• Migranti, i sindaci delle grandi città contro il governo: «Scelte sbagliate che ledono i diritti: non si cancelli la protezione speciale»

    I sindaci delle maggiori città italiane (di centrosinistra) di nuovo contro il governo Meloni. Oggetto della discussione, ma anche (e soprattutto) di preoccupazione: la gestione dell’immigrazione, in particolare, il sistema di accoglienza e la cancellazione della protezione speciale per i migranti. «Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia», si legge in un documento congiunto sul decreto Cutro che porta le firme dei sindaci di #Roma, #Roberto_Gualtieri, di #Milano #Beppe_Sala, di #Napoli #Gaetano_Manfredi, di #Torino #Stefano_Lorusso, di #Bologna, #Matteo_Lepore e di #Firenze, #Dario_Nardella. «La preoccupazione delle città – si legge nel documento – è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni». Secondo il fronte dei sindaci dem, l’esecutivo non deve «ragionare in ottima emergenziale: è sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sai, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità».

    «No alla cancellazione della #protezione_speciale»

    Sala, Gualtieri, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella non condividono la cancellazione della protezione speciale, confermata anche ieri, sabato 15 aprile, dalla stessa premier Meloni durante il suo viaggio in Etiopia. Per i sindaci delle maggiori città si tratta, infatti, di «una misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità», si legge nel documento congiunto. Tutto questo – scrivono i primi cittadini – «mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città», prosegue il documento dei sindaci.

    «Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero “vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi», prosegue il documento.

    Le proposte

    Dopo questa lunga premessa, i sindaci dem hanno poi avanzato delle proposte sul tema. «1. Sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del Sai, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti», scrivono. «2. Il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati». I primi cittadini chiedono poi che i Cas, ovvero i centri di accoglienza straordinari, vengano trasformati «in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il Sai».

    Al punto 4, i sei amministratori chiedono inoltre che «vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato. In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca». Infine, «ci auspichiamo – continuano – che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale. Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese», concludono i sindaci.

    https://www.open.online/2023/04/16/immigrazione-sindaci-grandi-citta-vs-governo-meloni

    #Italie #villes-refuge #decreto_Cutro #villes #Naples #Turin #Milan #Rome #Florence #Bologne #résistance #protection_spéciale

  • « Étienne Jodelle, Comme un qui s’est perdu dans la forêt profonde », par Tristan Hordé https://www.sitaudis.fr/Parutions/etienne-jodelle-comme-un-qui-s-est-perdu-dans-la-foret-profonde-1674367474.

    Quand on évoque les #poètes de la Pléiade, les noms de #Ronsard et de #du_Bellay surgissent immédiatement, leurs œuvres sont aisément accessibles et qui est allé un peu au lycée reconnaît quelques vers des Regrets et le prénom d’une muse des Amours. Les œuvres des autres membres de la Pléiade sont presque toutes oubliées, on a longtemps appris à réciter à l’école le poème de #Rémi_Belleau « Avril, l’honneur des bois / et des mois (…) », mais qui lit encore, parmi d’autres, #Pontus_de_Tyard, Jean-Antoine de Baïf ou Étienne Jodelle ? […]

    #littérature #poésie #renaissance #curious_about #Étienne_Jodelle #Florence_Delay

  • Postcolonial Italy – Mapping Colonial Heritage
    https://postcolonialitaly.com

    Even though the period of Italian colonial rule is long gone, its material traces hide almost everywhere. Explore cities, their streets, squares, monuments, and find out more about their forgotten connections to colonial history.

    BOLZANO IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/bolzano-imperiale

    CAGLIARI IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/cagliari-imperiale

    FIRENZE IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/firenze-imperiale

    ROMA IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/roma-imperiale

    TORINO IMPERIALE https://postcolonialitaly.com/torino-imperiale

    TRIESTE IMPERIALE

    VENEZIA IMPERIALE
    Postcolonial Italy

    Mapping Colonial Heritage
    Contact

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    #postcolonial #Florence #Turin #Venise #Rome #Cagliari #colonial #visite_guidee #balade_décoloniale #Italie

  • Postcolonial Italy. Mapping Colonial Heritage

    Even though the period of Italian colonial rule is long gone, its material traces hide almost everywhere. Explore cities, their streets, squares, monuments, and find out more about their forgotten connections to colonial history.

    https://postcolonialitaly.com

    Exemple, Turin :

    #Cagliari #Bolzano #Florence #Firenze #Roma #Rome #Turin #Torino #Trieste #Venise #Venezia #cartographie #héritage #colonialisme #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces #villes #cartographie_participative
    #TRUST #Master_TRUST

    ping @cede @postcolonial

    –---

    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Florence Nightingale, la première des infirmières - Regarder le documentaire complet | ARTE
    https://www.arte.tv/fr/videos/103502-000-A/florence-nightingale-la-premiere-des-infirmieres
    https://api-cdn.arte.tv/api/mami/v1/program/fr/103502-000-A/1920x1080?ts=1345845600&type=TEXT&watermark=true

    pas encore vu

    Véritable icône de l’histoire britannique, #Florence_Nightingale (1820-1910) posa les bases du métier d’infirmière moderne. Un bel hommage à une pionnière dont l’intégrité, l’altruisme et le zèle forcent l’admiration.

  • « Ginette » : La première BD pornographique de Florence Cestac
    https://www.franceinter.fr/emissions/bulles-de-bd/bulles-de-bd-du-mercredi-12-janvier-2022


    https://media.radiofrance-podcast.net/podcast09/15449-12.01.2022-ITEMA_22897353-2022F24492S0012-22.mp3

    Florence Cestac vous cueille dès la première planche. Ce sera du cul. Parfois, elle usera de la métaphore à la Audiard : « Elle en a déroulé du câble la Ginette ! » Souvent, elle dira les choses à coup de : « Bite, chatte, nichons etc... » La Ginette qui se présente à vous, a pris quelques rondeurs avec l’âge. Rien à voir avec la flamboyante de la couverture et sa longue chevelure blonde. Mais elle porte toujours un peignoir léopard et quand elle fume, c’est toujours avec un porte cigarettes. Ginette, c’est la vieille prostituée qui n’a jamais été sous la coupe de personne. Ni proxo, ni maquereaux, ni Madame Claude. Elle avait le commissaire Léon Chinchard pour la protéger des tordus et des bavards.

    https://www.dailymotion.com/video/x870l2l

    La parution de la #bande_dessinée « Ginette » par #Florence_Cestac est l’occasion d’inaugurer un nouveau rendez-vous trimestriel en vidéo : une visite d’atelier d’auteurs de BD. Dans ce premier épisode, Florence Cestac évoque le lieu dédié à son travail dans lequel elle a succédé à Enki Bilal. Elle ne s’y rend qu’après être allée prendre un café au bar, et avoir écouté le bruit du monde. L’atelier lui apporte toute la lumière nécessaire à son dessin.

  • Dr #Juliet_Henderson on ’Decolonising #Florence_Park Street Names’

    Florence Park: Imperial Relic or Vibrant Community?

    A few of us in Florence Park are keenly aware of those local street names bearing the names of military men with brutal histories in the British colonies, who worked for the #East_India_Company. With the goal of ‘decolonising’ our area we have started work on a project intended to a) raise awareness about the colonial histories these names incarnate and b) contrast it with the real, vibrant history of our local community which dates back to the 1930s. As a first step to achieving this we plan to place local history community boards in different streets that present the contrasting historical perspectives. We hope this will prompt engagement from the wider community in ongoing plans.

    https://oxfordandempire.web.ox.ac.uk/dr-juliet-henderson-decolonising-florence-park-street-name
    #toponymie #toponymie_politique #UK #Angleterre #noms_de_rue #colonialisme #colonisation #décolonial
    #son #podcast

    ping @cede

    • What’s in a Street Name?

      I recently had a weekend away in a village near Bath, Freshford, where street names are engagingly straightforward: The Hill, Station Road, Church Lane. A pleasing Bauhaus balance between form and function (or location). They contrast starkly with certain street names in Florence Park, the area of Oxford where I live. The same neat letters on rectangles distinguishing one road from another, but far more complex histories leaking out from the uppercase letters.

      For example, Campbell Road, Lytton Road, Cornwallis Road, Clive Road. Ring any bells? The men with these names were all employees of the East India Company, a private company that stripped India of its assets and was the world’s largest opium trader. The men were also key players in British rule in India – a rule that produced 35 million deaths from war and famine.

      How and why their names came to be used for our estate (built in the 1930s) is difficult to ascertain with any accuracy. What matters for this piece is that last year four members of our Florence Park Black Lives Matter protest group were prompted to bear witness to the colonial history and cruelty the names represented. We sought to generate awareness of the colonial history embedded in these names by contrasting that history with the real, ongoing local history and voices of our area.

      This approach was chosen because we felt that trying to change the street names could upset many who have lived in the area for years.

      To date, we have produced a 5-minute podcast for OxEmp (Oxford and Empire Network), ‘Decolonising Florence Park Street Names’, and have erected some posterboards in relevant streets (see picture). In these first steps to move ‘our homes’ away from the crack of the slave-master’s whip and a predetermined hierarchy that places ‘great white men’ at the centre of history, we have been met with smiles and appreciation from those in our diverse community who stop to take the time to read the boards. Many reach out to share their thoughts and stories if we’re in our front gardens to chat, and some come to knock on our doors to find us. A conversation is beginning.

      https://brooksidepress.org/quaker/wp-content/uploads/2021/05/Screen-Shot-2021-05-30-at-12.30.46-PM-1024x785.png

      To continue this, we plan to produce leaflets and more boards challenging the idea our community accepts the harmful legacies of colonialism.

      We also plan to organise ongoing events that consider the part colonialism still plays in wider society and local communities, and how we can address this.

      ‘What’s in a name? That which we call a street by any other name would smell more sweet’. With apologies to the Bard.

      https://brooksidepress.org/quaker/june-2021/whats-in-a-street-name

  • Florence Cestac, une vie en bande dessinée – série de podcasts à écouter – France Culture
    https://www.franceculture.fr/emissions/serie/florence-cestac-une-vie-en-bande-dessinee

    Florence Cestac est l’une des pionnières françaises du 9ème art. Enfant du baby-boom, elle commence à dessiner très jeune avant d’être admise aux Beaux-Arts de Rouen puis aux Arts Déco de Paris. Autrice au style immédiatement reconnaissable, référencée humour, #Florence_Cestac est un cas à part dans l’univers très masculin de la #bande_dessinée où elle a quasiment tout expérimenté : éditrice, attachée de presse, maquettiste, traductrice, nounou d’auteurs, elle fut aussi l’une des collaboratrices régulières de l’Écho des Savanes, Charlie Mensuel ou Pilote...

  • #SalePute

    Loin d’être un phénomène isolé, le #cyberharcèlement touche en majorité les #femmes. Une enquête édifiante sur ce déferlement de #haine virtuelle, aux conséquences bien réelles. Avec le #témoignage d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, et de spécialistes de la question, qui en décryptent les dimensions sociologiques, juridiques et sociétales.

    Les femmes sont vingt-sept fois plus susceptibles que les hommes d’être harcelées via #Internet et les #réseaux_sociaux. Ce constat, dressé par l’European Women’s Lobby en 2017, prouve que les #cyberviolences envers les femmes ne sont pas une addition d’actes isolés, mais un fléau systémique. Plusieurs études sociologiques ont montré qu’il était, en majorité, le fait d’hommes, qui, contrairement aux idées reçues, appartiendraient à des milieux plutôt socio-économiques plutôt favorisés. Se sentant protégés par le caractère virtuel de leurs actions, les auteurs de ces violences s’organisent et mènent parfois des « #raids_numériques », ou #harcèlement_en_meute, aux conséquences, à la fois personnelles et professionnelles, terribles pour les victimes. Celles-ci, lorsqu’elles portent plainte, n’obtiennent que rarement #justice puisqu’elles font face à une administration peu formée sur le sujet, à une législation inadaptée et à une jurisprudence quasi inexistante. Les plates-formes numériques, quant à elles, sont encore très peu régulées et luttent insuffisamment contre le harcèlement. Pour Anna-Lena von Hodenberg, directrice d’une association allemande d’aide aux victimes de cyberharcèlement, le phénomène est une menace directe à la #démocratie : « Si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se fassent écarter de cet #espace_public [Internet, NDLR] et disparaissent, alors nous n’aurons plus de #débat_démocratique, il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort ».

    Acharnement haineux
    #Florence_Hainaut et #Myriam_Leroy, deux journalistes belges cyberharcelées, recueillent les témoignages d’une dizaine de femmes, de tous profils et de tous pays, (dont la chroniqueuse de 28 minutes #Nadia_Daam, l’humoriste #Florence_Mendez ou encore l’auteure #Pauline_Harmange), elles aussi insultées et menacées sur le Net. En partant des messages malveillants reçus par ces dernières, le duo de réalisatrices enquête sur la prolifération de la haine en ligne auprès de différents spécialistes de la question, qui décryptent les aspects sociologiques, juridiques ou encore sociétaux du cyberharcèlement.

    https://www.arte.tv/fr/videos/098404-000-A/salepute

    –-> déjà signalé sur seenthis (https://seenthis.net/messages/919957 et https://seenthis.net/messages/920100), mais je voulais y ajouter des mots-clé et citations...

    #Renaud_Maes, sociologue (à partir de la min 16’30)

    « Généralement c’est plutôt des hommes qui agressent sur internet et c’est plutôt des gens qui viennent de milieux socio-économiques plus favorisés (...), des gens qui viennent de la classe moyenne, voire de la classe moyenne supérieure. Cela permet de révéler quelque chose qu’on croit relativement absent : il existe une violence structurelle dans nos société, il existe une domination structurelle et on s’en est pas débarrassés. Clairement, encore aujourd’hui, c’est pas facile d’être un homosexuel, c’est pas facile d’être une femme, c’est pas facile d’être une personne racisée, c’est encore moins facile si on commence à avoir plusieurs attributs au même temps. C’est quelque chose qui parfait ne transparaît pas dans le monde social, parce qu’on a plus de self-control. Avec internet on voit bien que le problème est bien là et que dès qu’on a eu l’occasion d’enlever un peu de #contrôle_social, d’avoir, ne fut-ce que l’illusion, car ce n’est pas forcément vrai, moins de conséquences immédiatement les choses sont mises à nu. Et on voit qu’il y a de la violence, il y a du #rejet des personnes homosexuelles, il y a de la misogynie, il y a du racisme. »

    #Ketsia_Mutombo, co-fondatrice du collectif « Féministes contre le harcèlement » (à partir de la min 22’30) :

    « On est encore dans des sociétés où la parole publique ou l’espace public n’est pas fait pour les femmes, n’est pas fait pour les groupes minorés. On est pensé comme des personnes qui doivent rester dans l’espace domestique, s’acquitter du travail domestique, familial, relationnel, mais ne pas prendre la place. »

    #Laurence_Rosier, linguiste (à partir de la min 22’45) :

    "Les femmes qui s’expriment, elles s’expriment dans la place publique. (...) Et à partir du moment où ’elles l’ouvrent’, elles se mettent en #danger parce qu’elles vont en général tenir une parole qui n’est pas la parole nécessairement attendue. C’est quoi une parole attendue depuis des lustres ? C’est que la femme au départ elle doit respecter les #convenances, donc elle doit être polie, c’est elle qui fait l’éducation à la politesse des enfants, elle doit être mesurée, en retenue, pas violente. Et dès qu’elle adopte un ton qui n’est pas celui-là, qui est véhément, qui est agressif, qui est trivial, sexuel... et bien, on va lui faire sentir que justement elle sort des codes établis et elle va être punie

    #Lauren_Bastide (à partir de la minute 22’18) :

    « Je trouve que le cyberhacèlement a beaucoup de résonance avec le #viol et la #culture_du_viol, qu’il y a ce continuum de la simple interpellation dans la rue au viol. Pour moi c’est pareil, il y a le petit mot écrit, le petit commentaire un peu haineux sous ta photo et puis le raid qui fout ta vie par terre. Il y a cette espèce de #tolérance de la société pour ça... ’c’est le tarif en fait... il ne fallait pas sortir la nuit, il ne fallait pas te mettre en jupe’. ’Bhein, oui, c’est le tarif, t’avais qu’à pas avoir d’opinion politique, t’avais qu’à pas avoir un métier visible. Les conséquences qu’il peut y avoir c’est que les femmes sont moins prêtes à parler, c’est plus difficile pour elles. Prendre la parole dans l’espace public quand on est une femme c’est l’#enfer. Il faut vraiment être très blindée, très sure de soi pour avoir la force d’y aller. Surtout quand on va exprimer une opinion politique »

    #Anna-Lena_von_Hodenberg, Hate aid (à partir de la minute 33’48) :

    « Nous devons réaliser qu’internet c’est l’espace public au même titre que la vie physique. »

    #Emma_Jane, autrice du livre Misogyny Online (à partir de la minute 35’30), en se référant au fait que le sujet n’est pas vraiment traité sérieusement...

    "La plupart des politiciens sont de vieux hommes blancs, ils ne reçoivent pas d’insulte raciste, ils ne reçoivent pas d’insultes sexistes, ils n’ont pas grandi avec internet.

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 39’20) :

    « Ce qui est choquant ce n’est pas seulement la haine dont j’ai été la cible, mais le fait que beaucoup de femmes sont visées par ce type de violence sexualisée. (...) On se sent personnellement visé, mais il s’agit d’un problème systémique, c’est caractéristique de l’extrême droite qui ne supporte pas que les femmes soient autre chose que des femmes au foyer et qu’elles jouent un rôle actif dans la société. (...) Il ne s’agissait pas d’une phrase, mais de milliers de messages qui ne disparaîtraient jamais. Pour toutes ces raisons j’ai porté plainte. Et j’ai été stupéfaite quand la réponse, se basant selon moi sur une mauvaise interprétation de la jurisprudence a été qu’en tant que femme politique je devais accepter ce genre de messages. (...) ’Détritus de chatte’, pour les juges en Allemagne, c’était de la liberté d’expression’. »

    #Laurence_Rosier (à partir de la minute 41’35) :

    « La liberté d’expression est invoquée aujourd’hui, pas dans tous les cas, mais dans beaucoup de cas, pour justifier des discours de haine. Et les discours de haine c’est pas soudain que la haine sort, c’est parce que ça a été permis et favorisé par ’oh, une petite blague sexiste, une petite tape sur l’épaule, un petit mot d’abord gentil’ et que progressivement on libère le niveau du caniveau. »

    #Florence_Mendez, humoriste (à partir de la minute 43’01) :

    « Le sexisme que même pour moi était acceptable avant, parce qu’on a toutes nagé dans cette mer en ce disant ’ça va, l’eau n’est pas si salée, je peux en boire encore un peu !’... On a toutes laissé passé ça. Et maintenant il y a des choses qui sont juste insupportables. (...) Je ne laisse plus rien passer du tout, rien passer du tout dans ma vie de tous les jours. »

    #Renate_Künast, députée écologiste allemande (à partir de la minute 43’25) :

    « ça me rappelle ce slogan des mouvements féministes des années 1970 : ’Le pouvoir des hommes est la patience des femmes’. Il faut juste qu’on arrête d’être patientes. »

    Anna-Lena von Hodenberg (à partir de la minute 47’32) :

    « Si on laisse courir les choses, sans régulation, sans poursuites judiciaires, si en tant que société on continue à rester des témoins passifs, alors ça aura des conséquences massives sur nos démocraties. Nous voyons déjà maintenant aux Etats-Unis : la polarisation. Nous l’avons vu en Grande-Bretagne pendant le Brexit. Et ça, c’est juste un avant-goût. Le net est l’espace public le plus important que nous avons, si nous continuons de tolérer que beaucoup de voix se font écarter de cet espace public, qu’elles disparaissent, alors nous n’avons plus de débat démocratique, alors il ne restera plus que les gens qui crient le plus fort et par conséquent, dans le débat public, régnera la loi du plus fort. Et ça, dans nos cultures démocratiques, nous ne pouvons pas l’accepter. »

    Voix off (à partir de la minute 52’40) :

    « ’Fermer sa gueule’, c’est déserter les réseaux, c’est changer de métier, adopter un ton très polissé, c’est refuser des opportunités quand elles sont trop exposées. Et serrer les dents quand on est attaqué, ne surtout pas donner l’impression de se plaindre. »

    #Florence_Mendez (à partir de la minute 53’40) :

    «C’est la fin de la tranquillité.»

    #fait_de_société #cyber-harcèlement #menaces #santé_mentale #violence_structurelle #domination_structurelle #misogynie #racisme #sexisme #intersectionnalité #insulte #espace_numérique #punition #code_établi #plainte #impunité #extrême_droite #fachosphère #liberté_d'expression #polarisation #démocratie #invisibilisation #silenciation #principe_de_la_nasse #nasse
    #documentaire #film_documentaire

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  • Dans les Cévennes, sur les traces de la femme des bois
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/04/30/dans-les-cevennes-sur-les-traces-de-la-femme-des-bois_6078578_3224.html

    L’affaire agite toute une vallée cévenole où des hippies s’étaient installés après 1968. Depuis presque douze ans, une trentenaire connue de tous vit seule dans les montagnes ou en squattant parfois certaines maisons. Faut-il y voir uniquement un cas psychiatrique ou le stade ultime de la « liberté » tant recherchée après Mai 68 ?

    #Florence_Aubenas #Cévennes #anachorète #paywall #femme_des_bois

    • Sur la route départementale, le sentier démarre juste dans un tournant. Là, il faut abandonner la voiture. Un muret éboulé, la rivière, trois planches mangées de mousse qui esquissent un pont, et c’est déjà la forêt. On peut continuer à flanc de montagne sans remarquer, à quelques pas du chemin, une bâtisse pas plus grande qu’une cabane, quatre murs nus en pierres sèches qui s’accoudent au rocher. Dans cette vallée des Cévennes, elle est longtemps restée à l’abandon au milieu des châtaigniers et des genêts.

      En la voyant, Maud s’est enthousiasmée. Ici, elle pourrait venir s’échapper quelques jours par semaine. Elle ferait pousser des plantes aromatiques et médicinales. Ce serait un abri pour sa fille – sait-on jamais – une enfant de 8 ans. Sur son dos, elle a monté un matelas, un poêle, un baquet pour l’eau, quelques outils. La voilà au paradis. On est en 2017.

      Assez vite, Maud a remarqué que du feu avait été fait en son absence. Sa chaise était cassée, ses bougies presque fondues. Puis des objets ont commencé à disparaître, cette grande cape, par exemple, qu’elle aimait tant. Un hiver, elle a découvert l’empreinte de deux pieds nus dans la neige. Pas de doute, quelqu’un visite son « paradis ».

      Même quête d’apaisement

      Les gardes du parc national des Cévennes ne se sont pas étonnés. Maud ne savait-elle pas que la forêt était habitée ? Une jeune femme y mène une vie sauvage et solitaire depuis une dizaine d’années. De loin, un chasseur l’a suivie une fois. Il l’a hélée, mais elle a détalé droit devant, face à la pente, impossible à rattraper. Avant que Maud n’achète le « paradis », la Visiteuse le tenait pour son domaine, une de ses cachettes dans les bois.

      Maud ne s’est pas inquiétée au début, loin de là. Elle a eu l’impression de comprendre la Visiteuse. Au fond, elles se ressemblent, n’est-ce pas ? Même âge, 35 ans, ou à peu près. Même quête d’apaisement. Même amour de la nature, y compris les toutes petites bêtes. Ce serait une autre elle-même, en somme, mais plus libre, qui aurait osé s’affranchir de la société et de ses lois. Pour ne pas brusquer la Visiteuse, Maud a reculé son projet de plantation, puis raccroché au nez des gendarmes en quête de renseignements.

      À certains dîners, on se le promet : on ne parle pas d’elle ce soir. Mais les conversations finissent toujours par l’évoquer. Chez qui est-elle entrée ? Qu’a-t-elle pris ?
      Il y a quelques semaines, Maud a trouvé les jouets de sa fille saccagés autour du « paradis ». Des affaires avaient été brûlées, « un carnage » , d’après elle. La nuit, des pas sur le toit l’ont réveillée, un piétinement interminable et fiévreux, presque menaçant, lui a-t-il semblé. Maud a attendu l’aube. Alors, face aux crêtes, dans un soleil tigré par les branches de châtaigniers, elle a hurlé : « Mais qu’est-ce que tu veux ? De quoi tu te venges ? » Quelque part, invisibles, les yeux de la Visiteuse l’observaient, elle en est sûre.

      Ça fait longtemps que la Visiteuse occupe les esprits dans ce coin perché des Cévennes, quatre villages, quelques hameaux, un millier d’habitants l’hiver. A certains dîners, on se le promet entre amis : on ne parle pas d’elle ce soir. Mais les conversations finissent toujours par l’évoquer. Qui l’a aperçue ? Chez qui est-elle entrée ? Qu’a-t-elle fait ? Qu’a-t-elle pris ? Ailleurs, elle n’aurait sans doute pas survécu, la faim, les hivers interminables ou, plus probablement encore, un coup de fusil. Mais on est au cœur de la mythique « vallée des hippies », le surnom date de l’après-Mai 68, au temps de leur arrivée.

      « La marginale des marginaux »

      Ici, la montagne ne plaisante pas, elle a ses gueules. Beaucoup sont repartis depuis, d’autres en revanche se sont enracinés – entrepreneur, enseignant, paysan ou élu local. Un demi-siècle plus tard, ils représentent près de 50 % de la population dans certains coins. Longtemps, la Visiteuse est restée leur histoire, un secret protégé. Mais ces deux dernières années, une quarantaine de plaintes ont été déposées contre elle. « Elle est devenue la marginale des marginaux. Dans cent ans, elle sera une légende », raconte un gendarme. De son côté, Michèle Manoa, élue verte au département, est une des seules à accepter de parler à visage découvert : « L’histoire est presque devenue un cas de conscience pour nous tous. »

      Tout à l’heure, comme chaque jour, la mère de la Visiteuse fera le tour de ses endroits cachés, en appelant son nom. L’apercevra-t-elle seulement ? Des mois peuvent passer sans un signe
      Près de la rivière, la mère de la Visiteuse coupe du bois dans la courette derrière chez elle, un appartement loué par une mairie, où elle vit seule maintenant. Haute silhouette austère, cheveux gris noués, 67 ans : on la montre du doigt et elle le sait. Tout à l’heure, comme chaque jour, elle grimpera sur des sentiers connus d’elle seule et de sa fille. Elle fera le tour de ses endroits cachés, en appelant son nom. L’apercevra-t-elle seulement ? Des mois peuvent passer sans un signe.

      Dans le creux d’un arbre, elle finira par laisser des fruits secs, de la charcuterie, quelques conserves et aujourd’hui du sauté de veau, que les bêtes dévoreront peut-être. Sa fille n’a jamais voulu du couteau, de la lampe frontale ou du nécessaire à couture qu’elle s’était ingéniée à lui porter. Elle ne garde rien. Seule une chose l’avait charmée : un livre de Charles Baudelaire, Les Paradis artificiels. C’était il y a longtemps, douze ans déjà, tout au début de sa fuite dans la forêt. Juste après, la mère avait réussi à lui voler un baiser sur la joue. Maintenant, sa fille ne se laisse pas approcher à moins de dix mètres, même par elle, son dernier contact avec les humains. Elle ne parle presque plus.

      Dans les Cévennes des Gardons, la mère est arrivée en moto dans les années 1970, c’est ce dont on se souvient en tout cas. Elle circulait avec une amie, l’une n’allant pas sans l’autre, avec leur beauté pour bagage. Les photographes adoraient les faire poser, toutes les deux très brunes, « flashantes ». Dans cette vallée, la plus escarpée de toutes, quelques communautés – plusieurs centaines de personnes – commencent alors à reconstruire des ruines, pierre à pierre, des fermes isolées au bout de chemins vertigineux, dispersées dans les replis de la montagne en fonction du bien le plus précieux : les sources.

      Là-haut, quelques Cévenols ont résisté à l’exode rural, presque tous célibataires et paraissant taillés pour s’entendre avec cette jeunesse tombée des barricades : le vieux Denis qui change religieusement la ficelle de son pantalon pour aller au marché ou Lucien, dont la cuisine s’orne d’une plaque gravée : « Tout ce qui est mécanique est satanique. » Dans la vallée, chaque maison a ses rituels, théâtre, cinéma, philosophie, celle des grandes fêtes déguisées ou cette autre où l’on danse. Tout se partage alors, les travaux, les tablées, les couples, un genre de forteresse libertaire, enserrée par le cercle étroit et sauvage des crêtes.

      La « vallée des culs-nus »

      D’où venait la mère ? En rupture familiale, comme tout le monde ou presque. Des hippies étaient passés dans son village, en Picardie, elle était partie avec eux. Son entraîneur d’athlétisme avait tenté de la retenir : elle avait l’étoffe d’une championne. La mère s’en foutait. Tous ou presque vivaient de la même manière alors, un peu d’agriculture, un troupeau, les saisons dans les restaurants ou les chantiers. L’épicier du village effaçait les ardoises en échange de champignons ou de châtaignes. Quand les finances plongeaient, quelqu’un montait se refaire en ville. C’était facile, ces années-là. En général, la mère refusait les services à qui la sollicitait. « C’est ma liberté », elle disait, et le mot balayait tout, magnifique et terrible. Les biens, l’argent ne l’intéressaient pas. Pendant les vacances, des touristes s’aventuraient sur les crêtes, ils voulaient voir la « vallée des culs-nus », la curiosité locale.

      La mère avait accouché d’un premier fils en 1977 dans une pièce en terre battue, sans électricité. Plusieurs revendiquaient en être le père. Un jour, elle l’avait laissé à l’un d’entre eux pour partir en vadrouille avec un surfeur, puis un baroudeur espagnol. Elle pouvait tout larguer d’un moment à l’autre, sans s’embarrasser des choses ni des gens. C’est avec l’Espagnol qu’elle avait un autre fils, puis sa fille, en 1985. Ils avaient vécu près de Madrid et aux Canaries. « Elle devait être très amoureuse, on était tous très amoureux les uns des autres à l’époque », témoigne un entrepreneur.

      La mère avait fini par revenir dans les Cévennes, sans l’homme, mais avec les petits. Ici, elle savait qu’elle pourrait s’en tirer. Les gamins de la vallée s’élevaient ensemble, enfance vagabonde sur les chemins de montagne, poussant les portes toujours ouvertes, mangeant ce qu’il y avait. Les écoles de village n’avaient jamais connu de gosses pareils, capables de monter des spectacles, animer leur propre émission à la radio locale ou discuter avec d’impressionnants intellectuels. Une photo de ces années-là montre une adolescente souriante, assise sur un muret, cheveux noirs, belle comme sa mère : la future Visiteuse.

      « C’était ses meilleures années, elle s’habillait encore en coloré », commente aujourd’hui son grand frère. Les enseignants se souviennent d’elle, intelligente, un peu en retrait. C’était juste avant le suicide de sa meilleure amie. Après, elle se rase la tête, s’habille de sombre, abandonne le collège. « Pas facile de remettre les choses en ordre dans cette histoire » , soupire un éleveur. Mais, avec le recul, il n’a aucun doute : c’était sûrement le premier présage avant la forêt.

      Ce printemps-là, le restaurateur du village a vu la jeune fille prendre la route, chevauchant une jument noire, la mère marchant à ses côtés. « Ça va lui changer les idées », dit-elle. Toutes les deux font les vendanges, la récolte des fruits, se parlant à peine, sauf pour l’essentiel. La fille réclame son père, finit par le rejoindre à Saint-Domingue ou à La Réunion, partout où il circule. Dans le sud de l’Espagne, il ouvre un restaurant sur la plage.

      Que s’est-il passé là-bas pendant une fête, en 2007. A-t-elle été droguée ? Violée ? Des rencontres néfastes ? Ce ne sont que des hypothèses. Ceux de la vallée ont essayé de comprendre, quand ils l’ont vue revenir en panique dans les Cévennes, l’œil barré d’un bandeau noir. Blessée ?, lui demande un ami. « Non, je ne veux plus voir que la moitié du monde. » Jamais elle n’en dira plus. Deuxième présage, après le suicide de son amie. Elle a 22 ans. Les gens s’écartent, troublés. Gravement, de l’aide lui est proposée, avec les mots d’ici : « Qu’est-ce qui te rendrait heureuse ? » Et elle derrière son bandeau : « Savoir ce qu’il y a dans la tête des gens. »

      Surnommée « le fantôme »

      Certes, les communautés se sont dissoutes avec les années, chacun s’est recentré chez soi. Mais aujourd’hui encore la vallée mythique a gardé ses couleurs, sa méfiance face aux gendarmes, à certaines institutions, aux hôpitaux psychiatriques. Ça rigole autour de la table : « Ici, on n’a jamais été adapté au monde : on est nombreux, ensemble, à ne pas être normaux. » On partage une tisane au miel, quelques légumes arrachés au schiste, dans des potagers suspendus au-dessus du vide.

      D’une maison à l’autre, chacun se souvient avoir accueilli la jeune femme au bandeau à son retour d’Espagne. On lui demande de participer aux tâches. C’est non. Elle quitte la pièce quand un autre y entre. Parfois, quelqu’un sursaute à la cuisine ou au jardin : ça fait des heures qu’elle se tenait dans l’ombre, à l’épier en silence. Souvent, elle dort le jour, se lève la nuit pour terminer les restes. Son surnom : « le fantôme ».

      Quel jour exactement s’est-elle enfuie dans la montagne ? On ne sait plus. Ça s’est passé l’hiver 2009, raconte son grand frère, pendant une de ces tempêtes traversée d’éclairs et de rivières en crue, comme en connaît la région. En pleine nuit, coup de téléphone d’un voisin : sa sœur vient d’être retrouvée sur la route des Crêtes, au bord de la départementale. C’est sa nouvelle manie, marcher le long des routes, faire du stop sans but précis, puis s’allonger en travers de la chaussée. Sentir la chaleur du goudron sous son corps. S’endormir là, à côté d’un pylône. Elle se sent bien. Les automobilistes s’arrêtent en catastrophe. « Tu veux mourir ou quoi ? » Elle a déjà filé.

      Cette nuit-là, le grand frère l’aperçoit sur le bas-côté. Elle lui demande de retourner dans une des maisons de la vallée. Lui le sait bien : là-haut, plus personne ne la supporte. Il pense à une copine qui travaille en psychiatrie à Mende, à une heure de route. Pas question d’une unité de choc avec des sangles et des piqûres, mais elle pourrait les conseiller. Il lance : « On va aller à l’hôpital, je resterai avec toi. » Pas de réponse. Lui aussi s’effraie. « Si je l’avais emmenée, tout le monde me serait tombé dessus à ce moment-là, y compris ma mère » , raconte-t-il aujourd’hui.

      Une formation de traducteur, la quarantaine, le grand frère vit maintenant à Paris. Il n’a jamais étudié deux ans de suite dans le même établissement scolaire. « On ne peut pas dire que nous avons été une famille modèle. » Une question ne cesse de le hanter : « Est-ce que j’ai eu tort ? Quelque part, les conneries de ma sœur me dérangeaient. Je n’ai pas assumé, je m’en veux. » Il la voit ouvrir la portière et disparaître dans le noir, comme emportée dans la tempête.

      Les jours suivants, la mère la retrouve, la supplie de s’enfuir, affolée, perdue, criant à sa fille qu’on veut l’interner en psychiatrie, que les gendarmes sont à ses trousses. De leur côté, quelques-uns, comme la conseillère Michèle Manoa, pensent qu’il faudrait alors tenter des soins. Mais c’est fini. La fille est montée déjà dans les bois.

      « Ceci est pour toi »

      Au début, personne ne s’en rend compte. Pourtant, elle ne sait pas braconner, ni pêcher la truite à mains nues ou reconnaître les baies comestibles. La ronde de son enfance devient son terrain de chasse, les lieux familiers des amis, aux portes toujours ouvertes. A l’aube ou à la pleine lune, elle se faufile comme un chat dans les cuisines, soucieuse de ne rien déranger, effaçant ses traces. Elle évite les fermes trop proches des villages et de la route, celles avec des chiens ou des inconnus qui pourraient la dénoncer.

      A force de voir les provisions se volatiliser, un petit groupe finit par comprendre. La Visiteuse ne déplaît pas, au début. Elle intéresse, sa fuite suscite même une certaine admiration chez ceux de la vallée. Ils y lisent une rébellion contre l’enfermement, un acte de liberté. « Elle est mieux là qu’à l’asile, non ? » « C’est son choix. » « Elle a le droit de vivre comme ça. » Certains lui laissent des paniers dans la montagne, d’autres posent des mets sur la table, avec un mot : « Ceci est pour toi. » Elle se méfie. Réponse sans faute d’orthographe : « Est-ce que vous avez mis de la drogue dedans ? »

      A force, ils connaissent ses préférences, des goûts de petite gosse, les boîtes de thon mais pas le foie de morue, les pots de Nutella mais pas le chocolat noir, le beurre de cacahuète à la folie et les conserves maison, le foie gras surtout. Elle ne touche pas à l’alcool, ou plutôt n’y touche plus. On laisse traîner de l’argent et des bijoux. Exprès, pour voir. Elle ne les remarque même pas.

      Par temps d’orage ou pendant le gros de l’hiver, les résidences secondaires lui servent de refuge. Parfois, les occupants arrivent à l’improviste. On l’a surprise dans un lit ou sur l’ordinateur, à regarder le film Entretien avec un vampire. En un éclair, elle détale avec des yeux de bête traquée. Une fois, un ami s’est lancé à ses trousses avant de s’arrêter net. « Si je l’attrape, je fais quoi ? » Jamais il n’aurait envisagé qu’elle tiendrait si longtemps dehors.

      Les années et la montagne ont fini par la transformer. « L’ensauvager » , disent certains. Le cerf et le hibou lui parlent. Parfois, un promeneur découvre un matelas de feuilles et de chiffons dans l’échancrure d’un rocher, une cache de nourriture à demi enterrée, un campement avec des ânes à la lisière d’un pré à l’herbe rase. On l’a vue jaillir d’un trou d’eau glacial, avec un visage ébloui.

      Maintenant, elle entre dans les maisons sans précaution. Ouvre les armoires, choisit des tenue s « comme dans une boutique. Elle a du goût, elle prend le plus neuf, le plus joli, mais jamais les chaussures » , constate une amie de sa mère. Elle a retrouvé certains de ses vêtements accrochés en grappe à une ficelle dans le bouillonnement d’un torrent, comme dans le tambour d’une machine à laver. D’autres séchaient aux branches d’un arbre, à la manière d’un fil à linge.

      Chaque passage est signé

      La Visiteuse vide les congélateurs. Embarque les couettes, les couvertures. En repartant, elle laisse tout ouvert, et parfois le four allumé. « On est toujours à se demander ce qui va se passer quand on part de chez soi », dit l’un. Sur les tables, les mots pour elle se font plus pressants : « Tu es toujours la bienvenue. Laisse-nous au moins les duvets, c’est l’hiver. Fais attention avec le feu. » Elle est devenue l’obsession de la vallée.

      Dans ces bâtisses, où l’on se plaisait à vivre sans serrure, des verrous ont été posés, des volets, des doubles vitrages, des barrières électriques, des panneaux « Maison piégée ». Alors elle casse pour entrer, ciblant les lieux les uns après les autres, avec des fixations chez certains, où elle retourne inlassablement. A l’intérieur, elle refait la maison à sa manière, objets déplacés, mises en scène. Ici, les yeux d’une marionnette ont été arrachés. Là, de grands masques décrochés des murs et cachés sous le lit. Désormais, chaque passage est signé, comme si elle avait peur qu’on finisse par l’oublier.

      Depuis cinq ou six ans, la Visiteuse s’empare de choses intimes, la photo d’un chien ou le doudou d’une enfant. Des gens commencent à se sentir blessés, d’autres à avoir la trouille. La mère les écoute ne sachant que répondre, partagée entre la gêne et le soulagement. A chaque effraction signalée, elle pense : « Au moins, je sais que ma fille est vivante. » Certains y voient une duplicité. Dans la montagne, elle place des écriteaux pour signaler les maisons en colère. On l’a entendue crier vers les hautes crêtes : « Fais attention, arrête de voler. Les gendarmes vont venir te prendre. » L’autre jour, sa fille lui a parlé, de dos, cachée derrière un rocher. « Si je redescends, est-ce que je vais être obligée d’aimer les gens ? » Dans le silence des bois, sa voix sonnait, pointue, haut perchée, redevenue celle d’une fillette de 5 ans.

      Les premiers à parler publiquement dans la vallée ont été ses amis, trentenaires comme elle, anciens copains de collège ou de sortie. L’un commence : « Il faut que les choses se disent, on va me détester pour ça. Mais est-ce qu’on a protégé quelqu’un et ses choix ? Ou au contraire l’a-t-on laissé dégringoler ? » Leur enfance commune remonte, souvenirs par vagues où se mélangent les instants magiques et les autres. « Etre libre était une injonction. On était laissés à nous-mêmes, parfois sans protection. “Assume”, on nous disait » , pensent certains.

      Arrivée des « nouveaux néoruraux »

      Dans la vallée, des jeunes gens ont recommencé à venir s’installer, autre génération, autre culture, de « nouveaux néoruraux », dit-on, vivant parfois de la terre, mais pas toujours. De retour un soir chez eux, un couple a retrouvé la maison saccagée, la table couverte de récipients, tous étrangement remplis de lait. Ils croient à la vengeance d’un collègue, une manière de leur signifier que leur arrivée n’est pas souhaitée. Ils se renseignent. On leur parle d’elle, la Visiteuse. Plusieurs légendes circulent, un être aux paupières cousues errant dans la montagne ou alors une naïade, vêtue de ses seuls cheveux blonds.

      La Visiteuse revient chez eux, une fois, deux fois, dix fois. Ils repèrent le poste d’observation, d’où elle surveille leurs faits et gestes. L’épouse n’ose plus rester seule, lui frôle la dépression. Ils bricolent une caméra devant la porte. « On va enfin voir à quoi elle ressemble. » Sur l’écran apparaît une jeune femme en jean et en sweat-shirt, bien plantée, toute propre, le visage encadré de deux tresses noires.

      Une quarantaine de plaintes ont été déposées, le parquet de Mende les a classées sans suite le 18 juin 2018
      En 2018 et 2019, des réunions ont été organisées avec les mairies, l’état-major local de la gendarmerie, Chloé Demeulenaere, la sous-préfète de Florac. Cela avait déjà été le cas des années plus tôt, en vain. « Ceux de la vallée considéraient alors comme une soumission de laisser les institutions s’en mêler. Ils répétaient : on ne va pas courber l’échine, on gère nous-même » , croit savoir un élu local.

      Maintenant, même les victimes sont venues à la réunion. Elle vire vite à la séance de psychanalyse collective, selon des participants. « Je me sens devenir comme les beaufs qu’on fuyait dans notre jeunesse », lance l’un. Un homme explique qu’il ne ressentirait rien face à la mort d’un être humain, pour la première fois de sa vie. Il est non violent, il se fait horreur à lui-même. Quelques-uns prennent des calmants, une femme a déménagé. Un nouvel arrivant s’énerve : « Comment peut-on laisser cette femme à sa souffrance ? Les soixante-huitards vivent dans leur roman. Ça raconte la vallée, leur refus du monde. »

      Une quarantaine de plaintes ont été déposées, le parquet de Mende les a classées sans suite le 18 juin 2018, l’enquête « n’ayant pas permis d’identifier l’auteur des infractions ». La sous-préfète et Quoi de 9, une association d’insertion locale chargée du dossier, ont refusé de s’exprimer. Aucune avancée n’a été constatée depuis.

      La faire descendre, pas à pas

      Ici, certains ont revu L’Enfant sauvage, le film de François Truffaut (1970), où un médecin ramène dans la société des hommes un garçon trouvé dans la forêt. L’époque est autre, bien sûr, et l’histoire s’écrit maintenant à l’envers : les enfants sauvages d’aujourd’hui sont ceux qui ont fui la civilisation, pas ceux qui en avaient été exclus. N’empêche. Certains dans la vallée y voient une solution : lancer un appel à des chercheurs capables de se passionner pour la Visiteuse. Comme dans le film, ils effectueraient un patient travail de terrain pour essayer de la faire descendre de la montagne, pas à pas. Plusieurs hébergements ont déjà été proposés.

      Avant la forêt, la Visiteuse aimait se glisser dans une ferme au-dessus du village, chez une vieille famille cévenole. Elle entrait sans s’annoncer, donnait volontiers un coup de main. Les parents l’appréciaient, ils la trouvaient polie, courageuse. Ils n’étaient pas si nombreux, leur semblait-il, les jeunes gens de son âge capables de travailler aussi dur qu’elle. Puis, assise dans la cuisine, elle leur parlait de ses rêves. Elle ne savait pas vraiment comment dire. Ou plutôt si. Elle souhaitait un copain, une maison, des enfants. En servant le café, la mère de famille lui avait demandé : « Tu veux dire, une vie comme nous tous ? »

      #marge #néo_ruraux

  • « Pour un retour de l’#honneur de nos gouvernants » : 20 #généraux appellent Macron à défendre le #patriotisme

    (attention : toxique)

    À l’initiative de #Jean-Pierre_Fabre-Bernadac, officier de carrière et responsable du site Place Armes, une vingtaine de généraux, une centaine de hauts-gradés et plus d’un millier d’autres militaires ont signé un appel pour un retour de l’honneur et du #devoir au sein de la classe politique. Valeurs actuelles diffuse avec leur autorisation la lettre empreinte de conviction et d’engagement de ces hommes attachés à leur pays.

    Monsieur le Président,
    Mesdames, Messieurs du gouvernement,
    Mesdames, Messieurs les parlementaires,

    L’heure est grave, la #France est en #péril, plusieurs #dangers_mortels la menacent. Nous qui, même à la retraite, restons des soldats de France, ne pouvons, dans les circonstances actuelles, demeurer indifférents au sort de notre beau pays.

    Nos #drapeaux tricolores ne sont pas simplement un morceau d’étoffe, ils symbolisent la #tradition, à travers les âges, de ceux qui, quelles que soient leurs couleurs de peau ou leurs confessions, ont servi la France et ont donné leur vie pour elle. Sur ces drapeaux, nous trouvons en lettres d’or les mots « #Honneur_et_Patrie ». Or, notre honneur aujourd’hui tient dans la dénonciation du #délitement qui frappe notre #patrie.

    – Délitement qui, à travers un certain #antiracisme, s’affiche dans un seul but : créer sur notre sol un mal-être, voire une #haine entre les communautés. Aujourd’hui, certains parlent de #racialisme, d’#indigénisme et de #théories_décoloniales, mais à travers ces termes c’est la #guerre_raciale que veulent ces partisans haineux et fanatiques. Ils méprisent notre pays, ses traditions, sa #culture, et veulent le voir se dissoudre en lui arrachant son passé et son histoire. Ainsi s’en prennent-ils, par le biais de statues, à d’anciennes gloires militaires et civiles en analysant des propos vieux de plusieurs siècles.

    – Délitement qui, avec l’#islamisme et les #hordes_de_banlieue, entraîne le détachement de multiples parcelles de la nation pour les transformer en territoires soumis à des #dogmes contraires à notre #constitution. Or, chaque Français, quelle que soit sa croyance ou sa non-croyance, est partout chez lui dans l’Hexagone ; il ne peut et ne doit exister aucune ville, aucun quartier où les lois de la #République ne s’appliquent pas.

    – Délitement, car la haine prend le pas sur la #fraternité lors de manifestations où le pouvoir utilise les #forces_de_l’ordre comme agents supplétifs et boucs émissaires face à des Français en #gilets_jaunes exprimant leurs désespoirs. Ceci alors que des individus infiltrés et encagoulés saccagent des commerces et menacent ces mêmes forces de l’ordre. Pourtant, ces dernières ne font qu’appliquer les directives, parfois contradictoires, données par vous, gouvernants.

    Les #périls montent, la #violence s’accroît de jour en jour. Qui aurait prédit il y a dix ans qu’un professeur serait un jour décapité à la sortie de son collège ? Or, nous, serviteurs de la #Nation, qui avons toujours été prêts à mettre notre peau au bout de notre engagement – comme l’exigeait notre état militaire, ne pouvons être devant de tels agissements des spectateurs passifs.

    Aussi, ceux qui dirigent notre pays doivent impérativement trouver le courage nécessaire à l’#éradication de ces dangers. Pour cela, il suffit souvent d’appliquer sans faiblesse des lois qui existent déjà. N’oubliez pas que, comme nous, une grande majorité de nos concitoyens est excédée par vos louvoiements et vos #silences coupables.

    Comme le disait le #cardinal_Mercier, primat de Belgique : « Quand la #prudence est partout, le #courage n’est nulle part. » Alors, Mesdames, Messieurs, assez d’atermoiements, l’heure est grave, le travail est colossal ; ne perdez pas de temps et sachez que nous sommes disposés à soutenir les politiques qui prendront en considération la #sauvegarde_de_la_nation.

    Par contre, si rien n’est entrepris, le #laxisme continuera à se répandre inexorablement dans la société, provoquant au final une #explosion et l’intervention de nos camarades d’active dans une mission périlleuse de #protection de nos #valeurs_civilisationnelles et de sauvegarde de nos compatriotes sur le territoire national.

    On le voit, il n’est plus temps de tergiverser, sinon, demain la guerre civile mettra un terme à ce #chaos croissant, et les morts, dont vous porterez la #responsabilité, se compteront par milliers.

    Les généraux signataires :

    Général de Corps d’Armée (ER) Christian PIQUEMAL (Légion Étrangère), général de Corps d’Armée (2S) Gilles BARRIE (Infanterie), général de Division (2S) François GAUBERT ancien Gouverneur militaire de Lille, général de Division (2S) Emmanuel de RICHOUFFTZ (Infanterie), général de Division (2S) Michel JOSLIN DE NORAY (Troupes de Marine), général de Brigade (2S) André COUSTOU (Infanterie), général de Brigade (2S) Philippe DESROUSSEAUX de MEDRANO (Train), général de Brigade Aérienne (2S) Antoine MARTINEZ (Armée de l’air), général de Brigade Aérienne (2S) Daniel GROSMAIRE (Armée de l’air), général de Brigade (2S) Robert JEANNEROD (Cavalerie), général de Brigade (2S) Pierre Dominique AIGUEPERSE (Infanterie), général de Brigade (2S) Roland DUBOIS (Transmissions), général de Brigade (2S) Dominique DELAWARDE (Infanterie), général de Brigade (2S) Jean Claude GROLIER (Artillerie), général de Brigade (2S) Norbert de CACQUERAY (Direction Générale de l’Armement), général de Brigade (2S) Roger PRIGENT (ALAT), général de Brigade (2S) Alfred LEBRETON (CAT), médecin Général (2S) Guy DURAND (Service de Santé des Armées), contre-amiral (2S) Gérard BALASTRE (Marine Nationale).

    https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellen

    La une :

    #appel #généraux #valeurs_actuelles #lettre #lettre_ouverte #armée #soldats

    ping @isskein @karine4

    • 2022 : « l’étrange défaite » qui vient

      Pour Marc Bloch, auteur de L’Étrange défaite, la cause de la débâcle de juin 1940 n’était pas seulement militaire mais d’abord politique. De la même façon, le désastre annoncé de printemps 2022 n’est pas seulement de nature électorale. La débâcle de la démocratie se construit depuis des mois par une sorte de capitulation rampante et générale face à l’extrême droite.

      « Un jour viendra, tôt ou tard, où la France verra de nouveau s’épanouir la liberté de pensée et de jugement. Alors les dossiers cachés s’ouvriront ; les brumes, qu’autour du plus atroce effondrement de notre histoire commencent, dès maintenant, à accumuler tantôt l’ignorance et tantôt la mauvaise foi, se lèveront peu à peu . »

      Ainsi s’ouvre L’Étrange défaite écrite par Marc Bloch au lendemain de la capitulation de l’armée française en juin 1940. « À qui la faute ? », se demande-t-il. Quels mécanismes politiques ont conduit à ce désastre et à l’effondrement d’une République ? Si les militaires, et surtout l’état-major, sont aux premières loges des accusés, nul n’échappe à l’implacable regard de l’historien : ni les classes dirigeantes qui ont « préféré Hitler au Front Populaire », ni la presse mensongère, ni le pacifisme munichois, ni la gauche qui n’a pas eu besoin de ses adversaires pour ensevelir ce Front populaire qui fit si peur aux bourgeois.

      Les « brumes », l’aveuglement et la soumission passive aux récits des futurs vainqueurs ont conduit inexorablement à une #capitulation_anticipée. Comment ne pas y reconnaître la logique des moments sombres que nous vivons sidérés.

      La banalisation de la menace factieuse

      Sidérés, nous le sommes à coup sûr quand il faut attendre six jours pour qu’une menace de sédition militaire (http://www.regards.fr/politique/societe/article/lettre-des-generaux-un-texte-seditieux-qui-menace-la-republique) signée le 21 avril 2021 par une vingtaine de généraux en retraite, mais aussi par de nombreux officiers, commence à faire un peu réagir.

      Sidérés, nous le sommes par la légèreté de la réponse gouvernementale. Un tweet de la ministre des Armées (https://www.lemonde.fr/politique/article/2021/04/25/la-gauche-s-insurge-contre-une-tribune-de-militaires-dans-valeurs-actuelles-) ne parle que « d’#irresponsabilité » de « généraux en retraite ». Pour #Florence_Parly le soutien que leur apporte Marine Le Pen « reflète une méconnaissance grave de l’institution militaire, inquiétant pour quelqu’un qui veut devenir cheffe des armées ». N’y aurait-il à voir que de l’irresponsabilité militaire et de l’incompétence politique ?

      Il faut attendre le lundi 26 avril pour que Agnès Runacher secrétaire d’État auprès du ministre de l’Économie et des Finances s’avise (https://www.boursorama.com/actualite-economique/actualites/un-quarteron-de-generaux-en-charentaises-la-tribune-de-militaires-dans-v) que le texte a été publié jour pour jour 60 ans après l’appel des généraux d’Alger. En parlant de « quarteron de généraux en charentaises », elle semble considérer que la simple paraphrase d’une expression de l’allocution de De Gaulle, le 23 avril 1961 suffira à protéger la démocratie. Ce dernier, plus martial, en uniforme, parlait surtout de « putsch » et d’un « groupe d’officiers ambitieux et fanatiques ».

      Sidérés, nous le sommes par le #silence persistant, cinq jours après la publication du texte factieux, de l’essentiel les leaders de la droite, du centre, de la gauche et des écologistes.

      Sidérés, nous sommes encore de l’isolement de ceux qui appellent un chat un chat tels Éric Coquerel, Benoît Hamon ou Jean Luc Mélenchon. Ce dernier rappelle au passage que l’article 413-3 du code pénal prévoit cinq ans d’emprisonnement et 75.000 euros d’amende pour provocation à la désobéissance des militaires.

      Sidérés, nous le sommes enfin, pendant une semaine, de la #banalisation de l’événement par des médias pourtant prompts à se saisir du buzz des « polémiques ». Le 25 avril (https://rmc.bfmtv.com/emission/tribunes-de-militaires-les-gens-n-ont-pas-confiance-dans-les-politiques-m), RMC/BFM, dans les Grandes Gueules, n’hésite pas à présenter l’appel sur fond de Marseillaise, à moquer « la gauche indignée » en citant Jean Luc Mélenchon et Éric Coquerel, et à débattre longuement avec l’initiateur du texte, Jean-Pierre Fabre-Bernadac. Jack Dion, ancien journaliste de L’Humanité (1970-2004), n’hésite pas à écrire (https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/malgre-ses-relents-putschistes-la-tribune-des-ex-generaux-met-le-doigt-la-) dans Marianne le 28 avril : « Malgré ses relents putschistes, la tribune des ex généraux met le doigt là où ça fait mal. » Il faut croire donc que cet appel factieux et menaçant ne fait pas polémique après l’appel à l’insurrection de Philippe de Villiers dont on oublie qu’il est le frère aîné d’un autre général ambitieux, Pierre de son prénom, chef d’état-major des armées de 2010 à 2017.

      Qui sont donc les ennemis que ces militaires appellent à combattre pour sauver « la Patrie » ? Qui sont les agents du « délitement de la France » ? Le premier ennemi désigné reprend mot pour mot les termes de l’appel des universitaires publié le 1 novembre 2020 sous le titre de « #Manifeste_des_100 » (https://manifestedes90.wixsite.com/monsite) : « un certain antiracisme » qui veut « la guerre raciale » au travers du « racialisme », « l’indigénisme » et les « théories décoloniales ». Le second ennemi est « l’islamisme et les hordes de banlieue » qui veulent soumettre des territoires « à des dogmes contraires à notre constitution ». Le troisième ennemi est constitué par « ces individus infiltrés et encagoulés saccagent des commerces et menacent ces mêmes forces de l’ordre » dont ils veulent faire des « boucs émissaires ».

      Chacune et chacun reconnaîtra facilement les islamo-gauchistes, les séparatistes et les black blocs, ces épouvantails stigmatisés, dénoncés, combattus par le pouvoir comme par une partie de l’opposition. Ce texte a au moins une vertu : il identifie clairement la nature fascisante des diatribes de Jean-Michel Blanquer, Gérald Darmanin ou Frédérique Vidal. Il renvoie à leur responsabilité celles et ceux qui gardent le silence, organisent le débat public autour de ces thématiques sur la scène médiatique, s’abstiennent à l’Assemblée sur des textes de loi à la logique islamophobe – quand ils ne votent pas pour –, signent des tribunes universitaires pour réclamer une police de la pensée. Il renvoie à ses responsabilités le Bureau national du Parti socialiste qui, dans sa résolution du 27 avril (https://partisocialiste92.fr/2021/04/27/resolution-du-bureau-national-a-la-suite-dune-tribune-de-militaire), persiste à affirmer « qu’il serait absurde de chercher à nier ces sujets qui nous font face » comme « ces #minorités_agissantes » qui prônent la « #désaffiliation_républicaine ».

      Baromètre incontesté des dérives intellectuelles, l’omniprésent #Michel_Onfray, aujourd’hui obsédé par la décadence de la France, ne partage-t-il pas le diagnostic des factieux ? Sa sentence du 27 avril dans la matinale d’Europe 1 (https://www.europe1.fr/societe/sur-le-terrorisme-la-parole-presidentielle-est-totalement-devaluee-estime-on), « l’intérêt de l’#islamo-gauchisme est de détruire la nation, la souveraineté nationale, la France, l’histoire de France, tout ce qui constitue la France », est immédiatement reprise par Valeurs actuelles (https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-michel-onfray-linteret-de-lislamo-gauchisme-est-de-detruire-l). Quelques jours plus tôt, dans une envolée digne de Gérald Darmanin, il assénait au Point (https://www.lepoint.fr/debats/michel-onfray-on-a-un-seul-probleme-en-france-c-est-que-la-loi-n-est-pas-res) : « On a un seul problème en France, c’est que la loi n’est pas respectée ». Mais de quelle loi parle Michel Onfray quand il ajoute, à propos du verdict en appel du procès des jeunes de Viry-Châtillon : « Il y a des gens à qui on dit : […] peut-être que vous faites partie de ceux qui auraient pu tuer, mais la preuve n’est pas faite, on est pas sûr que c’est vous, allez, vous pouvez rentrer chez vous. L’affaire est terminée pour vous. » Pour Michel Onfray, le scandale n’est pas la mise en accusation délibérée d’innocents par une police en quête désespérée de coupables mais un principe de droit : la présomption d’innocence elle-même !

      La capitulation rampante

      Voilà où nous en sommes. Voilà pourquoi il est pour beaucoup si difficile de se scandaliser d’un appel factieux quand les ennemis désignés sont ceux-là même qui sont désignés à longueur d’antenne et de déclaration politique dans ce désastreux consensus « républicain » réunissant l’extrême droite, la droite et une partie de la gauche.

      Chacune et chacun y va de sa surenchère. #Anne_Hidalgo (https://www.nouvelobs.com/edito/20201125.OBS36577/derriere-la-gueguerre-entre-hidalgo-et-les-ecolos-la-pomme-de-discorde-de) enjoint les Verts « d’être au clair avec la République » à propos de la laïcité alors même que #Yannick_Jadot (https://www.lepoint.fr/politique/loi-contre-le-separatisme-la-gauche-denonce-un-texte-qui-ne-regle-rien-07-02) demande de « sortir de toute naïveté et de toute complaisance », pour « combattre l’islam politique », proposant de « contrôler les financements des associations » et de « renforcer tous les dispositifs sur le contrôle des réseaux sociaux ».

      La discussion et le vote de la loi sur le « séparatisme », puis les débats hallucinants sur l’organisation de « réunions non mixtes » au sein du syndicat étudiant Unef nous en a fourni un florilège. Pour le communiste #Stéphane_Peu (http://www.le-chiffon-rouge-morlaix.fr/2021/02/separatisme-une-loi-equilibree-se-serait-attachee-a-renforc) comme pour le socialiste #Olivier_Faure (https://www.europe1.fr/politique/projet-de-loi-contre-les-separatismes-olivier-faure-craint-une-surenchere-40), la question n’est pas de combattre sur le fond la notion de « #séparatisme » mais de rester dans une « loi équilibrée » qui « renforce la #République » (Peu) et d’éviter « la surenchère » (Faure). L’un comme l’autre et comme nombre de députés de leurs groupes, s’abstiendront lors du vote à l’Assemblée nationale. Seule La France insoumise a sauvé l’honneur et dénoncé, notamment par la voix de #Clémentine_Autain (https://www.lepoint.fr/politique/loi-contre-le-separatisme-la-gauche-denonce-un-texte-qui-ne-regle-rien-07-02) dès le 16 février, une loi qui « ouvre la boîte de Pandore pour des idées qui stigmatisent et chassent les musulmans » et « nous tire vers l’agenda de l’extrême droite ».

      Si le débat parlementaire gomme un peu les aspérités, l’affaire des réunions « non mixtes » au sein de l’Unef est l’occasion d’un déferlement de sincérité imbécile. On n’en attendait pas moins de #Manuel_Valls (https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-8h20-le-grand-entretien/l-invite-de-8h20-le-grand-entretien-22-mars-2021) qui s’empresse de poser l’argument clef de la curée : « Les réunions "racialisées" légitiment le concept de race ». Le lendemain #Marine_Le_Pen (https://www.francetvinfo.fr/politique/marine-le-pen/video-il-faut-poursuivre-l-unef-un-syndicat-qui-commet-des-actes-racist) le prend au mot et réclame des poursuites contre ces actes racistes. Anne Hidalgo (https://www.europe1.fr/politique/reunions-non-mixtes-a-lunef-cest-tres-dangereux-juge-anne-hidalgo-4032954) apporte sa voix contre une pratique qu’elle considère comme « très dangereuse » au nom de « ses convictions républicaines ». Olivier Faure (https://www.youtube.com/watch?v=rifRSrm7lpU

      ), moins « équilibré » que sur la loi contre le « séparatisme » renchérit comme « une dérive incroyable ».

      Quelle « dérive » ? Tout simplement « l’idée que sont légitimes à parler du racisme les seules personnes qui en sont victimes », alors que « c’est l’inverse qu’il faut chercher ». Dominés restez à votre place, nous parlerons pour vous ! Aimé Césaire dans sa lettre à Maurice Thorez (https://lmsi.net/Lettre-a-Maurice-Thorez), dénonçait ce qu’il nommait le « #fraternalisme » : « Un grand frère qui, imbu de sa supériorité et sûr de son expérience, vous prend la main pour vous conduire sur la route où il sait se trouver la Raison et le Progrès. » Or, ajoutait-il, « c’est très exactement ce dont nous ne voulons plus » car « nous ne (pouvons) donner à personne délégation pour penser pour nous. »

      Olivier Faure revendique un « #universalisme » que ne renierait pas le candidat communiste à la présidentielle, #Fabien_Roussel pour qui « les réunions segmentées selon la couleur de sa peau, sa religion ou son sexe, ça divise le combat ». Le PCF (https://www.pcf.fr/actualite_derri_re_les_attaques_contre_l_unef_une_d_rive_autoritaire_et_antid_mo) n’hésite pas à défendre en théorie l’Unef tout en se joignant cœur réactionnaire des condamnations de ses pratiques.

      #Audrey_Pulvar (https://www.lci.fr/politique/demander-a-une-personne-blanche-de-se-taire-dans-une-reunion-non-mixte-pulvar-cr) cherchant peut-être un compromis dans la présence maintenue mais silencieuse d’un blanc dans une réunion de personnes racisées, se prend une volée de bois vert du chœur des bonnes âmes universalistes. La « dilution dans l’universel » est bien « une façon de se perdre » comme l’écrivait encore Aimé Césaire en 1956.

      Ce chœur hystérisé, rien ne le fera taire, ni le rappel élémentaire d’#Eric_Coquerel (https://www.facebook.com/watch/?v=773978356575699) que les #groupes_de_parole sont « vieux comme le monde, comme le mouvement féministe, comme les alcooliques anonymes », ni la prise du conscience de l’énormité morale, politique et juridique des positions prises ainsi dans une émotion révélatrice.

      Refuser de comprendre que la parole des dominées et dominés a besoin de se constituer à l’abri des dominants, c’est nier, de fait, la #domination. Ce déni de la domination, et de sa #violence, est une violence supplémentaire infligée à celles et ceux qui la subissent.

      Au passage, une partie de la gauche a par ailleurs perdu un repère simple en matière de liberté : la liberté de réunion est la liberté de réunion. Elle n’est plus une liberté si elle est sous condition de surveillance par une présence « hétérogène ». À quand les réunions de salariés avec présence obligatoire du patron ? Les réunions de femmes avec présence obligatoire d’un homme ? Les réunions d’étudiants avec présence obligatoire d’un professeur ? Les réunions de locataires avec présence obligatoire du bailleur ? Les réunions d’antiracistes avec présence obligatoire d’un raciste ?

      Ces héritiers et héritières d’une longue tradition politique liée aux luttes sociales révèle ainsi leur déconnexion avec les mobilisation d’aujourd’hui, celles qui de #MeToo à Black Lives Matter ébranlent le monde et nous interrogent sur quelle humanité nous voulons être au moment où notre survie est officiellement en question. Ces mouvements de fond martèlent, 74 ans après Aimé Césaire, que « l’heure de nous-mêmes a sonné. »

      Nul doute, hélas, que ce qui fait ainsi dériver des femmes et des hommes issus de la #gauche, c’est le poids pas toujours avoué, mais prégnant et souvent irrationnel, de l’#islamophobie. Cette adhésion générale à un complotisme d’État (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/041220/l-etat-t-il-le-monopole-du-complotisme-legitime) touche plus fortement les espaces partisans, voire universitaires, que le monde associatif. On a pu le constater lors de la dissolution du #Collectif_contre_l’islamophobie_en_France (#CCIF) fin 2020 quand la fermeté les protestations de la Ligue des droits de l’Homme (https://blogs.mediapart.fr/gabas/blog/031220/ldh-dissolution-politique-du-ccif) ou d’Amnesty international (https://www.amnesty.fr/presse/france-la-fermeture-dune-association-antiraciste-e) n’a eu d’égale que la discrétion de la gauche politique. La palme du mois d’avril revient sans conteste à #Caroline_Fourest (https://twitter.com/i/status/1384567288922259467) qui lors du lancement des États Généraux de la Laïcité a pu déclarer sans frémir que « ce mot islamophobie a tué les dessinateurs de Charlie Hebdo et il a tué le professeur Samuel Paty ».

      Oui voilà ou nous en sommes. La menace d’une victoire du #Rassemblement_national ne se lit pas que dans les sondages. Elle se lit dans les #renoncements. Elle s’enracine dans la banalisation voire le partage de ses thématiques disciplinaires, de ses émotions islamophobes, de son vocabulaire même.

      L’évitement politique du réel

      Il faut vraiment vivre dans une bulle, au rythme de réseaux sociaux hégémonisés par l’extrême droite, loin des réalités des quartiers populaires, pour considérer que l’islam et les réunions non mixtes sont les causes premières du délitement des relations collectives et politiques dans ce pays.

      Quelle République, quelle démocratie, quelle liberté défend-on ici avec ces passions tristes ? Depuis plus d’un an, la réponse gouvernementale à l’épreuve sanitaire les a réduites à l’état de fantômes. L’#état_d’urgence sanitaire est reconduit de vague en vague de contamination. Notre vie est bornée par des contrôles, des interdictions et des attestations. Les décisions qui la règlent sont prises par quelques-uns dans le secret délibératif d’un Conseil de défense. Nous vivons suspendus aux annonces du président et de quelques ministres et, de plus de plus en plus, du président seul, autoproclamé expert omniscient en gestion de pandémie. Nous n’avons plus prise sur notre vie sociale, sur nos horaires, sur notre agenda, sur notre avenir même très proche. Nous n’avons plus de lieu de délibération, ces lieux qui des clubs révolutionnaires de 1789 aux ronds-points des gilets jaunes, en passant par la Place Tahrir et la Puerta Del Sol en 2011 sont l’ADN de la #démocratie.

      La violence de la menace létale mondiale que font peser sur nous le Covid et ses variants successifs nous fait espérer que cette épreuve prendra fin, que la parenthèse se refermera. Comme dans une période de guerre (https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/070221/stephane-audoin-rouzeau-nous-traversons-l-experience-la-plus-tragique-depu), cet espoir toujours déçu se renouvelle sans fin à chaque annonce moins pessimiste, à chaque communication gouvernementale sur les terrasses jusqu’à la déception suivante. Cette #précarité sans fin est un obstacle collectif à la #résistance_démocratique, à la critique sociale, idéologique et opératoire de cette période qui s’ouvre et sera sans doute durable. C’est bien dans ce manque politique douloureux que s’engouffrent tous les complotismes de Q-Anon à l’islamophobie d’État.

      Depuis le printemps 2020 (www.regards.fr/politique/societe/article/covid-19-un-an-deja-chronique-d-une-democratie-desarticulee), les partis d’opposition ont cessé d’être dans l’élaboration et la proposition politique en lien avec la situation sanitaire. Le monologue du pouvoir ne provoque plus sporadiquement que des réactions, jamais d’alternative stratégique ni sur la réponse hospitalière, ni sur la stratégie vaccinale, ni sur l’agenda des restrictions sociales. Même l’absence de publication, des semaines durant début 2021, des avis du Conseil scientifique n’émeut pas des politiques beaucoup plus préoccupés par les réunions non mixtes à l’Unef.

      Attac (https://france.attac.org/spip.php?page=recherche&recherche=covid) n’est pas beaucoup plus proactif malgré la publication sur son site en novembre 2020 d’un texte tout à fait pertinent de Jacques Testard sur la #démocratie_sanitaire. En général les think tanks sont plutôt discrets. L’Institut Montaigne est silencieux sur la stratégie sanitaire tout comme la Fondation Copernic qui n’y voit pas l’occasion de « mettre à l’endroit ce que le libéralisme fait fonctionner à l’envers ». Si le think tank Économie Santé des Échos déplore le manque de vision stratégique sanitaire, seule Terra Nova semble avoir engagé un véritable travail : une cinquantaine de contributions (https://tnova.fr/ckeditor_assets/attachments/218/terra-nova_dossier-de-presse_cycle-coronavirus-regards-sur-une-crise_2020.pdf), des propositions (https://tnova.fr/revues/covid-19-le-think-tank-terra-nova-fait-des-propositions-pour-limiter-les-conta) sur l’organisation de la rentrée scolaire du 26 avril 2021, des propositions sur la stratégie vaccinale…

      Pourquoi cette #inertie_collective sur les choix stratégiques ? Ce ne sont pas les sujets qui manquent tant la stratégie gouvernementale ressemble à tout sauf à une stratégie sanitaire. Sur le fond, aucun débat n’est ouvert sur le choix entre stratégie de cohabitation avec la maladie ou d’éradication virale. Ce débat aurait eu le mérite d’éclairer les incohérences gouvernementales comme la communication sur le « tester/tracer/isoler » de 2020 qui n’a été suivie d’aucun moyen opérationnel et humain nécessaire à sa mise en œuvre. Il aurait permis de discuter une stratégie vaccinale entièrement fondée sur l’âge (et donc la pression hospitalière) et non sur la circulation active du virus et la protection des métiers à risque. Cette stratégie a fait battre des records vaccinaux dans des territoires aux risques faibles et laissé à l’abandon les territoires les plus touchés par la surmortalité comme la Seine-Saint-Denis.

      Pourquoi cette inertie collective sur la démocratie sanitaire ? Les appels dans ce sens n’ont pourtant pas manqué à commencé par les recommandations du Conseil Scientifique dès mars 2020 : le texte de Jacques Testard (https://france.attac.org/nos-publications/les-possibles/numero-25-automne-2020/debats/article/la-covid-la-science-et-le-citoyen), un article de The Conversation (https://theconversation.com/debat-quelles-lecons-de-democratie-tirer-de-la-pandemie-140157) au mois de juin 2020, l’excellent « tract » de #Barbara_Stiegler, De la démocratie en pandémie, paru chez Gallimard en janvier 2021 et assez bien relayé. Des propositions, voire des expérimentations, en termes de délibération et de construction collective des mesures sanitaires territorialisées, des contre expertises nationales basées sur des avis scientifiques et une mobilisation populaire auraient sans doute mobilisé de façon positive la polyphonie des exaspérations. On a préféré laisser réprimer la mobilisation lycéenne (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/181120/sommes-nous-aux-portes-de-la-nuit) pour de vraies mesures sanitaires en novembre 2020.

      Bref la construction de masse d’une alternative à l’incapacité autoritaire du pouvoir aurait pu, pourrait encore donner corps et usage à la démocratie, aujourd’hui désarticulée (https://blogs.mediapart.fr/alain-bertho/blog/160321/covid-un-deja-chronique-d-une-democratie-desarticulee), qu’il nous faut essayer de défendre, pourrait incarner la République dans des exigences sociales et une puissance populaire sans lesquelles elle risque toujours de n’être qu’un discours de domination.

      Une autre élection est-elle encore possible ?

      Entre cet étouffement démocratique de masse et l’immensité des choix de société suggérés au quotidien par la crise sanitaire, le grain à moudre ne manque pas pour des courants politiques héritiers d’une tradition émancipatrice. Leur responsabilité est immense quand l’humanité est mise au pied du mur de sa survie et de l’idée qu’elle se fait d’elle-même. Mais ces partis préfèrent eux aussi considérer la situation sanitaire comme une simple parenthèse à refermer, se projetant sur les échéances de 2022 comme pour oublier 2020 et 2021. Il est ahurissant de penser que, après 14 mois de pandémie, la politique sanitaire ne soit pas au centre des élections territoriales de ce printemps, sinon pour une question d’agenda.

      En « rêvant d’une autre élection » comme d’autres ont rêvé d’un autre monde, la gauche permet tout simplement au président en exercice de s’exonérer de son bilan dramatique : un système de santé et des soignantes et soignants mis en surchauffe des mois durant, une mise en suspens de milliers de soins parfois urgents, des dizaines de milliers de Covid longs, plus de 100.000 morts, des territoires et des populations délibérément sacrifiés, des inégalités devant la mort et la maladie largement calquées sur les inégalités sociales et les discriminations, une vie sociale dévastée, une démocratie en miettes, une faillite biopolitique structurelle.

      Comment lui en faire porter la responsabilité si on ne peut lui opposer aucune alternative ? Le pouvoir s’en réjouit d’avance et, renversant la charge de la preuve, semaine après semaine, somme chacune et chacun de présenter un bilan sur l’agenda qu’il déroule sans rencontrer beaucoup de résistance : les politiques sécuritaires et l’islamophobie d’État. Or, ce concours électoraliste du prix de la « laïcité », de la condamnation de l’islamisme, de la condamnation des formes contemporaines de lutte contre les discriminations, nous savons qui en sera la championne incontestée : elle en maîtrise à merveille les thématiques, le vocabulaire comme la véhémence.

      Voici ce que les sondages, jour après jour, mesurent et nous rappellent. Dans ces conditions, l’absence de dynamique unitaire à gauche n’est pas la cause de la défaite annoncée, elle est déjà le résultat d’une perte majoritaire de boussole politique, le résultat d’une sorte d’évitement du réel, le résultat d’un abandon.

      « L’étrange défaite » de juin 1940 a pris racine dans le ralliement des classes dirigeantes à la nécessité d’un pouvoir policier et discriminatoire. Nous y sommes. « L’étrange défaite » s’est nourrie de la pusillanimité d’une gauche désertant les vrais combats pour la démocratie, de la défense de l’Espagne républicaine au barrage contre un racisme aussi déchaîné qu’expiatoire. Nous y sommes sur les enjeux de notre temps. « L’étrange défaite » a été la fille du consensus munichois et de la capitulation anticipée. Nous y sommes. « L’étrange défaite » a été suivie de la mort d’une République. L’appel militaire du 21 avril en fait planer la menace.

      À l’exceptionnalité de la période traumatique qui bouleverse depuis 14 mois en profondeur nos repères politiques, sociaux et vitaux, s’ajoute l’exceptionnalité de l’échéance institutionnelle du printemps 2022. Il est dérisoire d’y voir la énième occasion de porter un message minoritaire, dérisoire de donner le spectacle d’une querelle d’egos, dérisoire de jouer à qui sera responsable de la défaite. Le salut ne sera pas dans un compromis défensif sans principe mais dans un sursaut collectif d’ambition.

      Il est temps de prendre la mesure du temps que nous vivons, car il est toujours temps de résister. Comme concluait Marc Bloch en septembre 1940, « peut-être est-ce une bonne chose d’être ainsi contraints de travailler dans la rage », car « est-ce à des soldats qu’il faut, sur un champ de bataille, conseiller la peur de l’aventure ? » Il ajoutait que « notre peuple mérite qu’on se fie à lui et qu’on le mette dans la confidence ».

      http://www.regards.fr/idees-culture/article/2022-l-etrange-defaite-qui-vient
      #non-mixité

  • #Budget genré de #Lyon : pour l’#égalité réelle femmes/hommes

    Pour la première fois en #France, une ville de plus de 500 000 habitants va mettre en place un #budget_sensible_au_genre. La ville de Lyon, sous l’impulsion d’#Audrey_Henocque, première adjointe en charge des #finances, et #Florence_Delaunay, adjointe à l’égalité femmes-hommes, va en effet évaluer son budget selon la répartition de la #dépense_publique envers les bénéficiaires hommes et femmes.

    En 2021, les #lignes_budgétaires de cinq directions seront analysées : une mairie d’arrondissement, le musée des beaux-arts pour la culture, la direction des sports, la direction des espaces verts et la direction de la commande publique. En 2022, ce seront l’ensemble des lignes budgétaires qui seront étudiées.

    L’objectif est de prendre conscience des #déséquilibres éventuels, et d’y répondre par des #actions_correctives.

    Dès 2021, pour répondre aux déséquilibres déjà criants, la ville de Lyon met également en place des actions pour renforcer l’égalité entre les femmes et les hommes, notamment en accordant autant de #subvention à l’OL féminin qu’à l’équipe masculine, et en travaillant sur les #cours_d’écoles à la fois pour les végétaliser, mais aussi les rendre plus adaptées à la #mixité des jeux. Pour que chacun et chacune ait sa place dans l’#espace_public, et dans la société. Pour passer d’une égalité de droits, à une #égalité_réelle entre les femmes et les hommes.

    Recommandé par l’ONU Femmes et le Conseil de l’Europe, le budget sensible au genre est déjà en place à #Vienne, capitale de l’Autriche, depuis plus de 15 ans, mais aussi au #Canada, #Mexique, #Australie, #Japon, #Islande. Marlène Schiappa avait d’ailleurs promis sa mise en place au niveau du budget de l’État. En matière d’environnement comme en matière d’égalité femmes-hommes, il y a ceux qui parlent, et les écologistes qui font.

    https://www.eelv.fr/budget-genre-de-lyon-pour-legalite-reelle-femmes-hommes

    #genre #école #féminisation_de_la_politique

  • En Ethiopie, la France partagée entre business et défense des droits humains

    Pillages, possibles crimes de #guerre, destructions de sites historiques : les témoignages en provenance du #Tigré, province en guerre depuis le 4 novembre, sont très inquiétants. La France reste pourtant discrète, et espère préserver ses chances sur un marché prometteur.

    L’ambassadeur a un échange « constructif » avec le ministre de l’éducation, l’ambassadeur a un échange « productif » avec le conseiller spécial du premier ministre sur les questions économiques, l’ambassadeur est « très honoré » de recevoir le ministre de l’énergie pour évoquer la participation française à plusieurs grands projets… Sur les réseaux sociaux de l’ambassade de France à Addis-Abeba, c’est #business_as_usual.

    Pour qui suit au quotidien le calvaire des habitants du Tigré – région où l’armée éthiopienne et ses alliés sont en guerre depuis le 4 novembre –, les photos de ces rencontres policées dans la capitale, où l’on discute #qaffaires, lovés dans de confortables canapés, semblent prises dans un monde parallèle.

    Loin, très loin, d’un Tigré littéralement à feu et à sang, où plus de deux millions de personnes ont dû fuir leur habitation, où l’on manque d’eau, d’électricité, de nourriture et de médicaments, où il est probable que la famine soit utilisée comme arme de guerre par les belligérants et où les humanitaires peinent toujours à accéder alors que 2,3 millions de personnes auraient besoin d’aide, selon les évaluations des ONG.

    Les affrontements y opposent le Front de libération du peuple du Tigré (TPLF) à l’armée fédérale éthiopienne, soutenue par des milices nationalistes amhara et des troupes érythréennes.

    « Nous recevons des rapports concordants à propos de violences ciblant certains groupes ethniques, d’assassinats, de pillages massifs, de viols, de retours forcés de réfugiés et de possibles crimes de guerre », a indiqué le 15 janvier le haut représentant de l’Union européenne pour les affaires étrangères et la politique de sécurité Josep Borrell, qui a annoncé par la même occasion la suspension de 88 millions d’euros d’aide destinée au gouvernement éthiopien.

    Dès le 13 novembre, la haute-commissaire de l’ONU aux droits de l’homme Michelle Bachelet évoquait elle aussi de possibles crimes de guerre et appelait à la mise en place d’une commission d’enquête indépendante pour le vérifier. À la veille de sa prise de fonction, le nouveau secrétaire d’État américain Antony Blinken s’est lui aussi inquiété publiquement de la situation.

    Une voix manque cependant à ce concert d’alertes : celle de la France. Le Quai d’Orsay n’a produit qu’un seul communiqué concernant le Tigré, le 23 novembre 2020. Il tient en quatre phrases convenues sur la dégradation de la situation humanitaire et la condamnation des « violences à caractère ethnique ». Exploit diplomatique, le mot « guerre » n’y apparaît pas ; celui de « crimes de guerre » encore moins. Il ne comporte ni interpellation des belligérants – qui ne sont d’ailleurs même pas cités –, ni appel à une enquête indépendante sur d’éventuelles violations des droits humains. Les mêmes éléments de langage étaient repris trois jours plus tard à l’occasion de la visite en France du ministre des affaires étrangères éthiopien Demeke Mekonnen.

    « Gênant, au minimum »

    Cette étrange pudeur française commence à interroger, voire à agacer certains alliés européens ainsi que nombre de chercheurs spécialisés sur l’Éthiopie – qui s’emploient, depuis deux mois et demi, à récolter les bribes d’informations qui parviennent du Tigré malgré la coupure des communications par les autorités.

    « J’ai des échanges réguliers avec l’#ambassade_de_France à Addis-Abeba depuis novembre. Je les ai questionnés sur leur position vis-à-vis du gouvernement éthiopien, et je les ai sentis très embarrassés », raconte le chercheur indépendant René Lefort, pour qui la #complaisance française vis-à-vis du gouvernement d’Abiy Ahmed Ali est incompréhensible : « Je crois qu’ils ne comprennent pas ce qu’est ce pays et ce qui s’y passe. »

    Au-delà des questions morales posées par le fait d’apporter un soutien tacite à un gouvernement qui a couvert ou laissé faire des violations des droits humains au Tigré, le soutien à #Abiy_Ahmed est une erreur d’analyse politique selon René Lefort : « Les Français parient tout sur lui, alors que son autorité personnelle est faible et que sa ligne politique n’est soutenue que par une minorité d’Éthiopiens. »

    La réserve française est en tout cas interprétée par l’armée fédérale éthiopienne et ses alliés comme un soutien de Paris. Le sociologue Mehdi Labzae était au Tigré, dans la région d’Humera, jusqu’à la mi-décembre : « Dans les zones conquises par les nationalistes amhara, se présenter comme Français facilite les relations avec les combattants, qui considèrent le gouvernement français comme un allié. Les déclarations françaises, ou leur absence, laissent penser que la réciproque est vraie », relève le chercheur, post-doctorant à la Fondation Maison des sciences de l’homme (FMSH). « Avec un ambassadeur à Addis qui fait comme si de rien n’était… Je trouve cela gênant, au minimum. »

    Selon une source diplomatique étrangère, la France ne se contente pas de rester discrète sur la situation au Tigré ; elle freine également les velléités des membres de l’Union européenne qui voudraient dénoncer plus ouvertement l’attitude des autorités éthiopiennes et de leurs alliés érythréens. Une attitude « parfois frustrante », déplore cette source.

    Interrogée par Mediapart sur cette « frustration » de certains alliés européens, l’ambassade de France à Addis-Abeba nous a renvoyé vers le Quai d’Orsay, qui n’a pas répondu sur ce point (voir boîte noire).

    Refus de répondre sur la création d’une commission d’enquête

    À ses partenaires européens, mais aussi aux chercheurs et humanitaires avec qui ils échangent, les services diplomatiques français expliquent que les accusations d’exactions visant l’armée éthiopienne et ses alliés ne « sont pas confirmées ». Il en va de même concernant la présence de troupes érythréennes sur place – cette présence a pourtant été confirmée à la fois par les autorités de transition du Tigré et par un général de l’armée éthiopienne.

    Une position difficilement tenable. D’abord parce que le gouvernement éthiopien empêche, en bloquant les communications avec le Tigré et en limitant l’accès des humanitaires, la récolte de telles preuves. Ensuite parce que, malgré ce blocus, les faisceaux d’indices s’accumulent : « Nous avons des informations qui nous viennent des ONG, d’équipes des Nations unies qui parlent off the record, de citoyens européens qui se trouvent toujours au Tigré ; nous avons aussi des listes de victimes, et de plus en plus de photos et vidéos », autant d’informations auxquelles l’ambassade de France a eu accès, explique un diplomate en poste à Addis-Abeba.

    La position française est difficilement tenable, enfin, parce que si elle tenait tant aux faits, la France ne se contenterait pas de refuser de condamner les crimes tant qu’ils ne sont pas « confirmés » : elle plaiderait pour la création d’une commission d’enquête indépendante qui permettrait, enfin, de les établir et de pointer les responsabilités respectives du TPLF, de l’armée éthiopienne et de ses alliés.

    Paris est dans une position idéale pour le faire, puisque la France vient d’être élue pour siéger au Conseil des droits de l’homme des Nations unies durant trois ans. Elle pourrait donc, aux côtés d’autres États membres, demander une session extraordinaire du Conseil sur l’Éthiopie (l’accord d’un tiers des 47 États qui composent le Conseil est nécessaire) qui déciderait de la création d’une commission d’enquête sur le Tigré.

    Or, interrogé par Mediapart sur son soutien à la création d’une telle commission, le Quai d’Orsay n’a pas souhaité répondre (voir boîte noire). Il assure avoir « appelé à plusieurs reprises les autorités éthiopiennes à faire la lumière sur les allégations de crimes et autres violations des droits de l’homme », sans toutefois préciser par quel canal.

    Hypothétique médiation

    Lors d’entrevues en privé, des diplomates de l’ambassade et du Quai d’Orsay assurent que cette absence de #dénonciation publique est volontaire et stratégique. Elle viserait à ne pas froisser le gouvernement éthiopien publiquement afin de « maintenir un canal de communication » pour mieux le convaincre en privé et, éventuellement, jouer un rôle de médiateur pour trouver une issue au conflit.

    « Des diplomates français m’ont dit, en résumé : “On reste discrets parce que si un jour il y a une #médiation à faire, le gouvernement pourrait se tourner vers nous” », indique René Lefort. Une analyse « totalement erronée », selon le chercheur : « Non seulement [le premier ministre] Abiy Ahmed Ali ne veut absolument pas d’une médiation, mais surtout, même s’il en acceptait le principe, je ne vois pas pourquoi il irait chercher la France plutôt que les États-Unis, l’Union européenne ou encore l’ONU. » Accessoirement, même si le gouvernement éthiopien souhaitait que la France soit médiatrice, il n’est pas dit que son principal adversaire, le TPLF, accepte le principe d’une médiation par un État qui a passé les derniers mois à multiplier les signes d’amitié envers Addis-Abeba et pourrait donc difficilement prétendre à la neutralité.

    Un (quasi-) #silence public pour mieux faire avancer les dossiers en privé : l’hypothèse est également avancée par l’ancien ambassadeur français en Éthiopie Stéphane Gompertz. « Il est possible que nous privilégions l’action en coulisses, qui peut être parfois plus efficace que de grandes déclarations. C’est d’ailleurs généralement l’option privilégiée par la #diplomatie française. » À l’appui de cette idée, l’ancien ambassadeur – qui fut aussi directeur Afrique au Quai d’Orsay – évoque des tractations discrètes mais couronnées de succès menées en 2005 afin de faire libérer des figures d’opposition.

    Si telle est la stratégie française actuellement, ses résultats sont pour l’instant peu concrets. Le quasi-silence français semble en réalité avoir d’autres explications : ne pas gâcher l’#amitié entre Emmanuel Macron et le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali et, surtout, ne pas compromettre les #intérêts_commerciaux français dans un pays vu comme économiquement prometteur et politiquement stratégique.

    Lune de miel

    Lors de sa nomination en 2018, le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali fait figure d’homme de paix et de chantre de la démocratie. Ses efforts de réconciliation avec l’Érythrée voisine lui valent le prix Nobel de la paix ; ses réformes sur la liberté de la presse ou la libération de prisonniers politiques lui attirent l’estime de nombreux chefs d’État étrangers.

    Est-ce une affaire de style ? Le fait qu’ils soient tous les deux jeunes, étiquetés comme libéraux, revendiquant une certaine manière de casser les codes ? Emmanuel Macron et Abiy Ahmed semblent en tout cas particulièrement s’apprécier. L’anecdote veut que lors d’une visite de #Macron à Addis-Abeba en 2019, Abiy Ahmed ait tenu à conduire lui-même la voiture amenant le président français à un dîner officiel.

    Lorsque le premier ministre éthiopien a pris ses fonctions, « les Allemands, les Français, l’UE, tout le monde a mis le paquet sur les aides, tout le monde s’est aligné sur lui. Sauf que, le temps passant, le malaise a grandi et la lune de miel a tourné au vinaigre, analyse une source dans les milieux économiques à Addis-Abeba. Les autres États ont rapidement déchanté. Pas les Français, pour qui la lune de miel a continué. »

    De fait, la transformation du Prix Nobel en chef de guerre ne semble pas avoir altéré sa belle entente avec le président français. Deux semaines après le début des hostilités au Tigré, et alors qu’Abiy Ahmed s’apprêtait à lancer un assaut « sans pitié » sur la ville de Mekele et ses 400 000 habitants, #Emmanuel_Macron qualifiait le premier ministre éthiopien de « role model ». Quelques semaines plus tard, toujours engagé dans ce conflit, Abiy Ahmed Ali trouvait le temps de souhaiter un prompt rétablissement à son « bon ami » Macron, atteint du Covid.

    Pour cette source, le facteur économique et commercial est essentiel : « Les Français sont restés très positifs parce qu’ils se positionnent clairement sur le secteur économique en Éthiopie : ils n’ont pas d’intérêt politique fort, ça n’est pas leur zone d’influence. Mais les #intérêts_économiques, eux, sont importants et sont grandissants. C’est potentiellement un #marché énorme. »

    Marché jugé prometteur

    Pour le conquérir, Paris a employé les grands moyens. En mars 2019, Emmanuel Macron s’est rendu en Éthiopie avec le ministère des affaires étrangères #Jean-Yves_le_Drian et sept patrons français pour y signer une flopée d’#accords visant à « promouvoir l’#attractivité de l’Éthiopie auprès des #investisseurs_français ».

    Les entreprises françaises intéressées par ce marché en voie de #libéralisation ne sont pas des moindres : #Orange (qui compte bien profiter de la privatisation de la compagnie nationale #Ethio_Telecom), le groupe #Castel (qui à travers sa filiale #BGI détient déjà 55 % des parts du marché de la #bière), #Bollore_Logistics ou encore #Canal+, qui compte développer une offre de #télévision locale.

    Les #intérêts_commerciaux français sont nombreux et variés. La #modernisation du #réseau_électrique éthiopien ? #Alstom (36 millions d’euros en 2011). La fabrication des #turbines de l’immense #barrage_hydroélectrique de la Renaissance ? Alstom encore (250 millions d’euros en 2013), qui désormais lorgne sur des projets ferroviaires. Le #bus « à haut niveau de service » qui desservira la capitale éthiopienne ? Les Français de #Razel-Bec (la filiale travaux publics du groupe #Fayat), qui ont remporté le marché en 2020.

    Peu après sa prise de poste, en octobre, l’ambassadeur français #Rémi_Maréchaux se félicitait : « Le nombre d’#entreprises_françaises en Éthiopie a doublé en cinq ans. Nous sommes prêts à travailler ensemble pour davantage d’investissements français. »

    #Contrats_militaires

    Dernier domaine stratégique pour les Français : la #coopération_militaire et les ventes d’#armes. Le dossier était en haut de la pile lors de la visite d’Emmanuel Macron en 2019. La ministre #Florence_Parly, qui était également du voyage, a signé un #accord_de_défense avec son homologue éthiopienne ainsi qu’une lettre d’intention « pour la mise en place d’une composante navale éthiopienne avec l’accompagnement de la France ».

    Une aubaine pour les fabricants d’armes et d’#équipements_militaires français, qui n’ont pas tardé, selon la presse spécialisée, à se manifester pour décrocher des contrats. Parmi eux, #Airbus, qui aimerait vendre des #hélicoptères de combat à l’Éthiopie. Le groupe a pu compter pour défendre ses intérêts sur l’attaché de défense de l’ambassade française à Addis-Abeba (jusque septembre 2020) #Stéphane_Richou, lui-même ancien commandant d’un régiment d’hélicoptères de combat.

    L’#armée de l’air éthiopienne a validé l’offre d’Airbus pour l’acquisition de 18 #hélicoptères_militaires et deux avions-cargos en octobre 2020, mais cherchait toujours des financements. Le déclenchement de la guerre au Tigré – où ces hélicoptères pourraient être utilisés – a-t-il conduit Airbus ainsi que le ministère des armées à reporter, voire annuler cette vente ?

    Ni Airbus ni le ministère n’ont souhaité nous répondre à ce sujet.

    Les affaires se poursuivent en tout cas entre la filiale civile d’Airbus et le gouvernement éthiopien : le 9 novembre, #Ethiopian_Airlines réceptionnait deux Airbus A350-900 pour sa flotte. Le 20 novembre encore, l’ambassadeur français à Addis-Abeba se félicitait d’une rencontre avec le PDG de la compagnie aérienne éthiopienne et ajoutait « Airbus » en hashtag.

    https://twitter.com/RemiMarechaux/status/1329829800031252481

    Quant à la coopération militaire France-Éthiopie, elle semble se poursuivre normalement si l’on en juge cette offre d’emploi de professeur de français à destination de militaires et policiers éthiopiens émise en décembre par la Direction de la coopération de sécurité et de défense du Quai d’Orsay (un contrat d’un an à pourvoir au 1er octobre 2021).

    Interrogé le 19 janvier sur le projet de création d’une #marine_éthiopienne, sur d’éventuelles livraisons d’armes récentes à l’Éthiopie et, plus généralement, sur la coopération militaire avec l’Éthiopie et le fait de savoir si l’évolution de la situation au Tigré était susceptible de la remettre en question, le ministère des armées a fait savoir 48 heures plus tard qu’il ne pourrait pas répondre « étant donné [les] délais ». Mediapart a proposé au ministère de lui accorder un délai supplémentaire pour fournir ses réponses. Le ministère n’a plus donné suite.

    Trop tard ?

    Le ministère des affaires étrangères, lui, n’a répondu à aucune des cinq questions précises que lui avait soumises Mediapart sur la présence de troupes érythréennes, les possibles crimes de guerres commis au Tigré et la coopération militaire avec l’Éthiopie notamment (voir boîte noire).

    Sa réponse condamne toutefois en des termes plus précis que par le passé les exactions commises au Tigré. La France est « profondément préoccupée » par la situation humanitaire sur place, « ainsi que par les allégations de violations des droits de l’homme », indique le Quai d’Orsay, avant d’appeler à la cessation des hostilités et au respect du droit international humanitaire par « toutes les parties au conflit ». Mais est-ce suffisant, et surtout n’est-ce pas trop tard ?

    Les dernières informations en provenance du Tigré évoquent des massacres qui auraient fait plusieurs centaines de morts. Plusieurs vidéos portent sur de possibles tueries dans la ville et l’église d’Aksoum, de la fin novembre à début décembre. Selon l’organisation belge Europe External Programme with Africa (EEPA) ainsi qu’un témoin interrogé par Le Monde, les troupes érythréennes y auraient tué plus de 750 personnes. Dans une interview mise en ligne le 17 janvier, une femme qui se dit témoin direct de ces tueries explique en amharique que « la ville entière, du dépôt de bus au parc, était recouverte de corps ».

    Les attaques et destructions concernent également des sites historiques inestimables ou jugés sacrés. La mosquée de Negash (site d’établissement des premiers musulmans éthiopiens, du temps du prophète Mahomet), datant du VIIe siècle, a été partiellement détruite et pillée. Le plus vieux monastère d’Éthiopie, le monastère orthodoxe de Debre Damo (VIe siècle), a également été attaqué.

    Enfin, Mediapart a pu consulter un témoignage de première main concernant un massacre commis dans l’église Maryam Dengelat – creusée dans la roche entre le VIe et le XIVe siècle par les premiers chrétiens d’Éthiopie –, qui estime que 80 personnes ont été tuées par l’armée érythréenne, parmi lesquelles des prêtres, des personnes âgées et des enfants. Ce témoignage fournit une liste comportant les noms de 35 victimes.

    « Si ces informations étaient confirmées, cela commencerait à ressembler à une stratégie d’anéantissement, non seulement du TPLF, mais du Tigré en tant qu’identité historique et territoriale », commente le chercheur Éloi Ficquet, de l’EHESS.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/210121/en-ethiopie-la-france-partagee-entre-business-et-defense-des-droits-humain
    #Ethiopie #France #armement #commerce_d'armes #vente_d'armes

  • #Vente_d’armes : en secret, l’#exécutif déclare la guerre au #Parlement

    Une note classée « confidentiel défense » dévoile la stratégie du gouvernement pour torpiller les propositions d’un rapport parlementaire sur un contrôle plus démocratique des #exportations d’armement.

    Silence radio. Depuis la publication, le 18 novembre dernier, du #rapport_parlementaire sur les ventes d’armes françaises, l’exécutif n’a pas réagi. Du moins pas officiellement. Car, en réalité, le gouvernement a préparé la riposte dans le secret des cabinets ministériels. Objectif : torpiller le rapport des députés #Jacques_Maire (La République en marche, LRM) et #Michèle_Tabarot (Les Républicains, LR) et les pistes qu’ils suggèrent pour impliquer le Parlement dans le processus de #contrôle des exportations d’armement.

    Disclose a été destinataire d’une note de quatre pages rédigée par le #Secrétariat_général_de_la_défense_et_de_la_sécurité_nationale (#SGDSN), un service directement rattaché à Matignon. Classée « confidentiel défense » – le premier niveau du « secret-défense » –, elle a été transmise au cabinet d’Emmanuel #Macron mais aussi à #Matignon, au #ministère_des_armées, et à celui des affaires étrangères et de l’économie, le 17 novembre dernier. Soit la veille de la publication du #rapport_Maire-Tabarot.

    étouffer les velléités

    Sobrement intitulé « Analyse des 35 propositions du rapport de la mission d’information sur les exportations d’armement Maire-Tabarot », ce document stratégique révèle l’opposition ferme et définitive du gouvernement à une proposition inédite : la création d’une #commission_parlementaire chargée « du contrôle des exportations d’armement ». D’après Jacques Maire et Michèle Tabarot, « cet organe n’interviendrait pas dans le processus d’autorisation des exportations mais contrôlerait, a posteriori, les grands #choix de la politique d’exportation de la France ». Impensable pour le gouvernement, qui entend peser de tout son poids pour étouffer dans l’œuf ces velléités de #transparence.

    Newsletter

    Selon les analystes de la SGDSN, cette proposition doit constituer le « point d’attention majeur » du pouvoir exécutif ; autrement dit, celui qu’il faut absolument enterrer. Le document explique pourquoi : « Sous couvert d’un objectif d’une plus grande transparence et d’un meilleur dialogue entre les pouvoirs exécutif et #législatif, l’objectif semble bien de contraindre la politique du gouvernement en matière d’exportation en renforçant le #contrôle_parlementaire. » A lire les gardiens du temple militaro-industriel français, plus de transparence reviendrait à entraver la #liberté_de_commerce de l’Etat. Et la SGDSN de prévenir : ces mesures pourraient « entraîner des effets d’éviction de l’#industrie françaises dans certains pays ».

    protéger les « clients »

    Si la commission parlementaire devait malgré tout voir le jour, le note préconise qu’elle ne puisse « en aucun cas » obtenir un suivi précis des transferts d’armes. Les élus devront se contenter du rapport qui leur est remis par le gouvernement chaque année, lequel ne précise ni les bénéficiaires du matériel ni son utilisation finale.

    « Cette implication de parlementaires, alertent encore les auteurs, pourrait mener à une fragilisation du principe du #secret_de_la_défense_nationale (…) ainsi que du #secret_des_affaires et du secret lié aux relations diplomatiques avec nos partenaires stratégiques. » Le risque pour l’Etat ? Que « les clients » soient « soumis à une politisation accrue des décisions » qui nuirait aux affaires et provoquerait la « fragilisation de notre #crédibilité et de notre capacité à établir des #partenariats_stratégiques sur le long terme, et donc de notre capacité à exporter ». En ligne de mire, des pays comme l’#Arabie_saoudite ou l’#Egypte, le principal client de l’industrie tricolore en 2019 (https://disclose.ngo/fr/news/la-france-bat-des-records-en-matiere-de-vente-darmes).

    Selon les analystes de le SGDSN, la création d’un contrôle parlementaire sur les exportations aurait également « des conséquences pour le gouvernement, dont les différents ministres seraient exposés ». Comme ce fut le cas en 2019, lorsque la ministre des armées, #Florence_Parly, dû s’expliquer sur ses #mensonges répétés après les révélations de Disclose sur les armes vendues à l’Arabie saoudite et utilisées dans la guerre au #Yémen (https://made-in-france.disclose.ngo/fr).

    « effet de bord »

    Un autre élément semble susciter l’inquiétude au plus haut sommet de l’Etat : la volonté de convergence entre les représentants des différents parlements de l’Union européenne. Pour Jacques Maire et Michèle Tabarot, ce « #dialogue_interparlementaire » permettrait une meilleure coopération entre Etats membres. Trop risqué, selon le gouvernement, qui y voit « le risque d’un effet de bord qui exposerait notre politique à des enjeux internes propres à certains de nos voisins européens ».

    Sur ce point, l’analyse aurait pu s’arrêter là. Mais le Quai d’Orsay a voulu préciser le fond de sa pensée, comme le révèlent les modifications apportées au document d’origine. Le cabinet de Jean-Yves Le Drian précise, en rouge dans le texte, qu’une telle convergence entre élus européens serait « particulièrement préoccupante », en particulier concernant le Parlement allemand. « Nous n’avons aucun moyen de maîtriser les vicissitudes [de la politique intérieure allemande] »,et la « forte mobilisation, très idéologique, du Parlement [allemand] sur les exportations d’armement », souligne le ministère des affaires étrangères dans ce mail que Disclose s’est procuré.

    Ce commentaire illustre les tensions sur ce sujet avec le voisin allemand, qui a mis en place en octobre 2018 un #embargo, toujours en cours, sur ses ventes d’armes à l’Arabie saoudite à la suite de l’assassinat du journaliste #Jamal_Khashoggi à Istanbul. Une décision jugée à l’époque incompréhensible pour Emmanuel Macron. Les ventes d’armes « n’ont rien à voir avec M. #Khashoggi, il ne faut pas tout confondre », avait alors déclaré le chef de l’Etat, précisant que cette mesure était, selon lui, « pure #démagogie ». Une fois le problème allemand évacué, le Quai d’Orsay désigne enfin le véritable ennemi : les #institutions_européennes, considérées comme « hostiles à nos intérêts dans le domaine du contrôle des exportations sensibles ».

    ouverture en trompe-l’œil

    L’exécutif aurait-il peur du #contrôle_démocratique ? Il s’en défend et feint même de vouloir protéger les députés contre un piège tendu à eux-mêmes. « Les parlementaires impliqués dans le contrôle des exportations (…) ne pourraient pas répondre aux demandes de transparence » et se retrouveraient « de facto solidaires des décisions prises », explique le document. En d’autres termes, s’il leur prenait de vouloir contester la politique de ventes d’armes de la France, les élus seraient de toute façon soumis au « #secret-défense ». Inutile, donc, qu’ils perdent leur temps.

    Pour finir, les services du premier ministre formulent une liste de recommandations quant à la réaction à adopter face à cet épineux rapport. Première d’entre elles, « adopter une position ouverte » sur les propositions de « renforcement de l’information du Parlement ». Un trompe-l’œil, car l’essentiel est ailleurs. « Il convient, poursuit le texte, de confirmer avec les principaux responsables de l’[#Assemblée_nationale] » qu’ils s’opposeront à la plus importante proposition du texte, soit la création d’une #délégation_parlementaire.

    En guise de dernière suggestion, les auteurs de la note invitent l’exécutif à définir « une #ligne_de_communication » face à la médiatisation du rapport et les réactions des ONG. Une ligne de communication désormais beaucoup plus claire, en effet.

    La note « confidentiel défense » dont Disclose a été destinataire est protégée par l’article 413-9 du code pénal sur le secret de la défense nationale. Nous avons néanmoins décidé d’en publier le contenu car ces informations relèvent de l’intérêt général et doivent par conséquent être portées à la connaissance du public. Par souci pour la sécurité de nos sources, nous ne publions pas le document dans son intégralité.

    https://disclose.ngo/fr/article/vente-darmes-en-secret-lexecutif-declare-la-guerre-au-parlement
    #armes #commerce_d'armes #armement #France #UE #EU #démocratie

    ping @reka @simplicissimus

  • #Vente_d’armes : en secret, l’#exécutif déclare la guerre au #Parlement

    Une note classée « confidentiel défense » dévoile la stratégie du gouvernement pour torpiller les propositions d’un rapport parlementaire sur un contrôle plus démocratique des #exportations d’armement.

    Silence radio. Depuis la publication, le 18 novembre dernier, du #rapport_parlementaire sur les ventes d’armes françaises, l’exécutif n’a pas réagi. Du moins pas officiellement. Car, en réalité, le gouvernement a préparé la riposte dans le secret des cabinets ministériels. Objectif : torpiller le rapport des députés #Jacques_Maire (La République en marche, LRM) et #Michèle_Tabarot (Les Républicains, LR) et les pistes qu’ils suggèrent pour impliquer le Parlement dans le processus de #contrôle des exportations d’armement.

    Disclose a été destinataire d’une note de quatre pages rédigée par le #Secrétariat_général_de_la_défense_et_de_la_sécurité_nationale (#SGDSN), un service directement rattaché à Matignon. Classée « confidentiel défense » – le premier niveau du « secret-défense » –, elle a été transmise au cabinet d’Emmanuel #Macron mais aussi à #Matignon, au #ministère_des_armées, et à celui des affaires étrangères et de l’économie, le 17 novembre dernier. Soit la veille de la publication du #rapport_Maire-Tabarot.

    étouffer les velléités

    Sobrement intitulé « Analyse des 35 propositions du rapport de la mission d’information sur les exportations d’armement Maire-Tabarot », ce document stratégique révèle l’opposition ferme et définitive du gouvernement à une proposition inédite : la création d’une #commission_parlementaire chargée « du contrôle des exportations d’armement ». D’après Jacques Maire et Michèle Tabarot, « cet organe n’interviendrait pas dans le processus d’autorisation des exportations mais contrôlerait, a posteriori, les grands #choix de la politique d’exportation de la France ». Impensable pour le gouvernement, qui entend peser de tout son poids pour étouffer dans l’œuf ces velléités de #transparence.

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    Selon les analystes de la SGDSN, cette proposition doit constituer le « point d’attention majeur » du pouvoir exécutif ; autrement dit, celui qu’il faut absolument enterrer. Le document explique pourquoi : « Sous couvert d’un objectif d’une plus grande transparence et d’un meilleur dialogue entre les pouvoirs exécutif et #législatif, l’objectif semble bien de contraindre la politique du gouvernement en matière d’exportation en renforçant le #contrôle_parlementaire. » A lire les gardiens du temple militaro-industriel français, plus de transparence reviendrait à entraver la #liberté_de_commerce de l’Etat. Et la SGDSN de prévenir : ces mesures pourraient « entraîner des effets d’éviction de l’#industrie françaises dans certains pays ».

    protéger les « clients »

    Si la commission parlementaire devait malgré tout voir le jour, le note préconise qu’elle ne puisse « en aucun cas » obtenir un suivi précis des transferts d’armes. Les élus devront se contenter du rapport qui leur est remis par le gouvernement chaque année, lequel ne précise ni les bénéficiaires du matériel ni son utilisation finale.

    « Cette implication de parlementaires, alertent encore les auteurs, pourrait mener à une fragilisation du principe du #secret_de_la_défense_nationale (…) ainsi que du #secret_des_affaires et du secret lié aux relations diplomatiques avec nos partenaires stratégiques. » Le risque pour l’Etat ? Que « les clients » soient « soumis à une politisation accrue des décisions » qui nuirait aux affaires et provoquerait la « fragilisation de notre #crédibilité et de notre capacité à établir des #partenariats_stratégiques sur le long terme, et donc de notre capacité à exporter ». En ligne de mire, des pays comme l’#Arabie_saoudite ou l’#Egypte, le principal client de l’industrie tricolore en 2019 (https://disclose.ngo/fr/news/la-france-bat-des-records-en-matiere-de-vente-darmes).

    Selon les analystes de le SGDSN, la création d’un contrôle parlementaire sur les exportations aurait également « des conséquences pour le gouvernement, dont les différents ministres seraient exposés ». Comme ce fut le cas en 2019, lorsque la ministre des armées, #Florence_Parly, dû s’expliquer sur ses #mensonges répétés après les révélations de Disclose sur les armes vendues à l’Arabie saoudite et utilisées dans la guerre au #Yémen (https://made-in-france.disclose.ngo/fr).

    « effet de bord »

    Un autre élément semble susciter l’inquiétude au plus haut sommet de l’Etat : la volonté de convergence entre les représentants des différents parlements de l’Union européenne. Pour Jacques Maire et Michèle Tabarot, ce « #dialogue_interparlementaire » permettrait une meilleure coopération entre Etats membres. Trop risqué, selon le gouvernement, qui y voit « le risque d’un effet de bord qui exposerait notre politique à des enjeux internes propres à certains de nos voisins européens ».

    Sur ce point, l’analyse aurait pu s’arrêter là. Mais le Quai d’Orsay a voulu préciser le fond de sa pensée, comme le révèlent les modifications apportées au document d’origine. Le cabinet de Jean-Yves Le Drian précise, en rouge dans le texte, qu’une telle convergence entre élus européens serait « particulièrement préoccupante », en particulier concernant le Parlement allemand. « Nous n’avons aucun moyen de maîtriser les vicissitudes [de la politique intérieure allemande] »,et la « forte mobilisation, très idéologique, du Parlement [allemand] sur les exportations d’armement », souligne le ministère des affaires étrangères dans ce mail que Disclose s’est procuré.

    Ce commentaire illustre les tensions sur ce sujet avec le voisin allemand, qui a mis en place en octobre 2018 un #embargo, toujours en cours, sur ses ventes d’armes à l’Arabie saoudite à la suite de l’assassinat du journaliste #Jamal_Khashoggi à Istanbul. Une décision jugée à l’époque incompréhensible pour Emmanuel Macron. Les ventes d’armes « n’ont rien à voir avec M. #Khashoggi, il ne faut pas tout confondre », avait alors déclaré le chef de l’Etat, précisant que cette mesure était, selon lui, « pure #démagogie ». Une fois le problème allemand évacué, le Quai d’Orsay désigne enfin le véritable ennemi : les #institutions_européennes, considérées comme « hostiles à nos intérêts dans le domaine du contrôle des exportations sensibles ».

    ouverture en trompe-l’œil

    L’exécutif aurait-il peur du #contrôle_démocratique ? Il s’en défend et feint même de vouloir protéger les députés contre un piège tendu à eux-mêmes. « Les parlementaires impliqués dans le contrôle des exportations (…) ne pourraient pas répondre aux demandes de transparence » et se retrouveraient « de facto solidaires des décisions prises », explique le document. En d’autres termes, s’il leur prenait de vouloir contester la politique de ventes d’armes de la France, les élus seraient de toute façon soumis au « #secret-défense ». Inutile, donc, qu’ils perdent leur temps.

    Pour finir, les services du premier ministre formulent une liste de recommandations quant à la réaction à adopter face à cet épineux rapport. Première d’entre elles, « adopter une position ouverte » sur les propositions de « renforcement de l’information du Parlement ». Un trompe-l’œil, car l’essentiel est ailleurs. « Il convient, poursuit le texte, de confirmer avec les principaux responsables de l’[#Assemblée_nationale] » qu’ils s’opposeront à la plus importante proposition du texte, soit la création d’une #délégation_parlementaire.

    En guise de dernière suggestion, les auteurs de la note invitent l’exécutif à définir « une #ligne_de_communication » face à la médiatisation du rapport et les réactions des ONG. Une ligne de communication désormais beaucoup plus claire, en effet.

    La note « confidentiel défense » dont Disclose a été destinataire est protégée par l’article 413-9 du code pénal sur le secret de la défense nationale. Nous avons néanmoins décidé d’en publier le contenu car ces informations relèvent de l’intérêt général et doivent par conséquent être portées à la connaissance du public. Par souci pour la sécurité de nos sources, nous ne publions pas le document dans son intégralité.

    https://disclose.ngo/fr/article/vente-darmes-en-secret-lexecutif-declare-la-guerre-au-parlement
    #armes #commerce_d'armes #armement #France #UE #EU #démocratie

    ping @reka @simplicissimus

  • Septante Minutes Avec Florence Hainaut & Marie Peltier – La Cancel Culture
    #audio : https://www.jaimebienquandtuparles.com/septante-minutes-avec-florence-hainaut-marie-peltier-la-canc


    La Cancel Culture existe-t-elle vraiment ? Qui empêche-t-on vraiment de s’exprimer ? Quel rôle le conspirationnisme joue-t-il vis-à-vis des systèmes d’oppressions ?
    Au final l’émission tourne surtout autour du #harcèlement et du #féminisme, de manière assez logique pour qui a creusé ces questions.
    Je ne peux que conseiller l’écoute de cette émission. J’apporterai une nuance : amha #twitter n’est pas prévu pour être un réseau social mais est devenu un outil indispensable pour les professionnel-le-s de l’info. Et, comme partout, les femmes s’effacent face aux grandes gueules.
    Je suis très inquiète de voir la plupart des gens minorer la percée du #complotisme actuellement en France. Je trouve beaucoup moins méprisant de tirer la sonnette d’alarme sur les groupes (Gilets Jaunes, anti-masques...) que de croire que ça épargnera plus la France que les Etats-Unis. Je parle bien des groupes, pas de toi, là, qui doute à juste titre vu le confusionnisme à tous les étages.
    Comme le dit très justement Marie Peltier, face au harcèlement et aux thèses complotistes, on n’a pas besoin de « petit cœurs » et de « câlin virtuel » mais d’une PO-LI-TI-SA-TION de ces sujets, bordel ! Ces groupes ne se forment pas par hasard : ils rassemblent et fédèrent des angoisses de #mascus, de #racistes et autres flippé-e-s qui ont besoin de e rassurer... coûte que coûte.

    #mythe #construction #cancel_culture #réseaux-sociaux

  • Florence Nightingale: how the lady with the lamp was guided by father’s advice | Nursing | The Guardian

    http://www.theguardian.com/society/2020/sep/06/florence-nightingale-how-the-lady-with-the-lamp-was-guided-by-fathers-a

    #Florence_Nightingale: how the lady with the lamp was guided by father’s advice

    Letters reveal that the 19th-century pioneer’s radical approach to healthcare was inspired by a strict family regime
    Florence Nightingale in the hospital at Scutari, Crimean War, 1855
    Florence Nightingale on her rounds in the Barrack hospital at Scutari during the Crimean war, 1855.

    Dalya Alberge
    Sun 6 Sep 2020 08.04 BST

    Last modified on Sun 6 Sep 2020 09.17 BST

    She was the 19th-century pioneer of modern nursing, dubbed the “lady with the lamp” for her continuous care of wounded soldiers in the Crimean war. In an earlier age of contagion, she was far ahead of her time in realising that cleanliness, fresh air and open-air exercise helped patients recover from injury and disease.

    Now a previously unpublished letter that Florence Nightingale received as a teenager from her father reveals that he was a major inspiration in shaping her radical approach to a healthy mind and body.

    In 1835, William Nightingale wrote to his daughter setting out a strict regime for keeping fit: “Exercise for 10 minutes every day before breakfast. Before you dress do the exercise of the arms 20 times. In the course of the day 20 minutes’ exercise must be done and if not well done 10 minutes more. Run down to the gate before breakfast by the road … Every day you must be an hour out of doors before dinner unless you have permission to do otherwise.”

    #cartographie #visualisation #précurseuses #présurseurs #cartoexperiment #information_design

  • #Nadezhda_De_Santis

    Sa tombe, dans le cimetière de #Florence :


    https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Cimitero_degli_inglesi,_tomba_Nadezhda_De_Santis,_schiava_

    Je découvre cette tombe et son nom dans le livre La linea del colore de #Igiaba_Scego :


    https://www.bompiani.it/catalogo/la-linea-del-colore-9788830101418

    Sur internet, je trouve très peu d’informations sur cette dame enterrée à Venise :

    Nadezhda De Santis, a black Nubian slave brought to Florence at fourteen from #Jean-François_Champollion ’s 1827 expedition to Egypt and Nubia, while the French Royalist exile Félicie de Fauveau sculpted two tombs here

    https://en.wikipedia.org/wiki/English_Cemetery,_Florence
    #esclavage #Nubie #colonialisme #colonisation #histoire

    –-> peut-être des seenthisien·nes en savent plus ? @simplicissimus ?

    J’ajoute à la métaliste Italie coloniale, car cette femme est enterrée en Italie...
    https://seenthis.net/messages/871953

  • A l’#Ehpad des Quatre-Saisons, la vie et la mort au jour le jour
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/03/31/coronavirus-a-l-ehpad-des-quatre-saisons-la-vie-et-la-mort-au-jour-le-jour_6

    #Reportage

    #Florence_Aubenas, grande reporter au « Monde », a passé les onze premiers jours de confinement avec des #personnes_âgées à Bagnolet, en Seine-Saint-Denis. Face à la progression du #coronavirus, le personnel tente de faire face.

    [Les Quatre-Saisons, où vivent 65 résidents, fait partie des quelque 7 000 Ehpad que compte la France. Dans cette #maison_de_retraite de #Bagnolet, en #banlieue proche de #Paris, le quotidien a été totalement bouleversé, à partir de la mi-mars, par les mesures de protection contre le virus. Les visites étant interdites, récit de la vie confinée.]

    #confinement

  • Sur le plancher des vaches (IV/I)
    Symboles (et plus si affinités)

    Natalie

    https://lavoiedujaguar.net/Sur-le-plancher-des-vaches-IV-I-Symboles-et-plus-si-affinites

    Paris, le 7 octobre 2019
    Amis,

    « Le plancher des vaches » inaugural jouait avec quelques pseudo-vérités concernant ce que l’on a nommé la « technontologie ». La principale question posée était celle-ci : Notre genre d’humain n’aurait-il pas une certaine propension à recycler sans fin le divin Un ? Si tel était le cas, Dieu ne serait pas mort, mais où s’cache t’El crénom ?

    Le champ d’investigation proposé pour tenter de répondre à cette question est celui du monde du travail. « Le plancher des vaches II » a brossé à grand traits quelques dispositifs structurants mis en place à l’échelon mondial depuis les années 1980, dispositifs dont on a affirmé, dans « le plancher des vaches III », qu’ils dessinent un mouvement progressif de chosification du vivant.

    Ce mouvement n’est pas récent, mais on fait ici l’hypothèse qu’après la prise de corps opérée par la division scientifique du travail, puis le remplacement de bien des corps par des machines, l’époque actuelle est à la prise de tête. Nous avons réduit celle-ci au seul vocable de normalisation — nom proposé pour les tables de la loi —, soit un état de normalité, ce qui pourrait sembler à d’aucuns rassurant. Mais dans ce terme, au-delà de la norme, il y a un caractère de procédé, une proactivité et, sous-jacentes à celle-ci, des nécessités de vérifier ladite normalité. (...)

    #Dieu #normalisation #loi #Florence_Parly #intelligence_artificielle #symbole #cercle #Terre #religion #flèches #projet #développement_durable #trinité #génome #borroméen #plan #parousie #entreprise #objectif #stratégie #Hannah_Arendt