• #Agrivoltaïsme : nos cultures à l’ombre des panneaux solaires ?

    https://media.radiofrance-podcast.net/podcast09/10084-03.03.2023-ITEMA_23305371-2023C9549S0062-21.mp3

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/grand-reportage/agrivoltaisme-nos-cultures-a-l-ombre-des-panneaux-solaires-1544001

    Très intéressant, notamment pour la façon dont les agricultures se retrouvent piégés et comment le foncier agricole va exploser au profit du business électrique. Même si l’espace nécessaire est minimisé pour atteindre le projet de décarbonation, au final, on va perdre beaucoup de temps dans des études qui expliqueront que le photovoltaïque sur des terres agricoles, même démontable, ne permet plus de cultiver. Il semble clair que c’est encore un projet dément, et que le photovoltaïque devrait d’abord se faire sur des espaces construits préexistants : parking, toits, autoroutes etc

    Pour tenir nos objectifs de transition énergétique, le Parlement veut accélérer le déploiement de panneaux solaires dans les champs. L’agrivoltaïsme, concept récent, a désormais une définition légale centrée sur le principe de synergie entre l’activité agricole et la production d’électricité verte.

    @odilon

    #agriculture #terres_agricoles #photovoltaïque #énergie

  • La corsa ai suoli agricoli italiani dei nuovi “lupi solari”: una speculazione da fermare

    Mediatori immobiliari senza troppi scrupoli vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi, stanchi o indebitati, offrendo loro cifre più alte del valore di mercato. È il risultato di una transizione energetica impostata male e gestita peggio. E che favorisce i ricchi a scapito dei poveri. L’analisi-appello di Paolo Pileri.

    “Professore, come comportarsi quando aziende del fotovoltaico contattano offrendo cifre parecchio allettanti per acquisire suoli agricoli per installarci pannelli (non “agrivoltaico”)? Grazie”. È il messaggio che ho ricevuto una mattina di marzo alle dieci. Non è il primo che ricevo e temo non sarà l’ultimo.

    Diciamo però che sono la minima parte della minima parte dei casi che ci saranno in giro per le nostre campagne, letteralmente assaltate da mediatori immobiliari senza troppi scrupoli che vanno alla caccia di terreni assediando agricoltori, meglio se vecchi o stanchi o indebitati, così sono più facili da convincere a vendere offrendo loro cifre più alte del valore di mercato dei terreni agricoli.

    È quanto abbiamo sempre temuto e detto fin dall’inizio delle prime versioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il risultato di una transizione energetica fatta partire sgommando e sbandando alla prima curva. Una corsa partita sciaguratamente senza regole (ma probabilmente hanno voluto così) che ha fatto drizzare le antenne a tutti gli speculatori dell’energia che hanno a loro volta sguinzagliato mediatori, geometri, architetti e perfino sindaci a cercare terre da comprare.

    Per convincere gli agricoltori stanno usando la leva della fretta. Mostrano tanti soldi e gli dicono che è questo e solo questo il momento giusto per vendere, inducendo il proprietario a decidere senza pensarci troppo. Questo sarebbe il libero mercato? Ho saputo di funzionari di società energetiche che si sono presentati negli uffici di piccoli Comuni facendo pressione per ottenere segnalazioni di terreni e di possibili persone facilmente convincibili a vendere. Pazzesco, eppure accade. E continuerà ad accadere dappertutto.

    Il messaggio di stamattina arrivava dal Friuli. Quando tutti questi speculatori solari avranno acquistato terre per fare i loro comodi, cominceranno a bussare minacciosi alle porte delle Regioni e del governo (che nel frattempo hanno emesso solo leggi deboli e regolamenti colabrodo) per chiedere facilitazioni e norme che deroghino alle poche regole che esistono, che non mettano loro i bastoni tra le ruote così da poter mettere a terra i pannelli che vogliono nel tempo che vogliono. Loro vogliono metterli a terra, non gli interessa l’agrivoltaico che, comunque (e lo ribadisco) è un dramma lo stesso per l’agricoltura, il paesaggio e il suolo.

    Agli speculatori solari non basta massimizzare i loro guadagni, vorranno anche essere celebrati come eroi green: non mi stupirà vederli sponsorizzare il prossimo festival di Sanremo o il campionato di calcio o magari le Olimpiadi 2026. E puntualmente la politica li porterà in trionfo.

    Possibile che non riusciamo in questo Paese a fare una cosa bene e nell’interesse di tutti e dell’ambiente? Possibile che non riusciamo a proteggere i deboli e frenare quelli che tirano fuori sempre le unghie per graffiare? Qui ci vuole poco. Essendo in clamoroso ritardo sulla pannellizzazione, avevamo (e forse abbiamo ancora) il vantaggio di costruire una regia pubblica forte, intelligente e senza stupidi compromessi, in grado di orientare il mercato nella direzione zero impattante e zero esclusiva. Già perché questo far west della caccia alle terre solari è tutto a vantaggio dei ricchi che hanno i soldi contanti contro i poveri cristi agricoltori che, alla fine, cederanno. Non sono i piccoli e poveri risparmiatori che stanno cercando terre per mettere pannelli. Non siamo davanti a una transizione energetica che sta proteggendo i più poveri.

    Per non parlare delle lunghe mani delle mafie, della ‘ndrangheta. Chissà che non stia già accadendo. Il governo e i governi regionali stanno monitorando? Oppure sono presi dal dare la caccia ai lupi che si aggirano per Courmayeur o nel Monferrato o in Val Seriana? Perché questo fa notizia anche se quei lupi naturali non fanno alcun male, se non a qualche gallina o pecora (che puntualmente mamma Stato ripaga), mentre i lupi solari non fanno notizia eppure sono pericolosissimi, famelici e ridurranno in brandelli paesaggi e agricolture.

    Dobbiamo tutti insieme stanare questi lupi solari e non smettere di denunciare questa assurda pratica che inoltre spopolerà le terre agricole più di quanto già sono spopolate. Dobbiamo chiedere ai governi, regionali e statale, di intervenire per disciplinare la questione una volta per tutte e in modo uniforme sul territorio nazionale. Non possiamo permetterci consumi di suolo solari, né possiamo permetterci di ferire mortalmente l’agricoltura, non possiamo permettere di perdere produzione alimentare, non possiamo perdere agricoltori. I pannelli solari vanno posizionati sui tetti dei capannoni logistici, commerciali e industriali prima di tutto, su tettoie da realizzare in tutti i posteggi pubblici con più di 50 auto, sopra gli impianti di depurazione, nelle stazioni di rifornimento carburanti, lungo le autostrade, e così via. Solo quando avremo finito di piazzarli da quelle parti, potremo pensare a nuove superfici. Ma non l’inverso. Non è possibile che in questo Paese si opti sempre per il “vincere facile”, aprendo sempre nuovi fronti alle speculazioni e alla insostenibilità. Bisogna opporsi. Bisogna parlarne. Bisogna stanare queste pratiche.

    https://altreconomia.it/la-corsa-ai-suoli-agricoli-italiani-dei-nuovi-lupi-solari-una-speculazi
    #spéculation #terres #énergie #transition_énergétique #compétition #agriculture #photovoltaïque #énergie_solaire #panneaux_solaires #sol #agrivoltaico #fermes_solaires #ferme_solaire

    • Le tante zone d’ombra lasciate dal boom dell’agri-fotovoltaico

      La transizione verso le energie rinnovabili è una necessità globale, ma non per questo esente da scelte. In Sicilia i progetti di una multinazionale sono l’occasione per chiedersi se la direzione presa sia quella giusta.

      Verde in primavera, dorato d’estate, l’entroterra della Sicilia offre panorami a perdita d’occhio. Agrumeti, campi di grano, colline lasciate a foraggio. Spostarsi da Catania a Trapani significa attraversare l’isola da una parte all’altra: la prima con le sue testimonianze greco-romane, la seconda che risuona ancora oggi delle influenze arabe. A collegarle c’è un’autostrada che sembra tutt’altro, tra cantieri infiniti, cambi di corsia e lunghi tratti in cui non ci si sente granché sicuri. L’andatura forzatamente lenta permette di accorgersi di come questi territori stiano a poco a poco cambiando. Bianche pale eoliche a incoronare le colline e scintillanti pannelli solari che costeggiano il guard rail sono una presenza a cui, con il passare dei chilometri, l’occhio si abitua.

      D’altra parte non è un mistero che la Sicilia stia vivendo un nuovo boom legato alle energie rinnovabili: a inizio anni Duemila a farla da padrone furono gli investimenti nell’eolico, con tanto di tentativi di lucrarci sopra da parte di Cosa nostra; da qualche tempo, invece, è diventata terra d’elezione per i campi solari.

      Le emergenze internazionali legate alla crisi climatica e i riflessi geopolitici del conflitto russo-ucraino costituiscono la cornice entro cui, oggi, le istituzioni sono chiamate a definire le strategie energetiche. L’impegno dell’Ue sul fronte delle rinnovabili è forte: il Pnrr prevede miliardi di euro di finanziamento per la produzione di energia verde. In quest’ottica – regioni come la Sicilia – diventano ricettori naturali degli investimenti: l’isola è terra di vento e, soprattutto, di sole.

      Ma quali sono le conseguenze a livello territoriale dei crescenti interessi legati alle rinnovabili e ai fondi stanziati per la loro promozione?

      IrpiMedia, con il supporto di Journalismfund Europe, ha deciso di andare sui territori, nel tentativo di capire meglio gli impatti sociali di un fenomeno destinato a segnare il futuro dei luoghi che viviamo. Per farlo abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su due progetti – uno in fase di realizzazione a #Paternò, in provincia di Catania, e l’altro a #Mazara_del_Vallo (Trapani) – che nell’ultimo anno hanno attirato l’interesse dell’opinione pubblica.

      A realizzarli è #Engie, multinazionale del settore che ha da poco chiuso un accordo con #Amazon. Il colosso dell’e-commerce da tempo è impegnato a portare avanti, a livello internazionale, un programma di finanziamento degli impianti di produzione di energia rinnovabile. «Questi con Engie rappresentano i nostri primi progetti su larga scala in Italia, ci daranno una mano nel percorso che ci porterà a usare il cento per cento di energia rinnovabile entro il 2030», ha detto, a fine 2020, il direttore di #Amazon_Energy #Nat_Sahlstrom. La dichiarazione, a una prima lettura, potrebbe far pensare che tra qualche anno le attività di Amazon in tutto il pianeta saranno alimentate direttamente da energia verde. In realtà tra la multinazionale che fa capo a #Jeff_Bezos e le aziende produttrici, come Engie, sono stati sottoscritti dei #power_purchase_agreement (#Ppa).

      Un mare di silicio

      Carcitella è il nome di una contrada che si trova al confine tra i comuni di Mazara del Vallo e Marsala. Immersa nelle campagne trapanesi, è solcata da un reticolo di piccole strade provinciali. È da queste parti che si trova uno degli impianti realizzati da Engie. Dietro una recinzione metallica, ci sono filari e filari di pannelli solari: 122 mila moduli fotovoltaici per una potenza complessiva di 66 megawatt.

      «Sole, énergie». La voce – un italiano stentato che ripiega presto nel francese – arriva dalle nostre spalle. Un uomo ci viene incontro, pochi passi per distaccarsi dalle decine di pecore che lo attorniano. Si chiama Mohamed ed è arrivato in gommone dalla Tunisia, l’Africa da qui dista poche ore. Non ha ancora quarant’anni, ma ne dimostra molti di più: Mohamed è arrivato in Italia sperando di spostarsi in Francia e fare il cuoco, ma si è ritrovato a fare il pastore. «Neuf euros par jour. La casa? Petite», spiega, descrivendo il misero compenso ricevuto in cambio della disponibilità di portare al pascolo le pecore dall’alba al tramonto. Mohamed è uno dei tanti che hanno assistito al lento cambiamento di #contrada_Carcitella.

      L’impianto di Mazara del Vallo è stato inaugurato a fine maggio da Engie alla presenza delle autorità. La notizia, che ha trovato spazio sui media nazionali, è di quelle che colpiscono: «Avviato il più grande impianto agrovoltaico d’Italia». Oltre alla partnership con Amazon e alle dimensioni – sommando i progetti su Mazara e Paternò si superano i 200 mila moduli solari su una superficie di 185 ettari – il principale motivo che ha attirato l’attenzione generale sta infatti nella tecnologia utilizzata da Engie. L’agrovoltaico (o agri-fotovoltaico) prevede l’installazione dei pannelli su terreni agricoli, con accorgimenti tali – a partire dalla loro altezza rispetto al suolo – da dare la possibilità di impiantare colture nella parte sottostante. Nel caso di Mazara e Paternò si parla di piante officinali e per fienagioni e l’uso di alberi di mandorlo e ulivo per delimitare i perimetri dell’impianto. «I nostri progetti – fa sapere Engie a IrpiMedia – puntano a valorizzare i terreni mediante l’attuazione del piano agronomico che ha accompagnato il progetto autorizzato dalla Regione».

      L’obiettivo dichiarato è quello di salvaguardare il consumo di suolo e ottimizzare le aree utilizzate. «La Sicilia vanta le maggiori superfici coltivate a biologico in Italia e gli impianti con tecnologia agro-fotovoltaica soddisfano la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile», ha dichiarato nella primavera del 2021 Nello Musumeci, oggi ministro del governo Meloni ma all’epoca presidente della Regione Siciliana.

      Ma per quanto le parole di Musumeci potrebbero portare a pensare a un ruolo centrale delle istituzioni nella gestione della transizione verso le rinnovabili, la realtà è che mentre a livello sovranazionale l’Ue ha definito le risorse a disposizione per intraprendere il percorso, fino a oggi l’Italia ha rinunciato alla possibilità di governare il fenomeno. Legiferando, semmai, nella direzione opposta: verso una normativa che renda ancora più libera l’iniziativa imprenditoriale dei leader di settore, lasciando al mercato l’onere della pianificazione. Ma ciò, così come accaduto tante altre volte in passato e in molti altri campi, comporta il rischio di vedere affermarsi le logiche della massimizzazione del profitto, a discapito di aspetti fondamentali per il benessere collettivo a medio-lungo termine.
      Tra maglie sempre più larghe e rinunce

      Le richieste di autorizzazione che hanno portato alla costruzione degli impianti di Paternò e Mazara del Vallo sono state presentate alla Regione, nel 2018, dalla FW Turna, società successivamente acquisita da Engie. Entrambi i progetti sono stati sottoposti al vaglio della commissione chiamata a valutare l’impatto ambientale, ottenendo il via libera condizionato al rispetto di alcune modifiche da apportare.

      A partire dal 2019, al vertice della commissione Via-Vas c’è stato #Aurelio_Angelini. Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università di Enna, Angelini è stato incaricato dal governatore Musumeci in seguito a uno scandalo che aveva travolto i precedenti vertici della commissione, accusati di avere piegato il proprio operato agli interessi di #Vito_Nicastri e #Paolo_Arata. Il primo è un trapanese accusato di essere uno dei principali volti imprenditoriali del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, l’altro un ex parlamentare nazionale di Forza Italia e successivamente consulente della Lega. In coppia, Nicastri e Arata avrebbero pagato mazzette per corrompere funzionari regionali e ottenere vantaggi su progetti per la realizzazione di impianti per biometano, mini-eolico e fotovoltaico.

      Angelini ha guidato la commissione fino a dicembre scorso, quando è stato rimosso dal nuovo governatore Renato Schifani. Una decisione arrivata dopo mesi di frizioni, con il docente che era stato accusato di fare da tappo agli investimenti sulle rinnovabili in Sicilia per i troppi no dati dalla commissione. «Sono stato vittima di una campagna diffamatoria partita con alcune dichiarazioni di Confindustria e divulgando numeri di fantasia», commenta Angelini.

      «Hanno raccontato frottole a ripetizione. Uno studio indipendente di Public Affairs Advisors e Elemens ma anche il rapporto Fer di Terna – continua – hanno dimostrato che in questi anni la Sicilia è stata in vetta alle classifiche sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni per il rilascio delle autorizzazioni ambientali».

      Una cosa è certa: a essere interessati alla Sicilia per la realizzazione di parchi solari sono tanti. Per accorgersene basta navigare nel portale che raccoglie le richieste di autorizzazione. Sono centinaia i progetti finiti sui tavoli della Regione. Un flusso costante interrotto soltanto dalla modifica alla normativa che per gli impianti di una certa dimensione ha disposto che le valutazioni ambientali vengano fatte non più dalle Regioni, ma dal ministero.

      Tra i proponenti si trovano società spagnole, tedesche, ma anche altre con sedi in Cina e nelle isole Cayman. L’obiettivo della Regione è quello di passare dalla potenza di 1,8 gigawatt del 2018 a 4 gigawatt entro il 2030. «Il percorso verso la decarbonizzazione è obbligatorio a meno di non voler pregiudicare definitivamente il futuro del pianeta, ma ciò non può prescindere dalla considerazione di altri fattori», mette in guardia Angelini. Il riferimento va in primo luogo alla localizzazione degli impianti, che il più delle volte interessano aree a destinazione agricola, e chiama in causa direttamente il ruolo delle istituzioni. «La terra serve innanzitutto a produrre cibo – commenta -. Viviamo in un’epoca in cui gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità e la desertificazione, sono destinati a determinare una drastica riduzione delle produzioni. Per questo – sottolinea – bisognerebbe capire che non possiamo permetterci di ipotecare i terreni per la produzione di energia. E questo non significa rinunciare alla transizione ecologica. Le alternative esistono, serve la volontà di adottarle».

      A inizio 2022, la Regione Siciliana ha approvato il nuovo piano energetico che delinea le strategie per lo sviluppo delle rinnovabili. In precedenza, la commissione guidata da Angelini, esaminando la bozza di piano, aveva dato una serie di prescrizioni rimaste però inattuate. Tra queste c’era la definizione delle aree non idonee all’installazione degli impianti. «L’indirizzo era quello di garantire maggiori tutele per le aree agricole di pregio, ma la politica ha deciso di non raccogliere le nostre indicazioni – commenta l’ex presidente della Cts – Questa non è l’unica stortura: il piano dice chiaramente che la localizzazione degli impianti debba avvenire privilegiando le discariche e le cave dismesse, i siti già compromessi dal punto di vista ambientale e le aree industriali e artigianali. Invece assistiamo alla continua presentazione di progetti fotovoltaici su zone agricole».

      Parlando della grandezza dei progetti – quelli di Engie non sono neanche i più vasti – Angelini ne fa anche una questione socio-economica. «Dovremmo ragionare sul tipo di futuro che vogliamo. Parlare genericamente di rinnovabili non basta. La storia ci dice che l’energia, la sua produzione, è legata a doppio filo con la libertà. Si fanno le guerre per garantirsi l’autonomia energetica. Siamo certi che la scelta migliore sia quella di andare verso un futuro con nuovi monopolisti dell’energia, anziché favorire lo sviluppo delle comunità energetiche?»

      Le comunità energetiche e l’autoconsumo collettivo sono pratiche che permettono a soggetti privati e pubblici di costruire e gestire impianti di produzione di energia rinnovabile pensati principalmente per uno “in loco”. In particolare l’autoconsumo collettivo è portato avanti dagli abitanti di un unico edificio mentre le comunità energetiche sono delle entità più ampie, solitamente un complesso di condomini, piccole e medie imprese ed enti pubblici, purché siano allacciati alla stessa cabina di trasformazione d’energia. In pratica la comunità energetica investe nella costruzione di un impianto, come ad esempio un fotovoltaico sui tetti dei condomini, così da iniziare l’autoproduzione e l’autoconsumo dell’energia rinnovabile.

      «Queste collettività sono pensate per produrre e consumare energia da fonti rinnovabili in loco, così da ridurre le bollette, e non per scopi di lucro, ecco perché la legge dispone che per poter prendere parte alle comunità energetiche sia necessario dimostrare che la produzione e la commercializzazione di energia non sia la fonte principale di guadagno», puntualizza Gianni Girotto, che da parlamentare nazionale del Movimento 5 Stelle è stato il promotore delle comunità energetiche in Italia.

      Il concetto alla base delle comunità energetiche è la produzione di energia diffusa e distribuita su un territorio molto più vasto ma allo stesso tempo molto meno impattante rispetto alle classiche centrali o ai campi eolici e fotovoltaici. I benefici principali, oltre ad una riduzione delle bollette, riguardano anche le spese nazionali del trasporto di energia. Produrre e condurre l’energia da un luogo a un altro ha dei costi ingenti per lo Stato e avere più comunità energetiche sparse in tutto il territorio alleggerirebbe la rete nazionale. Secondo i dati aggiornati a fine 2022, esistono solo 46 attività di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche. «Un risultato ancora scarso – ammette Girotto – in parte dovuto al Covid che ha cancellato l’argomento dalle discussioni, in parte da una mancanza di reale volontà politica di promuovere le comunità».

      Ad oggi infatti si aspettano ancora i decreti attuativi per definire alcuni che regolamentano, ad esempio, le comunità energetiche più grandi. Per ora sono possibili comunità energetiche basate sulle cabine di trasformazione secondarie, che sono circa 600 mila in tutta Italia, su cui si possono costituire comunità grandi quanto un piccolo isolato o una via per le città più grandi. «Ma se si regolamentassero le comunità energetiche che si allacciano alle cabine primarie, si potrebbero formare comunità grandi quanto diversi comuni così da contribuire significativamente alla riduzione delle necessità di importazioni energetiche che sono più costose ed estremamente più inquinanti», conclude Girotti.

      Quale futuro spetterà alle comunità energetiche è un capitolo ancora tutto da scrivere. Quel che finora pare evidente è che a dettare legge sono ancora i colossi del settore. Aziende che, per loro natura, hanno come obiettivo primario quello di sfruttare economicamente al meglio le opportunità offerte dalle leggi.

      Da questo punto di vista, uno dei primi effetti lo si è notato sul mercato immobiliare dei terreni. Le aziende, infatti, preferiscono trattare con i privati. «Rinunciando ad avere un ruolo centrale nella pianificazione dello sviluppo energetico dell’isola, la Regione sta perdendo l’opportunità di avere introiti da questi investimenti – spiega il professore Aurelio Angelini -. Se si lavorasse alla promozione della realizzazione degli impianti nelle discariche pubbliche o nelle cave dismesse, si potrebbero indire gare per l’affidamento di queste aree ai privati, ottenendo in cambio un canone annuale». Così, però, non sta avvenendo e ad accorgersene è innanzitutto chi con la compravendita degli immobili ci lavora.

      «Fino a qualche anno fa, da queste parti un ettaro di terreno agricolo veniva venduto intorno ai 15 mila euro a ettaro. Oggi per meno di 35 mila non lo si trova», racconta un professionista del settore. Lo incontriamo nel suo studio di Mazara del Vallo, a meno di dieci chilometri dall’impianto di Engie. Ha accettato di parlarci soltanto a condizione di mantenere l’anonimato. «La domanda di terreni per installare pannelli solari è cresciuta in maniera spropositata e l’innalzamento dei prezzi è stata la naturale conseguenza – spiega – Per molti proprietari si tratta di cifre che difficilmente guadagnerebbero lavorando la terra».

      Si potrebbe pensare che per gli immobiliaristi siano periodi di vacche grasse. «Ma non è così, io negli ultimi anni sono riuscito a vendere soltanto un terreno destinato a fotovoltaico. Chi ci guadagna davvero sono i sensali». La senseria è l’attività di mediazione portata avanti spesso in maniera informale da soggetti non qualificati. «Per le società che arrivano da fuori, magari dal Nord Italia o dall’estero, sono dei veri procacciatori di affari e non importa se non siano professionisti del settore, si sanno muovere». Quando gli chiediamo in cosa consista tale capacità, chiarisce: «Spesso sono allevatori, conoscono molto bene le campagne e chi sono i proprietari. Come guadagnano? Si dice che prendano una percentuale dal venditore».

      Ancora oggi in Sicilia il legame con la terra è forte. Può capitare per esempio che un terreno, passando di generazione in generazione nelle mani di sempre più eredi, resti incolto ma comunque ben saldo all’interno del patrimonio di famiglia. La nuova propensione a cederli, e il coinvolgimento di intermediari di fortuna, è un fenomeno che non è passato inosservato anche negli ambienti investigativi. Inevitabile chiedersi se dietro l’attività dei procacciatori possa esserci anche il peso della criminalità: «A oggi non sono emerse evidenze che portino a sostenere un coinvolgimento delle famiglie mafiose nella fase di individuazione dei terreni da destinare alle rinnovabili, ma è chiaro – sottolinea – che quella del sensale è una figura ambigua. Si tratta spesso di soggetti che si muovono in zone grigie. D’altra parte storicamente la mafia siciliana ha avuto un legame forte con la terra, basti pensare al ruolo dei campieri, che si occupavano della guardiania».
      Di chi sono le aree utilizzate da Engie

      «I terreni sono stati acquisiti direttamente dai proprietari». A negare il coinvolgimento di intermediari di fortuna nelle trattative per l’acquisizione delle aree su cui realizzare gli impianti di Mazara del Vallo e Paternò è la stessa Engie. «Nel primo caso il terreno è stato in larga parte acquistato da una singola proprietà, mentre i terreni di Paternò erano frazionati su pochi proprietari terrieri locali», specificano dagli uffici della multinazionale.

      Una versione che trova conferma anche nelle parole di Francesca Adragna, 54enne originaria di Trapani ma residente in Toscana che, insieme al fratello, era la proprietaria dei terreni scelti da Engie per installare i pannelli. «Non abbiamo avuto sensali che si sono interessati alla trattativa, so bene che in Sicilia girano molti sedicenti intermediatori, ma nel nostro caso non è accaduto». Dai documenti visionati da IrpiMedia risulta che a chiedere al Comune di Mazara del Vallo la certificazione di destinazione urbanistica da presentare alla Regione è stata una terza persona. «È stato incaricato da mio fratello, ritengo sia un tecnico», chiosa la donna. Per poi specificare di avere deciso «di vendere questi terreni perché si tratta di un’eredità e, vivendo io fuori dalla Sicilia, occuparsene era sempre più complicato».

      Continuando a scorrere le centinaia di pagine di documenti che accompagnano il progetto presentato alla Regione, ci si imbatte anche su un’altra serie di proprietari. I loro terreni vengono tirati in ballo nella parte riguardante i lavori per la stazione elettrica e i relativi raccordi alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) al servizio del campo fotovoltaico. Anche in questo caso sono nomi che per motivi diversi, in alcuni casi legati a passate vicende giudiziarie che nulla hanno a che vedere con l’iter che ha portato alla realizzazione dell’impianto di Engie, sono noti all’opinione pubblica.

      Tra loro ci sono Maria e Pietro Maggio. I due sono discendenti della famiglia Poiatti, rinomati industriali della pasta. Maria attualmente è presidente del consiglio d’amministrazione della società. A loro sono intestate due vaste particelle indicate come vigneti e terreni seminativi utilizzate per la realizzazione della stazione elettrica e per i raccordi alla Rtn. Dai documenti emerge che quest’ultima parte ha interessato anche alcuni terreni di proprietà di Marina Scimemi. La donna, 47 anni, è figlia di Baldassarre Scimemi, l’ex presidente della Banca Agraria di Marsala e vicepresidente dell’Istituto Bancario Siciliano che a inizio anni Novanta venne accusato di essere a disposizione di Cosa nostra. Gli inquirenti accusavano l’uomo di avere elargito crediti a condizioni di favore e fornito una sponda per il riciclaggio del denaro. Per quelle vicende, Scimemi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

      Nei documenti presentati da Engie compare anche il nome del 41enne Francesco Giammarinaro. Il padre, Pino, è stato deputato regionale della Democrazia Cristiana nella prima metà degli anni Novanta. Una carriera politica costruita all’ombra della corrente andreottiana e vicino a Nino e Ignazio Salvo, i cugini di Salemi – lo stesso paese di Giammarinaro – che per decenni hanno avuto in mano la riscossione dei tributi in Sicilia, grazie anche ai legami con Cosa nostra. Anche per Pino Giammarinaro i problemi con la giustizia non sono mancati: arrestato nel 1994, ha patteggiato i reati di concussione e corruzione, mentre è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. A partire dagli anni Duemila, il suo patrimonio è stato sottoposto a misure di prevenzione che hanno portato alla confisca. Tra i beni su cui sono stati posti i sigilli c’è anche il terreno di contrada San Nicola di Corsone. Nel progetto presentato da Engie si menziona l’appezzamento quando si fa riferimento al tracciato dell’elettrodotto aereo; area che per questo sarebbe stata sottoposta a vincolo preordinato all’esproprio.

      «Non ne so nulla, quel terreno ormai non è né di mio figlio né tantomeno mio. Rientra tra quelli sequestrati, da oltre dieci anni non ci appartiene», taglia corto Pino Giammarinaro, raggiunto telefonicamente da IrpiMedia. Sul punto, però, fa chiarezza Engie specificando che, per quanto nella documentazione presentata alla Regione si menzioni la particella 4, «il terreno confina con la nuova stazione elettrica ma non è interessato dalla nostra opera».

      Uva pregiata a basso costo

      Girare per la provincia di Trapani senza imbattersi in qualche vigneto è praticamente impossibile. Rosso, bianco o rosè, da queste parti si beve bene. Tuttavia, chi la terra la lavora praticamente da sempre si è accorto che qualcosa sta cambiando. Anzi, che forse è già cambiato. «Un tempo questa era una delle zone con più vigneti al mondo. Di questo passo, invece, continuare a coltivare viti non varrà più la pena». A parlare è il titolare di una delle tante aziende agricole che hanno sede nell’estremità occidentale della Sicilia. Ci accoglie in un ampio salone per parlare di come in meno di un decennio la redditività delle produzioni sia crollata. «Non è una sensazione, lo dicono i numeri e i bilanci – spiega l’uomo – Chi produce uva da vino da queste parti guadagna molto meno che altrove. Io non so se c’entri qualcosa, ma questo problema è coinciso con il periodo in cui hanno iniziato a costruire impianti per le rinnovabili. Prima c’è stato il boom dell’eolico, adesso sembra che tutti vogliano fare parchi fotovoltaici».

      L’imprenditore suggerisce di confrontare i listini delle cantine sociali. In provincia di Trapani ce ne sono tante, c’è chi lavora con proprie etichette e chi vende il vino sfuso ad altre aziende. Una delle più affermate è Cantine Ermes, attiva non solo nell’isola. Guardando il bilancio del 2022, in cui sono contenuti i dati relativi agli acconti pagati ai soci per i conferimenti effettuati nel corso della vendemmia 2021, si legge che l’uva Chardonnay è stata pagata da 10 a 38 euro al quintale, mentre chi ha portato uva Frappato ha incassato come acconto un massimo di 40 euro al quintale. Per le stesse tipologie di vitigno, una cantina di Riesi, in provincia di Caltanissetta, nella stessa annata ha elargito ai propri soci 60 euro al quintale per lo Chardonnay e da 47 a 52 euro per il Frappato. Le differenze sono marcate anche se si confrontano altri vitigni.

      Stabilire una diretta correlazione tra la bassa redditività dell’uva trapanese e il boom del fotovoltaico non è semplice, ma il calo dei profitti ha fatto crescere il numero di produttori che si chiedono se sia il caso andare avanti. A pensarla così è Giovanni Di Dia, segretario Flai Cgil in provincia di Trapani e a sua volta piccolo produttore. «La specificità del caso trapanese rende difficile pensare che sia determinata soltanto da logiche di mercato – afferma – La tentazione di pensare all’influenza di fattori esterni c’è, perché davvero non si capisce come in altre province si possano liquidare decine di euro in più a quintale. Non si tratta di fare confronti con l’altra parte del Paese, ma di spostarsi di un centinaio di chilometri».

      Quella dei produttori di uva è solo una delle tante perplessità che accompagnano, non solo in Sicilia e non solo in Italia, la corsa al fotovoltaico. E come in tutte le occasioni in cui bisogna fare di fretta, i rischi di perdersi qualcosa per strada sono alti. Chiedersi cosa ne sarà di aree come contrada Carcitella da qui in avanti è fondamentale, perché ne va del modo in cui immaginiamo il futuro e il rapporto con i luoghi che viviamo. In questo senso, il caso Engie dimostra come a essere favoriti, anche sul fronte della remunerazione dei terreni ceduti alle multinazionali, siano spesso grossi proprietari terrieri. Famiglie che in qualche modo ancora oggi rappresentano il volto del latifondo. Per il professore Angelini il discorso, dunque, va oltre la scelta tra rinnovabili – in questo caso il fotovoltaico – e fonti fossili. «Vogliamo sostituire i padroni dell’energia con nuovi monopolisti o vogliamo una società di produttori più equa e democratica?»

      #Sicile #corruption

      voir aussi:
      https://seenthis.net/messages/1007935

  • Le système alimentaire mondial menace de s’effondrer

    Aux mains de quelques #multinationales et très liée au secteur financier, l’#industrie_agroalimentaire fonctionne en #flux_tendu. Ce qui rend la #production mondiale très vulnérable aux #chocs politiques et climatiques, met en garde l’éditorialiste britannique George Monbiot.

    Depuis quelques années, les scientifiques s’évertuent à alerter les gouvernements, qui font la sourde oreille : le #système_alimentaire_mondial ressemble de plus en plus au système financier mondial à l’approche de 2008.

    Si l’#effondrement de la finance aurait été catastrophique pour le bien-être humain, les conséquences d’un effondrement du #système_alimentaire sont inimaginables. Or les signes inquiétants se multiplient rapidement. La flambée actuelle des #prix des #aliments a tout l’air du dernier indice en date de l’#instabilité_systémique.

    Une alimentation hors de #prix

    Nombreux sont ceux qui supposent que cette crise est la conséquence de la #pandémie, associée à l’#invasion de l’Ukraine. Ces deux facteurs sont cruciaux, mais ils aggravent un problème sous-jacent. Pendant des années, la #faim dans le monde a semblé en voie de disparition. Le nombre de personnes sous-alimentées a chuté de 811 millions en 2005 à 607 millions en 2014. Mais la tendance s’est inversée à partir de 2015, et depuis [selon l’ONU] la faim progresse : elle concernait 650 millions de personnes en 2019 et elle a de nouveau touché 811 millions de personnes en 2020. L’année 2022 s’annonce pire encore.

    Préparez-vous maintenant à une nouvelle bien plus terrible : ce phénomène s’inscrit dans une période de grande #abondance. La #production_alimentaire mondiale est en hausse régulière depuis plus de cinquante ans, à un rythme nettement plus soutenu que la #croissance_démographique. En 2021, la #récolte mondiale de #blé a battu des records. Contre toute attente, plus d’humains ont souffert de #sous-alimentation à mesure que les prix alimentaires mondiaux ont commencé à baisser. En 2014, quand le nombre de #mal_nourris était à son niveau le plus bas, l’indice des #prix_alimentaires [de la FAO] était à 115 points ; il est tombé à 93 en 2015 et il est resté en deçà de 100 jusqu’en 2021.

    Cet indice n’a connu un pic que ces deux dernières années. La flambée des prix alimentaires est maintenant l’un des principaux facteurs de l’#inflation, qui a atteint 9 % au Royaume-Uni en avril 2022 [5,4 % en France pour l’indice harmonisé]. L’alimentation devient hors de prix pour beaucoup d’habitants dans les pays riches ; l’impact dans les pays pauvres est beaucoup plus grave.

    L’#interdépendance rend le système fragile

    Alors, que se passe-t-il ? À l’échelle mondiale, l’alimentation, tout comme la finance, est un système complexe qui évolue spontanément en fonction de milliards d’interactions. Les systèmes complexes ont des fonctionnements contre-intuitifs. Ils tiennent bon dans certains contextes grâce à des caractéristiques d’auto-organisation qui les stabilisent. Mais à mesure que les pressions s’accentuent, ces mêmes caractéristiques infligent des chocs qui se propagent dans tout le réseau. Au bout d’un moment, une perturbation même modeste peut faire basculer l’ensemble au-delà du point de non-retour, provoquant un effondrement brutal et irrésistible.

    Les scientifiques représentent les #systèmes_complexes sous la forme d’un maillage de noeuds et de liens. Les noeuds ressemblent à ceux des filets de pêche ; les liens sont les fils qui les connectent les uns aux autres. Dans le système alimentaire, les noeuds sont les entreprises qui vendent et achètent des céréales, des semences, des produits chimiques agricoles, mais aussi les grands exportateurs et importateurs, et les ports par lesquels les aliments transitent. Les liens sont leurs relations commerciales et institutionnelles.

    Si certains noeuds deviennent prépondérants, fonctionnent tous pareil et sont étroitement liés, alors il est probable que le système soit fragile. À l’approche de la crise de 2008, les grandes banques concevaient les mêmes stratégies et géraient le risque de la même manière, car elles courraient après les mêmes sources de profit. Elles sont devenues extrêmement interdépendantes et les gendarmes financiers comprenaient mal ces liens. Quand [la banque d’affaires] Lehman Brothers a déposé le bilan, elle a failli entraîner tout le monde dans sa chute.

    Quatre groupes contrôlent 90 % du commerce céréalier

    Voici ce qui donne des sueurs froides aux analystes du système alimentaire mondial. Ces dernières années, tout comme dans la finance au début des années 2000, les principaux noeuds du système alimentaire ont gonflé, leurs liens se sont resserrés, les stratégies commerciales ont convergé et se sont synchronisées, et les facteurs susceptibles d’empêcher un #effondrement_systémique (la #redondance, la #modularité, les #disjoncteurs, les #systèmes_auxiliaires) ont été éliminés, ce qui expose le système à des #chocs pouvant entraîner une contagion mondiale.

    Selon une estimation, quatre grands groupes seulement contrôlent 90 % du #commerce_céréalier mondial [#Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill et #Louis_Dreyfus]. Ces mêmes entreprises investissent dans les secteurs des #semences, des #produits_chimiques, de la #transformation, du #conditionnement, de la #distribution et de la #vente au détail. Les pays se divisent maintenant en deux catégories : les #super-importateurs et les #super-exportateurs. L’essentiel de ce #commerce_international transite par des goulets d’étranglement vulnérables, comme les détroits turcs (aujourd’hui bloqués par l’invasion russe de l’Ukraine), les canaux de Suez et de Panama, et les détroits d’Ormuz, de Bab El-Mandeb et de Malacca.

    L’une des transitions culturelles les plus rapides dans l’histoire de l’humanité est la convergence vers un #régime_alimentaire standard mondial. Au niveau local, notre alimentation s’est diversifiée mais on peut faire un constat inverse au niveau mondial. Quatre plantes seulement - le #blé, le #riz, le #maïs et le #soja - correspondent à près de 60 % des calories cultivées sur les exploitations. La production est aujourd’hui extrêmement concentrée dans quelques pays, notamment la #Russie et l’#Ukraine. Ce #régime_alimentaire_standard_mondial est cultivé par la #ferme_mondiale_standard, avec les mêmes #semences, #engrais et #machines fournis par le même petit groupe d’entreprises, l’ensemble étant vulnérable aux mêmes chocs environnementaux.

    Des bouleversements environnementaux et politiques

    L’industrie agroalimentaire est étroitement associée au #secteur_financier, ce qui la rend d’autant plus sensible aux échecs en cascade. Partout dans le monde, les #barrières_commerciales ont été levées, les #routes et #ports modernisés, ce qui a optimisé l’ensemble du réseau mondial. On pourrait croire que ce système fluide améliore la #sécurité_alimentaire, mais il a permis aux entreprises d’éliminer des coûts liés aux #entrepôts et #stocks, et de passer à une logique de flux. Dans l’ensemble, cette stratégie du flux tendu fonctionne, mais si les livraisons sont interrompues ou s’il y a un pic soudain de la demande, les rayons peuvent se vider brusquement.

    Aujourd’hui, le système alimentaire mondial doit survive non seulement à ses fragilités inhérentes, mais aussi aux bouleversements environnementaux et politiques susceptibles de s’influencer les uns les autres. Prenons un exemple récent. À la mi-avril, le gouvernement indien a laissé entendre que son pays pourrait compenser la baisse des exportations alimentaires mondiales provoquée par l’invasion russe de l’Ukraine. Un mois plus tard, il interdisait les exportations de blé, car les récoltes avaient énormément souffert d’une #canicule dévastatrice.

    Nous devons de toute urgence diversifier la production alimentaire mondiale, sur le plan géographique mais aussi en matière de cultures et de #techniques_agricoles. Nous devons briser l’#emprise des #multinationales et des spéculateurs. Nous devons prévoir des plans B et produire notre #nourriture autrement. Nous devons donner de la marge à un système menacé par sa propre #efficacité.

    Si tant d’êtres humains ne mangent pas à leur faim dans une période d’abondance inédite, les conséquences de récoltes catastrophiques que pourrait entraîner l’effondrement environnemental dépassent l’entendement. C’est le système qu’il faut changer.

    https://www.courrierinternational.com/article/crise-le-systeme-alimentaire-mondial-menace-de-s-effondrer

    #alimentation #vulnérabilité #fragilité #diversification #globalisation #mondialisation #spéculation

  • A Bagnolet, la bergerie qui ne voulait pas transhumer | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/bagnolet-la-bergerie-qui-ne-voulait-pas-transhumer-711859

    Rien n’y fait : entre refus de se laisser apprivoiser et crainte de donner du ressort à la gentrification qui pèse sur la ville, les protagonistes s’accrochent à leur carré de ferme. « En dix ans notre sens critique sur la rénovation urbaine s’est aiguisé », reprend Gilles Amar. « Les projets de jardins partagés tels que les voient les villes visent tous le même modèle, productif, propret, squatté par quelques-uns », poursuit le jardinier. « Nous n’avons pas voulu de cela, mais d’un bordel constructif. Ici, c’est le jardin des habitants. Ici, c’est la branche jardinage du hip-hop. »

    Surtout, les plans de la nouvelle école, un bâtiment tout en verre et béton prévu sur trois étages, ne siéent ni au berger, ni aux parents d’élèves. « Rien n’est à la dimension d’une école maternelle », assure Sabrina, leur représentante. « L’infrastructure va coûter cher à entretenir et l’encadrement va manquer pour couvrir une telle surface. »

    Épaulée d’une architecte, Sors de Terre avance aujourd’hui un projet alternatif. Moins lourd et tout en bois, il serait plus ouvert sur la rue et jouerait avec l’existant plutôt que contre lui.

  • Des artistes et des jeunes migrants ont créé “#Checkpoint” une exposition sensationnelle

    CHECKPOINT est une exposition fabuleuse créée pour et par une cinquantaine de jeunes migrants non accompagnés. Elle a lieu jusqu’au 20 juin 2021 dans la belle maison de maître rebaptisée la #Ferme_des_Tilleuls à #Renens.

    C’est une suite poétique d’immenses #gravures, de #sérigraphies, de séquences photographiques, de #vidéos. Elle présente les œuvres créées lors de quatre ateliers réalisés entre 2019 et 2020 sous la direction artistique de #François_Burland et d’autres artistes triés sur le volet, la comédienne et metteuse en scène #Audrey_Cavelius, le “bricoleur professionnel” #Stanislas_Delarue et l’#Agence_des_Chemins_Pédestres, un collectif d’artistes créé en 2020 pour l’exposition.

    La rencontre avec les mineurs non accompagnés

    Tout a commencé en 2013, lorsque l’artiste François Burland reçoit dans son atelier du Mont-Pèlerin, et pour la première fois, deux jeunes migrants non accompagnés qui logent dans un foyer à Lausanne. Ce sera le début d’une série de collaborations artistiques avec d’autres artistes et beaucoup de mineurs non-accompagnés et jeunes adultes isolés. Le temps passé à créer des œuvres ensemble, les repas partagés durant les ateliers, l’humour et les rapports de confiance favorisent leur bien-être et facilite leur intégration.

    La jeune femme yéménite Wafa Qasem raconte :

    “Lorsque j’ai vu le travail de François pour la première fois, je n’ai rien compris, mais j’ai ressenti une familiarité avec tous ces récits d’autres migrant-e-s. On a toutes et tous le même type d’expérience. Grâce à cela, je me suis rapidement adaptée à eux, et j’ai été encouragée à collaborer, malgré mon français vacillant. Je me réjouis de progresser dans cette langue, de pouvoir comprendre les blagues échangées pendant les ateliers et je suis sûr que je serai un jour une excellente oratrice. Je peux dire aujourd’hui que je me suis retrouvée. Ma priorité est de terminer mes études universitaires en Suisse et de travailler dans le domaine des droits de l’homme.” (1)

    Dans ces ateliers, les jeunes et les artistes s’apportent mutuellement. A leur rencontre, un nouveau monde s’ouvre. François Burland le dit souvent, ces jeunes l’ont transformé.

    “J’ai des rapport très forts avec beaucoup de ces jeunes, des rapports très parentifiés. Tous ces jeunes ont bouleversé ma vie. Avant ces rencontres, moi j’étais un artiste qui pensait qu’à sa gueule.“
    L’ Association NELA

    Au fil des stages, François Burland se rend compte de leur isolement. En 2017, il fonde l’ Association NELA qui les accueille dans l’atelier. Pour eux et avec eux, des travaux artistiques collectifs prennent forme avec la collaboration d’autres artistes confirmés. L’association aide les jeunes à faire la difficile transition à la majorité tout en les accompagnant dans leurs recherches de formation et dans d’autres démarches administratives. Actuellement elle suit une centaine de jeunes.

    “Presque tous ces jeunes sont des marginaux par rapport à leur communauté. C’est souvent des jeunes qui se posent des questions, qui mettent en doute leurs propres valeurs, par rapport à leur religion, au monde dont ils proviennent. Souvent ils et elles sont embêtés dans leurs foyers et se retrouvent très isolés. Par exemple, la jeune fille érythréenne que je suis en train d’adopter, quand je l’ai rencontrée pour la première fois, cela faisait six mois qu’elle vivait enfermée chez elle dans son studio. Elle était hors des radars parce qu’elle venait de passer à la majorité. Son ancien assistant social n’a pas fait le lien et elle n’avait aucun contact avec le nouveau. Entre-temps elle a eu des ennuis de santé et une opération. Mais elle n’avait pas compris que sa situation médicale n’était pas grave, elle pensait qu’elle avait un cancer et qu’elle était foutue. Et puis son ami l’a quittée et pour couronner le tout, elle a reçu une décision négative d’asile. Elle s’est retrouvée dans une situation affreuse, elle n’avait plus envie de vivre. On a fait un bout de chemin ensemble, un vrai travail de reconstruction. Je l’ai reconstruite et elle m’a reconstruite aussi. Ça va dans les deux sens. Pour elle et une autre jeune fille que je connais aussi depuis longtemps, j’ai commencé une procédure d’adoption il y a un an. On verra ce que ça donne mais même si l’adoption ne se fait pas, nous on s’est déjà adopté.”
    Visite guidée

    Ouvert, chaleureux, bavard, doué et passionné, François Burland nous a guidé dans notre visite. Devant chacune des œuvres, il a mille choses à dire.

    On passe d’abord devant l’installation “AUTRES” créée par les jeunes avec l’artiste Audrey Cavelius. Dans une pièce sombre, des dizaines de photographies défilent. Ce sont les jeunes projetés dans des versions toutes autres. Les images défilent sur fond de musique et François Burland explique à la vitesse du défilé, qui est qui et pourquoi ils ont choisi tel ou tel déguisement.

    Puis on se trouve devant les trois immenses fresques appelées “CARTOGRAPHIE DES MERVEILLES”. Elles ressemblent à ce premier beau projet intitulé “GEOGRAPHIES PERDUES” créé en 2020 au CAIRN à Meyrin avec cinq jeunes migrants mineurs non-accompagnés (MNA). Les cartographies sont sensationnelles. Sur un fond blanc, elles ressemblent à d’immense découpages qui racontent en rouge les merveilles de 56 jeunes.

    Autour des images, quelques belles écritures racontent les chemins parcourus à travers les déserts, les montagnes, les mers, les souvenirs de parfums, les souvenirs d’enfance et aussi les dangers sur le chemin de l’exil. Et le résultat n’est pas sombre, il est gai, esthétique et frais. On peut les admirer des heures, revenir et découvrir à chaque fois un nouveau détail, un message original.

    “Au départ, ce projet de cartographie des merveilles ne leur disait rien du tout. Alors, je leur ai proposé de réfléchir à leurs merveilles à eux. Chacun a choisi parmi 1500 images que j’avais présélectionnées, les jeunes les ont découpées, assemblées et collées. Ce qui est sympa c’est qu’avec le découpage d’image on ne peut pas savoir l’âge des gens, ça gomme toutes les différences.“

    Et puis on entre dans une autre petite pièce sombre où se trouve le merveilleux théâtre d’ombre réalisé dans le cadre de l’atelier “TOURMENTE” de Stanislas Delarue qui a réuni François Burland et les jeunes. Ce théâtre fait de mobiles qui tournent est digne d’un rêve, avec ses formes projetées qui représentent des traumatismes et des espoirs.

    Un moment de grâce

    L’exposition Checkpoint nous interroge sur l’existence des frontières réelles et imaginaires. Les lois administratives construisent des murs entre les citoyens mais l’art comme le théâtre et le cinéma conduisent à des moments de grâce, des élévations nobles au-delà des lois et des préjugés qui nous divisent.

    https://blogs.letemps.ch/jasmine-caye/2021/03/21/des-artistes-et-des-jeunes-migrants-ont-cree-checkpoint-une-exposition

    #art_et_politique #exposition #migrations #MNA #asile #réfugiés #mineurs_non_accompagnés #Suisse #photographie

    ping @reka @isskein

  • Je note pour pas l’oublier : mes amis qui ne plaisantent ni avec la cuisine napolitaine ni avec la qualité du café, me recommandent le bouquin : On va déguster l’Italie ; du panettone aux spaghetti al ragù de Scorsese ; tutta la cucina italiana, de François-Régis Gaudry et al.

    Il paraît que c’est vraiment très très bien, bourré d’informations que seuls les locaux de l’étape sont censés connaître, mais c’est déjà épuisé. Va falloir attendre une réimpression…

    Sinon, les mêmes amis sont passés cet été à Montpellier, et voyant qu’on mangeait des Barilla (d’ailleurs, sur leurs conseils d’il y a vingt ans), nous ont conseillé de passer à la marque Rummo. Et on confirme : c’est le jour et la nuit.

    • Fermes d’avenir

      Notre mission ?

      Accélérer la transition agroécologique, en nous inspirant de la permaculture, dans le respect des humains et de la nature !

      Nous sommes convaincus que la transition vers des modèles agricoles vertueux est indispensable et impactera positivement :

      la santé des humains grâce à des produits issus de l’agriculture biologiques à un prix accessible à tous,
      les conditions de travail des agriculteur.trice.s sur des fermes viables, vivables et créatrices de valeur sur leur territoire,
      la restaurations des écosystèmes naturels : biodiversité, qualité des sols vivants, séquestration de carbone, qualité de l’eau, etc.

      Que faisons-nous ?

      Notre équipe travaille quotidiennement avec l’objectif suivant : faire pousser des fermes agroécologiques en France. Pour cela, nous développons des projets agricoles, nous formons des acteurs de la transition, nous finançons des agriculteurs et nous influençons différents publics.

      Pour relever ce défi, nos activités sont réparties en quatre pôles.

      https://fermesdavenir.org

  • TRAFIC. La bile d’ours, un business très rentable
    https://www.courrierinternational.com/article/2010/04/01/la-bile-d-ours-un-business-tres-rentable

    L’Ifaw (International Fund for Animal Welfare) La médecine traditionnelle chinoise recourt à la bile d’ours pour soigner les inflammations ou dissoudre les calculs biliaires ou rénaux. Mais des croyances accordent à la bile d’ours
    des vertus aphrodisiaques, sans aucun fondement scientifique. Selon des associations qui tentent de mettre fin aux élevages d’ours en Asie, 8 500 ours seraient en captivité en Chine et 1 500 en Corée du Sud. L’Ifaw (International Fund for Animal Welfare), l’une de ces associations, atteste pourtant qu’il existe des substituts à base de plantes susceptibles de remplacer la bile d’ours dans ses applications thérapeutiques.

    #animaux #ours #chine #vietnam #ferme_à_ours

    me fait penser à l’article signalé sur seenthis (que je ne retrouve pas) sur les élevages de jument pour les labos en amérique du sud, @mad_meg ?

  • #28
    http://www.radiopanik.org/emissions/bruxelles-m-habite/-28-2

    Au menu de cette 28e édition :

    une chronique de Greg à la suite de la lecture d’un article d’un quotidien belge sur #néo 2 ; une audiodescription de la #ferme_urbaine de #neder-over-heembeek, réalisée par Alice et Arthur ; un reportage-balade au milieu des cultures de la compagnie Les Herbes de #bruxelles avec Christie, réalisé par Alice et Arthur ; un coup de téléphone avec Liévin pour parler des États Généraux de l’Air à Bruxelles organisé par le #bral.

    #air #heysel #qualité_de_l'air #plante_sauvage #les_herbes_de_bruxelles #bruxelles,air,heysel,bral,qualité_de_l’air,plante_sauvage,neder-over-heembeek,ferme_urbaine,les_herbes_de_bruxelles,néo
    http://www.radiopanik.org/media/sounds/bruxelles-m-habite/-28-2_06610__1.mp3

  • Dans l’#Hérault, des #truffes ou des paysans ? Bataille pour 400 hectares de terres
    https://reporterre.net/Dans-l-Herault-des-truffes-ou-des-paysans-Bataille-pour-400-hectares-de-

    Dans l’Hérault cévenol, Martin Waddell a fait l’acquisition d’un domaine de 400 hectares de garrigue pour y installer une #ferme_truffière financée par des investisseurs privés. La mobilisation locale semble faire hésiter le nouveau propriétaire.

    #agriculture #eau #gestion_foncière #Safer #fdsea #investissement_privé #biodiversité #agrobusiness

  • La ferme des possibles, le terreau d’une société plus solidaire
    https://www.demainlaville.com/la-ferme-des-possibles-le-terreau-dune-societe-plus-solidaire

    Nous sommes en 2018, et pourtant, au cœur de la Seine-St-Denis urbanisée subsiste encore et toujours des terres agricoles. Y a germé un projet à la limite de l’utopie, un projet économique qui prend en compte l’humain, le social dans une approche solidaire : la Ferme des possibles de Stains.

    #agriculture_urbaine #partage #travail #solidarité #urban_matter

  • #Notre-Dame-des-Landes : contributions au débat interne à la ZAD
    https://fr.squat.net/2018/06/01/notre-dame-des-landes-contributions-au-debat-interne-a-la-zad

    Voici quelques textes publiés les 27 et 28 mai 2018 sur Indymedia-Nantes et ZadNadir : Jusqu’où ira-t-on dans ce foutage de gueule des négociations ? Publié le dimanche 27 mai 2018 sur Indymedia-Nantes. Je n’ai pas fait de fiche ni ne crois en la négociation avec un État. Je ne veux pas discuter avec cet oppresseur, […]

    #émeutes #expulsion #Ferme_occupée_de_la_Pointe #La_Freuzière #légalisation #Saint-Jean-du-Tertre

  • VIDEO - Pour Vandana Shiva, la Zad montre « comment cultiver le futur »

    https://reporterre.net/VIDEO-Pour-Vandana-Shiva-la-Zad-montre-comment-cultiver-le-futur

    Le 24 février dernier, l’écologiste Vandana Shiva a visité la Zad de Notre-Dame-des-Landes. Elle a notamment visité la ferme des Cent noms - que le gouvernement a fait détruire le 9 avril - et s’est exprimé sur ce que représente la Zad : « Cette zone montre le chemin pour d’autres lieux. (...) Voilà le futur que tous les jeunes devraient être capables d’apprendre. (...) Vous êtes le laboratoire vivant qui montre comment on peut cultiver le futur, en retrouvant notre place sur la terre, et notre humanité. »

    #Vandana_Shiva rules

  • Des juments avortées et saignées dans des « fermes à sang » d’Amérique du Sud
    https://reporterre.net/Des-juments-avortees-et-saignees-dans-des-fermes-a-sang-d-Amerique-du-Su

    Entre mars 2015 et avril 2017, les associations suisse Tierschutzbund Zürich (TSB) et allemande Animal Welfare Foundation (AWF) ont enquêté dans 5 « fermes à sang » d’Argentine et d’Uruguay, a rapporté l’association de défense des animaux d’élevage Welfarm vendredi 6 octobre. « Ces fermes alimentent un commerce lucratif de la gonadotrophine chorionique équine (eCG), aussi appelée PMSG, rapporte l’association. Cette hormone présente dans le sang des juments lors des premiers mois de gestation, est importée, notamment dans les élevages porcins, bovins, ovins ou caprins d’Europe, pour synchroniser les chaleurs et programmer les mises bas.

    Selon l’enquête menée par les associations, la France compte parmi les clients de cette hormone : la société Syntex-Argentine a exporté 1 kg d’eCG (soit 6 089 295 dollars américains) vers la France entre janvier et mai 2017. Dans le même temps, la branche uruguayenne de Syntex en exportait 0.295 kg (soit 3359 044 dollars américains). »

    #vampirisme #élevage #maltraitance_animale #souffrance_animale #sang #ferme_à_sang

  • [O-S] La ferme des animaux et la propagande

    Dans les années 1940, George Orwell écrit La Ferme des animaux, une fable dans laquelle les animaux chassent leurs maîtres humains et instaurent dans leur ferme un nouveau régime politique qui tourne vite à la dictature. Entre les lignes, on comprend qu’il s’agit d’une charge contre le stalinisme.
    À l’aube de la guerre froide, cette critique de l’URSS sonne tellement juste que la CIA et les services secrets britanniques décident, en 1951, de la transposer en bande dessinée dans le cadre de leurs opérations de propagande anticommuniste...

    https://www.mixcloud.com/offensive_sonore/orwell

    #Radio_Libertaire #offensive_sonore #audio #radio #urss #orwell #george_orwell #ferme_des_animaux #staline #propagande #guerre_froide #etats-unis #communisme #histoire #cia #stalinisme

  • Le Conseil d’Etat maintient la « ferme des mille veaux » au ralenti
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/251116/le-conseil-detat-maintient-la-ferme-des-mille-veaux-au-ralenti

    Le Conseil d’État a décidé que la SAS Alliance-Millevaches ne pouvait pas contester la décision de justice qui limite à 400 le nombre d’animaux dans sa ferme dite « des mille veaux ». Pourtant, la bataille est loin d’être gagnée pour les opposants.

    #Economie #agriculture #ferme_des_mille_veaux

  • « Ferme des mille veaux » : la SAS Alliance Millevaches fait appel
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160816/ferme-des-mille-veaux-la-sas-alliance-millevaches-fait-appel

    Le bras de fer se poursuit entre les soutiens du centre d’engraissement de broutards de Saint-Martial-le-Vieux, dans la Creuse, et l’association L-PEA. Après une victoire symbolique de l’association devant la #Justice, la société porteuse du projet de la « ferme des mille veaux » a fait appel. Le ministère de l’environnement a décidé de garder le silence.

    #France #Conseil_d'état #ferme_des_1_000_vaches #fermes-usines

  • « Ferme des mille veaux » : la SAS Alliance Millevaches faire appel
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160816/ferme-des-mille-veaux-la-sas-alliance-millevaches-faire-appel

    Le bras de fer se poursuit entre les soutiens du centre d’engraissement de broutards de Saint-Martial-le-Vieux, dans la Creuse, et l’association L-PEA. Après une victoire symbolique de l’association devant la #Justice, la société porteuse du projet de la « ferme des mille veaux » a fait appel. Le ministère de l’environnement a décidé de garder le silence.

    #France #Conseil_d'état #ferme_des_1_000_vaches #fermes-usines

  • Dans la #Creuse, la « Ferme des mille veaux » sur la sellette
    https://www.mediapart.fr/journal/france/100816/dans-la-creuse-la-ferme-des-mille-veaux-sur-la-sellette

    L’autorisation d’exploitation de la « #ferme des mille veaux », sur la commune creusoise de Saint-Martial-le-Vieux, est suspendue par la justice. Le ministère de l’environnement doit désormais décider de faire appel ou non de la décision… et donc de soutenir ou pas ce symbole de l’agriculture industrielle.

    #France #agricole #agriculture #agriculture_industrielle #ferme_des_1_000_vaches #Ferme_des_mille_vaches

  • En #Italie, la ferme aux mille vaches « Go Farm » maximise son business
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/290216/en-italie-la-ferme-aux-mille-vaches-go-farm-maximise-son-business

    Dans la « Go farm » de #Lombardie © Jordan Pouille Dans la plaine du Pô, en Lombardie, un jeune homme a transformé la ferme familiale en usine à #Lait comptant près de mille vaches, mêlant génétique, méthanisation, main-d’œuvre étrangère à bas coût et performances laitières… Le tout est censé sauver les fromages du terroir.

    #Economie #agriculture #Ferme_des_mille_vaches