le norme attuali non ci può essere la certezza che le procedure di asilo o di valutazione di altri rischi in materia di diritti fondamentali siano state compiute nel merito del caso individuale,» avverte ancora Silvia Carta di PICUM. Il rischio, dunque, è che una persona venga immessa nella procedura di rimpatrio «senza aver avuto tutte le possibili garanzie, come il diritto a presentare ricorso».

    L’accordo Danimarca-Kosovo ha già attirato l’attenzione di altri stati dell’Unione, come dimostra l’accordo di coalizione del nuovo governo belga guidato da Bart De Wever, che lo indica esplicitamente come un «esempio» da replicare. «Sappiamo che diversi Paesi hanno contattato il Kosovo in merito alla possibilità di firmare accordi simili a quello siglato con la Danimarca», conferma Fatmire Haliti, del Kosova Rehabilitation Center for Torture Victims. Allo stato attuale, tuttavia, Pristina «non dovrebbe stipulare ulteriori accordi», dal momento che il Paese «non è adeguatamente preparato per la loro attuazione».
    L’impatto sui Paesi candidati

    Oltre alle preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani, c’è un altro fattore di rischio da considerare: l’impatto sui Paesi terzi che potrebbero finire per ospitare questi centri detentivi. «Attualmente ci sono oltre 200 detenuti nel carcere di Gjilan, ma gli altri centri di detenzione del Kosovo non hanno la capacità di accoglierli. Qualsiasi piano di trasferimento porterebbe quindi al sovraffollamento», avverte Haliti. Questo tema si lega alla questione dei doppi standard nelle condizioni detentive. «Mentre il carcere di Gjilan sarà migliorato per soddisfare gli standard danesi, negli altri penitenziari del Kosovo gli standard rimarranno inferiori, creando disuguaglianza nel sistema carcerario», continua l’avvocata kosovara, che ricorda come l’investimento danese di 5 milioni di euro per la ristrutturazione «è quasi pari al costo sostenuto per la costruzione dieci anni fa».

    A tutto questo si somma un’altra questione che sta mettendo in agitazione le organizzazioni della società civile. «Se queste persone non potranno ritornare in Danimarca e non faranno richiesta di asilo in Kosovo, cosa succederà quando la condanna terminerà?», si chiede Orjana Demaliaj, responsabile di paese presso il Jesuit Refugee Service (JRS). In base all’accordo, i detenuti saranno ri-trasferiti in Danimarca «prima della loro liberazione», a meno che non ci sia un accordo tra Copenaghen e un Paese terzo per il rimpatrio «al momento della liberazione». Se questo è ciò che si legge sulla carta, la realtà può essere molto più sfumata.

    Un cono d’ombra è rappresentato da tutte le persone che si trovano in custodia in attesa del rimpatrio, ma i cui Paesi di origine non accettano di collaborare sul trasferimento. L’esperienza sul campo indica che possono crearsi situazioni problematiche, in cui potrebbero cadere anche i casi più a rischio tra quelli inviati dalla Danimarca. «In Kosovo esistono centri di detenzione per stranieri che non hanno documenti di identificazione e non hanno presentato domanda di asilo, oppure che non hanno lasciato il Paese entro due settimane dopo il respingimento della domanda ma non hanno commesso reati», spiega Demaliaj.

    Non sono centri pensati per il rimpatrio, e «da lì non si può uscire per un anno», continua l’esperta del Jesuit Refugee Service. Ciò che succede al termine dell’anno di detenzione è «l’inizio di un circolo vizioso», dal momento che «semplicemente si apre la porta del centro, e il governo afferma che è stata risolta la questione senza dare ulteriori informazioni». Mentre queste persone migranti continueranno la rotta balcanica – o finiranno di nuovo in un centro di detenzione, se fermate dalle forze dell’ordine –, Demaliaj punta il dito contro le istituzioni, a cui «interessa solo mettere una ’x’ sui progressi nel Rapporto annuale sui criteri richiesti al Kosovo dall’Unione europea, anche in assenza di risultati».

    Gli accordi per l’esternalizzazione della detenzione e dei rimpatri di persone migranti si inseriscono esattamente in questo quadro. «I Paesi candidati sono disposti a siglare qualsiasi tipo di intesa pur di fare bella figura» con i Paesi membri e con Bruxelles, «in modo da accelerare il proprio processo di integrazione», è l’accusa di Demaliaj. Un’aspra critica non viene risparmiata nemmeno all’Unione europea, «che sta sfruttando questa disponibilità» per i propri fini – e per un preoccupante cambio di rotta nella politica migratoria.

    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Accordo-Danimarca-Kosovo-un-modello-per-la-nuova-politica-migratoria

    #accord #Danemark #Kosovo #externalisation #migrations #réfugiés #asile #return_hubs #crimmigration #détention #prisons #Gjilan #pays_tiers #renvois #expulsions #emprisonnement

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    ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (►https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
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  • Has Italy’s Albania migrant deal completely failed ?

    One year after Albania’s parliament ratified the country’s migration centers deal with Italy, the two migrant holding centers constructed in Shengjin and Gjader stand completely empty. What happens next?

    Everything has returned to normal in the village of Gjader and the port town of Shengjin in northwestern Albania.

    Almost exactly a year to the day when the parliament ratified the country’s migrant center agreement with Italy, not a single migrant is in either of the facilities constructed in Gjader and Shengjin.

    The agreement signed by Italy and Albania in November 2023 and ratified by the Albanian parliament on February 22, 2024, envisioned that Italy would build migrant holding centers in Albania that would house up to 36,000 irregular migrants a year while their asylum applications are processed by Italy.
    Series of setbacks for the Italian government

    Since then, over 70 migrants — mainly from Africa and South Asia — have been transferred to Albania in three different groups.

    The first ship, which had 16 migrants on board, was sent to Albania on October 16. All of them were sent back to Italy after a court in Rome ruled that the transfer was unlawful and that repatriating them to their countries of origin could breach international legal protections.

    Two more migrant transfers followed: One group of eight was sent to Albania on November 8 and another group of 49 on January 28.

    In both cases, the Rome Court of Appeal ruled that the migrants could not be held in Albania until the European Court of Justice in Luxembourg has ruled on whether the asylum seekers’ countries of origin are considered safe for repatriation.

    The European Court of Justice is expected to rule on the matter on February 25.
    Monitors have left Albania

    Meanwhile, both Italian officials and NGO experts monitoring the situation in Albania have already left the country “until further notice.”

    Francesco Ferri, a migration expert at ActionAid, has been part of a delegation monitoring conditions in the Albanian centers since they were set up.

    “The delegation from Tavolo Asilo e Immigrazione [a national alliance of NGOs and civil society organizations that seeks to protect migrants’ rights in Italy] has conducted monitoring missions in Albania to observe the facilities set up and the context in which they operate,” he told DW. “We are currently no longer in Albania, but we continue to monitor the situation closely from a distance and are ready to return for further observation activities.”
    ’Scared, bewildered and disoriented’ migrants

    All 73 migrants transferred to Albania had tried to reach Italy or Malta by boat from Libya and were, according to Ferri, “seriously afraid of being sent back to their countries of origin.”

    “We met individuals who were scared, bewildered and disoriented,” he said. “They had no awareness of the procedures, were not adequately prepared to apply for asylum, and were in conditions of isolation. Their situation clearly demonstrates how the Albania model entails a systemic violation of rights.”

    According to the website Infomigrants, the Italian government is now considering plans to repurpose the centers. One option believed to be on the table is the transformation of the centers into “repatriation facilities.” However, it seems likely that this plan, too, would face opposition.

    Ferri is strictly opposed to such an alternative use. “It must be entirely rejected,” he said, “as it would lead to further severe human rights violations. The risk of stabilizing and expanding these structures remains real, especially if the outsourcing model were to be replicated elsewhere. The analysis of its outcomes so far indicates that the definitive closure of these centers is the only alternative.”
    ’A clamorous failure’

    Despite the attempts of both governments to make the agreement work, many experts and opposition parties in Italy have been against it from the word go. They consider the project an abuse of human rights and — at an estimated total cost of €1 billion ($1.04 billion) — a waste of money, too.

    Elly Schlein, the leader of Italy’s center-left Democratic Party, has described the agreement as “a clamorous failure,” called on Italian Prime Minister Giorgia Meloni to resign, and said that the migrant center model in Albania will never work.

    Ferri agrees. “Very few people have been transferred, and all of them were subsequently returned to Italy,” he says. “The centers remained empty for most of the year and, during operational periods, hosted only a very limited number of individuals. Organizational difficulties, legal challenges and the political context have hindered its [the agreement’s] implementation.”
    Meloni determined to make the agreement work

    DW contacted the Italian government, asking it for its assessment of the success of the agreement and whether it intends to repurpose the centers. No response had been received by the time of publication.

    However, speaking at an event with senior police officers just a few days ago, Meloni said that her government was determined to continue with the Italy-Albania agreement.

    “We are committed to finding a solution to every obstacle,” she said, adding that “Italian citizens are asking their government to stop illegal migration because it causes insecurity.”

    The agreement has been the subject of debate between the Albanian government and the opposition right from the start. Indeed, the opposition Democratic Party of Albania has vowed that should it win the parliamentary election on May 11, “the contract with Italy will not be renewed.”
    A test case for Europe

    Earlier this week, European Commissioner for Internal Affairs and Migration Magnus Brunner met with Giorgia Meloni and discussed “the possible early adoption of the new concept of a safe country of origin.”

    Before traveling to Italy, Brunner told the Italian media that the legislative package on migrant repatriations being examined by the European Commission would be “very ambitious” and would include “clear obligations on repatriations,” "strict rules for those representing a threat to security" and a “more coordinated” framework at European level.

    Francesco Ferri is still very concerned.

    “The risk remains that European governments will continue to explore outsourcing solutions, thereby reducing protections for asylum seekers and shifting the responsibility for international protection beyond the borders of the EU,” he said.

    https://www.infomigrants.net/en/post/63018/has-italys-albania-migrant-deal-completely-failed

    #Albanie #externalisation #migrations #réfugiés #Italie #échec

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873