• The Human Conveyor Belt : Trends in human trafficking and smuggling in post-revolution Libya

    The proliferation of human smuggling in Libya is both a criminal problem and a feature of Libya’s fracture into competing armed factions. Whilst most acutely perceived on Libya’s coast, it is in fact an illicit trade embedded across the country, encompassing and feeding on the political economy and geopolitics of Libya’s Southern, Eastern and Western borders.


    http://xchange.org/map/libya.html?platform=hootsuite
    #trafic_d'êtres_humains #traite #Libye #asile #migrations #réfugiés #smugglers #smuggling #passeurs #parcours_migratoires #routes_migratoires #cartographie #visualisation #frontières #Egypte #Tunisie #travail #exploitation #esclavage #néo-esclavagisme #détention_administrative #rétention #détention #Zuwara #Ghadames #Sabha #Brak_Shati

    cc @reka

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_

    • Parola d’ordine esternalizzare: soldi europei agli Stati africani per fermare il flusso dei migranti

      Il ministro degli Interni del Niger: «Chiediamo all’Ue infrastrutture militari». Ma il Mali non firma le riammissioni: «Le rimesse ci hanno portato 800 milioni di dollari nel 2016»

      http://www.lastampa.it/2017/05/24/esteri/speciali/divertedaid/parola-dordine-esternalizzare-soldi-europei-agli-stati-africani-per-fermare-il-flusso-dei-migranti-VKqfQ42Nr9TimSleQzT7XL/pagina.html?platform=hootsuite

    • Deploying Italian warships to police Libyan waters will expose refugees to horrific abuse

      Proposals to send warships to police Libyan territorial waters are a shameful attempt by the Italian authorities to circumvent their duty to rescue refugees and migrants at sea and to offer protection to those who need it, said Amnesty International, ahead of a vote in the Italian parliament tomorrow.

      https://www.amnestyusa.org/press-releases/deploying-italian-warships-to-police-libyan-waters-will-expose-refugees-

    • Missione navale: Italia pronta a destinare rifugiati e migranti verso orribili violenze

      Dopo il voto del parlamento italiano in favore dell’invio di navi da guerra nelle acque libiche per assistere la Guardia costiera della Libia a intercettare migranti e rifugiati e a riportarli a terra, la vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa Gauri Van Gulik ha rilasciato questa dichiarazione:

      https://www.amnesty.it/missione-navale-italia-pronta-destinare-rifugiati-migranti-verso-orribili-vi

    • "L’aiuto dell’Italia alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi sui migranti"

      L’annuncio del supporto operativo delle navi della Marina Militare italiana al governo di Tripoli, nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, è stata criticata da Human Rights Watch: «Potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno dei migranti successivamente detenuti in Libia».

      http://www.huffingtonpost.it/2017/08/02/l-aiuto-dellitalia-alla-guardia-costiera-libica-rischia-di-tra_a_2306

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172

      #aide_au_développement

    • Italy Has a Controversial New Plan to Stop Migrants Crossing the Mediterranean Sea

      The Italian government initially hoped to send six ships to Libya’s territorial waters, but plans had to be scaled down following popular protests in Tripoli, Reuters reports. Libyans have reportedly been posting images of Omar al-Mukhtar, a national hero who battled Italian rule in the early 1900s, on social media in response to the Italian presence— reflecting the widespread unease over a former colonial power intervening on domestic affairs. Pinotti said that Italy had no intention of creating a blockade on Libya’s coast.

      http://time.com/4885415/italy-naval-mission-migrant-smuggling

    • LIBIA : IL SUCCESSO DEMOCRATICO

      C’è solo una cosa che avete perso: la dignità umana.
      Credo l’abbiate fatto consapevolmente, perché liberarvi della fatica di difendere la dignità umana era il peso più affrontabile per risolvere questo maledetto problema degli sbarchi.
      Creare in pubblico il reato umanitario, confermare e rafforzare le derive più xenofobe e pericolose della nostra società, abbandonare migliaia di persone al loro immobile destino di ingiustizia e povertà, non disturbare la chiusura dell’Europa ricca e respingente, consolidare poteri forti e corrotti in paesi di origine e di transito: questo avete fatto e con questo state vincendo.
      Complimenti.
      Abbiate almeno il coraggio di non chiamarvi più nemmeno democratici.

      http://andreasegre.blogspot.ch/2017/08/libia-il-successo-democratico.html
      #Andrea_Segre

      Avec un ps sur la Suisse :

      P.P.S. scrivo tutto ciò da Locarno (Svizzera), dove presenteremo domani il nuovo doc IBI. E non posso non guardarmi intorno. Questo è il cuore dell’Europa ricca che proteggendosi ha ottenuto ciò che le interessava: crescita interna altissima sulle spalle di un mondo esterno da sfruttare e tenere fuori (i corpi ovviamente, i soldi no, se vogliono quelli entrano subito e senza controlli). Il PIL procapite medio da queste parti è circa 80mila euro l’anno. Nei paesi da cui scappano gli invasori raggiunge al massimo 1000 euro. Ma qui non ci arrivano, perché anche qui, soprattutto qui, hanno vinto. Bravi!

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.

      https://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager di #Sabha

      Lo dicono i numeri delle ultime settimane: si assiste ad una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia. E’ l’effetto dell’accordo italo-libico, sostenuto dall’Unione Europea. Decine di migliaia di migranti subsahariani bloccati. Lo raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu)

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/?ref=search

    • Libyan Coast Guard Faces Allegations of Corruption

      At the same time, conflict and corruption on the ground have called into question the EU’s plans to train the Libyan Coast Guard and return migrants to Libyan shores. In February, Libya’s UN-backed government in Tripoli agreed to direct its coast guard to return migrants to shore in exchange for training assistance and financial aid. On Monday, Libyan Prime Minister Fayez Serraj negotiated for an additional EU assistance package of $860 million in military equipment, including ships, vehicles, helicopters and communications gear.

      http://www.maritime-executive.com/article/libyan-coast-guard-faces-allegations-of-corruption
      #gardes-côtes #frontières #Libye #gardes-côtes_libyens #corruption #Libye

    • Supreme Court annuls verdict that suspended implementation of Italy-Libya MoU

      The Supreme Court in Libya annulled a previous verdict that suspended the implementation of the #memorandum_of_understanding (MoU) that was signed between Libya’s UN-proposed Presidential Council and Italy.


      https://www.libyaobserver.ly/news/supreme-court-annuls-verdict-suspended-implementation-italy-libya-mou

    • L’Italia esibisce in Europa gli accordi con Tripoli. Sotto attacco vittime e testimoni.

      Il governo italiano si presenta al vertice di Parigi esibendo, dietro il Codice di condotta per le ONG, autentico specchietto per le allodole, i risultati degli accordi con il premier libico Serraj e alcune tribù del Fezzan, come già prima con il Sudan di Bashir, con un abbattimento su base mensle, in agosto, del 70 per cento degli arrivi di migranti dalla Libia. Adesso si può davvero dire che le frontiere europee raggiungono il Fezzan, le attività di esternalizzazione dei controlli sono molto avanzate e numerosi contingenti militari sono già schierati sul territorio di confine tra Libia, Niger, Chad e Sudan. Poco importa a quale prezzo. Di fatto sono state proprio le milizie della zona di Sabratha, dalla quale si verificavano le partenze della maggior parte dei gommoni, ad intervenire per bloccare tutte le vie di fuga. Perchè di vie di fuga dalla Libia occorre parlare, oltre che di contrasto al traffico di esseri umani.

      http://www.a-dif.org/2017/08/28/litalia-esibisce-in-europa-gli-accordi-con-tripoli-sotto-attacco-vittime-e-te

    • DA TRAFFICANTE A COMANDANTE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

      In un’intervista a “La Stampa” Roberto Saviano racconta oggi che il capo dei trafficanti di #Zawija, base di tante partenze di migranti, a 40 km da Tripoli, è un ragazzo di nemmeno trent’anni, ricchissimo e spietato: #Abdurahman_Al_Milad_Aka_Bija, che tutti conoscono come #Al_Bija. Bene, anzi male: Al Bija è appena diventato il nuovo comandante della Guardia costiera libica della città. Insomma, il referente delle nostre navi militari.

      https://alganews.wordpress.com/2017/08/15/da-trafficante-a-comandante-della-guardia-costiera-libica

    • Tripoli. Accordo Italia-Libia, è giallo sui fondi per aiutare il Paese

      «Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri ’aiuti’, per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accordo-italia-libia-giallo-sui-fondi-per-aiutare-il-paese

    • I migranti come arma di ricatto tra lotte di potere, ritorsioni e nuovi equilibri in Libia. E i morti aumentano

      Nel week end tra il 15 e il 17 settembre sono arrivati in Italia dalla Libia più di 1.800 migranti su una quindicina di gommoni. Senza contare il flusso crescente di “barche fantasma”, pescherecci di varie dimensioni che, partendo dalla Tunisia, approdano in Sicilia, soprattutto sulle coste dell’Agrigentino. Dopo giorni di sbarchi in calo e di continue, “trionfanti” notizie di blocchi effettuati dalla Guardia Costiera libica lungo le coste africane, questo improvviso exploit di sbarchi ha destato non poca sorpresa, contraddicendo almeno in parte le dichiarazioni del Governo italiano sull’efficacia e sulla tenuta dei “muri” eretti nel Mediterraneo e nel Sahara con gli ultimi accordi stipulati da Roma con Tripoli. Non a caso, questo degli sbarchi, è stato uno dei temi guida del dibattito politico e del notiziario dei media nel fine settimana.

      http://www.a-dif.org/2017/09/22/i-migranti-come-arma-di-ricatto-tra-lotte-di-potere-ritorsioni-e-nuovi-equili

    • Italy claims it’s found a solution to Europe’s migrant problem. Here’s why Italy’s wrong.

      Motivating the Libyan militias’ newfound zeal for blocking migrant movement is a new policy spearheaded by the Italian government and embraced by the European Union. The approach relies on payment to militias willing to act as migrant deterrent forces. Italian government representatives use intermediaries such as mayors and other local leaders to negotiate terms of the agreements with the armed groups. They also build local support in the targeted areas by distributing humanitarian aid.

      https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-w

    • Libye: La manœuvre périlleuse de l’Italie

      Rome est accusée d’avoir financé des passeurs de Sabratha pour endiguer le flux de migrants. Avéré ou non, cet accord a déclenché une guerre entre milices, déstabilisant un peu plus le pays.

      Côté face, Marco Minniti, le ministre italien de l’Intérieur, se félicite d’être à l’origine de la chute du nombre de migrants partant de la Libye pour l’Europe : - 50 % en juillet et - 87 % en août par rapport à la même période en 2016. Côté pile, Minniti, ancien chef des services secrets, est aussi la principale causede la guerre actuelle qui se déroule à Sabratha, ville située à 80 kilomètres à l’ouest de Tripoli, depuis le 17 septembre. Les combats ont fait au moins 26 victimes et, près de 170 blessés, endommageant également le théâtre romain antique classé au Patrimoine mondial de l’Unesco. Là, des taches de sang et des centaines de douilles jonchent encore le sol. Le lieu, qui a survécu aux soubresauts de l’histoire libyenne, est aujourd’hui marqué jusque dans ses pierres par ce nouveau drame qui n’a rien de théâtral.

      Marco Minniti est accusé d’avoir passé un accord financier avec le chef de milice Ahmed Dabbashi, alias Al-Ammou (« l’Oncle »), pour qu’il mette fin à ses activités de baron du trafic des migrants et ainsi faire baisser le nombre d’arrivées sur les côtes italiennes. L’homme était un des passeurs les plus puissants de Sabratha, dont les plages sont les lieux de départ de la grande majorité des candidats à rejoindre l’Europe.

      Dans les cafés de Sabratha, les habitués sourient lorsqu’on évoque le « repentir » d’Ahmed Dabbashi : « Il veut se donner une respectabilité, mais soyez certains qu’à 3 heures du matin, ses bateaux continuent de partir », assure Salah, qui préfère rester anonyme par crainte de représailles du chef mafieux, membre d’une importante famille de la cité antique. En septembre, plus de 3 000 migrants ont été secourus en mer, et un grand nombre d’entre eux était parti des plages de Sabratha. Si les départs ont ralenti, ils n’ont pas totalement disparu.

      Une aide italienne a minima

      Le conflit qui déchire Sabratha oppose les hommes d’Al-Ammou (alliés à la Brigade 48, dirigée par un frère d’Ahmed Dabbashi), à la Chambre des opérations (CDO) du ministre de la Défense, au Bureau de lutte contre la migration clandestine (BLMC) du ministre de l’Intérieur et à la milice salafiste Al-Wadi, également accusée de trafic humain. Tous se revendiquent d’une affiliation au gouvernement d’union nationale (GUN) de Faïez el-Serraj, soutenu par la communauté internationale. Mais ce dernier ne reconnaît que la CDO et le BLMC. Preuve, s’il en était, que la Libye, en proie au chaos, n’est qu’un camaïeu de gris.

      Bachir Ibrahim, le porte-parole du groupe d’Ahmed Dabbashi, a évoqué l’existence d’un accord verbal avec le gouvernement italien et le GUN de Faïez el-Serraj. Mais ces deux derniers démentent toute entente financière avec la milice. La rumeur ne s’est pas éteinte pour autant. Et les habitants de la ville rappellent les forts liens entre la milice de Dabbashi et l’Italie : c’est le groupe armé qui protège le site gazier de Mellitah, situé à l’ouest de Sabratha et géré par le géant italien ENI. D’ailleurs, la milice possède deux bateaux pneumatiques ultra-rapides qui appartenaient à la marine libyenne et dont l’un a été récupéré sur le site de Mellitah… Bassem al-Garabli, le responsable du BLMC, s’étonne, lui, que l’ambassadeur italien, Giuseppe Perrone, n’ait pas visité son unité lors de sa venue à Sabratha, le 10 septembre pour se féliciter de la chute du nombre de départs de migrants. L’ambassadeur italien à Tripoli n’a, de son côté, pas souhaité répondre à nos questions.

      « L’Italie a payé, en juillet, 5 millions d’euros à Al-Ammou pour trois mois de tranquillité, affirme sous couvert d’anonymat un membre de la CDO. L’échange s’est fait en haute mer. »Cette source rappelle le double jeu du chef de la milice, qui posséderait quatre hangars où des navires capables d’embarquer plusieurs centaines de migrants seraient restaurés. Pourtant, le 28 juillet, l’Union européenne a débloqué 46 millions d’euros à l’Italie afin qu’elle aide les autorités libyennes à renforcer sa capacité à gérer les flux migratoires et protéger ses frontières. Une somme que reflètent peu les résultats sur le terrain.

      A ce jour, seuls 136 marins libyens ont été formés en Italie à rechercher, secourir et perturber le trafic d’êtres humains. Les garde-côtes ont reçu cette année quatre bateaux, reliquats d’un contrat passé en 2008 et, qui plus est, anciens. « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants qui sont de plus en plus souvent escortées par des hommes armés sur des vedettes rapides. » La marine se montre davantage satisfaite par le « Code Minniti », qui a durci les conditions d’intervention des bateaux d’ONG présents pour secourir les migrants en détresse, au grand dam des organisations humanitaires. « Ces navires sont comme des taxis pour les clandestins, affirme Ayoub Gacem. Les passeurs ont compris qu’il suffit que les migrants atteignent les eaux internationales pour arriver en Europe. »

      Encore faut-il les atteindre. « Alors que nous étions au large de Sabratha, un bateau est arrivé, raconte Shaada, un Bangladais de 17 ans. Les hommes nous ont pris notre argent, nos téléphones portables, le téléphone satellite et le moteur avant de repartir. » Aujourd’hui au centre de rétention de Tripoli, Shaada décrit l’amplification de la piraterie à l’encontre des migrants, en mer comme dans le désert. Un phénomène qui explique aussi, en partie, la baisse des départs depuis la Libye.

      Boko Haram et l’état islamique

      Pour Ayman Dabbashi, cousin d’Al-Ammou mais également membre de la CDO, l’existence d’un « contrat » avec l’Italie ne fait aucun doute. Mais il ne comprend pas la logique italienne. « C’est incompréhensible, parce que mon cousin n’est pas quelqu’un d’éduqué, il sait à peine dire une phrase, affirme-t-il. Il a dit qu’il arrêterait les bateaux mais ce n’est pas vrai. Il va arrêter les bateaux des autres, mais pas les siens. »

      « Marco Minniti pousse le gouvernement d’union nationale à "intégrer" les milices comme celle d’Al-Ammou au sein du ministère de la Défense. Le ministre italien l’a reconnu lui-même. Cela est beaucoup plus grave pour la sécurité de la Libye, que l’existence ou non d’échange de valises de billets », prévient Jalel Harchaoui, qui prépare une thèse sur la dimension internationale du conflit libyen à l’université Paris-VIII. Même inquiétude du côté du général Omar Abdoul Jalil, responsable de la Chambre des opérations : « L’Europe doit faire attention avec qui elle négocie. Les passeurs n’ont aucun problème à introduire des terroristes dans des bateaux de migrants. » Il cite ainsi le cas de deux Camerounais récemment trouvés sur une embarcation et aussitôt envoyés en prison à Tripoli pour de forts soupçons d’appartenance à Boko Haram.

      Jusqu’en février 2016, des camps d’entrainement de l’Etat islamique étaient installés dans Sabratha, avant que les Américains ne bombardent un site. Le groupe terroriste était dirigé par Abdoullah Dabbashi, un parent d’Al-Ammou. Une accointance familiale qui pourrait servir de prétexte à Khalifa Haftar pour entrer dans la danse. L’homme fort de l’est du pays, bien qu’opposant au gouvernement de Faïez el-Serraj, pourrait envoyer des avions de sa base militaire d’Al-Watiya (à 80 kilomètres au sud-ouest de Sabratha) pour bombarder la milice d’Al-Ammou. Officiellement au nom de sa lutte contre le terrorisme. Officieusement, pour entrer de plain-pied dans la Tripolitaine, région ouest du pays. « Si Haftar intervient, l’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit le chercheur Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. »

      « c’est une fausse victoire »

      Le maréchal Haftar a d’ailleurs été reçu par Marco Minniti mardi dernier à Rome. La question de Sabratha a été abordée. Spécialiste de la Libye au Conseil européen des relations internationales, Mattia Toaldo ne croit pas à l’escalade : « Marco Minniti veut protéger sa politique antimigratoire en persuadant Khalifa Haftar de rester à l’écart. Ce dernier n’a d’ailleurs pas intérêt à intervenir, ce serait une mission kamikaze. »

      Que le conflit s’embrase ou non, le trafic des migrants ne disparaîtra pas, les réseaux s’adapteront. « En ce moment pour les trafiquants, c’est plus rentable de faire de la contrebande d’essence ou de nourriture que de transporter des hommes. Mais c’est une fausse victoire. Cela va reprendre », assure Choukri Ftis, qui a participé à un récent rapport de Altai Consulting intitulé « Partir de Libye, rapide aperçu des municipalités de départs ». Il pointe déjà la plage de Sidi Bilal, située à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli, comme prochain centre d’embarquement. Ici, l’Al-Ammou local se nomme Saborto et dirige une milice de la tribu des Warshefanas, réputée pour ses enlèvements de riches Tripolitains et d’étrangers.

      http://www.liberation.fr/planete/2017/10/01/libye-la-manoeuvre-perilleuse-de-l-italie_1600209

    • European priorities, Libyan realities

      August 14 began calmly for Riccardo Gatti. On the first morning of a new search and rescue mission in the central Mediterranean, the former yachtsman turned activist walked the grayed wooden deck of the Golfo Azzurro, a trawler that has been stripped of its bulky fishing equipment to make space for life jackets and water bottles.

      http://issues.newsdeeply.com/central-mediterranean-european-priorities-libyan-realities

      cc @isskein

    • Le Commissaire demande des éclaircissements concernant les opérations maritimes italiennes dans les eaux territoriales libyennes

      Adressée au ministre italien de l’Intérieur, M. Marco Minniti, et publiée le 11 octobre 2017, le Commissaire sollicite des informations concernant les opérations maritimes menées par l’Italie dans les eaux territoriales libyennes à des fins de gestion des flux migratoires.

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/commissioner-seeks-clarifications-over-italy-s-maritime-operations-in-libyan-te

      La réponse de Minniti :
      https://rm.coe.int/reply-of-the-minister-of-interior-to-the-commissioner-s-letter-regardi/168075dd2d

    • «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»

      Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

      http://www.vita.it/it/article/2017/11/07/ministro-minniti-mi-incontri-le-racconto-lorrore/145020

    • « En Libye, le trafic de migrants va reprendre comme avant »

      Ces derniers mois, les traversées depuis la Libye ont diminué de façon spectaculaire. Mais, en concluant un accord secret avec une milice de Sabratha, l’Italie pourrait avoir encore un peu plus déstabilisé le pays.

      Entre deux dossiers, dans son bureau de Rome, le ministre de l’Intérieur, Marco Minniti, doit sûrement se demander : « Ai-je eu raison ? » L’ancien chef des services secrets italiens est accusé d’avoir passé, au printemps, un accord financier avec Ahmed Dabbashi alias al-Ammou (l’Oncle), chef d’un des plus importants réseaux de trafic d’êtres humains en Libye, pour que ce dernier arrête son commerce et celui de ses concurrents régionaux.

      L’« Oncle » opère depuis Sabratha, à 70 km à l’ouest de Tripoli, d’où partait l’écrasante majorité des candidats à l’exil. Cette alliance a été revendiquée sur les réseaux sociaux par la brigade de l’Oncle, appelée « Anas-Dabbashi », du nom d’un cousin d’Ahmed tué pendant la révolution de 2011.

      « L’Italie a promis de verser 5 millions d’euros par trimestre. Le premier échange s’est fait durant l’été sur un bateau dans les eaux internationales », assure, sous couvert d’anonymat, un responsable de la Chambre des opérations de Sabratha, dépendant du gouvernement d’union nationale de Tripoli (reconnu par la communauté internationale) et principal ennemi de Dabbashi.

      Une realpolitik qui a eu des résultats spectaculaires : les enregistrements de migrants en Italie en provenance de la Libye ont chuté de 50% en juillet et 87% en août. Seulement, outre l’aspect moral douteux de cette politique, elle a été la principale cause d’une guerre de trois semaines (17 septembre-6 octobre) qui a fait une trentaine de morts et quelque 170 blessés. Les combats ont également profondément endommagé le Théâtre antique romain, classé au patrimoine de l’Unesco. Ils opposaient des forces du gouvernement d’union nationale à Dabbashi et son allié, la brigade 48. Ahmed Dabbashi a été battu et a dû quitter Sabratha. Son réseau n’est plus opérationnel, mais le jeu en valait-il la chandelle ?
      Milice payée avec des fonds européens ?

      L’Union européenne, qui avait donné quasi carte blanche à l’Italie pour régler la question des migrants, va-t-elle sévir ? Bruxelles avait octroyé 53,3 millions de francs suisses à la Botte pour aider la Libye à protéger ses frontières. L’argent a-t-il servi à payer Dabbashi ? Sur le terrain, les acteurs libyens n’ont pas vu d’amélioration notable. Les garde-côtes n’ont reçu cette année que quatre bateaux qui ont déjà servi, et encore s’agissait-il du reliquat d’un contrat passé en 2008.

      « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants, qui sont maintenant de plus en plus escortés par des hommes armés sur des vedettes rapides. » Car, si Dabbashi est hors-jeu, d’autres réseaux ont pris le relais.

      Après les affrontements de Sabratha, près de 15 000 migrants, principalement d’Afrique subsaharienne, ont été retrouvés et emmenés dans des centres de détention officiels dans la région de Tripoli. Dans le pays, ils seraient plusieurs centaines de milliers à attendre l’opportunité de traverser la Méditerranée.
      « Une fausse victoire »

      Le 31 octobre, deux bateaux pneumatiques avec 299 migrants à leur bord ont été arrêtés par les autorités libyennes. Ils étaient partis des plages de Zliten à 180 km à l’est de Tripoli. « La victoire de Sabratha est une fausse victoire, le trafic va reprendre comme avant dès l’an prochain quand ce sera la saison [été-automne] », prédit Choukri Ftis, un chercheur qui a participé récemment à un rapport sur la migration illégale en Libye.

      Cet été, le président français, Emmanuel Macron, avait lancé l’idée de centres d’enregistrement basés dans le sud libyen pour filtrer en amont les migrants. Une idée difficilement réalisable sur un territoire aussi vaste (2000 km de frontière avec l’Algérie, le Niger, le Tchad, le Soudan et l’Egypte) et soumis continuellement aux tensions ethniques entre Arabes, Toubous et Touaregs, qui se partagent le pouvoir dans une zone où l’Etat est quasi absent.

      La stratégie de Minniti a donné un coup de pied dans la fourmilière des réseaux de trafic d’êtres humains mais n’a pas fait disparaître le phénomène. Par contre, elle pourrait avoir durablement chamboulé l’équilibre politique du pays. Parmi la coalition armée qui a chassé Dabbashi se trouvait une force d’appui : la brigade al-Wadi. De tendance salafiste, le groupe est un affidé de l’Armée nationale arabe libyenne de Khalifa Haftar. L’homme fort de l’est a donc ainsi pu se draper de la victoire à Sabratha contre Ahmed Dabbashi.
      Intérêts gaziers

      Le 25 septembre, en plein milieu de la guerre de Sabratha, le maréchal a d’ailleurs été accueilli pour la première fois, bien qu’en catimini, par Marco Minniti et la ministre de la Défense, Roberta Pinotti. Au menu : le contrôle des plages de Sabratha si Dabbashi venait à être vaincu et la sécurisation du complexe gazier de Mellitah tout proche. Le site géré par le géant italien ENI était jusqu’alors protégé par les hommes de l’« Oncle ». Si rien n’a filtré de ce rendez-vous, les craintes sont vives que Haftar, fort d’un possible soutien italien qui aurait retourné sa veste devant la fuite de Dabbashi, n’ait des visées expansionnistes.

      « L’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. » Marco Minniti, dans son bureau, y pense-t-il parfois ?

      https://www.letemps.ch/monde/2017/11/05/libye-trafic-migrants-va-reprendre

    • Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal c.d. Fondo Africa

      Supporto tecnico alle autorità libiche per la gestione delle frontiere con fondi destinati a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani. ASGI al TAR : E’ sviamento di potere.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libia-italia-ricorso-fondi-cooperazione
      #Fonds_afrique

      –-> An English synthesis:

      Supporting Libyan Coast Guard is a misuse of the so-called “Africa Fund”. Italian Association ASGI brings Italian Foreign Ministry to Court.

      The Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI) has recently brought legal proceedings before the Regional Administrative Tribunal (TAR) with regard to Decree 4110/47 by which the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation allocates 2,5 million euros to the Ministry of Interior to repair four vessels for Libyan authorities and train them. Such a disbursement is part of the “Africa Fund” (200 million euros) set up by the Italian Parliament to promote cooperation and dialogue with African countries. Being Libya a notoriously unsafe country for migrants and refugees in transit, the compatibility of such a massive allocation of money with the stated goals of the “Africa Fund” – however vague they are – should be questioned. Given that these vessels might be used by the Libyan Coast Guard to pull-back migrants and refugees rescued/intercepted at sea and retain them in appalling detention centers, the main argument before TAR is that this military equipment is a diversion of the funding allocated by the Italian Parliament to contribute to the resolution of the humanitarian crisis in Libya.

    • The Case for Italy’s Complicity in Libya Push-Backs

      When a boatload of migrants sets off from Libya in the direction of Italy, smugglers often tell those on board to get to international waters before raising the alarm. The migrants hope to be picked up by rescue boats run by humanitarian NGOs and taken on to Italy where they can apply for asylum. The alternative is interception at the hands of the Libyan coast guard and a return to Libya.

      http://souciant.com/2017/11/the-case-for-italys-complicity-in-libya-push-backs

    • The rest of the world has woken up, but migrants are still sleepwalking into Libya slave markets

      While the West has reacted with outrage to video evidence of Libyan slave markets, potential victims themselves remain unaware of the dangers they face

      The trade in human beings has risen sharpy since the Italian government began paying Libyan militant groups and smugglers to stem the flow of migrants over the sea earlier this year.

      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/african-migrants-libya-slave-markets-aim-europe-refugees-human-traffi

    • La strategia italiana nel Mediterraneo

      http://www.ispionline.it/sites/default/files/media/img/rapporto_med_maeci_2017_internet_1.pdf

      Avec ce commentaire sur FB de Francesco Floris (07.12.2017):

      La Farnesina s’è desta.
      Il ministero degli esteri ci fa la cortesia di dirci cosa pensa della Libia. Dopo che Alfano ha speso gli ultimi 12 mesi a fungere da cartonato di Minniti e a implorare diversi magistrati siciliani (e non) di indagare sulle ong invece che sui centri d’accoglienza usati da Ncd come un’american express.
      Solo che appena parlano finiscono col confessare.

      A pagina 24 del doc. «La strategia italiana nel Mediterraneo» - pamphlet dalla prosa brillante pieno zeppo de «L’Italia ha prontamente reagito», «Roma si è immediatamente attivata», «la task force ha fermamente ribadito» che gli piacciono enormemente gli avverbi - si legge che dopo il 2 febbraio 2017, e su richiesta di Serraj, abbiamo inviato a Tripoli una nave-officina per riparare le unità navali libiche. Ma non solo per amore della meccanica a quanto pare, anche per «fornire un coordinamento alle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare».
      Coordinare le operazioni dei libici per riportare i migranti in una nazione che non sottoscrive la Convenzione di Ginevra e dove vige un regime di tortura. Lo scrivono loro. E sarebbe anche illegale qualora a questi manettari con i polsi degli altri interessasse qualcosa.
      Quindi ogni volta che sentite le autorità italiane o la Mogherini indignarsi e sbraitare «la Ue e l’Italia non hanno mai respinto nessuno» e altre cazzate fate loro due domande: Cosa ci fa allora una nave italiana a Tripoli a coordinare le operazioni?
      E due: ci state prendendo per il culo o cosa?
      La seconda è quella giornalisticamente più interessante.

    • Exclusive: Italy plans big handover of sea rescues to Libya coastguard

      ROME/TRIPOLI (Reuters) - Italy wants Libya’s coastguard to take responsibility within three years for intercepting migrants across about a tenth of the Mediterranean even as Libyan crews struggle to patrol their own coast and are accused of making deadly mistakes at sea.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-exclusive/exclusive-italy-plans-big-handover-of-sea-rescues-to-libya-coastguard-idUSK

    • Italy Strikes Back Again: A Push-back’s Firsthand Account

      Evidence is mounting about the Italian Navy’s involvement in facilitating the return of migrants to Libya. There have been alleged cooperation agreements between Italy and Libya to stem the flows to Europe, at the same time, as there have been accusations of pushbacks to Libya. In these cases, Italy stands accused of actively supporting the Libyan Coast Guard in committing unlawful acts, returning intercepted migrants to places where their lives or freedom would be threatened, or where they would face the risk of torture.

      https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2017/12/italy-strikes?platform=hootsuite

    • Vu sur twitter, le 15.02.2018 :

      Another patch of Libyan Coast Guards #LCG finished training in #Italy , certificates given during a ceremony in #Libya #Migration


      https://twitter.com/zakariyatz/status/963801317738209282

      Et avec ce commentaire de Gerry Simpson :

      A reassuring photo of the latest Libyan coastguards receiving certificates after Italy trained them to intercept refugees & migrants heading for the EU & return them to Libya to face guaranteed inhumane detention conditions and a real risk of torture

      https://twitter.com/GerrySimpsonHRW/status/963976898291355648

    • Italy Has Reportedly Delivered Further Vessels To Tripoli’s Coast Guard In Libya

      “Three further Italian patrol vessels have been delivered to the Libyan Coast Guard right in these days”, the Italian analyst Gerardo Pelosi has revealed on Il Sole 24 Ore while debating the military missions to Libya and Niger Rome approved last January.

      The news apparently echoes a similar one shared by the Libyan outlet Libya Observer‘s journalist Safa Al Harathy, who has written today an only vessel, the “106”, was delivered on February 22nd after being fixed in Tunisia:

      “the vessel 106 will join the vessels 109 and 111 at Khums port to contribute in securing the Libyan coast from Tajoura all along to Zlitan city in the east”,

      the Libya Observer reports.

      https://betweenlibyaanditaly.wordpress.com/2018/02/25/italy-has-reportedly-delivered-further-vessels-to-tr

    • Mancata ratifica parlamentare del memorandum Italia-Libia : al via il ricorso alla Corte Costituzionale

      Presentato un ricorso alla Consulta da alcuni parlamentari italiani contro il Governo che, non chiedendo la ratifica dell’ accordo, ha impedito loro di esercitare il diritto di discuterne e di votare, come stabilito dalla Costituzione . La scheda tecnica dell’ASGI sull’azione.

      https://www.asgi.it/primo-piano/mancata-ratifica-parlamento-memorandum-italia-libia-ricorso-corte-costituzional
      #memorandum

    • Italian work on Libya and migrants OK

      Italy’s work on migrants and Libya has been positive, Frontex chief #Fabrice_Leggeri told ANSA in an interview Tuesday.
      “Italy is working to use the resources allotted by the EU to find sustainable solutions for Libya” and the migrants held there, he said.
      "And for now it is going in the right direction, even though the conditions of the centres in Libya are not in line with our standards, and with basic humanitarian standards.
      “But that is not Italy’s fault, all the international community and not only the EU can help”.


      http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/02/20/italian-work-on-libya-and-migrants-ok_1cfcf7d8-b477-452c-aedf-86c0cfd48b48.html
      #Frontex #Leggeri

    • Migranti, l’accordo Italia-Libia finisce davanti alla Corte costituzionale

      Era il 2 febbraio 2017 quando – alla vigilia di un importante vertice europeo a Malta in cui si sarebbe discusso anche di emergenza immigrazione – il Primo ministro Paolo Gentiloni siglava a Roma l’accordo col presidente del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Serraj: un memorandum in cui l’Italia si impegnava nei confronti della Libia a fornire strumentazioni e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi per lo sviluppo, per bloccare le partenze dei migranti in fuga. Un accordo con un Paese, è bene ricordarlo, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nelle cui carceri i migranti sono quotidianamente oggetto di violenze e soprusi.

      https://left.it/2018/02/28/migranti-laccordo-italia-libia-finisce-davanti-alla-corte-costituzionale

    • Le patrouilleur 648 qui a menacé Open Arms, un cadeau de l’Italie à la Lybie.

      L’UE a entrainé l’équipage du bateau qui a joué un rôle dans plusieurs incidents avec des ONG de sauvatage.

      CRISTINA MAS Barcelona 25/03/2018 00:21

      Le bateau de patrouille des gardes-côtes libyens qui a menacé dans les eaux internationales les volontaires d’Open Arms le 15 mars afin qu’ils leur livrent les femmes et les enfants qu’ils étaient en train de secourir, était un cadeau de l’Italie à la Libye. La même embarcation, qui porte le numéro d’identification 648 et le nom de Ras al Jadar, a joué un rôle dans plusieurs autres incidents avec d’autres bateaux des ONG SeaWatch et SOS méditerranée, qui travaillent au sauvetage de naufragés en Méditerranée.

      Entre 2009 et 2010, le Premier ministre italien Silvio Berlusconi a alors accordé six patrouilles aux garde-côtes libyens dans le cadre de l’accord amical signé avec le dictateur libyen Mouammar Kadhafi. Le texte prévoyait la construction d’un système de radar dans le but de surveiller les frontières du désert et des patrouilles maritimes conjointes dans les eaux libyennes et internationales pour empêcher que des bateaux quittant la Libye arrivent en Italie.

      Mais la vie des six bateaux de patrouille donnés à Kadhafi – toutes du modèle Bigliani, qui étaient auparavant au service du corps militaire Guardia di Finanza - était aussi courte que la période à laquelle le dictateur a survécu au pouvoir. Le 17 février 2011, le printemps arabe atteint la Libye avec une révolte qui a déclenché une intervention de l’OTAN et s’est terminée avec la mort de Kadhafi huit mois plus tard. Deux des embarcations ont été détruites dans les combats, et les quatre autres, dont le 648, ont été réparés à l’usine navale de Fiamme Gialle de Miseno (Naples). En avril dernier, l’Italie les a rendue au gouvernement de Tripoli.

      L’incident du 15 mars avec Open Arms n’est pas le premier d’une ONG avec ce bateau de patrouille. Le 6 novembre, l’ONG allemande Sea Watch, travaillant dans la même région, a rapporté qu’à 30 miles de la côte libyenne la même patrouille a interféré dans un sauvetage.

      Les migrants à bord ont pris panique, le bateau des gardes-côtes les a rattrapé, certains naufragés ont pu grimper sur le bateau de patrouille sans que les agents ne les aident et, une fois à bord, comme on peut le voir sur la vidéo enregistrée par l’ONG, les gardes-côtes les ont frappés avec les amarres du bateau.

      Un jeune a tenté de descendre pour atteindre le bateau de l’ONG et est resté suspendu à l’échelle, au moment où le bateau libyen a accéléré et mis sa vie en danger. Au moins cinq migrants sont morts dans l’opération, des décès qui selon Sea Watch auraient pu être évités.

      Le 4 mars, le navire Aquarius, de l’ONG SOS Mediterranée, a également subi l’hostilité de la patrouille 648, qui s’est approchée d’eux au cours d’une collision sans répondre à leurs avertissements radio et finalement ils leur ont ordonné de quitter le site, à 17 milles au large de la côte, alors même s’ils étaient à la recherche d’un bateau.

      Un autre vaisseau d’Open Arms a eu, en août, un incident avec un autre bateau de patrouille donné par l’Italie, le 654, qui les a menacé avec deux rafales de balles tirée en l’air et une semaine plus tard les a forcés à naviguer pendant environ deux heures en direction de Tripoli en disant qu’ils étaient sous sa protection.

      Rome et l’ensemble de l’UE ont choisi l’un des trois gouvernements qui se disputet le pouvoir dans la guerre civile en Libye, celui dirigé par le Premier ministre Faiez al-Sarraj, qui a le soutien de l’UE et de l’ONU, mais ne contrôle seulement qu’un tiers du pays. La Libye est plongée dans un conflit sans front avec des centaines de milices armées.

      Le Premier ministre italien Paolo Gentiloni et Al-Sarraj ont signé le 2 février 2017 un protocole d’accord - dans le cadre de l’accord signé par Berlusconi et Kadhafi - qui établit une coopération bilatérale dans les domaines du développement, l’immigration illegale, le trafic d’êtres humains, la contrebande et le renforcement de la surveillance des frontières entre l’Italie et la Libye. L’Italie livrera à Tripoli six patrouilles supplémentaires totalement neuves.

      L’Espagne s’est proposé de former 100 garde-côtes libyens dans la base navale de Carthagène. Dans le cadre de l’opération Sophia de l’OTAN, le programme de formation de la Garde côtière libyenne financé par l’UE avec 46 millions d’euros a déjà formé 93 agents dans un navire italien et dans un autre navire néerlandais. 43 officiers supplémentaires ont été formés en Crète, à Malte et à Rome.

      Human Rights Watch lance un cri d’alarme : « Aider les autorités libyennes à capturer des immigrés en haute mer, sachant qu’ils les rendront à un traitement cruel, inhumain ou dégradant dans une détention arbitraire, expose l’Italie et d’autres pays de l’UE à participer à une violation grave des droits de l’homme ». Les accusations ne viennent pas seulement des ONG. Le groupe d’experts de l’ONU sur la Libye a rappelé que « les abus contre les migrants ont été largement collectés, y compris les exécutions, la torture ou la privation de nourriture, d’eau et de médicaments », et prévient que « le département contre l’immigration (libyen) et la garde côtière (italienne) sont directement impliqués dans ces graves violations des droits de l’homme. » Avec les accords d’externalisation du contrôle des frontières de l’UE, le témoignage des ONG en Méditerranée centrale devient de plus en plus gênant."

      Traduction, reçu via la mailing list de Migreurop, de cet article paru en catalan:
      La patrullera #648 que va amenaçar Open Arms, un regal d’Itàlia a Líbia

      La UE va entrenar la tripulació del vaixell que ha protagonitzat diversos incidents amb ONGs de rescat


      https://www.ara.cat/internacional/patrullera-amenacar-Open-Arms-Libia_0_1984601662.html
      #Open_arms

    • Texte publié par SOS Méditerranée, sur twitter (17.04.2018) :

      UPDATE while searching for the boat in distress, the #Aquarius was informed the Libyan coastguard took coordination over 2 boats in distress today. This means more people were taken back to a place where their safety is not guaranteed.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986294580097224705

      v. aussi :

      UPDATE The #Aquarius was alerted to a boat in distress earlier today. This afternoon, the crew of the #Aquarius found this empty and slashed rubber boat in international waters off the coast of #Libya.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986267126087503872

      #refoulement #push-back

    • Cercate i guardacoste libici? Telefonate a Roma: 06/…

      È un numero di telefono a rivelare il rapporto, forse un po’ troppo stretto, tra Roma e Tripoli. Una utenza che corrisponde a un interno della Marina militare italiana, stampato, come recapito del mittente, su un modulo di messaggi utilizzato dalla Guardia costiera libica. Il documento, di cui pubblichiamo il dettaglio, ha consultato porta la […]

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/cercate-i-guardacoste-libici-telefonate-a-roma-06

    • Sur le site de la Défense italienne...
      Un article de août 2017:
      Nave #Tremiti nel porto libico di #Abu_Sittah

      Dopo il pattugliatore Comandante Borsini che ha sbarcato nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah) il personale italiano che opererà a supporto della Guardia costiera libica, è giunta ieri nel porto della nostra ex colonia Nave Tremiti, una delle 6 unità da 750 tonnellate per il trasporto costiero della Classe Gorgona.

      La nave è destinata a garantire supporto tecnico ai mezzi navali libici nell’ambito della cooperazione italo-libica e in applicazione dell’accordo tra i due Paesi del 2008 “riesumato” dal governo di Fayez al-Sarraj.


      http://www.analisidifesa.it/2017/08/nave-tremiti-nel-porto-libico-di-abu-sittah

      –-> j’aime bien l’expression «accordo riesumato» = «accord ressuscité»

      Et puis cette nouvelle, de 30 mars 2018:
      Missioni Militari: Nave #Caprera sostituisce la #Capri nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia

      È previsto nella giornata di oggi il “passaggio di consegne” tra Nave Capri e Nave Caprera nell’ambito della Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia.

      In particolare, a questo assetto navale compete, prioritariamente, l’attività di supporto logistico e tecnico-manutentivo dei battelli della Marina e della Guardia Costiera libiche. Nave Caprera giungerà domani al porto di Tripoli, da dove comincerà la sua missione della durata di circa quattro mesi.

      Nave Capri aveva iniziato la sua attività a dicembre dello scorso anno, subentrando a Nave Tremiti, e nei suoi circa quattro mesi di missione ha svolto consulenza e formazione del personale militare libico della Marina e della Guardia Costiera nelle attività di manutenzione, riparazione e ripristino dell’efficienza delle unità navali libiche.

      L’operazione, inizialmente inquadrata nell’operazione “Mare Sicuro”, era stata avviata ad agosto dello scorso anno, in seguito alla richiesta di supporto avanzata dal Governo di Accordo Nazionale libico al Governo italiano. Per assolvere con efficacia i compiti assegnati, a bordo delle unità navali italiane della “classe Gorgona” – selezionate per alternarsi in questo specifico incarico di natura tecnico-logistica – è prevista la presenza di un container attrezzato a officina meccanica, oltre che di due ulteriori team di personale tecnico-specialistico.

      https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/notizie_teatro/Pagine/Nave_Caprera_sostituisce_la_Capri_nella_missione_bilaterale_di_assistenza_e_s

      #operazione_Mare_Sicuro

    • "Playing with Molecules": The Italian Approach to Libya

      Cette étude met en lumière la manière dont la politique étrangère italienne a choisi en Libye de traiter avec les divers éléments, ou « molécules », d’un pays entré en décomposition.
      La politique impulsée par le gouvernement Gentiloni, et en particulier le ministre de l’Intérieur Marco Minniti, a composé avec les différents acteurs pour « repriser » et stabiliser le terrain, afin de mieux gérer les flux de migrants et les activités illégales en Méditerranée, mais aussi de sécuriser l’approvisionnement énergétique de l’Italie. Cette approche « moléculaire » est à double tranchant : alors que les flux migratoires se sont réduits, que les relations économiques s’intensifient et que les coopérations informelles créent de nouveaux espaces de dialogue, le manque de vision stratégique dans la mise en avant de nouveaux acteurs pourrait nuire aux perspectives de paix et in fine, aux relations entre l’Italie et la Libye.


      https://www.ifri.org/fr/publications/etudes-de-lifri/playing-molecules-italian-approach-libya

    • Most Libyan militias involved in illegal migration activities nominally affiliated to official state security institutions: UN Libya Experts Panel report

      Most Libyan militias involved in illegal migration activities are nominally affiliated to official state security institutions, the UN Libya Experts Panel report states in its section on human trafficking and financing of armed groups.

      ‘‘Armed groups, which were party to larger political-military coalitions, have specialized in illegal smuggling activities, notably human smuggling and trafficking. The drastic rise in the numbers of migrants starting in 2014 indicates that illegal migration in Libya is not the preserve of isolated armed groups but of much larger coalitions. Most armed groups involved in these illegal activities were nominally affiliated to official security institutions. In 2014, the number of migrants that took the central Mediterranean route (great majority through Libya) was 170,664, compared to 45,298 and 15,151, respectively in 2013 and 2012.

      Role of SDF and links with smugglers

      The Special Deterrence Force (SDF) is an armed group affiliated to the Government of National Accord’s Ministry of Interior, with policing and security functions, including investigation of human traffickers and the arrest of illegal migrants.

      Testimonies of migrants, originating from Eritrea, reveal that when they reached Tripoli from Bani Walid in July 2016, they were arrested by SDF. They confirmed that, once arrested by SDF, they were handed over, against payment, to various migrant smuggling rings for onward journeys to Zawiyah and Sabratha.

      Some were handed over to the Mitiga detention centre, while others were taken to the Tajura and Abu Slim detention centres. These three centres are theoretically subordinated to the Ministry of Interior’s Department Combatting Illegal Migration (DCIM). The group detained in Mitiga had to pay the SDF between 300 and 400 USD each, for their release and transfer from Tripoli to Sabratha.

      Four Bangladeshis told the Panel that they landed in Tripoli from Dhaka on 15 July 2015, holding valid Libyan work visas. On arrival, SDF seized their passports and detained them for three months in Mitiga. They were subsequently transferred to Sabratha, and sent on boats against their will to Europe after being extorted of 300 USD paid in cash to the SDF elements.

      The Panel is assessing whether the SDF’s leadership was aware of collusion and trafficking being conducted within its ranks.

      Role of Eritrean smugglers

      In Tripoli, a well-structured network of smugglers coming from East Africa has operated since 2008. Multiple testimonies collected and corroborated by judicial authorities indicate that the leadership is composed of two Eritreans living in Tripoli, Ermias Ghermay and Abd al-Razzak Fitwi.

      They play a key role in organizing the smuggling from the migrants’ homeland to Italy against substantial payments. Interviewees claimed that Fitwi acts as a broker and receives up to 1,500 US dollars per person, to release the migrants held in the official detention centres in Tripoli and to send them to Sabratha.

      An armed group member from Tripoli, told the Panel that Fitwi and Ghermay paid substantial fees to prominent armed groups to pursue their activities and to guarantee their safety. They also have private detention camps in Tajura, Abu Slim and Gargaresh guarded by Africans. From there they transport migrants to Sabratha or Zawiyah.

      Use of State detention facilities for trafficking

      The Directorate Combatting Illegal Migration (DCIM) is responsible for 24 detention centres and employs 5,000 staff. Under Libyan legislation, the migrants are detained because they are considered as illegal aliens, subject to investigation by judicial authorities.

      According to international agencies, the DCIM has no control over its detention centres. The administration is almost non-existent, and records on the migrants, who have been detained, are poor. A minister of the GNA admitted in a discussion that the armed groups are stronger than the authorities in handling the flows of migrants. Several migrants also confirmed that the local armed group controlled the centres they stayed in.

      Smugglers in Sabratha

      Sabratha is the main departing point of migrants to Italy. The city is divided between two competing armed groups involved in migrant smuggling. The eastern zone is under control of Mosab Abu Grein al Wadi armed group. The western zone is held by Ahmad al-Dabbashi’s Martyr Anas al-Dabbashi Brigade.

      Anas al-Dabbashi Martyr Brigade

      The commander of Anas al-Dabbashi Martyr’s Brigade, Ahmad al-Dabbashi (alias al- ‘Amu), was the main smuggler in Sabratha from 2014 until he was ousted in October 2017. West African migrants rescued in Lampedusa in April 2017 testified in Italy on al-Dabbashi’s modus operandi.

      The interviewees were forced to call their families to transfer money to specific bank accounts located in Europe, Africa or the Middle East. From October 2016 to April 2017, they had to pay up to 2,000 USD each for their travel. The money was extorted by armed guards composed of Libyans, Nigerians and Gambians. The African guards work for three months to pay their own migration to Europe. The interviewees sailed, on 13 April 2017, with two of their former guards from Sabratha to Lampedusa.

      The Panel is investigating the GNA’s creation and financing of the anti-illegal migration unit, “Brigade 48”. Although it was supposedly under the Ministry of Defence and the Chief of Staff, sources stated that al-Amu’s brother, Mohamed al-Dabbashi, headed it. In summer 2017, al-Dabbashi’s brigade had apparently shifted from trafficking to policing migrants for the GNA’s account.

      Furthermore, several open sources reported an alleged deal with al-Dabbashi to contain the migration flows from Sabratha. Although the information was denied, it triggered violent clashes between competing armed groups involved in smuggling. Ahmad al-Dabbashi was defeated and escaped Sabratha on 6 October 2017. The PC dissolved the Brigade 48 on 16 November 2017.

      Role of Mos’ab Abu Grein

      Mos’ab Abu Grein (alias “The Doctor”), a leader of al-Wadi Brigade, operates in the eastern part of Sabratha. He is connected to a network of smugglers composed of Salafi armed groups in Tripoli, Sebha and Kufra. The Panel interviewed three different Eritrean migrants who reported that they were taken from SDF’s Mitiga detention centre to the Abu Grein facility in Sabratha in July 2016. They were detained in a hangar with African guards from where Abu Grein organizes departures on inflatable rubber boats to Italy.

      The interviewees said they paid Abu Grein 1,500 USD cash via a Nigerian broker to cross the Mediterranean. According to official sources, Mos’ab Abu Grein enjoys impunity for his activities in migrant smuggling because he collaborates with the SDF to counter drug traffickers, consumption of alcohol and combats alleged links of Sabratha and Zawiyah traffickers to listed entities such as ISIL.

      Abu Grein and Dabbashi have been in close competition, both seeking to monopolize the trafficking in Sabratha. From 21 September, Abu Grein supported the anti-ISIL Operation Room (AIOR) to combat the Brigade 48 armed group. The Panel notes that the warring parties, the AIOR and the Brigade 48, were officially financed by the GNA until the conflict broke out in Sabratha.

      Zawiyah

      Al Nasr Brigade and the Coast Guards

      Between Tripoli and Sabratha, Zawiyah port plays a distribution role. According to interviews of migrants and judicial reports, ‘Al Nasr Brigade’ 56, headed by Mohamed Koshlaf, and Zawiyah Coast Guards, was connected to Ahmad al-Dabbashi’s organization. Several migrants paid 100,000 to 150,000 Francs CFA57 to a Burkinabe broker operating between Koshlaf and the migrants.

      Other interviewees, who travelled in April 2017, asserted that their group left Zawiyah by night, crammed on a 10-meter inflatable rubber boat. While at sea, men with an official boat and wearing Coast Guard uniforms stopped them. They shot in the air and extorted the passengers’ money and valuables. When the boat arrived at calling distance off the Italian shores, the same official boat returned to seize the rubber boat’s engine. Similar incidents have been reported previously.

      Southern Region

      Brigade Subul al-Salam

      Eritrean and Ethiopian interviewees described their transfer, in January 2015, from the Sudanese border to Al Kufra. An Eritrean fixer, called Afra Waiki, transported and handed them over to an armed group, Brigade Subul al-Salam, affiliated with the LNA and under the command of Abd al Rahman Hashem from the Zway tribe in al-Kufra.

      The interviewees said they were put in a prison where the guards were dressed in police uniforms and driving official police cars. For their release, each migrant had to transfer up to 300 USD to a foreign bank account. In July 2015, they could continue their travel to Bani Walid driven by another Eritrean fixer known as Wadi Isaaq.

      Role of Tebu armed groups and Sudanese armed groups

      Sources indicated active involvement of Tebu and Darfuri armed groups, supported by Darfuri mercenaries in the south, in migrant smuggling. They operate particularly in the Tamassa region, in the south west of Jebel Arrush, Murzuq and al Kufra. The Tebu manage their own warehouses for migrants while Darfuri armed groups provide protection and escort to the traffickers.

      Recent developments have shown attempts to counter the groups involved in migrant smuggling. In September 2017, an armed group called the ‘Suqur al Sahara’ headed by the Tebu commander, Barka Shedimi, claimed the closure of the borders with Niger, Sudan and Chad to halt human trafficking. Similarly, a coalition of armed groups linked to Murzuq Municipality also created their own border protection force. The Panel is investigating these decisions, particularly the political and the financial motivations behind them”.

      https://www.libyaherald.com/2018/03/11/most-libyan-militias-involved-in-illegal-migration-activities-nominally
      signalé par @isskein via Fulvio Vassallo sur FB

    • Sauvetage de migrants : tensions entre gardes-côtes et ONG au large de la Libye

      Plusieurs associations dénoncent le traitement infligé aux migrants par les garde-côtes libyens. Ces derniers travaillent en coordination avec l’Italie.

      Toujours pas d’apaisement en Méditerranée entre ONG et gardes-côtes libyens. Ce week-end, plusieurs navires humanitaires souhaitant s’approcher d’embarcations de migrants en détresse se sont vus refuser l’accès.

      « Les Libyens agissent comme des pirates dans les eaux internationales, exigeant que leur soit reconnue une autorité. Ils agissent hors du droit et ils le font avec des moyens fournis par le gouvernement italien », a accusé sur Twitter le député italien de gauche Riccadro Magi. Samedi, il était à bord de l’Astral, un voilier appartenant à l’ONG Proactiva Open Arms, lorsqu’une vedette libyenne a ordonné au navire de s’éloigner.

      Bis repetita dimanche avec l’Aquarius. Ce bateau, affrété par SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) avait été prévenu par les gardes-côtes italiens de la présence d’un canot surchargé au large de Tripoli. Mais Rome a aussi prévenu ses homologues libyens, qui ont pris la coordination de l’opération et interdit au navire de s’approcher. Leur a également été demandé de s’éloigner quand des migrants ont sauté à l’eau pour tenter d’éviter d’être reconduits en Libye. En début de soirée, la marine libyenne a annoncé avoir secouru plus de 300 migrants dans trois opérations distinctes, faisant état d’un mort et d’un disparu.

      Flou autour de l’identité de ces gardes-côtes

      Le porte-parole de la marine libyenne a prévenu que les tensions avec les ONG risquent de s’aggraver dans les prochains jours, les navires humanitaires « s’approchant de plus en plus » des eaux libyennes, selon M. Kacem. La Libye, qui accuse les ONG d’être liées aux réseaux de passeurs, est soutenue par l’Italie et l’Union européenne qui finance la formation de ces officiers dans cette région en proie aux tensions inter-tribales.

      « Certains ont des uniformes mais on ne sait pas qui ils sont vraiment, décrivait pour le Parisien Francis Vallat, président de SOS Méditerranée. Certains dépendent du gouvernement libyen reconnu internationalement, tandis que d’autres relèvent de chefs féodaux plus ou moins provinciaux. On ne sait pas si ces gens respectent le droit. En tout cas, ils ont une attitude qui permet d’en douter. »

      LIRE AUSSI >Des migrants « secourus » sur fond d’accusations de traitements inhumains

      Trois responsables de l’ONG Proactiva Open Arms font actuellement l’objet d’une enquête judiciaire en Italie pour avoir refusé de remettre des migrants aux Libyens lors d’une opération mi-mars. Même si un juge a estimé qu’ils avaient agi « en état de nécessité » compte tenu de l’insécurité pour les migrants en Libye.
      La crainte de l’« enfer libyen »

      Le pays fait régulièrement l’objet de critiques pour les traitements infligés aux migrants, notamment africains, qui passent sur son territoire dans l’espoir de rejoindre l’Europe pour une vie meilleure. En novembre, CNN révélait au monde abasourdi l’existence de ventes aux enchères d’hommes réduits aux rangs d’esclaves, dans une vidéo glaçante tournée près de Tripoli, la capitale libyenne.

      Cette semaine, MSF a dénoncé la situation dans un centre de détention libyen à Zouara (ouest), où ses équipes ont vu plus de 800 personnes tellement entassées qu’elles ont à peine la place de s’allonger, « sans un accès adéquat à l’eau et à la nourriture ».

      LIRE AUSSI >Esclavage en Libye : Ousmane a vécu six mois d’enfer dans les geôles libyennes

      La coordination entre Rome et Tripoli a fait chuter drastiquement les départs vers les côtes européennes. Selon les autorités italiennes, près de 9 500 migrants ont débarqué cette année, soit une baisse de 75 % par rapport à la même période en 2017. Dans le même temps, les gardes-côtes libyens ont secouru et ramené en Libye plus de 5 000 migrants, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui fait aussi état d’un bilan d’au moins 379 morts ou disparus au large de la Libye.

      http://www.leparisien.fr/international/sauvetage-de-migrants-tensions-entre-gardes-cotes-et-ong-au-large-de-la-l

    • Riportati dalla Guardia costiera in Libia, torturati e venduti : le associazioni fanno ricorso alla CEDU

      Ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani contro l’Italia per aver coordinato la Guardia Costiera libica nei respingimenti che hanno portato ad abusi e al decesso di migranti

      Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori. L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc. Nella conferenza stampa verrà illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani e verrà presentato un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture che ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.

      https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/migranti-libia-guardia-costiera-cedu
      #CEDH

    • Un article d’avril 2017

      L’accordo tra Italia e Libia potrebbe favorire il traffico di migranti

      A Gaeta è una giornata di sole, i battaglioni della guardia di finanza sono schierati davanti al mare sulla terrazza della caserma Bausan, stretta tra il golfo e la cittadina fortificata. In mare le due motovedette che l’Italia restituirà alla guardia costiera libica si esibiscono in caroselli a sirene spiegate. Un elicottero sorveglia la parata. Il ministro dell’interno Marco Minniti è arrivato da Roma per assistere alla riconsegna alla guardia costiera libica di due motovedette. Erano state donate dall’Italia alla Libia nel 2009, ma erano state danneggiate nel 2011 durante la guerra in Libia, e restituite agli italiani nel 2012.

      “Entro l’anno ne saranno consegnate in tutto dieci”, dice il ministro, che nel suo discorso definisce la guardia costiera libica “la più importante struttura nel Nordafrica” per il controllo dell’immigrazione irregolare. Poco dopo, Minniti consegna i diplomi ai venti cadetti libici che hanno seguito un corso di addestramento a Gaeta per tre settimane. Altri diciannove saranno formati nelle prossime settimane dalla scuola nautica della guardia di finanza, per un totale di quattro equipaggi.

      L’obiettivo del governo italiano, espresso nel memorandum d’intesa con la Libia firmato il 2 febbraio, è affidare ai libici il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano ogni giorno dalle coste del paese africano a bordo d’imbarcazioni di fortuna. Dall’inizio del 2017 ne sono stati soccorsi più di 30mila, mentre quelli che hanno perso la vita durante la traversata sono stati più di mille. Il presidente del governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha chiesto all’Italia di investire 800 milioni di euro nella cooperazione per fermare l’arrivo dei migranti.

      Adel, Hamza e Omar sono alcuni degli ufficiali della guardia costiera libica che partecipano alla cerimonia di Gaeta: maglione blu a coste e cappellino da baseball. “In Libia la situazione non è per niente tranquilla”, dice Adel, gli occhi verdi e il volto scavato, in un italiano stentato, dopo la fine della cerimonia, mentre mangia pasticcini insieme ai compagni sotto coperta, all’interno della motovedetta appena riconsegnata a cui è stato dato il nome di Sabratha. “La guerra non è proprio finita”, continua Adel sorridente.

      Alleati affidabili?
      Il governo italiano conosce bene la situazione drammatica in Libia e molte inchieste hanno denunciato casi di corruzione della guardia costiera del paese, eppure Roma sembra determinata a perseguire il suo progetto di cooperazione con Tripoli per fermare la partenza dei migranti, anche se il memorandum d’intesa è stato sospeso dalle autorità libiche, nell’attesa che un tribunale ne stabilisca la legittimità.

      “Fermeremo le imbarcazioni che partono dalla Libia”, ha detto Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. “Quelli che saranno soccorsi saranno portati nei centri di detenzione più vicini”, ha assicurato durante la cerimonia di Gaeta. La rete televisiva tedesca Ard ha rivelato che il governo di Tripoli ha chiesto all’Unione europea di armare la guardia costiera libica con altre 130 imbarcazioni di vario tipo, alcune delle quali dotate anche di mitragliatrici per fermare la partenza dei migranti dalle coste.

      Molti esperti, tuttavia, hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

      Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

      “In Libia non si può parlare di un’unica guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI). “Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.

      Iacovino spiega che non si può escludere che in alcune zone “esponenti della guardia costiera libica si facciano pagare delle tangenti dai trafficanti per consentire alle imbarcazioni di lasciare la costa e giungere nelle acque internazionali”.

      Questa ipotesi è stata confermata da un rapporto dell’operazione navale europea EunavforMed, citato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che denuncia la collusione tra la guardia costiera di Zawiya e i trafficanti di esseri umani. In un articolo, pubblicato sull’Espresso, i giornalisti Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi hanno descritto un fenomeno simile: la guardia costiera libica vende le persone recuperate in mare alle milizie, che gestiscono dei centri di detenzione illegali.

      Nell’agosto del 2016 una nave dell’ong Medici senza frontiere, che soccorreva i migranti in mare, è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica; il 21 ottobre del 2016 una nave dell’ong tedesca Sea-watch ha denunciato che la guardia costiera libica ha picchiato i profughi imbarcati su un gommone al largo della Libia. Un video pubblicato dal Times nel febbraio del 2017 mostra, infine, percosse e maltrattamenti dei guardacoste libici ai migranti.

      Il mercato degli schiavi
      “I migranti spesso ci dicono che preferirebbero morire piuttosto che tornare in Libia”, racconta Riccardo Gatti dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva open arms, che effettua soccorsi in mare. “Mi ricordo di un ragazzo bangladese che aveva minacciato di buttarsi in mare quando un’imbarcazione della guardia costiera libica si era avvicinata alla nostra nave”. Dall’inizio del 2017 i guardacoste e i pescatori libici hanno recuperato circa quattromila migranti al largo della Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, conferma: “I trafficanti dicono ai migranti di mettersi in mare prima di giugno, cioè prima che la guardia costiera libica sia di nuovo attiva e impedisca la partenza delle imbarcazioni”.

      Di Giacomo aggiunge: “Sappiamo che ci sono persone che collaborano con la guardia costiera e che in realtà sono trafficanti”. L’Oim ha recentemente denunciato un “mercato degli schiavi” in cui una persona può essere venduta per duecento dollari. “Da anni i migranti ci raccontano che in Libia vengono sequestrati da miliziani che chiedono un riscatto alle famiglie per liberarli oppure li vendono ad altri trafficanti”, racconta Di Giacomo.

      “Non appena passano il confine tra il Niger e la Libia e arrivano a Sabha, i migranti cadono nelle mani delle milizie. Sono rapinati, rapiti, reclusi nei centri di detenzione. A Sabha corrono il rischio di essere venduti in un vero e proprio mercato degli schiavi, come lo definiscono loro stessi, che si svolge nei parcheggi e nelle piazze”, spiega Flavio Di Giacomo.

      L’ambasciatore libico in Italia ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti

      L’Oim è una delle poche organizzazioni umanitarie ad avere accesso a una decina di campi di detenzione intorno alla capitale libica, Tripoli, dove sono rinchiuse circa seimila persone. In totale, secondo le Nazioni Unite, ci sono una cinquantina di campi in tutto il paese, ma i centri dove sono reclusi i migranti potrebbero essere molti di più. “Più lavoriamo in Libia, più ci rendiamo conto che è una valle di lacrime per i migranti. I centri sono prigioni, posti disumani”, spiega Di Giacomo. La sua denuncia è confermata da Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, che ha visitato sette campi intorno a Tripoli e assicura che in Libia “tutti i campi di detenzione sono in mano alle milizie, non ci sono campi controllati dal governo”.

      Hehenkamp si è detto sconvolto da ciò che ha visto nei centri: “Persone che non hanno più dignità né autonomia, a completa disposizione dei carcerieri. Alcuni mi hanno raccontato di nascosto, sussurrando, gli abusi subiti: non possono parlare e sono terrorizzati dalle ritorsioni”.

      L’ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri, ma ne ha minimizzato l’importanza. “Le violazioni ci sono state e ce ne saranno ancora nei campi, ma non possiamo generalizzare”, ha detto il 21 aprile a Gaeta. “In Libia non ci sono nemmeno le leggi per regolarizzare la presenza di cittadini stranieri, perché la Libia è un paese di transito. Ci sono campi di detenzione, campi per il rimpatrio, campi dove si aspetta di essere espulsi. Il governo libico ha bisogno del sostegno dei partner europei per garantire una situazione migliore”, ha concluso.

      Una frontiera che non esiste
      Per fermare l’arrivo di migranti in Europa, l’Italia sta investendo anche sul controllo della frontiera meridionale libica, un’area di confine in mezzo al deserto, da secoli attraversata dalle rotte migratorie e controllata dai trafficanti. Il 31 marzo a Roma il governo italiano si è fatto garante di un accordo di pace firmato da una sessantina di gruppi tribali che vivono nel sud del paese e che dall’inizio della guerra civile se ne contendono il controllo. Dopo la firma dell’accordo di pace, il ministro Minniti ha precisato che “una guardia di frontiera libica pattuglierà i cinquemila chilometri della frontiera meridionale del paese”.

      Minniti ha ribadito che mettere in sicurezza quel confine significa “mettere in sicurezza la frontiera meridionale dell’Europa”. Molti hanno però sollevato dubbi sul fatto che questo accordo possa funzionare, sia per la vastità della zona da controllare sia per gli interessi in gioco. “Si tratta di zone desertiche, molto insicure, zone che da sempre sono lo scenario di traffici di armi, di droga e di esseri umani”, spiega Giuseppe Loprete dell’Oim, che è appena tornato da una missione al confine tra il Niger e la Libia.

      “Le popolazioni dei tubu e dei tuareg presenti in Libia sono presenti anche in Niger, la frontiera per loro non esiste. Tra il nord del Niger e il sud della Libia c’è un rapporto di continuità: è importante che le comunità locali siano coinvolte in qualsiasi tipo di negoziato”, dice Loprete che sottolinea un aspetto importante, ma sottovalutato: “L’immigrazione irregolare è una fonte di guadagno per le comunità locali”.

      Dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali

      Lo conferma Virginie Colombier, esperta di Libia e ricercatrice dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Soprattutto dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali del sud e dell’ovest della Libia”. Questa regione è il principale punto d’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’area del Sahel e, più in generale, dall’Africa subsahariana.

      Si tratta di una zona isolata, dove non ci sono infrastrutture, reti di comunicazione, strutture sanitarie. In quella regione, inoltre, sono in gioco importanti interessi economici internazionali: passano i principali traffici illeciti diretti in Europa e in Nordafrica (commercio di droga e di armi) e ci sono pozzi petroliferi. “L’Italia ha tutto l’interesse a ristabilire la sicurezza nel sud e nell’ovest del paese, perché in quel territorio sono presenti alcune grandi aziende italiane attive nel settore del petrolio e del gas”, spiega Colombier.

      Secondo la studiosa francese, il governo di AlSarraj non riesce ad assicurare il controllo del territorio e per questo Roma ha deciso di intraprendere azioni dirette come l’accordo tra i gruppi tribali del sud del paese. “Una delle questioni centrali è la situazione nella città di Sabha; il centro urbano più popoloso dell’area, conteso tra i diversi gruppi”, continua Colombier.

      Prima del 2011, alcuni accordi di pace informali avevano garantito al governo di Tripoli di controllare – almeno in parte – il confine, ma questi accordi sono falliti dopo la caduta di Muammar Gheddafi e diverse tribù hanno cominciato a contendersi il controllo delle principali rotte dei traffici illegali. L’Italia sta cercando d’intervenire e di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, “un passo preliminare che potrebbe assicurare agli italiani un’influenza nella regione anche in futuro”. Tuttavia, secondo Colombier, “l’accordo difficilmente avrà effetti concreti nel breve periodo, né servirà a fermare l’immigrazione irregolare”.

      Per Gabriele Iacovino al momento una delle questioni problematiche è l’interesse che il generale Khalifa Haftar, in conflitto con il governo di Tripoli, ha manifestatoperalcuni impianti petroliferi nella regione di Sabha. Queste azioni militari non fanno altro che minacciare i fragili equilibri nella regione meridionale del paese. “Interrompere il cessate il fuoco tra tebu e tuareg, le due principali tribù nel sud del paese, può compromettere ulteriormente il processo di stabilizzazione del paese”, conclude Iacovino.

      Nel frattempo, però, la situazione in Libia è talmente disperata che sta aumentando il numero di persone disposte a tornare in Niger. Lo conferma l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha osservato il fenomeno nei suoi cinque centri per migranti in Niger. “Quelli che sono abbandonati nel deserto, quelli che non ce la fanno ad arrivare sulla costa, quelli che hanno finito i soldi, tornano spesso in Niger, nel nostro centro a Dirkou”, racconta Loprete. Quando tornano hanno storie disperate. Hanno fatto il viaggio, con tutte le difficoltà che comporta, ma non hanno ottenuto quello che speravano.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera

    • Meeting of Libyan, Italian officials revolve around illegal migration, southern borders security

      Libyan officials from different authorities met with the Italian ambassador to Libya, Giuseppe Perrone, and a delegation from the Italian defense and interior ministries as well as representatives of the Italian Prime Minister at the coast security department’s headquarters in Tripoli on Thursday.

      https://www.libyaobserver.ly/news/meeting-libyan-italian-officials-revolve-around-illegal-migration-sout

    • Libia-Italia: ministro Interno #Minniti atteso oggi a Tripoli

      Tripoli, 15 mag 09:35 - (Agenzia Nova) - Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è atteso oggi a Tripoli per una visita a sorpresa. Lo hanno riferito ad “Agenzia Nova” fonti libiche secondo le quali il titolare del Viminale incontrerà funzionari del governo di accordo nazionale. Minniti dovrebbe tenere una conferenza stampa nel corso della giornata nella base navale di Abu Seta, vicino Tripoli. La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti. L’Italia ha recentemente consegnato alla Guardia costiera libica due motovedette riparate nel nostro paese. Le due motovedette erano state inviate in Italia nel 2013 per essere riparate e sarebbero dovute rientrare in servizio nell’agosto del 2014.

      Lo scorso 2 febbraio il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e l’Italia. L’accordo prevede che la parte italiana si impegni “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Non solo: l’intesa prevede anche il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, “la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza”, “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine”. (Lit) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

      https://www.agenzianova.com/a/59195c42c137d4.06358231/1565108/2017-05-15/libia-italia-ministro-interno-minniti-atteso-oggi-a-tripoli/linked

    • Italy tries to bolster Libyan coast guard, despite humanitarian concern

      Italy gave the Libyan coast guard four repaired patrol boats on Monday to beef up Libya’s efforts to stop people smuggling, but the support worries humanitarian groups operating rescue ships near the Libyan coast.


      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-idUSKCN18B2E5?feedType=RSS&feedName=worldNews
      cc @i_s_

    • L’Italie a signé un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger pour contenir l’afflux de migrants

      Selon le bilan diffusé lundi par le ministère de l’Intérieur italien, 50 041 migrants sont arrivés sur les côtes italiennes depuis le début de l’année. Un chiffre qui correspond à une hausse de plus de 45% par rapport à la même période l’an passé. Face à cet afflux, l’Italie a signé dimanche un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger.

      http://www.jeuneafrique.com/441266/societe/litalie-a-signe-accord-libye-tchad-niger-contenir-lafflux-de-migrants

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      Centri di accoglienza per migranti rispondenti agli standard umanitari internazionali verranno costruiti in Ciad e Niger,due dei Paesi di transito delle migliaia di persone che dall’Africa sub sahariana raggiungono la Libia per poi imbarcarsi verso l’Italia. E’ uno dei risultati del vertice voluto dal ministro dell’Interno Minniti con i ministri dell’Interno di Libia, Niger e Ciad che si è tenuto al Viminale. I quattro ministri hanno siglato una dichiarazione congiunta.

      Secondo il Viminale si tratta di un punto di partenza per tentare di gestire il flusso di migliaia di senza speranza e spesso senza documenti che dall’Africa tenta di raggiungere l’Europa. Circa cinquemila uomini, donne e bambini diretti in Italia sono stati soccorsi al largo della Libia tra giovedì e sabato mattina dalle guardie costiere italiana e libica. Bisognerà vedere adesso se gli accordi messi nero su bianco nella dichiarazione congiunta troveranno applicazione nel deserto a sud della Libia, ma l’obiettivo e’ quello di arginare il fenomeno dove questo si origina e non in mare. Dalla Libia viene d’altronde il 90% di coloro che sbarcano in Italia e la quasi totalità è entrata nel paese nordafricano seguendo le rotte che dall’Africa occidentale portano ad Agades, in Niger, primo vero centro di smistamento di migliaia di esseri umani, o quelle che attraversano il deserto del Ciad e partono dall’Eritrea e dall’Etiopia.

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      L’Italia gioca una ruolo cruciale su questo aspetto visto che il Memorandum of understandig siglato il 2 gennaio a palazzo Chigi con la Libia prevede il completamento del sistema di controllo radar per il controllo dei confini al sud del paese già previsto dal trattato di Amicizia del 2008. Un sistema che dovrebbe realizzare Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, con una spesa prevista a carico dell’Italia di 150 milioni.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco
      #Tchad

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya

      On 10/11 May 2017 various news outlets reported a maritime operation by the Libyan authorities, in coordination with the Italian Search and Rescue Authority, in which 500 individuals were intercepted in international waters and returned to Libya. This operation amounted to refoulment in breach of customary international law and several treaties (including the Geneva Refugee Convention and the European Convention on Human Rights), and an internationally wrongful act is one for which Italy bears international legal responsibility.

      https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya

    • Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia

      Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia è solo una tappa della articolata strategia di esternalizzazione delle frontiere perseguita tanto dal nostro governo quanto dall’Unione Europea. A tutti i costi, e mettendo in secondo piano il rispetto dei diritti fondamentali. Ecco cosa c’è che non va nell’accordo e quali sono le sue conseguenze.

      http://openmigration.org/analisi/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sullaccordo-italia-libia/?platform=hootsuite

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172
      #aide_du_développement #coopération_au_développement #développement

    • commentaire reçu via la mailing-list migreurop (01.08.2017) :

      Elle a été déjà approuvée par le Conseil des Ministres Italiens. Demain le Président du Conseil en discutera aux commissions intéressées. Il s’agit d’une opération militaire italienne de soutien aux gardes cotes libyennes à l’intérieur des eaux territoriales libyennes suite à la demande de un des trois Gouvernement Libyen (celui de Al Serraj).
      L’Italie utiliserait donc – du 1 aout 2017 – deux bateaux militaires engagés aujourd’hui à l’extérieur des eaux libyennes dans l’opération Mare Sicuro (une opération qui a comme mission celle de la sécurité de la région, pas du tout celle de la migration). L’Italie ne prendra pas à bord des migrants, et si sera obligé à le faire les transbordera dans un bateau libyen avant de rejoindre le cotes libyennes.

      Il est évidente que de cette façon il y a un claire tentative de contourner le principe de non refoulement au quel l’Italie a l’obligation (et pour violation du quel a été déjà sanctionné). Il est intéressante aussi de voir que dans le Code de Conduit que le Gouvernement veut imposer aux Ong qui interviennent en mer, il y a interdiction de transborde. Mais si c’est l’Italie qui doit le faire pour contourner l’accusation de refoulement, alors cela semble accepté.

      L’opération devrait partir très rapidement, le 1 aout. Les bateaux sont prêtes, mais semble irréalisable la partie du “projet” italien qui prévoit des centres d’accueil à l’arrivés aux ports libyens gérés par l’UNHCR e OIM. Semblerait donc naturel que seront les camps d’enfermement la suite des opérations d’interception que l’Italie aurait aidé à mener dans les eaux libyennes.

      L’Italie – et les institutions européennes qui soutiennent l’opération – semble ne pas se préoccuper de l’effet boomerang sur un processus de stabilisation d’un pays déjà très fragile. Ce n’est pas au hasard que Serraj aurait d’abord nié d’avoir demandé à l’Italie d’intervenir pour ensuite le confirmer et que Haftar vient de faire circuler une note où dénonce cet accord et menace de considérer toute intervention militaire de l’Italie dans les eaux territoriale libyennes comme une violation de la souveraineté du pays.

      Une partie de la mission sera financé avec les fonds déjà alloués à l’opération Mare Sicuro et en partie seront surement financé par les 46 millions de Fonds Fiduciaires que la Commission Européenne a annoncé le même jour de l’annonce de la mission.

    • Libya’s eastern commander vows to destroy Italian warships if sailed to Libyan water

      The Libyan eastern commander of Dignity Operation forces, Khalifa Haftar, has ordered to bombard any warships sailing into the Libyan waters, in a U-turn that could see escalations between eastern Libya and the UN-proposed government’s bodies in western Libya get tense.

      http://www.libyaobserver.ly/news/libyas-eastern-commander-vows-destroy-italian-warships-if-sailed-libya

    • Des navires de guerre italiens pour repousser les réfugiés au lieu de les protéger

      En proposant de déployer des navires de guerre pour patrouiller dans les eaux territoriales libyennes, les autorités italiennes cherchent à se soustraire à leur obligation de secourir les réfugiés et les migrants en mer et d’offrir une protection à ceux qui en ont besoin.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/des-navires-de-guerre-italiens-pour-repousser-les-refugies-au-lieu-de-les-pr

    • Respingimenti collettivi ed omissione di soccorso nel contrasto dell’immigrazione irregolare

      L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.

      http://www.meltingpot.org/Respingimenti-collettivi-ed-omissione-di-soccorso-nel.html

    • ASGI : C’è il rischio di riaprire la stagione buia dei respingimenti già condannati dalla CEDU

      Sulle nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia l’ ASGI lancia l’allarme: “C’è il rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportino la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

      https://seenthis.net/recherche?recherche=%23libye+%23externalisation+%23italie
      #refoulement #push-back

    • Cooperazione: kit di primo soccorso inviati in Libia grazie a collaborazione tra Esteri e Difesa

      L’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, e l’addetto per la Difesa, capitano di vascello Patrizio Rapalino, hanno consegnato al sindaco di #Zwara, 5.000 kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti per le esigenze della municipalità.

      http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2017/08/cooperazione-kit-di-primo-soccorso.html

    • Accordo Italia e milizie in Libia, qualcosa c’è ma non si dice

      Cosa è realmente accaduto in Libia tra Italia (sia chi sia ad aver trattato) e le milizie di Sabratha che prima gestivano la mafia dei traffici di persone e ora la contrastano in nome del governo Sarray? Ora anche la stampa ‘tradizionale’ s’accorge del problema. Il Manifesto, «Accordo tra l’Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia». Il Fatto quotidiano, Migranti, Ap: «Italia ha trattato direttamente con le milizie libiche per bloccare gli sbarchi”. Farnesina: ‘Falso’».

      https://www.remocontro.it/2017/08/31/accordo-italia-milizie-libia-qualcosa-ce-non-si-dice

    • L’Italie finance-t-elle des groupes armés libyens pour bloquer l’arrivée de migrants ?

      De moins en moins de migrants débarquent en Italie. Comment l’expliquer ? D’après l’agence Associated Press, derrière les explications officielles, la véritable raison de cette diminution s’expliquerait par le fait que l’Italie financerait des groupes armés libyens. Valérie Dupont, correspondante pour la RTBF à Rome, fait le point.

      https://www.rtbf.be/info/monde/detail_l-italie-finance-t-elle-des-groupes-armes-libyens-pour-bloquer-l-arrivee

    • Migrants en Libye : le #pacte pourri entre Rome, les garde-côtes et les trafiquants

      Alors que l’Union européenne finance, à hauteur de dizaines de millions d’euros, les garde-côtes libyens, il est établi que certains de ses membres sont compromis dans le trafic de migrants. Rome, de son côté, est accusé de négocier directement avec les milices de #Sabratha pour empêcher le départ des embarcations.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020917/migrants-en-libye-le-pacte-pourri-entre-rome-les-garde-cotes-et-les-trafiq

    • E l’Italia contribuisce alla costruzione della mafia in Libia. Conversazione con Nancy Porsia

      «Negli ultimi 3 mesi c’è stata l’implementazione del piano messo a punto già prima di allora. Lo scorso autunno fu lanciata la campagna di criminalizzazione da parte delle autorità italiane e libiche verso le Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, e mentre nell’inverno e nella primavere seguenti questa campagna di delegittimazione e criminalizzazione veniva portata avanti, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche e le loro forze militari per il pattugliamento dei confini e quindi anche del mare e delle coste libiche. Questa era una sorta di fase preparatoria che poi si è andata finalizzando negli ultimi tre mesi. Quindi gli italiani hanno di fatto consegnato i mezzi alla Guardia costiera libica, mezzi che risalgono agli accordi fra Berlusconi e Gheddafi del 2008 e che sono stati riconsegnati solo oggi dopo il lavoro diplomatico massiccio delle Nazioni Unite, Europa e in prima fila Italia, e che ha portato alla legittimazione dell’entourage di Serraj come Governo di unità nazionale. Quindi quello che resta delle autorità libiche è stato assunto come interlocutore legittimo, nonostante i grandi dubbi che ci sono circa la loro stessa legittimità. I libici hanno iniziato a pattugliare la costa reclamando tale compito come loro “dovere / diritto” e insinuando come “ingerenza” le operazioni svolte dalle Ong. Si è andati un pezzettino avanti rispetto alla criminalizzazione delle stesse Ong che poi come sappiamo sono state vessate dalla magistratura italiana, dalla campagna di discredito a mezzo stampa, in Italia e in Europa, ed esposte in maniera sempre più frequente al pericolo del fuoco libico tanto che hanno dovuto fare un passo indietro. Quindi di fatto il piano che era in cantiere da oramai un anno e mezzo fra l’Italia, l’Europa e la Libia è entrato nella sua fase finale. Il risultato è che le coste vengono pattugliate dai libici, oggi in grado di fermare la maggior parte dei barconi carichi di migranti. Dove è la critica di senso rispetto alla nuova situazione? Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano, e quindi il “piano Minniti” ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzatie e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti. Su alcuni di questi c’è anche un procedimento della Corte penale dell’Aia piuttosto che un fascicolo lungo non so quante pagine all’interno del rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, pubblicato lo scorso giugno. Quindi negli ultimi mesi il piano Minniti ha proceduto a gamba tesa nell’istituzionalizzazione delle milizie e dei maggiori trafficanti in Libia oltreché alla connivenza con le stesse guardie corrotte, anzi più che corrotte io le definirei in odore di mafia, in quanto parte integrante di un sistema mafioso che trafficava i migranti. Tutto questo per ridurre il numero dei migranti nel più breve tempo possibile».

      http://www.a-dif.org/2017/09/04/e-litalia-contribuisce-alla-costruzione-della-mafia-in-libia-conversazione-co

    • I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong

      Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.

      http://www.lastampa.it/2017/09/08/esteri/i-campi-dei-migranti-in-libia-sotto-il-controllo-delle-ong-y0jOMmVk6gVG49hdon0gZJ/pagina.html

    • Centri di detenzione in Libia: “(Forse) è ora di pensare alle ‘condizioni umanitarie’”…

      I nuovi propositi di attenzione del governo italiano alle «condizioni umanitarie» nei centri di detenzione per migranti e rifugiati in Libia arrivano dopo mesi di silenzi e di iniziative tutte mirate al loro “contenimento” in quel Paese.

      «Le condizioni di quelli che rimangono in Libia, posso garantirvi, sono il mio assillo ed è l’assillo del Governo italiano», ha detto venerdì a Torino il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo averlo già affermato ad agosto ma aggiungendo: «La prossima settimana insieme con la Farnesina incontreremo le ONG italiane. Ragioneremo con loro se è possibile, accanto alle operazioni di salvataggio in mare, che naturalmente continuano, costruire un’iniziativa delle ONG direttamente in Libia per affrontare quel tema dei diritti umani e delle condizioni di vita».

      http://viedifuga.org/centri-detenzione-libia-forse-ora-pensare-alle-condizioni-umanitarie
      #ONG

    • Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare.

      Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare. E Serraj non controlla neppure tutta Tripoli, cosa può garantire all’Italia ed all’Europa ?

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/08/il-governo-di-tripoli-vuole-cinque.html

    • Migrants: Italian FM wants more EU efforts on Libya route

      MILAN - The Italian government wants the EU to exert greater efforts concerning the central Mediterranean migrant route, which runs from Libya to Italy, Foreign Minister Paolo Gentiloni said Friday. The minister was replying to journalists’ questions after his speech at a conference on immigration, refugees and asylum policies at the Bocconi University in Milan, where he discussed the ’Migration Compact’. Gentiloni called for investment in African countries to be stepped up, ’’with new instruments like ’Africa bonds’’’, and said that the countries receiving the investment should be required to put forth serious efforts to limit migration flows. He added that repatriation of migrants to safe countries should be ’’ever more European’’, but that migrants should not be repatriated to Libya. ’’On these issues,’’ he concluded, ’’the Italian government is asking Europe for commitment similar to what it showed on the (migration, Ed.) route running from Turkey to Greece and the Balkans.’’

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2016/04/22/migrants-italian-fm-wants-more-eu-efforts-on-libya-route_f8c9e906-3729-44b

    • Migranti, il Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale diventa stabile

      «Oggi abbiamo fatto un passo importante, abbiamo messo in comune la volontà di governare l’immigrazione; l’esito della riunione è stato particolarmente fruttuoso». E’ questa la convinzione espressa dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi al termine dell’incontro conclusivo con ministri e rappresentanti di Paesi della Ue e del Nord Africa che fanno parte del «Gruppo di contatto per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale», presso la scuola Superiore di Polizia, in via Pier della Francesca a Roma.


      www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-gruppo-contatto-rotta-mediterraneo-centrale-diventa-stabile

    • signalé par Fulvio Vassallo sur FB avec ce commentaire (19.04.2017) :

      Ci volevano i giapponesi per dire quali sono le ragioni vere della partenze di massa della Libia. Altro che le navi umanitarie come fattore di attrazione. L’Italia sta consegnando altre motovedette alla Guardia Costiera libica per aggirare il divieto di respingimenti collettivi per cui nel 2012 veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

      Facing threat of patrols, thousands of migrants fleeing Libya ; 28 found dead

      Warm weather and calm seas usually spur smugglers to send migrants across the Mediterranean come spring. But aid groups say another timetable might be behind a weekend spike: the looming start of beefed-up Libyan coast guard patrols designed to prevent migrants from reaching Europe.


      http://www.japantimes.co.jp/news/2017/04/19/world/social-issues-world/facing-threat-patrols-thousands-migrants-fleeing-libya-28-found-dead

      #fermeture_des_frontières #militarisation_des_frontières #mourir_en_mer #morts #mourir_en_méditerranée #décès #facteurs_push #attractivité #push_factors #push-factors

    • Migranti: l’Italia consegna 10 motovedette alla Libia

      La scena si è già vista il 14 maggio 2009 ed il 10 febbraio 2010, sempre nel porto di Gaeta (Latina): sei motovedette hanno ammainato la bandiera italiana ed alzato quella libica per andare a pattugliare le acque davanti al Paese nordafricano con il compito di bloccare le partenze dei migranti. L’attività è però durata poco, fino all’intervento della coalizione internazionale contro Muhammar Gheddafi, nel 2011.

      Ora Italia e Libia ci riprovano: domani a Gaeta,alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti – quattro di quelle motovedette (le altre due sono andate distrutte) saranno nuovamente riconsegnate alla Marina ed alla Guardia costiera libiche. Seguiranno altre sei nelle settimane successive, con la speranza che siano in grado di frenare il flusso gestito dai trafficanti di uomini, che nel 2017 ha già portato sulle coste italiane oltre 35mila persone, il 40% in più del 2016, anno record per gli sbarchi.

      http://www.imolaoggi.it/2017/04/20/migranti-litalia-consegna-10-motovedette-alla-libia

    • G.Costiera Libia soccorre migranti, riportati a Tripoli

      ROMA - Primi effetti degli accordi di collaborazione sottoscritti di recente tra Italia e Libia in materia di migranti: oggi la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, ha soccorso in acque internazionali e riportato nel porto di Tripoli un barcone in navigazione verso l’Italia, a bordo del quale vi erano circa 300 migranti. I migranti avevano inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana. Il barcone, inoltre, era stato avvistato ancora in acque libiche da alcuni mezzi aerei impegnati sul Mediterraneo centrale.
      Ricevute le due segnalazioni, la centrale operativa di Roma della Guardia costiera ha allertato la Guardia costiera libica che - diversamente rispetto a quanto accaduto in passato - ha preso il comando delle operazioni di soccorso. Alcune motovedette di Tripoli sono salpate in direzione del barcone, che è stato raggiunto in acque internazionali. Alcuni uomini della Guardia costiera libica hanno preso il comando dell’unità, che, invertita la rotta, è stata riportata nel porto di Tripoli.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/10/g.costiera-libia-soccorre-migranti-riportati-a-tripoli_df5b95ff-4921-4f05-

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.


      http://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Migrants: Tripoli thanks Italy but wants help in maintenance

      Thanking Italian authorities for cooperating in the fight against human trafficking, the operations chief of Libyan coast guards, Colonel Massoud Abdelsamad, called on Italy to send spare parts and maintenance support soon for cutters given to Tripoli to fight traffickers through ’’joint operations’’ carried out by Italy and Libya.
      ’’I would like to thank very much Italian authorities and especially the Italian coast guard: we have a good cooperation between us’’, the colonel said, commenting recent gunfire between his personnel and traffickers. ’’We are in contact 24 hours a day and sometimes carry out joint operations’’, added Abdelsamad in a phone interview with ANSA.
      ’’Our boats however need spare parts and maintenance. We would like to have in Libya, as soon as possible, the finance police team that has been working closely with us since 2010’’, also said the colonel, referring to a unit that should take care of maintenance in case of problems.
      ’’We were promised that the group would come to Libya and we are now waiting for it so it can support us’’, stated Abdelsamad. ’’We can carry out joint operations with the Libyan coast guard, finance police and Italian coast guard’’ and ’’this would help us a lot’’, he concluded, recalling that traffickers are heavily armed and have fast motor boats.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/generalnews/2017/05/31/migrants-tripoli-thanks-italy-but-wants-help-in-maintenance_3d2f7ffa-42d4-

    • Migranti: Tripoli, grazie Italia ma aiutateci per manutenzione
      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/31/migrantitripoligrazie-italia-ma-aiutateci-per-manutenzione_e874ccee-bba3-4

      Avec ce commentaire de Fulvio Vassallo:

      I libici ammettono che la guardia costiera italiana collabora nei respingimenti collettivi, illegali se si svolgono, come si svolgono, in acque internazionali. E chiedono pure pezzi di ricambio. Tra poco chiederanno anche gli equipaggi. Se Minniti non ha gia’ provveduto con i cd. Agenti di collegamento.Naturalmente chi viene riportato in Libia non ha molte chance di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

    • Bloccati in Libia. I migranti e le (nostre) responsabilità politiche

      Le corrispondenze dal caos libico che ci invia Nancy Porsia sono pressoché uniche nel campo del giornalismo in occidente, sicuramente le uniche in Italia. Pubblichiamo questo suo articolo in cui si riprende il testo dell’ accordo italo – libico firmato ieri dal Primo Ministro Gentiloni e dal “Capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia”, Fayez Mustafà Serraj. Un accordo, secondo l’autrice, siglato forse troppo in fretta e in base tanto alle esigenze economiche italiane quanto alla necessità di rendere più complesse le vie di fuga per coloro che, fuggendo da guerre, crisi ambientali o economiche, transitano in Libia per entrare in Europa. Alcune voci si sono levate contro l’accordo. Dal parlamento europeo, oltre 40 parlamentari, guidati da Barbara Spinelli (GUE/NGL) ma afferenti a diversi gruppi politici, anche il Partito Popolare Europeo, hanno preso una dura posizione con una interrogazione scritta in cui si parla espressamente di pericoli derivanti dall’accordo UE- Libia. Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, in cui si denuncia che i “piani per “chiudere” la frontiera marittima rischiano di intrappolare rifugiati e migranti in condizioni orrende in Libia”, mentre l’ambasciata tedesca in Niger, ha paragonato i campi di detenzione libici, espressamente a dei lager.

      http://www.a-dif.org/2017/02/03/bloccati-in-libia-i-migranti-e-le-nostre-responsabilita-politiche

    • Migranti: accordo Italia-Libia, il testo del memorandum

      Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate ’Le Parti’


      http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439

      Le texte en anglais:
      http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/02/ITALY-LIBYA-MEMORANDUM-02.02.2017.pdf

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Tripoli Appeals Court to rule on Italy-Presidential Council MoU

      A number of Libyan citizens lodged an appeal at the Judiciary Division of the Tripoli Appeals Court against the signing of a #Memorandum_of_Understanding (MoU) between the UN-proposed government’s Presidential Council’s Head Fayez Al-Sirraj and the Italian Prime Minister, Paolo Gentiloni.


      https://www.libyaobserver.ly/news/tripoli-appeals-court-rule-italy-presidential-council-mou

    • Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale

      Il memorandum d’intesa sui migranti firmato il 2 febbraio dall’Italia e dalla Libia potrebbe essere illegale. A sostenerlo è un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici che il 14 febbraio ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. I sei libici, tra cui diversi ex ministri, sostengono che il memorandum sia incostituzionale. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj a Roma, non è stato approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità. Al Sarraj non ha ottenuto la fiducia dei parlamentari libici che si sono ritirati a Tobruk nel 2014. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non erano contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira.

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/02/20/italia-libia-migranti-accordo-illegale

    • Così Italia e Libia argineranno il flusso dei migranti

      Ambulanze, gommoni, mute, satellitari e bombole.

      L’accordo bilaterale prevede «l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica». Per questo l’elenco delle forniture è lungo e costoso. L’obiettivo è di completare il piano di consegna in 24 mesi, anche se alcuni punti dovranno essere ritoccati. In particolare sono state chieste 10 navi per la ricerca e il soccorso (alcune da oltre trenta metri) e 10 motovedette che devono essere utilizzate per i controlli sotto costa in modo da impedire alle “carrette” dei trafficanti di salpare. Le prime tre imbarcazioni potrebbero essere consegnate già agli inizi di giugno, prevedendo una dilatazione dei tempi per quelle più grandi. E poi quattro elicotteri che dovranno “guidare” le operazioni contro le organizzazioni che gestiscono i viaggi della speranza, ma anche coadiuvare il recupero in mare. Nell’elenco sono stati poi inseriti

      24 gommoni
      10 ambulanze
      30 jeep
      15 automobili
      30 telefoni satellitari Turaya
      mute da sub
      bombole per l’ossigeno
      binocoli diurni e notturni

      Saranno le forze dell’ordine italiane a dover addestrare i poliziotti locali e gli uomini della Guardia costiera. Su questo c’è già l’intesa con l’Ue che finanzierà la missione della Capitaneria di Porto che partirà entro due mesi.

      http://www.agi.it/cronaca/2017/03/20/news/cos_italia_e_libia_argineranno_il_flusso_dei_migranti-1602473
      #accord_bilatéral #contrôles_frontaliers #militarisation_de_la_frontière #frontières

    • Migranti, 12 unità navali alla Libia: via libera del governo

      Roma cede «a titolo gratuito» a Tripoli dieci motovedette della Guardia costiera e due unità della Gdf. C’è poi un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale

      ARRIVERANNO presto i nuovi mezzi navali che il governo italiano ha promesso al governo libico di accordo nazionale di Tripoli. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’invio di 12 unità navali e a un programma di addestramento del personale per il loro utilizzo. Un impegno economico, ha precisato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, «che sfiora 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni».

      «Siamo consapevoli che questo non può bastare e che bisogna lavorare per stabilizzare lo scenario, rafforzare lo stato di diritto e la tutela della dignità delle persone sul suolo del nascente Stato libico. Ecco perché stiamo via via intensificando la cooperazione con organizzazioni come l’Unhcr e l’Oim, che sono presenti a Tripoli. In attesa che l’Europa si faccia carico in modo solidale del fenomeno migrazioni - ha concluso Toninelli - il governo italiano e questo ministero lavorano in modo fattivo per debellare i naufragi di migranti in mezzo al Mediterraneo».

      Alla Libia saranno date «a titolo gratuito» 10 motovedette «Classe 500» della Guardia costiera e due unità costiere «Classe Corrubia» della Guardia di Finanza. Assieme alle navi, l’Italia fornirà un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale che possa rafforzare la Marina e la Guardia costiera libiche.

      Le «Classe 500» sono delle piccole vedette costiere che in Italia sono state usate da Carabinieri e Guardia Costiera, e saranno utili di sicuro soprattutto per il pattugliamento lungo le coste libiche. Hanno una autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi, vengono utilizzate in un raggio di azione di una ventina di miglia dalla costa e hanno un equipaggio composto da tre persone. Le «Corrubia» sono invece piccoli pattugliatori di 27 metri che possono raggiungere i 43 nodi e hanno un’autonomia di 800 miglia. Con un equipaggio di 14 persone, queste navi possono operare anche a parecchie miglia dalle coste.

      Assieme alle navi arriverà un programma di formazione dei marinai libici. Addestramento che si svolgerà sia in Italia sia in Libia e partirà entro una decina di giorni. Le vedette invece dovrebbero essere trasferite tutte nel porto militare di Augusta, da dove poi saranno trasportate con una nave della Marina militare fino a Tripoli.

      A Tripoli si è tenuta una riunione del Comitato tecnico italo-libico che riunisce Guardia costiera, marina, polizia marittima, polizia di frontiera libica con i corrispondenti enti italiani. In discussione oltre ai provvedimenti per la Guardia costiera anche la situazione nel Sud della Libia, dove la polizia di frontiera non ha la possibilità di controllare uno spazio così immenso come le migliaia di chilometri che segnarono i confini con Algeria, Niger e Ciad.

      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/la_promessa_del_governo_italiano_alla_libia_in_arrivo_dodici_motovedette-

    • Un decreto legge per la Guardia costiera della Libia che non esiste. La pianificazione della strage.

      Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri il Governo ha adottato un decreto legge che prevede “la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della Difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici”.

      Analizzando il contenuto del decreto si nota subito che le unità fornite sono molto piccole (in prevalenza CP classe 500) e sono più indicate per intercettare i barconi carichi di migranti, e magari bloccarli, sotto minaccia delle armi, piuttosto che procedere a operazioni di salvataggio che garantiscano la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, verso un porto di sbarco sicuro, porto che la Libia oggi non può offrire. Come hanno rilevato le Nazioni Unite nei loro più revcenti rapporti sulla Libia ed i giudici di Ragusa e Palermo, nelle loro sentenze, nelle quali si esclude che la Libia offrisse porti sicuri di sbarco e si ritiene legittimo e conforme alle Convenzioni internazionali il comportamento delle ONG.

      Il provvedimento del governo italiano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, non fa alcuna menzione alla situazione provvisoria, e assai precaria anche dal punto della legittimità, del governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite, ma privo di continuità politica con la Libia di Gehddafi, che pure si cita nel provvedimento. Nessun riferimento al rispetto delle Convenzioni internazionali. La Libia non ha mai sottosctitto, peraltro, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

      l richiamo ai precedenti accordi stipulati dall’Italia con la Libia nel 2008 non costituisce alcuna legittima base del decreto, considerando che il governo italiano, che nel maggio del 2009 aveva messo in esecuzione quegli accordi, con i respingimenti collettivi illegali esegiti dalla Guardia di Finanza verso Tripoli, è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( Sentenza 23 febbraio 2012- Caso Hirsi),

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave di Sea Watch a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante della Lifeline, sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale. Una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      Sono invece Minniti prima e Salvini poi che hanno fatto accordi con le milizie che coprono i trafficanti, e poi insinuano che le Ong siano colluse con gli scafisti. Quando il rovesciamento della realtà raggiunge questa dimensione, e su questo si aggrega il consenso, si può dire che lo stato di diritto e’ sconfitto dallo strapotere dell’esecutivo. Dunque responsabilità sempre più gravi incombono sulla magistratura. Non solo in Italia.

      Diverse iniziative giudiziarie, da ultimo a Malta, hanno portato al sequestro o all’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che costituivano l’ultima possibilità di salvezza sulla rotta del Mediteraneo centrale, dopo il ritiro, o la scomparsa dai radar, delle navi militari di Frontex e di Eunavfor Med (Operazione Sophia), che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone. I recenti piani dell’Unione Europea di creare in Libia e nei paesi del Sahel centri di contenimento (piattaforme di sbarco) dei migranti, per impedire loro di raggiungere le coste del Mediterraneo, appaiono impraticabili sul piano politico e militare, oltre che umanamente inaccettabili, anche se si dovesse ottenere l’avallo dellOIM e dell’UNHCR. Sono piani che non elimineranno mai l’esigenza assoluta di operazioni di soccorso umanitario nel mar libico.

      Le stragi di questi ultimi giorni dimostrano che la Guardia costiera libica non ha i mezzi e gli assetti organizzativi per salvaguardare effettivamente la vita umana in mare. I mezzi trasferiti a titolo gratuito dall’Italia al governo di Tripoli, per le loro ridotte dimensioni, non garantiscono alcun effettivo incremento delle capacità di soccorso della Guardia costiera che si definisce “libica”, ma che in realtà corrisponde solo alle milizie che controllano la Tripolitania. Milizie sulle quali pesano gravi sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani. Le unità più grosse, (nel massimo di due !) cedute ai libici, ed attualmente in uso alla Guardia di finanza, non sono lunghe più di 25 metri, e possono soccorerre al massimo 100 persone, in condizioni di mare calmo.

      Malgrado la pomposa titolazione del decreto legge, la capacità di ricerca e salvataggio della Guardia costiera di Tripoli resterà molto al di sotto degli standard internazionali imposti dalle Convenzioni e dal Regolamento IMO. Non basterà certo la istituzione di una Zona Sar “libica”, inserita persino nei dati dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare), in assenza di una effettiva capacità di coordinamento e di intervento della sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà controlla soltanto alcuni porti della Tripolitania. Il riconoscimento di una zona SAR libica non comporta poi la qualifica automatica, come place of safety, e dunque legittimi porti di sbarco, dei porti di Tripoli, Zawia, Khoms, o di Sabratha o ancora di Zuwara.

      Chi ha coordinato davvero le ultime operazioni di soccorso, a partire dal 28 giugno, quando veniva resta nota la istituzione di una zona SAR libica ? Da quel giorno ad oggi sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo centrale centinaia di persone, quasi un naufragio al giorno, per quanto tempo continuerà così?

      Malgrado la istituzione di una zona SAR di loro competenza, I libici continuano a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Il decreto legge proposto dal governo italiano, al pari della chiusura informale dei porti e del blocco immotivato di tre battelli umanitarie a Malta, crea le condizioni oggettive perchè le stragi, al largo delle coste libiche, si ripetano con frequenza sempre maggiore. Non saranno certo i mezzi che l’Italia si appresta a trasferire alla Guardia costiera di Tripoli che potranno ridurre il numero delle vittime. Gli appelli dell’Alto Commissariato per i rifugiati, dopo le ultime stragi nel mar libico, non ricevono ancora risposta.

      Ancora oggi, dopo interventi della Guardia costiera libica, ormai padrona assoluta della vastissima zona SAR che si è voluta attribuire alle motovedette di Tripoli e Zawia, si contano morti e dispersi. E tante altre persone, bloccate in alto mare, vengono ricondotte in centri di detenzione nei quali si soffrono condizioni disumane e degradanti. Queste vite negate, quei corpi martoriati, che vediamo anche noi, quando riescono a fuggire ancora una volta dall’inferno libico, saranno davanti alla coscienza di quei parlamentari che nelle prossime settimane dovranno approvare il decreto legge proposto ieri dal governo Salvini-Di Maio. La mobilitazione nel paese, in difesa della vita e dei diritti umani, contro le politiche dell’odio e della rimozione, sarà sempre più forte. Siamo in tanti, colpevoli di solidarietà, che ci vengano a prendere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/03/un-decreto-legge-per-la-guardia-costiera-della-libia-che-non-esiste-la-pianif

    • Guardie e ladri: i trafficanti colpiti dalle sanzioni Onu e l’effetto italiano sulle rivalità in Libia

      In Libia sono quattro, appartengono a schieramenti mutevoli e aspettano che passi la tempesta delle sanzioni Onu, mentre le iniezioni di denaro dell’accordo italiano per fermare i migranti continuano a modificare alleanze ed equilibri sul campo. Nancy Porsia, che per prima ha reso note queste figure, ci racconta com’è la situazione oggi, molto più complessa di come la vorrebbe descrivere il governo italiano.

      Uno risulta sospeso dal servizio e l’altro risulta latitante, e insieme aspettano che i riflettori si spengano su di loro in un compound al centro della città di Zawiya, sulla costa occidentale della Libia.

      Il primo è il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre “Al Bija”, mentre il suo compagno di sventura è il noto trafficante di esseri umani della città di Sabrata Ahmed Dabbashi, meglio conosciuto come “Al Ammu”.

      Lo scorso mese, i due uomini che per circa tre anni hanno giocato a “guardie e ladri” davanti alle coste libiche sono finiti nella lista nera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme ad altri due cittadini libici: il capo della Brigata Martiri Al Nasser di Zawiya, Mohamed Khushlaf, e il trafficante Mus’ab Abu Qarin, di Sabrata, meglio noto come Dottor Musab per i tanti anni di esperienza nel traffico. Oltre ai quattro libici, sono stati colpiti dalle sanzioni Onu anche due cittadini eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, perché accusati di essere leader di una rete attiva nella tratta di migranti, in particolare di decine di migliaia di persone provenienti dal Corno d’Africa.

      Per i sei uomini sono scattati il congelamento degli assets bancari e il divieto di viaggio. È la prima volta che le Nazioni Unite emettono sanzioni individuali contro i trafficanti di essere umani in Libia, una decisione presa a fronte delle molteplici testimonianze contro i sei uomini, tant’è che già nel report annuale delle Nazioni Unite nel 2017 i quattro libici venivano citati come i principali attori del traffico di esseri umani in Libia.

      Gli uomini sotto sanzione: rivalità e alleanze

      Musab Abu Qarin è capo della Brigata Al Wadi; mentre Al Ammu è a capo della Brigata Anas Dabbashi. Sono entrambi miliziani che sulla pelle dei migranti hanno costruito il proprio impero.

      Concorrenti in affari, nel campo politico-militare i due sono nemici giurati. Musab è schierato con la frangia reazionaria della Libia rappresentata dal Generale Khalifa Haftar, da sempre sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti con l’avallo della Francia. Sebbene non sia ufficiale, il Dottor Musab è la longa manus della brigata Al Wadi, al servizio dei salafiti madkhali di cui fa parte anche Haftar e della coalizione formata sotto l’egida dell’operazione “Al Karama”, dignità in arabo, lanciata nel 2014 dal generale contro la lobby islamista dei Fratelli Musulmani. Dabbashi invece fa parte della fazione opposta, “Fajr Libya”, che in arabo significa Alba della Libia, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e in maniera più discreta dall’Italia. Oltre ad Al Ammu, fanno parte della stessa lobby politico-militare anche il capo dei Guardiacoste di Zawiya Milad e Mohamed Khushlaf.

      Un dettaglio non da poco se si vuole comprendere il gioco politico che si sta consumando in Libia sulla pelle della popolazione locale e dei migranti che da lì transitano in rotta verso l’Europa. Infatti ai tempi del sodalizio tra Unione Europea e istituzioni libiche garantito dal Fondo Fiduciario europeo per l’Africa tra il 2016 e l’inizio del 2017, il governo di Serraj rappresentava ancora una sorta di corpo estraneo al paese senza identità né appartenenza. E attraverso la formula della delega a scatole cinesi, i soldi inviati da Bruxelles o da Roma verso Tripoli venivano poi equamente redistribuiti tra i vari potentati locali.
      Porticciolo di Sabrata - uno dei punti di partenza dei barconi di migranti verso l’Europa (foto: Nancy Porsia)

      A maggio del 2017, il capo dei guardiacoste di Zawiya, Milad, veniva ricevuto in Italia come membro della delegazione libica su invito dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim) in collaborazione con Operazione Eunavfor Med – Sophia. Come ci raccontarono loro stessi all’epoca dei fatti, alcuni uomini di Zawiya, richiedenti asilo in Italia che si trovavano nei centri di accoglienza visitati dal comandante Milad nel corso del tour siciliano, rimasero increduli davanti all’arrivo di colui che conoscevano come “Al Bija” in quello che pensavano fosse un luogo sicuro. Questo mentre sulla sponda sud del Mediterraneo Dabbashi e il Dottor Musab godevano entrambi di ampi spazi di manovra per i loro affari. Infatti nel braccio di costa di 70 chilometri tra Sabrata e Al Mutrud, un villaggio a ovest di Zawiya, si concentrava la quasi totalità delle partenze delle carrette del mare dalla Libia verso l’Europa.

      Ma nell’estate del 2017, l’allora Ministro degli Interni italiano Marco Minniti, con la firma del Memorandum of Understanding, giocoforza ha dato prevalentemente spazio ad alcuni gruppi della coalizione Fajr Libya, attraverso il sostegno indiretto alla Brigata 48 a guida Dabbashi, che proprio in quel periodo si era lanciata sul fronte del contrasto alla migrazione irregolare, e alla Guardia Costiera di Zawiya.
      La guerra di Sabrata

      Mentre Minniti si compiaceva dell’improvviso calo degli arrivi dalla Libia sulla sponda italiana, a ovest di Tripoli la controparte rimasta fuori dai giochi internazionali dichiarava guerra al nemico, e a settembre dello scorso anno si scatenava una guerra senza precedenti tra fazioni opposte. La sala operativa di Zawiya, testa d’ariete della brigata Al Wadi e dei salafiti madkhali nella regione ovest, ha sferrato un attacco massiccio contro Dabbashi. Durante quella che passerà alla storia come la “guerra di Sabrata”, migliaia di migranti venivano messi in mare dai Dabbashi così come dal Dottor Musab, mentre altrettante persone venivano scacciate dalla città via terra. In due giorni la città vicina di Zuwara ne ha accolti tremila.

      In quel frangente Dabbashi trovava riparo da Al Bija, suo fratello in armi dai tempi della Rivoluzione nel 2011. La conferma di questo sodalizio politico-militare ha portato, per un effetto domino, a un altro cambio della guardia importante: i salafiti madkhali a Tripoli, le Forze Speciali Rada, sconfinavano da quello che era il loro campo di competenza, la lotta al terrorismo, e si univano alle forze impegnate sul fronte anti-traffico.
      Le trasformazioni di Ben Khalifa

      A settembre dello scorso anno, le Forze Rada hanno annunciato in pompa magna l’arresto del trafficante Fahmi Ben Khalifa, dichiarando di aver preso il capo della rete del traffico dei migranti e incassando il plauso della comunità internazionale. Tuttavia, Fahmi Ben Khalifa era un noto passatore di migranti all’epoca del regime di Gheddafi. Grazie ai suoi ottimi rapporti con alcuni uomini d’affari a Malta, riusciva a far arrivare in Europa centinaia di migranti. Sempre in quel periodo, Ben Khalifa trafficava droga a livello internazionale sfruttando la posizione strategica della sua città, Zuwara, al confine con la Tunisia e a un tiro di schioppo da Malta e dall’Italia via mare.

      Ma all’indomani della caduta del regime, Ben Khalifa ha capitalizzato i suoi contatti a Malta e reinvestito sul traffico del diesel, dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è meno definita. Già nel 2014 Ben Khalifa risultava essere il principale contrabbandiere di diesel in Libia. Tuttavia, secondo fonti di sicurezza della città di Zuwara, Ben Khalifa non aveva più nulla a che fare con il traffico di droga e di esseri umani. Eppure le Forze Rada lo hanno dato in pasto all’opinione pubblica europea come il principale attore del business sui migranti in Libia, proprio mentre l’Europa negoziava il consenso politico sul fronte anti-immigrazione, incurante degli introiti che la mafia incassa attraverso il traffico di diesel.

      Tra l’altro, anche nel campo del contrabbando degli idrocarburi, l’attore principale è Mohamed Khushlaf, il quale con la sua brigata Al Nasser controlla la raffineria di Zawiya, unica fonte di tutto il diesel trafficato dalla Libia. Non c’è litro di diesel che esca dalla principale raffineria in funzione nel paese senza il suo consenso. Ma all’epoca dell’arresto e delle foto segnaletiche di Ben Khalifa fatte circolare dalle Forze Rada sul web, i madkhali di Tripoli tentavano ancora di tenere in piedi la strategia doppio-giochista tra le forze Fajr Libya e Al Karama, e quindi Ben Khalifa era un ottimo alibi per coprire il più potente Mohamed Khushlaf.

      Con lo schieramento della comunità internazionale al fianco di Haftar a Parigi lo scorso maggio, la Russia che da sempre sostiene il Generale, il quale ha già il controllo dell’intero est del paese, ha ritirato il veto posto alla proposta di sanzioni dall’Olanda al Consiglio delle Nazioni Unite. Infatti le sanzioni Onu non hanno spostato di un millimetro l’attuale posizione delle forze madkhali sul campo, e il Dottor Musab diventa la sola vittima sacrificale.
      Cosa dice Milad delle sanzioni

      Sul fronte opposto, all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, il generale Milad è stato formalmente sospeso dal suo incarico per quattro mesi, in attesa di prove alle accuse mosse dal Consiglio di Sicurezza. Secondo quanto enunciato dall’Onu, “Milad e altri membri della guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni di migranti, attraverso l’utilizzo di armi da fuoco. Al-Milad collabora con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf (anch’esso oggetto delle stesse sanzioni) che, secondo alcune fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite relative al traffico di migranti. Diversi testimoni di alcune indagini hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati e trasbordati sulla nave della Guardia costiera ‘Tallil’, utilizzata dal comandante Milad, e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a percosse”.

      Qualche ora dopo l’annuncio delle sanzioni Onu, sul suo profilo Facebook Milad scriveva: “Ho lavorato tanto contro il contrabbando di diesel permesso dai politici libici corrotti, e per il contrasto nelle nostre acque alle Ong, che altro non rappresentano se non i servizi segreti stranieri e operano con il beneplacito del governo Al Serraj a Tripoli così come quello di Al Thinni nell’est. Abbiamo rinunciato a tangenti cospicue da funzionari di alto rango che chiedevano di lasciare lavorare le Ong. E per quanto le sanzioni siano un duro colpo, noi passeremo alla storia come quelli leali al paese. E solo Dio sa quanto abbiamo sofferto per questo paese”.

      Prendendo le distanze dal Governo Serraj, anche il comando centrale dei Guardiacoste a Tripoli difende a spada tratta il proprio uomo, tanto che l’Ammiraglio Abdallah Toumia ha criticato fortemente la decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, e ha commentato in tv: “Questo non è comprensibile dopo gli sforzi profusi dal nostro comandante sequestrando sei petroliere e salvando ben 17 mila migranti davanti alle coste libiche”.

      Tra quelli sanzionati dall’Onu, dunque, solo Dabbashi risulta fuori gioco. E secondo fonti della sicurezza a ovest di Tripoli, oggi l’ex re del traffico dei migranti di Sabrata è sotto l’ala protettiva del generale Milad.

      http://openmigration.org/analisi/guardie-e-ladri-i-trafficanti-colpiti-dalle-sanzioni-onu-e-leffetto-i

    • Immigration : Rome et Tripoli veulent réactiver leur #traité_d’amitié

      L’Italie et la Libye ont convenu samedi de réactiver leur traité d’amitié signé en 2008, qui permet le refoulement de migrants en territoire libyen, à l’occasion de la première visite à Tripoli du chef de la diplomatie italienne Enzo Moavero Milanesi.

      Le traité signé par les ex-dirigeants des deux pays, Mouammar Kadhafi, renversé par une révolte populaire et tué en 2011, et Silvio Berlusconi, avait marqué la fin de 40 ans de relations tumultueuses entre la Libye et son ancien colonisateur. Mais il avait été suspendu en février 2011 après le début de la révolte libyenne.

      Il prévoit des investissements italiens en Libye de cinq milliards de dollars en compensation de la période coloniale. En contrepartie, la Libye s’engage à limiter l’immigration clandestine depuis ses côtes. Le traité permettait notamment le refoulement en Libye des migrants partis de ce pays, une clause dénoncée par les défenseurs des droits de l’Homme.

      « Nous nous sommes mis d’accord sur la réactivation du traité d’amitié italo-libyen de 2008 », a déclaré le ministre libyen des Affaires étrangères Mohamad Siala lors d’une conférence de presse conjointe avec son homologue italien dans la capitale libyenne Tripoli.

      M. Milanesi a lui jugé ce traité « important et prometteur ».

      Les deux ministres n’ont pas précisé si le texte allait être amendé ou réactivé tel quel.

      Selon le ministre italien, avec ce pacte, « toutes les conditions sont réunies pour travailler main dans la main en vue d’appuyer le processus de stabilisation, la sécurité et l’unité de la Libye ».

      Il a ajouté que la Libye « partageait avec l’Union européenne la responsabilité et le devoir de faire face aux flux de migrants ». « La coopération entre la Libye, l’Italie et l’UE est essentielle pour résoudre la question de l’immigration et éviter des drames humains » en Méditerranée, qui se sont multipliés ces dernières semaines au large de la Libye.

      M. Milanesi a jugé « essentiel d’oeuvrer dans les pays d’origine » des migrants pour les dissuader de tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Italie, tout en soulignant l’importance d’aider la Libye à sécuriser ses frontières maritime et terrestre dans le Sud.

      Du temps de Kadhafi, des milliers de migrants traversaient les frontières sud longues de 5.000 km, notamment pour tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Europe.

      La situation a empiré après la chute du dictateur, les passeurs profitant du chaos en Libye pour envoyer chaque année des dizaines de milliers de migrants à destination de l’Italie.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/07/07/immigration-rome-et-tripoli-veulent-reactiver-leur-traite-d-amitie_166490

      #traité_d'amitié_bis

    • Migrants : l’Italie et la Libye exhument un accord vieux d’il y a dix ans

      L’Italie cherche à fermer ses frontières. Dans ce sens, le nouveau gouvernement vient de réactiver un traité d’amitié signé avec la Libye en 2008. A l’époque, le texte avait permis à Silvio Berlusconi et Mouammar Kadhafi de mettre fin à 40 ans de relations tumultueuses, mais le début de la révolte libyenne, en février 2011, avait enterré l’accord. Le nouveau chef de la diplomatie italienne l’a ressorti lors de sa première visite à Tripoli le week-end dernier, car il permet le refoulement des migrants partis de Libye.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180709-migrants-italie-libye-exhument-accord-vieux-il-y-dix-ans

    • Migranti, prezzi aumentati e rotte modificate: così in Libia i trafficanti sono tornati a lavoro

      Il “tappo” sta saltando - Da Zwara a Garabulli, i capibanda libici stanno riattivando i punti di partenza bloccati un anno fa, sfidando i mandati di arresto

      È passato circa un anno da quando alcuni trafficanti di esseri umani, insieme a pezzi della Guardia Costiera corrotta a ovest di Tripoli, accettarono di sbarrare il passaggio ai migranti. I trafficanti di esseri umani si trasformarono in guardie, e le guardie tornarono a fare le guardie. Quel tratto di costa per due anni era stato il principale trampolino di lancio per le persone che cercavano un passaggio verso l’Europa.

      All’epoca, Roma “mandò a dire” alle controparti libiche che se non si fossero allineati sarebbero state scovate e arrestate dalle autorità internazionali. Molti degli interlocutori libici decisero di adeguarsi alle nuove regole del gioco. E il meccanismo oramai oliato si ruppe portando alla cosiddetta ‘guerra di Sabrata’ tra i principali trafficanti della città, Ahmed Dabbashi e Mus’ab Abu Qarin.

      Nel frattempo le istituzioni libiche sono state affiancate e sospinte dall’Europa a mettere in cima alle proprie priorità il flusso migratorio irregolare, ovviamente in cambio di legittimità e denari. E dunque anche le meno operative unità di Guardia Costiera o altri gruppi armati sono tornati in prima linea. Lo scorso giugno il Consiglio di sicurezza Onu ha inserito Dabbashi e Abu Qarin nella propria lista nera insieme al capo della Guardia Costiera Abdul Rahaman Milad e il responsabile della raffineria della città di Zawiya, 30 chilometri a est di Sabrata.

      “Con la stretta delle forze di sicurezza sul traffico degli esseri umani, i prezzi del mercato sono aumentati molto. E i grandi pesci sono tornati a lavorare con le vecchi modalità”, ha detto al Fatto una fonte di Zawiya. E giovedì, dalle coste libiche, è partito il barcone in legno con a bordo 450 migranti.

      Anche le rotte su territorio libico cambiano assetto. A Ovest di Tripoli, Sabrata e Zawiya hanno ceduto il passo a Zuwara, la città che per vent’anni è stata il principale snodo per la traversata del Mediterraneo e che negli ultimi tre anni ha visto le forze locali stringere in una morsa i trafficanti locali. “Le autorità locali da sole non possono reggere ancora a lungo. E i trafficanti stanno tornando alle loro postazioni”, spiega al Fatto una fonte di Zuwara. Secondo la Guardia Costiera di Tripoli, il barcone sarebbe partito proprio da Zuwara. A est della Capitale si estende la costa da cui partono l’80% delle imbarcazioni cariche di migranti, secondo una fonte vicina alla intelligence libica. Garabulli, 50 chilometri a oriente di Tripoli, è il principale punto di imbarco insieme alla città di Al Khoms, 50 chilometri più a est.

      Già ai tempi di Gheddafi, a Garabulli erano diverse le famiglie che lavoravano nel business del trasporto dei migranti: le bianche spiagge rendono quel tratto di costa idoneo per le partenze delle carrette del mare. Le dune scoscese lungo la costa sono un reticolo di sentieri che portano alla battigia. “Quei sentieri sono stati costruiti con escavatori dagli stessi trafficanti”, spiegava tempo fa un membro della Guardia Costiera durante uno dei giri di perlustrazione.

      Garabulli torna oggi a essere un importante punto di imbarco. Non solo per via dello sbarramento a ovest di Tripoli, ma anche perché, pochi chilometri a sud, a Bani Walid, si trova il principale punto di transito per i migranti tra il deserto e la costa.

      Dalla nascita dello Stato Islamico a Sirte nel 2015, il punto di smistamento tra sud e nord si è spostato dalla città natale di Gheddafi, Sirte, a Bani Walid. A Garabulli, inoltre, da più di due anni non esiste una struttura, seppure minima, di forze di sicurezza.

      Nel 2016 pesanti scontri a fuoco tra le milizie locali e quelle della vicina città di Misurata, portarono al fuggi fuggi generale dei gruppi armati incaricati della sicurezza.

      A sud, nel Fezzan, la situazione resta completamente fuori controllo.

      Bande di ladroni senza appartenenza politica si moltiplicano nel vuoto di controllo da parte del governo del premier Serraj, di base a Tripoli, e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est del Paese.

      Dal Niger i migranti continuano ad arrivare in migliaia, anche se battendo sentieri più pericolosi in seguito alle attività di controllo al confine con la Libia. Nel deserto la città-oasi di Saba, la principale nella regione del Fezzan, resta il punto di passaggio principale. Proprio alla periferia di Saba, una prigione nuova di zecca e mai utilizzata dalle autorità locali, da un paio di anni funge da magazzino per i principali trafficanti della zona.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ricatto-dei-ras-della-costa-nuovi-accordi-o-piu-migranti

    • L’Italia delega i respingimenti dei migranti in mare alla Libia. Violando i diritti umani

      Il protagonismo delle autorità libiche nelle operazioni di “soccorso” nel Mediterraneo consente al nostro Paese di non rispondere direttamente delle condotte sui migranti. Un escamotage per non finire di nuovo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 aveva duramente condannato l’Italia per i fatti del 2009. Intervista ad Anton Giulio Lana, l’avvocato di quei migranti respinti che hanno vinto la causa a Strasburgo.

      La strategia dell’Italia di delegare i respingimenti dei migranti in mare alle autorità della Libia vìola i diritti umani. Ed è un sostanziale aggiramento della sentenza della Corte europea dei diritti umani che nel 2012 aveva condannato il nostro Paese per aver espulso collettivamente 200 naufraghi intercettati a 35 miglia a Sud di Lampedusa nel maggio 2009. L’avvocato Anton Giulio Lana ha rappresentato 24 di quei respinti a Tripoli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2012 ha pronunciato la storica sentenza sul caso “Hirsi Jamaa e altri c. Italia”. Il comportamento italiano fu ritenuto una grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4) e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13).
      A nove anni dalla stagione dei respingimenti e a sei dalla sentenza Cedu, il giudizio di Lana sull’approccio dell’Italia è amaro. Navi dei soccorritori bloccate al largo, annunci di porti chiusi, arresti minacciati. E ancora naufragi.

      Avvocato, anche oggi i diritti umani sono violati nel Mediterraneo?
      AGL Sulla scorta della giurisprudenza che è stata adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi, che come noto ha stigmatizzato la violazione da parte del nostro Paese del principio di non refoulement (principio di non respingimento), anche eventuali azioni che dovessero inibire l’accesso delle imbarcazioni che salvano persone in mare contrasterebbe con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E con una serie di disposizioni di carattere internazionale come la Convenzione Montego Bay del 1982 delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974 e alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR) che prevedono che gli sbarchi di persone salvate in mare debbano essere operati nel luogo sicuro più vicino. C’è quindi un contesto di diritto del mare e di diritto internazionale dei diritti umani che prescrive da un lato il divieto di respingimenti e dall’altro l’obbligo di salvare le persone che si trovano in difficoltà su queste “carrette del mare”. Indiscusso il ruolo meritorio che hanno svolto negli anni la Marina italiana e la Capitaneria di porto di Roma per il salvataggio di vite nel mar Mediterraneo, quello che oggi preoccupa sono le nuove iniziative promosse dal governo: chiusura dei porti alle ONG e, anche -almeno nelle intenzioni- alle navi militari straniere che fanno capo all’operazione Sophia.

      Nelle ultime settimane sono stati operati dei respingimenti o comunque azioni che contrastano con le Convenzioni internazionali che ha menzionato?
      AGL Quello che è stato posto in essere, in particolare dal ministro dell’Interno, è una prassi innovativa di annunci via social media. Che è una modalità abbastanza anomala di esercitare il potere e il ruolo per un governo e in particolare per un ministro dell’Interno. Normalmente in un Paese democratico basato sullo Stato di diritto i ministri esercitano il loro ruolo attraverso provvedimenti di varia natura. I quali poi possono anche essere vagliati -in un sistema dove c’è una ripartizione dei poteri- da parte di un’autorità giudiziaria, nella specie da un giudice amministrativo, che potrà valutare validità, fondatezza e motivazioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento.

      Annunci a parte, in queste settimane è stata formalmente dichiarata una zona SAR libica e forniti degli estremi di un presunto centro di coordinamento a Tripoli, con il decisivo sostegno italiano e finanziamenti comunitari. È sufficiente questa condizione puramente formale per delegare le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni e di successivo trasporto verso le coste libiche per manlevare l’Italia rispetto a quelle situazioni critiche?
      AGL Come militante dei diritti umani, studioso della materia e avvocato posso porre delle domande. E solitamente le pongo a una giurisdizione interna o internazionale, come la Corte di Strasburgo. Quindi non ho risposte. Certo, mi domando se i finanziamenti che vengono dati attraverso modalità varie -anche mediante la fornitura di imbarcazioni alle autorità libiche, piuttosto che la formazione agli operatori libici o altre modalità di supporto- possano concretizzare una corresponsabilità italiana sul piano del diritto internazionale nelle azioni di intercettazione, limitazione e controllo che le forze dell’ordine libiche -se così possiamo definirle- pongono in essere. Io qualche perplessità sul punto ce l’ho.
      Bisognerebbe perciò sottoporre questa questione all’attenzione di un giudice internazionale. So di iniziative dinanzi alla Corte EDU che sono state adottate proprio per mettere in discussione già la politica adottata dal ministro Minniti, figuriamoci quella del ministro Salvini.

      Si può definire la strategia italiana -trasversale in termini di esecutivi- di stipulare di accordi con un Paese come la Libia per fermare i migranti, una sorta di aggiramento del pronunciamento della Cedu a cui lei ha in maniera decisiva contribuito? È cioè un modo per delegare i respingimenti ai libici quello adottato dall’Italia dopo la sentenza sul caso Hirsi?
      AGL Io credo di sì. Stiamo però parlando di una giurisdizione che ragiona sui fatti. Indubbiamente non ha molto senso con riferimento a questi problemi delicati, complicati e drammatici ragionare in linea teorica, bisognerebbe analizzare un singolo episodio, conoscerlo e valutarlo alla luce del diritto internazionale e del diritto del mare. In linea di principio, e quindi con tutti i limiti che ho detto, questa sorta di outsourcing che è stata ideata mi sembra che contrasti con il diritto internazionale dei diritti umani.

      Nel caso Hirsi ci fu un ricorso. Che tipo di iniziativa occorrerebbe per poter far prendere in esame il comportamento dell’Italia dalla Corte?
      AGL All’epoca del ricorso Hirsi, e siamo nel 2009, un rappresentante di un’organizzazione non governativa si recò in Libia, in questi centri, a raccogliere le procure di alcune delle persone respinte, 24, e sulla base di quelle procure fui in condizione di predisporre il ricorso alla Corte EDU. Quindi analogamente occorrerebbe che delle persone che hanno subito una violazione dei diritti fondamentali, ad esempio un’espulsione collettiva – come fu stigmatizzata nella sentenza del 2012 “Hirsi contro Italia”- presentino un ricorso alla Corte, del tutto analogo. Bisognerebbe insomma che si materializzi un’espulsione collettiva e che le vittime di questa espulsione conferiscano incarico per adire alla Corte.

      In queste settimane gli annunci e le chiusure hanno avuto conseguenze drammatiche sulle vite delle persone. Esistono strumenti immediati per ricorrere alla Corte e inibire questa o quella condotta di uno Stato?
      AGL Sì. L’articolo 39 del regolamento di procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo contempla proprio l’ipotesi di cui lei sta parlando, cioè la possibilità in via d’urgenza di richiedere una misura provvisoria, cautelare, per inibire una determinata condotta da parte di uno Stato. Si potrebbe perciò ottenere un ordine di non respingere in violazione della Cedu, ai sensi dell’articolo 3 laddove le persone una volta respinte fossero sottoposte al rischio concreto di subire torture o trattamenti inumani o degradanti.

      Poniamo che naufraghi alla deriva nelle acque SAR libiche chiamino il centro di coordinamento di Roma per i soccorsi e che questo deleghi “per competenza” a Tripoli le operazioni. L’iniziale contatto con l’MRCC italiano potrebbe essere già un elemento di corresponsabilità in grado di far scattare la giurisdizione della Corte europea?
      AGL Non lo so, dovrei rifletterci con più attenzione. La Corte europea si pronuncia nei confronti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Si potrebbe immediatamente ravvisare una responsabilità italiana nel momento in cui su un’imbarcazione delle forze dell’ordine libiche, o della guardia costiera libica, fornite magari dall’Italia alla Libia, vi fossero dei militari o comunque degli esponenti delle forze dell’ordine italiane. Presenti lì per coadiuvare o contribuire alla formazione, o per qualsiasi motivo.
      Il semplice avviso al nostro centro di coordinamento è un’ipotesi su cui dovrei riflettere attentamente, bisognerebbe vedere il caso concreto. Ripeto, è difficile parlare di questioni così delicate, anche umanamente complesse e drammatiche, senza ragionare sulla singola fattispecie ma in teoria.

      A proposito della Libia. Per quel che lei ha avuto modo di seguire rispetto all’evoluzione del Paese dai fatti dei respingimenti del 2009 in avanti, è un Paese che ha superato le gravi problematiche fotografate dalla Corte europea di Strasburgo in termini di sicurezza e diritti umani?
      AGL Purtroppo non credo affatto. Tanto è vero che laddove nel caso concreto fossero operati dei respingimenti verso la Libia, si potrebbe a mio avviso sostenere che quelle persone non solo rischiano di essere rimandate nel Paese di origine, e dunque eventualmente sottoposte a violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), ma prima ancora la violazione consisterebbe nel respingimento verso la Libia in quanto tale, dove queste persone -come ahimè tristemente noto- vengono seviziate, le donne sono stuprate, torturate. La situazione in Libia, come noto dai rapporti delle Ong più autorevoli, è molto articolata e molto complessa e il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha certamente il controllo del territorio di tutto il Paese.

      Come valuta il fatto che dalla sentenza Hirsi in avanti gli esecutivi -riprendendo la strategia degli accordi bilaterali del 2007, 2008 e 2009- abbiano sostanzialmente individuato nella Libia e nelle presunte autorità del Paese un mezzo per non effettuare dei respingimenti direttamente ma per delegarli?
      AGL In modo molto critico. Penso che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, sottovalutato dall’Italia in particolare e dall’Europa in generale da vent’anni a questa parte. Non si tratta di un’emergenza, non è un fenomeno che può indurre una paura o una preoccupazione nei confronti di una popolazione di 500 milioni di abitanti per qualche centinaio di migliaia di persone che prova a migliorare le proprie condizioni di vita o a rifuggire da situazioni di guerra, di tortura o di violazioni di diritti umani. Per cui credo che questo problema doveva e ancora oggi deve essere affrontato in maniera radicalmente diversa. Con un impegno sistemico dell’Italia e dell’Europa intera.

      https://altreconomia.it/italia-libia-respingimenti-diritti-lana

    • Salvini: «Cambiare le norme e considerare quelli libici porti sicuri». Ma da Bruxelles arriva un secco No

      «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro». Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale sarà l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di dopodomani per ridiscutere la missione Sophia. «E’ un bipolarismo europeo che va superato» aggiunge.

      Per arginare il traffico di esseri umani, secondo Salvini, l’unica soluzione «è il blocco delle partenze, aiutando Tunisia, Marocco, Libia ed Egitto a controllare mari, porti e confini». Dobbiamo «soccorrere tutti ma anche riaccompagnarli tutti da dove sono partiti - aggiunge il ministro dell’Interno - E vanno creati canali per l’asilo politico dall’altra parte del Mediterraneo: non far partire più alcuna persona e non far sbarcare più alcuna persona in Italia, e dunque, in Europa, è l’obiettivo. L’Ue deve convincersi che questa è l’unica soluzione per risolvere la questione».

      Il titolare del Viminale è poi tornato a chiedere a Bruxelles «soldi veri» per interventi in Africa e ha ribadito che per le navi delle Ong i porti italiani resteranno chiusi. E quanto ai respingimenti, vietati dalle norme internazionali, Salvini ha sottolineato che «qualcosa che è vietato oggi può diventare normalità domani. Perché qui non parliamo di naufraghi ma di tratta di esseri umani, di un business organizzato dalle mafie dei due continenti».

      Secco no alla richiesta di Salvini da Bruxelles. «Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea» riporta i migranti salvati in mare in Libia, perchè «non consideriamo che sia un paese sicuro». Lo dice la portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento della Commissione sulle parole del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha detto che chiederà alla Ue di riconoscere i porti libici come sicuri.

      A stretto giro la controreplica di Salvini. «L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli». Così il ministro dell’Interno su Twitter.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/16/salvini-cambiare-le-norme-e-considerare-quelli-libici-porti-sicuri-ma

    • Lo “scatolone di sabbia”: un anno di inchieste sulla Libia

      Nell’ultimo anno, nella convinzione che conoscere la complessità della Libia aiutasse a leggere più correttamente gli accordi siglati dall’Italia e il loro impatto sui migranti che attraversano il Mediterraneo, abbiamo pian piano costruito una mappa di indagini e storie. In questa estate di nuove e spesso pericolose semplificazioni, ve le proponiamo qui tutte insieme in ordine cronologico.

      http://openmigration.org/analisi/lo-scatolone-di-sabbia-un-anno-di-inchieste-sulla-libia

    • The first Italian vessel promised to the Libyan Coast Guard has just been delivered. Even later than forecast. Unlikely to make a difference for a fragmented, undertrained, understaffed, underequipped Libyan Coast Guard.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1054032047818317824

      «#658_Fezzan», 14 membri di equipaggio. In foto, il primo dei due pattugliatori ’classe Corrubia’ - ex GDF, previsto dal c.d. decreto motovedette - appena arrivato a Tripoli e consegnato dal governo italiano alle milizie libiche.


      https://twitter.com/scandura/status/1054021643440455680
      –-> et ce lien vers un site en arabe : https://almarsad.co/2018/10/21/%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%B5%D9%88%D8%B1-%D9%82%D9%88%D8%A7%D8%AA-%D8%A7%D9%84%

    • Tripoli-based Coast Guard: Italy has provided old boats and is not intended for rescue

      Spokesman of the Tripoli-based Libyan Coast Guard, Ayoub Qassem, said in media statements on Friday that Italy has provided old boats and is not intended for rescue.

      He also accused the international non-governmental organizations of seeking to reap huge profits through illegal flights to and from Libya.

      Qassem revealed that the number of migrant victims reaches 120 thousand annually, because of smugglers’ use for old boats crowded with immigrants. He also said that there are many who drowned in the sea and no one knows about them.

      Qassem demanded Europe to “pay billions annually to us” without which he says “the Coast Guard would not play its role properly against the waves of migration coming from Africa”. He added that Libya is not defending Europe, but defending its sovereignty.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/35784

    • L’Italia affida i migranti agli stessi che fa arrestare per contrabbando

      La Guardia costiera di #Zawiya è un’organizzazione criminale. Secondo le Nazioni Unite, fa parte di una milizia coinvolta in numerosi traffici di esseri umani. Secondo carte lette in questi giorni dall’AFP, l’Onu vuole proporre sanzioni contro sei trafficanti, fra i quali al Bija e Mohammed Koshlaf di cui leggerete in questo articolo. Intanto, secondo la Procura di Catania, la stessa Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno. Eppure per l’Italia è un’alleata nella lotta all’immigrazione irregolare.

      Zawiya, Libia, 28 giugno 2016. La petroliera Temeteron naviga a 11 miglia dalla costa. È una nave imponente: un tanker di 110 metri di lunghezza che può contenere fino a 4.600 tonnellate; uno di quei giganti, lunghi e piatti, che attraversano le autostrade del mare a basse velocità e per lunghissimi periodi.

      Nel 2016, la Temeteron viaggiava spesso da quelle parti: un andirivieni continuo dalle acque del Mediterraneo davanti alla Libia, fino al porto di Odessa, in Ucraina, o ai porti russi affacciati sul Mar Nero. Il 28 giugno 2016, però, appena prima che uscisse dal territorio nazionale libico, ossia le acque che si allungano fino a 12 miglia dalla costa, è stata intercettata dalla Guardia Costiera di Zawiya. Anzi, come la definiscono i due ricercatori Mark Micallef e Tuesday Reitano in questa ricerca, dalla “Guardia costiera della raffineria di Zawiya”. Il legame tra l’autorità costiera e il polo industriale della città è infatti indissolubile: quei guardacoste, dotati di due unità navali, sono gli stessi che tra gennaio e giugno 2017, secondo la ricerca di Reitano e Micallef, intercetteranno 5.707 migranti sui 10.989 fermati in tutto dalla Guardia costiera libica.

      Torniamo al 28 giugno 2016: la Guardia costiera di Zawiya scorta la Temeteron fino al porto di Tripoli, dove la lascia nelle mani della Marina militare libica. Temeteron si ormeggia: è in stato di fermo e con lei anche l’equipaggio. L’indomani, durante una conferenza stampa, il portavoce della Marina libica Ayoub Qasim sostiene che i suoi uomini abbiano trovato a bordo della petroliera 5.227 tonnellate di gasolio di contrabbando, rubato dalla raffineria di Zawiya. Il dato, riportato su diversi media, sembra scorretto, perché supera il tonnellaggio della nave. Non ci sono però altre versioni. Il fermo è stato certamente convalidato: l’equipaggio – cinque ucraini, tre russi e un greco – è rimasto nelle carceri libiche fino al 2 marzo 2017.

      Navi come la Temeteron, con gli stessi presunti carichi illeciti, passano spesso al largo di Zawiya. Eppure i controlli delle autorità locali sono sporadici. Il motivo è semplice: la Guardia costiera della città è parte di un’organizzazione criminale che contrabbanda gasolio. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, quella stessa Guardia costiera è coinvolta anche nel traffico di esseri umani. Migranti e gasolio, insieme al greggio, sono i pochi “beni di esportazione” della Libia: controllare questi mercati, di fatto, significa avere le mani sull’export del paese.
      La raffineria protetta dalla Guardia costiera

      La Azzawiya Oil Refinery Company è una raffineria di proprietà statale, aperta nel 1974. È la più grossa della Libia, con una capacità massima di 120 mila barili di greggio al giorno. La controlla la National Oil Company (Noc), l’azienda statale che gestisce gas e petrolio. È socia alla pari della nostra Eni nella Mellitah Oil & Gas, joint venture italo-libica che sorge sempre nella striscia di costa libica famosa come luogo di partenza degli sbarchi.

      La Noc è l’unica autorità del paese nordafricano che può approvare le esportazioni all’estero. Da maggio del 2014 a guidarla è Mustafa Sanalla, manager risoluto, consapevole di occupare il vertice dell’unica istituzione del paese capace, almeno in un immediato futuro, di dare un’economia alla Libia. Il 18 aprile, durante il convegno Oil & Fuel Theft a Ginevra, Sanalla ha affermato che la Libia ogni anno perde 750 milioni di dollari: il 30-40 per cento del gasolio e del greggio importati o prodotti dalla Libia “viene rubato”, ha detto. In altre parole, viene esportato senza un’autentica autorizzazione della Noc, e quindi senza che la compagnia statale libica possa incassare un centesimo di tasse da questa compravendita.

      Gli unici a guadagnare, così, sono i criminali che appartengono al cartello che ha portato il prodotto fuori dalla Libia. Gli acquirenti, che pagano il prodotto in media un terzo del prezzo di mercato, sono soprattutto italiani, spagnoli, tunisini, turchi e russi. A febbraio, la Procura generale di Tripoli ha spiccato 144 mandati d’arresto per traffico di gasolio nell’ovest della Libia. Non sono ancora noti né i nomi dei ricercati, né quanti di loro siano stati effettivamente portati in carcere.
      La mafia libica dei Koshlaf e di al-Bija

      La storia della Temeteron fa parte dell’inchiesta Dirty Oil, lavoro della procura di Catania che ha indagato sulla parte di prodotto che finisce nelle raffinerie italiane, portando in carcere sette persone. Il petrolio tracciato dall’operazione – 82 mila di tonnellate in un anno – rappresenta un trecentesimo del mercato italiano, secondo la stima dell’associazione dei petrolieri Assopetroli.

      Per camuffare i carichi di contrabbando, i gruppi di trafficanti – rivela l’inchiesta – falsificano i certificati d’origine del gasolio, oppure applicano finti timbri d’autorizzazione della Noc. In questo modo, i documenti sono validi per lo scarico in qualunque raffineria europea.

      Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre, si era resa conto del fiorire di questo contrabbando sulla sua isola: Malta è il centro dove si svolge la maggior parte di queste contraffazioni. Il centro di giornalismo investigativo IRPI ha proseguito il suo lavoro, investigando sui protagonisti di questi traffici che partono da Malta. L’inchiesta di IRPI è stata pubblicata con il Daphne Project, progetto di giornalismo collettivo nato allo scopo di proseguire ciò che aveva scoperto o intuito la giornalista assassinata.

      Una pista investigativa porta da Malta alla Libia, dove sta una parte dell’organizzazione criminale arrestata a seguito dell’inchiesta Dirty Oil. In larga misura, i membri del gruppo libico sono ancora liberi. Almeno per tutto il 2016-17, la loro organizzazione è stata tra le più potenti della striscia costiera di 150 chilometri che dal confine con la Tunisia corre fino a Zuwara. Al suo vertice, Walid Koshlaf e Mohammed Koshlaf (detto al-Qasseb): secondo l’Onu, fratelli, e secondo un articolo determinante di Nancy Porsia su Trt, cugini. Uno dei loro luogotenenti è una vecchia conoscenza dell’Italia: la scorsa estate è stato accusato da Washington Post e Middle East Eye di essere a capo della Guardia costiera pagata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti. Il suo nome è Abdurahman al-Milad, detto al-Bija.

      Come si legge nel rapporto Onu del 1 giugno 2017, al-Bija con altri guardacoste “è direttamente coinvolto nell’affondamento delle navi dei migranti a colpi di armi da fuoco”. Dal rapporto Onu sappiamo anche che i Koshlaf dentro la raffineria di Zawiya “hanno aperto un rudimentale centro di detenzione dei migranti”(di cui in questo rapporto di Amnesty si vede una foto satellitare a pag.28). Una parte dei migranti “salvati” da al-Bija viene spesso condotta al centro di detenzione dei Koshlaf. Dal marzo 2016, la prigione risulta accreditata come centro sotto la direzione del Dipartimento per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) del Governo di Tripoli. A dicembre 2016, la missione Onu in Libia (Unsmil), insieme all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto in cui elencava le violazioni compiute in quelle strutture, compresa quella di Zawiya. L’Unicef riporta che per uscire da questi centri è necessario pagare una sorta di riscatto alle guardie carcerarie (cioè alle milizie).

      La tribù dei Koshlaf, gli Awlad Bu Hmeira, a cui appartiene anche al-Bija, controlla stabilmente la raffineria dal 2014. Quella che durante la guerra civile era una milizia tribale, oggi è una forza “regolare”, ufficializzata come corpo di guardia all’esterno del compound della raffineria di Zawiya: sono le Petroleum Facility Guard (Pfg), divisione di Zawiya, titolari di un contratto con la Noc. Prima del 2016 era la Brigata al-Nasr, una milizia pro-islamista che nel 2014 ha fatto parte della coalizione Libya Dawn, prima dell’avvento del governo sponsorizzato dalla Nazioni Unite guidato da Fayez Serraj. Secondo i rapporti Onu, la brigata è la prima responsabile dei furti di petrolio alle raffinerie, tanto che a gennaio 2017 Sanalla l’aveva formalmente deposta, arrivando a definire “terroristi” i suoi componenti. Nell’ultimo rapporto della Chatham House di Londra, però, si riporta che già il 16 ottobre 2017 i Koshlaf sono tornati a capo della milizia a difesa della raffineria di Zawiya.
      Perché la Temeteron è stata fermata?

      Tutte le operazioni che hanno portato a intercettare navi cariche di gasolio di contrabbando, secondo l’inchiesta Dirty Oil, sono avvenute nella zona tra Abu Kammash e Zuwara, vicino al confine libico-tunisino, zona di competenza della Guardia costiera di Zawiya.

      Eppure i suoi guardacoste non sono sempre efficienti e zelanti. La Temeteron, che ha un curriculum di contrabbando alle spalle (sigarette nel 2004 e poi gasolio nel 2015, per il quale venne fermata in Grecia), prima di quella data non era mai stata fermata dai libici. Secondo gli inquirenti, però, si era già dedicata al traffico di gasolio. Allora cos’è successo di diverso, il 28 giugno 2016?

      La risposta ce l’ha Fahmi Ben Khalifa, l’uomo che per conto dei Koshlaf gestiva le partite di gasolio di contrabbando dirette prima a Malta e poi in Italia. Un altro “affiliato” alla loro associazione a delinquere. Ben Khalifa aveva anche una società di trading e una nave, Tiuboda, battezzata con il nome di una città berbera ormai scomparsa sott’acqua.

      Ben Khalifa, alias il Malem, il capo, faceva affari insieme a due maltesi, Darren e Gordon Debono (che non sono parenti) e a un siciliano legato a Cosa Nostra, Nicola Orazio Romeo. Questi è in carcere dall’agosto del 2017, arrestato dalle Rada, le forze speciali del Ministero dell’Interno. I suoi partner sono in carcere in Italia da ottobre 2017, quando è scattata l’inchiesta Dirty Oil. Secondo un rapporto Onu ancora inedito che abbiamo consultato, gli interessi di Ben Khalifa ora sarebbero curati dai fratelli, proprietari di una stazione di benzina di contrabbando a Marsa Tiboda, vicino Abu Kammash.
      La scalata per la Temeteron

      Il cartello internazionale, a differenza della branca libica dell’organizzazione, non ha legami di clan. Non c’è nulla, se non il profitto, a tenere insieme contrabbandieri e fornitori. Tra i due Debono non correva nemmeno buon sangue: Darren era il più legato a Ben Khalifa – il fornitore libico – e a Romeo – l’uomo che gli mette a disposizione gli acquirenti in Italia. Ma Gordon Debono disponeva, grazie ai suoi contatti, di importanti compagnie di trasporto marittimo che vanno dalla Spagna all’Ucraina. La sua esperienza da broker era la più longeva.

      Nel momento in cui il rapporto fra Darren e Gordon si logora, Darren e Ben Khalifa provano a impossessarsi della Temeteron, che è una nave di dimensioni paragonabili a quelle a disposizione di Gordon. Vogliono trovare un modo per fare a meno di lui. La scalata per la Temeteron, però, fallisce, alla fine Gordon riesce a soffiare loro l’affare e comprarsi la nave. Intercettati dalla Guardia di Finanza di Catania durante una telefonata, due acquirenti italiani vicini a Darren hanno raccontato che è stato il libico ad aver segnalato alle autorità libiche il carico illecito a bordo della Temeteron e – a pochi giorni distanza – della San Gwann, altra petroliera riconducibile a Gordon Debono. Questa ipotesi, come si desume da vari dettagli delle carte dell’inchiesta Dirty Oil, è accreditata anche dagli investigatori.

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia. Se lo scopo della lotta ai trafficanti ha anche l’obiettivo di stabilizzare la Libia, come detto in più occasioni pubbliche dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, allora la strategia è da rivedere. L’Italia ha legittimato l’esistenza di questa Guardia costiera, lasciandole, in sostanza, la possibilità di arricchirsi, oltre che con i migranti, anche con il traffico di gasolio. I nostri inquirenti si trovano così nella situazione di dover arrestare componenti di quel cartello con cui il Viminale ha in realtà siglato un accordo di collaborazione.

      https://openmigration.org/analisi/litalia-affida-i-migranti-agli-stessi-che-fa-arrestare-per-contrabban
      #milice #Temeteron #Azzawiya_Oil_Refinery_Company #raffinerie #National_Oil_Company (#Noc) #Eni #Mellitah_Oil_&_Gas #Mustafa_Sanalla #Dirty_Oil #contrebande #pétrole #Walid_Koshlaf #Mohammed_Koshlaf #al-Qasseb #Abdurahman_al-Milad #al-Bija #Awlad_Bu_Hmeira #Petroleum_Facility_Guard #Libya_Dawn #Fayez_Serraj #Abu_Kammash #Zuwara #Tiuboda #Malem #Darren_Debono #Gordon_Debono #Cosa_Nostra #mafia #Nicola_Orazio_Romeo #Marsa_Tiboda

      En bref:

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia.

      #trafic_de_pétrole #trafic_d'êtres_humains

    • Départ de migrants vers l’Europe : l’Italie aurait négocié avec un trafiquant d’êtres humains libyen

      #Abd_al-Rahman_Milad, surnommé #Bija, est un militaire libyen accusé par l’ONU d’être l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains. L’homme est également sous le coup d’une enquête de la Cour pénale internationale. Pourtant, selon le média catholique italien Avvenire, Bija a participé à une réunion en Sicile au mois de mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens à propos des traversées des migrants vers l’Europe.

      C’est une information qui embarrasse l’Italie. Dans une enquête publiée vendredi 4 octobre, le média catholique italien Avvenire assure que l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains en Libye, également commandant des garde-côte libyens, a participé à une réunion organisée en Sicile en mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens.

      Le but de cette réunion était de discuter du contrôle des flux de migrants depuis les côtes libyennes.

      Enquête de la CPI

      Abd al-Rahman Milad, surnommé Bija, est notamment accusé par l’ONU d’être responsable d’une fusillade en plein mer contre des navires humanitaires mais également contre les bateaux de pêcheurs qui pourraient transporter des migrants. Il serait aussi à la tête d’une mafia insérée dans la classe politique et économique installée dans la région de Zaouia, dans le nord-ouest de la Libye.

      Depuis l’été dernier, Bija fait l’objet de sanctions de la part du Conseil de sécurité des Nations unies et ne peut plus sortir de Libye. La #Cour_pénale_internationale (#CPI) enquête également sur ses activités.

      Selon Avvenire qui publie des photos de la réunion, Bija a obtenu un laissez-passer pour entrer en Italie et assister aux discussions. Le trafiquant s’est présenté comme « un commandant des garde-côtes libyens ». Il aurait alors demandé aux Italiens des fonds pour gérer l’accueil des migrants en Libye.

      Lors d’une visite au centre d’accueil de Mineo, en Sicile, à l’invitation des autorités italiennes, Bija a été reconnu par un migrant libyen. « Mafia Libya, mafia Libya » s’est exclamé l’homme en voyant le trafiquant.

      En février 2017, le Times a diffusé une vidéo dans laquelle on voit un homme en tenue de camouflage frapper violemment un groupe de migrants sur une embarcation de fortune. Le milicien apparaît avec un handicap à la main droite, tout comme Bija qui a perdu des doigts lors des combats anti-Kadhafi de 2011.

      « C’est un homme violent et armé »

      En septembre, une enquête en Sicile a permis l’arrestation de trois trafiquants présumés qui s’étaient cachés parmi les migrants dans un hotspot de l’île. Ils sont accusés de torture, d’enlèvement et de traite d’êtres humains dans le centre de détention de Zaouia, contrôlé par ce même Bija. Plusieurs migrants interrogés ont alors déclaré aux policiers que cet homme "était chargé du transfert des migrants vers la plage. « C’est un homme violent et armé, nous le craignions tous », a insisté l’un d’entre eux.

      En février 2017, le ministre italien de l’Intérieur, Marco Minniti, a signé un accord avec le chef du gouvernement libyen d’union nationale, Fayez al-Sarraj, afin de déléguer la responsabilité des secours en mer aux autorités libyennes. Un accord controversé, les ONG assurant que la Libye n’était pas un pays sûr.

      La polémique vise aussi l’Union européenne, critiquée pour avoir financé la formation des garde-côtes libyens et leur avoir fourni des navires. Un de ces bateaux a notamment été confié aux troupes de Bija pour intercepter les migrants en mer et les empêcher d’atteindre l’Europe, selon un document de la CPI.

      Bija aurait donc en fait une double casquette selon Avvenire : celui de garde-côte et de passeur. D’un côté, il intercepte des migrants en mer pour les ramener en Libye et de l’autre, il organise leur traversée vers l’Europe.

      Le journal italien précise qu’un mois après la visite de Bija en Sicile, les départs de migrants depuis les côtes libyennes ont diminué de 50%.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20076/depart-de-migrants-vers-l-europe-l-italie-aurait-negocie-avec-un-trafi
      #gardes-côtes_libyens

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      Bija apparaît sur seenthis déjà en 2017, dans ce même fil de discussion : https://seenthis.net/messages/600874#message625178
      Et ici : https://seenthis.net/messages/576747

    • Human trafficker was at meeting in Italy to discuss Libya migration

      #Abd_al-Rahman_Milad attended 2017 talks between intelligence officials and Libyan coastguard.

      One of the world’s most notorious human traffickers attended a meeting in Sicily with Italian intelligence officials to discuss controls on migrant flows from Libya.

      Abd al-Rahman Milad, known as #Bija, took part in a meeting with Italian officials and a delegation from the Libyan coastguard at Cara di Mineo, in Catania, one of the biggest migrant reception centres in Europe, on 11 May 2017.

      Bija’s presence was documented by the Italian newspaper Avvenire, which on Friday published an extensive investigation into the meeting.

      A UN security report published in June 2017 described Bija as a bloodthirsty human trafficker responsible for shootings at sea and suspected of drowning dozens of people. He is considered to be the leader of a criminal organisation operating in the Zawyah area in north-west Libya, about 28 miles west of Tripoli.

      https://i.guim.co.uk/img/media/6820513c9e08340e261337ba4c483ed098cf1be0/0_0_1000_1250/master/1000.jpg?width=380&quality=85&auto=format&fit=max&s=87be32c7882ff9ce055395

      In February 2017, the then Italian interior minister, Marco Minniti, signed a memorandum with the leader of Libya’s UN-recognised government, Fayez al-Sarraj, introducing a new level of cooperation between the Libyan coastguard and the Italians, including the provision of four patrol vessels.

      The controversial deal has empowered the Libyan coastguard to intercept migrant dinghies at sea and bring them back to Libya, where aid agencies say the migrants and refugees suffer torture and abuse. The deal, which entailed Italy providing funds and equipment, was made by Minniti, a former communist with deep connections to Italian intelligence and the levers of the Italian state, in an attempt to stem the flow of migrants to its shores.

      The agreement was recently reinforced by Italy’s interior minister, Luciana Lamorgese, at a meeting in Malta with his counterparts from France, Germany and Malta.

      According to Avvenire, which obtained the photos from a source present at the meeting, Bija obtained a pass to enter Italy and take part in the meeting, which was also attended by north African delegates from a handful of international humanitarian agencies. Bija was presented at the meeting as “a commander of the Libyan coastguard”.

      Bija had already been recognised by a number of migrants in Cara di Mineo on the day of the meeting.

      According to the Italian newspaper’s source, Bija that day asked the Italian authorities for funds to manage the reception of migrants in Libya.

      “There had always been suspicions about the agreement between the Libyan coastguard and the Italian government,” Nello Scavo, who wrote the Avvenire story, told the Guardian. “In the past, there had already been talk of the suspected involvement of traffickers in the Libyan coastguard. But now we have the evidence. It seems really strange that Italian intelligence was not aware of Bija’s identity. It is difficult to believe they were distracted.”

      Last September, detectives in Sicily arrested three men who allegedly raped and tortured dozens of migrants in a detention centre in the north-west of Libya.

      Prosecutors in Agrigento have collected testimonies from numerous asylum seekers from north Africa, who allegedly recognised their former captors at a migrant registration centre in Messina, Sicily.

      The three alleged captors, a 27-year-old Guinean man and two Egyptians, 24 and 26, are accused of torture, kidnapping and human trafficking, operated in Zawiya detention centre, the same centre where Bija operated.

      In some of the migrants’ testimonies, contained in the survey documents seen by the Guardian, asylum seekers talk about a man who called himself “Abdou Rahman, who was in charge of transferring migrants to the beach. It was he who, in the end, decided who could embark or not. He was a violent man and armed. We all feared him.”

      Friday’s development came as the Italian foreign minister, Luigi Di Maio, presented a new decree regarding asylum seekers, which he said would cut the time it took for a decision on whether a migrant should be repatriated to four months.

      https://www.theguardian.com/world/2019/oct/04/human-trafficker-at-meeting-italy-libya-migration-abd-al-rahman-milad
      #Minniti

    • La trattativa nascosta. Dalla Libia a #Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss

      Le foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal governo.

      Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il famigerato Bija. (IL PROFILO)

      Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite.

      All’incontro, partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani. Non deve essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
      Sembra impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al tavolo dello strano convegno.

      Diversi mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso. L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.


      Nonostante la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del prefabbricato dove erano attesi Bija, alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino. Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.

      Le immagini che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire. I libici fanno domande precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui? Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire, in modo neanche troppo diplomatico «fanno capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi denaro e problemi». Da lì a poco parte l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.

      In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle convenienze».

      La trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in servizio. E anche i governi che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

      Queste informazioni hanno avuto un inatteso riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato che a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi” (fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)

      Una motovedetta del boss scafista mentre recupera un motore da un gommone in alto mare per riutilizzarlo nel traffico dei migranti

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico

    • Il trafficante libico Bija in Italia: ecco la lettera ufficiale di invito

      Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali.

      Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato? E chi ha concesso e protocollato i documenti?

      La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire , è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

      L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.

      Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

      L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

      Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull’incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/10/18/news/trafficante-libico-bija-in-italia-lettera-ufficiale-1.340124

  • Une #vidéo de #Gabriele_Del_Grande

    «Pensate alla Tunisia, la Tunisia dopo la caduta di Ben Ali, un paese che ha conosciuto una fase di 6 mesi – un anno di totale anarchia, in cui non c’era controllo di frontiera, non c’era, tecnicamente parlando, la polizia al porto. Si partiva dai porti direttamente. Ci si imbarcava e si andava di contrabbando verso Lampedusa, verso la Sicilia. La Tunisia, che è un paese di 10 milioni di abitanti, e che è uno dei paesi dove è più forte il mito dell’Europa… partirono in 25’000 in un anno! 25’000 persone su un paese di 10 milioni di abitanti. E dall’anno dopo non è più partito quasi nessuno dalla Tunisia… Queste sono le proporzioni: parliamo di 200-300 mila persone all’anno che individualmente decidono di investire in un viaggio verso l’Europa, provano le vie legali e una volta che apprendono che le vie legali sono impossibili, perché non si rilasciano i visti, bussano alla porta del contrabbando libico»

    https://www.facebook.com/100000108285082/videos/1661454033868190
    #visas #fermeture_des_frontières #ouverture_des_frontières #asile #migrations #afflux #préjugés #accueil #travail #invasion #morts_en_méditerranée #mourir_en_mer #mourir_en_méditerranée

    • If the United States had open borders, how many immigrants would come?

      The Great Wall of Trump may never stand on America’s southern border. Of course, it also seems unlikely that the border would ever be left completely open, with just a bunch of turnstyles to give a general population count.

      But it’s an interesting hypothetical that often gets bandied about during immigration debates. Anti-immigration activists argue that if we really opened up our borders, we’d be swamped by the teeming masses. Seems a reasonable speculation, at least superficially. America is very rich with an average per capita GDP of $60,000 (on a purchasing power parity basis). That’s four times higher than the global average.

      We have no way to know for sure how many people around the world would move to the United States if our legal barriers were erased tomorrow, but we do know how many say they would like to come — if they had the means and the opportunity. For more than a decade, Gallup has polled adults in countries around the world to see how many would move permanently to another country if they had the chance. About one in five potential migrants — or about 147 million adults worldwide — name the US as their desired future residence. (For reference, net migration to the US has averaged about 1 million per year this decade. Moreover, there are plenty of other advanced economies where the inflow of immigrants as a share of the population is higher than the United States, and whose stock of immigrants as a share of the population is higher as well.) The United States is the top country of choice for potential migrants — far ahead of the next choice, Germany, which is preferred by 39 million potential migrants.

      But surely far fewer than 147 million would actually show up even with open borders. Legal barriers are not the only barriers to migration. Consider residents of Puerto Rico, who can freely move to the mainland United States because they are US citizens. As economist George Borjas points out in “We Wanted Workers,” the average construction worker in his thirties earns $23,000 a year in Puerto Rico vs. $43,000 in the continental United States. Moving from Puerto Rico to the continental United States increases lifetime earnings by a quarter of a million dollars, while the actual cost of moving is a tenth or less than that. More than 3 million people live in Puerto Rico, but fewer than 84,000 migrated to the continental US in 2014. This is especially surprising because a Pew Research Center survey over the same time period found that 89 percent of Puerto Ricans “were dissatisfied with the way things were going on the island.”

      Or consider an example given by The Economist in July 2017: migration within the European Union. A tad more than 1 percent of Greeks have moved to Germany since the 2010 Greek economic crisis, even though wages in Germany are twice as high as in Greece. Because both countries are within the European Union, barriers to migration are minimal. But the low migration rate suggests that the psychological and social costs of moving are potent and large.

      Even migration between two culturally similar areas, like Cold-War era West and East Germany, can be lower than expected. Before the construction of the Berlin Wall, the East German economy was weak and its government undemocratic, yet only 15 percent of East Germans made the trek to West Germany when all they had to do was take a train from East Berlin to West Berlin.

      Though many people around the world dream of coming to the United States for a better life, not every dreamer would make the trip, even if they could do it legally. Proponents of open borders often tout the enormous economic benefits of open borders, arguing it could double world GDP or add 78 trillion dollars to the global economy by re-allocating workers to where they are most productive. But things may be a bit more complicated than that calculation suggests. This from economist Adam Ozimek:

      The big, fundamental meta question to me is: why is the US richer than the countries that most immigrants are coming from? It’s a combination of different levels of physical capital, human capital, technology, social capital, and institutions. But the last two are extremely vague, and our knowledge of how institutions and social capital emerge and evolve is not great. A decent amount of immigration only changes these things slowly, but open borders could change them very quickly.

      Would these changes be positive or negative? We don’t know, but given that the US as already very rich compared to the rest of the world the risks are to the downside. That said, if we could do better at directing immigration to parts of the US I think in some places the risks of massively increasing immigration flows are outweighed by the benefits. Detroit, for example, is not doing nearly as well as the US overall. Ranked as a country by itself, one would not describe it as doing so well that the risks are mostly to the downside.

      Fears of the US being overrun with immigrants should we liberalize our immigration laws seem overstated, but the long-term economic benefits of doing might be less than promised as well.

      http://www.aei.org/publication/if-the-united-states-had-open-borders-how-many-immigrants-would-come
      #USA #Etats-Unis

  • Revenir à l’#esprit_de_Schengen : La Commission recommande la suppression progressive des contrôles temporaires aux frontières au cours des six prochains mois.

    La Commission recommande aujourd’hui que l’#Allemagne, l’#Autriche, le #Danemark, la #Suède et la #Norvège, suppriment progressivement, au cours des six prochains mois, les contrôles temporaires actuellement en place à certaines de leurs frontières intérieures de l’espace Schengen.

    http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1146_fr.htm
    #Schengen #frontières #ouverture_des_frontières #fermeture_des_frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés #UE #EU #Europe

  • Commission statement on the management of flows of persons at the borders between Slovenia and Croatia

    President Juncker met on 29 April in the margins of the European Council the Prime Ministers of Slovenia and Croatia, Miro Cerar and Andrej Plenković, on the management of flows of persons at the borders between Slovenia and Croatia and they stated the following:

    “We had constructive talks in a solution-oriented spirit.

    We agree that EU law reinforcing the controls at the #Schengen borders and the security of our Union must be applied and implemented. In this context, we welcome the fact that Croatia will have full access to the Schengen Information System by 27 June 2017.

    The Commission stands ready to and will assist Slovenia and Croatia in providing effective and non-bureaucratic short and long-term solutions for the implementation of the systematic checks at the borders. Slovenia and Croatia both consider the Commission’s technical guidelines as very helpful and as a very good basis for their further cooperation.

    Slovenia and Croatia agree that they will notify the Commission – in accordance with the Schengen Borders Code – of the decision to carry out targeted checks whenever the waiting time at specified land border crossing points between the two countries is longer than 15 minutes.”

    http://europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-17-1182_en.htm?locale=FR
    #frontières #Slovénie #Croatie #contrôles_aux_frontières #contrôles_frontaliers #externalisation #fermeture_des_frontières

    • Slovenia: Amendments to Aliens Act enables state to activate closure of the border

      Since its independence in 1991, Slovenia has already been confronted twice with a mass influx of refugees and migrants. The first time was during the war in ex-Yugoslav Republics when 60,000 refugees (equalling 3% of the Slovenian population) found shelter in public and, mostly, private dwellings for several years. The second time was at the occasion of the unprecedented “humanitarian corridor” (analysed in The Peace Institute publication Razor-wired: Reflections on migration movements through Slovenia in 2015) during the 2015-16 European-wide migratory movements, when approximately 500,000 persons transited through Slovenia, but with less than 200 claiming international protection on its territory.

      http://rightsinexile.tumblr.com/post/160207148697/slovenia-amendments-to-the-aliens-act-enable-the

  • Tightening of Borders Makes Women Invisible Along Balkan Refugee Route

    As borders have tightened along the western Balkan route to Europe, more lone female refugees are arriving in Serbia having experienced violence and trafficking. Many who want to continue their journeys are using even riskier routes and never appear in official data.


    https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2017/04/10/tightening-of-borders-makes-women-invisible-along-balkan-refugee-route
    #femmes #visibilité #invisibilité #in/visibilité #asile #migrations #violence #trafic_d'êtres_humains #réfugiés #Balkans #route_des_balkans #frontières #fermeture_des_frontières #Serbie

  • UE : début des contrôles systématiques des Européens aux frontières extérieures

    Les Européens vont faire l’objet de contrôles systématiques aux frontières extérieures de l’UE à partir de vendredi, en application d’une nouvelle législation européenne qui cible les « combattants étrangers » se rendant ou revenant d’Irak et de Syrie.

    http://www.courrierinternational.com/depeche/ue-debut-des-controles-systematiques-des-europeens-aux-fronti
    #contrôles_systématiques_aux_frontières #frontières #Schengen (fin de -) #it_has_begun #asile #UE #EU #Europe #migrations #frontières_extérieures #fermeture_des_frontières #surveillance #ordre_public #sécurité #terrorisme
    cc @i_s_

    • Renforcer les contrôles aux frontières extérieures de l’espace Schengen

      Berne, 05.04.2017 - À l’avenir, les banques de données de recherche européennes et nationales seront consultées systématiquement en cas de contrôles aux frontières extérieures de l’espace Schengen. Lors de sa séance du 5 avril 2017, le Conseil fédéral a approuvé cette modification du règlement pertinent de l’Union européenne (UE). Le nouvel acte législatif entrera en vigueur le 7 avril 2017.

      https://www.admin.ch/gov/fr/accueil/documentation/communiques.msg-id-66251.html

    • Les autorités françaises prolongent illégalement les contrôles aux frontières intérieures Schengen, les associations saisissent le Conseil d’Etat [Action collective - Communiqué]

      Le 26 octobre 2017, l’Anafé, La Cimade et le Gisti ont demandé au juge des référés du Conseil d’Etat de suspendre en urgence la décision des autorités françaises de prolonger les contrôles aux frontières intérieures jusqu’au 30 avril 2018.

      Le rétablissement des contrôles aux frontières intérieures de l’espace Schengen, mis en œuvre par la France depuis le 13 novembre 2015, puis prolongé plusieurs fois en raison de l’état d’urgence, devait prendre fin le 31 octobre. Pourtant, les autorités françaises ont fait savoir à l’Union européenne (UE), par le biais d’une note envoyée le 3 octobre dernier, qu’elles comptaient prolonger – une fois de plus – ces contrôles systématiques aux frontières en invoquant pour seul motif le « risque d’attentat terroriste qui demeure élevé sur le territoire français ».

      Alors que l’état d’urgence doit prendre fin ce mercredi 1er novembre, cette décision, en contradiction avec les règles de l’espace Schengen qui limitent à deux ans la possibilité de mener des contrôles systématiques à leurs frontières intérieures, porte de graves atteintes aux droits des personnes et à la liberté de circulation.

      Depuis 2015, des dizaines de milliers de personnes ont fait l’objet d’un refus d’entrée sur le territoire français (63 732 en 2016). Une partie importante d’entre elles sont des personnes en quête de protection, comme l’attestent les observateurs et associations présents à la frontière franco-italienne.

      Alors que le motif invoqué pour la mise en place de cet arsenal de contrôles aux frontières est la lutte anti-terroriste, il est très clair que l’objectif premier est de limiter drastiquement la liberté de circulation des personnes migrantes au sein de l’UE et tout particulièrement de celles venant d’Italie, de Grèce et d’Espagne. Ceci est flagrant dans le Briançonnais, dans la vallée de la Roya ou encore à Menton où des centaines de militaires, policiers, gendarmes sont déployées aux cols et dans les gares et refoulent quotidiennement des personnes migrantes vers l’Italie, sans respect des procédures légales.

      C’est également manifeste dans les aéroports, où l’entrée en France est refusée à des touristes ou des personnes en situation régulière, en provenance d’un autre Etat de l’espace Schengen. Ces individus sont alors enfermés en zone d’attente pour être renvoyés.

      Par ailleurs, des contrôles discriminatoires, fondés sur l’apparence et le faciès, sont exercés systématiquement, sur tout le territoire, à l’égard des personnes perçues par les forces de l’ordre comme migrantes.

      Nos organisations demandent donc urgemment aux autorités françaises de mettre fin aux contrôles systématiques aux frontières intérieures systématiques afin de revenir à un espace Schengen où la liberté de circulation redevient la norme et non l’exception.

      Le recours a été préparé par deux étudiantes du M2 droits de l’homme de l’Université Paris Nanterre en lien avec les associations requérantes.

      http://www.anafe.org/spip.php?article440

    • Prolongation of the temporary reintroduction of border controls at the French internal borders in accordance with Article 25 of Regulation (EU) 2016/399 on a Union Code on the rules governing the movement of persons across borders (Schengen Borders Code)
      http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12811-2018-INIT/x/pdf

      Commentaire de Marine DE HAAS reçu via la mailing-list Migreurop (09.10.2018)

      La France vient de prolonger – pour la 12ème fois – les contrôles systématiques à ses frontières intérieures, jusqu’à avril 2019.

      Comment le temporaire devient permanent.

      La notification est disponible en anglais et en français sur le site du Conseil européen : http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12811-2018-INIT/x/pdf

      La justification apportée triple :
      – La menace terroriste est toujours forte et imminente (deux attaques en 2018 et 5 attentats déjoués selon les services de renseignement)
      – Le processus de renforcement des frontières extérieures n’est pas complètement finalisé
      – Le G7 aura lieu en France en avril prochain
      Les chiffres des arrestations aux frontières sont censés prouver l’intérêt de cette mesure, alors qu’aucun chiffre sur les poursuites engagées effectivement n’est donné.
      Les lieux de contrôles ne sont pas mentionnés à nouveau, ils restent donc les mêmes (décision de décembre 2015 ici).

  • Leading economists agree: closing borders is not the answer to inequality

    But just as the collective voice of the majority today seems to favour a quick-fix, non-solution to rising inequality, our hope is that an articulation of the actual reasons behind rising inequality and insistence on a reasoned, balanced policy response could provide the real solutions needed to address the widening gap between rich and poor.

    https://www.wider.unu.edu/publication/leading-economists-agree-closing-borders-not-answer-inequality
    #inégalités #fermeture_des_frontières #pauvreté #économie
    cc @franz42

  • Ground Plan

    #Ground_Plan offers an idealized view of the world map. As an architectural plan it draws on ideas of structure and space, as an alternative delineation of nations it suggests freedom of movement and cohabitation.

    http://www.louisabufardeci.net/pages/groundPlan/gp.html

    #frontières #ouverture_des_frontières #fermeture_des_frontières #cartographie #cartoexperiment #asile #migrations #réfugiés #europe #visualisation #portes #monde
    cc @fil @reka

    via Nicolas Lambert (twitter)

  • Balkan migration route is ‘not closed’

    One year on from when the borders were sealed, refugees are still using South East Europe to enter the EU. But now the journey is more difficult, expensive and brutal. EURACTIV’s partner Der Tagesspiegel reports.


    http://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/balkan-migration-route-is-not-closed

    #asile #migrations #réfugiés #route_des_balkans #Balkans

    • Le grand désarroi des réfugiés bloqués dans les Balkans

      Un an après la fermeture officielle des frontières, le 8 mars 2016, les migrants sont bloqués en Bulgarie et en Serbie.

      « Game is over », crache Farid, 26 ans, comme pour évacuer sa colère. Le visage couvert de sueur, le jeune Afghan appuie ces mots d’un non de la tête, comme si son retour dans le camp de Sid ne suffisait pas à signifier son échec à franchir la frontière. Fin février, sa sixième tentative de passage de Serbie en Croatie vient d’échouer. Il recommencera, jure-t-il, lui qui a payé 600 euros pour quitter l’endroit. Reste à attendre l’appel du passeur.
      En Serbie, la tentative de passage des frontières a beau s’appeler « the game », le jeu ne fait plus rire personne. « Si l’Europe ne veut pas nous laisser entrer, qu’elle nous déporte en Afghanistan ! Ce n’est pas humain de nous laisser là », crie Farid avant de se jeter sur l’un des cent lits superposés de l’immense tente sous laquelle il dort depuis six mois.

      Farid est exténué, comme une bonne partie des 600 migrants qui vivent dans le camp face à la gare, au cœur de la petite ville de Sid. « Tous n’ont que le mot “frontière” à la bouche. C’est devenu une obsession, regrette Alexandra Stemenkovic, psychologue. Nous entendons désormais une longue plainte. Les femmes dépriment et les hommes deviennent violents. La consommation d’alcool a augmenté. »

      « Tous les repères s’écroulent »

      « Oui, c’est ça : j’ai l’impression de devenir fou », corrobore Nabil Khan, un Pakistanais de 36 ans qui suit Mme Stemenkovic pas à pas, suspendu à chacun de ses mots. Car dans ce monde où circulent les rumeurs les plus folles sur le jour et l’heure auxquels la frontière rouvrira, la parole en blouse blanche compte double.

      En mission depuis le début de l’année pour Médecins du monde, Camilo Coral est pessimiste. « Une épidémie de dépressions menace », prévient-il. « On en observe les premières manifestations. Le groupe a de plus en plus de mal à s’autocontrôler, on a de plus en plus de signalements d’attouchements sur des femmes, de violences sur les enfants. On risque de voir rapidement se multiplier les tentatives de suicide », insiste M. Coral, qui a déjà travaillé sur ce phénomène en Colombie auprès de populations victimes de conflits.

      « On est dans un temps deux de la crise. D’abord, il y a eu l’euphorie du mouvement. Aujourd’hui, c’est retombé et les gens attendent là, un peu plus désespérés chaque jour, analyse Jean-François Corty, responsable des opérations internationales pour Médecins du monde. Les migrants ont souffert de quitter leur maison, mais ont mobilisé toutes leur énergie sur leur but. Et là, avec la fermeture de la route, tous leurs repères s’écroulent. Il faut reconstruire avec eux, travailler la cohésion du groupe et le sentiment collectif. »

      Le défi des équipes consiste à « imaginer un protocole, en offrant une aide individuelle pour les plus vulnérables, ou en les orientant vers les psychiatres locaux ».

      7 700 exilés coincés en Serbie

      Dans le camp voisin d’Adasevci, un jeune homme de 22 ans a été retrouvé pendu récemment, et une femme qui a perdu un fils au passage d’une frontière précédente a tenté le même geste. Maja Terzic, de l’ONG Praxis, observe aussi ce désespoir hors des camps, à Belgrade où elle intervient. « Récemment, j’ai été confrontée à plusieurs cas d’automutilation et de tentatives de suicide », remarque-t-elle, en voyant se dégrader la santé des 2 700 migrants bloqués dans la capitale, et plus largement des 7 700 exilés coincés dans le pays.

      La « route des Balkans » a été officiellement fermée le 8 mars 2016, ce qui a empêché une partie des 347 000 migrants entrés en Europe cette année-là d’arriver à bon port.

      Dix jours après, l’accord entre la Turquie et l’Union européenne (UE) allait tarir l’arrivée des migrants en Grèce. Mais Ankara menace aujourd’hui de le dénoncer, après les récents incidents diplomatiques avec l’Allemagne et les Pays-Bas.

      Etape sur la route de l’Ouest, la Hongrie ne laisse officiellement passer que dix personnes par jour, choisies sur une liste établie par les autorités serbes à partir des dix-sept camps de transit du pays.

      « Obliger les demandeurs qui sont déjà en Hongrie à repartir du côté serbe de la clôture est violent, inutile et cruel », a estimé Benjamin Ward, directeur adjoint de Human Rights Watch (HRW). Ces renvois sont pourtant la règle. Or le Haut Commissariat aux réfugiés (HCR) prévoit que 12 000 à 13 000 personnes vont encore entrer cette année en Serbie. A Budapest, le Parlement a de nouveau déclenché la colère des ONG, mardi 7 mars, en disant vouloir placer les demandeurs d’asile en détention à leur entrée dans le pays.

      Lire aussi : Hongrie : le cas d’Ahmed H., emprisonné pour dix ans, symbole de la politique sécuritaire d’Orban

      Vétusté et saleté

      En Bulgarie, 10 000 migrants sont prisonniers. Après avoir été interceptés par la police, ils sont obligés de déposer une demande d’asile puis s’échappent et reprennent leur route. Là, un autre désespoir s’installe.

      « On est arrivé au paradoxe terrible que l’accueil des migrants est meilleur en Serbie, pays hors de l’Europe, qu’en Bulgarie, pays membre. Les trois quarts des fonds européens vont à la sécurisation des frontières, contre un quart seulement pour l’accueil des migrants. Nous-mêmes [Médecins du monde] n’avons des fonds que jusqu’à fin mars », observe Jean-François Corty. « La Bulgarie a bien reçu 160 millions d’euros en 2016, confirme Daniel Stefanov, en poste à Sofia pour le HCR, mais 120 millions sont allés à la sécurisation de la frontière, en dépit de notre lobbying pour améliorer l’accueil. »

      Dans les centres, où vétusté et saleté sont de mise, le désarroi est immense. Le 22 février, Thierry Dutoit, responsable de Médecins du monde pour le pays, cherche deux jeunes mineurs afghans qui pourraient bénéficier d’un transfert officiel vers la France puisque chacun d’eux y a un frère en situation légale.

      Dans le centre de Voenna Rampa, dans la banlieue de Sofia, où sont hébergés 850 migrants dont 150 mineurs, le traducteur se rend dans la chambre 448, où ces adolescents devraient se trouver. Mais il découvre que l’un d’eux, Bousmantsi, a été transféré vers un centre fermé, ultime étape avant le renvoi en Afghanistan.

      Expulsés et primo-arrivants

      « Le problème principal reste le manque d’identification des mineurs non accompagnés, et le manque de prise en charge adaptée », regrette Daniel Stefanov. De l’avis général, Bousmantsi sera renvoyé. « Comme tellement d’autres », soupire le traducteur. Pour que le retour vers l’Afghanistan passe pour volontaire, il suffit d’une signature du migrant. Il se murmure que tous les moyens sont bons pour l’obtenir.

      A Voenna Rampa, ceux qui se dirigent vers l’Europe de l’Ouest côtoient ceux qui en reviennent, expulsés d’Allemagne, de Belgique ou de France. Aktar est l’un d’eux. Ses empreintes ayant été prises en Bulgarie lors de son passage au printemps 2016, la France l’a renvoyé dans ce pays par lequel il a mis le pied dans l’UE. Il a 26 ans et parle français après onze mois passés à Paris, dont quelques-uns sur les trottoirs.

      « Je ne comprends pas pourquoi on m’a renvoyé là », se désole-t-il, sortant de son sac à dos une liasse de feuilles qui racontent ses quarante jours de rétention à Vincennes après une interpellation gare du Nord, et son expulsion.

      Cette cohabitation avec les expulsés casse un peu plus le moral des primo-arrivants qui sentent que, si les Balkans sont durs, leur destination n’est pas davantage un paradis et qu’aujourd’hui, y parvenir ne signifie pas y rester.

      http://abonnes.lemonde.fr/europe/article/2017/03/15/les-refugies-dans-l-impasse-des-balkans_5094550_3214.html

    • Ce « rendez-vous des droits » jamais entendu parler non plus. Un RDV avec la caf c’est une fiction.
      Bon si je fait une banderole je peu espéré que la caf débloque mon dossier (j’en suis « que » à 5 mois de blocage). On m’a deja privé d’APL au pretexte que j’ai trop peu de revenus et que pour eux les artistes grugent forcement alors ils estiment que j’ai des revenus supérieur à ce que je déclare. Ils m’ont inventé 14000€ de revenu en multipliant par 12 mes revenus de l’année dernière ! Et ils calculent mon APL sur cette base, donc pas d’APL... Je n’ai même pas de justificatif qui explique leur refus, juste un mec horrible au telephone qui m’a dit que j’avais aucun recours pour l’APL et qu’a rester patiente pour le RSA que le conseil général se bouge le fessier (avec donc 5 mois de retard et je découvre que ca peu duré 8 mois ou plus..). J’ai imprimé à partir du site leur réponse de 2 lignes qui dit « pas d’APL, ciao ».

      En plus si jamais j’ai le RSA un jour j’avoue que j’ai très peur qu’ils m’inventent un revenu comme ils ont deja fait et me demandent de remboursé des sommes délirantes sur la base de 12 fois le dernier dessin que j’ai vendu. Et je sais que si ils se trompent il faut payer quand meme et qu’après ils regardent si il y a vraiment une erreur et te remboursent à leur rythme de 5 à 8 mois de retard voire plus.
      A la MDA (asso) j’attend qu’ils me donnent un rdv avec leur service d’aide sociale, ils veulent même pas me donner une date de RDV depuis 3 mois. Au service sociale de mon quartier la dame qui s’occupait de mon dossier RSA y comprenais encore moins que moi et me disait de cocher « comme je voulais ». Elle osait même pas me regarder dans les yeux pendant qu’elle « m’aidait » à faire mon dossier. Et en plus les gens qui bossent là dedans font de la peine, ca ce voie qu’illes souffrent de faire ce boulot qui est devenu de la merde avant qu’illes soient tous remplacé par des robots et viennent rejoindre l’autre coté du guichet.

      Bon j’ai une super expo qui commence jeudi (je vais mettre l’annonce sur seenthis), j’espère que je vais vendre quelque chose et que je pourrait me passer du RSA. :)

    • On en parle au CAAP (syndicat des artistes) pour tenter d’avoir des référents CAF pour les artistes, parce qu’en fait, ils ne comprennent rien à nos spécificités, comme, par exemple, un résultat négatif. Eux, ils ont l’habitude des salariés, donc 0 = pas bossé, donc on te neutralise ceci et pas cela. Dans mon cas, ils ont fait sauter la PA (Prime d’Activité) alors qu’on avait une plus mauvaise année… et puis ils disent que ça revient au bout de 3 mois… mais on ne sait pas pourquoi. S’il faut, ils n’ont pas compris que je déclarais une pige en novembre : 225€ de pige = - 950€ de PA. On la sent bien la grosse incitation à jober…

      En gros, c’est portnawak, personne n’en trave que pouic, y compris en interne.

    • Arf je suis pas sortie de la galère. Bon en tout cas je suis syndiqué maintenant merci @monolecte et @colporteur

      Sur les APL j’ai trouvé ceci qui date de 2013 et auquel personne n’a répondu...
      http://forum.kob-one.com/statut-social-fiscal-mda-agessa-ursaff-f65/faire-valoir-ses-droits-aux-apl-en-tant-qu-artistes-auteurs-t42562.ht

      Voici donc : je suis artiste auteur affiliée au régime micro BNC. La CAF des Alpes maritimes refuse de me verser une aide au logement, pour la raison suivante : je suis assimilée à un travailleur indépendant, et suite au fait que j’ai déclaré 0 revenus en 2010 et 2011,"la législation CAF prévoit une application d’une assiette ressources de 14100 euros". Pour cette raison je ne serais pas éligible à l’allocation logement.

      En tout cas c’est exactement ce que la CAF parisienne m’a dit. Et cette partie montre une généralisation du problème, en 2016 la CAF parisienne s’est inspiré des methodes de fraude que la CAF des alpes maritimes utilise depuis 2013.

      « Je me demande alors comment cela se fait que mes amis artistes vivant à Paris n’ont pas eu de problème avec la CAF de Paris pour toucher leurs APL ? »
      arf

      A paris il existe une aide complémentaire à l’APL par la ville qui est de 89€ et auquel je devrais avoir droit aussi mais dont le droit m’est refusé puisqu’on me prive de l’APL, je ne peu pas demandé son complément.

    • sur les APL j’ai trouvé ceci :

      Par contre il faut faire attention à ne se déclarer travailleur indé que si l’on déclare du chiffre car si l’on fait une année à 0 ils partent du principe que l’on gagne 13500€. J’ai du batailler pendant plusieurs mois pour récupérer mes droit et c’est uniquement grâce au bilan de ma société car en AE je n’avais pas de solution.

      http://forum.kob-one.com/mda-f65/circulaire-caf-rsa-pour-les-artistes-t42381.html

      Donc la personne qui m’a « aidé » au service sociale pour faire mes papiers m’a fait perdre mes droits et me fesait faire une erreur de déclaration. Comme je suis pas en société à lire ce commentaire je n’ai apparament pas de solution pour récupéré mes droits... Bon je vais cherché encore.

      Là je trouve un commentaire de 2010 qui rend un peu plus optimiste mais sans donné trop d’indications

      Dernier info, une loi est passée en décembre dernier : Maintenant, L’obtention du RSA pour les auteurs et les auto-entrepreneurs ne dépends plus d’une commission du Conseil Géneral comme pour les autres travailleurs indés. Les auteurs et les auto-entrepreneurs peuvent bénéficier d’office du RSA sous conditions de ressources. C’est du déclaratif aupres de la CAF, comme pour les chômeurs quoi.

      http://forum.kob-one.com/graphistes-f7/artiste-auteur-apl-t35704.html

    • Oui, c’est la déclaration de ressources trimestrielle qui compte pour le calcul des droits RSA, sauf si un contrôle conclut à la fraude ou l’escroquerie. Mais la CAF prend aussi en compte le statut. Avoir un microBNC par exemple entrainera une vérif annuelle, même en cas d’absence de chiffre d’affaire. Ou bien, il aura suffit de déclarer trois mois de salaire, pour que la CAF considère que l’on est plus chômeur ou sans revenu, on doit faire valoir la situation réelle (par exemple ni salaire ni alloc’ chômage après ces mois d’emploi). Dans l’ensemble ils tentent leur chance pour priver les ayants droits d’alloc, pout tout ou partie, que cela soit justifié par la loi ou la règle ou pas.
      voir par exemple CAF Nationale : 8 cars de CRS, 10 policiers en civil (im)mobilisés, 2000 euros de « trop perçu » RMi récupérés
      http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=4570
      Ce qui compte c’est de ne pas lâcher l’affaire, mais c’est pas évident, là par exemple, il me prélèvent 50€ d"indu" chaque mois, une somme qui ne suffit pas à se lancer dans un bras de fer qui peut être éprouvant, surtout sans action collective à la clé).

      @mad_meg, je ne sais pas si tu as fait un recours, tu peux peut-être prendre le temps d’exposer en détails la situation (de ton côté et du leur) pour une demande de conseil à permanenceprecarite [at] cip-idf.org.

      Pour l’APL, la revenu de référence est celui de l’année fiscale écoulée. Or (la CAF ne le dit pas), il est toujours possible d’arguer d’un "changement de situation" pour faire réviser ses droits (ouvrir droit, ou faire augmenter le montant de l’APL)

    • Bah déjà pour prendre un RDV IRL… c’est quasi impossible… pour écrire depuis leur site tu es limité à 200 caractères… l’angoisse monte dès qu’on reçoit un courriel ou courrier de leur part… que vont-ils vouloir de plus comme document ? qu’on leur avait déjà fournis parfois… T’as l’impression de te mettre à poil devant eux pour quelques broutilles. C’est humiliant au possible. Comme si c’était déjà pas assez galère de galérer… Et encore je pense qu’on est loin d’être les pires à plaindre. On est blancs, on cause / écrit bien français, on s’énerve pas…

    • Aller à la CAF, c’est être menacé de poursuites en cas de désaccord :

      La #dématérialisation remplace l’accueil, ou lui préexiste (CAF fermées, pas de rdv sans démarche informatique). C’est encore une manière de mettre à distance les ayants droits, d’autant plus grave pour qui n’est pas assez francophone, un peu ou beaucoup illettré (en théorie on a le droit d’être accompagné lors de toute démarche administrative), étranger ou rétif à l’utilisation d’ordi, smartphone, etc.

      Page fraude de la CAF, pour une fois les explications, dissuasives, sont longues (à défaut de porter sur les droits) :
      https://www.caf.fr/ma-caf/caf-de-loire-atlantique/actualites/annee/2016/fraude-l-affaire-de-tous

      À propos des droits des pigiste, un article (qui ne donnera pas de réponses aux questions sur l’application de l’actuelle convention Unedic) : Pigistes et intermittents, ébauche d’analyse comparative. Entre subordination et autonomie
      http://www.cip-idf.org/article.php3?id_article=4550
      Peut-être rédiger un mel détaillé à « conséquences du protocole Unedic » de la cip-idf : cap [at] cip-idf.org,

    • @aude_v dans le 59, moi j’ai plutôt l’impression qu’on resserre les boulons là, depuis l’élection de l’autre con, me souviens plus de son nom, à la tête du département. Moi (et bien d’autres) ils veulent me foutre dehors parce que je ne suis pas inscrit à Pôle emploi, alors que je leur ai déjà écrit deux fois que j’ai fait 137 ans d’études même pas payé mais diplomé par le Gouvernement, pour devenir cosmonaute, et que c’est pas chez pôle emploi que je vais trouver des petites annonces pour aller sur la lune. Là j’attends une réponse, mais ils commencent d’abord par te sucrer 100 balles avant d’étudier ton cas, les crevards... Sans parler de la prime de naissance de ma gamine qui risque d’arriver quand elle passera son bac... ni des #AME introuvable pour les gars des olieux... enfin... #ACAFB pour all caisse d’allocations familiale are bastard

      (la blague du cosmonaute est une expression du @colporteur )

    • Pour les piges, il te faudra déclarer trimestriellement les rentrées en droits d’auteur (en retard sur le taff...) en CAF.
      Bricolage défensif : il y a souvent moyen de jouer sur les « dates de valeur » (s’entendre avec le salariant, le client, sur les dates de versement) pour ne pas risquer un pic de revenu sur trois mois qui ferait baisser l’alloc’. Le mieux est d’arriver à grouper le/les versements sur un des mois de la DTR, avec deux mois sans revenu, et en précisant dans la case idoine que le revenu déclaré n’est pas régulier mais ponctuel.... (avoir à tabler sur l’astuce, sur la connaissance des règles et du fonctionnement de ces caisses montre combien ces dispositifs sont structurellement inégalitaires).
      Ce qui est dégueulasse, aussi, c’est qu’on est poussé à la #désalarisation_formelle (pas de fiche de paye mais une #subordination commerciale à des donneurs d’ordre, payeurs de mission, etc), perdant des périodes de taff qui aurait pu donner droit à de la sécu, du chômage, de la retraite. Fragiles #entrepreneurs_de_soi.

    • Non, ça dépend.
      Les piges, théoriquement, ça ne devrait être que du salaire.
      Donc, une vraie pige, c’est une feuille de paie avec un salaire net à reporter sur la déclaration trimestrielle (enfin, quand elle apparait !).

      Mais bien sûr, il y a des tas de piges qui sont facturées et là, c’est la fête.

      Si tu factures, tu es, le plus souvent, une entreprise individuelle.
      Beaucoup sont en AE. Là, c’est fastoche, ça se déclare aussi en trimestriel, mais je ne sais plus si tu déclares le brut perçu ou le net dont tu retires l’abattement forfaitaire de 34% pour frais de boulot ou si c’est la CAF qui calcule : à vérifier très soigneusement.
      Même combat si tu es en régime micro : trimestriel, puisque tes revenus net sont faciles à calculer.

      Par contre, si tu es en déclaration contrôlé, là, ça veut dire qu’on ne connais ton revenu qu’à la fin de l’année, quand tu as sorti tes frais réels. Là, c’est déclaration annuelle (que tu ne fais pas, vu qu’ils ont directement accès à ton IR, si, si, même s’ils te le réclament, probablement pour faire chier, vu qu’ils l’ont automatiquement).
      En déclaration contrôlée, tes revenus sont calculés sur les revenus professionnels non salariés de N-2 (ce qui pose des problèmes aux installés récents) en divisant par 12 le bénéfice et en le ventilant par mois. Tous tes revenus au réel ne doivent pas être déclarés quand tu les perçois. Seulement les revenus forfaitisés.

      On en a plein qui sont au réel et qui déclarent quand même leur brut en trimestriel, la trouille d’être traités de fraudeurs (c’est inconfortable de mettre 0 en revenus pro non salariés quand tu viens de palper le chèque du client), et du coup, ils déclarent deux fois et perdent leurs droits…

    • (au sujet de l’affiche - depuis début janvier)

      Qui reste poli est toujours bien accueilli

      Qui lance des menaces verbales risque des sanctions pénales

      Le premier invite au bon comportement, le second expose les pénalités encourues : par exemple, lorsqu’il s’agit d’une agression physique, la Caf porte systématiquement plainte et sachez que les outrages peuvent être punis au pénal par une amende allant jusqu’à 15 000 € et un an de prison.

      http://blog.caf-bourgogne.fr/rubriques/bon-a-savoir/qui-reste-poli-est-bien-accueilli

      Se détendre pour mieux s’entendre, avec le smiley...

    • Ce matin courrier de la CAF… 2h pour remplir toutes les paperasses demandées… faire un pdf de 12 pages pour leur envoyer sur leur site… recevoir une erreur « 4 pages maximum »… râler fort intérieurement… 1 minute plus tard avoir « session expirée »…

    • M’enfin... le 29 mars c’est dans deux semaines !! Quand on attend le RSA, qu’il saute ou est raboté, qu’avec ça vienne les agios, retard de loyer, la perte de la réduc transports, etc., etc. obliger à attendre son tour 15 jours en fermant la possibilité d’être reçu, c’est rien d’autre que de la non assistance à personne en danger.

      #accueil

    • La CAF du Nord ferme pour une durée indéterminée 40 points d’accueil
      http://www.lavoixdunord.fr/132872/article/2017-03-15/la-caf-du-nord-ferme-pour-une-duree-indeterminee-40-points-d-accueil

      La caisse d’allocations familiales du Nord a décidé de fermer à partir de ce jeudi 40 points d’accueil sur les 113 qu’elle compte dans le département. Objectif : redéployer les #agents concernés sur le traitement des #dossiers en #retard.

      #fermetures_de_CAF

    • @aude_v pour les RDV CAF, j’ai fait le procédure que tu indique, sauf que 3 jours après la Caf m’appel, me demande pourquoi j’ai pris RDV. Là on me dit « pour ce que vous voulez pas besoin de RDV, votre dossier est en attente » et paf plus de RDV...
      En tout cas vu ce que dit @colporteur ca va se gâté bientôt aussi pour le nord.

      @monolecte j’ai recu les infos pour le CAAP mais il y a beaucoup de choses qui passent par facebook et Twitter. C’est vraiment dommage.

    • Pour accélérer les choses, le mieux est d’arriver à faire descendre au guichet un "agent réglementaire" (qui traite les dossiers alors que l’accueil bloque) et un responsable CAF, en tapant le scandale, ce qui se fait jeux à plusieurs, si on veut éviter des sanctions individuelles à l’encontre de l’allocataire (cf les affiches, etc). (voir cet article cité plus haut qui montre bien la logique de l’action et ce qui lui est opposée, y compris lorsque la CAF a commencé par violer les règles de base pour se faire de la trésorerie sur notre dos : CAF Nationale : 8 cars de CRS, 10 policiers en civil (im)mobilisés, 2000 euros de « trop perçu » RMi récupérés)

      Il arrive que l’on obtienne seul de ne pas en rester à l’accueil de guichet qui ne débloque rien. C’est comme à l’usine, quand tu as repeint trois petits chefs, le patron commence à faire gaffe. Et on toujours le droit d’être accompagné par la personne de son choix (elles ils, peuvent jouir d’une plus grande marge de manoeuvre et apporter un appui sur les règles, lois, etc., et puis on préparer mieux à plusieurs, etc. et tout ça est déjà anormal pour la caf), voir "droit à l’accompagnement - droit à être accompagné/assisté/représenté" dans cette page : http://www.gisti.org/spip.php?article5258

      la dernière fois que je suis allé à la caf, j’ai dit à l’accueil que je venais avant de lancer une #procédure_contentieux, de ce fait j’ai eu la surprise (et la honte) d’être audiencé au guichet avant les 250 personnes qui étaient là
      j’ai ensuite pris la parole pour expliquer ce qui s’ait passé à tout le monde dans la caf (interrompue et menacé par les vigiles) et dans la queue dehors, histoire que d’autres disent le mot magique "contentieux" lors de l’aiguillage initial. histoire de bine piger que rien n’est fait pour notre bien dans ce genre d’endroits, à moins de s’en occuper.

      Notre accélérationnisme contre le leur (ils nous fluidifient vers l’emploi, la prison, la rue), en gros

    • @monolecte ca serait super cool mais est-ce que c’est pas des infos réserver aux adhérent·e·s ? en tout cas si c’est possible je suis très intéressée car j’ai pas du tout envie d’aller sur facebook ni sur twitter.

      @aude_v oui c’est claire que c’est de la fabrique à non recours. D’ailleurs c’est probablement ce que je vais finir par faire. Parce que le temps que la situation se débloque j’aurais j’espère vendu quelques dessins du coup je me retrouverais à devoir remboursé des sommes vu qu’ils vont multiplié par 12 mon dernier revenu de manière parfaitement aberrante.

      Autre joyeuseté liée à la CAF que j’ai découvert cette semaine : Depuis un an que je suis inscrite au chômage et que j’essaye d’obtenir le RSA, quant je prenais mes tickets de métro RATP sur le guichets robotique je prenais des tickets demi-tarif. Sur le robot vendeur (qui a mis tou·te·s les guicheti·ère·er·s au chômage) à coté de demi tarif il y a écrit entre parenthèse (famille nombreuses, demandeur d’emplois...) du coup je prenais ca de bonne foi en croyant respecter les règles. En fait le robot m’a induite en erreur et je dois être loin d’être la seule. Je sais que quant j’aurais le RSA je devrais bénéficié des transports gratuit et qu’en attendant que la CAF me débloque mon RAS et ce qui va avec, je payais mes tickets à moitié prix ce qui était mieux que plein pot. Et puis mardi dans le bus je suis contrôlé. Je présente mon ticket demi tarif composté comme il faut, le contrôleur me demande mon justificatif. Je sort ma carte de paul emploi, et le justificatif mensuel. Et là le mec me dit « ce que vous me sortez n’est pas valable » et il me colle une amande 35€...

      En fait pour avoir droit au demi tarif il fallait que je demande un justificatif à la CAF tous les 3 mois. Ce que l’automate RATP ne dit pas. Vu les retards de la CAF, bah je suis pas prête d’avoir une autorisation et encore moins tous les 3 mois.

    • La CAF viens de me refusé le RSA et tout ce qui va avec après plus de 10 mois d’attente sur les mêmes prétextes frauduleux qui me valait le refus des APL auxquels j’ai droit. Tous les droits associés me sont refusés...

    • oui enfin techniquement il y en a et je vais le faire, mais tout ce que je lie sur le sujet sur internet est très décourageant et je viens d’apprendre que je vais perdre aussi la CMU puisque la SECU se renseigne auprès de la CAF pour l’accordée.

    • @mad_meg dsl, je renouvelle la proposition de demander conseil à permanenceprecarite [at] cip-idf.org. Les perm fonctionnent pas l’été mais la liste mel oui. L’intérêt est de confronter plusieurs avis à partir du dossier (échanges de courriers, etc, dont les copies ou scan restent non publics) pour voir ce qui peut se faire.
      Là, je viens de parcourir rapido ce qui précède et je ne saisi pas exactement où le bât blesse et comment (sur quoi motivent ils précisément leur refus ?).

    • Merci @colporteur je vais contacté la permanence que tu m’indique. @monolecte m’a écrit pour me donner quelques conseils. La CAF dit que le refus est motivé par l’Article L 262-7 du code de l’action sociale et des familles.
      https://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do?cidTexte=LEGITEXT000006074069&idArticle=LEGIART
      Circulaire à laquelle je ne comprend rien du tout. Mais en fait mon régime dépend de la circulaire suivante que je vais désormais joindre à toutes mes interactions avec la CAF ; http://solidarites-sante.gouv.fr/fichiers/bo/2010/10-03/ste_20100003_0100_0105.pdf

      Merci à vous @aude_v @monolecte @colporteur

    • Faute de pouvoir entrer dans le détail, un principe de base, ils sont supposés motiver en fait et en droit leurs décisions sous peine d’illégalité, pas « justifier » une décision arbitraire en citant l’ensemble d’un texte légal sans prendre appui sur un de ses éléments en rapport avec ta situation. L’argument vaut pour presque tous les recours contre la CAF, et ça laisse ouvert la possibilité d’une action contentieux par delà le recours (ou la Caf est juge et partie).

    • L’article est insuffisant parce qu’il ne fait pas mention des artistes-auteurs qui sont rattachés au régime général de plein droit, même si leur dossier est géré par un organisme collecteur tiers (en l’occurrence la MDA).
      Selon l’article L382-3 du Code de la SS :

      Les revenus tirés de leur activité d’auteur à titre principal ou à titre accessoire par les personnes mentionnées à l’article L. 382-1 sont assujettis aux cotisations de sécurité sociale , à l’exception de celles dues au titre des accidents du travail et des maladies professionnelles, dans les mêmes conditions que des salaire s, sous réserve des adaptations prévues dans la présente section.

      Les cotisations dues au titre des assurances sociales pour les personnes mentionnées à l’article L. 382-1 sont calculées selon les taux de droit commun.

      Nous sommes donc assimilés de plein droit au régime général.

      Mais rien n’est plus clair que l’article L382-1 du Code de la SS, dans sa version en vigueur au 10 août 2017 :

      Les artistes auteurs d’œuvres littéraires et dramatiques, musicales et chorégraphiques, audiovisuelles et cinématographiques, graphiques et plastiques, ainsi que photographiques, sous réserve des dispositions suivantes, sont affiliés obligatoirement au régime général de sécurité sociale pour les assurances sociales et bénéficient des prestations familiales dans les mêmes conditions que les salariés.

      Donc, pour la partie légitimité des artistes à bénéficier des prestations sociales du régime général, c’est torché !

    • Sinon : http://www.lamaisondesartistes.fr/site/un-artiste-peut-il-toucher-le-rsa

      Pour les déclarations CAF pour les régimes micro :

      Pour la CAF, je peux te certifier qu’il faut procéder toi-même à l’abattement de 34% (si tu déclares des BNC en activité dites libérales).
      Déjà c’est simple, quand tu vas faire ta déclaration trimestrielle de revenus sur le site de la CAF, quand tu tombes sur la page avec le tableau où tu remplis tous tes types de revenus, sur chaque intitulé tu peux cliquer et il te donne une explication dans une fenêtre pop-up. Sur « Revenus non salarié », ils est donc précisé :

      Vous devez déclarer :
      - auto-entrepreneurs, artistes-auteurs et vendeurs à domicile indépendants (VDI) ayant opté pour le régime forfaitaire :
      Déclarer le montant du chiffre d’affaires après abattement fiscal applicable à l’activité.
      Pour l’autoentrepreneur : 71 % pour la vente de marchandises en l’état ou transformées ; pour la prestation de services : 50 % ; pour les professions libérales : 34 %.
      Pour les artistes auteurs(3) : 34 % sur les BNC.
      Pour les VDI : soit 71 % sur les BIC soit 34 % sur les BNC ;

      Voila ce que je peux dire pour la CAF, en revanche pour le reste, MDA, ça j’en sais rien, moi je suis AE cotisant à l’URSSAF.

      EDIT : Renseignes-toi bien pour le Pôle Emploi, car moi j’avais bénéficié de l’ARCE (aide à la reprise et la cration d’entreprise) qui permettait d’avoir un complément de revenu du Pole Emploi (si on est chômeur indemnisé) en fonction de son CA mensuel, et je suis quasiment certain qu’il y avait également un abattement à appliquer, par contre je ne me souviens plus si c’est eux qui le faisant ou s’il fallait l’appliquer moi-même comme pour la CAF...

    • Et aussi : http://www.cnap.fr/navigation/profession-artiste/securite-sociale/chomage-rsa#node-334

      Et encore :

      PIECES COMPLEMENTAIRES RSA

      P
      our les personnes exerçant une activité indépendante (tout statut y compris statut auto-entrepreneur et gérant de
      société)
       :

      le formulaire CERFA « 
      demande complémentaire pour les non-salariés
       » dûment complété et signé

      les justificatifs liés à la création d’entreprise
       :
      l’immatriculation au registre du commerce, des métiers, à la Maison des artistes , URSSAF, (KBIS)

      Et là, la source… c’est la CAF : https://www.caf.fr/sites/default/files/RSA_PJ.pdf

      Maintenant, s’ils persistent à dire qu’en tant qu’artiste, tu n’as pas le droit au RSA, alors il nous faut une justification plus conséquente que cet article qui ne mène à rien et on passe en mode syndicat → je suis membre du syndicat des artistes CAAP, parce que j’ai bien compris que si on continue à se battre chacun dans notre coin, on l’aura dans le cul.

      Si la CAF annonce officiellement que les artistes n’ont plus le droit au RSA — ce qui, en l’état, est complètement faux —, j’informe le syndicat et on part au ministère !

      Voilà pour l’instant.

  • Gauche et droite dans un #paradigme_de_l’immobilité

    La fermeture des frontières semble aujourd’hui constituer le seul horizon des politiques migratoires. Gauche et droite se sont enfermées dans un paradigme de l’immobilité, où dans un monde idéal, les migrations n’existeraient pas. Celles-ci sont donc perçues comme une anomalie du monde, un problème à résoudre, voire une crise à gérer. Les politiques migratoires se sont transformées en politiques managériales de gestion des flux, où les migrants sont volontiers considérés comme des marchandises que l’on peut renvoyer à l’expéditeur. Gauche et droite délivrent le même nombre de permis de séjour, procèdent au même nombre d’expulsions, comme si les partis républicains avaient renoncé à formuler une véritable politique d’asile et d’immigration, se contentant de reproduire sans broncher les politiques du gouvernement précédent.

    Et l’idée de l’#ouverture_des_frontières, portée jadis comme revendication progressiste, a été rangée au placard des utopies dangereuses, de peur que l’extrême droite ne s’en empare pour l’agiter comme un épouvantail. Tout se passe comme si ni arguments rationnels, ni valeurs, ni principes n’avaient plus de prise aujourd’hui sur le débat public sur ces sujets. Comme si gauche et droite s’étaient résignées à se placer à la remorque d’une opinion publique fantasmée. C’est une faillite politique et morale absolue. Il importe aujourd’hui que les progressistes renouent avec l’idée de l’#universalisme, que les choix politiques en matière d’asile et d’immigration puissent être débattus sereinement et rationnellement, et que le discours de la gauche sur le sujet ne se résume pas à débusquer les mensonges de l’#extrême_droite. Sinon, il n’y a même plus besoin d’organiser des élections : le FN a déjà gagné.

    http://www.liberation.fr/elections-presidentielle-legislatives-2017/2017/03/10/gauche-et-droite-dans-un-paradigme-de-l-immobilite_1554947
    #politique #gauche #droite #migrations #immobilité #fermeture_des_frontières #asile #réfugiés #liberté_de_circulation

  • Si Marine Le Pen l’emporte, les frontières françaises se fermeront-elles au bout de trois semaines ?
    http://www.bastamag.net/Si-Marine-Le-Pen-l-emporte-les-frontieres-francaises-se-fermeront-elles-au

    Limiter à 10 000 par an le nombre de nouveaux immigrants légaux en France. C’est le chiffre avancé par le FN depuis six ans, comme mantra de sa politique anti-immigration. Le programme du FN n’en dit pas plus. Les déclarations de ses responsables varient sur le sujet. D’où vient ce chiffre ? De quoi parle le FN et qui est concerné ? Les étudiants étrangers, les parents étrangers de Français, les immigrés, étrangers ou devenus Français, et les Européens en cas de sortie de l’Union... ? Si ce plafond est (...)

    #Décrypter

    / A la une, #Enquêtes, #Atteintes_aux_libertés, #Migrations, #Droits_fondamentaux, Droites (...)

    #Droites_extrêmes

  • Un an de « fermeture » des frontières en République de Macédoine : quel bilan ?

    Voilà maintenant près de deux mois que je suis arrivée en République de Macédoine et je ne peux que constater une fois de plus les conséquences des fermetures des frontières et des politiques d’externalisation du contrôle des frontières européennes aux pays tiers. Refoulements, violations des droits humains, enfermement, violences, murs, business sécuritaire au mépris des droits, … Dans cet article, je vous propose donc de revenir sur la situation en République de Macédoine depuis la fermeture des frontières de cet Etat, en mars 2016.

    http://emi-cfd.com/echanges-partenariats/?p=10675
    #frontières #Macédoine #fermeture_des_frontières #asile #migrations #réfugiés

  • Grand reportage
    Alpes-Maritimes : le choc des migrants

    Depuis le début de la crise migratoire en #Europe, les tensions s’exacerbent dans les #Alpes-Maritimes, département frontalier avec l’ #Italie. Cette #frontière est officiellement fermée depuis novembre 2015, mais de fait, certains exilés parviennent à la franchir, parfois au péril de leur vie. Une situation ambigüe qui déclenche la colère de ceux qui craignent un afflux massif de #réfugiés . La colère aussi de ceux qui veulent les accueillir sur le sol français.

    http://www.rfi.fr/emission/20170306-france-alpes-maritimes-migrants-crise-choc-frontiere-italie-politique-e

    Sinon celui sur les #mineurs :

    http://www.rfi.fr/france/20170216-roya-migrants-refugies-frontiere-france-italie-breil-mineurs-afrique

    Et la maraude de #Vintimille :

    http://www.rfi.fr/emission/20170228-maraude-interdite-migrants-vintimille

    #RFI #france @cdb_77

  • Frontiere orientali: “Se questa è Europa…”

    Neanche le frontiere sbarrate e le barriere di filo spinato erette da Bulgaria e Ungheria sono state capaci di dissuadere rifugiati e migranti dal continuare a cercare protezione passando per le frontiere orientali dell’UE. Cinque ONG di Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia e Slovenia denunciano una “nuova normalità” di ingressi negati e respingimenti illegittimi.

    http://viedifuga.org/frontiere-orientali-se-questa-e-europa
    #Hongrie #route_des_balkans #asile #migrations #réfugiés #Bulgarie #République_Tchèque #Pologne #slovénie #fermeture_des_frontières

  • Poland : Asylum Seekers Blocked at Border

    (Budapest) – Polish authorities routinely deny asylum seekers at the Belarus-Poland border the right to apply for asylum and instead summarily return them to Belarus, Human Rights Watch said today. Since 2016, large numbers of asylum seekers, mostly from the Russian Republic of Chechnya, but also from Tajikistan and Georgia, have tried to apply for asylum in Poland at the border with Belarus.


    https://www.hrw.org/news/2017/03/01/poland-asylum-seekers-blocked-border
    #Pologne #asile #migrations #réfugiés #fermeture_des_frontières #Biélorussie #frontières #push-back #refoulement

    –-> @reka : une autre frontière à épaissir sur les cartes...

  • L’Hebdo meurt et Le Temps saigne

    Malgré les discussions entre employeurs et employés, 36 postes sont biffés au Temps et à L’Hebdo.
    Les coupes au sein du quotidien Le Temps et la suppression de L’Hebdo se soldent par 25 licenciements et 11 départs à la retraite anticipée, soit un total de 36 postes fixes. En outre, 7 journalistes pigistes voient leur mandat se terminer. Tel est le bilan final de la restructuration voulue par l’éditeur Ringier Axel Springer SA Suisse romande.

    http://www.lecourrier.ch/146895/l_hebdo_meurt_et_le_temps_saigne

    #presse #médias #journalisme #Suisse #L'Hebdo #Le_Temps #fermeture #licenciement #retraite_anticipée #Ringier

  • Mexican Smuggler Says Trump’s Wall Won’t Stop Him — Here’s Why

    Everything from dogs and blimps to Gamma-ray imaging systems and video surveillance is used to prevent people from crossing the U.S.-Mexico border, making the prospect of a wall seem obsolete.

    http://www.seeker.com/mexican-smuggler-says-trumps-wall-wont-stop-him-heres-why-2260853414.html
    #passeurs #Trump #murs #barrières_frontalières #USA #Etats-Unis #fermeture_des_frontières #frontières

    cc @albertocampiphoto @daphne @marty

    • #Nogales wary about executive order to start building border wall

      NOGALES, ARIZONA – As President Donald Trump signed executive orders in Washington to build a wall and increase enforcement of the U.S.-Mexico border, Carlos Santa Cruz’s small section of fence behind his house was quiet and serene. A landscaper in Nogales and Rio Rico, he has lived right next to the border for 37 years and has seen the changes that have come with different presidential administrations.


      https://cronkitenews.azpbs.org/2017/01/25/nogales-wary-executive-order-building-border-wall

    • Au pied du mur

      Donald Trump veut construire un mur « impénétrable, beau et solide » à la frontière Sud des Etats-Unis. Sur les 3200 kilomètres de démarcation avec le Mexique, un tiers est déjà « barricadé ». Voyage dans un monde de migrants, de trafiquants et de séparations. En pleine canicule.

      Notre périple avait commencé à Phoenix, la capitale de l’Arizona, avec une petite angoisse. Malgré des contacts répétés avec un porte-parole de la Border Patrol – « Vous savez qu’avec la nouvelle administration il faut entre quatre et six mois pour obtenir l’aval de Washington pour passer une journée avec nous ? » –, toujours pas de rendez-vous fixé avec Vicente Paco. Notre interlocuteur était parti en vacances, apparemment sans transmettre le dossier à son collègue, beaucoup moins coopérant. Et puis, soudain, le coup de fil attendu : Vicente Paco !

      Rendez-vous a été donné à #Nogales, sur le parking d’un centre commercial. On file vers la ville, direction sud. Cinq heures de route, avec des cactus à n’en plus finir, une ferme d’autruches, un coyote écrasé et un serpent à sonnette au sort pas plus enviable.

      Nogales ? L’arrivée dans la ville n’est pas des plus chatoyantes. De larges routes, des hôtels de chaîne, les mêmes que l’on retrouvera tout au long du périple, des fast-foods. On retrouve l’agent, comme prévu, sur un parking, sous une chaleur suffocante. Il est pile à l’heure. Les règles sont strictes : interdiction de monter dans sa Jeep sans le fameux sésame de Washington. On le suit donc avec notre voiture. « Elle est solide ? Il va falloir grimper un peu. » En route !

      Le Mexicain qui chasse les Mexicains

      La voilà, la fameuse barrière rouillée qui coupe Nogales en deux. « Vous voyez les traces plus claires sur ces piliers ? glisse Vicente Paco. C’est là où des migrants ont glissé pour descendre côté américain. » On se trouve sur un petit monticule où viennent de passer trois biches. De l’autre côté de la barrière qui s’étend à perte de vue, c’est le Mexique.

      Silhouette svelte et regard volontaire, Vicente Paco, 35 ans, la main gauche toujours posée sur son taser, porte l’uniforme vert de la Border Patrol depuis 2010. Dans sa famille, tous se battent pour la sécurité des Etats-Unis, précise-t-il avec fierté. « Mon grand-père a fait la guerre de Corée, mon père le Vietnam et j’ai moi-même servi pendant quatre ans dans le Golfe. Ce sont les attentats du 11 septembre 2001 qui m’ont poussé à m’engager dans la Navy. » Aujourd’hui, sa tâche principale consiste à traquer les migrants clandestins en plein désert de Sonora et à les déporter. Un Mexicain qui chasse les Mexicains ? « Mon père est devenu Américain, je le suis aussi. Je suis né au Mexique, mais je suis arrivé aux Etats-Unis à l’âge de 12 ans, légalement », rectifie-t-il. Il ajoute, le regard noir : « Quand je porte l’uniforme, je suis là pour appliquer la loi et servir les Etats-Unis, rien d’autre ne compte. »

      Ici, la barrière s’étend sur 4 kilomètres et fait entre 5 et 8 mètres de hauteur, selon les endroits. Un avant-goût du mur « beau et grand » que Donald Trump veut ériger tout le long de la frontière. Le président américain évalue les coûts de sa construction à 12 milliards de dollars, un rapport du Département de la sécurité évoque le chiffre de 21 milliards. Donald Trump espère envoyer l’essentiel de la facture au président mexicain. « Jamás ! » lui a rétorqué ce dernier.

      Un tiers des 3200 kilomètres de frontière sont déjà barricadés. Grâce au Secure Fence Act (2006) signé par George W. Bush dans le sillage des attentats du 11 septembre 2001. Avec l’élection de Donald Trump, la chasse aux clandestins est montée d’un cran. Le président dit vouloir s’en prendre avant tout aux « bad hombres », auteurs de viols, de trafic de drogue et autres délits graves, mais depuis son élection, un homme présent sur sol américain depuis trente ans peut désormais être déporté pour avoir conduit sans permis.

      A Nogales, la barrière est presque intimidante. Dès qu’on s’éloigne un peu de la ville, elle se transforme en barricade anti-véhicules, plus basse, dont le but premier est d’empêcher les trafiquants de forcer le passage avec leurs pick-up. La zone est ultra-sécurisée. Tours de contrôle, caméras infrarouges et appareils de détection de mouvements au sol permettent à Vicente Paco et à ses collègues d’être alertés à la seconde du moindre passage illégal. Sans oublier les drones et les hélicoptères. Impossible de se promener dans la ville plus de dix minutes sans tomber sur une des fameuses jeeps blanches à larges bandes vertes de la Border Patrol.

      Vicente Paco s’appuie contre le « mur ». « Avant 2010, on ne pouvait pas voir à travers. C’était dangereux. Nos agents étaient parfois la cible de jets de pierres. » Il tait un drame pourtant omniprésent dans la ville. Le 10 octobre 2012, José Antonio Elena Rodriguez, un Mexicain de 16 ans, a été tué par un agent. Lonnie Swartz était du côté américain. Visé avec ses coéquipiers par des pierres, il a tiré à travers les barreaux. Dix balles ont touché José Antonio, qui s’est vidé de son sang, côté mexicain. En 2014, sa mère, excédée par la lenteur de l’enquête, a porté plainte. Le procès ne cesse d’être repoussé.

      Vicente Paco patrouille seul dans sa Jeep. Dans le secteur de Tucson, détaille-t-il, la Border Patrol dispose de 4000 agents pour surveiller 421 kilomètres de frontière. Ils ont arrêté 64 891 individus d’octobre 2015 à octobre 2016 (415 816 sur l’ensemble du pays). 7989 étaient des mineurs, la très grande majorité (6302) non accompagnés. En 2000, ces chiffres étaient dix fois plus élevés : 616 300 arrestations recensées dans le secteur de Tucson et 1,6 million sur le plan national.

      A sa ceinture, un pistolet, un taser, des menottes, un bâton télescopique, un couteau et des jumelles. A-t-il déjà fait usage de son arme à feu ? « Je ne vais pas répondre à cette question. Tout ce que je peux dire, c’est que le recours à la force est parfois nécessaire. »

      L’effectif des gardes-frontières est passé en quelques années de 10 000 à 21 000 agents. Donald Trump a promis d’en engager 5000 de plus. Les salaires sont attractifs, les conditions de retraite également. Des points indispensables pour limiter les cas de corruption et de collaboration avec les cartels.

      Vicente Paco l’avait dit tout de go : pas question de parler de politique. Il préfère raconter les migrants pourchassés en ville, décrire la partie mexicaine comme un enfer contrôlé par les trafiquants – « N’allez pas côté mexicain seule ! » – et évoquer les 115 tunnels rebouchés par ses collègues. Des souterrains surtout utilisés par les trafiquants de drogue, qui se montrent toujours plus inventifs. Quand ils n’utilisent pas des migrants comme mules, il leur arrive de recourir à des catapultes géantes et à des drones. Ils se moquent des barrières. D’ailleurs, ici à Nogales, la plupart des habitants lèvent les yeux au ciel à la seule évocation du mur de Trump. Personne n’y croit vraiment.

      Nogales côté mexicain, le contraste

      Le lendemain, après quelques tacos de carne asada et une agua fresca de melón, on file, à pied, découvrir « l’autre Nogales ». Pour aller au Mexique, rien de plus simple. Pas de queue et même pas besoin de montrer son passeport. Nogales côté mexicain ? Le contraste est saisissant : marchés folkloriques, petite place où les habitants se racontent leur vie, procession funéraire qui avance au rythme d’une batterie endiablée. Et des cliniques dentaires à profusion, très prisées des Américains. Rien à voir avec cette ambiance pesante des patrouilles de gardes-frontières côté Arizona. C’est du moins la toute première impression qui s’en dégage. Car les cartels de la drogue contrôlent la ville. Et dans les foyers d’urgence, les migrants arrivés jusqu’à la frontière – beaucoup viennent d’Amérique centrale – et ceux qui ont déjà été refoulés ont une tout autre image de Nogales-Sonora. Celle d’un rêve brisé.

      Un nom résonne en particulier. Celui de Guadalupe Garcia Aguilar. C’est le premier cas de déportation fortement médiatisé depuis que Donald Trump a édicté son décret sur la migration illégale le 25 janvier. Arrêtée en 2008 à Phoenix alors qu’elle travaillait avec un faux numéro de sécurité sociale, elle a été libérée six mois plus tard grâce à l’ONG Puente. A une condition : se présenter chaque année devant des fonctionnaires du « ICE », acronyme de Immigration and Customs Enforcement. Un moment source de stress.

      Le 8 février, elle s’est donc pliée à ce contrôle de routine. Mais la guerre lancée par Donald Trump contre les clandestins « criminels », y compris ceux qui ont commis de petits délits ou sur lesquels pèsent des soupçons, lui a fait craindre le pire. Elle avait raison. Guadalupe n’est pas ressortie du bâtiment officiel, là où sa famille et des membres de Puente l’attendaient en chantant « No está sola ! ». Elle a été embarquée dans une camionnette, menottée, et déportée vers Nogales, la ville par laquelle elle était arrivée il y a 21 ans. Ni les cris « Libération, pas déportation ! » ni la tentative d’un homme de s’accrocher à une roue de la camionnette n’ont pu empêcher son expulsion. La voilà séparée de son mari et de ses enfants, restés aux Etats-Unis.

      « Depuis que Donald Trump est au pouvoir, ce genre de drames est fréquent. Les passeurs ont par ailleurs augmenté les prix pour les migrants », souligne Sergio Garcia, avec son accent chantant. Journaliste, il travaille comme porte-parole pour la municipalité de Nogales-Sonora. La corruption est très présente des deux côtés de la frontière, dit-il, et la guerre contre le narcotrafic est « una farsa ». « Comment expliquez-vous que la frontière du pays le plus puissant du monde soit ainsi contrôlée par des groupes armés et des cartels ? Les Etats-Unis ont tout intérêt à ce que le trafic de drogue subsiste. »

      Il est temps de retourner côté américain. Passé les petites tracasseries habituelles et le tampon dans le passeport que l’agent peu aimable ne trouvait pas – il était pourtant bien visible –, restait la dernière question : « Et là, vous transportez quoi, dans ce sac ? » Moi, sans me rendre tout de suite compte de l’absurdité de la situation : « Oh, juste trois crânes ! » Le douanier a vite compris qu’il s’agissait de têtes de mort en céramique richement décorées, un classique de l’artisanat local. Ouf.

      Avec Wyatt Earp, Billy the Kid et deux trumpistes

      Après Nogales, on met le cap sur El Paso, au Texas, et son pendant mexicain, Juarez. Et pour aller à El Paso, un petit détour par Tombstone s’imposait. C’est là que s’est déroulée, en 1881, la fusillade d’OK Corral, le fameux règlement de comptes entre Wyatt Earp, ses frères, Doc Holliday et une bande de coriaces hors-la-loi. On s’y croirait encore. Dans cette bourgade de cow-boys, les habitants vivent à 100% du tourisme. Alors ils font l’effort de s’habiller en vêtements d’époque. Ils le font presque avec naturel. Et puis, il y a des passionnés, capables de commenter pendant des heures, dans deux musées très bien faits, le moindre objet ayant appartenu à Wyatt Earp, Billy the Kid ou Big Nose Kate. On a beau ne pas être passionné par les histoires de westerns, on ne ressort pas tout à fait indemne de cette ville-musée à l’atmosphère si particulière. Est-ce le fait d’avoir dormi dans le bordello de l’époque, dans la chambre de « Scarlet Lady » ?

      Retour à la réalité le lendemain, réveillés par un cri de coyote. Direction la maison de Moe pour le petit-déjeuner. Un sacré personnage, Moe. Tout comme Jane, qui prépare les œufs brouillés et le bacon.

      Des trumpistes purs et durs. « Trump est merveilleux, il veut nous remettre au cœur des préoccupations », souligne Jane. « Ce mur avec le Mexique est nécessaire. Ceux qui viennent illégalement profitent de notre système. Ils acceptent des bas salaires et, surtout, ne dépensent rien aux Etats-Unis ! » Moe acquiesce. Mais il préfère raconter ses souvenirs d’après-guerre – il était à Berlin en 1953 pour le plan Marshall – et nous montrer sa collection de quartz. Dont un avec une tête d’alligator fossilisée. Jane poursuit sur sa lancée : « Le Mexique doit s’occuper des gens qui veulent émigrer : c’est un pays riche en ressources minières, ils devraient avoir le même niveau que nous. » Elle l’assure, tous les touristes qu’elle a rencontrés à Tombstone trouvent Trump « très bien ».

      Après la visite de #Tombstone, la ville « too tough to die » [trop coriace pour mourir], on continue sur El Paso. Six heures de route en prenant des chemins de traverse. On croise un panneau « Proximité d’une prison, prière de ne pas prendre d’auto-stoppeurs », traverse des vergers de pacaniers (noix de pécan) et une ville qui s’appelle Truth or Consequences.

      De El Paso à #Juarez

      #El_Paso, bastion démocrate dans un Etat républicain, est, comme Nogales, opposée au projet de mur de Trump. La ville est aujourd’hui considérée comme l’une des plus sûres des Etats-Unis. Ici, la barrière court sur une courte distance. Par endroits, elle s’arrête abruptement, ou présente des « trous », comblés par des jeeps de la Border Patrol postées devant. Un « mur » mité, en somme.

      On part rejoindre Juarez à pied. Cette fois, il faut payer 50 cents pour traverser le pont qui enjambe le Rio Bravo. Comme à Nogales, pas de passeport à montrer. De l’autre côté, la ville est très animée, mais avec une forte présence policière. Les agents patrouillent en groupes, à pied, en jeeps et en quads. En tenue de combat, épais gilet pare-balles et armés jusqu’aux dents. Parfois le visage masqué. Là encore, on nous fait comprendre qu’il vaut mieux éviter de s’aventurer dans certains quartiers. On avait d’ailleurs hésité à venir à Juarez. La ville traîne une sale réputation : elle a pendant longtemps été considérée comme la plus dangereuse du monde, minée par une guerre des cartels de la drogue. La « capitale mondiale du meurtre », surtout de femmes. Mais, la veille, deux margaritas ont fini par nous convaincre d’y faire un saut. Ou plutôt le barman José, qui les préparait avec passion. Depuis que l’armée mexicaine est intervenue en 2009 pour tenter de neutraliser membres de cartels et paramilitaires, Juarez n’est plus autant coupe-gorge qu’avant, nous avait-il assuré. Les sicarios, ces tueurs liés aux cartels, font un peu moins parler d’eux.

      Lui-même est arrivé illégalement aux Etats-Unis, il y a vingt ans. « J’étais avec mon oncle. A l’époque, on m’avait juste dit de dire « American ! » en passant la douane. Je l’ai fait – je ne connaissais aucun autre mot en anglais – et j’étais aux Etats-Unis ! C’était aussi simple que ça. Les temps ont beaucoup changé », lâche-t-il dans un grand éclat de rire.

      Cette fois, le retour côté américain est plus compliqué. Une douanière fronce les sourcils en voyant notre visa de journaliste. Elle abandonne son guichet et nous dirige vers une salle, pour « vérification ». Zut. On doit déposer nos affaires à l’entrée, s’asseoir – des menottes sont accrochées à la chaise – et attendre de se faire interroger. Une situation désagréable. Un agent à l’allure bonhomme se pointe, visiblement de bonne humeur. Il n’avait qu’un mot à la bouche : tequila. « Quoi ? Vous rentrez du Mexique et vous n’avez même pas acheté de tequila ? » Un piège ? On bredouille qu’on n’aime pas trop ça. On ne saura jamais si c’était un test ou pas. Prochaine étape : Tucson, et surtout Sells, le chef-lieu de la tribu amérindienne des Tohono O’odham.

      Le dilemme de la tribu des #Tohono_O’odham

      A #Sells, les cactus sont plus nombreux que les habitants. C’est ici, en plein désert de #Sonora, que les Tohono O’odham (« peuple du désert ») ont leur gouvernement, leur parlement, leur prison et leur police tribale. Rendez-vous était pris avec Verlon Jose, le numéro deux de la tribu amérindienne. Mais il nous a posé un lapin. On a donc eu droit au chef (chairman), Edward Manuel, un peu moins habitué aux médias.

      Bien décidés à s’opposer au mur de Donald Trump, les Tohono O’odham se trouvent dans une situation particulière : 2000 de leurs 34 000 membres vivent au Mexique. La tribu est coupée en deux. Elle l’est de fait déjà depuis le traité de Gadsden de 1853, mais elle refuse que des blocs de béton concrétisent cette séparation. Certains membres ne pourraient alors même plus honorer la tombe de leurs parents. D’ailleurs, dans leur langue, il n’y a pas de mot pour dire « mur ». « Le projet de Donald Trump nous heurte pour des raisons historiques, culturelles, mais aussi spirituelles et environnementales. Et parce que nous n’avons même pas été consultés », dénonce, sur un ton ferme mais calme, Edward Manuel.

      Chez les Tohono, pas de rideau de fer comme à Nogales, mais du sable, des arbustes secs, des montagnes et des canyons. Avec, par endroits, des Normandy-style barriers, des sortes de structures métalliques qui émergent du sable, de quoi empêcher des véhicules de passer. Mais pas les hommes, ni les animaux.

      Edward Manuel et sa « Nation » ont avalé bien des couleuvres. Ils ne voient pas d’un bon œil la militarisation de la frontière, mais ont dû apprendre à collaborer avec la Border Patrol, déjà bien présente sur les 100 kilomètres de frontière qui passent par leurs terres. Car les cartels de la drogue y sont très actifs. Des membres de la tribu ont été séquestrés et brutalisés. Le chairman parle lentement. « Il y a un cartel en particulier qui contrôle la zone. Nos jeunes sont parfois recrutés. Ce sont des proies faciles : le taux de chômage est élevé dans la tribu. Se voir proposer plusieurs milliers de dollars est très tentant. »

      La réserve est aussi devenue un corridor mortel pour les migrants. Edward Manuel brise un autre tabou. « Si nous en trouvons en difficulté, nous les soignons dans nos hôpitaux, avec l’argent fédéral que nous recevons. » Délicat. Quand des corps sont retrouvés, la police tribale mène des enquêtes et doit transférer les dépouilles à l’institut médico-légal de Tucson pour procéder à des autopsies, coûteuses. Mais parfois, nous dit-on, les dépouilles sont enterrées là où elles sont trouvées, et resteront probablement à jamais anonymes. D’ailleurs, le long de la route qui mène à Sells, nous avons été frappés par le nombre de petites croix fleuries. Des accidents de la route, mais pas seulement. Des clandestins morts déshydratés, aussi.

      Le chef évoque un chiffre : la tribu dépense près de 3 millions de dollars par an pour « gérer ces problèmes de frontière », une somme non remboursée par le gouvernement fédéral et à laquelle s’ajoutent les frais médicaux. Alors, forcément, la tentation est grande de vouloir laisser un plus grand champ d’action aux agents de la Border Patrol. Même si leurs courses-poursuites en quad dans le désert brusquent leur quiétude et effraient le gibier qu’ils aiment chasser. C’est le dilemme des Amérindiens : ils veulent conserver leur autonomie et défendre leurs droits, mais la situation tendue les contraint à coopérer avec les forces de sécurité. Au sein de la tribu, des divisions apparaissent, entre les plus frondeurs et les pragmatiques. Mais ils sont au moins unis sur un point : personne ne veut du mur de Trump. « Les 21 tribus de l’Arizona nous soutiennent dans notre combat », insiste le chef.

      Edward Manuel tient à relever les effets positifs de cette coopération : en dix ans le nombre d’arrestations a baissé de 84%. La barrière anti-véhicules installée en 2006 y est pour beaucoup. La police tribale a procédé à 84 186 arrestations dans la réserve en 2006, chiffre qui est tombé à 14 472 en 2016.

      Le chef est également préoccupé par l’impact qu’un « vrai mur » aurait sur la migration des animaux. « Et qui a pensé au problème de l’écoulement naturel de l’eau en période de mousson ? La nature est la plus forte. » Le porte-parole venu de Tucson acquiesce discrètement. Ce n’est pas un membre de la tribu, mais il a fallu passer par lui pour que les Amérindiens puissent s’exprimer dans un média.

      La problématique des Tohono rappelle celle de propriétaires de terrains privés, du côté du Texas notamment, menacés d’expropriation pour que Donald Trump puisse construire son mur. Plus d’une centaine d’actions en justice ont déjà été lancées. Certains ont accepté des portions de barrière sur leur terrain, en échange de compensations. Et d’un code électronique pour pouvoir franchir le grillage qui s’érige sur leur propriété.

      Edward Manuel semble fatigué. Mais il a encore une chose à dire : il a invité Donald Trump à venir « voir concrètement ce qui se passe du côté de Sells. Il verra bien que ce n’est pas possible de construire un mur ici. » Le président avait accepté l’invitation. Des dates avaient même été fixées. Puis la Maison-Blanche a annulé, sans jamais proposer de nouvelles dates. Pourquoi ? Seul Donald Trump le sait.

      Les morts qui hantent le désert de Sonora

      On continue notre route vers l’ouest, avec un crochet par l’Organ Pipe Cactus National Monument. Le désert de Sonora est d’une beauté insolente. Des drames s’y déroulent pourtant tous les jours, parfois en silence, comme étouffés.

      Le 15 juin, en début de soirée, la Border Patrol a joué une scène digne d’un mauvais film d’action : elle a pris d’assaut un campement humanitaire en plein désert, dans le but de dénicher des clandestins. Et elle en a en trouvé quatre. L’ONG No More Deaths est sous le choc. C’est elle qui gère ce camp un peu spécial, dont le but est de soulager, le temps d’une étape, les migrants qui se lancent dans une traversée périlleuse depuis le Mexique. Une tente, du matériel médical, des lits et beaucoup d’eau, voilà ce qu’elle leur propose.

      « La Border Patrol connaissait l’existence de ce camp et, jusqu’ici, elle tolérait sa présence », explique Chelsea Halstead, qui travaille pour une autre ONG active dans la région. Un accord a été signé en 2013 : les agents s’engageaient à ne pas y intervenir. Mais le 15 juin, alors qu’ils traquaient déjà depuis plusieurs jours les clandestins aux abords du camp, ils ont décidé de troquer les goutte-à-goutte contre des menottes. Une quinzaine de jeeps, deux quads et une trentaine d’agents lourdement armés ont investi le camp. Chelsea Halstead : « Les migrants risquent maintenant de penser qu’un piège leur a été tendu. C’est dévastateur pour le travail des humanitaires. »

      #No_More_Deaths s’attelle depuis treize ans à empêcher que des migrants meurent dans le désert. Des bénévoles vont régulièrement y déposer des réserves d’eau. Depuis 1998, plus de 7000 migrants ont trouvé la mort dans les quatre Etats (Californie, Arizona, Nouveau-Mexique et Texas) qui bordent le Mexique. Environ 3000 ont péri dans le seul désert de Sonora, déshydratés.

      Dans l’Organ Pipe Cactus National Monument, une réserve de biosphère qui abrite d’étonnantes cactées en forme d’orgues, une pancarte avertit les randonneurs : « Contrebande et immigration illégale peuvent être pratiquées ici. Composez le 911 pour signaler toute activité suspecte. » Interrogé, le manager du parc relativise les dangers. Une plaque en marbre devant le centre des visiteurs raconte pourtant une triste histoire. Celle de Kris Eggle, un apprenti ranger, tué à 28 ans par les membres d’un cartel qu’il était en train de poursuivre.

      Ce jour-là, pas loin de la piste, on aperçoit un bout d’habit pris dans les ronces. Par terre, une chaussure, sorte d’espadrille raccommodée, avec le genre de semelles qui ne laisse pas de traces. Celles que privilégient les migrants. Ils les recouvrent parfois avec des bouts de tapis.

      Pour passer aux Etats-Unis par cette région hostile, les migrants peuvent débourser jusqu’à 6000 dollars. Plus le chemin est périlleux, plus le prix augmente. C’est bien ce que dénoncent les activistes : la militarisation de portions de frontière pousse les migrants à emprunter des chemins toujours plus dangereux, en alimentant l’industrie des « coyotes » – le nom donné aux passeurs –, qui eux-mêmes travaillent parfois main dans la main avec les cartels de la drogue.

      Les « coyotes » abandonnent souvent les migrants en plein désert après avoir empoché l’argent. Ce n’est que la première difficulté à laquelle les clandestins font face. Poursuivis par les agents de la Border Patrol, ils sont parfois également traqués par des milices privées composées d’individus lourdement armés à l’idéologie proche de l’extrême droite qui, souvent, cherchent « à faire justice » eux-mêmes. Quand ils ne tombent pas sur des brigands. Des cas de viols et de meurtres sont signalés. Dans le désert, c’est la loi du plus fort.

      « Chaque jour, entre trente et plusieurs centaines de gens passent par illégalement dans la région », raconte un agent de la Border Patrol, à un checkpoint à la sortie du parc, pendant qu’un chien sniffe l’arrière de la voiture. « Surtout des trafiquants. »

      Chelsea Halstead travaille pour Colibri, un centre qui collabore avec l’institut médico-légal de Tucson. L’ONG s’est donné un but : identifier les corps, donner un nom aux restes humains retrouvés dans le désert. Faire en sorte que « Doe 12-00434 » ou « Doe 12-00435 » retrouvent enfin leur identité. « Nous avons obtenu l’an dernier l’autorisation de procéder à des tests ADN. Cela simplifie considérablement nos recherches. Avant, on recueillait les informations de familles qui n’ont plus de nouvelles d’un proche, et nous les transmettions aux médecins légistes. Mais s’il n’y avait pas de signalement particulier, comme une caractéristique au niveau de la dentition ou du crâne, c’était comme rechercher une aiguille dans une botte de foin. » En prélevant des échantillons d’ADN chez les familles de disparus, Colibri espère pouvoir identifier des centaines de corps encore anonymes. Un bandana, une poupée, une bible : tous les objets retrouvés dans le désert, à proximité ou non de restes humains – les animaux sauvages sont parfois passés par là –, ont une histoire, que l’ADN peut permettre de reconstituer.

      Mais le centre se heurte parfois à un obstacle : la peur. « Notre travail n’a pas vraiment changé avec l’élection de Donald Trump. Mais les déportations sont plus massives, chaque clandestin se sent potentiellement en danger », précise Chelsea. Une femme a été arrêtée et déportée alors qu’elle subissait une opération pour une tumeur au cerveau, rappelle-t-elle. Autre exemple : une victime de violence conjugale. Son compagnon a dénoncé son statut migratoire, et la voilà expulsée. « Les clandestins sont tétanisés. Ils craignent d’être arrêtés en se rendant chez nous. Une famille de Los Angeles, qui nous avait fourni de l’ADN, nous a appelés pour nous dire qu’un de leur fils a été déporté peu après. »

      Chelsea est encore toute tourneboulée par l’épisode du raid. Dans le désert, quand un migrant parvient à trouver une balise de sauvetage et appelle le 911, il tombe généralement sur la Border Patrol, et pas sur des équipes médicalisées. « Ils veulent nous faire croire qu’ils sauvent des vies, mais ils s’empressent de déporter les migrants. On a même eu droit à une fausse opération de sauvetage par hélicoptère, où un agent de la Border Patrol jouait le rôle d’un migrant ! » assure-t-elle.

      A #Ajo, on n’aime pas parler de migration illégale

      Depuis le parc de cactus, on remonte vers la petite ville d’Ajo. Les gens ne sont pas toujours bavards, ni les journalistes bienvenus. Chez Marcela’s, la Marcela en question, une Mexicaine, n’avait visiblement pas très envie de parler immigration illégale ce jour-là. Sa préoccupation : faire fonctionner son petit restaurant. Elle a trouvé un bon créneau : elle est la seule de la ville à offrir des petits-déjeuners. Alors plutôt que de répondre aux questions, elle file chercher le café.

      Départ pour #Yuma, située à la confluence du Colorado et de la rivière Gila. De l’autre côté de l’eau, le Mexique. Après avoir fait un tour en ville et tenté d’approcher le mur – le nombre de sens interdits nous fait faire des kilomètres –, on descend vers #Gadsden. Là, à force de chercher à approcher la barricade, on l’a vue de très près, en empruntant, sans le remarquer tout de suite, un chemin totalement interdit. D’ailleurs, à cet endroit, le « mur » s’est arrêté sec au bout de quelques centaines de mètres.

      Plus rien. Ou plutôt si : du sable, des ronces et des pierres. Plus loin, la barricade se dédouble. A un endroit, elle jouxte une place de jeu, qui semble laissée à l’abandon.

      A San Diego, le « mur » se jette dans le Pacifique

      On décide un peu plus tard de poursuivre l’aventure jusqu’à San Diego. La route est presque droite. On traverse le désert de Yuha, des montagnes rocheuses, des réserves amérindiennes, des champs d’éoliennes et des parcs de panneaux solaires. Avec un détour par Calexico – contraction de « California » et de « Mexico » – pour avaler deux-trois tacos. En face, son pendant, Mexicali, mariage entre « Mexico » et « California ». A Calexico, on a beau être encore aux Etats-Unis, l’espagnol domine. Dans la petite gargote choisie pour midi, l’ambiance est étrange. Les clients ont tous des visages boursouflés et tristes.

      L’entrée à #San_Diego est impressionnante, avec ses autoroutes à voies multiples. Ici, le « mur » se jette dans le Pacifique. On parque la voiture dans le Border State Park, et c’est parti pour 30 minutes de marche sous un soleil cuisant. Une pancarte avertit de la présence de serpents à sonnette. Très vite, un bruit sourd et répétitif : les pales d’hélicoptères, qui font d’incessants va-et-vient. On se trouve dans une réserve naturelle. Au bout de quelques minutes, la plage. Elle est déserte. On se dirige vers la palissade rouillée. Le sable est brûlant. Le bruit des vagues est couvert par celui des hélicoptères. Et par la musique qui émane de la jeep d’un agent de la Border Patrol, posté face au Mexique. Pas vraiment de quoi inspirer les Californiens : ils ont de belles plages un peu plus loin, sans barbelés, sans panneaux leur indiquant de ne pas s’approcher de la palissade, sans caméra qui enregistre leurs faits et gestes. De l’autre côté, à Tijuana, c’est le contraste : des familles et des chiens profitent de la plage, presque accolés aux longues barres rouillées. Un pélican passe nonchalamment au-dessus de la barrière.

      Le week-end, l’ambiance est un peu différente. Le parc de l’Amitié, qui porte aujourd’hui très mal son nom, ouvre pendant quelques heures, de 10 à 14 heures. C’est là que des familles, sous l’étroite surveillance de la Border Patrol, peuvent, l’espace de quelques instants, franchir la première barrière côté américain, se retrouver dans le no man’s land qui sert de passage pour les jeeps des gardes-frontières, et se diriger vers la deuxième. Pour enfin pouvoir, à travers un grillage, toucher, embrasser leurs proches. C’est le sort de familles séparées par la politique migratoire.

      Ce parc a été inauguré en 1971 par l’épouse du président Richard Nixon. Jusqu’à mi-2009, il était possible de s’étreindre et de se passer des objets, presque sans restriction. Puis, le parc a fermé, le temps de construire une nouvelle barrière, en acier cette fois, de 6 mètres de haut. Il a rouvert en 2012. Ses environs sont désormais quadrillés en permanence par des agents de la Border Patrol. En jeeps, en quads et à cheval. C’est devenu l’une des portions de frontière les plus surveillées des Etats-Unis. Avec Donald Trump, elle pourrait le devenir encore plus.

      Sur la piste des jaguars
      La construction du mur « impénétrable, beau et solide » de Trump aurait des conséquences désastreuses sur l’écosystème, avertissent les scientifiques. Les rares jaguars mexicains venus aux Etats-Unis pourraient en pâtir. Et en matière de jaguars, Mayke et Chris Bugbee en connaissent un rayon.

      Mayke est un berger malinois femelle. Elle était censée faire carrière dans la traque aux narcotrafiquants, détecter drogues et explosifs, mais la Border Patrol n’en a pas voulu : la chienne a peur des gros camions. Peu importe : Mayke a aujourd’hui une existence bien plus fascinante. Repérée par le biologiste Chris Bugbee, elle a été formée pour surveiller un autre type de clandestin venu tout droit du Mexique : El Jefe. L’un des rares jaguars à avoir foulé le sol américain.

      El Jefe (« le chef ») vient probablement de la Sierra Madre, une chaîne de montagnes du nord du Mexique. La dernière fois qu’il a été filmé aux Etats-Unis – il lui arrive de se faire avoir par des pièges photographiques –, c’était en octobre 2015. Depuis, plus rien. A-t-il été tué, braconné par des chasseurs ? Ou est-il reparti au Mexique, à la recherche d’une femelle ? Aucune piste n’est à écarter.

      Une chose est sûre : El Jefe est un jaguar malin. Chris Bugbee ne l’a jamais vu. Grâce à Mayke, il a trouvé des traces de sa présence – des excréments, des restes de mouffettes où tout a été dévoré sauf les glandes anales, et même un crâne d’ours avec les traces de dents d’un jaguar, peut-être les siennes –, mais n’a jamais croisé son regard. « El Jefe est très prudent. Il nous a probablement observés pendant des missions. Il est arrivé qu’il apparaisse sur des images de caméras à peine 12 minutes après mon passage, raconte Chris Bugbee. Ma chienne, par contre, l’a probablement vu. Un jour, elle s’est brusquement immobilisée sur ses pattes, comme tétanisée par la peur. Elle est venue se cacher derrière mes jambes. Je suis presque sûr que c’était lui. Cela devait en tout cas être quelque chose d’incroyable ! »

      Auteur d’un mémoire de master consacré aux alligators, Chris Bugbee s’est installé à Tucson avec sa femme, qui s’est, elle, spécialisée dans les ours noirs, puis les félins. Il a d’abord entraîné des chiens à ne pas attaquer des serpents à sonnette. Puis il s’est pris de passion pour les jaguars et s’est intéressé de près à El Jefe, qui rôdait pas loin. Ni une, ni deux, il décide de faire de Mayke le premier chien spécialisé dans la détection de ces félins aux Etats-Unis. Il l’entraîne avec de l’excrément de jaguar récupéré d’un zoo. Tous deux se mettent ensuite sur la piste d’El Jefe pendant quatre ans, dans le cadre d’un projet de l’Université de l’Arizona, dont le but est de surveiller les effets sur la faune de la construction de premières portions de palissades de long de la frontière.

      En été 2015, le projet prend fin, mais Chris Bugbee veut continuer. Il finit par obtenir le soutien du Center for Biological Diversity. Grâce à ses pièges photographiques, il réussit à cerner les habitudes d’El Jefe. Des images censées rester discrètes et utilisées uniquement à des fins scientifiques, jusqu’à ce que Chris Bugbee décide de les rendre publiques, sans demander l’avis de ses anciens chefs ni celui des agences fédérales associées au projet, « qui de toute façon ne font rien pour préserver les jaguars ». Il avait hésité. Le risque en révélant l’existence d’El Jefe est d’éveiller la curiosité de braconniers.

      Mais Chris veut sensibiliser l’opinion publique à la nécessité de protéger cette espèce, qui revient progressivement aux Etats-Unis. Car le mur de Donald Trump la menace. Tout comme le projet d’exploitation d’une mine de cuivre, pile-poil sur le territoire d’El Jefe. En février 2016, il diffuse donc une vidéo de 41 secondes qui montre « l’unique jaguar aux Etats-Unis ». C’est le buzz immédiat. La vidéo a été visionnée des dizaines de millions de fois. Du côté de l’Université de l’Arizona et du Service américain de la pêche et de la faune, l’heure est par contre à la soupe à la grimace. Chris Bugbee est sommé de rendre son matériel et son véhicule.

      « Je ne regrette pas d’avoir diffusé la vidéo, souligne aujourd’hui Chris Bugbee. L’opinion publique doit être alertée de l’importance de protéger cette espèce. C’est incroyable de les voir revenir, peut-être poussés vers le nord à cause des changements climatiques. Dans les années 1900-1920, il existait un programme d’éradication de ces prédateurs. La population des jaguars aux Etats-Unis a presque été entièrement décimée vers 1970. » Il ajoute : « Mais avec le projet de Trump, ce serait clairement la fin de l’histoire du retour des jaguars aux Etats-Unis. »

      Le dernier jaguar femelle recensé aux Etats-Unis a été tué dans l’Arizona en 1963. Depuis, les jaguars observés dans le pays se font rares. Ces vingt dernières années, sept jaguars ont été aperçus. Les deux derniers ont été photographiés récemment, l’un d’eux en décembre 2016 dans les montagnes Huachuca. Juste au nord d’une petite portion de frontière sans barricade.

      Les jaguars de Sonora et les ocelots ne seraient pas les seuls animaux affectés par la construction d’un mur. Beaucoup d’espèces migrent naturellement entre les deux pays. Des coyotes, des ours, des lynx, des cougars, des antilopes ou des mouflons. Ou encore les rares loups gris du Mexique. Même des animaux de très petite taille, comme le hibou pygmée, des tortues, des grenouilles ou des papillons risquent d’être touchés. Les animaux volants pourraient être gênés par des radars et des installations lumineuses, qui font partie des méthodes de détection de passages illégaux de migrants ou de trafiquants.

      Chris Bugbee continue de se promener sur les terres d’El Jefe dans l’Arizona, dans l’espoir de retrouver, un jour, des signes de sa présence. Quant à Mayke, elle pourrait bientôt avoir une nouvelle mission : « Je vais probablement l’entraîner à trouver des ocelots. Eux aussi commencent à remonter depuis le Mexique. »


      https://labs.letemps.ch/interactive/2017/longread-au-pied-du-mur
      #décès #morts #mourir_aux_frontières

      Avec une carte des morts :

      sur les tunnels, v. aussi :
      https://seenthis.net/messages/625559

  • Poland to follow Slovenia in closing borders for refugees

    The President of Slovenia has signed into law legislative amendments to the Slovenian Aliens Act, entrusting the Parliament with the power to “close the borders” due to a serious threat to public order and security caused by migrations. In Poland draft amendments to the Polish law on the protection for foreigners resembling the Slovenian initiative have been introduced by Interior Minister Mariusz Błaszczak.

    http://www.ecre.org/poland-to-follow-slovenia-in-closing-borders-for-refugees
    #fermeture_des_frontières #Pologne #asile #migrations #réfugiés #Slovénie #frontières

  • Lettre de #Gabriele_Del_Grande a Paolo Gentiloni, 6 février, 09:16
    Vu sur FB...

    Caro Paolo Gentiloni, avendo passato dieci anni della mia vita a contare i morti lungo la rotta libica, mi permetto di darle un consiglio non richiesto. La rotta va chiusa, concordo. Basta morti, basta miliardi alle mafie libiche e basta miliardi all’assistenzialismo. Tuttavia state andando nella direzione sbagliata.

    Arrestate duecentomila persone l’anno a Tripoli, e l’anno dopo ne avrete altrettante diniegate dagli uffici visti delle Ambasciate UE in Africa e pronte a bussare alla porta del contrabbando libico. E se non sarà Tripoli, sarà Izmir o Ceuta. Perché questo è il problema. I visti!

    Ormai li rilasciate soltanto ai figli delle élite o a chi ha abbastanza soldi per corrompere un funzionario in ambasciata. E i lavoratori? E gli studenti? E la classe media? A tutti loro non resta che il contrabbando.

    E il contrabbando non si sconfigge con gli accordi di polizia. Ci hanno già provato Prodi, Berlusconi e Monti. E l’unico risultato è stato accrescere le sofferenze dei viaggiatori e gli incassi delle mafie.

    Il contrabbando, da che mondo è mondo, si sconfigge in un solo modo: legalizzando le merci proibite. In questo caso la merce proibita è il viaggio. Ed è giunta l’ora di legalizzarlo anche per l’Africa, così come avete fatto per l’Est Europa, i Balcani, l’America Latina, l’Asia.

    Riscrivete le regole dei visti Schengen. Allentate le maglie. Fatelo gradualmente. Partite con un pacchetto di cinquanta-centomila visti UE all’anno per l’Africa. E se funziona, estendete il programma. Iniziate dai paesi più interessati dalle traversate: Eritrea, Somalia, Etiopia, Nigeria, Ghana, Gambia, Mali, Niger, Senegal, Egitto e Tunisia. Visti di turismo e ricerca lavoro, validi sei mesi in tutta la UE, rinnovabili di altri sei mesi e convertibili in permesso di lavoro dopo un anno senza bisogno di nessuna sanatoria.

    Chi oggi investe tre-quattromila euro per il viaggio Lagos-Tripoli-Lampedusa, investirebbe gli stessi soldi per comprare un biglietto aereo, affittarsi una camera e cercare un lavoro. E se non lo trovasse, tornerebbe in patria sapendo che potrebbe ritentare l’anno successivo.

    Che poi è esattamente quello che hanno fatto milioni di lavoratori arrivati in Italia dalla Romania, dalla Cina, dalle Filippine, dal Marocco, dall’Albania o dall’Ucraina. È quello che hanno fatto cinque milioni di lavoratori italiani emigrati all’estero. Ed è quello che vogliono fare ognuna delle duecentomila persone che ogni anno emigrano dall’Africa verso l’Europa: rimboccarsi le maniche cercando un’opportunità.

    Se un italiano a Londra o un cinese a Milano ce la possono fare da soli, perché un ghanese a Berlino o un congolese a Trieste non possono fare lo stesso?

    Tra la repressione in frontiera e l’assistenzialismo in casa, c’è un terzo modello.

    È il modello della cittadinanza globale. L’idea che modernità è anche poter scegliere dove inseguire la propria felicità. Ovunque essa sia. Fosse anche una chimera. Sapendo che potrai sempre tornare a casa. Perché c’è una porta girevole.

    Per una metà della nostra generazione, quella dei passaporti rossi e blu, è già realtà. Per l’atra metà, quella dei passaporti verdi e neri, è soltanto un miraggio.

    Nel mezzo c’è una zona grigia. Anzi una zona colorata. È un incredibile intreccio di fili che legano milioni di nuove famiglie euro-africane, euro-asiatiche, euro-arabe, euro-latine, euro-americane divise a metà da un’idea di confine ormai sorpassata dai fatti.

    Inutile ingaggiare la Nato. Il flusso non si può fermare. Si può soltanto governare, dirigendolo verso gli uffici consolari e da lì verso gli aeroporti internazionali. Esattamente come avveniva fino alla fine degli anni Ottanta, prima che l’Europa alzasse i muri dei visti senza capire che l’improvviso aumento dell’immigrazione extra-europea non era dovuta all’eccessiva semplicità di rilascio dei titoli di viaggio, bensì alla globalizzazione.

    Noi di quella globalizzazione e di quelle migrazioni siamo i figli. Orgogliosamente nati nelle nuove città-mondo europee e cresciuti viaggiando.

    Caro Gentiloni, per una volta, provate a ascoltare anche noi.

    #apritequellaporta

    PS Oltretutto così facendo si libererebbero ingenti risorse per il sistema asilo, oggi chiaramente sovraccarico. Risorse che potrebbero essere dirette a progetti di accoglienza delle famiglie sfollate dalle guerre in Siria, Yemen, Iraq e ahimè in molti altri conflitti...

    #migrations #liberté_de_circulation #visas #asile #migrations #réfugiés #ouverture_des_frontières #fermeture_des_frontières