• L’8 marzo “clandestino” delle donne afghane che resistono ai Talebani

    Nonostante le difficoltà e le minacce, le attiviste celebrano la giornata per ricordare che il cambiamento è sempre possibile. Anche in un Paese dove oggi violenze domestiche e persino l’uccisione di una figlia non vengono puniti.

    Buio. Temperature polari, neve, fango e ancora buio. Di sera la città scompare nell’oscurità. L’elettricità c’è raramente. Le luci stradali e quelle dentro le case sono spente. I passi incerti degli uomini per strada, come fantasmi. Resti di una vita che non c’è più. Miliziani ovunque, posti di blocco. Sono vestiti meglio i Talebani: buone divise, mezzi potenti, armi efficienti, ereditati dall’esercito e dagli americani. È questa la Kabul che ritrova Rehana, militante della Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa) dopo una lunga assenza. Nemmeno nelle case si sta al sicuro. I miliziani arrivano, sono una cinquantina. Circondano un quartiere, chiudono le strade. Poi entrano nelle abitazioni e perquisiscono, buttano all’aria tutto. Dicono di cercare armi ma rovistano anche nella biancheria delle donne. Alcune tra le nostre amiche attiviste hanno subito questa avventura. Se sei da sola in casa, convocano un testimone maschio altrimenti non potrebbero entrare. Mostrano a tutti che hanno il controllo del Paese, seminano paura. E ci riescono benissimo.

    La paura è entrata infatti nella pelle di tutti. Rehana racconta di averla davanti agli occhi ogni giorno quando prende l’autobus. Ha tempo di osservare dalla sua postazione di donna, schiacciata con le altre, in fondo. I posti buoni sono per gli uomini. Uomini spenti, sguardi opachi. Ascolta la desolazione, l’avvilimento, le storie delle donne. Si scambiano lo sconforto. Non c’è lavoro, non c’è da mangiare, niente per scaldarsi, non possono comprare nemmeno un pezzo di sapone per lavarsi. Le mamme si preoccupano per le figlie. Troppo vuoto nella mente. I disturbi psichici aumentano. Non c’è scuola, né lavoro, né distrazioni, né vita sociale. I Talebani si sono mangiati i loro sogni. Chiuse in casa, spesso una sola stanza, da mesi non possono uscire. È pericoloso: i miliziani possono portarsele via.

    Dopo il devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria il 6 febbraio molti hanno preso d’assalto l’aeroporto di Kabul, con l’obiettivo di salire sugli aerei che partono per portare soccorso: file di automobili come nell’agosto 2021, tanti venivano anche da altre province. La Turchia è la meta da raggiungere a qualsiasi costo: i Talebani sono spiazzati, fanno fatica ad arginare l’assalto, si spara fino a tarda sera. La gente, in città, pensa che ci sia stato un attentato. Khader non è riuscito a partire: “Comunque qui si muore. Preferisco perdere la vita sotto le macerie di un terremoto che qui”.

    Nel buio delle strade succede di tutto e al mattino si trovano i cadaveri. Il 9 febbraio, i Talebani hanno dichiarato di averne raccolti 148 nel corso del mese precedente. Si muore di freddo, di fame, di droga, per mano talebana, per l’aggressione da parte di un criminale, per omicidio, per attacchi suicidi.

    La stessa cupa prigione è saldamente installata nella mente degli uomini. Sahar, insegnante, racconta cos’è successo nel suo quartiere a una famiglia che conosce di vista. Un padre, Faiz, ama sua figlia quindicenne (così dice): bella, istruita, allegra, ne è fiero. La sorveglia costantemente: lei è preziosa, il suo migliore affare. La vende in sposa, con suo grande profitto, a un suo collega, un uomo rispettabile, più anziano di lui.

    Lei, Zahra, invece, ha altri progetti. È innamorata e si vede di nascosto con il suo fidanzato Amid, progettano la fuga. Ora che il padre l’ha promessa, non esce più. Il ragazzo di notte riesce a entrare nella sua stanza, vuole vederla. Sono vicini, si tengono le mani. Faiz, padre che ama sua figlia, controlla. La vita di Zahra gli appartiene, l’affare è già combinato. Tutta la casa controlla, anche i muri, gli scricchiolii, i pavimenti: tutte spie di Faiz. Allarmato, entra nella stanza, Amid scappa dalla finestra. Faiz prende il suo fucile e gli spara, ma ormai il ragazzo è sparito nel buio.

    Così, si gira, con la furia negli occhi, mentre la figlia gli urla che vuole sposare Amid, solo lui. Non ci pensa molto, riempie il corpo della sua bambina di pallottole. Zahra viene uccisa. Il padre solleva il cadavere, così leggero e lo getta nel cortile. I vicini si affacciano, le donne urlano. Faiz è ancora lì, con il fucile in mano e spinge via con i piedi il corpo della figlia. I vicini, spaventati, denunciano l’omicidio alle autorità. Eccoli, i “giudici”, con il turbante di traverso, armati fino ai denti. Gli occhi accesi da chissà quale delirio. Vedono il corpo della ragazza, nessuno ha osato spostarlo. Entrano in casa dove la madre non smette di singhiozzare. Parlano con Faiz. Ascoltano, annuiscono. I vicini spiano dalle finestre. Escono nel cortile per assistere alla “giustizia talebana”’. Ecco, ora sarà frustato, arrestato, ucciso, si dicono. Se lo porteranno via. Se lo merita. Ma i Talebani si complimentano con lui, gli danno pacche sulle spalle, lo lodano senza ritegno: “Hai fatto il tuo dovere. Ora il tuo onore è salvo e la sharia rispettata. Tua figlia era una puttana”. Giustizia è fatta.

    Oggi, in Afghanistan, i reati contro le donne non hanno nemmeno la dignità di essere delitti, sono comportamenti governati dalla sharia. Giustificati, accettati, accolti dentro la vita di ogni giorno. I codici cambiano e sono i Talebani a dettarli. La giustizia è sprofondata nel fanatismo. Oggi, nel silenzio del mondo, i Talebani fanno quello che vogliono. Impongono le loro pene: amputazioni, lapidazioni, frustate. E la voce delle donne, inascoltata, perde forza e si prosciuga. Sulle leggi che proteggevano le donne i Talebani non si esprimono nemmeno: per loro non sono mai esistite. Basta la sharia. Copre ogni caso sottoposto alla giustizia. La violenza degli uomini non è più un crimine, tanto meno quella domestica, non è oggetto di alcuna sanzione, è colpa delle donne che non hanno saputo servire bene i loro mariti. L’impunità nutre gli abusi, si annida nelle case, diventa a poco a poco la regola, un tarlo, una malattia. Il triste potere di annichilire devasta il cervello e l’anima degli uomini. Imprigiona la loro mente più del corpo delle donne.

    “Per i Talebani le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”
    – Mirwais, avvocato penalista

    Chi ha difeso le donne è sotto tiro: avvocate, giudici, procuratrici, vivono nascoste sotto continua minaccia di morte. Sono conosciute e rischiano molto. Non basta impedire loro di lavorare, per i Talebani vanno eliminate. Soprattutto per quei padri e quei mariti che, a causa loro, erano stati imprigionati. Questi uomini sono stati tutti liberati dai Talebani, già nella loro corsa verso Kabul nell’agosto 2021. Ex prigionieri e combattenti hanno saccheggiato le case di donne giudici. E vogliono la loro vendetta. “Pochissime si rivolgono alle corti talebane per i loro problemi -dice Mirwais, avvocato penalista-. Per i nuovi governanti le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”. La stampa non c’è più ma qualche notizia sulla “giustizia talebana” filtra sui social network. Ci sono state donne lapidate in diverse province, in quella di Badakhshan in particolare. A Ghowr una donna si è suicidata per sfuggire a questa crudele esecuzione. Nella provincia di Takhar, 40 giovani sono stati frustati in mezzo alla strada e messi in prigione per non aver osservato le prescrizioni su hijab e barbe. Scendere in strada è come andare in guerra.

    L’8 marzo in Afghanistan non c’è nulla da festeggiare. Non c’era nemmeno nei vent’anni passati quando, tranne poche eccezioni, la giustizia per le donne restava una chimera. Ma le militanti afghane che si battono per i diritti delle loro sorelle ci tengono molto a celebrare questa festa. Per loro è sempre stato un giorno importante e lo è ancora. “Serve a ricordarci le vittorie delle donne -dice Gulnaz, militante di Rawa-. Se loro ce l’hanno fatta, ce la faremo anche noi. Ci vorrà molto tempo ma le cose cambieranno. Oggi sappiamo che continueremo a combattere, con le armi della consapevolezza, dell’istruzione, della cura, della resistenza e con la forza della vita stessa. È questa che dobbiamo celebrare oggi”. Rawa e le altre associazioni di donne continuano a lottare. Trovano ogni escamotage per realizzare quello che serve: scuole, rifugi, ambulatori. Tutto segreto, per una vita che non si fa schiacciare. Continuano a inventare e a dare speranza alle donne. Rawa ci sarà l’8 marzo: le militanti arriveranno per l’occasione addirittura da altre province. Nonostante tutto, nei modi più fantasiosi, riusciranno ad affermare la certezza che qualcosa si può sempre fare per arginare l’orrore e nutrire la forza delle donne. Un giorno di coraggio che, ancora, i Talebani e gli altri tagliagole non sono riusciti a devastare.

    https://altreconomia.it/l8-marzo-clandestino-delle-donne-afghane-che-resistono-ai-talebani
    #Afghanistan #femmes #résistance #Revolutionary_association_of_the_women_of_Afghanistan (#Rawa) #Kaboul #peur #justice

  • I nomi delle strade sono lo specchio del sessismo della società

    La cultura che è all’origine di violenze e discriminazioni nei confronti delle donne non viene insegnata a scuola, ma si perpetua giorno dopo giorno attraverso quello che ci circonda: dai prodotti commerciali a quelli culturali, dalla pubblicità ai giocattoli. Pensando allo spazio pubblico, per esempio, ci si accorge che restituisce a chi lo attraversa quasi solo nomi di uomini: eroi di guerra, compositori, scienziati e poeti sono ovunque, a costante memoria del loro valore.

    Da qualche anno a questa parte lo studio dell’urbanistica si è intrecciato con quello della toponomastica di genere e, mentre si pensa a come disegnare città più inclusive, si riflette anche sulla cancellazione storica subita da partigiane, musiciste o scienziate. Con 24 strade a lei dedicate, la donna più celebrata sulle vie d’Europa è Marie Curie, che però non sempre si aggiudica un’intestazione tutta sua: quasi sempre sulle targhe la precede il nome del marito, Pierre. Anche se lui ha un Nobel in meno di lei.

    Un promemoria sottile

    La piattaforma Mapping diversity, sviluppata da Sheldon Studio e voluta da Obc Transeuropa con altri partner dell’European data journalism network, esamina le mappe di trenta città di 17 paesi europei rivelando che, su 145.933 strade e piazze, il 91 per cento di quelle intitolate a persone sono dedicate a uomini. Basta fare due passi in una qualsiasi metropoli per notarlo. “È un promemoria, sottile ma potente, su chi la nostra società apprezza o ha apprezzato e chi no”, si legge sul sito. A fianco il risultato della ricerca: 4.779 vie intitolate a donne contro 47.842 nomi maschili.

    Lo scopo dello studio è raccontare la mancanza di diversità in relazione alle narrazioni. Se è vero che la storia la scrive chi vince, fino a oggi hanno vinto uomini che hanno disegnato le città raccontando il passato attraverso il loro punto di vista. Una prospettiva da cui non vengono osservati, e tanto meno celebrati, i traguardi scientifici, militari, politici o culturali di donne, identità non binarie e persone non bianche, ma che mette bene a fuoco le martiri o le dee, come Diana e Afrodite.

    Sono infatti 365 le vie e le piazze dedicate alla Madonna, spalmate su 25 delle 30 città europee esaminate. La seconda nella classifica generale delle donne e sant’Anna, con 35 strade, accompagnata dalla voce “casalinga” e dal motivo di tanta attenzione: è la madre della capolista. La prima laica (terza tra tutte le donne) è appunto Curie; la seconda, con solo dieci strade, è la scrittrice polacca Stefania Sempołowska (dodicesima nella classifica generale). A separare le due c’è una folta schiera di sante, da Teresa d’Avila a Chiara d’Assisi.

    Per fare un confronto con gli uomini, i più popolari sono san Pietro, san Paolo e Ludwig van Beethoven (a cui sono dedicate 26, 23 e 18 strade o piazze). Numeri bassi se comparati con quelli di Maria e Anna, dovuti al fatto che la platea di uomini a cui sono state intestate strade o piazze è larghissima, dal momento che tra i meritevoli c’è anche l’immaginario Frankenstein o, peggio, il gerarca fascista Aldo Tarabella. Nessuno escluso quindi, mentre lo spazio delle donne, anche quando sante, resta angusto e le percentuali insignificanti.

    Tra le capitali, la città più inclusiva in Europa è Stoccolma con solo il 19,5 per cento delle strade intitolate a donne. È seguita da Madrid (18,7), Copenaghen (13,4 per cento) e Berlino (12,2 per cento). In fondo alla classifica ci sono Praga (4,3 per cento) e Atene (4,5 per cento).

    L’Italia dal canto suo ha il 6,6 per cento di vie dedicate a donne: su 24.527 strade sono 1.626, ma se non si contano quelle dedicate alla Madonna, ne rimangono 959: persone come Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Lina Merlin o la ciclista Alfonsina Strada danno il nome a una via ciascuna e Margherita Hack non c’è. A spopolare all’estero è Maria Montessori: quattro strade di cui una a Barcellona e una a Vienna. La seconda laica più celebrata oltre i confini è Anna Magnani, l’attrice di Roma città aperta ha una via a Bruxelles. L’italiano più inflazionato all’estero è, forse ovviamente, Cristoforo Colombo: undici città d’Europa lo hanno reso immortale con gloriosi lungomare e grandi piazze. Lo seguono Galileo Galilei e Dante.

    Non mancano, tra street, rue, strasse e carrer le scrittrici Elsa Morante, l’attrice Gaby Sylvia, la cantante Giuseppina Medori, la pilota Lella Lombardi e la pittrice Maddalena Corvini. Non pervenuta, all’estero, la premio Nobel Grazia Deledda che è già ricordata di rado in patria come anche le politiche Nilde Iotti, Carla Capponi e Miriam Mafai. E sono ancora meno le scienziate, le ingegnere, le sportive o le giornaliste. Troviamo però Emanuela Loi, scorta del giudice Paolo Borsellino, e le stelle di un tempo: Wanda Osiris, Silvana Mangano, Bice Valori, Dalida ed Emma Gramatica. Ma hanno circa una strada l’una. E periferica per giunta.

    Fornire modelli

    “Le donne non hanno avuto visibilità negli spazi pubblici e tale esclusione è evidente nella toponomastica”, commenta Maria Pia Ercolini, fondatrice di Toponomastica femminile, un’associazione che vuole restituire visibilità alle donne che hanno contribuito a migliorare la società. “Fornire modelli visibili accresce l’autostima delle ragazze”, spiega, “e la violenza di genere dipende dal fatto che le donne vengono percepite come oggetti e proprietà, per questo è fondamentale restituire il loro operato a tutti: le bambine scoprono ambizioni e desideri attraverso la storia e i bambini recepiscono il valore delle donne”.

    Insieme all’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), Ercolini ha avviato la campagna “tre donne, tre strade” che ogni 8 marzo promuove l’intitolazione di spazi cittadini a tre donne di rilevanza locale, nazionale e internazionale. Per il 2023, la richiesta è di dar spazio alle vittime del terrorismo di stato o alle donne che hanno combattuto per la democrazia e per i diritti in Iran e Afghanistan.

    Di certo aumentare la percentuale di strade e piazze dedicate a figure femminili di rilievo non basterà a sradicare una cultura patriarcale che spesso dimentica le donne. Tuttavia le ricerche come questa e le continue attività di organizzazioni e istituzioni che si dedicano alla toponomastica e provano a immaginare un diverso modello di città, sono un passo in avanti verso uno spazio pubblico più inclusivo. Un lavoro importante soprattutto per le prossime generazioni di donne che, leggendosi e ritrovandosi, saranno forse più pronte a prendere coscienza del loro valore e del ruolo che possono avere nella società.

    https://www.internazionale.it/notizie/eugenia-nicolisi/2023/03/09/nomi-strade-sessismo

    #sexisme #toponymie #toponymie_féministe #femmes #noms_de_rue #inégalité #culture

  • Meet 6 women advancing the global women’s rights movement
    https://harvardpublichealth.org/equity/meet-six-women-fighting-to-stop-the-global-backslide-on-womens-

    L’article vient avec une alerte :

    Content warning: This article contains references to sexual and gender-based violence that may be distressing.

    Effectivement, l’histoire de ces femmes est particulièrement difficile à encaisser. Bravo pour leur courage.

    Women have gained hard-won rights over the past century—to education, reproductive health care, and economic and political independence—all of which have been accompanied by vastly improved health outcomes for entire societies.

    But women’s rights have remained a target of authoritarian movements in countries around the world, from Afghanistan to the United States. Research suggests that authoritarians seek to disempower women because the social movements they lead, and the revolutions they participate in, are more likely to be successful. Most importantly, good health and women’s empowerment go hand-in-hand.

    This International Women’s Day, we are shining a spotlight on six women resisting authoritarianism in their countries and protecting women’s rights and health across the globe.

    #Femmes #Droits_humains

  • Moins responsables que les hommes du changement climatique, les femmes en sont les premières victimes – vert.eco
    https://vert.eco/articles/moins-responsables-que-les-hommes-du-changement-climatique-les-femmes-en-sont-

    · Les #femmes sont plus #vulnérables au bouleversement du #climat. Selon le dernier rapport du Groupe d’experts intergouvernemental sur l’évolution du climat (GIEC), la vulnérabilité des sociétés dépend de leur niveau de développement (Vert). Or, au sein des populations les plus pauvres, « les femmes ont généralement un accès moindre à la terre, à l’éducation, à l’information et aux ressources financières », relève la Banque de France. Elles dépendent davantage des ressources naturelles pour vivre et ont une capacité de résilience moindre en cas de choc. Selon les Nations Unies, elles représentent 80% des personnes déplacées dans le monde (pdf) en raison du réchauffement climatique.

  • #Zeynab_Jalalian #Iran #répression #iranianwomen #mollahcratie #anticléricalisme #Liberté #DroitsHumains #droitsdesfemmes #Féminisme #émancipation #FemmeVieLiberté #Solidarité ✊✊

    🛑 Droits des femmes en Iran : une militante injustement emprisonnée à vie - Amnesty International France

    La prison à perpétuité. C’est la peine que la militante des droits des femmes Zeynab Jalalian purge depuis 2008, en Iran. À l’occasion de la journée internationale des droits des femmes, mobilisons-nous pour sa libération ! (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.amnesty.fr/actions-mobilisation/zeinab

    roits des femmes, mobilisons-nous pour sa libération ! (...)❞

  • France : la misère affective n’épargne pas les femmes détenues
    https://rfi.my/9DrJ

    La France héberge la plus grande #prison de #femmes de toute l’Europe. Le centre pénitentiaire de #Rennes, en #Bretagne, compte 213 détenues pour longue peine, et 31 en attente de jugement. Les femmes détenues ne représentent que 3,3% de la population carcérale et leur voix se fait rarement entendre. RFI est allée à leur rencontre pour parler de l’enfermement. Est-ce qu’une femme abandonne son corps quand elle est en prison ? Peut-elle avoir une intimité, une sexualité, quand les cellules font 7m2 et que les corps sont surveillés ?

    Audio 3 mn

  • Bretagne et diversité | BED
    https://bed.bzh/fr
    Arpenter le monde.
    800 films emblématiques de la diversité culturelle et des minorités.

    Bed a refait sont site... Sa collection de #films s’enrichit, je vais commencer par :
    De la cuisine au parlement

    La route de la cuisine au parlement a été longue et semée d’embûches pour les Suissesses. Quatre générations ont dû se battre pour que l’électorat masculin accorde aux femmes le droit de participation aux décisions politiques. Ce documentaire retrace ce chemin avec sensibilité et humour.

    https://bed.bzh/fr/films/de-la-cuisine-au-parlement

  • Le #genre en ville
    https://metropolitiques.eu/Le-genre-en-ville.html

    L’émission Le Genre en ville aborde les questions de genre en croisant les savoirs issus des mondes académique, professionnel, associatif et militant. Elle propose une lecture critique des rapports sociaux, à l’épreuve du genre, afin de construire de nouvelles épistémologies et de questionner les #inégalités en ville. ▼ Voir le sommaire de l’émission ▼ Le Genre en ville est une émission en écoute à la demande (podcast) imaginée comme un espace de réflexion et de production de savoirs sur la question du #Podcasts

    / #Grand_angle, genre, intersectionnalité, inégalités, transdisciplinarité, #femmes, #féminisme, #territoire, (...)

    #intersectionnalité #transdisciplinarité #épistémologie

  • Espagne : il relègue sa femme aux tâches ménagères et doit lui verser 200 000 euros de compensation
    https://www.huffingtonpost.fr/justice/article/espagne-il-relegue-sa-femme-aux-taches-menageres-et-doit-lui-verser-2

    Une victoire plus que symbolique pour cette mère de famille. Un tribunal espagnol a condamné un homme à payer plus de 200 000 euros à son ex-femme, correspondant à plus de 20 ans de #salaire pour s’être occupée du #travail_domestique durant leur mariage, selon une décision consultée mardi 7 mars par l’AFP, à la veille d’une date importante dans la lutte pour les droits des #femmes.

    Cette femme, mère de deux enfants et mariée sous le régime de la séparation des biens, s’est occupée, à partir de son mariage « de la maison, de la famille, avec tout ce que cela implique », reconnaît la décision judiciaire du tribunal de Vélez-Málaga, datée du 15 février. En conséquence, la justice espagnole a considéré que cette femme recevrait une « compensation de 204 624,86 euros » [850e/mois].

    (...) Dans une interview mardi à la radio Cadena Ser, cette femme a affirmé que son mari « ne voulait pas qu’elle travaille à l’extérieur », même si elle l’aidait en revanche dans les salles de sport, dont il était propriétaire, en s’occupant « des relations publiques, en étant monitrice » mais sans être payée.

  • « Michaël Zemmour est pédagogue, limpide et parfaitement rationnel dans son analyse de la situation. C’est d’une clarté incontestable.

    Cette réforme est injuste, car elle résulte de choix budgétaires dogmatiques et d’une mauvaise gestion financière des ressources de l’Etat. »

    https://video.twimg.com/ext_tw_video/1632696619211583488/pu/vid/540x540/MsE_VGKFka0HOCXy.mp4?tag=12

    https://twitter.com/albinwagener/status/1632748757535137794?cxt=HHwWhIC9xYSW2KgtAAAA

    • En quoi c’est débile ? :)
      L’enjeu non pas à court terme mais l’enjeu en tant que modèle de société sur le long terme, c’est à la base de pas dépendre de participation de l’État (ce qui est en partie le cas aujourd’hui). Donc oui là-maintenant-tout-de-suite ya l’État qui baisse ses entrées, donc faut possiblement se battre contre ça pour récupérer des sous. Mais sur le long terme, à la base c’est sans passer par des caisses de l’État.

    • fétichisme juridique et comptable. le SMIC, l’école, la législation du travail, du crédit, c’est l’État. les cotisations c’était et ça reste un bout de sa main gauche. on peut lui donner tous les prêtes noms qu’on voudra pour moins le voir. mais croire s’affranchir ne serait-ce qu’en partie de l’État ainsi c’est une auto-intoxication pathétique. de l’air !

      le communisme de Friot :

    • Le concept même de protection sociale (sécu, retraite & assurance chômage) repose sur le principe de la constitution d’une ressource (un « pot commun » non financiarisé) ; cette ressource étant elle-même créée par des cotisations sur le travail. Car, comme dirait l’autre, seul le travail génère de la valeur.

      Le but étant que cette ressource soit ensuite redistribuée aux bénéficiaires ; autrement dit, les salarié.es. Ça c’est le principe de la répartition, effectivement, basée sur le salariat et le travail ; lesquelles représentent, certes,un caractère discriminant pour les non-salarié.es ainsi qu’une profonde forme d’aliénation au capitalisme. Je ne suis pas fan de la nostalgie CNR qu’on nous sert à toutes les sauces (Friot, PCF, CGT, etc.).

      Néanmoins, il n’y a, à ma connaissance, pas réellement d’autre modèle de financement de « la sécu », dans ce monde capitaliste, si ce n’est la capitalisation (fonds de pension, etc.) où c’est chacun pour sa pomme et tant pis pour toi si ton salaire est trop faible pour mettre de la thune de côté ou s’il s’avère que le « pot commun » est complètement vérolé par des placements foireux.

      Tant qu’on n’a pas mis par terre le système global - capital, travail et tout le paquet - je préfère quand même garantir la protection sociale par répartition.

      L’accoutumance, c’est aussi celle qui lie l’État au patronat dans la généralisation des exonérations de cotisations sociales. Ces exonérations sont en partie compensées par l’impôt et la TVA, autrement dit, par tout le monde, y compris les non-salarié.es.

      La sécu est, certes, complètement étatisée et contrôlée par l’État mais il n’en reste pas moins qu’un tel magot échappe aux placements financiers et cela représente une aberration absolument insupportable pour ce monde capitaliste. On essaie de lui faire la peau, soit par la retraite à points, soit, comme actuellement, en la décrédibilisant.

      Déjà, beaucoup de jeunes peuvent se demander, à juste titre, à quoi cela sert de prélever une part de mon salaire si, à la finale, il n’en reste rien ?

    • ok. alors soyons beveridgiens avec les entreprises (assistées) et bismarckiens avec les prolos (assurés). ça marche très bien, et pas seulement sur les dégrèvements de cotisations : dépense collective en éducation, santé, infrastructures, recherche, financement des implantations, de l’outil de travail, au nom de l’emploi, de la croissance.
      ça marche très bien, sauf pour les prolos dont on continue à assoir une part essentielle de la reproduction sur (le travail gratuit et) un temps d’emploi qui ne prend en compte ni les gains de productivité, ni la discontinuité de l’emploi, ni la réduction réelle du temps de travail-emploi sur le cycle de vie.

      la théorie de la valeur travail est en crise ? révérons la cotisation assise sur le volume horaire d’emploi, mais ne nous étonnons pas de constater que c’est depuis cette même vision (le travail seul créateur de valeurs) que partout les états et les entreprises exigent que l’on travaille davantage. et ce jusqu’à un retour à la survaleur absolue (dans certains états US, on légalise et/ou facilite le travail des enfants, ça remet de l’égalité avec les migrants sans pap et mineurs qui font les livreurs).

    • Bé non, au départ les cotisations sociales, c’est pas « la main gauche de l’État », à la base c’est des caisses indépendantes, contrôlées par les instances représentatives des salariés (mais ça peut être un mélange de salariés et d’autres de la société civile si on veut agrandir à pas que les travailleureuses), et seulement dans un deuxième temps avec obligation d’une minorité de patronat (et même si obligé, seulement en minorité). Autrement dit, la conception de départ (très vite combattue bien évidemment, autant par les patrons que par l’État capitaliste) c’était une semi « auto organisation » des caisses de sécu.

      Qu’actuellement ce soit de nouveau l’État et les patrons qui gèrent à peu près tout, c’est une chose. Mais on peut parfaitement faire autrement, et sans utopisme impossible : ça a déjà été fait, ça fonctionne quand c’est en place, et c’est plus égalitaire et démocratique qu’actuellement (quand bien même ça resterait une grosse institution à une échelle énorme ça ok, et ce n’est pas forcément ma came MAIS ça reste bien mieux que le backlash qu’il y a eu ensuite). (Je n’ai pas dit « c’est démocratique », mais bien « plus démocratique que ».)

      https://www.contretemps.eu/comprendre-la-sociale-pour-la-continuer

      Financé par des cotisations sociales obligatoires, et géré majoritairement par les représentants des salarié-es, « le régime général de la Sécurité sociale n’est pas une nationalisation de la protection sociale d’avant-guerre, c’est une socialisation » (p. 130). Pour la première fois se met en place une protection sociale placée sous le contrôle des assurés sociaux eux-mêmes par le biais de leurs représentant-es élu-es.

    • @colporteur Je te donne la théorie, telle qu’elle est construite. Ce n’est pas la mienne.

      Je suis d’accord pour remettre en cause l’aliénation des « catégories » emplois et travail, bien qu’il me soit pénible de ne m’en tenir qu’à combattre principes (anarchistes) et catégories (critique de la valeur).

      Il n’en reste pas moins que je n’ai aucune autre théorie à mettre en place immédiatement dans un rapport de force social réel - que je sache, nous ne sommes pas en période révolutionnaire où le capitalisme serait sur le point de périr - permettant d’éviter que les retraités (un concept tout aussi critiquable, en soi, comme celui de salarié) continuent simplement d’avoir de quoi vivre.

    • Wesh le confusionnisme, ça veut rien dire « loi de la valeur » comme si c’était la même chose « à la figure par les exploiteurs », et dans la bouche de Marx (et des marxiens) où c’est une description de comment fonctionne concrètement le capitalisme et la mesure de la valeur dans ce système social complet. Justement pour le critiquer et vouloir vivre autrement.

      L’ensemble du budget des États est construit sur la valeur capitaliste dont on ponctionne une partie (en impôts ou cotisations), mais donc bien basée entièrement sur la valeur capitaliste, pas autre chose.

      On peut pas comparer des propositions qui sont « là à relativement court terme, comment on pourrait faire pour vivre déjà un peu mieux et un peu plus démocratique, mais sur le même principe qu’actuellement », et « révolution totale de mode de vie et on vit complètement autrement ». Pour moi faut toujours réfléchir aux deux, mais bon, c’est vraiment pas les mêmes échéances quoi.

    • merci pour l’épithète mais je te fiche mon billet que si Marx qui n’était pas marxiste était là, il serait autre (il a contredit ses penchants économicistes, réels, et il attachait une certaine importance à l’histoire et à l’analyse concrète comme on le sait), plus proche probablement des thèse de Jason Moore sur la mise au travail du vivant (travail vivant inclu, et pas toujours salarié) et pas fossilisé au point de reproposer une théorie marquée au coin du positivisme et déterminée par le processus d’industrialisation qui caractérisait son époque. il aurait cherché et trouvé encore ! et verrait fort bien comme Le capital a tout compte fait davantage servi de bréviaire aux exploiteurs qui jamais n’auraient pigé ce qu’ils font sans aller le découvrir chez l’ennemi.
      140 d’histoire du capitalisme dont 50 sous le signe d’une révolution permanente du capitalisme laisseraient la théorie inchangée ? dans ce cas, je sais pas, si on se soucie peu des luttes qui en ont décidé, il faut relire la théorie de la survaleur, le passage de la plus value absolue à la plus value relative (qui n’élimine pas la première) sous les coups de la lutte de classe (la lutte contre le travail des enfants, pour la journée de 8heures) et constater que contre les crises -et la révolution !- les États au XXe siècle constitués comme gestionnaires d’une plus value sociale (ici, c’est déjà « la société » qui est l’usine où est produite cette valeur qu’on ne sait plus mesurer depuis le travail-emploi)

      c’est pas une question de société future (j’ai pas grand chose à dire là dessus) ou idéale ! il n’y a que la logique capitaliste qui puisse soutenir que la mesure du temps d’emploi individuel doit déterminer la reproduction du travail vivant. c’est réduire celui-ci à cette marchandise particulière qu’est la force de travail. c’est un boulot de militant de l’économie avec lequel aucun pacte n’est possible, spécialement depuis que de la Première guerre mondiale en Europe à la crise écologique, la production pour la production apparait pour ce qu’elle est, non seulement une course au profit délétère mais bien l’enrégimentement de tout ce qui est vers la destruction.

    • pas compris grand chose au dernier message, et surtout je n’arrive jamais à comprendre ce confusionnisme de mélanger la description de comment fonctionne le capitalisme (donc bah oui merci captain obvious c’est « la logique capitalisme » forcément…) avec comment la personne voit le monde. La majeure partie du travail de Marx ça a été de décrire, mettre à jour, le fonctionnement réel du capitalisme (de son temps évidemment, toujours à mettre à jour), ce qui n’a rien à voir avec sa vision du monde, puisque ce qu’il préconisait explicitement c’était l’abolition totale de la valeur, donc bien totalement l’inverse de la logique capitaliste.
      (Par ailleurs chez lui il me semblait que la valeur ne se mesure par précisément, seulement proportionnellement et globalement à l’état de la productivité à un instant T pour une marchandise donnée ; seuls les prix se mesurent, ces derniers ayant un rapport avec la valeur, mais pas que)

  • « C’est fou et très injuste » : comment les #impôts permettent aux hommes de gagner de l’argent sur le dos des #femmes
    https://madame.lefigaro.fr/business/actu-business/c-est-fou-et-tres-injuste-comment-les-impots-permettent-aux-hommes-d

    Instaurer un taux individualisé par défaut pour l’impôt sur le revenu. Le taux personnalisé, commun aux deux membres du couple, est pour l’instant appliqué par défaut. Or, il diminue de 13 points le taux d’imposition du conjoint au salaire le plus élevé, et augmente de 6 points celui du conjoint aux revenus les plus bas, dont une majorité de femmes. Supprimer l’impôt prélevé sur les prestations compensatoires après un divorce. Ces prestations, qui visent à atténuer la baisse de niveau de vie après la séparation - qui diminue de 22% pour les femmes contre 2% pour les hommes - constituent un revenu imposable si elles sont versées au-delà de douze mois après le divorce. Faciliter la décharge de solidarité pour éviter aux femmes de régler les dettes fiscales de leur ex-conjoint. « 80 % des demandeurs de décharge sont des femmes, explique Marie-Pierre Rixain. Elles héritent de ses dettes, liées à des fraudes fiscales sur les bénéfices professionnels et découvertes à l’occasion d’un contrôle fiscal mené après le divorce. C’est une véritable injustice. » Augmenter le plafond global de déductions fiscales pour encourager l’investissement féminin. En l’état actuel, on peut prétendre à des réductions d’impôt au titre de sa garde d’enfants, d’un employé à domicile ou d’un investissement dans une entreprise. Mais le plafond global de ces avantages fiscaux, fixé à 10 000 €, empêche nombre de mères actives, solos ou non, de financer des sociétés. Marie-Pierre Rixain propose donc de le rehausser à 18 000€ pour encourager les femmes à investir. Reconnaître systématiquement les associations féministes comme étant d’intérêt général. Ça n’est pas le cas actuellement, et cela prive certaines associations de financements, publics ou privés. D’où le projet de la députée de modifier le code général des impôts. Rétablir l’égalité de nature dans l’héritage. Elle a peu à peu disparu au profit de la seule égalité de valeur. Or, en raison de stéréotypes solides au sein des familles comme dans les études notariales, les fils héritent davantage des biens structurants - entreprises, biens immobiliers, terres... - et les filles, de compensations financières, souvent sous-évaluées. « Entre 1998 et 2015, l’écart de patrimoine entre les hommes et les femmes est passé de 9 % à 16 % », souligne Marie-Pierre Rixain.

  • Inscrire l’IVG dans la Constitution en ces termes ? Non merci !
    par Odile Fillod

    https://blogs.mediapart.fr/odile-fillod/blog/240223/inscrire-l-ivg-dans-la-constitution-en-ces-termes-non-merci?userid=b


    Inspirée par un recul du droit à l’IVG survenu aux États Unis, la proposition de loi constitutionnelle avait pour objectif de rendre plus difficile une atteinte à ce droit. Très dégradée au fil des discussions parlementaires, la révision de la Constitution actuellement prévue serait loin d’être un progrès vers l’objectif initialement visé. Inutile, elle signerait plutôt une avancée conservatrice.

    L’arrêt Roe v. Wade de la Cour suprême des Etats-Unis protégeait depuis 1973 le droit à l’avortement en affirmant que le droit à la vie privée garanti par la Constitution s’étendait à la décision d’une femme de poursuivre ou non sa grossesse – tout en précisant que la réglementation de l’avortement devait être mise en balance avec la protection de la « potentialité de vie humaine », ainsi que celle de la santé de la femme concernée.

    Sur cette base, une loi votée en avril 2019 par l’Etat de Georgie (HB 481) avait été suspendue car jugée inconstitutionnelle. Cette loi, qui sauf exceptions [1] interdisait l’avortement à partir du moment où une activité cardiaque de « l’enfant à naître » (« unborn child ») pouvait être détectée – soit potentiellement dès la sixième semaine de grossesse –, donnait en outre au fœtus le même statut juridique que n’importe quel habitant de l’Etat sous cette condition d’activité cardiaque, faisant de l’avortement passé ce délai un « homicide ». De même, c’est sur le fondement de l’arrêt Roe v. Wade qu’avait été empêchée l’entrée en vigueur d’une loi restreignant l’avortement aux seuls cas où le fœtus ou la vie de la gestatrice étaient en danger, votée par l’Alabama également en avril 2019 (HB 314).

    En juin 2022, la Cour suprême a infirmé l’arrêt Roe v. Wade au motif qu’il était infondé : pour cette Cour désormais majoritairement conservatrice, non seulement la Constitution des Etats-Unis ne fait aucune référence à l’avortement mais aucun de ses articles ne le protège implicitement. A la suite de la suppression de cette protection existant au niveau fédéral, une dizaine d’Etats ont immédiatement restreint le droit à l’avortement, bientôt suivis par d’autres. En particulier, des lois interdisant l’avortement sans exception (y compris en cas de viol, par exemple) ont pu entrer en vigueur au Texas et dans le Tennessee, de même que les deux lois qui avaient été suspendues en Georgie et en Alabama.

    En réaction à cette actualité états-unienne, l’idée d’inscrire le droit à l’avortement dans notre Constitution a été réactivée – des propositions avaient déjà été faites en ce sens en 2018 et 2019 mais rejetées par la majorité présidentielle, qui prétendait alors que c’était inutile [2]. L’objectif est de rendre plus difficile pour le législateur la suppression de ce droit ou sa restriction drastique. En effet, une loi régressive pourrait bien être votée par le Parlement, mais le Conseil constitutionnel pourrait alors être saisi et empêcher son entrée en vigueur en s’appuyant sur la mention protectrice ajoutée dans la Constitution. Pour supprimer cet obstacle, il faudrait réviser à nouveau la Constitution, ce qui nécessiterait soit l’approbation de cette révision par référendum, soit l’accord d’une part plus importante des membres du Parlement [3].

    Si l’idée est bonne sur le papier – bien que sur les questions dites de société telles que celle-ci, le Conseil constitutionnel se soit plus d’une fois défaussé de son rôle en laissant au législateur une marge d’interprétation excessivement large [4] –, encore faut-il que la mention ajoutée dans la Constitution réponde effectivement à l’objectif visé.

    Est-ce le cas de ce qui est proposé, à savoir l’introduction prévue à l’article 34 de la Constitution, i.e. au sein du Titre V consacré aux « rapports entre le Parlement et le Gouvernement », d’un alinéa disposant que « La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté de la femme de mettre fin à sa grossesse » ?

    Une mention qui n’ajoute rien à la protection constitutionnelle de la liberté d’avorter
    Soulignons tout d’abord que cette disposition, en ne précisant aucune des conditions dans lesquelles s’exerce la liberté d’avorter, n’empêcherait pas le législateur de revenir sur diverses conditions d’accès ou d’effectivité : réduction du délai dans lequel l’avortement est autorisé, rétablissement d’un entretien préalable et de l’obligation de remettre un dossier guide à visée dissuasive (supprimés en 2001), retour du délai de réflexion imposé (supprimé en 2016), diminution des moyens mis en œuvre par l’Etat pour permettre l’accès effectif à l’avortement, par exemple via la suppression de la possibilité pour les sages-femmes de pratiquer des IVG médicamenteuses (créée 2016) ou instrumentales (votée en mars 2022, mais en attente de textes d’application eux-mêmes soumis à la réalisation d’une expérimentation préalable), remise en question du remboursement systématique, etc.

    En fait, tel que cet alinéa est rédigé et positionné dans la Constitution, on ne voit pas ce qu’il ajouterait à la protection constitutionnelle dont la liberté d’avorter bénéficie déjà. Car pour mémoire, la liberté d’interrompre sa grossesse a été reconnue le 27 juin 2001 par le Conseil constitutionnel en tant que composante de la « liberté de la femme qui découle de l’article 2 de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen [5] ». De plus, le Conseil constitutionnel a renforcé le 16 mars 2017 cette interprétation en jugeant que l’objet d’une disposition législative étendant le délit d’entrave à l’IVG était de « garantir la liberté de la femme qui découle de l’article 2 de la Déclaration de 1789 ».

    On peut toujours arguer que mentionner dans la Constitution « la liberté de la femme de mettre fin à sa grossesse » consacre cette liberté, comme l’a fait Philippe Bas, le sénateur LR à l’origine de la formulation actuelle. Reste que concrètement, si une loi restreignant les conditions d’exercice de cette liberté venait à être votée, on ne voit pas comment au motif que « La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté de la femme de mettre fin à sa grossesse », le Conseil constitutionnel pourrait juger qu’une loi qui détermine les conditions dans lesquelles s’exerce cette liberté n’est pas conforme à la Constitution… Il est possible (et on l’espère probable) qu’il ne juge pas conforme à la Constitution une loi restreignant fortement l’IVG, mais le cas échéant, il le ferait au motif qu’elle priverait de garanties légales cette « liberté de la femme qui découle de l’article 2 de la Déclaration de 1789 », et non en invoquant ce nouvel alinéa de l’article 34, assurément vain en l’occurrence [6].

    En remplaçant « La loi garantit l’effectivité et l’égal accès au droit à l’interruption volontaire de grossesse » (formulation votée par l’Assemblée nationale déjà marquée par une dégradation issue de la recherche d’un compromis [7]) par « La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté de la femme de mettre fin à sa grossesse », le Sénat a considérablement diminué et dénaturé la proposition de loi : il n’est plus affirmé que la loi garantit quoi que ce soit, les notions d’effectivité et d’égal accès ont disparu, le « droit » est devenu une « liberté », cette liberté est maintenant spécifiquement celle de « la femme », l’accent est mis sur l’existence de conditions à l’exercice de cette liberté…

    Sous plusieurs aspects, l’ajout dans la Constitution de cette mention purement symbolique puisqu’inutile sur le plan juridique (comme le reconnaissent d’ailleurs les promoteur∙ices de la proposition de loi actuelle) serait nuisible, et ce précisément sur le plan symbolique.

    Un ajout nuisible notamment sur le plan symbolique
    On peut déjà relever que dans la proposition de loi constitutionnelle reformulée par le Sénat, la mention du droit à l’IVG a été remplacée par celle de la liberté de mettre fin à sa grossesse. L’enjeu de cette modification n’est pas juridique car cela ne change rien au pouvoir de censure par le Conseil constitutionnel d’une loi restreignant exagérément ce droit ou cette liberté [8]. L’enjeu était en fait symbolique : il s’agissait pour les parlementaires conservateurs (majoritaires au Sénat) d’éviter qu’un droit fondamental à l’avortement soit symboliquement consacré, au même titre que le sont par exemple le « droit de propriété » (dans la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789, art. 2 et 17) et le « droit de vivre dans un environnement équilibré et respectueux de la santé » (proclamé par la Charte de l’environnement de 2004, et reconnu par le Conseil d’Etat le 20 septembre 2022 comme « présent[ant] le caractère d’une liberté fondamentale »). Ainsi, loin de consacrer un droit fondamental à l’avortement, l’inscription dans la Constitution de la mention proposée peut se lire au contraire en creux comme conservant la trace d’un refus de le faire.

    Par ailleurs, la motivation de ce refus est éminemment problématique. Pour reprendre les mots prononcés par Philippe Bas le 1er février 2023, lors de la défense en séance publique de cette formulation dont il est l’auteur, « il n’y a pas de droit absolu ; il y a une liberté déjà reconnue et que nous pouvons écrire dans la Constitution, mais à la condition que soient conciliés les droits de la femme enceinte de mettre fin à sa grossesse et la protection de l’enfant à naître après l’achèvement d’un certain délai ». Ce qui doit retenir l’attention ici n’est pas seulement l’affirmation que le droit d’avorter ne saurait être absolu (précision inutile car aucun droit ne l’est, pas plus qu’aucune liberté) mais la mention de la « protection de l’enfant à naître après l’achèvement d’un certain délai ».

    En effet, il est ici affirmé que l’embryon ou fœtus est un « enfant à naître » à partir d’une certaine durée de gestation et qu’il doit à ce titre être protégé. Voilà qui nous tire bien plus en direction de la loi de l’Etat de Georgie évoquée plus haut que vers une affirmation du droit fondamental d’interrompre sa grossesse (qui secondairement, implique de ne jamais transformer en enfant la potentialité d’enfant que constitue l’embryon ou fœtus qu’on porte). Voilà qui nous éloigne également de la recommandation faite par l’Organisation mondiale de la santé de ne pas fixer de durée de gestation au-delà de laquelle l’avortement serait interdit – et de dépénaliser complètement celui-ci [9].

    Par ailleurs, comme l’avait soutenu un ensemble d’associations, collectifs et personnalités notamment féministes dans une tribune publiée en novembre 2022, préciser dans la Constitution le sexe des personnes concernées pose deux problèmes. D’une part, affirmer la relativité de cette liberté en la conditionnant à une caractéristique des personnes revient à contredire son caractère fondamental. D’autre part, la référence à la liberté de « la femme » pourrait priver du bénéfice de cette disposition les personnes susceptibles de recourir à un avortement sans être des femmes à l’état civil, qu’il s’agisse d’hommes intersexes, d’hommes trans ou de personnes étrangères bénéficiant d’une mention de sexe « neutre » ou « autre ».

    Cependant, ici encore l’enjeu est surtout symbolique car on doute qu’une personne n’étant pas de sexe féminin à l’état civil se voie concrètement refuser le droit d’avorter dans les mêmes conditions qu’une autre du « bon sexe » : c’est hélas plutôt l’idée qu’une telle personne puisse mener à terme une grossesse qui dérange certain∙es… En restreignant aux femmes cet ajout proposé à la Constitution – et a fortiori en parlant de « la femme » –, la droite conservatrice renforce symboliquement l’idée que seule une personne de sexe féminin à l’état civil peut être dotée de la capacité de gestation (bien que la réalité la démente), et ce n’est évidemment pas fortuit. Cette reformulation s’inscrit dans le cadre d’un combat politique réactionnaire auquel cet ajout apporterait une petite victoire.

    Et puis, ne voit-on pas qu’en mettant l’accent sur l’idée que la loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté d’avorter, on inscrit symboliquement dans la Constitution avant tout le principe d’un encadrement de cette liberté ? Finalement, en forçant le trait, c’est un peu comme si au lieu d’inscrire dans la Constitution l’idée que la France assure l’égalité des citoyens devant la loi sans distinction d’origine ou de « race », on avait tenu à marquer symboliquement l’attachement de la France à l’égalité des droits en inscrivant quelque chose du style : « La loi détermine les conditions dans lesquelles le Français d’origine étrangère [ou de race non blanche] accède aux mêmes droits que le Français de souche [ou le Blanc] ».

    Pourquoi faire de telles concessions à la droite conservatrice alors même que cet ajout dans la Constitution de 1958 ne protègera ni n’affermira en rien le droit à l’avortement ? Quelle est la contrepartie ? Pouvoir se vanter d’avoir fait de la France l’un des premiers Etats à avoir inscrit l’avortement dans sa constitution, peu importe de quelle manière ? Pouvoir se féliciter d’avoir fait avancer une revendication féministe en dépassant les oppositions partisanes, quitte à ce qu’il n’y ait là qu’un trompe-l’œil ? Pire qu’inutile, cette inscription dans la Constitution enregistrerait une défaite face au camp conservateur. L’idée était bonne mais les conditions n’ont pas été réunies pour la concrétiser correctement [10], dont acte. Plutôt que de faire vite et mal, attendons qu’elles le soient.

    Odile Fillod

    #IVG #femmes #backlash #féminisme

  • Pendant que vous pensez réforme des retraites, d’autres ont déjà l’esprit ailleurs : dans vos utérus mesdames !
    http://www.regards.fr/actu/article/emploi-retraites-le-rn-lr-et-le-medef-veulent-mettre-les-femmes-en-cloque
    https://www.youtube.com/watch?v=LLKWuNUoXAg


    Emploi : « Si on faisait plus d’enfants en France, on règlerait le problème assez facilement » (Geoffroy Roux de Bézieux)

    C’est une petite musique qui monte, doucement, tranquillement. Une mélodie qui fait le lien entre la réforme des retraites et le projet de loi Immigration – ce dernier devrait être examiné par les parlementaires au printemps – : Françaises, faites des mioches !

    D’un côté, Geoffroy Roux de Bézieux, le président du Medef, se dit, le 19 février, « passionné » par le sujet. Pour pallier, selon lui, un avenir où il y aurait de moins en moins de jeunes qui entrent chaque année sur le marché du travail et, en même temps, de plus en plus de vieux qui partent en retraite, il a une solution toute simple : « Si on faisait plus d’enfants en France, on réglerait le problème assez facilement. »

    De l’autre côté, on a l’extrême droite, qui ajoute sa petite touche nationaliste pour résoudre un éventuel problème de main d’oeuvre. Voyez Sébastien Chenu, le 13 février : « Moi je préfère qu’on fabrique des travailleurs français plutôt qu’on les importe. [...] Pour assurer la perpétuité de la civilisation et de la population française. Qu’on ait plus de petits français demain plutôt que d’ouvrir les vannes et de voir l’immigration comme un projet de peuplement. »

    Notez le vocabulaire pour le moins étonnant de la marchandise, alors que l’on parle d’êtres humains. Notez aussi le lien direct fait entre « civilisation » et « population française », synonymes dans la pensée du vice-président du RN.

    Sébastien Chenu veut que l’on prenne exemple sur l’Allemagne, l’Italie ou encore la Hongrie… alors même que la France est le pays de l’UE où le taux de fécondité est le plus élevé ! Mieux, dans les deux premiers cas, les natalités allemande et italienne font partie des plus déclinantes au monde, quant à la Hongrie, on pourrait en effet dire que sa volonté nataliste fonctionne, mais elle va de pair avec une politique nationaliste et réactionnaire sur l’avortement, et les droits des femmes en général, qui n’a pas son pareil en Europe. Or, si le taux de fécondité hongrois est passé de 1,2 à 1,55 enfant par femme en dix ans, il semble avoir atteint un plafond. Par ailleurs, les principaux problèmes démographiques de la Hongrie restent l’émigration et la mortalité. Comme on lit sur franceinfo : « Un million de Hongrois ont quitté le pays. Des Hongrois partis pour chercher un job mieux payé dans l’Europe de l’Ouest, ou pour échapper au régime autoritaire de Viktor Orban ». Le rêve du RN ?

    Un peu plus loin à l’extrême droite, on trouve également cette rhétorique dans les tweet de Damien Rieu, ici et là :

    « Qui va payer les saintes retraites par répartition si vous ne faites pas d’enfants ? »

    « Délibérément choisir de ne pas avoir d’enfants quand on en a la possibilité est plus qu’un caprice égoïste et bourgeois, c’est une faute morale qui conduit au suicide de la civilisation dont vous profitez, grâce au efforts et sacrifices de vos ancêtres. » [1]

    Le débat sur la natalité s’est même invité dans l’hémicycle, lors des débats sur la réforme des retraites, les LR proposant de « baisser le taux de CSG sur les revenus d’activités des mères de famille » en fonction du nombre d’enfants à charge. Amendement rejeté par le gouvernement, mais le ministre Gabriel Attal a tout de même assuré être « en ligne avec vous sur les objectifs ».

    Tiens, vous n’avez rien remarqué d’étrange ? Que des hommes. Que des hommes pour discuter natalité… Étrange, étrange…

    À l’Assemblée, la députée écologiste Sandrine Rousseau s’en est sérieusement agacée : « Un conseil : lâchez nos utérus ! Si vous souhaitez aider les femmes, faites l’égalité salariale, le congé paternité équivalent au congé maternité. Laissez partir les femmes avant 64 ans avec les trimestres acquis. Retirez votre réforme ! Nos ventres ne sont pas la variable d’ajustement de votre réforme des retraites. »

    Même la députée macroniste Prisca Thévenot y est allée de bon cœur : « Voilà que vous sortez de votre grotte pour raviver non pas vos vieux démons mais vos démons actuels. [Selon vous,] il y a un problème, c’est les femmes. Merci pour vos leçons, mais on passera. » Mais il est important de préciser qu’elle s’adressait au RN, pas à Gabriel Attal…

    Sur Twitter, l’historienne Mathilde Larrère s’inquiète : « Ce n’est pas neuf, c’était dans le programme de Marine Le Pen dans les deux dernières élections présidentielles. Ce sont des idées qu’on trouvait défendue par l’extrême droite dans les années 30 et sous Vichy [...] quand ces idées s’imposent, on sait ce que ça entraîne : des mesures anti-IVG. Et ne nous pensons pas à l’abri en France. (Ce d’autant qu’on ne le rappellera jamais assez, les mesures anti IVG ne diminuent pas le nombre d’IVG, mais les rendent très dangereuses pour les femmes) ».

    Sur Regards, la semaine dernière, Éric Le Bourg, spécialiste en biologie du vieillissement, écrivait justement ceci : « La dénatalité n’existe pas en France, et il n’y a pas lieu de s’inquiéter du nombre futur de cotisants aux régimes de retraite. » Mais la politique n’est pas affaire d’experts…

    Vous pensiez que la réforme des retraites allait pénaliser un peu plus les femmes ? Vous n’êtes pas prêts pour la suite !

    Loïc Le Clerc
    Notes

    [1] Concernant cette citation, la starlette de la fachosphère parle du témoignage d’une jeune femme de 23 ans ayant pris la décision de se ligaturer les trompes.

    #sexisme #natalisme #medef #femmes #emploi #backlash #masculinisme

    • Quand l’Assemblée nationale se demande si faire des enfants peut sauver les retraites
      https://www.nouvelobs.com/politique/20230301.OBS70205/quand-l-assemblee-nationale-se-demande-si-faire-des-enfants-peut-sauver-l

      Une semaine après la fin de l’examen en première lecture du texte du gouvernement, les députés ont débattu mardi soir de « la baisse démographique en France ». Si aucun vote n’était prévu, les discussions ont montré les divisions sur ce sujet brûlant.

      La nuit était déjà tombée ce mardi 28 février quand le sujet est revenu dans les travées de l’Assemblée nationale. Ordre du jour : « Débat sur les conséquences de la baisse démographique en France et les politiques à mettre en œuvre pour y remédier ». Derrière cet intitulé aux allures de discussion sur des enjeux très lointains, c’est bien la réforme des retraites qui a fait son grand retour dans l’Hémicycle, un peu plus d’une semaine après la clôture des débats en première lecture du texte. C’est le MoDem qui a souhaité remettre la question sur la table. Il faut dire que son patron, François Bayrou, avait déjà publié en 2021 avec sa casquette de Haut Commissaire au plan un rapport intitulé « Démographie : la clé pour préserver notre modèle social » [PDF https://www.gouvernement.fr/sites/default/files/contenu/piece-jointe/2021/05/hcp_demographie_note_douverture_mai_2021_3.pdf ].

      Sébastien Chenu, vice-président RN de l’Assemblée nationale, avait expliqué sur France Inter préférer « qu’on fabrique des travailleurs français plutôt qu’on les importe » pour défendre la politique nataliste revendiquée par sa formation.

      « Lâchez nos utérus ! » leur avait répondu la députée écolo Sandrine Rousseau. Et d’enchaîner, en visant LR et le gouvernement : « Nos ventres ne sont pas la variable d’ajustement de votre réforme des retraites. »

      Ce mardi soir, le débat a repris en ces termes. Parmi la dizaine de députés présents dans les rangs de la Nouvelle Union populaire écologique et sociale (Nupes, alliance de gauche), on fustige l’idée que la natalité viendrait au secours des retraites. « Nous n’accepterons plus que le rôle de la femme soit cantonné à la reproduction », revendique Cyrielle Chatelain (Europe Ecologie-Les Verts, EELV). Ni même que les femmes deviennent des « incubateurs à main-d’œuvre pour le patronat », dit Elise Leboucher, sa collègue de La France insoumise (LFI), les yeux rivés vers les députés du RN.

      Alain David, député socialiste de la Gironde, s’interroge sur le timing et l’opportunité de ce débat : « Est-il de bon ton de vouloir justifier cette régression sociale [la réforme des retraites] en invoquant l’alourdissement supposément insupportable du fardeau des retraites et le vieillissement supposément inquiétant de la population ? » Pour lui, évidemment, la réponse est non. Et l’élu préférait ouvrir d’autres perspectives, comme « la lutte contre la mortalité infantile qui monte, l’évolution de la productivité et la lutte contre le chômage ». En somme, « les clés pour financer notre système de protection sociale », selon lui.

      Si le mot « natalité » crispe, certains éléments sont cependant communs à tous les groupes politiques. « C’est une question de confiance en l’avenir », pour les familles, relèvent d’abord les socialistes, avant d’être rejoints par tous les parlementaires présents. D’autres points de convergence apparaissent, comme les leviers de santé publique à actionner pour faire repartir le nombre d’enfants – alors que le taux de fécondité est tombé à 1,83 enfant par femme, en dessous du seuil de renouvellement des générations. « Il faut absolument agir sur la mortalité infantile et les questions d’infertilité », plaide ainsi François Piquemal (LFI) (!) , interpellant Jean-Christophe Combe, le ministre des Solidarités, de l’Autonomie et des Personnes handicapées.

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      voir aussi

      L’extrême droite veut faire main basse sur nos utérus de femmes blanches

      Titiou Lecoq — 24 septembre 2021

      Refuser aux femmes la possibilité de se réaliser comme un individu qui fait seul ses choix, exercer des pressions sur elles, les ramener sans cesse et les limiter socialement à leurs fonctions reproductives, c’est au fondement de la pensée d’extrême droite.

      https://www.slate.fr/story/216453/extreme-droite-veut-faire-main-basse-uterus-femmes-blanches-natalite-orban-zem

    • Notes sur le rapport Bayrou sur la natalité - https://www.gouvernement.fr/sites/default/files/contenu/piece-jointe/2021/05/hcp_demographie_note_douverture_mai_2021_3.pdf

      – Il faut attendre la page 14 pour voire le mot femme pour la première fois.

      Mais d’autres leviers existent aussi. En examinant la situation comparée de l’Italie et de la France, on a observé que l’âge moyen auquel les femmes avaient leur premier enfant était respectivement de 31 et 28 ans et demi (chiffres de 2016) et que cela n’était pas sans lien avec l’âge moyen auquel ces jeunes femmes quittaient le domicile de leurs parents, cet âge étant alors respectivement de 29 et 23 ans. Comme on le sait, plus l’âge de procréation est précoce, plus le taux de fécondité est élevé. Comme on l’a évoqué l’augmentation de cet âge moyen traduit des choix individuels et des progrès comme l’accès aux études supérieures. Mais elle est parfois aussi la conséquence de contraintes imposées. On mesure ainsi à quel point les politiques de logement qui permettent d’accéder à une forme d’indépendance (en particulier dans les zones très tendues comme la région parisienne) et les conditions d’accès à l’emploi des jeunes sont de ce point de vue importantes.

      – tous les « levier » semblent envisageables, y compris pousser les femmes a avoir des enfants plus jeunes.

      La CCL

      La nécessité d’un Pacte national pour la démographie

      Toutes les questions doivent être mises à plat. Faut-il revenir à un modèle classique de politique familiale, né lors de la reconstruction qui a suivi la Seconde Guerre mondiale et dont les premiers éléments dataient même de l’avant-guerre ? Ces outils sont-ils encore adaptés alors que le profil des familles est aujourd’hui beaucoup plus divers ? Quel levier doit-on privilégier ?
      En tout état de cause, il est certain qu’en la matière, l’un des éléments les plus déterminants est le climat psychologique dans lequel se trouve une nation, selon que nous sommes collectivement assurés de notre avenir ou, au contraire,
      pessimistes sur notre destin collectif.
      Selon les propos de M. Laurent Chalard, géographe de la population à l’université Paris-Sorbonne : « Il n’existe pas de modèle explicatif des variations de fécondité. Elles résultent de décisions personnelles et sont liées aux évolutions des
      mentalités. »69 De ce point de vue, les crises économiques ou sanitaires que nous traversons ont un impact mais qu’il n’est pas si simple de mesurer.

      On estime qu’en France les politiques sociales amortissent plus qu’ailleurs les chocs économiques et retardent ou étalent leur impact négatif sur la fécondité. C’est le constat qui a été fait en 2008. Nous n’avons pas assez de recul pour mesurer les conséquences de l’épidémie de COVID. Va-t-elle simplement conduire à décaler les naissances ? Quel va être son impact sur la mortalité ? Sur l’immigration ? Nous l’ignorons puisque nous ne savons pas tout simplement quelle va être la durée de
      cette crise. Mais on peut raisonnablement craindre que l’impact de cette épidémie soit plus profond et durable que toutes les crises précédentes. Même si l’épidémie
      est jugulée dans les mois qui viennent, demeurera la crainte qu’un tel événement ressurgisse dans les années à venir. L’impensable étant survenu il ne devient plus impensable. Dès lors, un climat pessimiste pourrait peser sur le désir d’enfant de nos concitoyens.
      C’est pourquoi, plus encore, il importe de reconstruire un consensus sur notre politique démographique afin d’installer à nouveau un climat de confiance.
      Ceci implique une politique ayant quatre caractéristiques :
      1. la globalité : il faut envisager la politique de soutien à la natalité dans tous ses aspects car il est démontré qu’un seul levier n’est pas, pris isolément, assez efficace.
      2. la cohérence : forte d’une orientation claire, cette politique doit avoir un objectif : celui de soutenir la natalité. Les autres objectifs sociaux comme la lutte contre les inégalités – tout aussi légitimes naturellement – doivent faire l’objet
      d’autres instruments.
      3. la continuité : la politique de soutien à la natalité ne doit pas constituer une variable d’ajustement, notamment pour rééquilibrer les comptes publics. La question démographique est si structurante qu’elle doit échapper à des logiques
      conjoncturelles.
      4. la lisibilité : nos concitoyens doivent pouvoir prendre conscience très simplement du soutien que le pays leur apporte dans le projet d’avoir un enfant. Chaque
      méandre administratif est un obstacle à l’objectif que nous nous assignons.
      La France a sans doute plus besoin encore que ses voisins d’une démographie dynamique car son modèle social repose, pour beaucoup, sur la solidarité entre les générations. Il est nécessaire pour le préserver de disposer d’une pyramide de la
      population plus équilibrée.
      D’autres pays, bien plus exposés que le nôtre, sont en train de prendre conscience de cette nécessité. Ainsi avec l’épidémie de COVID qui a augmenté la mortalité à des niveaux sans précédent depuis la Seconde Guerre mondiale, l’Italie a vu sa population baisser de 380 000 personnes soit l’équivalent de la ville de Florence. Cette situation a eu l’effet d’un électrochoc. Le Sénat italien vient de voter des mesures d’aide
      financière considérables en instituant une allocation mensuelle pour tous les enfants d’un montant de 250 euros par enfant, versée du 7e mois de grossesse jusqu’à ses vingt-et-un ans. Cette aide viendra se substituer pour partie à des aides existantes et diminuera en fonction des revenus des parents. Cet effort est engagé par un pays bien décidé à sortir de son « hiver démographique ». Sont également prévus des
      investissements dans les services à l’enfance, la réorganisation des aides à domicile ou l’aide aux mères qui travaillent. Plus largement le Gouvernement italien vient de lancer des états généraux de la natalité pour mobiliser la société autour de ce qui fait désormais figure de cause nationale.
      Même si la situation française n’est heureusement pas comparable à celle de l’Italie, cet exemple d’une prise de conscience collective doit nous inciter à nous réunir pour
      trouver les voies propres à la France. Plus que tout autre, nous avons des atouts pour réussir. La dynamique des dernières décennies fait que nous ne partons pas de rien. Il
      faut se ressaisir.

      – je sais pas ce que la psychologie des citoyens viens faire dans cette histoire. C’est au citoyennes de décidé si elles veulent porter des enfants, pas aux citoyens de décidé pour elles.
      – Bayrou propose en fait un salaire pour l’enfantement en s’inspirant d’une loi voté par le gouvernement italien notoirement fasciste et vieille marotte du RN.
      – Le point n2 - La cohérence, me laisse songeuse. La seule cohérence des macronards c’est de privilégié les privilégies. « Les autres objectifs sociaux comme la lutte contre les inégalités – tout aussi légitimes naturellement – doivent faire l’objet d’autres instruments. » Cette phrase indique pour moi que les moyens utilisés pour le natalisme ne vont pas tenir compte des luttes contre les inégalités. CAD qu’aussi légitimement naturels que soient la lutte contre ces inégalités, les macronards n’utiliserons pas ces instruments là pour engrosser les françaises.

      https://www.youtube.com/watch?v=-hIKj5dSeWM

    • Réforme des retraites : en arrière-plan, le projet nataliste du Rassemblement national
      https://www.radiofrance.fr/franceinter/reforme-des-retraites-en-arriere-plan-le-projet-nataliste-du-rassembleme

      Depuis le début de l’examen de la réforme des retraites à l’assemblée, le RN se montre plutôt discret, avec seulement 238 amendements déposés. Mais il profite malgré tout de cette tribune pour défendre l’un de ses fondements politiques : la relance de la natalité à visée identitaire.

      Des allocations familiales pour les parents « des petits Français de souche », quel que soit leur niveau de revenu, c’est ce que proposait en 2007 Jean-Marie Le Pen. À éplucher les amendements du RN sur la réforme des retraites, le discours et les idées n’ont pas changé. Après l’article 16, le parti de Marine Le Pen a ainsi déposé plusieurs amendements pour déplafonner les aides, et les réserver aux familles dont l’un des deux parents au moins est français.

      Mais le parti va au-delà, présentant la politique nataliste comme seule alternative à une « immigration de peuplement » pour sauver le système de retraites. Comme l’a résumé la semaine dernière la députée du Var Laure Lavalette dans l’hémicycle. « Encourager la démographie, c’est un levier fondamental. N’en déplaise à nos collègues d’en face (la Nupes) qui veulent combler le déficit d’enfants avec l’immigration », déclare-t-elle.

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      Le modèle hongrois

      Car pour le RN, à l’instar de Georgia Meloni en Italie, ou de Viktor Orban en Hongrie, la politique nataliste est bien identitaire. Comme l’indiquait en septembre dernier cette proposition de résolution signée par les élus lepénistes, visant à faire de l’année 2024 une année dédiée à la relance de la natalité française : « Nous ne pouvons pas faire le pari fou, pour maintenir notre population, voire l’accroître, de déraciner des millions de personnes, à l’échelle européenne des dizaines de millions de personnes, en leur promettant un rêve en France, en Europe, alors même que notre civilisation est en proie à une crise majeure. »

      Comme l’assure également le livret sur la famille de Marine Le Pen : « Choisir l’immigration serait considérer que les êtres humains sont interchangeables. Faire le choix de la natalité, c’est s’engager à assurer la continuité de la nation et la perpétuation de notre civilisation. »

      D’où la reprise de plusieurs propositions calquées sur le modèle hongrois, dont un prêt à taux zéro jusqu’à 100.000 euros pour aider les jeunes couples, dont l’un des deux membres est français, à s’installer, avec une annulation du reste dû au troisième enfant.

      Propositions jugées irrecevables dans le cadre de ce projet de loi, mais pour le RN, l’essentiel est ailleurs. Profiter des retraites pour rappeler, comme le dit Marine Le Pen, « son choix de société », dont la lutte contre l’immigration et la priorité nationale sont des piliers.

  • Infarctus féminin : voici les symptômes qui doivent vous alerter - Edition du soir Ouest-France - 24/02/2023
    https://www.ouest-france.fr/leditiondusoir/2023-02-24/infarctus-feminin-voici-les-symptomes-qui-doivent-vous-alerter-d15e31ac

    « La prise en charge doit avoir lieu, dans l’idéal, dans les deux heures qui suivent l’apparition des premiers signes, au maximum dans les douze heures. »

    Les symptômes classiques

    Le signe commun aux hommes comme aux femmes est généralement « une douleur thoracique intense, très brutale ». Parfois la douleur irradie vers les mâchoires et les bras. « Les personnes ont l’impression d’être comme serrées dans un étau », ajoute Hervé Le Breton.

    Diagnostic retardé

    Dans près de la moitié des cas, les femmes ne ressentent pas ces symptômes classiques. « La localisation de la douleur peut être plus basse, au niveau abdominal et peut provoquer des vomissements. La patiente sera orientée vers les urgences digestives plutôt que cardiaques et le diagnostic sera retardé. Les conséquences sont graves. Nous avons observé une surmortalité chez les femmes prises en charge à l’hôpital », précise le cardiologue.

    En l’absence des symptômes habituels, le risque réel est souvent mal diagnostiqué. D’après une étude britannique publiée dans European Heart Journal, les femmes auraient plus de 40 % de risques d’être mal diagnostiquées par rapport aux hommes. Or, dans ces cas-là, le temps est précieux, d’autant plus que « les artères des femmes sont plus difficiles à revasculariser, plus fines et plus fragiles que celles des hommes », précise la FFC. Leurs chances de survie sont amoindries.

    Lire aussi : Pourquoi les maladies cardiovasculaires sont-elles la principale cause de décès des femmes ?

    Nausée, essoufflement, fatigue…

    En plus des vomissements et des nausées, les femmes « doivent s’alerter face aux signes atypiques suivants : la sensation d’épuisement, l’essoufflement à l’effort », souligne la FFC. « Ces symptômes atypiques contribuent à une prise en charge trop tardive des femmes lors d’un infarctus. »

    Lire aussi : Voici la meilleure chance de survivre à un infarctus féminin

    Quand un homme de 50 ans ou 60 ans se plaint d’une douleur très importante dans la poitrine, on pense à l’infarctus et on appelle le 15. « Les femmes, elles, ont plutôt mal au ventre, à la mâchoire et une crise d’angoisse. On leur conseillera d’aller se coucher et « demain ça ira mieux », déplore Patricia Lemarchand, médecin pneumologue et professeure en biologie cellulaire à la faculté de médecine de Nantes (Loire-Atlantique) dans un entretien à Ouest-France en novembre 2022. On aura perdu douze heures dans la prise en charge alors que c’est extrêmement important d’intervenir rapidement. »

    La plupart du temps, les femmes elles-mêmes minorent ces symptômes, les associent à tort à la fatigue, au stress. La FFC note qu’elles arrivent aux urgences une heure plus tard que les hommes. Le professeur Hervé Le Breton insiste : « Il ne faut pas tarder à appeler le 15 directement. »

  • Cinq femmes parlent du COVID Long et de misogynie médicale | Donna Lu
    https://cabrioles.substack.com/p/cinq-femmes-parlent-du-covid-long

    Alors que le COVID Long a été officiellement reconnue par l’Organisation mondiale de la santé en octobre 2021, nombreux·ses sont celleux qui font encore état d’un scepticisme généralisé et d’une minimisation de leurs symptômes. Selon les épidémiologistes Dr Stephen Phillips et Prof. Michelle Williams de Harvard, ce mépris est en partie attribuable au fait que les femmes sont touchées de manière disproportionnée. Source : The Guardian via Cabrioles

    • « Notre système médical a une longue histoire de minimisation des symptômes des femmes, de rejet ou de mauvais diagnostic de leurs troubles comme étant psychologiques », ont-iels écrit dans le New England Journal of Medicine l’année dernière. « Les femmes de couleur avec un COVID Long, en particulier, ne sont pas crues et se voient refuser des tests que leurs homologues blanc·hes reçoivent. »

      (La race et la richesse jouent également un rôle ; aux États-Unis, les médecins attirent maintenant l’attention sur le fait que les hommes noirs et latinos, qui ont été les plus durement touchés par le Covid, sont peut-être sous-représentés dans la recherche sur le COVID Long et rencontrent des obstacles importants dans l’accès aux soins).

      La misogynie médicale n’est pas une surprise pour de nombreuses patientes qui ont déjà été confrontées à ce mépris par le passé. La médecine a longtemps traité les femmes comme des citoyens de seconde zone. La prédominance historique des hommes dans ce domaine a eu des répercussions durables : ces biais dans les essais cliniques ont conduit à des traitements et des résultats moins bons pour les femmes, et à des diagnostics tardifs chez les femmes pour des maladies qui n’ont été étudiées que chez les hommes. Les lacunes dans les connaissances sur les affections qui touchent les femmes, comme l’endométriose, ont donné lieu au mépris de leurs symptômes et à des récits évoquant l’hystérie.

  • Les femmes ou les « oublis » de l’Histoire - épisode 3 : Alice Seeley Harris
    https://blogs.mediapart.fr/julietteraynaud/blog/190223/les-femmes-ou-les-oublis-de-lhistoire-episode-3-alice-seeley-harris

    Congo, 1898. Alice Seeley Harris installe, avec son époux, une mission au Congo, propriété privée du roi Léopold II. Enseignante, elle ne s’attendait pas à la sinistre réalité qu’elle allait découvrir sur place.

    Léopold II impose des quotas de production de caoutchouc impossibles à atteindre :

    « La landolphia doit être saignée deux fois par an maximum mais les Belges exigeaient des saignées deux fois par mois. Si les indigènes ne rapportaient pas assez de caoutchouc, leurs femmes et leurs enfants étaient pris en otages jusqu’à ce qu’ils en rapportent suffisamment. »

    Ni la prison ni le fouet ne suffisant à obtenir les rendements exigés, on donne l’ordre aux soldats indigènes de passer aux meurtres à grande échelle. La terreur comme instrument de gestion des ressources humaines.

    Témoins directs de l’horreur, Alice et John Harris tentent d’alerter l’opinion. Lors de leurs premiers congés à Londres, ils ne parviennent pas à convaincre leurs amis de la réalité des crimes commis au Congo. Alice décide alors d’acheter le premier appareil photo portatif jamais mis sur le marché : le Brownie de Kodak. C’est avec ce Brownie qu’elle prendra le cliché qui va changer la donne. Nous sommes le 14 mai 1904.

    « Un dimanche matin, j’étais seule et mon boy est venu me prévenir qu’un indigène m’attendait à l’arrière de la mission portant avec lui la main et le pied d’une petite fille enveloppés dans une feuille de bananier. Je l’ai fait asseoir en haut des marches de la véranda et il a ouvert la feuille de bananier et j’ai pris une photo. Ils étaient là, sous mes yeux, la main et le pied de cette petite fille. »

    La petite fille assassinée et démembrée s’appelle Boali. Elle avait 5 ans.

    Les mutilations sont alors monnaie courante. Quand les chefs de poste blancs envoient la troupe tuer les villageois·es pour l’exemple, ils demandent aux soldats de rapporter une main humaine par habitant·e assassiné·e. Préférant garder les balles pour braconner en chemin, les tueurs se contentent souvent de couper la main ou le pied de la victime.

    Alice et ses collègues missionnaires multiplient les photos de Congolais·es mutilé·es et les envoient à Edmund Morel, un activiste britannique déterminé à mettre un terme aux horreurs du Congo. Ces images implacables vont provoquer le 1er scandale humanitaire de l’histoire contemporaine.

    Leopold II devient l’ennemi public n°1 en Angleterre et aux Etats-Unis. Pour que les foules se mobilisent encore plus, Edmund Morel envoie Alice et son mari en tournée avec une lanterne magique : de Londres à Manchester, de New-York à Minneapolis, salles de spectacle et églises se remplissent de fidèles déterminés à mettre un terme aux atrocités.

    La pression internationale est telle qu’en 1908, à Bruxelles, le Parlement oblige Leopold II à céder le Congo à l’Etat belge. Alice Seeley Harris et Edmund Morel ont gagné leur combat. Mais nous sommes encore au début du XXe siècle, il n’est pas question d’indépendance, juste d’une colonisation plus humaine… Si tant est que cela existe…

    Texte inspiré du documentaire Décolonisations de Karim Miské, Marc Ball et Pierre Singaravélou.

    #femme #histoire #racisme #sexisme #colonialisme

  • Des femmes au service du Reich | ARTE - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=fQmbVw8j2rE

    Nées dans une Allemagne humiliée par la défaite de la Première Guerre mondiale, adolescentes à l’accession de Hitler au pouvoir en 1933, près de 500.000 femmes ont servi le nazisme. Retour sur l’itinéraire de ces témoins, complices et actrices du génocide.

    Quels rôles ont joué les femmes dans l’Allemagne nazie : témoins passives ou rouages indispensables du régime ? Dès 1933, 200 000 adolescentes, petites-bourgeoises en rébellion ou filles de prolétaires en quête d’émancipation, s’engagent au sein du Bund Deutscher Mädel (BDM), la branche féminine des Jeunesses hitlériennes. Malgré les lois misogynes du régime nazi et l’assignation nataliste et maternelle dont elles font l’objet, elles trouvent dans cette organisation un lieu de brassage social et de propagande où elles embrassent l’idéologie raciste et antisémite. Au début de la guerre, nombre d’Allemandes rejoignent la Pologne, pour participer à la germanisation de l’Est, et, plus ou moins activement et consciemment, au génocide. 

    Violence féminine 
    Infirmières, secrétaires, gardiennes de camps de concentration, médecins ou encore épouses de généraux SS... : au service du Reich, elles ont apporté leur concours à l’expansion allemande et à l’extermination de 6 millions de juifs. Si certaines d’entre elles se sont limitées à éduquer les jeunes Allemands et à soigner les soldats, d’autres femmes, par leur rôle dans les camps, se sont distinguées par leur effroyable violence : expériences médicales sur des déportés, maltraitances ou encore sélection des détenus, promis au travail forcé ou à la mort. En images d’archives et au travers d’analyses d’historiennes, comme Wendy Lower ou Elissa Mailänder, ce film retrace l’itinéraire de ces femmes. Rompant le tabou de la violence féminine, il contribue au devoir de mémoire concernant un pan encore méconnu du génocide, et met en lumière le crime perpétré par une société tout entière.

    Documentaire de Christiane Ratiney (France, 2020, 1h32mn)
    Disponible jusqu’au 01/04/2023

    • Ces femmes croyaient toutes d’être dans leur bon droit, même quand elles tiraient sur les prisonniers des camps entre deux tasses de café sur leur balcon. Ce film a le mérite d’illustrer comment on y arrive. Il s’agit d’un problème de tous les gens qui adaptent leur morale aux usages du régime sous lequel ils vivent.

      C’est pareil pour tous les politiciennes et politiciens. Par exemple tu ne fais pas de la politique internationale sans te salir les mains. Prenons Bundeskanzlerin Merkel qui a préparé la guerre en Ukraine en retardant et sabotant une entente entre l’Ukraine et la Russie (elle n’était pas seule, justement). Ils et elles croyaient toutes et tous agir pour la bonne cause et ont tous fini comme responsables de l’hécatombe.

      Nous sommes actuellement dans la même position comme tous ces Allemands qui « ne saivaient rien ». Tout le monde, chaque Allemande et chaque Allemand était plus ou moins au courant de ce qui se passait dans les camps et sur le front. Tout le monde était alors plus ou moins responsable, même les résistants qui n’avaient pas agi assez tôt ou avec assez d’efficacité pour empêcher les crimes.

      Ce n’est pas pour ca qu’il aurait fallu punir tout le monde, mais la question de la responsabilité se pose pour chacun de nous comme elle se posait à l’époque.

      #nazis #guerre #femmes #holocaust #shoa

  • #Iran #IranProtests #iranianwomen #mollahcratie #anticléricalisme #Liberté #DroitsHumains #droitsdesfemmes #émancipation #FemmeVieLiberté ✊✊

    🛑 BONNE NOUVELLE : EN IRAN, PLUSIEURS FEMMES LIBÉRÉES DE PRISON... - Amnesty International France

    Yasaman Aryani, Saba Kordafshari, Armita Abasi… ces femmes iraniennes, symboles de la lutte pour les droits des femmes en Iran, ont été libérées de prison. Des bonnes nouvelles importantes, porteuses d’espoir dans un contexte où le soulèvement déclenché par la mort de Mahsa Amini continue d’être violemment réprimé par les autorités (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/iran-bonne-nouvelle-plusieurs-femmes-liberees-de-prison

  • Masculinité positive et droits des #LGBT au #Maroc
    https://laviedesidees.fr/Masculinite-positive-et-droits-des-LGBT-au-Maroc.html

    L’égalité des sexes et des genres s’inscrit dans une mobilisation aujourd’hui planétaire. Au Maroc comme ailleurs, des activistes luttent pour faire advenir une société plus juste, dans laquelle la sexualité ne se vivrait plus dans la peur. Chercheur en biologie moléculaire à l’université Hassan II de Casablanca, Soufiane Hennani milite pour l’égalité des genres, la liberté sexuelle et les droits des personnes LGBT au Maroc. Lauréat du programme pour le changement social de l’Arab Fondation For Freedom (...) #Entretiens

    / #International, #femmes, #Entretiens_vidéo, sexualité, Maroc, égalité , #militantisme, masculinité, (...)

    #sexualité #_égalité_ #masculinité
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20230217_hennani.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20230217_hennani.docx

  • Maternophobie
    https://www.youtube.com/watch?v=SbvdX5OGuzQ

    Ce programme vidéo expose le mécanisme des placements abusifs d’enfants autistes et le désenfantement des mères qui cherchent à protéger leur enfant victime d’abus sexuels, sur la foi d’expertises psychanalytiques obscurantistes, en contradiction radicale avec les données acquises de la science et les recommandations de la HAS.

    Réalisé et produit par Sophie Robert pour Ninsun Project et Océan Invisible Productions.

    INVITES

    Me Sophie Janois, avocate spécialisée en droit de la santé
    Pr Christophe Lançon, professeur de psychiatrie, hôpital de la Conception à Marseille
    Illel Kieser, psychologue spécialisé dans la protection des enfants victimes de violences sexuelles
    Caroline Colombel, mère divorcée
    Véronique Gropl, mère d’un adolescent autiste
    Maud Lacroix, mère d’un enfant autiste, présidente de l’association Petits Bonheurs

    #femmes #maternophobie #autisme #violences_sexuelles #handicap #france_2023 #syndrome_munchausen #syndrome_alienation_parental #psychanalyse #gardiens_de_la_morale #mères #mere_autonome

    merci à @jacotte

  • Les combats pour l’émancipation des femmes et le mouvement ouvrier | #conferenceLO #archiveLO (13 février 2016)

    https://www.lutte-ouvriere.org/publications/brochures/les-combats-pour-lemancipation-des-femmes-et-le-mouvement-ouvrier-65

    Sommaire :

    – L’oppression des femmes  une conséquence de l’apparition de la #propriété_privée
    – La participation des femmes du peuple à la #Révolution_française
    – Le #Code_civil_de_Napoléon  : un arsenal contre les femmes
    – La réaction n’étouffe pas la voix de celles et ceux qui veulent l’égalité
    – Pendant la #révolution_de_1830, des prolétaires hommes et femmes se battent pour le droit au travail
    – Pour les héritières du #saint-simonisme, la lutte des femmes est jumelle de celle des prolétaires
    – Le #Manifeste_du_Parti_communiste de #Marx et #Engels contre la propriété des femmes
    – Pendant la #révolution_de_1848, les femmes luttent pour le droit au travail et élisent leurs délégués à la Commission du Luxembourg
    – Le mouvement ouvrier face à la revendication du droit au travail pour les femmes
    – La #Commune_de_Paris, premier État dirigé par des ouvriers et des ouvrières
    – L’Union des femmes crée un embryon d’organisation ouvrière de la production
    – Le mouvement socialiste marxiste : un contre-pouvoir qui se construit en intégrant des militantes dans ses rangs
    – La jeunesse d’une ouvrière devenue dirigeante socialiste  : #Adelheid_Popp
    – Les #préjugés sexistes ou corporatistes divisent les forces de la classe ouvrière
    – L’exemple d’une grève à Nancy...
    – ... Un contre-exemple, à Méru, quand la classe ouvrière surmonte les divisions
    – Les organisations féministes bourgeoises... pour les droits des femmes, mais dans le cadre limité de la société capitaliste
    – En #Grande-Bretagne, les #suffragettes utilisent la violence pour briser l’étau qui réprime leurs revendications
    – La #Révolution_russe débute lors de la #Journée_internationale_des_femmes le 8 mars 1917
    – Le pouvoir bolchevique réalise ce pour quoi se battent les #féministes en Europe et aux États-Unis
    – L’échec de la #révolution_mondiale et la stalinisation de l’Internationale  : les idées de la bourgeoisie pénètrent les partis ouvriers | #stalinisme
    – Le #PCF et sa volonté d’intégrer la société bourgeoise
    – La renaissance du #mouvement_féministe dans les années 1960-1970  : en dehors des organisations réformistes du mouvement ouvrier
    – La situation des #femmes à l’heure où les forces réactionnaires sont à l’offensive
    – Dans les pays riches aussi, la #condition_des_femmes paie son tribut à la réaction
    – Pour la fin de l’#oppression_des_femmes, comme pour la libération de l’ensemble de la société, il est vital que renaisse le #mouvement_ouvrier

    #capitalisme #marxisme #sexisme

  • « Les aides à domicile, grandes perdantes de la future réforme des retraites »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/02/10/les-aides-a-domicile-grandes-perdantes-de-la-future-reforme-des-retraites_61

    L’économiste Clément Carbonnier démontre, dans une tribune au « Monde », que les compensations avancées par le gouvernement ne protègent que très peu de personnes.

    Il est compliqué de ne faire que des gagnants avec une réforme cherchant à économiser 12 milliards d’euros par an. De fait, l’analyse des effets de la réforme des retraites montre de plus en plus qu’elle générerait surtout des perdants, parmi lesquels les femmes ouvrières ou employées seraient les plus durement touchées. Celles-ci, apparues comme essentielles pendant la pandémie, restent mal rémunérées et ne voient pas leurs conditions de travail s’améliorer.

    Le cas des aides à domicile est, à ce titre, emblématique. La nécessité et l’utilité de s’occuper des personnes en perte d’autonomie ne font aucun doute : leur permettre de rester chez elles malgré la baisse de leurs capacités a notamment des effets bénéfiques sur le système hospitalier, les personnes bénéficiant de ces aides sont moins souvent orientées vers l’hôpital par les SAMU et moins souvent hospitalisées par les services d’urgences.

    Toutefois, cette utilité collective a un coût, qui est supporté par ces employés. Leurs conditions de travail sont pénibles, les exposent à des produits chimiques d’entretien ménager et des postures traumatisantes, quand il faut porter les patients du lit au fauteuil, les aider à marcher ou à faire leur toilette. Les rémunérations restent très faibles, non seulement parce que le salaire horaire est faible, mais aussi parce que le temps de travail rémunéré est bien moindre que le temps dévolu au travail, car il est fragmenté entre les différentes personnes aidées et entrecoupé de nombreux temps de transport entre leurs domiciles : selon les données de la direction des études du ministère du travail, le nombre d’heures moyen des salariées des organismes de services à la personne était en 2021 de 16 heures par semaine.

    Le flou de la pénibilité

    Pour les aides à domicile, la réforme des retraites est un coup violent de plus porté à leurs conditions de vie. Les tâches accomplies ne permettent pas à ces femmes de tenir jusqu’à 64 ans. On leur imposerait donc un passage par le chômage, voire par le RSA, entre le moment où, usées par cet emploi si utile à la collectivité, elles arrêteront de l’exercer, et le moment où elles pourraient enfin prétendre à la retraite. Et combien de temps en profiteront-elles ? Si l’espérance de vie a augmenté, les inégalités restent très élevées, et en défaveur des aides à domicile : l’Insee estime à huit ans et quatre mois la différence d’espérance de vie entre le cinquième des femmes les plus aisées et le cinquième le plus pauvre. De plus, la direction des études du ministère de la santé montre que l’écart est également très fort dans la proportion des personnes fortement limitées par des incapacités dès la première année de leur retraite.

    Dans le projet de loi, des compensations sont prévues concernant la pénibilité ou à travers ce qui est présenté, à tort, comme une pension minimale de 1 200 euros. Ces compensations ne protègent que très peu de personnes, et pas les aides à domicile. Pour ce qui concerne la pénibilité, le flou peut faire croire que ce dispositif pourrait bénéficier aux aides à domicile dont le métier est pénible. C’est doublement faux.

    Premièrement, la réforme prévoit un report de deux ans de l’âge de départ, même pour les bénéficiaires du dispositif. Ils garderaient juste le même écart à l’âge général. Deuxièmement, le vocable générique de pénibilité cache des critères très stricts, qui ne concernent que très peu de personnes. Par exemple, la pénibilité du travail répétitif n’est reconnue qu’en cas de « travaux impliquant l’exécution de mouvements répétés, sollicitant tout ou partie du membre supérieur, à une fréquence élevée et sous cadence contrainte », avec au minimum 30 actions techniques par minute pendant au moins 900 heures par an (soit 19 heures par semaine, en comptant cinq semaines de congé).

    Carrières à trous

    Pour le travail de nuit, il faut travailler au moins 120 nuits par an. Certes, la réforme prévoit de baisser ce seuil à 100 nuits par an, mais même ainsi, une aide à domicile travaillant 2 nuits par semaine en plus de son travail de jour n’aurait toujours pas droit au dispositif de pénibilité pour sa retraite. Surtout, les pénibilités posturales, les ports de charges lourdes et l’exposition aux produits chimiques ont été retirés en 2017 de la liste des pénibilités prises en compte pour la retraite.

    Concernant les compensations pour les petites retraites, il ne s’agit pas d’une retraite minimale à 1 200 euros par mois, mais d’une revalorisation du minimum contributif. Une personne ayant cotisé tous les trimestres requis en travaillant au smic à temps plein pourrait jouir d’un tel montant si on additionne le minimum contributif et la retraite complémentaire. Toutefois, ce type de bénéficiaires est très rare et ne se trouve pas chez les aides à domicile. Ces femmes ont souvent eu des carrières à trous et validé moins de 4 trimestres, par an du fait de temps partiels et de faibles rémunérations. Elles n’auraient donc pas droit à l’augmentation annoncée de 100 euros du minimum contributif, mais à un prorata d’une augmentation bien moindre, prévue à 25 euros.

    De plus, certaines de ces femmes pourraient ne même pas voir la couleur de ces quelques euros, voire subir une baisse de leur niveau de vie : celles qui seraient éligibles à l’allocation de solidarité aux personnes âgées verraient la baisse de cette allocation sociale différentielle compenser euro pour euro la hausse du minimum contributif, sachant que cette hausse de pension minimale sans hausse de revenu net pourrait conduire à une baisse des allocations logement. Le diable est souvent dans les détails, mais dans le cas d’espèce, les détails sont alignés pour faire des aides à domicile, ces travailleuses si utiles et déjà si mal traitées, de grandes perdantes de la future réforme des retraites.

    #retraites #femmes

  • Hélène Bessette
    J’ai découvert cette #autrice oubliée au dernier opus de Femmes d’histoire qui lui était consacré.
    Remarquée par Queneau, elle est publié chez Gallimard de 1953 à 1973 puis tombe dans l’oubli alors qu’elle écrit toujours.

    Ida ou le délire
    Je viens de lire ce texte d’une écriture originale que j’aime beaucoup, on a envie de le lire à voix haute, d’y mettre le ton sans théâtralité.
    Pas d’histoire, pas d’intrigue, juste les commentaires de la patronne quand Ida, servante, meurt renversée par un camion.

    Sur l’autrice
    https://www.bnf.fr/fr/helene-bessette-bibliographie

    En 1956, elle rédige une revue-manifeste, Résumé, et fonde avec son fils Éric le GRP (Gang du Roman Poétique). Le premier numéro ne se vend qu’à 70 exemplaires, et le 2e reste inédit. Mais cet « acte d’intelligence » est l’occasion d’exprimer sa théorie nouvelle et exigeante du roman, son souhait d’écrire une « littérature authentique », une vision du monde désacralisée et réduite à l’observation attentive de la société moderne. De fait, son style ne ressemble à aucun autre. Ses romans « sans intrigue ni personnage », à la forme irréductible, aux phrases lapidaires disposées comme des vers ou des slogans, sont des lieux d’expérimentation, de migration ininterrompue du réel à l’irréel, du rêve à la réalité.
    Son œuvre est d’ailleurs reconnue et admirée par les plus grands noms de l’art et de la littérature : Michel Leiris et Raymond Queneau, mais aussi Marguerite Duras, Nathalie Sarraute, Jean Dubuffet, Georges-Emmanuel Clancier, Claude Royet-Journoud, Bernard Noël, Simone de Beauvoir, Dominique Aury, Alain Bosquet ou Claude Mauriac. Dans L’Express du 2 janvier 1964, Marguerite Duras évoque « la rareté extrême du talent dont [son œuvre] témoigne » et ajoute « la littérature vivante, pour moi, pour le moment, c’est Hélène Bessette, personne d’autre en France ». Son œuvre reste pourtant inconnue, et un échec commercial : la plupart de ses livres ne dépassent pas les 500 exemplaires. Son dernier roman, Ida ou le délire, est publié en 1973, et elle voit ensuite ses textes refusés par Gallimard, tout en étant empêchée par son contrat de les publier ailleurs.
    En 1956, une amie d’enfance du nom de Lecoq, a intenté un procès à la romancière : Les Petites Lecoq est condamné pour diffamation et outrage aux bonnes mœurs. Cela entraîne une pétition dans son école, un mauvais rapport d’inspection, et sa démission en 1962. De guerre lasse, elle quitte Saint-Germain-des-Prés, mène d’abord une vie d’errance, habitée par un rêve d’Amérique, devient préceptrice en Suisse, gouvernante en Angleterre ; puis elle est serveuse, concierge, femme de ménage. Solitaire, dans un dénuement presque total et un sentiment de persécution devenu obsessionnel, elle meurt le 10 octobre 2000 au Mans.