• #Maria_Uva
    Je découvre Maria Uva en lisant le #livre « #Sangue_giusto » de #Francesca_Melandri (en italien) :

    https://bur.rizzolilibri.it/libri/sangue-giusto-2

    sur le livre voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/904517
    –—

    Era nota col nomignolo di «l’#animatrice_di_Said». Maria era nata in Francia a Villeneuve, presso Lourdes, nella famiglia De Luca, d’origine piemontese. Suo marito, Pasquale Uva, era nato invece in Egitto da genitori pugliesi.

    Avendo intrapreso corsi da soprano, Maria Uva accompagnava le navi dei coloni italiani che passavano nel Canale di Suez per la guerra d’Etiopia del 1935-36 con inni patriottici.

    Ben presto la sua divenne una vera e propria organizzazione con la collaborazione del marito e del resto della comunità italiana in Egitto. La Uva e i «suoi» fornirono ai soldati italiani ogni genere di conforto sia economico che morale.

    Per questo la donna ebbe molto spesso problemi con la comunità inglese presente sul suolo e fu costretta a trasferirsi in Italia nel 1937.

    Finita la guerra, Maria Uva si trovò in una profonda crisi finanziaria che però ebbe termine grazie all’aiuto di un diplomatico francese che aiutò il marito a trovare un nuovo lavoro.

    Umberto II dall’esilio conferì a Maria Uva l’onorificenza di «Dama della Corona d’Italia».

    Maria Uva è morta all’età di 97 anni.

    https://it.m.wikipedia.org/wiki/Maria_Uva

    #musique #chansons #musique_et_politique #fascisme #colonialisme #histoire #patriotisme #guerre_d'Ethiopie #Italie #musique_et_fascisme #Canal_de_Suez #Port_Said #colonialisme_italien

    ping @sinehebdo @olivier_aubert

    • En fait, Maria Uva était une chanteuse qui chantait des chants patriotiques (et fascistes) au passage des soldats italiens à travers le canal de Suez... et qui rejoignaient l’Erythrée et l’Ethiopie...
      Mais j’ai pas trouvé des enregistrements d’elle... peut-être le lien est un peu faible ;-)

    • Et en voici une autre :
      #Africanina

      Tre conti son già stati regolati
      Con #Adua, #Macallè ed #Amba_Alagi
      Tra poco chiuderemo la partita
      Vincendo la gloriosa impresa ardita.

      Pupetta mora, africanina,
      Tu della libertà sarai regina
      Col legionario liberatore
      Imparerai ad amare il tricolore

      Due ottobre ricordatelo a memoria
      Nell’Africa Orientale avrà una storia
      Romana civiltà questa è missione
      Ed ha fiorito cento e una canzone

      Pupetta mora, africanina
      Saprai baciare alla garibaldina
      Col bel saluto alla romana
      Sarai così una giovane Italiana

      Avanti Italia nuova che sia gloria
      All’armi tu e volontà vittoria
      Vittoria contro i barbari abissini
      E contro i sanzionisti ginevrini

      Pupetta mora, africanina
      Piccolo fiore di orientalina
      Labbra carnose dolce pupilla
      Tutti i tuoi figli si chiameran #Balilla

      Labbra carnose dolce pupilla
      Tutti i tuoi figli si chiameran Balilla

      https://www.youtube.com/watch?v=jKM9TquhLlo

      #chansons_coloniales

    • Et encore une...
      #Fischia_il_sasso (#Inno_dei_balilla)

      Fischia il sasso, il nome squilla
      del ragazzo di Portoria,
      e l’intrepido #Balilla
      sta gigante nella storia.

      Era bronzo quel mortaio
      che nel fango sprofondò
      ma il ragazzo fu d’acciaio
      e la madre liberò.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      Sono baldi aquilotti
      come sardi tamburini
      come siculi picciotti
      o gli eroi garibaldini.

      Vibra l’alma lì nel petto
      sitibonda di virtù,
      dell’Italia il gagliardetto
      e nei fremiti sei tu.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      Siamo nembi di sementi,
      siamo fiamme di coraggio:
      per noi canta la sorgente,
      per noi brilla e ride maggio.

      Ma se un giorno la battaglia
      Alpi e mare incendierà,
      noi saremo la mitraglia
      della santa Libertà.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso,
      agli amici tutto il cuor.

      Fiero l’occhio, svelto il passo
      chiaro il grido del valore.
      Ai nemici in fronte il sasso
      agli amici tutto il cuor.

      https://www.youtube.com/watch?v=cfo0sXxIcHE

      Igiaba Scego, dans le livre Roma negata , en parle ainsi :

      «Ci ho messo del tempo a capire che quella canzonetta (che confesso mi piaceva pure da piccoletta per la sua cadenza marziale un po’ zmpappà zumpappà) non era una ninna nanna, ma uno dei peggiori prodotti del fascismo più becero.»

      (p.102)

    • #Tripoli bel suol d’amore

      https://www.youtube.com/watch?v=yslUUVO2Rnc

      https://www.youtube.com/watch?v=BjoS5tfaDkU

      Sai dove s’annida più florido il suol?
      Sai dove sorride più magico il sol?
      Sul mar che ci lega con l’Africa d’or,
      la stella d’Italia ci addita un tesor.
      Ci addita un tesor!

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

      A te, marinaro, sia l’onda sentier.
      Sia guida Fortuna per te, bersaglier.
      Và e spera, soldato, vittoria è colà,
      hai teco l’Italia che gridati:”Và!”

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

      Al vento africano che Tripoli assal
      già squillan le trombe,
      la marcia real.
      A Tripoli i turchi non regnano più:
      già il nostro vessillo issato è lassù…

      Tripoli, bel suol d’amore,
      ti giunga dolce questa mia canzon!
      Sventoli il tricolore
      sulle tue torri al rombo del cannon!
      Naviga, o corazzata:
      benigno è il vento e dolce la stagion.
      Tripoli, terra incantata,
      sarai italiana al rombo del cannon!

  • Amazon to escape UK digital services tax that will hit smaller traders
    https://www.theguardian.com/technology/2020/oct/14/amazon-to-escape-uk-digital-services-tax-that-will-hit-smaller-traders

    US tech company’s third-party sellers face a 2% rise in the amount they pay Amazon will not have to pay the UK’s new digital services tax on products it sells directly to consumers but small traders who sell products on its site will face increased charges. The tax, which aims to get tech companies such as Amazon, Google and Facebook to pay more tax in the UK, is forecast to eventually bring in about £500m annually to the exchequer. Amazon has already stated that the 2% tax on revenues made (...)

    #Amazon #domination #fiscalité #bénéfices

    ##fiscalité
    https://i.guim.co.uk/img/media/163c5387bc2841ae13b2a791abdc3e689cf870d3/21_353_3260_1957/master/3260.jpg

  • Taxileaks
    https://www.taxileaks.de

    Die Antwort, warum er den Mount Everest besteigen wollte, ist legendär: „Weil er da ist“.

    George Mallory, der Erstbesteiger des höchsten Berges der Welt, brachte es mit diesen drei Worten auf den Punkt. Er musste es einfach tun.

    Für uns wurde diese Einstellung zum Dogma. Es war Ansporn und vor allem Motivation, den alles entscheidenden Schritt zu tun: die eigenen Betriebsdaten online zu stellen. „Warum macht ihr denn so was“, werden wir vielfach gefragt. Es ist genauso kurz wie trocken beantwortet: weil wir es tun müssen. Es ist alternativlos. Dass wir damit nicht massenkompatibel sind, wissen wir. Egal.

    WIR SIND DENUNZIANTEN UNSERER EIGENEN BETRIEBSDATEN

    Während man früher das Phänomen Steuerhinterziehung leicht als BMW abtun konnte und mit erhobenem Zeigefinger auf Bäcker, Metzger und Wirte deutete, liegt in Zeiten der digitalen Fiskalisierung der Fokus auch auf unserer Branche. Nicht ganz ohne Grund.

    Das Taxigewerbe der Bundesrepublik Deutschland zählt zu den Hochrisikobranchen. Nach Veröffentlichungen der DATEV vom 23.08.2017 zählen etwa 797.600 Betriebe zu dieser überwiegend bargeldintensiven Unternehmensgruppe, der eine gewisse Disposition hinsichtlich Steuerverkürzung zugeschrieben wird. Die Taxibranche hat hieran lediglich einen kleinen Anteil in Höhe von gerundet 3% (26.000 Betriebe). Was auf den ersten Blick als nicht bedeutsam aussieht, ist defacto ein Sündenpfuhl, bei dem der Steuer- und Abgabenschaden eine imposante achtstellige Summe ausmacht. Und wohl noch viel mehr.

    DAS FLÄCHENDECKENDE VOLLZUGSDEFIZIT
    ODER: DER STALL DES AUGIAS – NUR HERAKLES FEHLT

    Die vollziehende Gewalt, insbesondere die
    – Finanzämter,
    – Zollverwaltung,
    – Sozialversicherungsträger und
    – Konzessionsbehörden
    sind an Recht und Gesetz gebunden. Zwischen dieser gesetzlichen Verpflichtung, die sich beispielsweise aus Artikel 20 Absatz 3 Grundgesetz in Verbindung mit § 85 Abgabenordnung ergibt und der Besteuerungs-, Verbeitragungs- und Überwachungsrealität im Taxigewerbe liegen Welten.

    Die Entdeckungswahrscheinlichkeit illegaler Arbeit im Taxigewerbe ist derart gering, dass es der Branche offensichtlich gelingt, sich weitestgehend einer ordentlichen Besteuerung und Verbeitragung zu entziehen. Dies deckt sich nicht nur mit unseren Erfahrungen, sondern ergibt sich ganz zwanglos aus einer Vielzahl von Veröffentlichungen der Taximedien, aus dutzenden von Urteilen der Finanz- und Verwaltungsgerichte, diversen Mitteilungen der Ordnungsämter und dergleichen mehr. Wir ersparen uns und Ihnen die Einzelheiten, es ist evident.

    Nur ein Beispiel sei stellvertretend erwähnt: Die Firma Linne und Krause GmbH., ein renommiertes Hamburger Sachverständigenbüro, welches weit mehr als 100 regionale Taximärkte der Bundesrepublik (darunter die meisten Großstädte/Metropolen) eingehend auf die dortige wirtschaftliche Situation untersucht hat, kommt zu keinem anderen Ergebnis.

    Linne und Krause schreiben bemerkenswert:

    „Flächendeckendes Vollzugsdefizit: Bei unserer Arbeit machen wir immer wieder eine überraschende Beobachtung: Es mangelt nicht an Gesetzen. Vielmehr werden Gesetze zuweilen gar nicht oder allenfalls rudimentär umgesetzt. Vielfach fehlt den mit der Umsetzung beauftragten knapp 800 unteren Verkehrsbehörden auf Stadt-, Kreis- oder Gemeindeebene (Hessen) sogar ein Grundverständnis für ihre Tätigkeit. Die alltägliche Verwaltungspraxis vieler Behörden hat sich häufig weit von Sinn und Wortlaut des Gesetzes entfernt. Beispiel: Das PBefG stattet Genehmigungsbehörden für ihre Aufsicht über das Taxi- und Mietwagengewerbe mit sehr weitgehenden Zugriffsrechten aus – z.B. auf die steuerlichen Daten der Unternehmen. Das Problem: Die Anwendung der Gesetzte erfordert betriebswirtschaftliche und steuerrechtliche Grundkenntnisse, die nur wenigen Genehmigungsbehörden zur Verfügung stehen.“

    Quelle: „Workshop Digitale Mobilitätsplattformen“ im Bundesministerium für Verkehr und digitale Infrastruktur in Berlin vom 06.04.17, zuletzt abgerufen am 26.10.2018

    Das lesenswerte Gutachten der Sachverständigen finden Sie hier.
    https://www.bmvi.de/SharedDocs/DE/Anlage/DG/mobilitaetspalttformen-stellungnahme-linne-krause-2.html
    https://www.bmvi.de/SharedDocs/DE/Anlage/DG/mobilitaetspalttformen-stellungnahme-linne-krause-2.pdf?__blob=publicationFile

    Und was für den Steuer- und Verwaltungsbereich gilt, ist im Sozialversicherungsrecht nicht anders. Nicht ohne Grund wird im Schwarzarbeitsbekämpfungsgesetz (§ 2 A SchwarzArbG) die Personenbeförderung als eine von zehn kontaminierten Branchen konkret benannt.

    Dass der Zusammenhang zwischen illegaler Beschäftigung und Steuersuppression sachlogisch zwingend ist, erklären wir auf Nachfrage gerne. Steuerverkürzung und Schwarzarbeit sind Paralleldelikte.

    Sollten insgesamt Zweifel an unseren unbequemen Ausführungen bestehen, schlagen wir vor, Sie öffnen Ihren Internetbrowser und geben in das Suchfeld die Schlagworte „Steuerhinterziehung Schwarzarbeit Taxi“ ein. Sie werden mehr Lesestoff finden, als Ihnen lieb ist.

    DER FINGER IN DER WUNDE - WAS WIR VERÖFFENTLICHEN UND WARUM

    Welche Auswirkung die latent vorhandene Vollzugsinsuffizienz hat, liegt auf der Hand. Neben den nicht unerheblichen Verlusten beim Steuer- und Sozialversicherungsaufkommen interessiert uns als betroffene Taxiunternehmer vor allem die Tatsache, dass wir einem – warum auch immer - unkontrollierten heterogenen Wettbewerb ausgesetzt sind, welchem wir angesichts des enormen Kostendrucks (MiLoG, Energdie eigenen Betriebsdaten online zu stellen. „Warum macht ihr denn so was“, werden wir vielfach gefragt. Es ist genauso kurz wie trocken beantwortet: weil wir es tun müssen. Es ist alternativlos. Dass wir damit nicht massenkompatibel sind, wissen wir. Egal.

    WIR SIND DENUNZIANTEN UNSERER EIGENEN BETRIEBSDATEN

    Während man früher das Phänomen Steuerhinterziehung leicht als BMW abtun konnte und mit erhobenem Zeigefinger auf Bäcker, Metzger und Wirte deutete, liegt in Zeiten der digitalen Fiskalisierung der Fokus auch auf unserer Branche. Nicht ganz ohne Grund.

    Das Taxigewerbe der Bundesrepublik Deutschland zählt zu den Hochrisikobranchen. Nach Veröffentlichungen der DATEV vom 23.08.2017 zählen etwa 797.600 Betriebe zu dieser überwiegend bargeldintensiven Unternehmensgruppe, der eine gewisse Disposition hinsichtlich Steuerverkürzung zugeschrieben wird. Die Taxibranche hat hieran lediglich einen kleinen Anteil in Höhe von gerundet 3% (26.000 Betriebe). Was auf den ersten Blick als nicht bedeutsam aussieht, ist defacto ein Sündenpfuhl, bei dem der Steuer- und Abgabenschaden eine imposante achtstellige Summe ausmacht. Und wohl noch viel mehr.
    ...
    Die Entdeckungswahrscheinlichkeit illegaler Arbeit im Taxigewerbe ist derart gering, dass es der Branche offensichtlich gelingt, sich weitestgehend einer ordentlichen Besteuerung und Verbeitragung zu entziehen. Dies deckt sich nicht nur mit unseren Erfahrungen, sondern ergibt sich ganz zwanglos aus einer Vielzahl von Veröffentlichungen der Taximedien, aus dutzenden von Urteilen der Finanz- und Verwaltungsgerichte, diversen Mitteilungen der Ordnungsämter und dergleichen mehr. Wir ersparen uns und Ihnen die Einzelheiten, es ist evident.

    Nur ein Beispiel sei stellvertretend erwähnt: Die Firma Linne und Krause GmbH., ein renommiertes Hamburger Sachverständigenbüro, welches weit mehr als 100 regionale Taximärkte der Bundesrepublik (darunter die meisten Großstädte/Metropolen) eingehend auf die dortige wirtschaftliche Situation untersucht hat, kommt zu keinem anderen Ergebnis.

    Linne und Krause schreiben bemerkenswert:

    „Flächendeckendes Vollzugsdefizit: Bei unserer Arbeit machen wir immer wieder eine überraschende Beobachtung: Es mangelt nicht an Gesetzen. Vielmehr werden Gesetze zuweilen gar nicht oder allenfalls rudimentär umgesetzt. Vielfach fehlt den mit der Umsetzung beauftragten knapp 800 unteren Verkehrsbehörden auf Stadt-, Kreis- oder Gemeindeebene (Hessen) sogar ein Grundverständnis für ihre Tätigkeit. Die alltägliche Verwaltungspraxis vieler Behörden hat sich häufig weit von Sinn und Wortlaut des Gesetzes entfernt. Beispiel: Das PBefG stattet Genehmigungsbehörden für ihre Aufsicht über das Taxi- und Mietwagengewerbe mit sehr weitgehenden Zugriffsrechten aus – z.B. auf die steuerlichen Daten der Unternehmen. Das Problem: Die Anwendung der Gesetzte erfordert betriebswirtschaftliche und steuerrechtliche Grundkenntnisse, die nur wenigen Genehmigungsbehörden zur Verfügung stehen.“iekosten, Arbeitssicherheit usw. usw.) auf Dauer nicht standhalten können.

    Wirtschaftliche Konkurrenz muss stets fair und paritätisch sein. Ist dies nicht der Fall, besteht wie vorliegend die Gefahr, dass sich Mitbewerber – gerade durch die fehlende behördliche Observation - einer regelorientierten Betriebsführung entziehen. Wirtschaftliche Vorteile sind die Folge.

    Wir veröffentlichen unsere Umsatzerlöse und die jeweilige Besetztquote zur Herstellung von Transparenz und um Druck zu normativem ökonomischen Verhalten zu erzeugen. Wir nennen das Gegenpressing.

    Im Menuepunkt Leaks 1 finden Sie die Daten der bereitgesellten Städte mit einer dazu gehörenden Erklärung bzw. Information. Bei Rückfragen wenden Sie sich bitte an den jeweiligen Leaker.

    Leaks 3 ist ein Menuepunkt, in dem wir aktuelle einschlägige Informationen einstellen und kommentieren.

    #Taxi #Steuer #Fiskaltaxameter

  • Les très riches, toujours plus riches (et les Français plus encore…)
    https://www.franceculture.fr/emissions/la-bulle-economique/les-tres-riches-toujours-plus-riches-et-les-francais-plus-encore


    La fortune des milliardaires atteint un nouveau sommet dans le monde en juillet 2020. UBS l’évalue à 10 200 milliards de $. La France est le pays où elle a le plus progressé (+45% entre 2019 et 2020). Grâce aux réformes de l’ISF ? Probable. Cette richesse ruisselle-t-elle ? Impossible à mesurer.

    #cocorico

  • Les réformes de l’ISF et de la flat tax ont fait bondir les dividendes
    https://www.latribune.fr/economie/france/les-reformes-de-l-isf-et-de-la-flat-tax-ont-fait-bondir-les-dividendes-859

    Cette réforme voulue par Emmanuel Macron, tout comme la transformation, également en 2018, de l’impôt sur la fortune (ISF) en IFI (impôt sur la fortune immobilière), avait pour but affiché de stimuler l’activité en encourageant les contribuables les plus aisés à investir dans l’économie.

    Transformation de l’impôt sur la fortune (ISF) en impôt sur la fortune immobilière (IFI), mise en place d’un prélèvement forfaitaire unique (PFU ou « Flat tax »), baisse de l’impôt sur les sociétés... La diminution de la fiscalité sur le capital depuis l’arrivée au pouvoir d’Emmanuel Macron a fait bondir la distribution de dividendes (+62%) entre 2017 et 2018 selon un rapport du comité d’évaluation rattaché à France Stratégie.
    La suppression de l’impôt sur la fortune et son remplacement par un impôt sur la fortune immobilière et l’introduction d’une flat tax avait suscité une vague de débats. La crise des gilets jaunes débutée en novembre 2018 avait été le point d’orgue de cette contestation. Ces choix fiscaux critiqués pour leur iniquité ont clairement marqué les premières années du quinquennat Macron. Près de trois ans après le vote de ces réformes à l’Assemblée nationale, le comité d’évaluation rattaché à France Stratégie a rendu public un avis documenté sur les possibles effets de ces mesures ce jeudi 8 octobre. Selon les premiers résultats communiqués, les dividendes distribués ont clairement bondi passant de 14,3 milliards d’euros en 2017 à 23,2 milliards d’euros en 2018, soit une hausse de 62%. « La hausse des dividendes déclarés par les foyers fiscaux ont augmenté très fortement (+9 milliards). En 2019, la hausse se poursuit selon les premières données fiscales. Les hauts revenus ont augmenté plus vite que les autres. La hausse des revenus s’explique principalement par une hausse des revenus financiers. La hausse des dividendes est très concentrée dans la population » a affirmé Fabrice Lenglart, président du Comité d’évaluation des réformes de la fiscalité du capital...

    #paywall #fiscalité #dividendes #riches #ISF #macronisme

    • Après la suppression de l’ISF, les revenus des 0,1 % les plus riches ont explosé en France
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/10/08/apres-la-suppression-de-l-isf-les-revenus-des-tres-aises-et-la-distribution-

      Un rapport sur les effets des réformes Macron sur le capital fait ce constat, alors que le gouvernement cherche à convaincre de l’intérêt de nouvelles mesures proentreprises.

      C’est un rapport hautement inflammable, à l’heure où l’épidémie de Covid-19 fait basculer de plus en plus de ménages modestes dans la pauvreté et où l’exécutif assume de donner la priorité à des mesures proentreprises dans son plan de relance pour doper l’économie et l’emploi. La suppression de l’impôt sur la fortune (ISF) et l’instauration de la « flat tax » au début du quinquennat ont eu pour effet de faire fortement augmenter les revenus des 0,1 % des Français les plus aisés, tandis que la distribution de dividendes, de plus en plus concentrée, a explosé.

      Ce sont les conclusions qui ressortent du deuxième rapport du comité d’évaluation des réformes de la fiscalité, publié jeudi 8 octobre. Réalisé sous l’égide de France Stratégie, l’organisme d’évaluation et de prospective rattaché à Matignon, ce travail d’économistes, de députés, de représentants de l’Insee, du Trésor, ou encore du Medef et de la CFDT est la suite d’un premier document, il y a un an.

      Celui-ci peinait à conclure sur l’efficacité des réformes-phares du quinquennat en matière de fiscalité du capital : la suppression, depuis le 1er janvier 2018, de l’impôt de solidarité sur la fortune (ISF), transformé en impôt sur la fortune immobilière (IFI), et la création d’un prélèvement forfaitaire unique (PFU, « flat tax ») de 30 % sur les revenus du capital. Deux mesures visant initialement à « favoriser la croissance de notre tissu d’entreprises, stimuler l’investissement et l’innovation », selon la lettre de mission de Matignon au comité, en décembre 2018.

      Hausse de 60 % des dividendes distribués

      Si ce deuxième rapport précise de nouveau qu’une évaluation complète des deux réformes reste impossible – il s’est appuyé principalement sur des données de l’année 2018 –, les informations qu’il fournit sont plus précises. Les dividendes distribués ont augmenté de plus de 60 % en 2018, passant de 14,3 milliards d’euros en 2017 à 23,2 milliards, « et la hausse se poursuit en 2019 » , expliquent les auteurs de l’étude.

      De plus, « l’augmentation des dividendes est de plus en plus concentrée dans la population » : en 2018, 0,1 % des foyers fiscaux (38 000 personnes environ) ont perçu les deux tiers des montants totaux, alors qu’ils n’en recevaient que la moitié en 2017. Et les ultrariches (0,01 % des foyers fiscaux, 3 800 personnes environ) qui en captaient un cinquième, en ont reçu le tiers.

      Toute la question est de savoir ce que ces Français très aisés ont fait et feront de cet argent : l’épargner, le dépenser, l’investir dans l’économie ?

      Si l’on s’intéresse aux revenus, « les 0,1 % de Français les plus aisés sont un quart de fois plus riches que les 0,1 % de 2017 » , souligne France Stratégie. « Plusieurs éléments laissent clairement penser que la forte hausse des dividendes reçus par les ménages en 2018 est en partie causée par la réforme du PFU » , insiste le rapport.
      Sur l’exil fiscal, que la réforme de 2018 cherchait à endiguer, le rapport livre des conclusions « prudentes » : certes, le nombre de départs hors de France des contribuables aisés a baissé dès 2017 et l’annonce des intentions du gouvernement, et le nombre de retours dans l’Hexagone a tendance à s’intensifier. Mais les comparaisons sont rendues délicates par le changement de périmètre (l’IFI a entre-temps remplacé l’ISF).

      Toute la question est de savoir ce que ces Français très aisés ont fait et feront de cet argent : l’épargner, le dépenser, l’investir dans l’économie ? Là encore, les données actuellement à la disposition du comité ne leur permettent pas de trancher. Mais ils ont, en parallèle, étudié une autre réforme de la fiscalité, plus ancienne et « inverse » : celle de 2013.

      A l’époque, la présidence de François Hollande avait impulsé le mouvement contraire : les revenus du capital avaient été alignés sur le barème de l’impôt sur le revenu, donc globalement, davantage taxés. « Pour l’heure, le comité est incapable de répondre par oui ou par non à la question de savoir si la réforme de 2018 a eu un impact positif sur l’économie. Mais en étudiant la réforme symétrique de 2013, on ne voit pas d’impact sur l’investissement des entreprises » , assène Fabrice Lenglart, le président du ­comité d’évaluation.

      Davantage de recettes fiscales

      Une sacrée pierre dans le jardin de Bercy et des tenants de la politique de l’offre, selon laquelle soutenir massivement les entreprises permet de doper in fine la croissance et l’emploi. Or, c’est précisément la ligne de conduite actuelle du gouvernement, qui a prévu dans son plan de relance de 100 milliards d’euros de baisser de 20 milliards les impôts de production des entreprises.

      « Ces réformes ont permis de rapprocher la taxation des revenus du capital des standards internationaux. Elles s’inscrivent bien dans l’action du gouvernement pour améliorer la compétitivité française et l’investissement » , soutient Bercy. « L’effet sur l’emploi prendra du temps à se matérialiser mais à moyen terme, il bénéficiera à l’ensemble de la population, en créant de l’investissement et de l’emploi » , assure le cabinet du ministre de l’économie et des finances, Bruno Le Maire.

      Autre argument : « Les foyers les plus riches ont été concernés par la plus grande partie de la hausse des dividendes, mais auparavant ces derniers n’étaient tout simplement plus versés [car trop taxés]. Donc soit ils étaient thésaurisés dans des sociétés holding, soit ils induisaient des comportements d’optimisation » , argue-t-on à Bercy.

      Le rapport note en effet une hausse des consommations intermédiaires des entreprises, « ce qui correspond probablement à des frais des dirigeants échappant à tout impôt » , explique le ministère. La hausse des dividendes a ainsi permis davantage de recettes fiscales, si bien que sur un coût budgétaire attendu à 1,1 milliard d’euros, ce sont environ 500 millions qui sont finalement rentrés, par ricochet, dans les caisses de l’Etat.

      « La proposition de campagne de LRM [La République en marche] était d’inciter à l’investissement en France en sortant les biens productifs de l’ISF. Réintégrons les comptes bancaires et les assurances-vie (non investies directement en actions) dans l’assiette de l’IFI. Ce ne sont pas des biens productifs. Leur exonération n’incite en rien à l’investissement dans l’économie réelle » , a réagi la députée Ecologie Démocratie Solidarité (ex-LRM) de la Meuse Emilie Cariou, qui a déposé un amendement au budget en ce sens.

      Lors de sa conférence de presse post-grand débat national, le 25 avril 2019, Emmanuel Macron avait déclaré : « Cette réforme (…) sera évaluée en 2020 et, (…) si elle n’est pas efficace, nous la corrigerons. » Un an et demi et deux rapports d’évaluation plus tard, le discours a changé. « Il n’est pas question dans le contexte de crise actuelle de revenir à une instabilité fiscale nuisible ni d’augmenter les impôts, qui ont baissé de 45 milliards d’euros pour les ménages et les entreprises depuis le début du quinquennat » , répond Bercy.

    • Les deux tiers de l’épargne accumulée depuis le confinement sont détenus par les 20 % des Français les plus aisés
      https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/10/12/les-deux-tiers-de-l-epargne-accumulee-depuis-le-confinement-est-detenue-par-

      Selon une étude du Conseil d’analyse économique, les 20 % des ménages les plus modestes non seulement n’ont pas réussi à épargner plus que d’habitude entre mars et août, mais ils se sont même globalement endettés.

  • Aider les nouveaux pauvres du Covid-19 - Gauche macroniste
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/06/aider-les-nouveaux-pauvres-du-covid_6054945_3232.html

    Editorial. D’ici à la fin de l’année, 1 million de personnes auront rejoint la cohorte des 9,3 millions de personnes vivant déjà au-dessous du seuil de pauvreté. Ce constat exige des réponses politiques spécifiques d’urgence.

    Editorial. Alors que le choc sanitaire du Covid-19 n’en finit pas de mettre à l’épreuve le système de santé et de bouleverser nos vies quotidiennes, une crise économique et sociale sans précédent depuis l’après-guerre étend ses ravages. D’ici à la fin de l’année, 1 million de personnes auront rejoint la cohorte des 9,3 millions de personnes vivant déjà au-dessous du seuil de pauvreté fixé à 1 063 euros par mois. Ce constat, dressé par les associations caritatives, confirme l’évolution préoccupante de plusieurs indicateurs sociaux : bénéficiaires de l’aide alimentaire en hausse de 30 %, demandeurs du revenu de solidarité active (RSA) de 10 % plus nombreux, montée des impayés de loyers dans les HLM.

    Tous les acteurs de la solidarité voient arriver des personnes en détresse inconnues d’eux jusqu’à présent. Autoentrepreneurs en panne de clients, intérimaires sans « mission », salariés en CDD non renouvelés, saisonniers en déshérence, étudiants privés de petits boulots vitaux. Un nouveau public de travailleurs précaires, qui s’est largement développé ces dernières années, bascule dans l’univers de l’aide sociale et du caritatif auquel il n’est nullement habitué.

    Cette dégringolade sociale a lieu dans un contexte où les conseils départementaux, en charge du RSA, peinent à suivre financièrement, et où les associations de terrain, les plus aptes à repérer et à atteindre les personnes concernées, sont au bord de la rupture, étranglées par les surcoûts liés à la pandémie et privées des bénévoles âgés, que les conditions sanitaires inquiètent. Partout, le constat est le même. Les personnes en situation de précarité subissent une double peine : plus exposées que la moyenne à la pandémie en raison de leurs conditions de logement et de travaux souvent pénibles, ce sont aussi les premières victimes de la raréfaction des emplois. Cette montée brutale de la pauvreté exige des réponses politiques spécifiques rapides.

    Eviter la catastrophe générationnelle

    Le gouvernement, qui a géré correctement l’urgence notamment en matière d’aide sociale et d’hébergement, doit désormais adapter sa « stratégie de lutte contre la pauvreté » à ce contexte entièrement nouveau par son ampleur, par sa brutalité, et par le contexte pesant d’incertitude prolongée. Le « plan de relance » de l’économie, fort de ses 100 milliards d’euros, fondé sur une politique d’offre, semble faire comme si tous les Français avaient largement épargné pendant le confinement. En réalité, de nombreux ménages aux revenus modestes ont vu leurs dépenses s’accroître (faute d’école et de cantine notamment), tandis que leurs revenus diminuaient (moins de travail).

    Alors que les entreprises bénéficient d’aides fiscales considérables, l’exécutif doit sortir de sa réticence à augmenter les #minima_sociaux et de sa volonté de durcir les conditions d’indemnisation du #chômage. Plus que jamais, il est temps de mettre en œuvre le plan annoncé en 2018 visant à « éradiquer la misère en une génération » et la promesse de rendre obligatoire la formation des 16-18 ans, particulièrement impérieuse en ces temps de décrochage scolaire lié au confinement. Non éligibles au #RSA, les moins de 25 ans doivent bénéficier d’un filet de sécurité. L’enjeu est tout sauf mince : il s’agit d’encourager l’accès ou le retour à une activité, mais aussi d’éviter que la crise sanitaire et le tsunami économique en cours ne se doublent d’une catastrophe générationnelle.

    • Suppression de l’ISF : un échec politique
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/10/09/suppression-de-l-isf-un-echec-politique_6055381_3232.html

      Editorial. Même si son impact économique reste difficile à évaluer, la réforme fiscale du début du quinquennat d’Emmanuel Macron s’est accompagnée d’un fort accroissement de la fortune des 0,1 % des Français les plus riches.

      Editorial du « Monde ». Depuis le premier jour du quinquennat d’Emmanuel Macron, la suppression de l’impôt sur la fortune (ISF) n’aura cessé de nourrir un débat qui peine à trouver sa conclusion. En s’attaquant à une disposition si fortement symbolique, le président de la République a prêté le flanc à la critique.

      « Cadeau fait aux riches » pour les uns, indispensable rééquilibrage de la fiscalité du capital, favorable à l’emploi et à l’investissement pour les autres, la question fait toujours l’objet d’interprétations diamétralement opposées, deux ans après la mise en œuvre de la mesure. Et le comité d’évaluation des réformes de la fiscalité reconnaît sa difficulté à trancher entre les deux, dans son deuxième rapport, publié jeudi 8 octobre.

      Ce comité avait déjà rédigé un premier avis, en octobre 2019, qui concluait qu’il était trop tôt pour établir un bilan fiable. Un an plus tard, la prudence reste de mise quant aux effets de la transformation de l’ISF en impôt sur la fortune immobilière (IFI) et de l’instauration d’un prélèvement forfaitaire unique à 30 % sur les revenus du capital.

      Selon le comité, trois constats sont toutefois possibles. D’abord, le niveau des prélèvements sur le capital en France est désormais conforme à la moyenne de ce qui est pratiqué dans les autres pays développés. Ensuite, la réforme a permis de faire chuter le nombre des départs de contribuables fortunés. Enfin, la moindre taxation du capital a provoqué une augmentation spectaculaire du versement de dividendes en 2018, tendance qui s’est prolongée en 2019.

      Creusement des inégalités

      Sur le plan budgétaire, cela peut être considéré comme une bonne nouvelle, davantage de dividendes signifiant une assiette fiscale élargie et donc davantage de recettes pour l’Etat. Mieux vaut que ces revenus soient taxés plutôt qu’ils soient thésaurisés dans des structures financières hors de portée du fisc. En revanche, la contrepartie politique est embarrassante pour le pouvoir, d’autant plus qu’elle renforce un peu plus l’image d’un « président des riches », sinon des ultrariches.

      Le comité d’évaluation constate en effet une extrême concentration au sein de la population des bénéficiaires des 23 milliards d’euros de dividendes versés en 2018. Les deux tiers de cette somme ont été captés par 38 000 personnes, et le tiers par seulement 3 800 personnes. En un an, la fortune des 0,1 % des Français les plus riches s’est accrue d’un quart – mouvement de concentration du capital incompréhensible pour l’opinion.

      Cet accroissement d’une fortune si concentrée est-il bénéfique à l’ensemble de l’économie ? A-t-il permis de réorienter l’épargne vers le financement des entreprises, moteur à terme de la création d’emplois ? Le comité d’évaluation n’est toujours pas en mesure de répondre avec certitude à ces questions. Ce bilan risque d’être d’autant plus compliqué à tirer que la crise provoquée par la pandémie de Covid-19 va durablement brouiller les repères.

      La réforme de l’ISF est donc, d’ores et déjà, un échec sur le plan politique pour Emmanuel Macron. En outre, elle est en passe de devenir anachronique. La crise a en effet encore amplifié le creusement des inégalités au profit d’une petite minorité de détenteurs du capital. Tandis que le risque de crise sociale s’accroît, une réflexion sur la fiscalité s’impose. Si l’ISF, qui avait un effet redistributif limité, n’était pas forcément l’outil adéquat, d’autres pistes, comme une réforme de l’impôt sur les successions ou une taxation plus forte des hauts revenus, doivent être envisagées. Il est indispensable que cette question fasse l’objet d’un débat approfondi lors de la campagne présidentielle de 2022.

      #macronisme #fiscalité #riches #pauvreté

  • Redevance pour l’indexation d’images : respect des créateurs
    https://www.wikimedia.fr/redevance-indexation-images-respect-createurs

    Comme un vieux serpent de mer, la taxe Google Image, est de retour à l’Assemblée nationale. Ce dispositif vise à imposer aux moteurs de recherche de payer une redevance pour l’indexation d’images. À la suite d’une étude du Conseil supérieur de la propriété littéraire et artistique (CSPLA), mais sans auditions parlementaires, et au détour d’une loi fourre-tout, un amendement cherche à sortir le dispositif de l’impasse. En effet, la justice européenne avait bloqué le dispositif, peu après son adoption, en (...)

    #Google #GoogleImages #fiscalité #législation #copyright #Wikimedia #CreativeCommons

    ##fiscalité

  • NSA Spying
    https://www.eff.org/nsa-spying/faq#38

    What is the NSA domestic spying program ? In October 2001, President Bush issued a secret presidential order authorizing the NSA to conduct a range of surveillance activities inside of the United States without statutory authorization or court approval, including electronic surveillance of Americans’ telephone and Internet communications. This program of surveillance continues through today, although the legal justifications have changed over time, and works with the major (...)

    #algorithme #NSA #AT&T #anti-terrorisme #écoutes #FISA #PatriotAct #surveillance #EFF

    ##AT&T

  • « Avec la cotation en Bourse de Palantir, c’est la science-fiction qui entre à Wall Street »
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/09/30/avec-la-cotation-en-bourse-de-palantir-c-est-la-science-fiction-qui-entre-a-

    Du fait de ses performances financières, de son éthique et de sa gouvernance, le spécialiste américain de l’analyse de données ne devrait pas se retrouver sur un marché public, estime Philippe Escande, éditorialiste économique du « Monde ». Pertes & profits. Dans le monde magique du Seigneur des anneaux, le palantir est un cristal qui permet de communiquer et de voir tous les événements, passés et futurs. La promesse de la société Palantir est la même : échanger, analyser et prévoir. Ses logiciels (...)

    #DGSI #In-Q-Tel #Palantir #CIA #ICE #GPS #géolocalisation #migration #fiscalité #écoutes #santé #SocialNetwork #surveillance #BigData #algorithme (...)

    ##fiscalité ##santé ##bénéfices

  • Future EU-US data transfers ? EU must push back on the US’s surveillance game
    https://www.accessnow.org/future-eu-us-data-transfers-eu-must-push-back-on-the-uss-surveillance-gam

    Brussels & Washington DC — Access Now and the American Civil Liberties Union are calling on the European Commission to press the United States to reform its surveillance laws, so that any future instrument for EU-US data transfers complies with EU law and withstands judicial scrutiny. The groups are set to meet with Justice Commissioner Didier Reynders tomorrow, October 2, together with other civil society partners, to discuss the way forward for EU-US data transfers after the (...)

    #données #FISA #PrivacyShield #surveillance #AccessNow #ACLU

  • L’#Université, le #Covid-19 et le danger des #technologies_de_l’éducation

    La crise actuelle et la solution proposée d’un passage des enseignements en ligne en urgence ont accéléré des processus systémiques déjà en cours dans les universités britanniques, en particulier dans le contexte du Brexit. Même si l’enseignement en ligne peut avoir une portée radicale et égalitaire, sa pérennisation dans les conditions actuelles ouvrirait la voie à ce que les fournisseurs privés de technologies de l’éducation (edtech d’après l’anglais educational technology) imposent leurs priorités et fassent de l’exception une norme.

    Mariya Ivancheva, sociologue à l’université de Liverpool dont les recherches portent sur l’enseignement supérieur, soutient que nous devons repenser ce phénomène et y résister, sans quoi le secteur de l’enseignement supérieur britannique continuera d’opérer comme un outil d’extraction et de redistribution de l’argent public vers le secteur privé.

    *

    Avec la propagation mondiale du coronavirus et la désignation du COVID-19 comme pandémie par l’Organisation mondiale de la santé le 11 mars, les universités de nombreux pays ont eu recours à l’enseignement en ligne. Rien qu’aux États-Unis, dès le 12 mars, plus de 100 universités sont passées à l’enseignement à distance. Depuis, rares sont les pays où au moins une partie des cours n’est pas dispensée en ligne. Les prestataires de services d’enseignement privés ont été inondés de demandes de la part des universités, qui les sollicitaient pour faciliter le passage à l’enseignement à distance.

    Au Royaume-Uni, la réticence initiale du gouvernement et des directions de certaines institutions d’enseignement supérieur à imposer des mesures de distanciation sociale et à fermer les établissements ont mené plusieurs universités à prendre cette initiative de leur propre chef. Le 23 mars, lorsque les règles de confinement et de distanciation sociale ont finalement été introduites, la plupart des universités avaient déjà déplacé leurs cours en ligne et fermé la plus grande partie de leur campus, à l’exception des « services essentiels ». Si un débat sur les inégalités face à l’université dématérialisée a eu lieu (accès aux ordinateurs, à une connexion Internet sécurisée et à un espace de travail calme pour les étudiant.e.s issus de familles pauvres, vivant dans des conditions défavorables, porteurs de responsabilités familiales ou d’un handicap), l’impact sur le long terme de ce passage en ligne sur le travail universitaire n’a pas été suffisamment discuté.

    Ne pas laisser passer l’opportunité d’une bonne crise

    Étant donnée la manière criminelle dont le gouvernement britannique a initialement répondu à la crise sanitaire, un retard qui aurait coûté la vie à plus de 50 000 personnes, les mesures de confinement et de distanciation prises par les universités sont louables. Toutefois, la mise en ligne des enseignements a également accéléré des processus déjà existants dans le secteur universitaire au Royaume-Uni.

    En effet, surtout depuis la crise de 2008, ce secteur est aux prises avec la marchandisation, les politiques d’austérité et la précarisation. Désormais, il doit également faire aux conséquences du Brexit, qui se traduiront par une baisse des financements pour la recherche provenant de l’UE ainsi que par une diminution du nombre d’étudiant.e.s européens. Entre l’imminence d’une crise économique sans précédent, les craintes d’une baisse drastique des effectifs d’étudiant.e.s étranger/ères payant des frais de scolarité pour l’année académique à venir et le refus du gouvernement de débourser deux milliards de livres pour renflouer le secteur, la perspective d’une reprise rapide est peu probable.

    Le passage en ligne a permis à de nombreux étudiant.e.s de terminer le semestre et l’année académique : pourtant, les personnels enseignants et administratifs n’ont reçu que de maigres garanties face à la conjoncture. Pour les enseignements, les universités britanniques dépendent à plus de 50% de travailleurs précaires, ayant des contrats de vacation souvent rémunérés à l’heure et sur demande (« zero-hour contract » : contrat sans horaire spécifié). Si certaines universités ont mis en place des systèmes de congé sans solde ou de chômage partiel pour faire face à la pandémie, la majorité d’entre elles envisage de renvoyer les plus vulnérables parmi leurs employés.

    Parallèlement, les sociétés prestataires d’edtech, qui sollicitaient auparavant les universités de manière discrète, sont désormais considérées comme des fournisseurs de services de « premiers secours » voire « palliatifs ». Or, dans le contexte actuel, la prolongation de ces modes d’enseignements entraînerait une précarisation et une externalisation accrues du travail universitaire, et serait extrêmement préjudiciable à l’université publique.

    Les eaux troubles de l’enseignement supérieur commercialisé

    Au cours des dernières décennies, le domaine universitaire britannique a connu une énorme redistribution des fonds publics vers des prestataires privés. Les contributions du public et des particuliers à l’enseignement supérieur se font désormais par trois biais : les impôts (budgets pour la recherche et frais de fonctionnement des universités), les frais d’études (frais de scolarité, frais de subsistance et remboursement des prêts étudiants) et par le port du risque de crédit pour les prêts étudiants (reconditionnés en dette et vendus aux investisseurs privés)[1].

    Lorsque les directions des universités mettent en œuvre des partenariats public-privé dont les conditions sont largement avantageuses pour le secteur privé, elles prétendent que ces contrats profitent au « bien public », et ce grâce à l’investissement qu’ils permettraient dans les infrastructures et les services, et parce qu’ils mèneraient à la création d’emplois et donc à de la croissance. Mais cette rhétorique dissimule mal le fait que ces contrats participent en réalité à un modèle d’expansion de l’université fondé sur la financiarisation et le non-respect des droits des travailleurs dont les conditions de travail deviennent encore plus précaires.

    À cet égard, les retraites des universitaires ont été privatisées par le biais d’un régime appelé Universities Superannuation Scheme (USS), dont il a été divulgué qu’il s’agissait d’un régime fiscal offshore. Par ailleurs, les universités britanniques, très bien notées par les agences de notation qui supposent que l’État les soutiendrait le cas échéant, ont été autorisées à emprunter des centaines de millions de livres pour investir dans la construction de résidences étudiantes privées, s’engageant à une augmentation exponentielle du nombre d’étudiant.e.s.

    Le marché de la construction des résidences universitaires privées atteignait 45 milliards de livres en 2017, et bénéficiait souvent à des sociétés privées offshores. Les étudiant.e.s sont ainsi accueillis dans des dortoirs sans âme, fréquentent des infrastructures basiques (par exemple les installations sportives), alors qu’ils manquent cruellement d’accès aux services de soutien psychologique et social, ou même tout simplement de contact direct avec leurs enseignants, qu’ils voient souvent de loin dans des amphithéâtres bondés. Ces choix ont pour résultat une détérioration dramatique de la santé mentale des étudiant.e.s.

    Avec des frais universitaires pouvant aller jusqu’à £9 000 par an pour les études de premier cycle et dépassant parfois £20 000 par an en cycle de masters pour les étudiant.e.s étranger/ères (sans compter les frais de subsistance : nourriture, logement, loisirs), la dette étudiante liée à l’emprunt a atteint 121 milliards de livres. La prévalence d’emplois précaires et mal payés sur le marché du travail rend à l’évidence ces prêts de plus en plus difficiles à rembourser.

    Enfin, le financement de la recherche provient toujours principalement de sources publiques, telles que l’UE ou les comités nationaux pour la recherche. Candidater pour ces financements extrêmement compétitifs demande un énorme investissement en temps, en main d’œuvre et en ressources. Ces candidatures sont cependant fortement encouragées par la direction des universités, en dépit du faible taux de réussite et du fait que ces financements aboutissent souvent à des collaborations entre université et industrie qui profitent au secteur privé par le biais de brevets, de main-d’œuvre de recherche bon marché, et en octroyant aux entreprises un droit de veto sur les publications.

    Les edtech entrent en scène

    Dans le même temps, les sociétés d’edtech jouent un rôle de plus en plus important au sein des universités, profitant de deux changements du paradigme véhiculé par l’idéologie néolibérale du marché libre appliquée à l’enseignement supérieur – ainsi qu’à d’autres services publics.

    D’abord, l’idée de services centrés sur les « utilisateurs » (les « apprenants »selon la terminologie en cours dans l’enseignement), s’est traduite concrètement par des coûts additionnels pour le public et les usagers ainsi que par l’essor du secteur privé, conduisant à l’individualisation accrue des risques et de la dette. Ainsi, la formation professionnelle des étudiant.e.s, autrefois proposée par les employeurs, est désormais considérée comme relevant de la responsabilité des universités. Les universitaires qui considèrent que leur rôle n’est pas de former les étudiant.e.s aux compétences attendues sur le marché du travail sont continuellement dénigrés.

    Le deuxième paradigme mis en avant par les sociétés edtech pour promouvoir leurs services auprès des universités est celui de l’approche centrée sur les « solutions ». Mais c’est la même « solution » qui est invariablement proposée par les sociétés edtech, à savoir celle de la « rupture numérique », ou, en d’autres termes, la rupture avec l’institution universitaire telle que nous la connaissons. En réponse aux demandes en faveur d’universités plus démocratiques et égalitaires, dégagées de leur soumission croissante aux élites au pouvoir, les sociétés edtech (dont la capitalisation s’élève à des milliards de dollars) se présentent comme offrant la solution via les technologies numériques.

    Elles s’associent à une longue histoire où le progrès technologique (que ce soit les lettres, la radio, les cassettes audio ou les enregistrements vidéo) a effectivement été mis au service d’étudiant.e.s « atypiques » tels que les travailleurs, les femmes, les personnes vivant dans des zones d’accès difficile, les personnes porteuses de handicap ou assumant des responsabilités familiales. L’éducation ouverte par le biais par exemple de webinaires gratuits, les formations en ligne ouvertes à tous (MOOC), les ressources éducatives disponibles gratuitement et les logiciels open source suivaient à l’origine un objectif progressiste d’élargissement de l’accès à l’éducation.

    Toutefois, avec le passage en ligne des enseignements dans un secteur universitaire fortement commercialisé, les technologies sont en réalité utilisées à des fins opposées. Avant la pandémie de COVID-19, certaines universités proposaient déjà des MOOC, des formations de courte durée gratuites et créditées et des diplômes en ligne par le biais de partenariats public-privé avec des sociétés de gestion de programmes en ligne.

    Au sein du marché général des technologies de l’information, ces sociétés représentent un secteur d’une soixantaine de fournisseurs, estimé à 3 milliards de dollars et qui devrait atteindre 7,7 milliards de dollars d’ici 2025 – un chiffre susceptible d’augmenter avec les effets de la pandémie. Le modèle commercial de ces partenariats implique généralement que ces sociétés récoltent entre 50 à 70% des revenus liés aux frais de scolarité, ainsi que l’accès à des mégadonnées très rentables, en échange de quoi elles fournissent le capital de démarrage, la plateforme, des services de commercialisation et une aide au recrutement et assument le coût lié aux risques.

    L’une des différences essentielles entre ces sociétés et d’autres acteurs du secteur des technologies de l’éducation proposant des services numériques est qu’elles contribuent à ce qui est considéré comme le « cœur de métier » : la conception des programmes, l’enseignement et le soutien aux étudiant.e.s. Une deuxième différence est que, contrairement à d’autres prestataires d’enseignement privés, ces sociétés utilisent l’image institutionnelle d’universités existantes pour vendre leur produit, sans être trop visibles.

    Normaliser la précarisation et les inégalités

    Le secteur de la gestion des programmes en ligne repose sur une charge importante de travail académique pour les employés ainsi que sur le recours à une main-d’œuvre précaire et externalisée. Ceci permet aux sociétés bénéficiaires de contourner la résistance organisée au sein des universités. De nombreux MOOC, formations de courte durée et des diplômes en ligne en partenariat avec ces sociétés font désormais partie de l’offre habituelle des universités britanniques.

    La charge de travail académique déjà croissante des enseignants est intensifiée par les enseignements en ligne, sans rémunération supplémentaire, et alors même que de tels cours demandent une pédagogie différente et prennent plus de temps que l’enseignement en classe. Avec la transformation de l’enseignement à distance d’urgence en une offre d’« éducation en ligne », ces modalités pourraient devenir la nouvelle norme.

    L’université de Durham a d’ailleurs tenté d’instaurer un dangereux précédent à cet égard, qui en présage d’autres à venir. L’université a conclu un accord avec la société Cambridge Education Digital (CED), afin d’offrir des diplômes entièrement en ligne à partir de l’automne 2020, sans consultation du personnel, mais en ayant la garantie de CED que seules six heures de formation étaient nécessaires pour concevoir et délivrer ces diplômes.

    Dans le même temps, les sociétés de gestion de programmes en ligne ont déjà recruté de nombreux·ses travailleur/euses diplômé·e·s de l’éducation supérieure, souvent titulaires d’un doctorat obtenu depuis peu, cantonné·e·s à des emplois précaires, et chargés de fournir un soutien académique aux étudiant.e.s. Il s’agit de contrats temporaires, sur la base d’une rémunération à la tâche, peu sécurisés et mal payés, comparables à ceux proposés par Deliveroo ou TaskRabbit. Ces employés, qui ne sont pas syndiqués auprès du même syndicat que les autres universitaires, et qui sont souvent des femmes ou des universitaires noirs ou issus de minorités racisées, désavantagés en matière d’embauche et de promotion, seront plus facilement ciblé·e·s par les vagues de licenciement liées au COVID-19.

    Cela signifie également qu’ils/elles seront utilisé·e·s – comme l’ont été les universitaires des agences d’intérim par le passé – pour briser les piquets de grève lors de mobilisations à l’université. Ce système se nourrit directement de la polarisation entre universitaires, au bénéfice des enseignant·e·s éligibles aux financements de recherche, qui s’approprient les recherches produites par les chercheur/ses précaires et utilisent le personnel employé sur des contrats uniquement dédiés à l’enseignement [pour fournir les charges d’enseignement de collègues déchargés]. Il s’agit là de pratiques légitimées par le mode de financement de l’UE et des comités nationaux pour la recherche ainsi que par le système de classements et d’audits de la recherche.

    Avec le COVID-19, le modèle proposé par les entreprises de gestion de programmes en ligne, fondé sur l’externalisation et la privatisation des activités de base et de la main-d’œuvre de l’université, pourrait gagner encore plus de terrain. Ceci s’inscrit en réalité dans le cadre d’un changement structurel qui présagerait la fin de l’enseignement supérieur public. Le coût énorme du passage en ligne – récemment estimé à 10 millions de livres sterling pour 5-6 cours en ligne par université et 1 milliard de livres sterling pour l’ensemble du secteur – signifie que de nombreuses universités ne pourront pas se permettre d’offrir des enseignements dématérialisés.

    De plus, les sociétés de gestion de programmes en ligne ne travaillent pas avec n’importe quelle université : elles préfèrent celles dont l’image institutionnelle est bien établie. Dans cette conjoncture, et compte tenu de la possibilité que de nombreux/ses étudiant.e.s annulent (ou interrompent) leur inscription dans une université du Royaume-Uni par crainte de la pandémie, de nombreuses universités plus petites et moins visibles à l’échelle internationale pourraient perdre un nombre importante d’étudiant.e.s, et le financement qui en découle.

    En dépit de tous ces éléments, l’appel à une réglementation et à un plafonnement du nombre d’étudiant.e.s admis par chaque institution, qui permettraient une redistribution sur l’ensemble du secteur et entre les différentes universités, semble tomber dans l’oreille d’un sourd.

    Un article sur le blog de Jo Johnson, ancien ministre de l’Éducation et frère du Premier ministre britannique, exprime une vision cynique de l’avenir des universités britanniques. Sa formule est simple : le gouvernement devrait refuser l’appel au soutien des universités moins bien classées, telles que les « instituts polytechniques », anciennement consacrés à la formation professionnelle et transformés en universités en 1992. Souvent davantage orientées vers l’enseignement que vers la recherche, ceux-ci n’ont que rarement des partenariats avec des sociétés de gestion de programmes en ligne ou une offre de cours à distance. Selon Johnson, ces universités sont vouées à mourir de mort naturelle, ou bien à revenir à leur offre précédente de formation professionnelle.

    Les universités du Groupe Russell[2], très concentrées sur la recherche, qui proposent déjà des enseignements dématérialisés en partenariat avec des prestataires de gestion des programmes en ligne, pourraient quant à elles se développer davantage, à la faveur de leur image institutionnelle de marque, et concentreraient ainsi tous les étudiant.e.s et les revenus. Ce qu’une telle vision ne précise pas, c’est ce qu’il adviendrait du personnel enseignant. Il est facile d’imaginer que les nouvelles méga-universités seraient encore plus tributaires des services de « soutien aux étudiant.e.s » et d’enseignement dispensés par des universitaires externalisés, recrutés par des sociétés de gestion des programmes en ligne avec des contrats à la demande, hyper-précaires et déprofessionnalisés.

    Lieux de lutte et de résistance

    Ce scénario appelle à la résistance, mais celle-ci devient de plus en plus difficile. Au cours des six derniers mois, les membres du syndicat « University and College Union » (UCU) ont totalisé 22 jours de grève. L’une des deux revendications portées par cette mobilisation, parmi les plus longues et les plus soutenues dans l’enseignement supérieur britannique, portait sur les retraites.

    La seconde combinait quatre revendications : une réduction de la charge de travail, une augmentation des salaires sur l’ensemble du secteur (ils ont diminué de 20% au cours de la dernière décennie), s’opposer à la précarisation, et supprimer les écarts de rémunération entre hommes et femmes (21%) et ceux ciblant les personnes racisées (26%). Les employeurs, représentés par « Universities UK » et l’Association des employeurs « Universities and Colleges », n’ont jusqu’à présent pas fait de concessions significatives face à la grève. La crise du COVID-19 a limité l’option de la grève, alors que l’augmentation de la charge de travail, la réduction des salaires et la précarisation sont désormais présentées comme les seules solutions pour faire face à la pandémie et aux crises économiques.

    Dans ce contexte, le passage vers l’enseignement en ligne doit devenir un enjeu central des luttes des syndicats enseignants. Toutefois, la possibilité de mener des recherches sur ce processus – un outil clé pour les syndicats – semble limitée. De nombreux contrats liant les universités et les entreprises de gestion de programme en ligne sont conclus sans consultation du personnel et ne sont pas accessibles au public. En outre, les résultats de ces recherches sont souvent considérés comme nocifs pour l’image des sociétés.

    Pourtant, un diagnostic et une réglementation des contrats entre les universités et ces entreprises, ainsi que celle du marché de l’edtech en général, sont plus que jamais nécessaires. En particulier, il est impératif d’en comprendre les effets sur le travail universitaire et de faire la lumière sur l’utilisation qui est faite des données collectées concernant les étudiant.e.s par les sociétés d’edtech. Tout en s’opposant aux licenciements, l’UCU devrait également se mettre à la disposition des universitaires travaillant de manière externalisée, et envisager de s’engager dans la lutte contre la sous-traitance du personnel enseignant.

    Bien que tout cela puisse aujourd’hui sembler être un problème propre au Royaume-Uni, la tempête qui y secoue aujourd’hui le secteur de l’enseignement supérieur ne tardera pas à se propager à d’autres contextes nationaux.

    Traduit par Céline Cantat.

    Cet article a été publié initialement sur le blog du bureau de Bruxelles de la Fondation Rosa Luxemburg et de Trademark Trade-union.
    Notes

    [1] La réforme de 2010 a entraîné le triplement des droits d’inscriptions, qui sont passés de 3000 à 9000 livres (soit plus de 10 000 euros) par an pour une année en licence pour les étudiant.e.s britanniques et originaires de l’UE (disposition qui prendra fin pour ces dernier.e.s avec la mise en œuvre du Brexit). Le montant de ces droits est libre pour les étudiant.e.s hors-UE, il équivaut en général au moins au double. Il est également bien plus élevé pour les masters.

    [2] Fondé en 1994, le Russell Group est un réseau de vingt-quatre universités au Royaume-Uni censé regrouper les pôles d’excellence de la recherche et faire contrepoids à la fameuse Ivy League étatsunienne.

    https://www.contretemps.eu/universite-covid19-technologies-education

    #le_monde_d'après #enseignement #technologie #coronavirus #facs #UK #Angleterre #distanciel #enseignement_en_ligne #privatisation #edtech #educational_technology #Mariya_Ivancheva #secteur_privé #enseignement_à_distance #dématérialisation #marchandisation #austérité #précarisation #Brexit #vacation #précaires #vacataires #zero-hour_contract #externalisation #ESR #enseignement_supérieur #partenariats_public-privé #financiarisation #conditions_de_travail #Universities_Superannuation_Scheme (#USS) #fiscalité #résidences_universitaires_privées #immobilier #santé_mentale #frais_universitaires #dette #dette_étudiante #rupture_numérique #technologies_numériques #MOOC #business #Cambridge_Education_Digital (#CED) #ubérisation #Russell_Group

  • La politique d’Emmanuel #Macron a fait « nettement » augmenter les #inégalités

    Selon l’Insee, la diminution des #allocations_logement et la réforme de la #fiscalité du capital ont creusé les #écarts de niveaux de vie en 2018

    On s’en doutait, l’Insee vient de le confirmer : la #politique_fiscale d’Emmanuel Macron a creusé les inégalités. Deux études, qui viennent d’être publiées, en attestent.

    Comme chaque année à cette période, la première fait le point sur l’évolution des principaux indicateurs d’inégalités (niveaux de vie, indice de Gini, pauvreté, etc.). Ce rendez-vous statistique annuel était particulièrement attendu cette fois-ci, car il concerne l’année 2018 et permet donc d’appréhender les effets des premières #réformes mises en œuvre par #Emmanuel_Macron. Le titre de cette publication est d’ailleurs explicite : « En 2018, les inégalités de niveaux de vie augmentent ». Elles s’accroissent même « nettement » apprend-on un peu plus loin dans la publication. Fermez le ban !

    La deuxième étude, publiée mardi 8 septembre, se penche plus précisément sur l’impact des réformes de 2018 de la #fiscalité_du_capital. C’est-à-dire la suppression de l’#impôt_de_solidarité_sur_la_fortune (#ISF) et son remplacement par un #impôt_sur_la_fortune_immobilière (#IFI), ainsi que la mise en place d’une #flat_tax sur les #revenus_du_capital, également appelée #prélèvement_forfaitaire_unique de 30%, ou #PFU. Là aussi, le constat, fondé toutefois sur une modélisation et non sur des constats statistiques, est sans appel : les grands gagnants sont les 5% des Français les plus riches, qui voient leur niveau de vie annuel augmenter de plus de 1000 euros.

    Des pauvres plus pauvres

    Des riches plus riches et des pauvres plus pauvres : voilà malheureusement un bon résumé de l’évolution des niveaux de vie, tel que mesuré par l’Insee. Si l’on regarde le milieu de la distribution, il n’y a pas grand-chose à signaler. Le niveau de vie médian, celui qui partage la population en deux (une moitié vit mieux, l’autre moins bien) est de 1771 euros par mois et par personne en 2018, en progression de 0,3 % par rapport à l’année précédente. Ce faisant, « il poursuit sa lente progression depuis cinq ans ». En 10 ans, il a gagné 1 %. Cette relative stagnation est à mettre sur le compte de la crise de 2008. Avant que le système des subprime ne s’effondre, le niveau de vie médian en France augmentait à un rythme nettement plus vigoureux (+1,4 % par an en moyenne entre 1996 et 2008).

    https://www.alternatives-economiques.fr/politique-demmanuel-macron-a-nettement-augmenter-inegalite/00093802
    #macronisme #néolibérisme #richesse #pauvreté #pauvres #riches #niveau_de_vie #statistiques #chiffres
    #paywall

    • Le résultat des politiques de Macro était connu avant même qu’il ne commence à les appliquer... Publié en 2018 :

      Arnaud Parienty, LE MYTHE DE LA « THÉORIE DU RUISSELLEMENT » | Cairn.info
      https://www.cairn.info/revue-projet-2019-1-page-92.htm#

      Le débat sur le ruissellement est piégé car il porte sur « des idées ambiguës résumées dans un terme que tout le monde récuse ». Ce livre, bien construit et d’une grande limpidité, y apporte beaucoup de clarté, donnant à réfléchir au rôle de l’épargne, de l’impôt et de la fiscalité dans l’économie. Son auteur, professeur agrégé de sciences économiques et sociales, prend au sérieux la « théorie du ruissellement ». Celle-ci mérite bien des guillemets : le terme, venu des États-Unis (trickle-down effect), est avant tout polémique et ce dès son origine. Et tout le monde s’en démarque, à commencer par ceux qui en appliquent les principes ! Elle a fortement ressurgi depuis 2017, à la suite de l’élection d’Emmanuel Macron et de celle de Donald Trump. Il en existe plusieurs versions, la version forte étant celle de la « courbe de Laffer », du nom d’un économiste américain. En résumé : si on donne de l’argent aux riches à travers des réductions d’impôts, ils vont investir, cela va créer de la croissance, et ce sera bon pour tout le monde (y compris pour les pauvres). Bien plus, la croissance permettra de combler le manque à gagner pour l’État. Arnaud Parienty démontre que ceci n’a jamais été avéré, mais que, dans l’ensemble, cela se traduit par une augmentation des inégalités... Inégalités qui freinent la croissance.

  • L’échec du CICE confirmé - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/180920/l-echec-du-cice-confirme

    Outre son manque de pluralité, le dernier rapport d’évaluation du CICE confirme l’aspect médiocre en termes de résultats de cette mesure. Cet échec plaide pour un changement total de politiques de l’emploi.

    Depuis son lancement en 2013, l’efficacité du Crédit d’impôts compétitivité emploi (CICE) fait débat. Lancé sous le quinquennat Hollande, dont il marque le tournant « pro-entreprise », il a été pérennisé en 2019 par Emmanuel Macron lors de sa transformation en exonération de cotisations. Pourtant, aucun débat politique d’envergure n’a jamais été mené autour de l’évaluation de cette mesure. Or, ses effets sont très limités compte tenu des moyens engagés par l’État. Entre 2013 et 2017, 88,90 milliards d’euros ont été versés au titre du CICE aux entreprises. On devrait attendre un vrai débat démocratique face à un engagement aussi massif.

    Or, globalement, les évaluations restent non seulement incertaines et soumises au plus fort doute, mais surtout, elles ne parviennent pas à dégager un effet positif clair sur l’emploi, l’investissement et la compétitivité. Le 17 septembre, un nouveau rapport d’évaluation https://www.strategie.gouv.fr/sites/strategie.gouv.fr/files/atoms/files/fs-2020-rapport-cice2020-16septembre-final18h.pdf a été publié par France Stratégie et a confirmé ces conclusions. France Stratégie, groupe de réflexion héritier de l’ancien commissariat général au plan, directement rattaché au premier ministre, peine d’ailleurs à défendre et le CICE et la solidité des analyses qu’il publie.

    L’évaluation repose sur deux piliers. Le premier est microéconomique et cherche à identifier comment les entreprises réagissent directement au CICE. L’étude utilisée par France Stratégie a été réalisée par l’équipe dite de « Théorie et évaluation des politiques publiques (TEPP) » du CNRS. Elle confirme son analyse précédente : environ 100 000 emplois créés entre 2013 et 2016 pour 66,75 milliards d’euros d’argent public distribué. Le gain est minime et le coût astronomique : 166 875 euros par emploi et par an.

    Étrangement, la méthode défendue par un autre laboratoire, le LIEPP de Sciences-Po, n’apparaît plus dans l’évaluation. Il est vrai que ses analyses étaient beaucoup moins favorables au CICE puisqu’en 2018, il indiquait ne pas être en mesure d’identifier un effet positif de cette mesure. Lors du précédent rapport, France Stratégie avait déjà tenté de réduire la valeur de cette analyse par rapport à celle du TEPP (Mediapart avait résumé le débat dans cet article https://www.mediapart.fr/journal/france/091018/cice-une-evaluation-biaisee?onglet=full ). Le groupe d’évaluation invitait néanmoins à poursuivre les recherches. Mais cette poursuite est donc apparemment passée par l’arrêt du travail du LIEPP, ce qui confirme le caractère profondément biaisé de cette évaluation. On ne peut que s’étonner de la disparition, dans une évaluation publique, du pluralisme. Elle tend à faire croire que les résultats présentés sont « la vérité », ce qui est loin d’être le cas. Contacté, France Stratégie n’avait pas répondu à nos sollicitations sur le sujet jeudi 17 septembre. Notons néanmoins que même en choisissant soigneusement les études les plus favorables, on reste sur un résultat très mitigé.

    La deuxième méthode est macroéconomique. Elle a été réalisée par l’OFCE grâce à un modèle mathématique permettant de mesurer l’impact global sur l’économie. Les différents choix des entreprises bénéficiaires sur les salaires, l’emploi, les prix ou l’investissement ont en effet des impacts sur d’autres entreprises. Par ailleurs, le financement de cette mesure par l’État a aussi un impact macroéconomique. L’idée est de tout reprendre en utilisant une méthode contrefactuelle, autrement dit en comparant une réalité reconstituée sans CICE à une réalité avec CICE.

    Évidemment, une telle méthode doit être prise avec beaucoup de prudence, même si le modèle de l’OFCE se veut précis et moins biaisé que les modèles habituels de macroéconomie. Celui-ci repose néanmoins sur l’idée d’une possible reconstitution contrefactuelle d’une période à partir de données passées, ce qui est assez hasardeux. Par ailleurs, il repose aussi sur des choix d’hypothèses forcément contestables. France Stratégie reconnaît, au reste, ses « limites ». Ces dernières ne discréditent pas les résultats de l’évaluation, mais on aurait aimé, comme dans le domaine microéconomique, d’autres évaluations concurrentes fondées sur des hypothèses différentes.

    Le résultat présenté par l’OFCE est très optimiste. L’institut évoque 400 000 emplois créés par le CICE au niveau macroéconomique entre 2013 et 2017, sans prendre en compte les effets de son financement. Cela peut sembler beaucoup, mais il faut rappeler que sur ces cinq années ont été engagés 88,90 milliards d’euros. Cela revient donc à afficher une moyenne de création d’emplois de 80 000 emplois par an, soit un coût par emploi et par an de 44 500 euros environ. Cela représenterait un coût de 3 700 euros par mois, ce sont donc des emplois encore assez coûteux.

    Certes, il faudrait intégrer à ce coût l’effet de la croissance issue du CICE sur les recettes fiscales, ce qui en réduirait le coût réel. Mais en tout état de cause, on est dans des emplois sauvegardés et créés à des coûts proches de ce qu’aurait pu faire directement l’État. On verra que cela n’est pas neutre. Soulignons, par ailleurs, que même France Stratégie appelle à la prudence face à ses résultats qui dépassent les espérances de la Direction générale du Trésor. « Ces simulations, indicatives, souffrent de nombreuses limites », précise le rapport.

    L’OFCE a cependant proposé une autre analyse, prenant en compte les effets du financement du CICE. Ce dernier s’est fait d’abord par des hausses d’impôts, puis par une baisse des dépenses. Rappelons qu’entre 2014 et 2017, la Sécurité sociale, notamment, a été mise à rude épreuve avec un régime particulièrement sec : réduction de l’Objectif national des dépenses d’assurance-maladie, gel des salaires dans la fonction publique, réduction de l’investissement public. L’OFCE conclut qu’en net, le CICE aurait alors créé ou sauvegardé près de 160 000 emplois sur cinq ans.

    Les conclusions de l’OFCE confirment que le CICE est une méthode assez médiocre pour créer des emplois. 160 000 emplois face à une masse de 3 à 6 millions de demandeurs d’emplois, on est loin d’une solution concrète au chômage. On l’est d’autant plus que seules un quart des entreprises bénéficiaires ont créé des emplois (on ne sait pas ce qu’il est advenu de l’argent versé aux trois quarts restants) et que le seul effet identifiable concerne le secteur des services, autrement dit celui qui est le moins soumis à la concurrence internationale.

    Le deuxième « C » du CICE, celui de « compétitivité », semble avoir été un échec patent. Comme lors des précédents rapports, les évaluations sont incapables d’identifier et de quantifier un effet sur les exportations et l’investissement. Ce n’est pas un détail dans la mesure où, sans investissement, les effets du CICE restent des effets de court terme. On s’expose donc, comme dans le cas Bridgestone ou d’autres, à ce que les entreprises qui ont bénéficié de ce CICE détruisent les emplois qu’elles ont créés et même en détruisent davantage, en cas de crise.

    Et c’est bien là la vraie question que soulèvent le CICE et ses évaluations. Un effet « financé » ne veut pas dire un effet neutre. Les près de 89 milliards d’euros versés aux entreprises ont été payés par d’autres, principalement les ménages et les services publics. C’est donc là un transfert gigantesque de moyens depuis le secteur public vers le secteur privé. Or, compte tenu de l’incapacité de ce dernier à investir pour obtenir des gains de productivité permettant à l’État de « rentrer dans ses frais », la croissance économique induite par le CICE est trop faible pour aider à financer les services publics, voire à les financer davantage. C’était pourtant cela le pari du CICE, qui est aussi celui du néolibéralisme et qui est aussi une forme de « ruissellement » : l’argent transféré aux entreprises par les fenêtres devait rentrer par les caves. Cela n’a pas été le cas. Dès lors, c’est une perte sèche pour le bien commun. Comme toujours, qu’elle passe par les entreprises ou les individus, la « théorie du ruisssellement » ne se vérifie pas.

    C’est bien pour cette raison que cette mesure globalement inefficace doit amener à se poser une question simple. Les priorités de l’époque et l’évolution du capitalisme doivent-elles s’appuyer sur ce type de transfert qui ne profite que très partiellement au bien commun ? N’est-il pas temps de changer entièrement la façon d’aborder l’emploi en abandonnant l’idée que seules les entreprises créent de « bons emplois » et que, de ce fait, le chantage à l’emploi soit une des plus puissantes lois non écrites de la République ?

    L’échec du CICE ne peut qu’être un argument en faveur des projets de « garantie de l’emploi » mis en avant dans le cadre du Green New Deal aux États-Unis, où l’État (et non des entreprises) crée directement des emplois correspondant aux besoins avec des salaires décents. Plutôt que de laisser le secteur public décider des emplois qu’il crée avec l’argent public ôté aux services publics, il serait plus utile sans doute de développer ces mêmes services publics. La transition écologique et les besoins en termes de santé semblent aujourd’hui imposer un changement de stratégie. Les fermetures de sites malgré le CICE et les différentes baisses d’impôts renforcent encore cette analyse. Et c’est bien pourquoi il faut davantage qu’une évaluation souvent biaisée. Il faut un débat sur ces évaluations.

    #CICE #exonérations #fiscalité #medef #profiteurs

  • Court Approves Warrantless Surveillance Rules While Scolding F.B.I.
    https://www.nytimes.com/2020/09/05/us/politics/court-approves-warrantless-surveillance-rules-while-scolding-fbi.html?smid=

    The release of a newly declassified ruling follows a separate decision by an appeals court that a defunct National Security Agency program was illegal. WASHINGTON — The nation’s surveillance court found that the F.B.I. had committed “widespread violations” of rules intended to protect Americans’ privacy when analysts search through a repository of emails gathered without a warrant, but it nevertheless signed off on another year of the program, according to a newly declassified ruling. The (...)

    #Google #NSA #FBI #AT&T #procès #législation #écoutes #FISA #PatriotAct #PRISM #surveillance

    ##AT&T

  • Les GAFA répercutent sur leurs clients les taxes sur le numérique
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/09/04/les-gafa-repercutent-sur-leurs-clients-les-taxes-sur-le-numerique_6050928_32

    Apple, Google et Amazon ont annoncé des hausses de prix de leurs services dans plusieurs pays, dont la France, en réaction aux changements de fiscalité du numérique. Visés par de nouvelles taxes, les géants du numérique ont choisi de les répercuter sur leurs partenaires. Apple, Google et Amazon ont, ces derniers jours, annoncé des hausses des prix facturés pour certains de leurs services dans plusieurs pays, dont la France. Alors que le débat sur la fiscalité du numérique fait rage et que des Etats (...)

    #Apple #Google #Amazon #fiscalité #bénéfices #publicité

    ##fiscalité ##publicité

  • Lourd redressement fiscal pour la filiale française de Facebook
    https://www.capital.fr/entreprises-marches/lourd-redressement-fiscal-pour-la-filiale-francaise-de-facebook-1378522

    Facebook France a accepté de payer un redressement fiscal de plus de 100 millions d’euros pour ne pas avoir déclaré au fisc français les revenus générés dans l’Hexagone avant 2018. L’ardoise est douloureuse pour Facebook. La filiale française du réseau social s’est vu infliger un lourd redressement fiscal, et a finalement accepté le redressement proposé. L’addition représente une charge de 104 millions d’euros, dont 22 millions de pénalités, indiquent des documents consultés par Capital. Cela a fait tomber (...)

    #Facebook #fiscalité #bénéfices

    ##fiscalité

  • Pre-crime at the tax office : How Poland automated the fight against VAT fraud.
    https://algorithmwatch.org/en/story/poland-stir-vat-fraud

    In their fight against fraud, Polish tax authorities use STIR, an algorithm sifting through the data of millions of entrepreneurs. The government claims success, but dozens of companies have been hit, some say wrongly. “We have broken the group of VAT fraudsters”, “We have detected the artificial vegetable oil trading being a carousel fraud”, “National Revenue Administration liquidated the Asian mafia thanks to STIR”. These are just a few headlines from the last few months. They showcase the (...)

    #algorithme #fiscalité #fraude #surveillance #AlgorithmWatch

    ##fiscalité

  • RGPD : 101 entités européennes attaquées pour transfert illégal de données vers les États-Unis
    https://www.nextinpact.com/article/43380/rgpd-101-entites-europeennes-attaquees-pour-transfert-illegal-donnees-ve

    Noyb.eu dépose 101 recours auprès des autorités de contrôle. Ils visent autant d’entreprises et organismes installés en UE et dans l’Espace économique européen. En cause ? La transmission de données à Google et Facebook aux États-Unis, en contrariété avec le RGPD et une décision récente de la Cour de justice européenne. Après une recherche dans le code des sites web concernés, None of Your Business (Noyb), fondée par l’activiste Maximilien Schrems, assure que des transferts de données illégaux vers les (...)

    #Google #Facebook #[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données_(RGPD)[en]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR)[nl]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR) #données #BigData #FISA #PrivacyShield #surveillance #NOYB (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##CJUE

  • EU websites’ use of Google Analytics and Facebook Connect targeted by post-Schrems II privacy complaints
    https://techcrunch.com/2020/08/18/eu-websites-use-of-google-analytics-and-facebook-connect-targeted-by-post-schrems-ii-privacy-complaints/?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly90LmNvL2ZPOW5Eb0h3dGg_YW1wPTE&guce

    A month after Europe’s top court struck down a flagship data transfer arrangement between the EU and the US as unsafe, European privacy campaign group, noyb, has filed complaints against 101 websites with regional operators which it’s identified as still sending data to the US via Google Analytics and/or Facebook Connect integrations. Among the entities listed in its complaint are ecommerce companies, publishers & broadcasters, telcos & ISPs, banks and universities — including Airbnb (...)

    #Google #GravyAnalytics #Facebook #données #BigData #PrivacyShield #[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données_(RGPD)[en]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR)[nl]General_Data_Protection_Regulation_(GDPR) #CJUE #NOYB (...)

    ##[fr]Règlement_Général_sur_la_Protection_des_Données__RGPD_[en]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_[nl]General_Data_Protection_Regulation__GDPR_ ##FISA

  • Cahuzac, Sarkozy et la note secrète
    https://www.mediapart.fr/journal/france/160720/cahuzac-sarkozy-et-la-note-secrete

    Dans le troisième épisode de notre série « Le Squale, opérations secrètes », Mediapart révèle comment Bernard Squarcini, l’ancien chef des services secrets, a utilisé un commandant en fonction à la DCRI pour obtenir des informations compromettantes sur Jérôme Cahuzac. Avant d’en faire profiter directement l’ex-président Nicolas Sarkozy. Le ministre du budget Jérôme Cahuzac qui fraudait le fisc : l’histoire était connue. Mais l’incroyable guerre de l’ombre dont cette même affaire a été le théâtre dans les (...)

    #fiscalité #surveillance

    ##fiscalité

  • Apple : la justice met en miettes la stratégie européenne contre les intaxables
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/170720/apple-la-justice-met-en-miettes-la-strategie-europeenne-contre-les-intaxab

    En décidant d’annuler les sanctions européennes contre Apple, le tribunal de l’Union a mis à terre les maigres avancées dans la lutte contre l’évasion des multinationales. La fin du dumping fiscal au sein de l’Union s’annonce pourtant comme une question cruciale en ces temps de crise économique et sociale. En quelques jours, les maigres avancées dans la lutte contre l’évasion fiscale ont connu un coup d’arrêt brutal. Tout ce qui avait avancé, ou était débattu ces dernières années pour taxer les « (...)

    #Apple #procès #données #fiscalité #BigData #lobbying #CJUE

    ##fiscalité

  • Au service secret de LVMH
    https://www.mediapart.fr/journal/france/140720/au-service-secret-de-lvmh

    Dans le deuxième épisode de notre série « Le Squale, opérations secrètes », Mediapart révèle comment l’ancien chef des services secrets intérieurs français Bernard Squarcini a massivement utilisé la police et les renseignements étatiques au profit de LVMH. Armes, passeports, notes confidentielles de l’Élysée, enquête fiscale, procédure judiciaire... C’est toute la machine d’État qui est mobilisée à des fins privées. Dans le deuxième épisode de notre série « Le Squale, opérations secrètes », Mediapart révèle (...)

    #LVMH #passeport #fiscalité #écoutes #surveillance

    ##fiscalité

  • Baisse des impôts de production

    Comment@Marc : la nouvelle partie de bonneteau dont vous n’avez pas fini d’entendre parler.

    Les entreprises acquittent CFE et CVAE, non pas parcequ’on les rançonne, mais parcequ’elles bénéficient de toutes les aménités que l’Etat et les collectivités locales mettent à leur disposition : aménagement routier, réseaux, etc.

    La « relance » va donc consister à les exonérer de ces « odieuses » taxes, ce qui va faire perdre 20 milliards d’euros aux régions et départements. Qui vont les compenser comment ? Par l’impôt local, puisque l’Etat ne « compensera » jamais « à l’euro près »...

    On voit déjà à quoi ça va ressembler, la « relance ». Et je ne parle même pas des « aides aux entreprises », des dizaines de milliards versés sans compensation aucune aux tenants du marché et de la « concurrence ».

    https://www.leparisien.fr/economie/vers-une-baisse-des-impots-a-la-production-pour-les-entreprises-les-regio