• La diversification agricole en grandes cultures en Île-de-France
    https://metropolitiques.eu/La-diversification-agricole-en-grandes-cultures-en-Ile-de-France-196

    L’analyse des données d’occupation du sol révèle une activité maraîchère croissante au sein d’exploitations de grandes cultures céréalières du bassin parisien. C’est ce que montrent Agathe Delebarre, Ségolène Darly, Romain Melot, qui avancent des pistes d’explication. Dans les pays développés ayant connu la révolution verte, les systèmes agricoles ont suivi une trajectoire de spécialisation considérable marquée par le déclin des exploitations en polyculture élevage et une simplification des rotations en #Essais

    / #maraîchage, #agriculture, #Île-de-France, #foncier

  • Cinque anni dopo la tempesta Vaia. Quale impronta ha lasciato e che cosa non abbiamo capito

    A fine ottobre 2018 un evento atmosferico estremo di acqua e di vento sconvolgeva le strutture forestali delle Alpi italiane Nord-orientali: 42mila ettari di boschi schiantati, 10 milioni di metri cubi di alberi abbattuti, oltre 16 milioni di piante. Luigi Casanova traccia un bilancio del “recupero” e del dopo. Con le fotografie di Michele Lapini

    A cinque anni dall’evento è bene riflettere su che cosa abbia significato la tempesta Vaia della fine di ottobre del 2018. Acqua e vento hanno stravolto le strutture forestali delle Alpi italiane Nord-orientali. Dapprima le foreste avevano sofferto un lungo periodo siccitoso. Le temperature, anche in quota, erano fuori scala, elevate. A mille metri di primo mattino le temperature superavano ovunque i dieci gradi, nel pomeriggio si superavano i 26, lo zero termico era stabile oltre i 4.000 metri di quota.

    Lo scenario si ruppe improvvisamente e dal 27 ottobre iniziò a piovere, abbondantemente. Nella tarda serata del 29 ottobre 2018 la pioggia cadde accompagnata da folate di vento caldo sempre più intense, venti che arrivarono a superare le velocità di 150 chilometri all’ora, a passo Rolle si sono registrati picchi di 208.

    Dalle nostre finestre (dalle Valle di Fiemme) si sentivano gli schianti degli alberi, schianti continui, sempre più fragorosi, come mai avevamo percepito nel passato. Nelle prime ore del mattino seguente la pioggia calava di intensità, la pausa delle precipitazioni aveva permesso ai proprietari di cani di uscire, ancora al buio li incontravo mentre scioccato arrivavo in prossimità dei boschi che dovevo controllare. Appena fuori dal paese, tra squarci di nebbie e nuvole, si intravvedeva la distruzione. Inimmaginabile: i boschi tanto amati, le foreste che fino alla sera prima ci proteggevano non c’erano più. Desolazione diffusa, tutto era a terra, strade e sentieri interrotti, impossibile proseguire sui percorsi a noi tanto cari. L’impotenza e l’incredulità, a tutti, facevano scendere lacrime. I pochi che erano usciti -stava arrivando la prima luce del giorno- erano sbigottiti, mi chiedevano spiegazioni che al momento non sapevo fornire tanto ero sconvolto.

    Eppure sapevo, era accaduto su tutta Europa, sulle Alpi dell’Ovest e del Nord. Un susseguirsi di tempeste dagli anni 90 in poi avevano devastato versanti interi, centinaia di milioni di metri cubi di schianti, e poi il bostrico, il parassita che non perdona le monocolture di abete rosso, i boschi coetanei. In Italia non doveva accadere? Perché la scienza non aveva allarmato tecnici e politici?

    Ma nei numeri, che cosa è stata Vaia? Dapprima danni causati dalle acque, strade e ponti divelti, una decina i morti, una vera alluvione specie in Veneto, Friuli e Südtirol. Ben 42.000 ettari di boschi schiantati, quasi al 100%. Dieci milioni di metri cubi gli alberi abbattuti, oltre 16 milioni di piante.

    E poi, anche causa l’inefficienza di un sistema impreparato ad affrontare una simile catastrofe forestale, negli anni successivi è arrivato il bostrico (Ips typographus), un insettino parassita dell’abete rosso che attacca le piante sofferenti. Dal 2022 a oggi nell’areale di Vaia possiamo contare con certezza almeno altri 10 milioni di metri cubi di piante morte e altrettante ancora saranno a fine epidemia, prevista per il 2025-2026.

    Perché ci siamo trovati in presenza di un sistema inefficiente? Perché nelle Alpi interessate le squadre boschive erano in sofferenza, pochi uomini, poca specializzazione. Si è dovuto fare affidamento su grandi compagnie austriache e slovene: queste sono intervenute con macchinari non idonei ai nostri ripidi versanti (harvester e forwader) muniti di cingoli che distruggevano la rinnovazione naturale e scavavano nel terreno povero solchi profondi che favorivano la successiva erosione dei suoli. Gran parte di questo legname è stato venduto all’estero, perfino in Cina. Più che venduto, svenduto.

    I servizi forestali delle Regioni e Province autonome non sono andati per il sottile. In funzione antivalanghe e parasassi hanno diffuso ovunque imponenti strutture in ferro a protezione di abitati e viabilità (nella maggioranza dei casi era sufficiente lasciare a terra del legname ormai deperito, in attesa di una veloce ripresa della rinnovazione naturale). Si sono costruite centinaia di nuove strade forestali inutili, a distanza parallela di 70-100 metri di quota una dall’altra, ampie anche fino e oltre i quattro metri. In Trentino come nel bellunese, sul Cansiglio come sull’Altopiano dei sette Comuni, in Alto Adige.

    Queste strade, una volta raccolto il legname, rimangono un costo sulle casse pubbliche per manutenzione anche straordinaria e per di più rimarranno inutilizzate per almeno 60-80 anni, fino a quando non vi sarà nuova foresta da gestire. E hanno ulteriormente frammentato le superfici boschive imponendovi corridoi di penetrazione di venti e provocando comunque danni naturalistici. Si pensi alle arene di canto dei tetraonidi (sottofamiglia di uccelli della famiglia dei Fasianidi, ndr) distrutte, o alle aree di svernamento degli ungulati definitivamente disturbate. Come insegnano i gestori delle foreste del Nord delle Alpi laddove vi erano situazioni di rischio era sufficiente lasciare a terra il legname schiantato (veniva svenduto a 10, 20 euro il metro cubo). Sulle superfici più ampie, utilizzando l’enorme patrimonio viabilistico delle Alpi italiane, era sufficiente utilizzare le teleferiche.

    Nella gestione del dopo Vaia si è intervenuti con politiche di tipo puramente ingegneristico, evitando ogni minima attenzione alla naturalità dei versanti, alla biodiversità e a delicati interventi in aree protette Rete Natura 2000 e parchi.

    Che cosa ci dice il dopo Vaia? Che l’Italia, pur avendo oltre il 30% di suolo coperto da foreste, non è in grado di gestire il suo patrimonio in modo naturalistico. Che abbiamo disperso un patrimonio di conoscenze tecniche manuali nel lavoro del bosco difficilmente recuperabile in tempi brevi. Che il personale ha bisogno di formazione continua: devono essere gli enti pubblici proprietari a dotarsi di personale stagionale ad alta specializzazione coadiuvato dalla vigilanza del corpo dei Carabinieri forestali. Che non disponiamo di una filiera del legno capace di produrre nelle valli valore aggiunto. Quando si va in crisi, il legno lo si brucia negli impianti a biomasse. Una follia in tempi di eccesso di CO2 in atmosfera: il legno la cattura e la trattiene fino a fine vita. Che abbiamo perso un’occasione straordinaria per investire in ricerca scientifica e naturalistica (ad esempio seguire passo dopo passo l’evoluzione delle nuove foreste e della fertilità dei suoli).

    Che è necessario, da subito, imporre alle Regioni delle aggiornate carte dei pericoli che tengano presenti gli effetti sui suoli, sui versanti, dei cambiamenti climatici in atto. E che queste carte, con l’ausilio di scienze multi specifiche, vanno aggiornate periodicamente, e sempre più spesso. Laddove vi è solo un minimo sentore di pericolo non si dovrà costruire nel modo più assoluto.

    Vaia, come avevano sollecitato fin da subito gli ambientalisti, è senza dubbio stata una tempesta devastante. Una politica intelligente, meno propensa all’improvvisazione e alla speculazione, vi avrebbe colto mille opportunità di lavoro da portare sulle montagne, sia intellettuale sia manuale. Quindi avrebbe rilanciato un settore vitale del vivere la montagna: la politica forestale capace di garantire nel lungo periodo sicurezza, naturalità, ricreazione e per ultimo aspetto, produzione.

    https://altreconomia.it/cinque-anni-dopo-la-tempesta-vaia-quale-impronta-ha-lasciato-e-che-cosa

    #forêt #catastrophe #catastrophe_naturelle #Vaia #tempête #Italie #Fiemme #Tempesta_Vaia #Val_di_Fiemme

    voir aussi:
    #Val_di_Fiemme, #Italie. Les #dégâts causés par la #Tempesta_Vaia encore visibles dans le paysage en 2019
    https://seenthis.net/messages/797342

  • Les bancs publics, une particularité du #paysage suisse

    À l’orée des forêts, au bord des lacs, sur les flancs des montagnes et dans les parcs municipaux… En Suisse, on trouve des bancs partout. Mais loin d’être un simple meuble dans le paysage, le banc est aussi un objet politique. À la croisée des chemins entre l’ordre et la détente dans l’#espace_public.

    Personne n’aurait sans doute l’idée de se poster à un coin de rue pour observer les gens pendant des heures. Mais il paraît tout à fait naturel, en revanche, de s’asseoir sur un banc pour contempler les allées et venues. On peut même y engager le dialogue avec de parfaits étrangers, converser à sa guise et nouer des liens éphémères. C’est pourquoi les #personnes_âgées solitaires, en particulier, passent parfois des après-midi entiers assises sur le banc d’un arrêt d’autobus. « Les gens aiment s’asseoir dans les endroits animés », explique Sabina Ruff, responsable de l’espace public de la ville de Frauenfeld. Elle cite la place Bullinger, par exemple, ou la terrasse du Zollhaus à Zurich. « Il y a là des trains qui passent, des vélos, des piétons et des voitures. La place du Sechseläuten, aussi à Zurich, est aussi un bel exemple, car elle compte des chaises qui peuvent être installées selon les goûts de chacun. »

    Une #fonction_sociale

    Oui, le banc est un endroit social, confirme Renate Albrecher. La sociologue sait de quoi elle parle, car elle est assistante scientifique au Laboratoire de sociologie urbaine de l’EPFL et elle a fondé une association visant à promouvoir la « #culture banc’aire » helvétique. #Bankkultur cartographie les bancs du pays et révèle ses « secrets banc’aires », notamment avec l’aide d’une communauté d’enthousiastes qui téléchargent leurs photos sur la plate-forme. Renate Albrecher rappelle que les premiers bancs publics, en Suisse, étaient déjà placés aux croisées des chemins et près des gares, c’est-à-dire là où l’on voyait passer les gens. Plus tard, avec l’essor du tourisme étranger, des bancs ont fait leur apparition dans tous les endroits dotés d’une belle vue.

    L’un des tout premiers fut installé près des fameuses chutes du Giessbach (BE). Il permettait de contempler la « nature sauvage », célébrée par les peintres de l’époque. Des sentiers pédestres ayant été aménagés parallèlement à l’installation des bancs, « les touristes anglais n’avaient pas à salir leurs belles chaussures », note la sociologue. Aujourd’hui, il paraît naturel de trouver des bancs publics un peu partout dans le paysage suisse. Leur omniprésence jusque dans les coins les plus reculés des plus petites communes touristiques est également le fruit du travail des nombreuses sociétés d’embellissement, spécialisées depuis deux siècles dans l’installation des bancs.

    Un banc fonctionnel

    Dans les villes, par contre, les bancs sont quelquefois placés dans des endroits peu plaisants, dénués de vue ou à côté d’une route bruyante. Jenny Leuba, responsable de projets au sein de l’association Mobilité piétonne Suisse, éclaire notre lanterne. Ces bancs, dit-elle, peuvent être situés à mi-chemin entre un centre commercial et un arrêt de bus, ou le long d’un chemin pentu. « Ils permettent de reprendre son souffle et de se reposer et sont donc indispensables, surtout pour les seniors. »

    « Les gens aiment s’asseoir dans les endroits animés. » Sabina Ruff

    Jenny Leuba aborde ainsi une autre fonction du banc : la population doit pouvoir se déplacer à pied en ville. Pour que cela s’applique aussi aux personnes âgées, aux familles accompagnées d’enfants, aux malades, aux blessés, aux personnes handicapées et à leurs accompagnants, on a besoin d’un réseau de bancs qui relie les quartiers et permette de « refaire le plein » d’énergie. Pour Renate Albrecher, le banc est ainsi la station-service des #piétons.

    Un élément des #plans_de_mobilité

    Jenny Leuba, qui a élaboré des concepts d’installation de bancs publics pour plusieurs villes et communes suisses, a constaté une chose surprenante : bien qu’un banc coûte jusqu’à 5000 francs, les autorités ne savent pas combien leur ville en possède. Elle pense que cela est dû au morcellement des responsabilités concernant les places, les parcs et les rues. « Il n’existe pas d’office de l’espace public, et on manque donc d’une vue d’ensemble. » D’après Renate Albrecher, c’est aussi la raison pour laquelle les bancs publics sont oubliés dans les plans de mobilité. « Il n’existe pas de lobby du banc », regrette-t-elle. Les trois spécialistes sont d’accord pour dire qu’en matière de bancs publics, la plupart des villes pourraient faire mieux. De plus, on manque de bancs précisément là où on en aurait le plus besoin, par exemple dans les quartiers résidentiels comptant de nombreux seniors : « Plus on s’éloigne du centre-ville, moins il y a de bancs. »

    #Conflit de besoins

    Le bois est le matériau préféré de Renate Albrecher, et les sondages montrent qu’il en va de même pour les autres usagers des bancs. Cependant, les villes veulent du mobilier qui résiste au vandalisme, qui dure éternellement et qui soit peut-être même capable d’arrêter les voitures. C’est pourquoi le béton ou le métal pullulent. Et ce, même si les personnes âgées ont du mal à se relever d’un bloc de béton, et si le métal est trop chaud pour s’asseoir en été, et trop froid en hiver. Que faire pour que l’espace public, qui, « par définition, appartient à tout le monde », note Sabina Ruff, soit accessible en tout temps à toute la population ? Le mot magique est « participation ». Dans le cadre d’un projet de recherche européen, Renate Albrecher a développé une application de navigation, qui a été testée à Munich, entre autres. Une réussite : « Notre projet est parvenu à rassembler des usagers des bancs publics qui, d’ordinaire, ne participent pas à ce genre d’initiatives ». Dans plusieurs villes suisses, des inspections de quartier sont organisées sous la houlette de « Promotion Santé Suisse ». Également un succès. « Désormais, les autorités sont plus sensibles au sujet », relève Jenny Leuba, de Mobilité piétonne Suisse.

    Un salon en plein air

    Tandis que des espaces de #détente munis de sièges ont été supprimés ou rendus inconfortables ces dernières années pour éviter que les gens ne s’y attardent, notamment autour des gares, certaines villes suisses font aujourd’hui œuvre de pionnières et aménagent par endroits l’espace public comme un #salon. Pour cela, elles ferment à la circulation des tronçons de rues ou transforment des places de #parc. À Berne, par exemple, une partie de la place Waisenhaus accueille depuis 2018 une scène, des sièges, des jeux et des îlots verts en été. Cet aménagement limité dans le temps possède un avantage : il ne nécessite aucune procédure d’autorisation fastidieuse et permet de mettre rapidement un projet sur pied, relève Claudia Luder, cheffe de projets à la Direction des ponts et chaussées de la ville de Berne. Elle dirige également le centre de compétence pour l’espace public (KORA), qui promeut la collaboration entre les différents offices municipaux et la population dans la capitale fédérale, et qui fait donc figure de modèle en matière de coordination et de participation. Claudia Luder note que les installations temporaires réduisent également les craintes face au bruit et aux déchets. Elle soulève ainsi le sujet des #conflits_d’usage pouvant naître dans un espace public agréablement aménagé. Des conflits qui sont désamorcés, selon Jenny Leuba, par les expériences positives faites dans des lieux provisoires comme à Berne, ou par une série d’astuces « techniques ». Deux bancs publics qui se font face attirent les groupes nombreux, tout comme les lieux bien éclairés. Les petits coins retirés et discrets sont eux aussi appréciés. La ville de Coire, raconte Jenny Leuba, propose également une solution intéressante : les propriétaires des magasins installent des sièges colorés dans l’espace public pendant la journée, et les remisent le soir.

    Certaines villes et communes suisses sont donc en train d’aménager – à des rythmes différents –, des espaces publics comme ceux qui ont enthousiasmé Sabina Ruff cet été à Ljubljana. Ces derniers ont été imaginés par l’architecte et urbaniste slovène Jože Plecnik, qui concevait la ville comme une scène vivante et l’espace public comme un lieu de #communauté et de #démocratie. Selon Sabina Ruff, c’est exactement ce dont on a besoin : un urbanisme axé sur les #besoins des gens. Une variété de lieux où il fait bon s’arrêter.

    https://www.swisscommunity.org/fr/nouvelles-et-medias/revue-suisse/article/les-bancs-publics-une-particularite-du-paysage-suisse

    #bancs_publics #Suisse #urbanisme #aménagement_du_territoire

  • Internationalisme et anti-impérialisme aujourd’hui

    http://www.palim-psao.fr/2023/10/internationalisme-et-anti-imperialisme-aujourd-hui-par-moishe-postone-ine

    [...] je propose de comprendre la propagation de l’antisémitisme et des formes antisémites apparentées de l’islamisme, à l’image de celles présentes chez les Frères musulmans égyptiens et leur branche palestinienne, le Hamas, comme la diffusion d’une idéologie anticapitaliste fétichisée, qui prétend donner un sens à un monde perçu comme menaçant. Même si cette idéologie a été attisée et aggravée par Israël ou la politique israélienne, sa caisse de résonance réside dans le déclin relatif du monde arabe sur fond d’une transition structurelle profonde du fordisme au capitalisme mondial néolibéral. Le résultat est un mouvement populiste anti-hégémonique profondément réactionnaire et dangereux, notamment pour tout espoir de politique progressiste au Moyen-Orient. Cependant, au lieu d’analyser cette forme de résistance réactionnaire dans le but de soutenir des formes de résistance plus progressistes, la gauche occidentale l’a soit ignorée, soit rationalisée comme une réaction regrettable mais compréhensible à la politique israélienne et aux États-Unis. Cette manifestation d’un refus de voir s’apparente à la tendance à concevoir l’abstrait (la domination du capital) dans les termes du concret (l’hégémonie américaine). J’affirme que cette tendance constitue l’expression d’une impuissance profonde et fondamentale, tant conceptuelle que politique.

    • L’une des ironies de la situation actuelle est qu’en adoptant une position anti-impérialiste fétichisée, l’opposition aux États-Unis ne s’adossant plus à un soutien à un changement progressiste, les libéraux et les progressistes ont permis à la droite néoconservatrice américaine de s’approprier, voire de monopoliser, ce qui a traditionnellement été le langage de la gauche : le langage de la démocratie et de la libération.

      […]

      Alors que pour la génération précédente, s’opposer à la politique américaine impliquait encore de soutenir explicitement des luttes de libération considérées comme progressistes, aujourd’hui, s’opposer à la politique américaine est en soi considéré comme anti-hégémonique. Il s’agit là paradoxalement d’un héritage malheureux de la Guerre froide et de la vision dualiste du monde qui l’accompagne. La catégorie spatiale du « camp » a remplacé les catégories temporelles des possibilités historiques et de l’émancipation en tant que négation historique déterminée du capitalisme. Cela n’a pas seulement conduit à un rejet de l’idée du socialisme comme dépassement historique du capitalisme, mais aussi à un déséquilibrage de la compréhension des évolutions internationales.

      […]

      La Guerre froide semble avoir effacé de la mémoire le fait que l’opposition à une puissance impériale n’était pas nécessairement progressiste et qu’il existait aussi des anti-impérialismes fascistes. Cette distinction s’est estompée pendant la Guerre froide, notamment parce que l’Union soviétique a conclu des alliances avec des régimes autoritaires, en particulier au Moyen-Orient, comme les régimes du Baas en Syrie et en Irak, qui n’avaient pas grand-chose en commun avec les mouvements socialistes et communistes. Au contraire, l’un de leurs objectifs était de liquider la gauche dans leurs propres pays. Par la suite, l’anti-américanisme est devenu un code progressiste en soi, bien qu’il y ait toujours eu des formes profondément réactionnaires d’anti-américanisme à côté des formes progressistes.

      #campisme #anti-impérialisme

    • Il est significatif qu’une telle attaque n’ait pas été menée il y a deux ou trois décennies par des groupes qui avaient toutes les raisons d’être en colère contre les États-Unis, comme les communistes vietnamiens ou la gauche chilienne. Il est important de comprendre l’absence d’une telle attaque, non pas comme un hasard, mais comme l’expression d’un principe politique. Pour ces groupes, une attaque visant en premier lieu des civils demeurait hors de leur horizon politique.

      […]

      Il existe une différence fondamentale entre les mouvements qui ne choisissent pas comme cible une population civile au hasard (comme le Viêt-Minh, le Viêt-Cong et l’ANC) et ceux qui le font (comme l’IRA, Al-Qaïda ou le Hamas). Cette différence n’est pas simplement tactique, elle est hautement politique, car la forme de la violence et la forme de la politique sont en relation l’une avec l’autre. Cela signifie que la nature de la société et de la politique futures sera différente selon que les mouvements sociaux militants feront ou non une distinction entre les objectifs civils et militaires dans leur pratique politique. S’ils ne le font pas, ils ont tendance à mettre l’accent sur l’identité. Cela les rend radicalement nationalistes dans le sens le plus large du terme, car ils travaillent avec une distinction ami/ennemi qui essentialise une population civile en tant qu’ennemie et rend ainsi impossible la possibilité d’une coexistence future. C’est pourquoi les programmes de ces mouvements ne proposent guère d’analyses socio-économiques visant à transformer les structures sociales (à ne pas confondre avec les institutions sociales que ces mouvements mettent en partie à disposition). Dans ces cas, la dialectique de la guerre et de la révolution du xxe siècle se transforme en une subordination de la « révolution » à la guerre. Ce qui m’intéresse ici, cependant, a moins à voir avec de tels mouvements qu’avec les mouvements d’opposition actuels dans les métropoles et leurs difficultés évidentes à faire la distinction entre ces deux formes différentes de « résistance ».

      Joseph Andras disait cela aussi dans ces dernières interviews ou textes

      #morale #terrorisme #civils

  • #ACAB, et c’est eux qui le disent

    Photographe et journaliste, Ricardo Parreira travaille sur les symboles d’extrême droite dans la police. Il revient ici sur l’inquiétante arrivée en France de l’iconographie #Thin_Blue_Line, qui fantasme les bleus en super-héros au-dessus des lois.

    Nous sommes fin 2014, aux États-Unis. Depuis la mort d’Eric Garner et de Michael Brown, deux Noirs américains tués par des policiers pendant l’été, le mouvement Black Lives Matter [La vie des Noir·es compte] s’insurge dans tout le pays contre les violences racistes de la police. Le 20 décembre, deux agents de la police de New York sont tués à Brooklyn, en représailles. En réaction, trois de leurs collègues créent le mouvement Blue Lives Matter [La vie des bleus compte] afin de soutenir les forces de l’ordre face aux accusations de violences et de racisme. Leur symbole ? Une mince ligne bleue (thin blue line). Pour ses partisans, cette ligne représente la police comme dernier rempart contre le chaos, protégeant le bien contre le mal et la population contre les criminels. Un symbole qu’ils prétendent apolitique, censé exprimer une forme d’hommage à la police comme institution.

    La communauté Thin blue line, #TBL pour les intimes, prend rapidement de l’ampleur sur les réseaux numériques. Une panoplie de produits dérivés débarque sur le marché : bracelets, écussons, habits, cagoules, kits et accessoires de survie. Leurs visuels vont piocher dans d’autres univers fictionnels violents : on y retrouve ainsi le très populaire crâne du Punisher (voir encadré), le casque spartiate et autres « héros » contournant l’État de droit pour faire justice eux-mêmes. L’emblème de TBL, un drapeau états-unien noir et blanc estampillé d’une ligne bleue, se propage dans les manifestations d’extrême droite, chez les soutiens de Trump ou encore chez les Proud Boys, organisation néofasciste qui s’est illustrée lors de l’assaut du Capitole en janvier 2021. Face à cette récupération politique, certains membres des forces de l’ordre finissent par renoncer à employer le sigle TBL : en 2017, le chef de la police de la bourgade de Catlettsburg, dans le Kentucky, retire les énormes autocollants Punisher aux couleurs de TBL collés sur le capot de ses huit voitures de service ; en février 2023, c’est le chef de la police de Los Angeles qui interdit l’usage du drapeau TBL dans les commissariats de sa ville. Mais malgré les polémiques, ces symboles se répandent aux quatre coins du pays et arrivent en Europe.
    « All cops are... »

    En France, c’est surtout via les réseaux sociaux que TBL se diffuse à partir de 2018, copiant à la lettre la rhétorique et la symbolique du mouvement états-unien. Aujourd’hui, la société TBL France, dirigée par la femme d’un gendarme, gère un site commercial vendant des produits dérivés. Outre les classiques drapeaux et écussons, on y trouve quelques produits locaux comme un « patch humoristique » représentant un policier donnant un coup de pied dans l’entrejambe d’un civil, sous le slogan « Le génital c’est génial ». S’y ajoutent les figures de #Deadpool, #John_Wick (voir encadré) ou encore #Batman, tous personnages de fictions violents agissant en dehors des lois.

    Plus surprenant, on croise aussi l’historique slogan anti-flic « #ACAB » (All cops are bastards, « Tous les flics sont des salauds »), repris à la sauce policière et transformé en All cops are brothers (« Tous les flics sont frères »). Sur les réseaux, on trouve ainsi des photos montrant un produit TBL devant un tag « ACAB », pour en détourner le sens. À côté de son site marchand et de ses réseaux sociaux suivis par des dizaines de milliers de « brothers », TBL France propose également des ateliers, des formations de tir et des rencontres.

    À en croire la prolifération de ses goodies sur les uniformes de la police et de la gendarmerie française, le succès semble au rendez-vous1. « Je tente par le site et les réseaux de rassembler les forces de l’ordre mais surtout de promouvoir un rapprochement de la police avec la population », explique la directrice de TBL France, affirmant qu’il ne faut en aucun cas voir dans l’adoption de ces symboles une quelconque politisation2. L’Inspection générale de la Gendarmerie nationale n’est pas du même avis quand elle déclare, en mars 2023, que le fait d’afficher le logo TBL contrevenait au devoir de réserve et de neutralité de la police dans la mesure où ils traduisaient l’appartenance à un mouvement politique3. Quant au fait que ces symboles et d’autres – dont le Valknut4 – se retrouvent tatoués à même la peau des forces de l’ordre, l’entreprise défend sur son site qu’il s’agit avant tout d’expressions « artistiques et esthétiques, et qu’ils ne devraient pas être utilisés pour embêter nos forces de l’ordre ».
    La force au-dessus des lois

    Aucun doute, une partie de la police se radicalise, dans un contexte de violences policières de plus en plus médiatisées. Le site TBL France, qui relaie en permanence des campagnes de dons pour les familles de policiers, n’a ainsi pas hésité à afficher son « soutien indéfectible » à la cagnotte en faveur de la famille du policier qui a tué Nahel à Nanterre en juin dernier. Au cours des émeutes qui ont suivi, un membre du Raid est photographié menaçant de son fusil à pompe un mineur au sol, ventre à terre. Le 25 juillet, TBL France présente sur Instagram son nouveau patch, nommé « Résilience », qui reprend cette image avec le slogan : « La force doit rester à la loi ». En l’occurrence, la loi leur interdit d’utiliser une photo sans en demander les droits et l’objet a donc dû être retiré du catalogue. Reste que la petite entreprise ne connaîtra pas la crise : quand il s’agit de rouler des mécaniques, les bleus ont de l’imagination.

    https://cqfd-journal.org/ACAB-et-c-est-eux-qui-le-disent

    ajouté à ce fil de discussion sur les #symboles et la #sémiologie d’#extrême_droite au sein des #forces_de_l'ordre :
    https://seenthis.net/messages/971225
    #violence

  • Les organismes de #foncier solidaire face aux contraintes du marché
    https://metropolitiques.eu/Les-organismes-de-foncier-solidaire-face-aux-contraintes-du-marche.h

    Créés en 2014 par la loi ALUR pour pérenniser les aides à l’accession abordable, les organismes de foncier solidaire (OFS) se sont multipliés en France. Hélène Morel montre qu’ils répondent en partie aux tensions du marché du #logement, mais ne résolvent pas la compétition entre opérateurs pour l’accès au foncier. En novembre 2018, à Lille, lors des premières rencontres du Réseau des organismes de foncier solidaire (OFS), Julien Denormandie, ministre chargé de la Ville et du Logement, affirme qu’à ses yeux « #Essais

    / foncier, #habitat, logement, accession à la propriété

    #accession_à_la_propriété
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_morel.pdf

  • [Fade to Pleasure ] FTP #207.5 w/Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/ftp-2075-wsnooba

    Tout individu collabore à l’ensemble du cosmos ….

    Broadcasted & mixed by Snooba on Panik (Brussels-Be) Canal B (Rennes-Fr) C’rock (Vienne-Fr) Louiz Radio (Belgique-Louvain la neuve) You #fm (Mons-Be) Woot (Marseille) Campus FM (Toulouse-FR) RQC (Mouscron)

    FTP 207.5

    Coded Scott Binary Beautiful (Sunshine Variation

    Jon Lee Walk on By Simy Garay Z Sharp Minor Remix

    Brandon Markell Holmes & Pink Flamingo Rhythm Revue - Losing Side [Only Good Stuff]

    Ursula 1000 feat Yuuko ings Life Is So Beautiful

    Claus Casper - All About Love [True Romance]

    Sebb Junior - Sound Of Life (Original #mix) [Only Good Stuff

    Moojo & Bun Xapa Toujours VIF (Original Mix) • Calamar Records

    Pandhora - Sea Sky

    Sirens Of Lesbos-Bowie feat. Erick The Architect (...)

    #philosophie #poetry #jazz #electro #errance #indie #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,jazz,electro,errance,indie,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/ftp-2075-wsnooba_16653__1.mp3

  • Confessions d’un (ex) gendarme

    Il était gendarme, il a démissionné. Avec ces mots, publiés sur un blog de Mediapart : « Nous, policiers et gendarmes, participons à la criminalisation des classes populaires. Les collègues ne cachent pas leur xénophobie. Je pense toujours qu’il ne faut pas laisser ces métiers à des gens de droite. Mais j’ai envie de rejoindre la lutte face à ce système profondément injuste. Passer de l’autre côté de la barricade, comme diraient certains. » (https://blogs.mediapart.fr/gendarmedemissionnaire/blog/240323/la-demission-dun-gendarme)
    Ce matin, le dit gendarme était avec nous. Pour nous parler de son geste, de son expérience, de ses déconvenues, de sa colère, de l’esprit de caserne qui règne, et de l’omerta qui plombe. Du regard des gendarmes sur leurs “ennemis” et leurs administrés, du “racisme latent”, de la voie hiérarchique, des démissions en cascade et en catimini.

    Avant de le convoquer, on lui a demandé de montrer patte blanche. Fiches de paye, photo de lui en uniformes, il nous a tout montré. Il a quitté la maison pandore après quatre années de service. La causerie fut comme annoncée : passionnante.

    https://video.davduf.net/w/4GXZ49nrC6QPCAN8NstuJm?start=6m14s

    https://www.auposte.fr/confessions-dun-ex-gendarme

    #démission #France #gendarmes #témoignage #travail #métier #forces_de_l'ordre #gendarmerie

    voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/1022115

    –—

    ajouté à la #métaliste de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier. Pour dénoncer ce qu’ils/elles font et leurs collègues font, ou pas :
    https://seenthis.net/messages/723573

  • 2023 : Dai 2,4 milioni d’immigrati il 9% del Pil italiano

    #Fondazione_Moressa: gli stranieri sono il 28,9% tra il personale non qualificato Dichiarati redditi per 64 miliardi e versati 9,6 miliardi di Irpef. Aumentano gli imprenditori. Da Il Sole 24 ore.

    Sostengono crescita demografica e soprattutto il Pil con un valore aggiunto di 154,3 miliardi di euro, il 9% del prodotto interno lordo. Sono i lavoratori immigrati, per lo più manuali e concentrati in agricoltura ed edilizia, una delle grandi stampelle dell’economia interna. Parola della Fondazione Leone Moressa che ieri alla Camera per bocca dei ricercatori Chiara Tronchin ed Enrico di Pasquale ha presentato insieme al segretario di Europa+ Riccardo Magi il 13° Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’Immigrazione. Il report è stato presentato anche al Viminale.

    https://sbilanciamoci.info/dai-24-milioni-dimmigrati-il-9-del-pil-italiano

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    Rapporto 2023 sull’economia dell’immigrazione


    http://www.fondazioneleonemoressa.org/2023/10/19/rapporto-2023-sulleconomia-dellimmigrazione

    #PIB #agriculture #BTS #économie_de_l'immigration #rapport
    #statistiques #chiffres #Italie #migrations #économie #réfugiés #asile

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    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

  • Lecture d’un extrait du livre « Feu le vieux monde » de Sophie Vandeveugle, paru aux Éditions Denoël, en 2023.

    https://liminaire.fr/radio-marelle/article/feu-le-vieux-monde-de-sophie-vandeveugle

    À une époque indéterminée très proche de la nôtre, lors d’un nouvel été caniculaire, d’effroyables incendies menacent la région de la petite ville de Bas-les-Monts. La mobilisation générale a été lancée pour tenter de lutter contre ces feux démesurés qui paraissent ne jamais devoir s’arrêter. De jeunes appelés, séparés de leurs familles, combattent sans relâche cet ennemi d’une rare violence, dont la ligne de front se déplace au gré des vents. Dans l’âpreté de leur combat, cette guerre contre les grands feux, ils apprennent à se connaître...

    (...) #Radio_Marelle, #Écriture, #Langage, #Roman, #Livre, #Lecture, #En_lisant_en_écrivant, #Podcast, #Société, #Incendie, #Forêt, #Écologie, #Nature, #Littérature (...)

    https://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_feu_le_vieux_monde_sophie_vandeveugle.mp4

    http://www.denoel.fr/Catalogue/DENOEL/Romans-francais/Feu-le-vieux-monde

  • Suspendira se Schengen ? Slovenija : Upozorili smo Hrvate da je problem ogroman
    –-> Schengen est-il suspendu ? Slovénie : nous avons prévenu les Croates que le problème est énorme

    ITALIJA je obavijestila Sloveniju da zbog promijenjene situacije u Europi i na Bliskom istoku uvodi kontrolu na granici sa Slovenijom, priopćilo je slovensko ministarstvo unutarnjih poslova, a neformalno se najavljuje da bi kontrole uskoro mogle biti uvedene i na slovensko-hrvatskoj granici.

    Prema neslužbenim informacijama, kontrole bi trebale biti uvedene u subotu, za početak na 10 dana, s mogućnošću produljenja. Zbog toga bi Slovenija trebala uvesti kontrolu na granicama s Hrvatskom i Mađarskom, navodi agencija STA.

    Sve je izglednije da će se granične kontrole, barem privremeno, vratiti niti godinu dana nakon što su ukinute.

    Kako primjećuje slovenski portal Siol, i Rim i Ljubljana upozorili su Hrvatsku da mora napraviti više kako bi se suzbile ilegalne migracije. Zagrebu je nuđena pomoć u kontroli vanjskih granica, posebno na granici s BiH, ali i na granicama sa Srbijom i Crnom Gorom.
    Ljubljana upozoravala, Plenković odbio pomoć

    Prijedlozi su išli u smjeru pomoći europske agencije za nadzor vanjskih granica Frontexa, a Slovenija i Italija ponudile su Hrvatskoj i mješovite policijske patrole. No hrvatski premijer Andrej Plenković odbio je takve prijedloge jer hrvatska policija “dobro kontrolira vanjsku granicu”.

    Bilo je to krajem lipnja.

    “Ministar unutarnjih poslova je već dogovorio da će doći šest savjetnika Frontexa koji će pomagati Hrvatskoj na pitanjima sprječavanja nezakonitih migracija, ali ne na način da bismo mi stavili policajce iz drugih država članica na svoje granice”, rekao je Plenković odgovarajući na pitanje novinara o ideji slovenskog premijera da se pripadnici Frontexa rasporede na granici između Hrvatske i BiH kako bi pomogli u sprječavanju ilegalnih ulazaka migranata.

    “Hrvatska, kao članica EU i članica šengenskog prostora, ima dovoljno svojih kapaciteta, 6500 policajaca čuva granicu i vanjsku granicu Europske unije, koja je sada i vanjska granica šengenskog prostora”, rekao je Plenković. Bilo je to nakon što je slovenski premijer Robert Golob prije summita EU najavio da će tražiti raspoređivanje pripadnika Frontexa na granice Hrvatske i BiH.

    S druge strane, i Rim i Ljubljana proljetos su počeli upozoravati da bi se zbog povećanog broja ilegalnih prelazaka granice mogla ponovo uvesti sustavna kontrola granice. Slovenska vlada počela je mjestimično uklanjati “tehničke prepreke” na granici s Hrvatskom, odnosno ogradu, no politika je uvijek više ili manje glasno upozoravala Zagreb da će, ako Italija uvede kontrolu na granici sa Slovenijom, i Slovenija učiniti to na granici s Hrvatskom, da ne postane “džep”. Tim više što Austrija kontrolira granicu sa Slovenijom još od migrantske krize 2015.-2016., navodi Siol.

    Glavni ravnatelj slovenske policije Senad Jušić prošli je tjedan u Brežicama također upozorio hrvatskog kolegu da je problem velik. Istaknuo je da je slovenska policija ove godine već obradila više od 45.000 ilegalnih prelazaka granice.

    https://www.index.hr/vijesti/clanak/suspendira-se-schengen-slovenija-upozorili-smo-hrvate-da-je-problem-ogroman/2505165.aspx?index_ref=naslovnica_vijesti_prva_d

    #Slovénie #Croatie #frontières #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_systématiques_aux_frontières #frontière_sud-alpine #Alpes

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    ajouté à cette métaliste sur l’annonce du rétablissement des contrôles frontaliers de la part de plusieurs pays européens :
    https://seenthis.net/messages/1021987

    • Schengen e i flussi migratori, tra retorica e realtà

      L’article original en croate: https://www.portalnovosti.com/patka-o-migracijama

      Il sistema di libera circolazione di Schengen viene sempre più spesso messo in crisi da sospensioni applicate da alcuni stati membri chiamando in causa la necessità di contrastare le migrazioni, spesso senza il riscontro dei numeri. La situazione in Croazia e Slovenia.

      Il fiore all’occhiello dell’integrazione europea, come un tempo i burocrati di Bruxelles chiamavano il sistema di Schengen, è stato seriamente messo a repentaglio dalla decisione di undici stati membri dell’UE di sospendere temporaneamente il regime di libera circolazione. Dal centro dell’Unione (Germania, Francia, Danimarca, Svezia) alla periferia, ossia al confine tra Slovenia e Croazia, passando per la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Italia e l’Austria, si è assistito al ripristino dei controlli alle frontiere. Una misura che non ha colto di sorpresa chi, soprattutto tra gli studiosi del fenomeno migratorio e i migranti stessi, negli ultimi mesi ha attraversato uno dei paesi di cui sopra a bordo di un autobus o un treno.

      Tra chi non è rimasto stupito c’è anche Marijana Hameršak, ricercatrice presso l’Istituto di etnologia e studi sul folklore di Zagabria, responsabile del progetto ERIM , che indaga i meccanismi di gestione dei flussi migratori alle periferie dell’UE.

      Hameršak spiega che da anni ormai nell’UE il sistema di Schengen e la questione migratoria vengono sfruttati in un’ottica strategica, come strumento di politica estera, ma anche come mezzo di polarizzazione dell’elettorato e, in ultima analisi, come espediente per normalizzare l’idea – che peraltro non trova alcun riscontro nella realtà, né tanto meno è corroborata da ricerche – secondo cui le migrazioni rappresentano un problema.

      “L’aumento dei numeri, di cui si parla cercando di spiegare la decisione della Slovenia di introdurre controlli al confine con la Croazia, è una variazione relativa, in parte conseguenza dell’applicazione dei diversi sistemi e tattiche amministrative. Ad ogni modo, non è un aumento recente – i numeri hanno iniziato a crescere nella primavera del 2022, se non addirittura prima – così come l’introduzione dei controlli, per quanto ci si sforzi di presentarla in un’ottica emergenziale, non è una misura inattesa”, sottolinea Hameršak.

      Se alcuni stati membri, come l’Austria, hanno continuato quasi ininterrottamente ad effettuare controlli alle frontiere sin dall’ondata migratoria del 2015, altri paesi solo negli ultimi mesi hanno dispiegato le cosiddette pattuglie mobili ai confini, giustificando tale decisione con un possibile ripetersi della crisi, alimentando così un sentimento di paranoia tra la popolazione.

      Stando ad un’analisi pubblicata sul portale Euractiv alla fine di settembre (https://www.euractiv.com/section/justice-home-affairs/news/schengen-how-europe-is-ruining-its-crown-jewel), un quarto dei paesi dell’area Schengen ha impiegato le pattuglie mobili lungo i confini prima ancora della sospensione ufficiale del regime di libera circolazione, rendendo così più difficile la vita di molti cittadini dell’UE, ma anche dei rifugiati e altre persone in movimento che attraversano i paesi Schengen.

      Uršula Lipovec Čebron, professoressa associata presso il Dipartimento di Etnologia e Antropologia culturale della Facoltà di Filosofia di Lubiana e collaboratrice al progetto ERIM, fa il punto della situazione al confine sloveno-croato.

      “Anche prima della sospensione di Schengen la polizia slovena effettuava controlli giornalieri su treni e autobus, ricorrendo alla profilazione razziale. Quindi, fermava sistematicamente i migranti, registrava i loro dati personali e poi li faceva scendere dai mezzi di trasporto. Negli ultimi mesi, viaggiando in treno da Zagabria a Lubiana, ho spesso assistito a simili scene a Dobova e ad altri valichi di frontiera”, spiega Uršula Lipovec Čebron.

      Per la professoressa Lipovec Čebron, la sospensione di Schengen da un lato ha legittimato una prassi già esistente, dall’altro ha portato ad una spettacolarizzazione del lavoro della polizia di frontiera.

      Anche Marijana Hameršak è dello stesso avviso. Stando alle sue parole, sono state proprio le pratiche impiegate dalla polizia di frontiera a spingere molte persone, anche dopo l’ingresso della Croazia nello spazio Schengen, ad attraversare il confine croato-sloveno di notte, al di fuori dei valichi ufficiali, anche cercando di superare il filo spinato.

      “Ora che sono stati introdotti controlli sistematici, chiudendo anche i passaggi nella recinzione al confine, quei percorsi stanno nuovamente diventando l’unica opzione”, afferma Marijana Hameršak.

      Se il premier croato Andrej Plenković e il ministro dell’Interno Davor Božinović si sono sforzati di presentare la sospensione della libera circolazione da parte della Slovenia come una decisione legata esclusivamente agli attacchi terroristici sul suolo europeo, il ministro dell’Interno sloveno Boštjan Poklukar ha a più riprese criticato le autorità croate a causa dell’aumento del numero di migranti giunti in Slovenia dalla Croazia. Lubiana ha anche offerto aiuto a Zagabria, proponendo più volte di formare pattuglie miste lungo il confine, ma la Croazia ha sempre rifiutato di collaborare.

      Nel frattempo, le procedure applicate nei confronti dei migranti intercettati nel territorio croato sono cambiate. Nella primavera del 2022 la polizia croata aveva iniziato a rilasciare ai migranti un foglio di via, intimando loro di lasciare la Croazia e lo Spazio economico europeo entro sette giorni. Poi però da marzo di quest’anno l’atteggiamento della polizia è cambiato: molte persone sorprese mentre cercavano di entrare in Croazia, ma anche quelle che soggiornavano irregolarmente nel paese sono state registrate come richiedenti asilo, per poi essere sollecitate a proseguire il loro viaggio verso ovest.

      Marijana Hameršak spiega che i documenti rilasciati ai migranti durante quella procedura praticamente significano una regolarizzazione temporanea del loro status, ossia un riconoscimento delle persone in transito in cerca di protezione internazionale.

      “Non sappiamo ancora quali possano essere le conseguenze di tale prassi, né tantomeno sappiamo se le persone interessate rischino di essere maggiormente esposte a reclusioni e deportazioni in altri stati membri dell’UE. È chiaro però che bisogna trovare la forza politica per perseguire una strada finalizzata alla decriminalizzazione del transito e dei flussi migratori in generale, tenendo conto dei bisogni dei singoli individui. Non è una strada impossibile, ci sono diversi precedenti storici. Posso citare il cosiddetto passaporto di Nansen, che prende il nome dal primo commissario per i rifugiati della Società delle Nazioni, che nel periodo tra le due guerre mondiali aveva permesso a centinaia di migliaia di sfollati di raggiungere luoghi dove – per motivi economici, legami familiari o altri fattori – volevano provare a rifarsi una vita”, spiega la ricercatrice.

      Stando alle statistiche ufficiali, in Croazia nei primi sei mesi del 2023 oltre 24mila persone hanno chiesto asilo, una cifra di gran lunga superiore rispetto agli anni scorsi. Tuttavia, le espulsioni violente continuano: nei primi nove mesi di quest’anno sono stati registrati circa duemila respingimenti. Sul sito dell’iniziativa No Name Kitchen sono stati riportati i dettagli di un recente caso in cui dieci cittadini afghani e due indiani sono stati gettati nell’acqua fredda dopo essere stati privati dei loro beni e intimiditi con colpi d’arma da fuoco, manganellate e altre forme di abuso fisico da parte della polizia croata. Secondo le testimonianze delle vittime, l’episodio si è verificato all’inizio di ottobre nei pressi di Bihać, al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina.

      Nel frattempo, in vista delle elezioni europee e nazionali, molti leader politici, come anche le forze di opposizione, continuano ad alimentare un clima emergenziale, parlando del collasso di Schengen e spingendo ostinatamente per l’adozione del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo in cui vedono l’unica soluzione. La proposta del patto – che, vista la situazione attuale, potrebbe essere approvata prima del previsto – rappresenta un passo indietro nella tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

      Se il testo dovesse essere approvato nella sua versione attuale, l’accesso all’asilo in Europa diventerebbe ancora più difficile, si cercherebbe di tenere i migranti il più lontano possibile dall’UE e molti di quelli già presenti sul suolo europeo verrebbero rimpatriati. A lungo termine, la Croazia, la Serbia e la Bosnia Erzegovina con ogni probabilità verrebbero trasformate nella cosiddetta “zona cuscinetto”, ma anche in una sorta di dumping ground dove confinare gli “indesiderati”. E per questo si è deciso in fretta e furia di costruire un centro di identificazione a Dugi Dol, nei pressi di Krnjak, in Croazia.

      Marijana Hameršak sottolinea che la sospensione di Schengen e i discorsi che l’accompagnano contribuiranno ad un’ulteriore stigmatizzazione dei migranti, alla normalizzazione delle pratiche di profilazione razziale e alla polarizzazione della società – dinamiche che ultimamente sono diventate molto evidenti su entrambi i lati del confine croato-sloveno. Se in Croazia l’opposizione di destra invoca l’invio dell’esercito al confine e un referendum sull’immigrazione, in Slovenia vogliono ribaltare la decisione di rimuovere il filo spinato lungo il confine, una delle principali promesse elettorali dell’attuale premier sloveno Robert Golob.

      “Da tempo ormai in Slovenia si cerca di strumentalizzare politicamente le migrazioni, con l’intento di dividere la popolazione che di solito ha pochi contatti con i rifugiati, quindi non riesce attraverso la propria esperienza ad acquisire un’adeguata consapevolezza del fenomeno migratorio. È facile incutere paura diffondendo informazioni non veritiere, tanto che molti cittadini continuano a non vedere nulla di problematico nella recinzione al confine. C’è però anche chi protesta pubblicamente contro la chiusura dei valichi di frontiera e altre misure che rendono più difficile e mettono a rischio la vita dei migranti, ma non potranno mai fermarli nel loro tentativo di trovare una via per raggiungere l’Unione europea”, conclude la professoressa Lipovec Čebron.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Schengen-e-i-flussi-migratori-tra-retorica-e-realta-227884

      #patrouilles_mobiles #spectacle #foglio_di_via

  • Enfants en zone viticole : un « risque de leucémie » en fonction de la « densité de vignes » | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/181023/enfants-en-zone-viticole-un-risque-de-leucemie-en-fonction-de-la-densite-d

    C’est l’une des cultures les plus consommatrices de #pesticides : la #viticulture est très gourmande en #herbicides, en #glyphosate notamment, mais aussi en #fongicides et en #insecticides. Alors que 21 % des #vignes sont aujourd’hui cultivées en bio, les régions de vignobles font partie des endroits où l’on relève le plus d’achats de produits chimiques en France.

    Quel est l’impact pour les populations riveraines ? Dans une étude publiée ce mercredi 18 octobre dans la revue Environmental Health Perspectives, l’Inserm commence à répondre à la question. Au terme de plus de cinq années de recherche, son équipe Géocap (pour « géolocalisation de #cancers pédiatriques ») a mis en évidence le risque d’un type de cancer chez les enfants : la #leucémie_aiguë.

    Selon les conclusions de l’étude, il existe un lien entre l’adresse de l’#enfant peu avant le diagnostic de son cancer et la densité de vignes dans un périmètre de 1 kilomètre autour de son domicile : si cette densité augmente de 10 %, le risque de leucémie est accru de 4 %.

  • Luttes féministes à travers le monde. Revendiquer l’égalité de genre depuis 1995

    Les #femmes, les filles, les minorités et diversités de genre du monde entier continuent à subir en 2021 des violations de leurs #droits_humains, et ce tout au long de leur vie. En dépit d’objectifs ambitieux que se sont fixés les États pour parvenir à l’#égalité_de_genre, leur réalisation n’a à ce jour jamais été réellement prioritaire.

    Les progrès réalisés au cours des dernières décennies l’ont essentiellement été grâce aux #mouvements_féministes, aux militant.es et aux penseur.ses. Aujourd’hui, la nouvelle génération de féministes innove et donne l’espoir de faire bouger les lignes par son inclusivité et la convergence des luttes qu’elle prône.

    Cet ouvrage intergénérationnel propose un aperçu pédagogique à la thématique de l’égalité de genre, des #luttes_féministes et des #droits_des_femmes, dans une perspective historique, pluridisciplinaire et transnationale. Ses objectifs sont multiples : informer et sensibiliser, puisque l’#égalité n’est pas acquise et que les retours en arrière sont possibles, et mobiliser en faisant comprendre que l’égalité est l’affaire de tous et de toutes.

    https://www.uga-editions.com/menu-principal/nos-collections-et-revues/nos-collections/carrefours-des-idees-/luttes-feministes-a-travers-le-monde-1161285.kjsp

    Quatrième conférence mondiale sur les femmes


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Quatri%C3%A8me_conf%C3%A9rence_mondiale_sur_les_femmes

    #féminisme #féminismes #livre #résistance #luttes #Pékin #Quatrième_conférence_mondiale_sur_les_femmes (#1995) #ONU #diplomatie_féministe #monde #socialisation_genrée #normes #stéréotypes_de_genre #économie #pouvoir #prise_de_décision #intersectionnalité #backlash #fondamentalisme #anti-genre #Génération_égalité #queer #LGBTI #féminisme_décolonial #écoféminisme #masculinité #PMA #GPA #travail_du_sexe #prostitution #trafic_d'êtres_humains #religion #transidentité #non-mixité #espace_public #rue #corps #écriture_inclusive #viols #culture_du_viol

  • Le gouvernement Meloni à l’épreuve du procès de l’attentat de Bologne


    Sur les lieux de l’attentat à la gare de Bologne (Italie) le 2 août 1980. © Photo Farabola / Leemage via AFP

    La condamnation récente à perpétuité de deux néofascistes dans l’affaire de l’attentat de la gare de Bologne en 1980 provoque l’embarras de l’équipe de Giorgia Meloni qui voudrait réécrire l’histoire. Un ministre et une députée Fratelli d’Italia gravitent dans l’entourage des ex-terroristes.
    Karl Laske
    16 octobre 2023


    LeLe 27 septembre 2023, Gilberto Cavallini, dit « Gigi » ou « Il Nero », ne s’est pas présenté devant les juges. Le #néofasciste, ex-membre des Nuclei Armati Rivoluzionari (#NAR), auteur et coauteur de plusieurs assassinats – notamment ceux du policier Francesco Evangelista et du procureur Mario Amato, en 1980 –, a été condamné en appel à perpétuité pour sa participation à l’attentat commis gare de Bologne le 2 août 1980, qui avait fait 85 morts et 200 blessés . Arrêté en 1983, et déjà condamné pour différents crimes et association de malfaiteurs, l’ancien terroriste de 71 ans est en semi-liberté.
    Il y a peu, les enquêtes journalistiques de La Repubblica et de la Rai ont dévoilé ses réseaux et ses liens avec un membre du gouvernement, le sous-secrétaire d’État à l’environnement et à la sécurité énergétique, Claudio Barbaro. La condamnation en appel d’« Il Nero », et l’incarcération, en juin, d’un autre néofasciste, ex-membre d’#Avanguardia_Nazionale (AN), Paolo Bellini, 70 ans, condamné à perpétuité, en avril 2022, comme le coauteur du même attentat de Bologne, ont clarifié les responsabilités, et embarrassé le gouvernement de Giorgia Meloni, qui n’a jamais admis la mise en cause des néofascistes dans cet attentat.

    La « matrice néofasciste »
    Longues de 1 724 pages, les motivations de la sentence condamnant Bellini relèvent en particulier « la preuve éclatante » du financement de l’attentat par le haut dignitaire de la #loge_P2 (Propaganda Due), le financier d’extrême droite Licio Gelli, décédé en 2015. Preuve de la « #stratégie_de_la_tension » mise en œuvre par des réseaux clandestins au sein de l’#État et les #forces_armées. Sur une comptabilité manuscrite qu’il avait intitulée « Bologna » (un mot que les premiers enquêteurs n’avaient pas retranscrit), apparaissent une provision de 5 millions de dollars et un versement d’un million en espèces (20 %) peu avant l’attentat.

    La sentence souligne aussi les capacités de manipulation des groupes néofascistes par Licio Gelli et Federico Umberto D’#Amato, l’ancien chef du Bureau des affaires réservées du ministère de l’intérieur, également décédé, tous deux mis en cause lors d’un premier procès pour des manœuvres visant à désorienter l’enquête.
    La « coopération opérationnelle » des groupuscules Nuclei Armati Rivoluzionari et Avanguardia Nazionale a été par ailleurs établie par la justice : hold-up communs, faux papiers, caches d’armes partagées… La sentence relève au passage que l’une de ces caches se trouvait dans le local romain du journal Confidentiel, la couverture d’un réseau international impliquant d’anciens dirigeants du groupuscule français Ordre nouveau.
    En dépit de ces investigations, la présidente du Conseil Giorgia Meloni n’a cessé de contester, sur son compte Twitter (aujourd’hui « X »), les décisions de la justice concernant l’attentat de Bologne, réclamant « la vérité ». Et alors que le président de la République Sergio Mattarella a solennellement souligné, en août, « la matrice néofasciste » de l’attentat, Giorgia Meloni a, cette année encore, provoqué une vive polémique, le 2 août, parlant dans un message d’un des « coups féroces infligés » par « le terrorisme » à l’Italie, sans préciser lequel, et en signalant une nouvelle fois qu’il fallait « parvenir à la vérité » sur les attentats. Une façon à peine voilée de contredire l’institution judiciaire.

    Or la « matrice néofasciste » ne concerne pas que l’attentat de la gare de Bologne, mais toutes les « stragi », c’est-à-dire les #massacres, à commencer par l’attentat de #piazza_Fontana, à Milan, le 12 décembre 1969 (16 morts et 88 blessés), ou celui de la piazza della Loggia à #Brescia le 28 mai 1974 (8 morts et 102 blessés), dont les procès se sont conclus par la condamnation de membres du groupuscule néofasciste #Ordine_nuovo et de responsables opérationnels de sa cellule en Vénétie.
    Concernant #Bologne, la « vérité alternative » avancée par l’équipe Meloni tient en une « piste palestinienne » liée à l’incarcération d’un militant palestinien pour trafic d’armes en 1979, une piste explorée mais fermement écartée par la justice vu l’implication matérielle des néofascistes, et par ailleurs les preuves d’un dialogue entre Italiens et Palestiniens au sujet de cet épisode.
    Cette piste internationale avait fait partie des contre-feux ouverts par Licio Gelli lui-même, aux débuts de l’enquête. En 2019, huit députés Fratelli d’Italia ont tenté de la rouvrir par une demande de création d’une commission d’enquête parlementaire, faisant délibérément l’impasse sur les enquêtes judiciaires et les condamnations définitives, en 2007, de trois premiers auteurs de l’attentat, ex-membres des Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro et Luigi Ciavardini.

    Cet été, l’un de ces députés, Federico Mollicone, a encore demandé la « levée du secret » sur d’éventuels documents concernant la piste palestinienne. « Ces documents n’existent pas, c’est le énième rideau de fumée lancé sur le 2 août », a commenté Paolo Bolognesi, le président de l’Association des familles de victimes de l’#attentat_de_Bologne.
    En février, c’est le ministre de la justice, Carlo Nordio, qui a soutenu devant le Sénat la validité des arguments des avocats de Cavallini visant à annuler la condamnation du néofasciste – en s’appuyant sur une jurisprudence inexistante concernant la limite d’âge des juges populaires. « Il a fourni une assistance aux terroristes », s’est indigné encore Bolognesi dans La Stampa.

    Un soutien matériel aux condamnés
    « La strage de 1980 est la plus contestée dans ses résultats judiciaires parce que les enquêtes et les sentences ont touché des points sensibles d’un système encore actif », a commenté l’un des anciens juges de Bologne Leonardo Grassi au Fatto Quotidiano.
    « Il est normal qu’aujourd’hui on revienne à la piste palestinienne, c’est la manière dont la partie politique qui se sent impliquée, et qui est au gouvernement, cherche une voie de sortie, poursuit-il. Parce que le parti de Giorgia Meloni revendique sa continuité avec le Movimento Sociale Italiano (#MSI), et celui-ci est proche du monde d’où proviennent les exécuteurs des stragi. »
    Un monde plus que proche. Comme l’a montré l’enquête de la Rai et de La Repubblica sur l’étrange coopérative Essegi 2012.
    Cette société est justement dirigée par l’un des premiers condamnés dans l’attentat de Bologne, Luigi Ciavardini, 61 ans. Et elle a permis à « Il Nero » Cavallini de décrocher un emploi et la semi-liberté.
    Condamné à treize et dix ans de prison pour les meurtres d’Evangelista et d’Amato, et à trente ans pour l’attentat de Bologne, Ciavardini, dit « Gengis Khan », a fait tourner sa coopérative, dédiée à l’accueil des détenus en semi-liberté, à coups de subventions publiques (plusieurs millions d’euros) de municipalités et collectivités locales amies – jusqu’à la perte de son agrément en juin dernier.
    Ces deux condamnés pour l’attentat de Bologne ont tous deux bénéficié du soutien du sous-secrétaire d’État à l’environnement de #Giorgia_Meloni, Claudio Barbaro, ancien élu du Movimento Sociale Italiano (MSI). Ciavardini a obtenu sa propre semi-liberté grâce à l’emploi que lui a offert Barbaro au sein de l’Alliance sportive italienne (ASI) qu’il a présidée pendant vingt-sept ans. Et le ministre a « contribué à payer » les frais judiciaires de Cavallini, selon un témoin cité par La Repubblica.

    Mais le ministre n’est pas le seul à soutenir les ex-terroristes des NAR. La députée (Fratelli d’Italia) Chiara Colosimo, une proche de Meloni, a ainsi rendu visite à Ciavardini à la prison de Rebibbia en 2014. L’émission « Report » de la Rai a dévoilé une photo de l’élue accrochée à son bras à cette occasion (voir ci-dessous).
    Malgré cette relation à l’évidence amicale, Chiara Colosimo a été élue en mai dernier présidente de la commission antimafia par le Parlement, provoquant une levée de boucliers parmi les familles des victimes des attentats, et un appel solennel de leur part, en vain.

    Cette nomination à la tête de la commission antimafia est d’autant plus problématique que Luigi Ciavardini a été aussi sous investigation pour ses contacts avec la #Camorra, la mafia napolitaine dans le cadre de l’enquête « Mafia Capitale ». L’ancien terroriste avait détenu un restaurant à Rome, Il Tulipano, en association avec le comptable du clan, Massimiliano Colagrande, alias « Small », condamné définitivement en février 2020, à 30 ans de prison.

    Début août, les néofascistes condamnés ont reçu un autre soutien, plus modeste, celui du responsable de la communication institutionnelle de la région du Lazio, Marcello De Angelis, un ancien parlementaire d’extrême droite, lui-même issu du groupuscule Terza Posizione, auquel avaient appartenu les trois premiers condamnés de l’attentat de Bologne avant de rejoindre les NAR, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro et Luigi Ciavardini – ce dernier n’est autre que son beau-frère.
    Sur Facebook, De Angelis a assuré que ses trois camarades, condamnés définitifs, n’avaient « rien à voir avec le massacre de Bologne ». Son post a immédiatement été « liké » par Claudio Barbaro. Le communicant a démissionné fin août des services de la région après la découverte sur son compte de posts antisémites, ou encore célébrant Himmler. On relève au passage que l’ancien activiste dialogue sur Facebook avec un proche de Marine Le Pen, l’ex-chef du GUD #Frédéric_Chatillon installé à Rome depuis ses ennuis judiciaires.

    La « Primula nera »
    L’incarcération surprise de Paolo Bellini, en juin dernier, alors qu’il était dans l’attente de son procès en appel, a été décidée dans l’urgence pour des raisons de sécurité. Placé sur écoute, l’ancien membre d’Avanguardia Nazionale condamné à perpétuité a proféré des « menaces alarmantes » contre son ex-femme et un juge.
    Il a fait savoir qu’il préparait « quelque chose d’apocalyptique » pour « clore la carrière du président de la cour d’assises de Bologne » qui l’a condamné, et qu’il avait découvert que le magistrat avait un fils diplomate au Brésil. Il annonçait aussi avoir « tout juste fini de payer 50 000 euros » pour « descendre » son ex-femme qui a trop parlé lors de son procès. Des mesures de protection ont été prises.
    Quarante ans après les faits, Paolo Bellini a été confondu par l’exploitation d’une série d’images extraites d’un film super-8 tourné par un touriste suisse dans la gare de Bologne, quelques minutes après l’explosion de la bombe, le 2 août 1980. Un homme en tee-shirt bleu, cheveux frisés hirsutes, passe devant la caméra sur le quai numéro un de la gare. C’est lui.

    L’enquête est rouverte. Des photos anciennes sont saisies, analysées et comparées par des moyens techniques aux images en super-8. C’est positif. Le film est présenté à son ex-femme. Placée sur écoute, elle déclare à son fils reconnaître son ex-mari, formellement. Elle avoue alors aux juges que l’alibi qu’elle lui a fourni pendant la première enquête était inventé.
    Les menaces de Bellini sont prises au sérieux, car sa vie a été émaillée d’assassinats et de cavales qui lui ont valu le surnom de « Primula nera », le « Fantôme noir ». Après quelques années au MSI, un premier meurtre commis en 1975, il prend la fuite au Paraguay, aidé par le chef d’Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, l’homme lige de l’internationale fasciste.
    De retour en Italie sous une fausse identité brésilienne, il obtient des facilités de circulation et un port d’armes par des contacts au sein des #services spéciaux, et devient pilote d’avion privé. L’un des portraits-robots établis après l’attentat de Bologne fait émerger son vrai nom et son visage parmi ceux des suspects, mais la « Primula » demeure dans l’ombre.
    Interpellé en 1981, il échappe aux poursuites dans l’affaire de Bologne, mais reste incarcéré jusqu’en 1986 pour d’autres épisodes criminels qui avaient conduit à son départ en cavale. Il se rapproche alors de la #’Ndrangheta, la mafia calabraise, pour laquelle il commet au moins six assassinats entre 1990 et 1992, puis trois autres entre 1998 et 1999. Grâce à des aveux négociés, il bénéficie du statut de « collaborateur de justice » et de remises de peine.

    La mort de juge Falcone
    En 2019, les images de la gare de Bologne permettent aux juges de reconstituer l’histoire de son implication dans l’attentat, en rassemblant les éléments épars, qui s’avèrent accablants.
    Selon un témoin, son frère, Guido, décédé en 1983, avait expliqué à un proche son rôle dans l’attentat, et révélé la présence sur place de Stefano Delle Chiaie avec Gaetano Orlando, un néofasciste connu au Paraguay. D’après Guido, Paolo avait amené « le matériel » utilisé pour l’attentat dans « un sac de sport ou une valise », et était allé chercher Delle Chiaie pour l’accompagner à la gare avec trois complices.
    Selon Guido, Paolo avait reçu 100 000 millions de lires (environ 50 000 dollars) pour l’opération. Les juges relèvent des liens avérés avec Gilberto Cavallini, récemment condamné, et exhument aussi une écoute significative d’un néofasciste, ex-chef de la cellule vénitienne d’Ordine nuovo, Carlo Maria Maggi, condamné définitif pour l’attentat de la piazza della Loggia à Brescia en 1974. Maggi confirme à son interlocuteur l’implication des « NAR », Mambro et Fioravanti, et raconte que c’est « l’aviateur » (Paolo Bellini, donc) qui a apporté la bombe à la gare.
    Bellini, réincarcéré, n’a pas livré tous ses secrets, loin de là. Il est soupçonné dans l’affaire de l’attentat de Capaci qui a tué le juge Giovanni Falcone avec sa femme et son escorte, le 23 mai 1992.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/161023/le-gouvernement-meloni-l-epreuve-du-proces-de-l-attentat-de-bologne

    edit : l’article omet de signaler que Piazza fontana (1969) a immédiatement été attribué à l’extrême gauche

    #Italie #État #extrême_droite #attentat_massacre (s)

  • Israël : Ursula von der Leyen, la bourde permanente – Libération
    https://www.liberation.fr/international/europe/israel-ursula-von-der-leyen-la-bourde-permanente-20231015_24YINO2VDZAH3G4
    https://www.liberation.fr/resizer/MMUWd9MAXfdvJT6EEeCWbZCht0U=/1200x630/filters:format(jpg):quality(70):focal(3450x1227:3460x1237)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/liberation/IKSQQKWC2FDSHH5IGRFMLSQ62Q.jpg

    Lors de sa visite improvisée en soutien à Israël vendredi 13 octobre, la présidente de la Commission européenne a largement dépassé ses fonctions, sans aucun mandat des Vingt-Sept.

    Si quelqu’un a la suite de l’article ?

    • l’Europe « hongroise »

      #Benyamin_Nétanyahou n’en a sans doute pas cru ses oreilles lorsqu’#Ursula_von_der_Leyen a proclamé, urbi et orbi, à l’issue de leur rencontre à Tel-Aviv, vendredi 13 octobre, qu’#Israël avait « le droit » et « même le devoir de défendre et de protéger sa population » après l’attaque terroriste des islamistes du #Hamas. C’est peu dire que les capitales européennes, mais aussi les responsables communautaires soigneusement tenus à l’écart, se sont étranglés de fureur en découvrant ces propos qui ne reflètent que « la sensibilité personnelle » de Von der Leyen, selon les mots d’un ambassadeur, et absolument pas la position de l’Union, la présidente de la Commission n’ayant aucune compétence en matière de politique étrangère. Mais le mal est fait : pour l’ensemble du monde, et notamment le monde arabe, peu au fait des subtilités de l’architecture institutionnelle communautaire, l’#UE a proclamé son alignement sans réserve sur un gouvernement israélien dirigé par un boutefeu de droite radicale engagé dans une opération de représailles sanglantes. D’autant que ce dérapage intervient après la tentative de la Commission de suspendre l’aide européenne aux #Palestiniens en début de semaine [revirement : vu les besoins actuels tout à faits... croissants, l’aide a depuis été multipliée par 5 -humanitaire only ?, l’UE ayant pour habitude de financer des pansements de la destructice politique israélienne, ndc]. Un cauchemar diplomatique.

      Pis encore, l’ancienne ministre allemande de la Défense n’a manifesté aucune compassion pour les civils palestiniens pris dans la tourmente de cette guerre éternelle [c’est Jean Quatremer..., ndc]. Elle s’est même abstenue de tout appel à la retenue dans la riposte, comme l’ont [très vaguement, ndc] fait les Etats-Unis [qui outre de nouvelles livraison d’armes à Israël, envoient un 2eme porte avions et préparent des forces d’élite en appui, officiellement pour dissuader Hezbollah et Iran, ndc] alors que le nombre de morts et de blessés ne cesse d’augmenter dans la bande de Gaza. « Je souscris pleinement à votre appel au Hamas pour qu’il libère immédiatement tous les otages et qu’il renonce totalement à prendre des civils comme boucliers, ce que le Hamas fait constamment », a-t-elle affirmé, rendant ainsi implicitement responsable des morts à venir le seul Hamas qui « constitue une menace non seulement pour Israël, mais aussi pour le peuple palestinien ».

      A #Bruxelles, #Eric_Mamer, le porte-parole de la Commission ou de Nétanyahou – on ne sait plus trop –, en a remis une couche sur les propos guerriers de sa patronne en expliquant à quel point #Tsahal respecte le #droit_humanitaire : « Les civils doivent être prévenus et alertés de l’imminence des opérations militaires, ce qui leur permet de partir. C’est ce que fait Israël. » Bien sûr, si le Hamas « empêche les gens de partir et les utilise comme bouclier humain », ça ne sera pas bien, mais que peut-on y faire ? Fermez le ban !

      Plantage

      Le problème est qu’Ursula von der Leyen a franchi une ligne rouge en interférant ainsi dans la politique étrangère de l’Union et dans celle des Etats membres . En effet, elle s’est non seulement rendue en Israël sans aucun mandat des Vingt-Sept, mais sans prévenir qui que ce soit [et pourtant, elle n’est pas hongroise, ndc] : Josep Borrell, le chef de la diplomatie de l’Union, et Charles Michel, le président du Conseil européen des chefs d’Etat et de gouvernement, les deux seules personnes ayant des compétences dans le domaine de la politique étrangère, ont appris son déplacement par des rumeurs puis par la presse. Selon nos informations, Von der Leyen, apprenant que la Maltaise Roberta Metsola, la présidente du Parlement européen, allait se rendre en Israël à l’invitation de la Knesset, s’est imposée dans son avion…

      Le téléphone a manifestement chauffé au rouge entre les capitales et Bruxelles. Samedi en fin d’après-midi, elle a donc annoncé que l’UE allait augmenter son aide humanitaire de 50 millions d’euros, et a enfin fait un peu de diplomatie : « La Commission soutient le droit d’Israël de se défendre contre les terroristes du Hamas, [mais] dans le plein respect du droit humanitaire international. Nous mettons tout en œuvre pour que les civils innocents de Gaza reçoivent un soutien dans ce contexte. »

      Ce plantage de Von der Leyen n’est pas le premier, mais c’est sans aucun doute le plus monumental. Car, depuis le début de son mandat, elle se prend pour la présidente de l’Union, ce qu’elle n’est pas, et a donc lancé une OPA sur les compétences de Charles Michel et de Josep Borrell, qu’elle déteste (mais on se demande qui elle ne déteste pas). Elle n’a manifestement pas compris qu’il n’y a pas de politique étrangère autonome de la Commission et que l’Union n’a une politique étrangère que dans les domaines où il y existe un consensus, comme sur l’Ukraine, mais pas sur le Proche-Orient.

      Il faut cependant reconnaître que l’Espagne, qui n’a toujours pas de gouvernement, est largement responsable de ce cafouillage : dès le lendemain des massacres du 7 octobre, Madrid, qui exerce la présidence tournante du Conseil des ministres, aurait dû convoquer les 27 ambassadeurs de l’Union pour arrêter les grandes lignes de la réponse européenne. Ou un Conseil européen des chefs d’Etat et de gouvernement comme la présidence française l’a fait deux jours après le début de la guerre en Ukraine. Ce que l’#Espagne n’a pas fait, en dépit des demandes de plusieurs Etats membres, laissant ainsi la Commission libre de se livrer à des improvisations catastrophiques. Reste à savoir si les Etats s’en souviendront en juin, lorsqu’il faudra renouveler le mandat de Von der Leyen.

      #Europe (la phénicienne a mal tourné)

    • Le déplacement de von der Leyen en Israël provoque une nouvelle tempête au sein de l’UE
      https://www.lefigaro.fr/international/le-deplacement-de-von-der-leyen-en-israel-cree-une-nouvelle-tempete-au-sein

      « Je convoque un Conseil européen extraordinaire pour définir une position commune et une ligne d’action claire et unifiée ». Charles Michel a annoncé samedi soir une réunion en urgence des Vingt-Sept. Elle aura lieu mardi, en fin d’après-midi, par visio.

      C’est une réponse directe au récent déplacement d’Ursula von der Leyen en Israël. Sur place vendredi, lors de ses entretiens avec le premier ministre israélien Benyamin Netanyahou ni lors de ses prises de parole publique, la présidente de la Commission européenne n’avait pas évoqué la question brûlante de l’évacuation risquée de Gaza ordonnée par Israël et plus largement le devoir d’Israël de respecter le droit international, n’insistant que sur le droit de ce pays à répliquer aux « atrocités commises par le Hamas ».

    • @kassem l’article cité est de Ration. Outre celui du Figaro également cité, Les échos semble rester allusif (mais #paywall)
      Israël-Hamas : les Vingt-Sept cherchent à unifier leurs positions
      https://www.lesechos.fr/monde/europe/israel-hamas-les-vingt-sept-cherchent-a-unifier-leurs-positions-1987194

      https://media.lesechos.com/api/v1/images/view/652be35debce0a406947f8d7/1024x576-webp/0902817241173-web-tete.webp
      (c’est du webp... sur fond de mur ocre criblé d’impacts elle est entourée, l’air pincé, de gradés de Tsahal équipé et en gilets pare balle)

      Le 13 octobre, Les présidentes du Parlement européen et de la Commission européenne, Roberta Metsola et Ursula von der Leyen, se sont rendues en Israël pour une visite qui a créé la polémique. (Union Européenne/Hans Lucas/AFP)

      Le Président du Conseil européen convoque une réunion extraordinaire des leaders de l’UE pour mardi 17 octobre. Il s’agit d’envoyer un message commun qui resserre les rangs après une semaine de cacophonie.

      @arno la dame semble plutôt en campagne pour un deuxième mandat : Union européenne : la discrète entrée en campagne d’Ursula von der Leyen
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/04/22/union-europeenne-la-discrete-entree-en-campagne-d-ursula-von-der-leyen_61705

  • #Tunisie : le président, #Kaïs_Saïed, refuse les #fonds_européens pour les migrants, qu’il considère comme de la « #charité »

    Un #accord a été conclu en juillet entre Tunis et Bruxelles pour lutter contre l’immigration irrégulière. La Commission européenne a précisé que sur les 105 millions d’euros d’aide prévus, quelque 42 millions d’euros allaient être « alloués rapidement ».

    Première anicroche dans le contrat passé en juillet entre la Tunisie et l’Union européenne (UE) dans le dossier sensible des migrants. Kaïs Saïed, le président tunisien, a, en effet, déclaré, lundi 2 octobre en soirée, que son pays refusait les fonds alloués par Bruxelles, dont le montant « dérisoire » va à l’encontre de l’entente entre les deux parties.

    La Commission européenne avait annoncé le 22 septembre qu’elle commencerait à allouer « rapidement » les fonds prévus dans le cadre de l’accord avec la Tunisie afin de faire baisser les arrivées de migrants au départ de ce pays. La Commission a précisé que sur les 105 millions d’euros d’aide prévus par cet accord pour lutter contre l’immigration irrégulière, quelque 42 millions d’euros allaient être « alloués rapidement ». Auxquels s’ajoutent 24,7 millions d’euros déjà prévus dans le cadre de programmes en cours.

    « La Tunisie, qui accepte la #coopération, n’accepte pas tout ce qui s’apparente à de la charité ou à la faveur, car notre pays et notre peuple ne veulent pas de la sympathie et ne l’acceptent pas quand elle est sans respect », stipule un communiqué de la présidence tunisienne. « Par conséquence, la Tunisie refuse ce qui a été annoncé ces derniers jours par l’UE », a dit M. Saïed qui recevait son ministre des affaires étrangères, Nabil Ammar.

    Il a expliqué que ce refus n’était pas lié au « montant dérisoire (…) mais parce que cette proposition va à l’encontre » de l’accord signé à Tunis et « de l’esprit qui a régné lors de la conférence de Rome », en juillet.

    Une aide supplémentaire de 150 millions d’euros

    La Tunisie est avec la Libye le principal point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée centrale vers l’Europe, et arrivent en Italie.

    Selon la Commission européenne, l’aide doit servir en partie à la remise en état de bateaux utilisés par les #garde-côtes_tunisiens et à la coopération avec des organisations internationales à la fois pour la « protection des migrants » et pour des opérations de retour de ces exilés depuis la Tunisie vers leurs pays d’origine.

    Ce #protocole_d’accord entre la Tunisie et l’UE prévoit en outre une #aide_budgétaire directe de 150 millions d’euros en 2023 alors que le pays est confronté à de graves difficultés économiques. Enfin, M. Saïed a ajouté que son pays « met tout en œuvre pour démanteler les réseaux criminels de trafic d’êtres humains ».

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/10/03/tunisie-le-president-kais-saied-rejette-les-fonds-europeens-pour-les-migrant

    #refus #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #externalisation #migrations #asile #réfugiés #UE #EU #Union_européenne

    –—

    ajouté à la métaliste sur le #Memorandum_of_Understanding (#MoU) avec la #Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

    • Le chef de la diplomatie tunisienne : « Les Européens répètent des messages hors de l’esprit du mémorandum. C’est insultant et dégradant »

      Après deux semaines de crise sur fond de tensions migratoires, le ministre tunisien des Affaires étrangères Nabil Ammar développe dans un entretien au « Soir » le point de vue de son gouvernement sur le mémorandum d’accord avec la Commission européenne. Article réservé aux abonnésAlors que des organisations de défense des droits humains ont dénoncé des déportations massives dans le désert entre la Libye et la Tunisie, Nabil Ammar rejette la faute sur « quelques voyous ».

      La brouille est consommée. Entre l’Union européenne et la Tunisie, le ton est monté ces derniers jours sur le mémorandum d’accord signé au milieu de l’été entre Tunis et la Commission européenne, soutenu par l’Italie et les Pays-Bas. Dans un entretien au Soir, le ministre tunisien des Affaires étrangères et de la Migration, Nabil Ammar, détaille la position tunisienne dans ce dossier explosif.

      Pour cela, il faut bien comprendre de quoi l’on parle. Si l’accord comprend d’importants volets de développement économique (hydrogène vert, câbles sous-marins…), le cœur du texte porte sur la migration et prévoit 150 millions d’euros d’aide. Le pays, lui, dit refuser d’être « le garde-frontière » de l’Europe.

      Entre Tunis et la Commission, l’affaire s’est grippée après les arrivées massives à Lampedusa, venues des côtes tunisiennes. Dans la foulée, l’exécutif européen a annoncé débloquer une partie de l’aide (dans ou hors du cadre de l’accord ? Les versions divergent). Auteur d’un coup de force autoritaire, l’imprévisible et tonitruant président tunisien Kaïs Saïed a déclaré refuser la « charité ». La Commission annonçait aussi le décaissement de 60 millions (sur un autre paquet d’aide), à nouveau refusés.

      « Ce sont les Européens qui ne s’entendent pas entre eux »

      Aujourd’hui, Nabil Ammar donne très fermement sa version. « Les Européens ne sont pas clairs, à divulguer des montants un coup par ci, un coup par là. Les gens ne se retrouvent plus dans ces enveloppes, qui sont dérisoires. Même si ce n’est pas un problème de montant. Mais les Européens n’arrivaient pas à comprendre un message que l’on a répété à plusieurs reprises : “Arrêtez d’avoir cette vision de ce partenariat, comme si nous étions à la merci de cette assistance. A chaque fois, vous répétez des messages qui ne sont pas dans l’esprit de ce mémorandum d’accord, un partenariat d’égal à égal, de respect mutuel.” C’est insultant et dégradant. »

      « Il ne faut pas donner cette idée fausse, laisser penser que ce partenariat se réduit à “on vous donne quatre sous et vous faites la police en Méditerranée et vous retenez les migrants illégaux” », continue le ministre des Affaires étrangères, qui précise que « ce sont les Européens qui tenaient » au texte. « On ne veut pas être indélicat, mais ils couraient après cet accord qu’on était content de passer puisque l’on considérait que ce qui était écrit convenait aux deux parties. »

      Ces dernières années, l’UE a passé des accords migratoires avec la Libye et la Turquie, qui consistaient en somme à y délocaliser la gestion des frontières extérieures. L’ex-ambassadeur à Bruxelles, très bon connaisseur des rouages européens et chargé de négocier l’accord, croit (ou feint de croire) qu’il en était autrement avec son pays. « Ils nous l’ont dit ! “On va changer, on vous a compris.” Mais les anciens réflexes, les comptes d’épicier ont immédiatement repris. Ce langage-là n’est plus acceptable », défend-il, plaidant pour la fierté et le souverainisme de son pays, un discours dans la lignée de celui du président Saïed. « Nous sommes comme le roseau, on plie mais on ne casse pas et ce serait bien que les partenaires se le mettent en tête. »

      Alors le mémorandum est-il enterré ? « Pas du tout », veut croire Nabil Ammar qui met la responsabilité de la crise de confiance sur le dos des partenaires européens. « Cette crise est entièrement de leur part parce qu’ils n’ont pas voulu changer leur logiciel après le 16 juillet (date de signature du mémorandum, NDLR). Nous nous étions entendus sur un esprit nouveau », une coopération d’égal à égal, répète-t-il. Du côté européen, on peine à comprendre la ligne d’un régime autocratique qui souffle le chaud et le froid. « Nous n’avons dévié du mémorandum d’accord, ni du dialogue stratégique. Ce sont les Européens qui ne s’entendent pas entre eux », assure le ministre, faisant référence aux dissensions entre la Commission et les Etats membres.

      Dérive autoritaire

      Le président du Conseil Charles Michel s’est également fendu de critiques lourdes contre la méthode. Certains Etats membres, dont la Belgique, ont critiqué à la fois la forme (ils estiment n’avoir pas assez été consultés) et le fond (l’absence de référence aux droits humains et à la dérive autoritaire de Saïed). « Je vais être gentil et je ne donnerai pas les noms. Nous savons qui est pour et qui est contre », commente Nabil Ammar.

      Interrogé sur la dérive autoritaire, les atteintes aux droits des migrants ainsi que les arrestations d’opposants, le ministre détaille qu’il « n’y a pas eu un mot de critique (contre le régime tunisien, NDLR) dans ces longues réunions (avec l’UE, NDLR). C’est important de le noter ». « Pourquoi revenir aux anciens réflexes, aux comportements dégradants ? Il ne faut pas faire passer la Tunisie comme un pays qui vit de l’assistance. Cette assistance ne vaut rien par rapport aux dégâts causés par certains partenaires dans notre région. C’est d’ailleurs plutôt une réparation. »

      Questionné quant aux critiques de la ministre belge des Affaires étrangères Hadja Lahbib sur les dérives tunisiennes, Nabil Ammar estime qu’« elle est libre de faire ce qu’elle veut. J’ai vécu en Belgique. Je pourrais en dire autant et même plus. Mais je ne vais pas le faire. (…) Les Européens sont libres d’organiser leur société comme ils l’entendent chez eux et nous sommes libres d’organiser notre société, notre pays comme on l’entend. Ils doivent le comprendre. Nous avons une histoire différente et une construction différente. » Les opposants à Saïed parlent ouvertement d’une dérive dictatoriale, certainement allant jusqu’à qualifier ce régime de « pire que celui de Ben Ali ».
      Vague de violence populaire

      Ces derniers mois, une vingtaine d’opposants politiques ont été incarcérés. Ce jeudi encore, Abir Moussi, leadeuse du Parti destourien libre et dont les positions rejoignaient pourtant en certains points celles de Saïed, a été arrêtée. « Ces gens sont entre les mailles de la justice conformément à la loi et aux procédures tunisiennes. Si ces Tunisiens n’ont rien fait, ils sortiront. Et s’ils sont coupables, ils paieront », assure le chef de la diplomatie, qui défend « l’Etat de droit » tunisien. Depuis son coup de force il y a deux ans, Kaïs Saïed s’est arrogé le droit (par décret) de révoquer les juges, ce qu’il a fait à une cinquantaine de reprises.

      Quant aux atteintes aux droits humains à l’encontre de migrants subsahariens, Nabil Ammar (qui assure avoir lui-même pris en main des dossiers) rejette la faute sur « quelques voyous », qui n’auraient rien à voir avec une « politique d’Etat ». Les organisations de défense des droits humains ont dénoncé des déportations massives dans le désert entre la Libye et la Tunisie. Des images de personnes mourant de soif ont été largement diffusées. « D’autres témoignages disaient exactement le contraire, que la Tunisie avait accueilli ces gens-là et que le Croissant rouge s’est plié en quatre. Mais ces témoignages-là ne rentrent pas dans l’agenda (sic). (…) On sait qui était derrière ça, des mouvements nourrissant des témoignages à charge », continue le ministre, s’approchant de la rhétorique du président Saïed, dont les accents populistes et complotistes sont largement soulignés.

      En parallèle de ces accusations de déplacements forcés, une vague de violence populaire contre les Subsahariens s’est déchaînée (notamment dans la ville de Sfax) à la suite d’un discours présidentiel, qui mentionnait la théorie raciste du « Grand remplacement » (« Ça a été instrumentalisé dans une très large mesure. Le fait d’avoir cité une étude écrite, ça ne veut pas dire qu’il la cautionne »). Ici, Nabil Ammar défend que « la même chose se passe très souvent en Europe. Et on n’ouvre pas un procès pareil. Quelques semaines avant que je prenne mes nouvelles fonctions en Tunisie, au commissariat d’Ixelles, une Tuniso-Belge est morte très probablement sous violence policière. Pendant des mois, nous n’arrivions pas à avoir le rapport de la police », continue-t-il, faisant une référence sidérante à la mort de Sourour A.

      Questionné sur une comparaison très hasardeuse entre un décès suspect et des dizaines de morts, des atteintes aux droits humains globalement dénoncées, il ne dévie pas de sa ligne troublante : « Dans le même commissariat, c’était le troisième cas de Nord-Africain décédé. On n’en a pas fait une campagne médiatique contre la Belgique. Nous ne sommes pas traités de la même façon. C’est injuste et ça montre qu’il y a un agenda pour mettre la Tunisie dans un coin. On devient un pays raciste alors que nous sommes un melting-pot, nous sommes le Brésil de l’Afrique du Nord. » Associations de défense des droits des migrants, universités, intellectuels… à Tunis, il ne manque pas de voix pour raconter la peur des Subsahariens et leur disparition de l’espace public, pour éviter les insultes et les lynchages. Mais cette réalité-là ne semble pas au cœur des inquiétudes du ministère.
      Analyse : une autre planète

      Le moins que l’on puisse dire, c’est que Nabil Ammar ne manie pas la langue de bois. Il faut même souvent se pincer lors de l’entretien avec le ministre tunisien des Affaires étrangères. Ce proche du président Kaïs Saïed (dont il adopte les accents populistes et où point l’ombre du complotisme) prend des accents belliqueux, rares dans le milieu diplomatique. Pas question pour lui de se laisser dicter la marche d’un pays que ses ardents opposants décrivent comme une « dictature ». Personne n’a de droit de regard sur ce qui se passe en Tunisie. Alors que le haut-commissaire de l’ONU aux droits de l’homme dénonce une « répression » et des « autorités qui continuent de saper l’indépendance du pouvoir judiciaire », Nabil Ammar lui défend un « Etat de droit ».

      En Tunisie, les ONG dénoncent des dizaines de morts dans des conditions atroces, ainsi que des centaines de déportés. Aujourd’hui, des témoignages affluent sur des migrants abandonnés dans des zones rurales sans accès à un abri ou à de la nourriture. Celui qui connaît bien la Belgique va jusqu’à comparer les maltraitances racistes subies massivement à Sfax à la mort tragique de Sourour A. dans un commissariat d’Ixelles dans un parallèle qui laisse sans voix.

      Sur le mémorandum d’accord avec l’Union européenne, cet excellent connaisseur des rouages européens croit (ou feint de croire) que le cœur de l’accord ne se trouvait pas dans le deal migratoire. Et qu’il espérait développer une relation d’égal à égal avec une institution obsédée et échaudée par la crise migratoire de 2015-2016. Selon lui, ce deal n’avait rien à voir avec les précédents passés avec la Turquie et la Libye. Alors même que tout le monde, de l’autre côté de la Méditerranée, pense l’inverse.
      L’oreille de Kaïs Saïed

      Nabil Ammar connaît parfaitement les institutions européennes. Le ministre tunisien des Affaires étrangères et de l’Immigration a été ambassadeur à Bruxelles pendant deux ans et demi, nommé sous un gouvernement auquel participe notamment le parti islamiste Ennahda. Après le coup de force du président Kaïs Saïed en juillet 2021, il se pose rapidement comme un de ses ardents soutiens. On le décrit aujourd’hui comme une des rares personnes ayant l’oreille d’un président autoritaire, isolé, ne faisant confiance à personne et décrit par ses opposants comme un « dictateur ».

      https://www.lesoir.be/542182/article/2023-10-09/le-chef-de-la-diplomatie-tunisienne-les-europeens-repetent-des-messages-hors-

  • Leaked letter on intended Cyprus-Lebanon joint border controls: increased deaths and human rights violations

    In an increasingly worrying context for migrants and refugees in Cyprus, with the recent escalation of violent racist attacks and discrimination against refugees on the island and the continued pushback policy, civil society organisations raise the alarm concerning Cyprus’ increased support to the Lebanese Army to harden border control and prevent departures.

    A letter leaked on 26 September 2023 (https://www.philenews.com/kipros/koinonia/article/1389120/exi-metra-protini-ston-livano-i-kipros), from the Cypriot Interior Minister to his Lebanese counterpart, reveals that Cyprus will provide Lebanon with 6 vessels and speedboats by the end of 2024, trainings for the Lebanese Armed Forces, will carry out joint patrol operations from Lebanese shores, and will finance the salaries of members of the Lebanese Armed Forces “who actively contribute to the interception of vessels carrying irregular migrants to Cyprus”. In this way, by providing equipment, funding and training to the Lebanese Army, Cyprus will have a determining influence, if not effective control, on the interceptions of migrants’ boats in Lebanese territorial waters and forced returns (the so-called “pullbacks”), to Lebanon. This in violation of EU and international law, which is likely to trigger legal liability issues. As seen in numerous cases, refugees, especially Syrians, who are pulled back to Lebanon are at risk of detention, ill-treatment and deportations to Syria where they are subject to violence, arrest, torture, and enforced disappearance. The worsening situation of Syrian refugees in Lebanon, who face increasing violence and deportations, confirms that Lebanon is not a “safe” third country.

    As seen in the past with several examples from other examples at the EU’s external borders, (e.g. Turkey, Libya and most recently Tunisia), striking deals with EU neighboring countries of departure in order to increase border controls and contain migratory movements has several catastrophic consequences. Despite officially aiming at decreasing the number of lost lives, they actually increase border violence and deaths, leading to serious human rights abuses and violations of EU and international laws. They also foster a blackmail approach as third countries use their borders as leverage against European countries to get additional funds or negotiate on other sensitive issues, at the expense of people’s lives. All these contribute to having a negative impact on the EU and Member States’ foreign policy.

    As demonstrated by a recent article from the Mixed Migration Centre (https://mixedmigration.org/articles/how-to-break-the-business-model-of-smugglers), the most effective way to “disrupt the business model of smugglers” and reduce irregular departures, migrants’ dangerous journeys and the consequent losses of lives, is to expand legal migratory routes.

    By going in the complete opposite direction, Cyprus, for many years now, has prevented migrants, asylum seekers and refugees from reaching the island in a legal way and from leaving the island for other EU countries1. Cyprus has resorted to systematic practices of pushbacks sending refugees back to countries where they are at risk of torture, persecution and arbitrary detention, has intensified forced returns, has dismantled the reception and asylum system, and has fueled a toxic anti-refugee narrative that has led to indiscriminate violent attacks that were initially against Syrian refugees and their properties in #Chloraka (https://kisa.org.cy/sundays-pogrom-in-chloraka) and a few days later to against migrants and their properties in #Limassol (https://cde.news/racism-fuelled-violence-spreads-in-cyprus). More recently, Cyprus has also announced its willingness to push the EU and Member States to re-evaluate Syria’s status and consider the country as “safe” in order to forcibly return Syrian refugees to Syria – despite on-going clashes, structural human rights violations, crimes against humanity and war crimes.

    These deadly externalisation policies and unlawful practices have and continue to kill individuals and prevent them from accessing their rights. A complete change in migration and asylum policies is urgently needed, based on the respect of human rights and people’s lives, and on legal channels for migration and protection. Cyprus, as well as the EU and its Member States, must protect the human rights of migrants at international borders, ensure access to international protection and proper reception conditions in line with EU and international human rights law. They must open effective legal migratory pathways, including resettlement, humanitarian visas and labour migration opportunities; and they must respect their obligations of saving lives at sea and set up proper Search and Rescue operations in the Mediterranean.

    https://euromedrights.org/publication/leaked-letter-on-intended-cyprus-lebanon-joint-border-controls-increa

    #mourir_aux_frontières #frontières #droits_humains #asile #migrations #réfugiés #Chypre #Liban #racisme #attaques_racistes #refoulements #push-backs #militarisation_des_frontières #joint_operations #opérations_conjointes #aide #formation #gardes-côtes_libanaises #pull-backs #réfugiés_syriens #externalisation

  • A #Menton, les arrivées de migrants augmentent, les #refoulements aussi

    De tous les points de passage entre la France et l’Italie, celui du pont Saint-Louis est sans doute le plus pittoresque. Imaginez une route suspendue à flanc de rocher entre Menton, ville des Alpes-Maritimes, et Grimaldi, la première localité transalpine : d’un côté la montagne, abrupte et creusée de grottes ; de l’autre, un paysage de cultures en terrasses dévalant jusqu’à la côte. Tout en bas, la Méditerranée luit d’un éclat mauve, en ce petit matin d’automne que le soleil n’éclaire pas encore.

    Un endroit sublime, donc, et pourtant parfaitement désespérant. Car ce bout de route, encadré par les postes de police des deux pays, accueille chaque jour un ballet tragique de migrants qui passent et repassent, long cortège de malheureux expulsés hors de l’Hexagone. Remis à la police italienne, ils tenteront leur chance une fois, dix fois, vingt fois, jusqu’à pouvoir franchir cette frontière sur laquelle la France a rétabli des contrôles depuis 2015. « A la fin, la plupart d’entre eux finissent par y arriver » , observe Loïc Le Dall, membre de l’antenne locale de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé). Y compris en empruntant les chemins les plus dangereux, comme le toit des trains ou ce sentier vertigineux que l’on appelle ici le « pas de la mort ». Mais dans l’intervalle, ils sont pris dans une étrange partie de ping-pong politico-policier, un casse-tête juridique et humanitaire.

    A quoi pense-t-elle, cette femme arrêtée le long du parapet, entre les deux postes-frontières ? Le visage appuyé contre le grillage, elle regarde la mer et au-delà, les lumières de Menton. Près d’elle, deux très jeunes enfants grelottent dans leurs vêtements de coton. Plus loin, son mari monte la pente en tirant une petite valise. Ils sont kurdes, fuyant la Turquie pour des raisons politiques, disent-ils.

    Grosses boîtes cubiques

    Dans leur groupe, formé au hasard des contacts avec un passeur, il y a une autre famille avec enfants et un adolescent accompagné de sa mère. Poyraz a 17 ans, des écouteurs autour du cou et il tient à préciser quelque chose en esquissant un signe de croix à toute vitesse, le dos tourné pour que ses compagnons ne le voient pas : « Nous sommes orthodoxes,confie-t-il. C’est très difficile pour nous, en Turquie. »

    A trois pas de là, deux Nigérians regardent en direction d’un panneau bleu planté sur le bas-côté : « Menton, perle de la France, est heureuse de vous accueillir. » Les bras ballants, ils ont l’air désemparés, perdus. Eux n’ont rien, ni valise, ni téléphone, ni écouteurs et pas l’ombre d’un sac, fût-il en papier – même dans la misère, il y a des hiérarchies. Surtout, comme beaucoup de migrants, ils disposent de très peu de mots pour expliquer leur situation. Le plus âgé réussit à formuler une question, en rassemblant quelques bribes d’anglais : « Pourquoi ne nous laissent-ils pas entrer ? »

    « Ils », ce sont les forces de l’ordre françaises qui viennent de les renvoyer vers l’Italie, après les avoir enfermés depuis la veille dans des « espaces de mise à l’abri » – en fait des préfabriqués agglutinés entre la route et la falaise, au droit des bâtiments de police. Les Français retiennent dans ces grosses boîtes cubiques ceux qu’ils n’ont pas eu le temps d’exfiltrer avant la nuit, les locaux de leurs homologues italiens, à 50 mètres de là, étant fermés entre 19 heures et 7 heures. Ces lieux sont « climatisés et pourvus de sanitaires, de la nourriture y est distribuée » , explique Emmanuelle Joubert, directrice départementale de la police aux frontières (PAF). Kadiatou, une Guinéenne de 22 ans rencontrée à Vintimille, y a déjà passé la nuit avec son fils Mohamed, 1 an et demi. « C’était très sale, nuance-t-elle, nous étions serrés les uns contre les autres et dormions par terre. »

    Le 29 septembre, plusieurs baraquements ont été ajoutés à ceux qui s’y trouvaient déjà, en prévision d’une recrudescence d’arrivées : sur les 10 000 migrants débarqués dans l’île italienne de Lampedusa, entre le 11 et le 13 septembre, certains devraient atteindre la frontière française ces jours-ci. Entre le 1er janvier et le 21 septembre, la PAF a procédé à 31 844 interpellations, dont 5 259 pour la seule période du 25 août au 21 septembre. D’après la préfecture, ce chiffre, déjà en hausse par rapport à 2022, devrait augmenter avec les afflux attendus en provenance de Lampedusa. Parmi les refoulés, beaucoup sont mineurs et un grand nombre vient d’Afrique subsaharienne.

    Mine résignée

    Au pont Saint-Louis, aucune demande d’asile n’est jamais enregistrée. Et même si la présence d’un membre de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Opfra) serait nécessaire, « il n’en vient jamais ici », assure un policier en faction.

    Pour faire face à cet afflux, il a fallu consolider les dispositifs, notamment depuis le mois de juillet, avec des drones, un avion de la brigade aéronautique de Marseille et des effectifs renforcés. Le 18 septembre, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a annoncé l’envoi de 132 personnes (policiers, gendarmes, militaires des sections « Sentinelle ») afin d’étoffer les « troupes » déjà présentes dans le département. Celles-ci comptent également dans leurs rangs des réservistes de la police qui se relaient pour assurer des contrôles à Menton-Garavan, la première gare en territoire français.

    Ces réservistes vont par petits groupes, équipés de gilets pare-balles. Tous les trains en provenance de Vintimille, ville italienne située à 9 kilomètres, sont inspectés. Et de presque tous, les forces de l’ordre font descendre des sans-papiers, repérables à leurs mains vides, à leurs vêtements informes, à leur mine résignée. De là, ils sont conduits au pont Saint-Louis, où la PAF leur remet un refus d’entrée. Sur ces deux pages remplies par la police figurent notamment le nom, la nationalité et une date de naissance.

    Parfois, ces indications sont fantaisistes (on les reconnaît parce qu’elles indiquent systématiquement comme date un 1er janvier) : la minorité revendiquée par les passagers, qui n’ont jamais de papiers d’identité sur eux et ne sont pas toujours capables de donner une date de naissance précise, n’a pas été considérée comme réelle par les policiers. Ceux-ci choisissent alors une année de naissance estimative, qui « déminorise » les interpellés. Interrogée à ce propos par Le Monde, Mme Joubert (PAF) répond qu’il s’agit « d’un processus technique interne, le plus précis possible au regard des éléments en notre possession ». Ces procédures, dit-elle, « ont été établies afin de ne pas faire échec aux droits » .

    Yacht show de Monaco

    Au chapitre « Vos droits », justement, le document propose deux options. Par la première, le requérant demande à bénéficier d’un délai de vingt-quatre heures. Par la seconde, il affirme : « Je veux repartir le plus rapidement possible. »Or, selon l’Anafé, la case correspondant à cette deuxième option est déjà précochée au moment où les expulsés reçoivent le papier. La décision est exécutoire immédiatement. Le 21 septembre, un arrêt de la Cour de justice de l’Union européenne a jugé illégale cette pratique de refoulement instantané aux frontières. Sans rien changer sur le terrain jusqu’ici.

    Il arrive aussi, en contravention totale avec le droit français, que des mineurs se voient infliger une obligation de quitter le territoire. Celles que montrent, par exemple, Saad, né au Darfour (Soudan) en juillet 2006 (la date figure sur le document établi par la police), et son copain guinéen, 17 ans également. Tous deux sont assis sur un banc, du côté français, la tête entre les mains, incapables de déchiffrer la sommation qui leur donne quarante-huit heures pour contester devant le tribunal administratif. « Une erreur », plaide la PAF. « Nous avons vu cela plusieurs fois », rétorque l’Anafé.

    En cas de doute sur l’âge, un fonctionnaire de l’Aide sociale à l’enfance, structure dépendant du département, doit donner son avis. Ceux qui sont reconnus comme mineurs non accompagnés (les enfants se déplaçant avec des adultes ne bénéficient d’aucune protection particulière) doivent être placés dans des foyers provisoires d’urgence, mais les lits manquent. Le 15 septembre, un hôtel Ibis Budget du centre de Menton a donc été réquisitionné, quoique encore jamais utilisé. Cette décision préfectorale a provoqué la colère d’Yves Juhel, maire (divers droite) de la ville, où les touristes se pressent encore à cette saison. L’édile s’est exprimé sur France 3, le 21 septembre, soit quatre jours avant l’inauguration du Monaco Yacht Show, grand raout dont les participants remplissent les chambres des environs. « Cela ne(…) se fera pas ! Sinon, je serai le premier à être devant l’hôtel pour éviter une telle occupation. (…) Vous n’allez pas faire sortir des gens qui ont payé leur chambre pour en mettre d’autres en situation irrégulière, non ? »

    Dans un courrier adressé à Emmanuel Macron, le 20 septembre, Charles-Ange Ginésy, président Les Républicains du département, réclamait, lui, une prise en charge, par l’Etat, de l’accueil et de l’orientation des mineurs non accompagnés, normalement assumée par sa collectivité. Celle-ci, écrit-il, « ne peut être la victime collatérale d’une frontière passoire qui embolise les personnels en charge de l’enfance » .

    Distribution de repas sur un terrain vague

    En attendant, les personnes refoulées de France s’entassent à Vintimille, avec les primo-arrivants. Ils sont des dizaines sous l’autopont longeant le fleuve Roya, leurs vêtements suspendus aux grillages. « Pour nous laver, il y a la rivière et pour dormir, c’est par terre », racontent, l’air crâne, trois garçons soudanais, arrivés à Lampedusa par la Libye, puis la Tunisie. Ils se disent mineurs mais n’ont pas voulu le déclarer à leur arrivée en Sicile, afin de ne pas être enfermés dans des foyers spécialisés.

    Chaque soir, tout près de là, des associations humanitaires et la paroisse San Rocco de Vallecrosia distribuent, à tour de rôle, des repas sur un terrain vague, dans ce quartier de Roverino où une majorité d’habitants a voté pour la Ligue (extrême droite) aux dernières élections municipales. Mardi 3 octobre, ils étaient 200 à faire la queue, soit moitié moins que les 430 du mardi précédent. Cette baisse correspond-elle à un ralentissement des arrivées du sud du pays ? Ou bien au fait que plus de gens sont parvenus à passer entre les mailles du filet ? Nul ne le sait.

    « Nous sommes habitués à ces cycles, sans pouvoir les analyser » , constate Alessandra Zunino, « référente » chez Caritas. L’organisation catholique distribue des repas le matin et à midi, mais surtout, elle accueille des femmes et des enfants dans une annexe, le long de la voie ferrée. « Nous nous substituons aux services qui manquent, explique Maurizio Marmo, l’un des responsables locaux. A Vintimille, depuis trois ans, plus aucune structure institutionnelle ne fonctionne pour les migrants. Maintenant, tout de même, nous recevons un appui du ministère de l’intérieur pour les vingt places d’hébergement réservées aux femmes et aux enfants. »

    Dans le bâtiment principal, une maison crème aux volets bruns, on se contente de « tendre la main à ceux qui en ont besoin » , poursuit Alessandra Zunino. Quant aux parcours individuels, ils demeurent le plus souvent mystérieux. Même pour le docteur Pedro Casarin, qui soigne des blessures, des bronchites et annonce au moins une grossesse par semaine, sous une tente de Médecins sans frontières. Les gens vont et viennent, restent une heure ou un jour, puis ils repartent aussi soudainement qu’ils étaient arrivés, pour ne jamais revenir. Ils ont bravé le désert, les bandits, les violeurs, la Méditerranée : ce n’est pas une frontière de plus qui va les arrêter.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/07/a-menton-les-arrivees-de-migrants-augmentent-les-refoulements-aussi_6193012_

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  • La nouvelle école de la forêt
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-pieds-sur-terre/la-nouvelle-ecole-de-la-foret-8312840

    Alors que les confinements successifs contraignent les #enfants à rester enfermés, un groupe de parents se met à rêver d’une école de la #forêt dans le parc naturel régional du #Morvan. Léa Minod retrace près de 3 ans de bataille pour que cet établissement hors norme et hors contrat voie le jour.

    #école_publique #éducation