• Le chef de la police municipale d’Hénin-Beaumont mis en examen | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/240823/le-chef-de-la-police-municipale-d-henin-beaumont-mis-en-examen

    Trois agents de la police municipale héninoise, dont son chef, ont été mis en examen ce jeudi à Béthune pour des violences et un faux commis à l’été 2022. De nombreux dysfonctionnements, dénoncés en interne depuis des mois, avaient obligé le maire RN, Steeve Briois, à ordonner un audit, dans lequel le chef de la police était étrangement épargné.

    https://justpaste.it/2c5gg

    #police_municipale #Hénin-Beaumont #violence_policière #faux_en_écriture #fonction_publique_territoriale #obligation_d'obéissance_hiérarchique

  • In Italia si torna in miniera? Lo scottante tema del titanio nel #Parco_del_Beigua

    In un’intervista il ministro parla dell’estrazione dei minerali in Italia.

    Minerali rari che provengono dalla terra, essenziali per costruire batterie e immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili: così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, #Adolfo_Urso, come riporta un’intervista rilasciata oggi a Il Foglio, ha aperto una serie di tavoli per discutere della bozza del regolamento presentato dall’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre la dipendenza di materie prime da un singolo paese oltre il livello del 65 per cento. Come? Con l’estrazione e la produzione, lo smaltimento e il riciclo, utilizzando il Fondo europeo per gli investimenti strategici.

    Il ministro in sostanza spiega che l’Italia ha le carte per giocare una partita importante: insomma, le batterie nascono dalle miniere e - per non dover dipendere dalla Cina - la direzione è quella di tornare a scavare, anche sfidando i cosiddetti «Nimby» (not in my backyard). Sempre l’articolo riporta che delle 34 materie prime definite «critiche», l’Italia ne possiede 15, di cui 8 estraibili in pochi anni con le tecnologie moderne. È possibile già mappare una serie di regioni ricche di minerali interessanti: la Liguria ad esempio ha il rame, ma non solo. Come spiega anche Il Foglio e come più volte riportato anche da GenovaToday, sotto il terreno del Parco del Beigua è stimato che si trovi uno dei più grandi giacimenti di titanio a livello mondiale.

    Ed è un tema scottante anche se non riguarda propriamente la costruzione di batterie perché è dagli anni ’70 che si parla di questo territorio, da quando gli occhi delle compagnie estrattive si sono posate sul suo giacimento (qui la storia). Nonostante la ferma opposizione dei Comuni e dell’ente parco (riconosciuto Unesco Global Geopark), è da anni che la Cet, Compagnia Europea per il Titanio, chiede di poter scavare. Lo scorso maggio, il Tar ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area ma la Cet ha presentato ricorso al Consiglio di Stato.

    E dunque ogni volta che si parla di materie prime e miniere, sindaci, cittadini e associazioni ambientaliste del territorio fanno un «salto sulla sedia» e cercano di tenere alta l’attenzione per non trasformare una vasta area naturale in una miniera con tutti i disagi che l’operazione comporterebbe dal punto di vista ambientale e turistico. Ma, nonostante il giacimento record, anche Il Foglio ribadisce che la zona è stata inserita in un parco nazionale protetto e l’idea di accedervi, dunque, è quanto meno irrealistica.

    https://www.genovatoday.it/green/miniera-titanio-parco-beigua.html

    #montagne #Ligurie #extractivisme #matières_premières #terres_rares #titane #Italie #Beigua #dépendance #Fonds_européen_pour_les_investissements_stratégiques #batteries #mines #matières_premières_critiques #résistance #Compagnia_Europea_per_il_Titanio (#CET)

    • Ricerca titanio del Beigua, Tar accoglie ricorso ambientalisti

      Vittoria delle associazioni ambientaliste (LAC, WWF, LIPU) costituite in giudizio contro Regione Liguria e la società Cet, per evitare il potenziale rischio di una devastante maxi-cava


      Nessuno andrà alla ricerca di titanio nel parco del Beigua.

      Lo ha deciso il Tribunale amministrativo regionale della Liguria accogliendo il ricorso degli ambientalisti. Con la sentenza, depositata venerdì 27 maggio, il tar ha dunque confermato il divieto di ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè respingendo il ricorso della società Cet che voleva effettuare campionamento anche dentro l’area protetta del Parco.

      I giudici amministrativi inoltre hanno censurato la parte del decreto del dirigente regionale alle attività estrattive della Regione Liguria, emesso nel febbraio 2021, relativa al permesso di ricerca mineraria in aree esterne (Monte Antenna) del comprensorio del Parco Beigua, nei comuni di Urbe e Sassello, perché comunque facenti parte di una ZSC (zone speciale di conservazione) ricompresa nell’elenco comunitario delle cosiddette aree “Natura 2000”.

      Le associazioni ambientaliste Lac, Wwf e Lipu, patrocinate dallo studio legale Linzola di Milano, sottolineano come «la pretestuosa, ennesima campagna di pseudo ’ricerca’ pare avesse come unico obiettivo quello di perseverare nella vecchia richiesta di concessione mineraria che, quando in futuro ritenuta economicamente sostenibile, non potrebbe che sfociare che in una distruzione dell’area interessata, mediante utilizzo di esplosivi per estrarre in cava , macinare e separare con flottazione ed acidi un 6% di rutilo, con immense quantità di scarti e grandi necessità di prelievi idrici dal bacino del torrente Orba».

      «Schizofrenico - a detta degli ambientalisti - il comportamento della Regione Liguria che, al netto delle fasulle dichiarazioni di contrarietà dei partiti di maggioranza ad una cava di Rutilo sui monti Antenna e Tarinè, ha negato i permessi di ricerca dentro il parco regionale del Beigua, ma li ha consentiti in alcune aree adiacenti senza mai interpellare i proprietari dei terreni».

      Per le associazioni ambientaliste si è così evitata la devastatizione di centinaia di ettari di terreno da attività di cava a cielo aperto e in aree ad alto valore naturalistico e paesistico; salvaguardate anche lo spreco di grandi consumi di acqua e derivazioni dei torrenti Orba e Orbarina, e loro inquinamento ed indisponibilità di acqua potabile per i comuni piemontesi a valle; una mega discariche a cielo aperto per contenere oltre il 90% di rocce macinate di scarto, la cui lavorazione ne avrebbe aumentato il volume e reso i suoli instabili; transiti per decine di migliaia di passaggi di camion, a fronte di compensazioni economiche inesistenti, in quanto non previsti dalla legislazione mineraria; danni per la salute dei cittadini a causa della presenza nelle rocce di asbesto blu.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/beigua-tar-titanio-ricorso-ambientalisti.html
      #justice #recours

    • Titanio nel parco Beigua, Grammatico (Legambiente): «Grande preoccupazione per salute e ambiente»

      «La Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca: la riteniamo una scelta sbagliata»

      «Legambiente Liguria esprime grande preoccupazione dopo avere appreso che con il decreto numero 1211-2021 la Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca, che ha la finalità di portare all’apertura della miniera nel comprensorio del Beigua»: così si esprime Legambiente Liguria in un comunicato.

      Torna dunque alla ribalta una questione annosa che da molto tempo sta facendo discutere, ovvero quella dell’estrazione del titanio nell’area del Parco del Beigua, uno dei più grandi giacimenti a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco (l’area è protetta ed è riconosciuta anche come Geoparco Unesco). Dall’altra parte, il Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.

      «Riteniamo questa una scelta sbagliata - dichiara Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, riferendosi al permesso di ricerca concesso alla Cet - anche se limitata ai 229 ettari (su 458 interessati complessivamente) che si trovano ai margini del confine del Parco del Beigua, perché è evidente che tutti gli impatti negativi dell’apertura di attività minerarie ricadrebbero nell’area Parco. Con la scusa della ricerca scientifica si verifica un precedente pericoloso, preludio ad una attività insostenibile per impatto ambientale e lontana dai desideri di sviluppo delle comunità locali che da anni si oppongono a qualsiasi ipotesi di apertura di attività estrattive. Legambiente è vicina ai cittadini che vivono e operano nel Parco del Beigua valutando anche le modalità e le sedi opportune per opporsi a questo decreto».
      L’unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark

      L’associazione ambientalista ricorda che il gruppo montuoso del Beigua, diventato Parco nel 1995, Geoparco europeo e mondiale nel 2005 e nel 2015 è stato riconosciuto Unesco Global Geopark ed è l’unico parco ligure a potersi fregiare di tale riconoscimento. «Inoltre in questi anni l’Ente Parco ha portato avanti un lavoro su un modello di sviluppo basato su agricoltura sostenibile, manutenzione dei boschi, turismo di qualità e consorzi sempre più attenti alla filiera corta - aggiunge Grammatico - anche per questo ribadiamo la nostra contrarietà al progetto che devasterebbe un’area protetta di inestimabile valore per biodiversità e valori ecologici e paesaggistici oltre che mettere a repentaglio la salute di chi vive nel territorio. Da un punto di vista sanitario, diversi studi hanno inoltre evidenziato come nel minerale grezzo nella composizione delle rocce del giacimento risulta la presenza di un anfibolo del gruppo degli asbesti in una percentuale pari a circa il 10/15% che ha tendenza a separarsi sotto forma di fibra e minutissimi aghi ed è notoriamente dannoso per la salute».
      Rossetti (Pd): «Chi tocca il Beigua se ne assume le responsabilità»

      In giornata arriva anche il commento del consigliere regionale Pippo Rossetti (Pd): «Sconcerto e preoccupazione per la delibera che consente alla Compagnia Europa del Titanio di perforare aree del Parco del Beigua allo scopo di aprire una miniera per la raccolta del titanio. Mi chiedo se l’assessore Scajola sa cosa succede. Tre mesi fa, a novembre, ai colleghi Candia e Pastorino ha risposto in Consiglio che non c’era alcuna richiesta e che comunque la Giunta sarebbe stata contraria. Dopo trenta anni di tentativi inutili da parte della Compagnia, la Giunta Toti da il suo consenso! Unico Geopark della Liguria vengono cosi contraddette tutte le politiche economico turistiche ambientali del territorio. Toti finge di non sapere che perforazioni ed estrazioni in quel luogo sono pericoli per la salute degli abitanti, perché in quelle rocce ci sono fibre che inducono all’asbestosi. Chiedo che Asl 2 , Arpal e Uffici Regionali vengano immediatamente a riferire in Commissione e l’assessore Scajola a spiegarci come mai in tre mesi la Giunta ha cambiato idea, sperando che non si nasconda dietro ai pareri tecnici degli uffici, alibi che vale come il due di picche. Chiedo che immediatamente tutti gli atti e il verbale della Conferenza dei Servizi vengano resi pubblici. Ognuno potrà assumersi le sue responsabilità».
      La Regione: «Nessuna autorizzazione ad attività estrattiva»

      «Non è stata fatta alcuna delibera di giunta autorizzativa per la raccolta del titanio nell’area del Beigua - replica l’assessore regionale Marco Scajola -. Il consigliere Rossetti confonde, strumentalizza e non sa di cosa parla. Gli uffici tecnici competenti hanno permesso, nel pieno rispetto delle norme, uno studio non invasivo che non interessa l’area del parco del Beigua. Non vi sarà alcuna attività di cava: lo studio verrà condotto senza alcun prelievo né alcun intervento sul territorio. Degli oltre 450 ettari richiesti ne sono stati concessi poco più di 200, escludendo l’area del parco naturale regionale del Beigua. Questo è stato fatto nonostante ci fossero pareri favorevoli ad autorizzare attività di studio in tutta l’area, anche del parco, da parte della Provincia di Savona, dell’Arpal e dell’Asl competente. Lo stesso Ministero dell’Ambiente ha confermato che l’attività di studio non dev’essere soggetta a VIA, proprio in virtù delle modalità non invasive che verranno impiegate. Nessuna autorizzazione quindi da parte della Giunta: chi afferma il contrario afferma il falso, senza conoscere minimamente l’argomento».

      https://www.genovatoday.it/attualita/titanio-parco-beigua-cosa-succede.html

    • Titanio nel Beigua, la Cet fa ricorso al Consiglio di Stato per effettuare le ricerche minerarie

      La questione dell’ipotetica miniera di titanio nell’area del Geoparco Unesco va avanti dagli anni ’70

      Era solo questione di tempo e a fine anno la Cet - Compagnia Europea per il Titanio - è tornata alla carica, presentando ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Liguria dello scorso maggio, che di fatto ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè.

      Siamo nel cuore del Parco del Beigua (unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark) che comprende un’area da anni finita nell’occhio del ciclone poiché cela uno dei più grandi giacimenti di titanio - elemento molto ricercato - a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco all’idea di aprire un’enorme miniera proprio nel verde. Dall’altra parte, la Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.
      La sentenza del Tar contestata

      La Cet ha presentato ricorso contro la sentenza del Tar del 27 maggio, chiedendo l’annullamento di diversi documenti. Tornando indietro nel tempo, nel 2015 la Cet aveva chiesto il rilaascio di un permesso di ricerca mineraria sul monte Tarinè per un periodo di tre anni. La Regione Liguria aveva dichiarato che l’istanza era inammissibile perché contrastante con il piano del Parco Naturale Regionale del Beigua che vieta di asportare rocce, minerali e fossili, fatti salvi i prelievi per ricerche scientifiche.

      Il ricorso proposto della Cet - interessata a svolgere ricerche sul giacimento di titanio - contro il provvedimento era già stato respinto dal Tar nel 2020 (con un’altra sentenza impugnata): “La sottoposizione dell’area sulla quale si dovrebbe svolgere la ricerca mineraria a molteplici vincoli sia paesaggistici che ambientali - avevano scritto i giudici - è di tale pervasività che non residua nessuno spazio per intraprendere un’attività di ricerca che non essendo compiuta da un istituto scientifico ma da un’azienda estrattiva avrebbe avuto, come fine ultimo, l’estrazione di minerali attività certamente vietata dalle norme a tutela del Parco Regionale del Beigua che costituisce, per circa il 50% l’area interessata alla concessione”.

      L’ente parco aveva successivamente approvato un regolamento che subordina le attività di ricerca al rilascio di un’autorizzazione dello stesso parco, stabilendo che comunque non sono ammesse le ricerche attinenti svolte da soggetti che non abbiano come scopo la promozione di attività di studio. Ritenendo che queste ultime previsioni fossero lesive dei suoi interessi, la Cet aveva impugnato il regolamento del Parco del Beigua, ma il Tar nel maggio 2022 aveva dichiarato il ricorso inammissibile. Adesso si andrà avanti con il Consiglio di Stato.
      Buschiazzo: «Vorremmo impiegare le nostre risorse per lo sviluppo del territorio, non per difenderci»

      La vicenda giudiziaria si trascina appunto dal 2015 e, come chiarisce il presidente del Parco del Beigua Daniele Buschiazzo, che ha divulgato la notizia del ricorso al Consiglio di Stato della Tar, la questione «continua a impegnare ingenti risorse del Parco del Beigua. Risorse che vorremmo impiegare per favorire lo sviluppo turistico del territorio, ma che dobbiamo invece usare per proteggerne l’elevata qualità ambientale dell’area e di conseguenza la qualità di vita delle persone che ci vivono. Non a caso qui insistono un’area protetta, la più grande della Liguria, un Geoparco riconosciuto dall’Unesco e diverse Zsc – zone speciali di conservazione».

      Sicuramente il ricorso al Consiglio di Stato non giunge inatteso: «Il Parco del Beigua e tutte le sue comunità - continua Buschiazzo - faranno valere le proprie ragioni come hanno sempre fatto. Ci aspettiamo che si costruisca anche la Regione Liguria assieme a noi».
      Un territorio sotto la spada di Damocle dal 1976

      Il territorio riconosciuto dall’Unesco è di fatto sotto la «spada di Damocle» dal 1976, da quando gli occhi delle compagnie si sono posate sul suo giacimento.

      «Sarebbe bene una volta per tutte mettere la parola fine su questa vicenda che ci fa disperdere risorse che potrebbero essere utili per il nostro territorio. Tanto più in un momento in cui la zona infetta dalla peste suina è estesa su tutto il parco da ormai un anno, creando notevoli problemi a tutte quelle attività che contribuiscono a mantenere il nostro territorio» conclude Buschiazzo.
      La preoccupazione di Legambiente

      «La Cet ribadisce, con questo ennesimo atto contro lo sviluppo sostenibile del territorio, la propria essenza - dichiara Santo Grammatico, presidente Legambiente Liguria -. Non ha alcun interesse nella ricerca scientifica ma lo ha solo di mero sfruttamento minerario per una delle zone geologicamente più pregevole della Liguria, tutelata da un parco regionale e riconosciuta dall’Unesco. Spiace constatare, a valle del ricorso dell’azienda al Consiglio di Stato, contro la sentenza del Tar Liguria che impedisce la ricerca nell’area Parco e nelle Zone Speciali di Conservazione, che non si sia definitivamente risolta la questione sul piano politico. La Regione Liguria con il Decreto 1211 del febbraio 2021 ha concesso alla Cet, per tre anni la possibilità di effettuare ricerche minerarie anche in zone limitrofe all’area tutelata, aprendo di fatto un conflitto sociale, economico e ambientale a danno degli enti e della comunità locale».

      «Saremo sempre insieme e al fianco delle Comunità e dei Parchi che si oppongono a uno sviluppo predatorio del nostro territorio» conclude il presidente dell’associazione ambientalista.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/titanio-beigua-ricorso-cet-consiglio-stato.html

  • Mini-#histoire d’une minuscule île au milieu du Pacifique : Nauru

    L’île de #Nauru a exploité jusqu’à l’épuisement le #guano - excréments d’oiseaux séchés -, disponible en grande quantité sur l’île et ressource stratégique, car utilisée comme fertilisant pendant une bonne partie du 20ème siècle.

    Le guano a permis à l’île de Nauru de devenir richissime... mais une fois cette ressource épuisée... les caisses étaient vides. Alors voilà la « solution », le deal de l’Australie (la fameuse « #Pacific_Solution ») : contre une belle somme d’argent, Nauru a décidé de prendre de « accueillir » des demandeurs d’asile intercepté·es au large de l’Australie. Le « modèle australien » (qui aujourd’hui fait des émules notamment au Royaume-Uni) est né.

    Mais l’argent n’étant probablement pas suffisante par rapport aux gains financiers avec les réfugiés, voilà que Nauru a une autre magnifique idée : exploiter ses #fonds_marins à la recherche de terres rares...

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    Comment Nauru, État confetti du Pacifique, peut faire basculer le monde vers l’exploitation des fonds marins

    Les grands fonds marins seront-ils exploités bientôt par des compagnies minières ? Un tout petit État du Pacifique pousse pour... et cela risque de changer le visage de nos océans.

    Nauru, c’est un État minuscule, un confetti dans le Pacifique : une vingtaine de kilomètres carrés seulement, moins de 10 000 habitants. Cette île, situé à près de 5 000 kilomètres des côtes australiennes, s’y connaît bien en exploitation minière. En 1906, un gisement de phosphate, gigantesque, est découvert. Ce sont les colons allemands puis australiens qui lancent les chantiers. En 1968, Nauru accède à l’indépendance et devient, grâce au phosphate exporté à l’étranger, immensément riche.

    n 1974, son PIB dépasse même celui des États-Unis. Mais à force de creuser, forcément, la ressource s’épuise. Et aujourd’hui, Nauru lorgne sur l’Océan. Le micro-État a passé un accord avec un géant canadien, The Metals Compagny, pour aller fouiller sous l’eau.
    Les grands fonds marins classés « patrimoine commun de l’humanité »

    Pour exploiter les fonds marins, à plusieurs centaines de mètres, voire plusieurs kilomètres de fonds, Nauru a besoin d’une autorisation. Aujourd’hui, les grands fonds marins sont classés « patrimoine commun de l’humanité ». L’exploration y est déjà possible, mais pas l’exploitation. C’est l’Autorité Internationale des Fonds Marins qui est chargée de les protéger, mais aussi, et c’est paradoxal, de mettre en place un code minier : des règles avant d’aller chercher peut-être à l’avenir du nickel, du cobalt ou du cuivre.

    Des discussions sont en cours depuis dix ans. Mais en 2021, Nauru est venu bousculer cette autorité, en lui donnant deux ans pour boucler le dossier. C’est technique, mais c’est possible. Et on y est : depuis dimanche 9 juillet, il est possible de lancer une demande d’exploitation. Nous sommes dans une « période de flou juridique » avec un risque de « désastre écologique » alertent plusieurs ONG.
    Nauru, en quête désespérée de survie économique

    Si Nauru s’est transformée en fer de lance de l’exploitation des océans, c’est pour l’argent.
    Parce qu’après une phase de grande richesse, Nauru s’est effondré dans les années 1990. Comment se relever quand sa terre a été dévastée à près de 80% ? Quand l’agriculture est donc limitée ? Et le tourisme aussi ? En 2011, le taux de chômage atteint les 90%. Le pays a alors lancé plusieurs pistes, pas toujours légales d’ailleurs. Parmi elles, la vente de passeports ou le blanchiment d’argent sale.
    Depuis 2012, aussi, Nauru se fait payer pour placer dans des camps sordides sur son sol, les migrants clandestins que l’Australie ne veut pas accueillir. Des camps décrits par Médecins sans frontières « comme des lieux de désespoir infini », avec des suicides d’enfants qui, parfois, s’aspergent d’essence pour en finir.

    Le dernier réfugié est parti il y a quelques jours. Et l’île, dans une course effrénée à la survie, se tourne vers l’Océan. Rien n’est joué encore. L’Autorité internationale des fonds marins se réunit à partir du lundi 10 juillet, en Jamaïque pour plusieurs semaines de négociations. Et une petite vingtaine de pays, dont la France, réclament un moratoire, « une pause de précaution ».

    https://www.francetvinfo.fr/replay-radio/le-monde-est-a-nous/comment-nauru-etat-confetti-du-pacifique-peut-faire-basculer-le-monde-v

    #exploitation #extractivisme #migrations #réfugiés #asile #deep_sea_mining

  • Frais faramineux, personnalités grassement payées… Le juteux #business d’un pionnier de l’#enseignement_supérieur_privé

    Révélées à l’occasion de l’#affaire_Delevoye, les largesses passées de #Roger_Serre, fondateur du réseau d’#écoles_privées #IGS, font l’objet d’une #plainte contre X déposée par le nouveau directeur, #Stéphane_de_Miollis.

    Souvenez-vous, décembre 2019, l’affaire Jean-Paul Delevoye : le haut-commissaire à la réforme des retraites d’Emmanuel Macron a dû démissionner, avant d’être condamné à quatre mois de prison avec sursis et 15 000 euros d’amende pour avoir omis de déclarer à la Haute autorité pour la transparence de la vie publique certaines rémunérations. Parmi elles, un contrat avec un groupe soudain mis en lumière : l’#Institut_de_gestion_sociale, ou IGS.

    Depuis lors, les soupçons pèsent sur ce poids lourd de l’#éducation_privée, réunissant dix écoles (de marketing, management, communication, etc.) aux acronymes abscons : #Esam, #Esin, #Imis, #Imsi, #Ffollozz… hormis la faussement select #American_Business_School_of_Paris. Trois campus, cinq centres de formation, le tout créé sous un statut associatif, financé à plus de 60 % par des #fonds_publics. Les enquêteurs de l’Office central de lutte contre la corruption et les infractions financières ont perquisitionné le siège de l’IGS et une plainte contre X a été déposée, le 2 mars 2023. Elle émane du nouveau directeur général exécutif d’IGS, Stéphane de Miollis, un ancien cadre d’Adecco, résolu à saisir la justice après avoir mis le nez dans les comptes et commandé un audit au prestigieux cabinet #August_Debouzy.

    « J’ai découvert des montages étonnants pour une fédération d’associations à but non lucratif : des factures de consultants, des notes de frais faramineuses, relate-t-il. Il fallait réagir pour nos enseignants, les 15 000 jeunes qu’on forme chaque année, ne pas se contenter de laver le linge sale en famille. » Dans son viseur, Roger Serre, 78 ans, le fondateur d’IGS, fils de traiteurs marseillais et ancien élève de l’#Essec_Business_School. Dès 1975, il fonde de nombreuses écoles, armé de son entregent et de ses amitiés politiques, notamment avec #Michel_Rocard. Doué pour décrocher les subventions et convaincre les entreprises (Bouygues, Lafarge, IBM… ), il flèche leur #taxe_d’apprentissage vers IGS.

    Appartements et bonnes bouteilles

    « Bienvenue dans le monde des possibles », avait-il comme slogan, insistant toujours sur son engagement associatif, social, humaniste. En réalité, Roger Serre n’a, semble-t-il, jamais oublié de servir ses intérêts. Il a créé, à l’ombre d’IGS, ses propres sociétés, grassement rémunérées pour des missions de communication et de publicité dans les journaux, les salons étudiants. L’une d’elles détient même la propriété des marques des écoles, ce qui les contraint chaque année à reverser des droits pour pouvoir utiliser leur propre nom. Le businessman de l’apprentissage a en parallèle bâti un autre groupe d’écoles, aux initiales quasi similaires, #ISC, dont il est actionnaire. La plainte, aujourd’hui révélée par Libération, pointe un « détournement des ressources du groupe IGS au bénéfice de Roger Serre et de ses proches ». Elle détaille notamment des notes de taxis princières (près de 80 000 euros en 2021), des billets de train ou d’avion, ainsi que la location d’un appartement pour sa fille près des Champs-Elysées. Le fondateur aurait aussi eu l’habitude d’offrir de bonnes bouteilles – de 500 euros à plus de 1 700 euros chaque année et par récipiendaire – à des élus, parlementaires, édiles (Anne Hidalgo en tête), ou collaborateurs de ministres…

    La plainte relève enfin l’embauche de « personnes politiquement exposées » : #Jean-Paul_Delevoye aurait ainsi été rémunéré, sans « trace de travail effectif évidente », à hauteur de 8 250 euros par mois en 2017, et de 6 925 euros en 2018, pour quarante-deux jours de travail. L’ancien ministre était logé dans un appartement de 66 m², près du parc Monceau, alors même qu’il était encore Haut-commissaire à la réforme des retraites. Aujourd’hui retiré de la vie publique, et récemment destitué de la Légion d’honneur, Delevoye plaide l’erreur : « J’aurais dû démissionner quand j’ai été nommé, mais j’ai vraiment bien travaillé avec Roger Serre, longtemps bénévolement d’ailleurs, pour éveiller les futurs managers aux humanités et à la culture. »

    « Couteau dans le dos »

    Autre ami du fondateur, #Jean-Paul_Huchon, ancien président socialiste de la région Ile-de-France. Le haut fonctionnaire a été employé dès la fin de son mandat, après l’embauche de son épouse, recrutée quant à elle comme « chargée de mission stratégie insertion », 1 500 euros par mois, pour deux jours de travail hebdomadaires. Selon l’audit, l’ex-cacique du PS a pu percevoir jusqu’à 122 294 euros en 2018. La seule trace apparemment retrouvée de son travail est un cours de vingt et une heures donné dans une école de management sur… le rock’n’roll. « C’était bien plus, deux à trois fois par semaine, et des cours très pointus, où je passais des vidéos, des bandes-son », se défend Huchon, en apprenant la plainte.

    « Jean-Paul est un spécialiste mondial », assure Roger Serre lors d’une rencontre début juillet, avec ses avocats. L’octogénaire, tout chic, pochette en soie bleue assortie à ses yeux, ne comprend manifestement pas la tempête juridique qui le guette. Il détaille, lèvres madrées, la construction d’IGS : « Toute ma vie ». Un actif immobilier de 200 millions d’euros laissé au groupe, qui lui valut de figurer – à tort, prétend-il – dans le classement des cent plus grandes fortunes de France.

    Il savoure les réseaux sans cesse retissés, jusqu’au secrétaire général de l’Elysée, Alexis Kohler, approché en tant qu’ancien de l’Essec. Son sésame pour rencontrer le Président. « J’ai essayé de convaincre Macron de ne pas nationaliser la taxe d’apprentissage, en vain… » Roger Serre s’étonne que son groupe pâtisse tant de l’affaire Delevoye, « une petite négligence de Jean-Paul ». Il admet ne pas être un « champion de la gestion », jure que le redressement fiscal d’IGS sera léger. Et s’indigne que son successeur lui plante aujourd’hui un « couteau dans le dos », alors qu’il l’a désigné, après avoir lâché les rênes, en échange d’un contrat de consultant en stratégie de 50 000 euros par mois. « Pourquoi cherche-t-on aujourd’hui à m’abattre ? A qui profite le crime ? » interroge le fondateur, en pointant la « #financiarisation_de_l’éducation » avec des géants détenus par des fonds d’investissement qui ont sans doute repéré IGS, et son chiffre d’affaires de plus de 130 millions d’euros. « Les vautours rôdent », s’essouffle-t-il. En attendant, ce sont les juges qui l’attendent au tournant.

    https://connexion.liberation.fr/autorefresh?referer=https%3a%2f%2fwww.liberation.fr%2fsociete%2
    #ESR #enseignement_supérieur #privatisation #université #France #financiarisation #justice

  • Le Macronisme, cette praxis de l’irresponsabilité absolue :
    https://www.valeursactuelles.com/clubvaleurs/politique/fonds-marianne-decivilisation-freres-musulmans-les-confidences-de-

    Toute l’islamosphère est active à mon encontre, nous révèle cette forte tête. Retranchée dans son ministère, Marlène Schiappa vit, depuis quelques semaines, les moments les plus délicats de sa carrière en politique.

    […]

    Le financement et les sommes versées à certaines entreprises interrogent sérieusement la réelle utilité du projet, mais celle-ci fait une tout autre lecture de la polémique : « Le fond du problème, ce sont mes prises de position passées sur la laïcité et l’islamisme. »

    • Étant donné qu’en 2023, un vol de canette de redbull à 1,5€ est passible de 10 mois de prison ferme, Marlène Schiappa est passible de 194444 années de prison pour le détournement de 233333 cannettes d’argent publique.
      ..
      Mais ca sera plutot doux comme que ce qui est arrivé à Laetitia Avia
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/laetitia-avia-ancienne-deputee-lrm-condamnee-a-six-mois-de-prison-avec-sursi

      Laetitia Avia, ancienne députée LRM, condamnée à six mois de prison avec sursis et deux ans d’inéligibilité pour harcèlement moral

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      https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/laetitia-avia-ancienne-deputee-lrm-condamnee-a-six-mois-de-prison-avec-sursi

      L’ex-députée et porte-parole de La République en marche (LRM), Laetitia Avia, a été condamnée, mercredi 5 juillet, à six mois de prison avec sursis et deux ans d’inéligibilité pour le harcèlement moral de quatre anciens assistants parlementaires, selon une information de Mediapart, pour laquelle Le Monde a obtenu confirmation.

      Mme Avia, 37 ans, redevenue avocate après sa défaite aux élections législatives en 2022, a, en revanche, été relaxée des poursuites concernant trois autres ex-collaborateurs.

      L’ancienne élue a également été condamnée à verser 2 000 euros à chacun des quatre ex-assistants parlementaires et à rembourser leurs frais de procédure.

      Lors du procès, qui a eu lieu en deux temps, au début de mai puis le 1er juin, le ministère public avait requis un an d’emprisonnement avec sursis, 10 000 euros d’amende et une peine de cinq ans d’inéligibilité contre l’ex-députée.

      D’anciens assistants parlementaires accusaient, dans un autre article de Mediapart publié en mai 2020, celle qui était alors députée de Paris d’humiliations et d’abus de pouvoir à l’égard de ses collaborateurs. Etaient également cités des propos sexistes ou homophobes dans ses échanges avec les membres de son équipe, comme lorsqu’elle a écrit en 2018, après le vote d’un amendement pour les droits des LGBT + : « On a voté l’amendement des PD », dans une capture d’écran reproduite par Mediapart.

    • Madame Engagez-vous-rengagez-vous te rappelle l’élément de langage du moment : il ne faut pas oublier la « fond du sujet », c’est dire la disparition des tranches de jambon dans les banlieues…

      « Je ne veux pas que les questions autour du #FondsMarianne éludent le fond du sujet : la lutte contre l’islam radical »

      Marlène Schiappa, une « ministre engagée » selon Sarah El Haïry.

  • Mohamed Sifaoui, les zones d’ombre d’un intrigant de l’Algérie au fonds Marianne
    https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2023/07/07/de-l-algerie-au-fonds-marianne-les-zones-d-ombre-de-l-intrigant-mohamed-sifa

    Epinglé par le rapport du Sénat sur le fonds Marianne dont il a bénéficié, le journaliste franco-algérien s’est imposé comme une figure de la lutte contre l’islam radical, adoubée par une partie de la gauche. Depuis son exil en France en 1999, son parcours dessine un personnage clivant et intéressé.

    [...]

    Mohamed Sifaoui est invité à « Tout le monde en parle », le talk-show de Thierry Ardisson. « Arrêt sur images » y consacre une émission. Sur le plateau de Daniel Schneidermann, Florence Bouquillat semble émettre, à demi-mot, des réserves sur sa collaboration avec son collègue [Enquête sur un réseau (islamiste), diffusé le 27 janvier 2003 sur France 2] : « J’ai fait attention dans ma manière de travailler avec lui, par exemple à toujours garder les cassettes avec moi. » Publiquement, elle en restera à cette phrase sibylline.

    Sauf à de très rares proches, la journaliste n’a jamais raconté que, quelques jours avant la diffusion du documentaire, elle a reçu un coup de fil des policiers du Quai des Orfèvres l’invitant à venir les voir. Intriguée, elle s’y rend. Et découvre qu’ils connaissent les moindres détails des entretiens réalisés. Pour elle, cela ne fait guère de doute que Sifaoui les avait tenus informés de l’état d’avancement de leur enquête.

    Contactée, Florence Bouquillat n’a ni infirmé ni confirmé cet épisode. En parallèle de ses activités de journaliste, Sifaoui travaillait-il avec la police française ? Patron de la Crim’ à l’époque, Frédéric Péchenard ne le confirme pas, sans pour autant l’exclure : « A ma connaissance, jamais M. Sifaoui ne nous a donnés d’informations, mais il se disait qu’il en donnait aux RG [Renseignements généraux], mais je ne sais pas si c’était vrai. » Quoi qu’il en soit, Florence Bouquillat et Mohamed Sifaoui ne se parleront plus jamais.


    Le journaliste franco-algérien Mohamed Sifaoui, devant le supermarché Hyper Cacher de la Porte de Vincennes, à Paris, le 10 janvier 2015. ALAIN GUILHOT/DIVERGENCE

    https://justpaste.it/atkiv

    #escroc #SOS_Racisme #Licra #Printemps_républicain #Bauveau #Franc-Tireur #Fonds_Marianne

  • #Accusée #à_tort d’avoir frappé un #policier, Ines est sauvée par une #vidéo et dépose #plainte pour faux | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/070723/accusee-tort-d-avoir-frappe-un-policier-ines-est-sauvee-par-une-video-et-d

    #Vidéastes_indépendants : filmez (et floutez) !

    À l’origine de la plainte d’Ines*, il y a une vidéo de 42 secondes qui a fait le tour des réseaux sociaux. Sur les images enregistrées le 29 juin à Nanterre (Hauts-de-Seine), on la voit jeter une canette de soda en direction de deux policiers, sans les toucher. La jeune femme porte un voile blanc que les forces de l’ordre tentent de lui arracher. Mais dans le procès-verbal d’interpellation, Ines est accusée d’avoir frappé un policier.

    Cette jeune femme, Mediapart l’a retrouvée par hasard samedi 1er juillet, jugée en comparution immédiate au tribunal de Nanterre, pour « violences volontaires sur personnes dépositaires de l’autorité publique ». Ce qui lui a permis d’éviter une peine de prison, c’est la vidéo : face aux images diffusées par l’avocate, les faits ont été requalifiés en simple « rébellion ».

    Et d’après nos informations, Me Shanna Benhamou a déposé plainte, mercredi 5 juillet, pour « faux en écriture publique par une personne dépositaire de l’autorité publique », contre le policier à l’origine du procès-verbal.

    https://twitter.com/CivicioY/status/1674494415421730824

    Au départ de cette affaire, il y a donc une tentative d’interpellation musclée, dans le quartier de Nanterre-Préfecture, à laquelle Mediapart a assisté. Ce jeudi 29 juin, la situation est tendue. En début d’après-midi, la marche en hommage à Nahel s’est déroulée dans le calme mais a été dispersée à l’aide de gaz lacrymogène et des affrontements ont aussitôt éclaté.

    Sur l’esplanade Charles-de-Gaulle, il est près de 21 heures lorsqu’un incendie se déclenche dans les locaux d’une banque détruite un peu plus tôt. Un immeuble d’habitation menace de prendre feu.

    La vidéo filmée par un anonyme montre une jeune femme jeter une canette de soda en direction de deux policiers, à quelques mètres. La canette passe entre les deux #fonctionnaires, équipés de #LBD 40, de protections et de casques.

    L’un d’eux hésite un instant, puis se met à courir vers elle. Une fois à sa hauteur, il la saisit et tente de lui arracher son léger voile blanc, puis cherche à l’extraire du groupe dont elle fait partie. Des femmes s’interposent en criant. La jeune fille semble surprise, essaie de couvrir à nouveau ses cheveux. Dans la confusion, un deuxième #policier l’attrape par les bras. Elle tente cette fois de se soustraire à l’interpellation, en se débattant avec ses mains et ses pieds. 

    Tandis que plusieurs membres des forces de l’ordre parviennent à l’entraîner un peu à l’écart, un attroupement se forme, des gens hurlent, des projectiles sont lancés sur les policiers qui, pour disperser le groupe, font usage de gaz lacrymogène. L’un d’eux jette également une grenade assourdissante. La vidéo s’arrête et la jeune fille disparaît derrière un immeuble.

    « Deux coups de poing au niveau du visage et de la nuque »
    Elle est alors relâchée, sous nos yeux, par les policiers. Rejointe par ses amies, elle réajuste aussitôt son voile. Puis une heure plus tard, Ines est finalement interpellée dans une rue adjacente. 

    Lorsque Mediapart la retrouve en comparution immédiate, samedi 1er juillet, il est déjà près de 23 heures quand elle est amenée, les mains menottées dans le dos, dans la salle d’audience. Elle est habillée avec le même t-shirt noir que sur l’esplanade Charles-de-Gaulle, le même pantalon, les mêmes chaussures, mais ne porte plus son léger voile blanc. Elle vient de passer 48 heures en garde à vue, au commissariat de Rueil-Malmaison.

    Terrorisée, elle a les larmes aux yeux, et ne cesse de faire et défaire son chignon. « Elle avait peur de finir en prison », confiera plus tard Me Shanna Benhamou.

    Âgée de 21 ans, Ines travaille aux côtés d’enfants handicapés et c’est la première fois qu’elle se retrouve devant un juge. Dans son procès-verbal (#PV) d’interpellation, que Mediapart a pu consulter, un policier de la BAC 92 (la brigade anticriminalité des Hauts-de-Seine) affirme qu’Ines s’est approchée de lui par le côté, qu’elle l’a agrippé par son uniforme, et qu’elle lui a mis « deux coups de poing au niveau du visage et de la nuque ». 

    Le policier parle d’une centaine de personnes rassemblées sur l’esplanade Charles-de-Gaulle, d’une « horde d’individus » et de « pillards » jetant des projectiles, de la présence de manifestants « style black bloc ». Rien de tout cela pourtant. S’il y a une urgence à ce moment-là, c’est l’incendie au rez-de-chaussée de la banque, qui risque de se propager. La seule préoccupation de la majorité des personnes présentes est d’ailleurs d’appeler les pompiers. Le PV d’interpellation mentionne pourtant une « situation à un niveau dégradé jamais vu auparavant ».

    Travaux d’intérêt général
    Après la lecture des faits par le tribunal, l’avocate d’Ines bondit et lance : « Tout est faux. Nous ne sommes pas face à une grande délinquante. Inès connaissait Nahel, elle était en colère, c’est vrai, mais elle était surtout triste. Ce qu’attendent aujourd’hui les citoyens, c’est une justice objective. »

    Me Benhamou se lève et s’approche du président du tribunal, Benjamin Deparis. L’ordinateur à bout de bras, elle déclenche la vidéo. Dans la salle d’audience résonnent les détonations, les cris. À la fin du film, le magistrat ne dit pas un mot. 

    Figée dans le box, Inès parle peu, cherche ses proches du regard. La jeune femme reconnaît avoir jeté la canette en direction des forces de l’ordre et un coup de pied lorsqu’ils ont tenté de l’interpeller. Le procureur de la République s’adresse à la prévenue : « Les policiers ne sont pas là pour être pris pour cible par des jets de canette. J’espère que vous saurez vous en souvenir. » Ce rappel fait, il renonce à requérir toute condamnation pour les supposés coups de poing et demande une requalification en « rébellion ».

    Le tribunal suit, condamnant aussi Ines pour « violences volontaires » s’agissant du jet de cannette, en tout à 105 heures de travaux d’intérêt général. Dans le box, Ines esquisse un léger sourire, mêlé à des sanglots. À la sortie, « elle était très choquée, j’ai vu une jeune femme très vulnérable, elle n’arrivait pas à trouver les mots », confie son avocate.

    « Sans cette vidéo, je n’aurais pas obtenu la requalification des faits, le tribunal n’avait aucun élément pour me donner raison, poursuit Me Benhamou. La seule chose que l’on a dans ce dossier, c’est ce PV qui affirme qu’elle a volontairement donné des coups de poing. » 

    L’infraction de faux nécessiterait un caractère intentionnel et la démonstration d’un décalage suffisamment important entre les faits et leur retranscription pour en constituer la matérialité.

    Le parquet de #Nanterre
    Dans cette procédure, en prime, il y a des erreurs dans le PV d’exploitation de la vidéo, dressé par d’autres fonctionnaires qui écrivent que la canette « atteint le policier de droite qui se retourne ». Sur les images, on voit pourtant qu’elle passe entre les deux hommes. « C’est encore faux », s’agace l’avocate.

    En France, le faux en écriture publique est un délit puni de dix ans d’emprisonnement. Commis par une personne dépositaire de l’autorité publique, c’est un crime passible de quinze ans.

    Questionné par Mediapart pour savoir si une enquête serait ouverte à la suite de cette audience, le parquet de Nanterre indiquait mardi : « Nous ignorons encore comment sera motivé le jugement sur cette affaire [il n’était pas encore connu – ndlr], donc nous étudierons cette option. En tout état de cause, l’infraction de faux nécessiterait un caractère intentionnel et la démonstration d’un décalage suffisamment important entre les faits et leur retranscription pour en constituer la matérialité. Or le tribunal a requalifié les faits et les a condamnés sur ce nouveau chef. »

  • Chez les #policiers, de la #fatigue, peu de débats et la crainte que les #émeutes ne soient pas terminées
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/chez-les-policiers-de-la-fatigue-peu-de-debats-et-la-crainte-que-les-emeutes

    Après des révélations du quotidien La Marseillaise, le parquet de Marseille a confirmé l’ouverture d’une information judiciaire pour « coups mortels avec usage ou menace d’une arme » à la suite de la mort d’un homme âgé de 27 ans dans la nuit du samedi 1er au dimanche 2 juillet, probablement à la suite d’un tir de Flash-Ball ou de lanceur de balles de défense (LBD). Et, à Mont-Saint-Martin (Meurthe-et-Moselle), un homme circulant en voiture a été grièvement atteint, selon ses proches, par une munition antiémeute de type beanbag, un sachet de coton contenant de minuscules plombs, vendredi 30 juin, sans doute après un tir de l’antenne locale du RAID (unité de recherche, d’assistance, d’intervention et de dissuasion), l’une des unités d’élite de la police.

    [...]

    Cet avertissement n’a rien pour calmer la « fatigue intense des derniers jours après une longue séquence avec la crise des retraites, le tout dans un contexte de manque d’effectifs, analyse Patrice Caviggia, délégué syndical Unité SGP-Police-FO. Tout ça finit par peser. » Engagé avec la #CRS 45 à Cergy-Pontoise, ce policier expérimenté a découvert, ébahi, les modes d’action nouveaux, pensés, élaborés, des émeutiers. Des barricades pour bloquer des voies d’accès stratégiques. Des attaques sur les flancs. Des ballons de baudruche remplis de liquide inflammable et lancés dans les fourgons puis enflammés à distance par des tirs de #mortiers. « Ils ne craignaient pas du tout le contact, dit-il. Avec la volonté évidente de causer des #dégâts humains. » #Mobilité, #coordination : la #souplesse des assaillants a aussi contribué à épuiser les #forces_de_l’ordre.

    [...]

    Pour nombre d’entre eux, la rupture physique et nerveuse n’est pas loin. Au tribunal judiciaire de Lyon, lundi 3 juillet, comparaissait un jeune émeutier interpellé en possession d’un mortier d’artifice près de la médiathèque de Vaulx-en-Velin (Rhône). La procédure comporte la retranscription de l’enregistrement de la caméra piéton d’un membre de la compagnie d’intervention de Lyon. « J’en peux plus, j’en peux plus », souffle le policier à ses collègues, alors que la caméra tourne encore après l’arrestation. « Il a du mal à respirer et à reprendre sa respiration. Il semble très essoufflé. Au bord du malaise, un autre policier vient à son contact et l’aide à marcher », explique le rédacteur du procès-verbal. Le porteur de la caméra se tourne vers ses collègues et lâche : « Excusez-moi, j’en peux plus. »

    [...]

    Depuis le soir du 27 juin, début des heurts, 722 #fonctionnaires de police et gendarmes ont été blessés à des degrés divers – comme 35 sapeurs-pompiers. C’est près de cinq fois plus qu’en trois semaines d’incidents en 2005, après la mort de Zyed et Bouna, deux adolescents électrocutés dans un transformateur après une course-poursuite avec la #police.

  • #Emmanuel_Lechypre, journaliste à BFM Business :

    « L’#échec des #politiques_de_la_ville, une quinzaine de #plans_banlieues depuis 1977. 100 milliards d’euro sur la table, et pas de résultats. La réalité c’est que la situation est bien plus difficile pour ces 7,5% de la population qui vivent dans les #banlieues que pour le reste du pays. Le taux de #chômage y est 2 fois plus élevé. La moitié des jeunes n’y a pas d’emploi, 4 habitants sur 10 n’ont aucun #diplôme, c’est le double de la moyenne nationale, et le taux de #pauvreté est 3 fois plus élevé que dans l’ensemble du pays.
    Quand vous regardez, est-ce que les habitants des #quartiers_pauvres reçoivent plus de #transferts_sociaux que les autres ? Non, en France métropolitaine on est à 6800 euros en moyenne par an. Là c’est 6100 euros dans les banlieues.
    Est-ce que ces territoires, plus pauvres, reçoivent beaucoup plus de la #solidarité_nationale qu’ils ne contribuent ? Ce n’est pas vrai. La Seine-Saint-Denis est le 3ème département en France le plus pauvre de France, et pourtant c’est le 8ème contributeur en termes de #cotisations_sociales.
    Est-ce que les quartiers pauvres sont mieux traités par l’Etat que la France périphérique ? Non, si on regarde les chiffres en matière de #santé, les quartiers populaires comptent moins de 250 professionnels offrant des #soins de proximité. C’est 400 en moyenne en France. Et même quand l’Etat dépense plus, les chiffres sont trompeurs. C’est vrai sur le coût moyen d’un élève accueilli en #éducation_prioritaire, il est plus élevé, sauf que la qualité de l’#enseignement qui est dispensé est moins bonne. »

    https://twitter.com/Laurent_Potelle/status/1675463787221008387
    https://www.bfmtv.com/economie/replay-emissions/good-morning-business/emmanuel-lechypre-banlieues-trop-peu-d-argent-trop-mal-depense-30-06_VN-20230
    #chiffres #statistiques #préjugés #idées_reçues #quartiers_populaires #réalité #Nahel #politique_de_la_ville

    ping @karine4 @isskein @cede

    • Violences en banlieue : la politique de la ville, une cible trop facile

      Depuis la mort de Nahel, l’extrême droite s’indigne des milliards qui auraient irrigué en vain les quartiers populaires. Mais avec des plans banlieues délaissés depuis des années, le problème semble surtout résider dans les rapports entre la jeunesse et la police.

      C’est une petite musique qui monte, après cinq nuits d’émeutes qui laissent le pays groggy. Une rage de justice, pour venger la mort de Nahel, 17 ans, tué par un tir policer le 27 juin, qui a tout emporté sur son passage : mairies, commissariats, écoles, centres des impôts ou de santé, médiathèques, boutiques et centres commerciaux, voitures et mobilier urbain. Jusqu’à cette tentative de mettre le feu à la mairie de Clichy-sous-Bois, tout un symbole : foyer des précédentes violences de 2005, la ville a longtemps été dirigée par l’actuel ministre de la Ville, Olivier Klein.

      Cette petite musique, le Rassemblement national la fredonne depuis des années, mais c’est Eric Zemmour qui l’a entonnée vendredi sur Twitter : « On a dépensé 40 milliards d’euros pour reconstruire ces quartiers avec le #plan_Borloo, 40 milliards ! Vous voyez le résultat aujourd’hui ? » Un discours démagogique : le #programme_national_de_rénovation_urbaine (#PNRU, 2004-2021), créé par la loi Borloo du 1er août 2003, n’a pas coûté 40 milliards, mais 12. Lesquels ont été financés aux deux tiers par #Action_Logement, l’organisme paritaire qui collecte le 1 % logement, un prélèvement sur la masse salariale. Le reste par les collectivités locales et l’Etat. Ces 12 milliards d’euros ont généré 48 milliards d’euros de travaux, une manne qui a surtout profité au BTP. En outre, le PNRU a généré 4 milliards de TVA, 6 milliards de cotisations et 40 000 emplois pendant dix ans. Merci la banlieue. Un deuxième programme, le #NPNRU (N pour nouveau), est en route. D’un montant identique, il court jusqu’en 2030.

      « Plus grand chantier civil de l’histoire »

      Trop d’argent aurait été déversé pour les quartiers populaires ? « Franchement, vous n’imaginez pas à quoi ressemblait leur #état_d’abandon, de #misère, l’#enfermement : la police ne rentrait pas dans ces quartiers, les poubelles n’étaient pas ramassées, personne n’y rentrait ! » s’énervait #Jean-Louis_Borloo mardi 27 juin. Avant d’engueuler Libération, qui l’interrogeait sur son bilan  : « A quoi ça a servi ? Avant le PNRU, qui est quand même le plus grand chantier civil de l’histoire de France, il y avait des émeutes sporadiques dans les quartiers, quasiment tous les jours, jusqu’au grand embrasement de 2005. »

      C’était quelques heures avant que Nanterre ne s’embrase. Hasard cruel du calendrier, le père de la #rénovation_urbaine se trouvait à la Grande Borne à Grigny (Essonne), dans le cadre d’un déplacement censé donner le coup d’envoi des « célébrations » des 20 ans de l’#Agence_nationale_pour_la_rénovation_urbaine (#Anru) et à quelques jours d’un Comité interministériel des villes présidé par Elisabeth Borne, qui devait enfin dévoiler le contenu du plan « Quartiers 2030 ». Issue de la loi la loi Borloo, l’Anru est aujourd’hui présidée par Catherine Vautrin, présidente LR du Grand Reims, qui a succédé à Olivier Klein.

      Si le plan Borloo a permis de pacifier les banlieues, il a été par la suite « victime de son succès ». « Quand ça a commencé à aller mieux, on a arrêté de s’occuper des banlieues, ce n’était plus un problème », explique l’ex-maire de Valenciennes. Il aura fallu l’« appel de Grigny » en 2017 suivi d’un rapport également signé par Borloo en 2018 et une déambulation d’Emmanuel Macron en Seine-Saint-Denis, en plein Covid, pour que le chef de l’Etat ne se décide enfin à lancer l’acte II de la rénovation urbaine.

      Entretemps, une génération aura été sacrifiée. « Les 15-17 ans qui constituent le gros des émeutiers, ce sont les oubliés de la politique de la ville, estime un ex-préfet de Seine-Saint-Denis. Ce mouvement doit engendrer une révolution des dispositifs permettant d’appréhender socialement cette classe d’âge, dont personne ne s’occupe, de Toulouse à Sevran. » L’éducation y joue un rôle central, et l’annonce faite le 26 juin par le chef de l’Etat à Marseille d’étendre les heures d’ouverture des collèges a été saluée par les acteurs de la politique de la ville, qui ne se résume pas à la rénovation urbaine.

      « La question, c’est la police, la police, la police »

      On en fait trop pour les banlieues, vraiment ? Quelques chiffres récents compilés par l’Insee : dans les 1 514 « quartiers prioritaires de la politique de la ville » (QPV), où vit 8 % de la population, le taux de pauvreté est trois fois plus élevé (43 %) que dans le reste des unités urbaines et le revenu médian plafonne à 13 770 euros par an et par foyer. Avec un taux de chômage de 18,6 %, plus du double du niveau national. Bref, « dans les QPV, les communes ont plus de besoins mais moins de ressources : 30 % de capacité financière en moins », rappelait Borloo dans son plan de « réconciliation nationale ». La politique de la ville n’est pas la charité, ou une faveur faite aux plus précaires.

      Dans ces quartiers, plus de la moitié des enfants vivent en situation de pauvreté : 57 %, contre 21 % en France métropolitaine. Ils grandissent la rage au ventre à force de se faire contrôler : dans ces quartiers dont souvent un quart des habitants ne sont pas nés en France, un jeune homme noir ou arabe a une probabilité vingt fois plus élevée d’être contrôlé que l’ensemble de la population, selon un rapport du Défenseur des droits de 2017. Pour le sociologue Renaud Epstein, on se trompe donc en imputant la révolte actuelle à l’échec de la rénovation urbaine. « La question, c’est la police, la police, la police, et éventuellement la justice. La rénovation urbaine n’a rien à voir là-dedans. Si ça chauffe à Pablo-Picasso [le quartier de Nanterre où vivait Nahel, épicentre des violences, ndlr], ce n’est pas parce qu’on va leur enlever leur mosaïque pour pouvoir rénover les tours Nuages ! »

      Elu municipal à Bobigny (Seine-Saint-Denis) et infatigable militant des quartiers populaires, Fouad Ben Ahmed peut dater la bascule au jour près. Le 3 février 2003, quand Nicolas Sarkozy, alors ministre de l’Intérieur, se rend à Toulouse et lance : « La police n’est pas là pour organiser des tournois sportifs, mais pour arrêter les délinquants, vous n’êtes pas des travailleurs sociaux. » Dans la foulée, le directeur de la police toulousaine est limogé. « Dès lors, la police n’a plus été là pour protéger les jeunes, mais pour les interpeller. » L’élu socialiste n’oublie pas non plus la dimension économique des violences actuelles, qu’il qualifie d’« émeutes du pouvoir d’achat ». Ce dont témoignent les pillages de supermarchés de hard discount comme Aldi. A Grigny, le maire, Philipe Rio, le rejoint : « Depuis 2005, la pauvreté a explosé à Grigny, et la crise du Covid et l’inflation ont été un accélérateur d’inégalités et d’injustices. »

      Alors que Mohamed Mechmache, figure des révoltes urbaines de 2005 à travers son association ACLeFeu, réclamait ce dimanche « un vrai Grenelle pour les quartiers », certains craignent que ces émeutes ne plantent le dernier clou dans le cercueil de la politique de la ville. En clair : il n’y aura pas de PNRU 3 ni de 18e plan banlieue. « Vu l’état de sécession de la jeunesse, et en face la force de l’extrême droite, il n’y aura plus un sou pour les quartiers, c’est mort », confie un militant. Rencontrée samedi soir à Bobigny, Nassima, qui condamne les violences mais comprend la colère, le dit avec ses mots et la sagesse de ses 15 ans : « Déjà qu’on était délaissés, mais on va l’être encore plus car les Français vont se dire : “Ces gens, on les aide, pour qu’au final ils pillent.” »

      https://www.liberation.fr/societe/ville/violences-en-banlieue-la-politique-de-la-ville-une-cible-trop-facile-2023

    • Trop d’argent public dans les banlieues ? « Un vaste mensonge à des fins racistes et anti-pauvres »

      Après les révoltes urbaines, des commentateurs ont accusé les banlieues d’engloutir les #fonds_publics. La réalité ce sont plutôt des #services_publics moins bien dotés qu’ailleurs, et des travailleurs essentiels plus nombreux dans ces quartiers.

      Les banlieues seraient « gorgées d’#allocations_sociales », a dit Éric Zemmour. Ou bien encore seraient dépendantes du « trafic de drogues », a affirmé le patron du Medef au sujet de la Seine-Saint-Denis, avant de s’excuser. « Quand on regarde la réalité de près, le fantasme des milliards d’argent public déversés, d’habitants qui seraient gorgés de subventions est un vaste #mensonge », réagit Stéphane Troussel, président, socialiste, du département en question. La Seine-Saint-Denis, « c’est un département dans le top 10 des créations d’entreprises, en 20 ans, l’emploi y a bondi de 30 %», met par exemple en avant l’élu pour contredire les #préjugés.

      « Je ne suis ni angélique ni naïf, je sais aussi les difficultés, le niveau de chômage, le nombre d’allocataires du RSA, le taux de délinquance et de criminalité élevé, ajoute-t-il. Mais les clichés et caricatures exploités par les réactionnaires et l’extrême droite le sont à des fins politiques, à des fins racistes et anti-pauvres, pour exacerber le clivage entre ce que nous représentons en Seine-Saint-Denis, qui est un peu l’emblème des banlieues, et le reste de la France. »

      Des quartiers de travailleuses et travailleurs

      Les affirmations discriminatoires de quelques figures politiques depuis les émeutes qui ont secoué les quartiers populaires sont en grande partie contredites par la réalité. Dans la symbolique Seine-Saint-Denis, la population dispose « du plus faible niveau de vie de la France métropolitaine », pointait un rapport parlementaire en 2018. Le département présente aussi le taux de #chômage le plus élevé de la région Île-de-France : à 9,8% contre 5,4 % à Paris début 2023. Mais la Seine-Saint-Denis est aussi le département d’Île-de-France, « où la part des travailleurs clés dans l’ensemble des actifs résidents est la plus élevée », relevait l’Insee dans une étude en 2021.

      Les « #travailleurs-clés » de Seine-Saint-Denis sont entre autres aides à domicile, caissières et caissiers, ou encore vendeurs de commerces essentiels. Des #métiers dont tout le monde a perçu l’importance vitale pendant les confinements. L’atelier parisien d’urbanisme s’est aussi demandé où vivent les actifs des professions essentielles d’Île-de-France : personnel hospitalier, caissiers, ouvriers de la logistique, de la maintenance, aides à domicile, personnel de l’éducation…

      Sans surprise, du fait des prix de l’immobilier, elles et ils sont peu à vivre à Paris et beaucoup plus dans les départements des banlieues populaires. Les auxiliaires de vie, par exemple, résident plus fréquemment en Seine-Saint-Denis. Les livreurs sont sous-représentés à Paris, dans les Hauts-de-Seine et dans les Yvelines, mais surreprésentés dans les autres départements franciliens, principalement en Seine-Saint-Denis, dans le Val-d’Oise et le Val-de-Marne.

      Justice, police : #sous-dotation à tous les étages

      « Tous ceux qui ont étudié un peu la situation et essayé de la regarder objectivement ont constaté le #sous-équipement de notre département, notamment en termes de grands services publics, en matière de #justice, de #police, d’#éducation, de #santé », dit aussi Stéphane Troussel. L’élu cite le rapport parlementaire « sur l’évaluation de l’action de l’État dans l’exercice de ses missions régaliennes en #Seine-Saint-Denis » rédigé en 2018 par un élu du parti de Macron et un élu LR.

      Le rapport pointe notamment l’inégalité d’accès à la justice. Par exemple, la durée de traitement des affaires au tribunal d’instance est de 8,6 mois en moyenne en Seine-Saint-Denis, contre moins de 5 mois pour ceux du 18e arrondissement ou du 15e arrondissement de Paris. La Seine-Saint-Denis dispose aussi de beaucoup moins d’officiers de police judiciaire, ceux et celles chargés d’enquêter, que Paris et les Hauts-de-Seine.

      « La police, dans un département populaire comme le nôtre, n’est pas assez dotée en moyens, qu’ils soient humains ou immobiliers, estime Stéphane Troussel. L’état des commissariats est scandaleux. » L’élu pense aussi qu’il faut changer la police. « Il faut un débat sur la doctrine d’intervention, les contrôles aux faciès, les conséquences des modifications législatives de 2017 [sur l’usage de leur arme par les policiers en cas de refus d’obtempérer, ndlr], sur la formation des policiers… Mais en attendant, je suis pour une police qui est un service public, qui rassure et protège d’abord les plus fragiles et les plus modestes, les femmes seules, les enfants et les jeunes, les personnes âgées. Aujourd’hui, je considère que la police n’a pas les moyens de cette action dans un département comme le nôtre. »

      Éducation : des milliers d’heures de cours perdues

      La situation n’est pas meilleure dans l’éducation. Il existe en Seine-Saint-Denis « une forme subie d’#exclusion_scolaire : l’absence d’enseignant devant les élèves », pointait le rapport parlementaire de députés LR et LREM. « En dépit des postes créés depuis cinq ans, la continuité de l’enseignement n’est toujours pas assurée en Seine-Saint-Denis, pour une raison “mécanique” qui tient à l’inefficacité du dispositif de remplacement des absences de courte durée », ajoutaient les deux parlementaires.

      L’an dernier, Mediapart avait comptabilisé 259 heures perdues en un mois dans un collège de Seine-Saint-Denis faute d’enseignants pour faire cours. Dans les Hauts-de-Seine, la Fédération des conseils de parents d’élèves (FCPE) recensait ce printemps déjà plus de 800 heures de cours perdues à Bagneux, commune populaire des Hauts-de-Seine.

      Pourtant, nombre d’établissements scolaires des banlieues populaires d’Île-de-France sont classés « réseau d’éducation prioritaire », Rep ou Rep+. Ce qui devrait signifier des moyens supplémentaires. 58 % des écoliers et 62 % des collégiens de Seine-Saint-Denis sont inscrits dans un établissement de ce type.

      « Dans les établissements Rep et Rep+, les moyens ne sont absolument pas à la hauteur des besoins, accuse Fatna Seghrouchni, professeure de français en collège dans le Val-d’Oise et cosecrétaire de la fédération Sud Éducation. « On entasse les élèves dans les classes, on surcharge les classes. » Quand elle est arrivée dans son collège il y a 17 ans, l’enseignante avait « 20 à 22 élèves par classe », témoigne-t-elle. « Alors que mon collège n’était pas encore classé #Rep. Aujourd’hui, on est à 26-28 tout en étant classé Rep. Cinq élèves en plus par classe, c’est oppressant pour les élèves eux-mêmes. Et l’établissement n’est pas fait pour accueillir autant d’élèves. »

      La responsable syndicale salue les programmes de soutien pour les établissements classés prioritaires, d’aides aux devoirs, les enveloppes budgétaires pour proposer des activités culturelles et sportives. Mais tout cela reste « du saupoudrage, dit-elle. Nous, nous demandons surtout moins d’élèves dans les classes, plus d’établissements scolaires, pour mieux accueillir tous les élèves, plus d’enseignants, plus de personnel en général, et une meilleure rémunération de tous les personnels. »

      Des grands projets qui ne profitent pas aux habitants

      Au cours des nuits de tensions fin juin et début juillet, Yohan Salès, conseiller municipal à Pierrefitte-sur-Seine pour la France insoumise, a arpenté les rues de sa ville à la rencontre des jeunes et des médiateurs. « On a discuté des débats des plateaux télé des derniers jours. Ce que disent les gens, c’est que l’argent de la politique de la ville, on ne le voit pas, rapporte-t-il. Dire que la Seine-Saint-Denis engloutit des millions d’argent public, c’est une lubie de la droite. L’investissement est en fait largement insuffisant. »

      Pour lui, beaucoup des grands projets menés par l’État dans le département de Seine-Saint-Denis ne profitent pas à la population des quartiers. « La vérité, c’est que sur la Plaine-Saint-Denis par exemple, que l’État veut transformer en un nouveau quartier d’affaires, il n’y a pas de volonté politique pour que les habitants du département puissent y travailler. Le chantier d’un site des Jeux olympiques (JO) a brûlé à Aubervilliers, mais ces JO ne vont pas profiter aux habitants du département ! Aucun habitant ne pourra se permettre le prix du billet d’un événement sportif de ces Jeux. » Le premier tarif démarre à 24 euros pour les JO et 15 euros pour les Jeux paralympiques, pour les places avec le moins de visibilité. Les tarifs vont jusqu’à frôler les 1000 euros pour les meilleures places.

      Comment se payer des places, même à quelques dizaines d’euros, quand « une situation de détresse alimentaire frappe les habitants » des banlieues, comme l’alertaient quelques semaines avant la mort de Nahel et les émeutes, des dizaines d’élus locaux des quartiers populaires de différents horizons politiques ? « Les banlieues sont au bord de l’#asphyxie », leurs habitants ont « le sentiment d’être abandonnés par la République », écrivaient aussi ces édiles. Face à cette situation, le président de la Seine-Saint-Denis Stéphane Troussel en appelle à « une action publique de remise à niveau qui porte un choc structurel d’égalité. Sans cela, ma crainte, c’est que les écarts ne cessent de s’accroître ». Dans son département, en Île-de-France, et au-delà.

      https://basta.media/trop-d-argent-public-dans-les-banlieues-un-vaste-mensonge-a-des-fins-racist

      ici aussi :
      https://seenthis.net/messages/1010259

  • Mort de #Nahel : « Ils sont rattrapés par le réel »

    #Ali_Rabeh, maire de #Trappes, et #Amal_Bentounsi, fondatrice du collectif Urgence, notre police assassine, reviennent dans « À l’air libre » sur la mort de Nahel, 17 ans, tué par un policier à Nanterre, et les révoltes qui ont suivi dans de nombreuses villes de France.

    https://www.youtube.com/watch?v=euw03owAwU8&embeds_widget_referrer=https%3A%2F%2Fwww.mediapart.fr%2

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290623/mort-de-nahel-ils-sont-rattrapes-par-le-reel
    #violences_policières #banlieues #quartiers_populaires #naïveté

    • « #Emmanuel_Macron ne comprend rien aux banlieues »

      Ali Rabeh, maire de Trappes (Yvelines), a participé à l’Élysée à la rencontre entre le chef de l’État et quelque 200 maires, le 4 juillet, pour évoquer la révolte des quartiers populaires. Il dénonce sans langue de bois l’incapacité du Président à comprendre ce qui se joue dans les banlieues et son manque de perspectives pour l’avenir.

      Vous avez été reçu mardi 4 juillet à l’Élysée par le président de la République avec des dizaines d’autres maires. Comment ça s’est passé ?

      Ali Rabeh : Le Président a fait une introduction très courte pour mettre en scène sa volonté de nous écouter, de nous câliner à court terme, en nous disant à quel point on était formidable. Puis ça a viré à la #thérapie_de_groupe. On se serait cru aux #alcooliques_anonymes. Tout le monde était là à demander son petit bout de subvention, à se plaindre de la suppression de la taxe d’habitation, de la taille des LBD pour la police municipale ou de l’absence du droit de fouiller les coffres de voiture… Chacun a vidé son sac mais, à part ça et nous proposer l’accélération de la prise en charge par les #assurances, c’est le néant. La question primordiale pour moi n’est pas de savoir si on va pouvoir réinstaller des caméras de surveillances en urgence, ou comment réparer quelques mètres de voiries ou des bâtiments incendiés. Si c’est cela, on prend rendez-vous avec le cabinet du ministre de la Ville ou celui des Collectivités territoriales. Mais ce n’est pas du niveau présidentiel.

      Quand on parle avec le président de la nation, c’est pour cerner les #causes_structurelles du problème et fixer un cap afin d’éviter que ça ne se reproduise. Et là-dessus on n’a eu #aucune_réponse, ni #aucune_méthode. Il nous a dit qu’il avait besoin d’y réfléchir cet été. En fait, Emmanuel Macron voulait réunir une assemblée déstructurée, sans discours commun. Il a préféré ça au front commun de l’association #Ville_&_Banlieue réunissant des maires de gauche et de droite qui structurent ensemble un discours et des #revendications. Mais le Président refuse de travailler avec ces maires unis. Il préfère 200 maires en mode grand débat qui va dans tous les sens, parce que ça lui donne le beau rôle. En réalité, on affaire à des #amateurs qui improvisent. Globalement ce n’était pas à la hauteur.

      Le Président n’a donc rien évoqué, par exemple, de l’#appel_de_Grigny ou des nombreuses #propositions déjà faites par le passé sur les problématiques liées aux #banlieues et qui ne datent quand même pas d’hier ?

      Non. Il a fait du « Macron » : il a repris quelques éléments de ce qu’on racontait et il en fait un discours général. Il avait besoin d‘afficher qu’il avait les maires autour de lui, il nous a réunis en urgence pendant que les cendres sont brûlantes, ce qu’il a refusé de faire avant que ça n’explose. Et ce, malgré nos supplications. Pendant des mois, l’association Ville & Banlieue a harcelé le cabinet de Mme Borne pour que soit convoqué un Conseil interministériel des villes conformément à ce qu’avait promis le Président. Cela ne s’est jamais fait. Macron n’a pas tenu sa parole. On a eu du #mépris, de l’#arrogance et de l’#ignorance. Il n’a pas écouté les nombreuses #alertes des maires de banlieue parce qu’il pensait que nous étions des cassandres, des pleureuses qui réclament de l’argent. C’est sa vision des territoires. Elle rappelle celle qu’il a des chômeurs vus comme des gens qui ne veulent pas travailler alors qu’il suffirait de traverser la route. Emmanuel Macron n’a donc pas vu venir l’explosion. Fondamentalement, il ne comprend rien aux banlieues. Il ne comprend rien à ce qu’il s’est passé ces derniers jours.

      A-t-il au moins évoqué le #plan_Borloo qu’il a balayé d’un revers de main en 2018 ?

      Je m’attendais justement à ce qu’il annonce quelque chose de cet acabit. Il ne l’a pas fait. Il a fait un petit mea-culpa en disant qu’à l’époque du rapport Borloo, sur la forme il n’avait pas été adroit mais il affirme que la plupart des mesures sont mises en œuvre. Il prétend, tout content de lui, qu’il y a plus de milliards aujourd’hui qu’hier et que le plan Borloo est appliqué sans le dire. C’était #grotesque. J’aurais aimé qu’il nous annonce une reprise de la #méthode_Borloo : on fait travailler ensemble les centaines de maires et d’associatifs. On se donne six mois pour construire des propositions actualisées par rapport au rapport Borloo et s’imposer une méthode. Lui a dit : « J’ai besoin de l’été pour réfléchir. » Mais quelle est notre place là-dedans ?

      Dans ses prises de paroles publiques, le Président a fustigé la #responsabilité des #parents qui seraient incapables de tenir leurs enfants. Qu’en pensez-vous ?

      Qu’il faut commencer par faire respecter les mesures éducatives prescrites par les tribunaux. Pour ces mamans qui n’arrivent pas à gérer leurs enfants dont certains déconnent, les magistrats imposent des éducateurs spécialisés chargés de les accompagner dans leur #fonction_parentale. Or, ces mesures ne sont pas appliquées faute de moyens. C’est facile après de les accabler et de vouloir les taper au porte-monnaie mais commençons par mettre les moyens pour soutenir et accompagner les #familles_monoparentales en difficulté.

      Le deuxième élément avancé ce sont les #réseaux_sociaux

      C’est du niveau café du commerce. C’est ce qu’on entend au comptoir : « Faut que les parents s’occupent de leur môme, faut les taper aux allocs. Le problème ce sont les réseaux sociaux ou les jeux vidéo… » Quand on connaît la réalité c’est un peu court comme réponse. On peut choisir d’aller à la simplicité ou on peut se poser la question fondamentale des #ghettos de pauvres et de riches. Pour moi l’enjeu c’est la #mixité_sociale : comment les quartiers « politique de la ville » restent des quartiers « #politique_de_la_ville » trente ans après. Or personne ne veut vraiment l’aborder car c’est la montagne à gravir.

      Vous avez abordé cette question lors de votre intervention à l’Élysée. Comment le Président a-t-il réagi ?

      Il a semblé réceptif quand j’ai évoqué les ghettos de riches et les #maires_délinquants qui, depuis vingt-deux ans, ne respectent pas la #loi_SRU. Il a improvisé une réponse en évoquant le fait que dans le cadre des J.O, l’État prenait la main sur les permis de construire en décrétant des opérations d’intérêt national, un moyen de déroger au droit classique de l’#urbanisme. Il s’est demandé pourquoi ne pas l’envisager pour les #logements_sociaux. S’il le fait, j’applaudis des deux mains. Ça serait courageux. Mais je pense qu’il a complètement improvisé cette réponse.

      En ce moment, on assiste à une #répression_judiciaire extrêmement ferme : de nombreux jeunes sans casier judiciaire sont condamnés à des peines de prison ferme. Est-ce de nature à calmer les choses, à envoyer un message fort ?

      Non. On l’a toujours fait. À chaque émeute, on a utilisé la matraque. Pareil pour les gilets jaunes. Pensez-vous que la #colère est moins forte et que cela nous prémunit pour demain ? Pas du tout. Que les peines soient sévères pour des gens qui ont mis le feu pourquoi pas, mais ça ne retiendra le bras d’aucun émeutier dans les années qui viennent.

      Vous avez été dans les rues de Trappes pour calmer les jeunes. Qu’est-ce qui vous a marqué ?

      La rupture avec les institutions est vertigineuse. Elle va au-delà de ce que j’imaginais. J’ai vu dans les yeux des jeunes une véritable #haine de la police qui m’a glacé le sang. Certains étaient déterminés à en découdre. Un jeune homme de 16 ans m’a dit « Ce soir on va régler les comptes », comme s’il attendait ce moment depuis longtemps. Il m’a raconté des séances d’#humiliation et de #violence qu’il dit avoir subies il y a quelques mois de la part d’un équipage de police à #Trappes. Beaucoup m’ont dit : « Ça aurait pu être nous à la place de Nahel : on connaît des policiers qui auraient pu nous faire ça. » J’ai tenté de leur dire qu’il fallait laisser la justice faire son travail. Leur réponse a été sans appel : « Jamais ça ne marchera ! Il va ressortir libre comme tous ceux qui nous ont mis la misère. » Ils disent la même chose de l’#impunité des politiques comme Nicolas Sarkozy qui, pour eux, n’ira jamais en prison malgré ses nombreuses condamnations. Qui peut leur donner tort ?

      Il se développe aussi un discours politique extrêmement virulent sur le lien de ces #violences_urbaines avec les origines supposément immigrées des jeunes émeutiers. Qu’en pensez-vous ?

      Quand Robert Ménard a frontalement dit, dans cette réunion des maires, que le problème provenait de l’#immigration, le président de la République n’a pas tiqué. Une partie de la salle, principalement des maires LR, a même applaudi des deux mains. Il y a un #glissement_identitaire très inquiétant. Culturellement, l’extrême droite a contaminé la droite qui se lâche désormais sur ces sujets. Ces situations demandent de raisonner pour aller chercher les causes réelles et profondes du malaise comme l’absence d’#équité, la concentration d’#inégalités, d’#injustices, de #frustrations et d’#échecs. C’est beaucoup plus simple de s’intéresser à la pigmentation de la peau ou d’expliquer que ce sont des musulmans ou des Africains violents par nature ou mal élevés.

      Comment ces discours sont-ils perçus par les habitants de Trappes ?

      Comme la confirmation de ce qu’ils pensent déjà : la société française les déteste. Dans les médias, matin, midi et soir, ils subissent continuellement des #discours_haineux et stigmatisant de gens comme Éric Zemmour, Marine le Pen, Éric Ciotti, etc. qui insultent leurs parents et eux-mêmes au regard de leur couleur de peau, leur religion ou leur statut de jeune de banlieue. Ils ont le sentiment d’être les #rebuts_de_la_nation. Quotidiennement, ils ont aussi affaire à une #police qui malheureusement contient en son sein des éléments racistes qui l’expriment sur la voie publique dans l’exercice de leur métier. Ça infuse. Les jeunes ne sont pas surpris de l’interprétation qui est faite des émeutes. En réalité ils l’écoutent très peu, parce qu’ils ont l’habitude d’être insultés.

      D’après vous, que faut-il faire dans l’#urgence ?

      Il faut arrêter de réfléchir dans l’urgence. Il faut s’engager sur une politique qui change les choses sur dix à quinze ans. C’est possible. On peut desserrer l’étau qui pèse sur les quartiers en construisant des logements sociaux dans les villes qui en ont moins. Moi, je ne demande pas plus de subventions. Je veux que dans quinze à vingt ans, on me retire les subventions « politique de la ville » parce que je n’en aurai plus besoin. C’est l’ambition qu’on doit porter.

      Et sur le court terme ?

      Il faut envoyer des signaux. Revenir sur la loi 2017 car cela protégera les policiers qui arrêteront de faire usage de leurs armes à tort et à travers, s’exposant ainsi à des plaintes pour homicide volontaire, et cela protégera les jeunes qui n’auront plus peur de se faire tirer comme des lapins. Il faut aussi engager un grand #dialogue entre la police et les jeunes. On l’a amorcé à Trappes avec le commissaire et ça produit des résultats. Le commissaire a fait l’effort de venir écouter des jeunes hermétiquement hostiles à la police, tout en rappelant le cadre et la règle, la logique des forces de l’ordre. C’était très riche. Quelques semaines plus tard le commissaire m’a dit que ses équipes avaient réussi une intervention dans le quartier parce que ces jeunes ont calmé le jeu en disant « on le connaît, il nous respecte ». Il faut lancer un #cercle_vertueux de #dialogue_police-population, et #jeunesse en particulier, dans les mois qui viennent. La police doit reprendre l’habitude de parler avec sa population et être acceptée par elle. Mettons la police autour de la table avec les jeunes, les parents du quartier, des éducateurs, les élus locaux pour parler paisiblement du ressenti des uns et des autres. Il peut y avoir des signaux constructifs de cet ordre-là. Or là on est dans la culpabilisation des parents. Ça ne va pas dans le bon sens.

      https://www.politis.fr/articles/2023/07/emmanuel-macron-ne-comprend-rien-aux-banlieues
      #Macron #ignorance

    • Entre Emmanuel Macron et les banlieues, le #rendez-vous_manqué

      En 2017, le volontarisme du chef de l’Etat avait fait naître des #espoirs dans les #quartiers_populaires. Malgré la relance de la #rénovation_urbaine, le rejet du plan Borloo comme son discours sur le #séparatisme l’ont peu à peu coupé des habitants.

      Il n’y a « pas de solution miracle ». Surtout pas « avec plus d’argent », a prévenu le chef de l’Etat devant quelque 250 maires réunis à l’Elysée, mardi 4 juillet, sur l’air du « trop, c’est trop » : « La santé est gratuite, l’école est gratuite, et on a parfois le sentiment que ce n’est jamais assez. » Dans la crise des violences urbaines qui a meurtri 500 villes, après la mort du jeune Nahel M. tué par un policier, le président de la République a durci le ton, allant jusqu’à rappeler à l’ordre des parents. Une méthode résumée hâtivement la veille par le préfet de l’Hérault, Hugues Moutouh, sur France Bleu : « C’est deux claques, et au lit ! »

      L’urgence politique, dit-on dans le camp présidentiel, est de rassurer une opinion publique encore sous le choc des destructions et des pillages. « Une écrasante majorité de Français se raidit, avec une demande d’autorité forte, confirme Brice Teinturier, directeur général délégué d’Ipsos. Déjà sous Sarkozy, l’idée dominait qu’on en faisait trop pour les banlieues. Les dégradations réactivent cette opinion. Emmanuel Macron est sur une crête difficile à tenir. »

      Ce raidissement intervient sur fond de #fracture territoriale et politique. « L’opposition entre la France des quartiers et celle des campagnes nous revient en pleine figure. Si on met encore de l’argent, on accentuera la fracture », pense Saïd Ahamada, ex-député de la majorité à Marseille. « Les gens en ont ras le bol, ils ne peuvent plus entendre que ces quartiers sont abandonnés », abonde Arnaud Robinet, maire de Reims, qui abrite sept #quartiers_prioritaires_de_la_politique_de_la_ville (#QPV), et membre du parti d’Edouard Philippe.

      (#paywall)

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/07/06/entre-emmanuel-macron-et-les-banlieues-le-rendez-vous-manque_6180759_823448.

  • La #propriété_foncière, une fiction occidentale

    Dans la région de la #Volta, la #propriété du #sol n’existe pas, la terre n’est pas l’objet de transactions marchandes mais de #partages. D’où vient alors que, dans nos sociétés, nous considérions comme parfaitement légitime ce droit à s’approprier une partie du territoire ?

    #Danouta_Liberski-Bagnoud propose ici un ouvrage d’anthropologie qui entend produire une réflexion générale sur ce que l’on a pris l’habitude d’appeler en sciences sociales, que ce soit en géographie, en anthropologie générale ou en sociologie, « l’#habiter », notion qui renvoie à la façon dont les sociétés se rapportent à l’espace et y composent un monde. Cette notion permet d’éviter toute forme de caractérisation trop précise du rapport des êtres humains à leur lieu de vie.

    On comprend assez vite que ce qui intéresse l’auteure est de mettre en question la centralité et l’universalité de l’#appropriation_privative et des fonctionnements de #marché qui se sont imposées au monde entier à partir des pays industrialisés façonnés par les pratiques commerçantes. Bien qu’elle s’appuie sur les données ethnologiques recueillies sur son terrain, la #région_de_la_Volta (fleuve qui traverse le Burkina-Faso, le Ghana, le Mali, le Bénin, la Côte d’Ivoire et le Togo), l’auteure propose une réflexion large sur la propriété foncière et, plus généralement, sur le rapport que les sociétés humaines entretiennent avec la terre.

    L’essentiel de sa thèse consiste à contester à la fois les institutions internationales dans leur effort pour imposer la #propriétarisation des #terres au nom d’une conception occidentalo-centrée du #développement, et ceux qui parmi les anthropologues ont pu chercher des formes de propriété dans des communautés humaines où ce concept n’a, en réalité, aucune signification. Elle nous invite ainsi, par la comparaison des pratiques, à une réflexion sur nos tendances ethnocentriques et à penser d’autres types de rapport avec la terre que le rapport propriétaire.

    L’ordre dévastateur du marché

    L’auteure montre que les perspectives de #développement_économique par la propriétarisation et la #marchandisation du #foncier telles qu’elles ont pu être portées par les institutions internationales comme la #Banque_mondiale, loin d’aboutir aux perspectives d’amélioration souhaitées, ont conduit plutôt à une forme de « #deshabitation du monde » :

    "Le forçage en terre africaine de la #propriété_privée (autrefois dans les pas de la colonisation, aujourd’hui dans ceux de l’#accaparement_des_terres, de l’#agro-business et de la #spéculation) emporte avec lui toute la violence du rapport déterritorialisé au sol qu’édicte le concept même de propriété privée." (p. 144)

    On peut faire remonter les racines de l’idéologie qui justifie ces politiques à la période moderne en Europe avec #John_Locke qui développa une nouvelle conception de la propriété, les physiocrates qui firent de la terre la source de la richesse et enfin avec le développement de l’#économie_capitaliste qui achève de constituer la terre en une « simple marchandise » (p. 49).

    Dans ce cadre, la thèse de l’anthropologue Alain Testart fait notamment l’objet d’une longue discussion. Celui-ci entendait montrer, contre la croyance défendue par Morgan, par exemple, dans l’existence d’un #communisme_originel, que la plupart des sociétés traditionnelles connaissaient des formes d’appropriation privative et d’aliénation des terres. L’auteure montre, au contraire, que le concept même de propriété est absent des terrains qui sont les siens et qu’interpréter l’habiter des populations de l’aire voltaïque sous le prisme de la propriété privée revient à trahir et à travestir la façon dont elles vivent et parlent de leur rapport à l’espace et à la terre. En réalité, « il ne fait aucun doute que le rapport au sol d’une communauté villageoise [de cette région] est fondé sur le #partage (et le don) de la terre et l’interdit de la vendre » (p. 189). Aussi, face au « forçage du concept moderne de propriété privée » (p. 111), qui est largement le fait d’une approche occidentalo-centrée, l’auteure propose de faire entendre la voix alternative des sociétés voltaïques.

    Le conflit des fictions fondatrices

    Plus généralement, l’auteure reproche à bien des anthropologues d’avoir tendance à projeter des représentations qui leur appartiennent sur les sociétés qu’ils étudient. Pensons aux notions d’animisme ou de perspectivisme qui sont appliquées aux sociétés non européennes, alors même que ces notions ne sont pas endogènes. Y compris les anthropologues qui discutent et relativisent les catégories occidentales comme l’opposition nature-culture continuent de leur accorder un rôle structurant, quand ils cherchent, dans les sociétés non européennes, la façon dont celles-ci se dessinent d’une tout autre manière.

    Au contraire, une approche comparatiste qui englobe nos représentations « conduit au ras des mots et des gestes, dans le détail des pratiques rituelles et ordinaires […] permet le décentrement épistémologique à l’encontre de la métaphysique occidentale » (p. 94). Il s’agit de revenir aux modes d’habiter pour ce qu’ils sont en les comparant aux nôtres, mais sans jamais les confondre, afin de ne pas en biaiser l’analyse par l’usage de concepts qui leur seraient extérieurs et les feraient voir à partir de fictions fondatrices qui ne sont pas les leurs.

    Dans ce cadre méthodologique, le droit de propriété privée foncière relève, selon l’auteure, des fictions juridiques fondatrices proprement occidentales qui ont été importées dans les pays africains avec la colonisation. Or ceux qui voient la terre comme quelque chose qui serait disponible à l’appropriation privative n’ont pas conscience « qu’il s’agit d’une fiction, bien étrange en réalité, car de toute évidence, un terrain n’est pas un objet qui circule, mais un espace indéménageable » (p. 153). Une telle fiction permet de faire comme s’il était possible de séparer un pan de territoire de l’ensemble auquel il appartient, et de le faire circuler par l’échange marchand. Or « la #fiction_économique de la terre marchandise, source de profits financiers, ainsi que la #fiction_juridique d’une terre comme bien privatisable qui est venue la renforcer et la relayer, font assurément figure d’étrangeté hors de la matrice symbolique qui les a engendrées » (p. 260).

    L’existence des fictions juridiques fondatrices manifeste le fait que dans toutes les sociétés « la réalité succombe pour être reconstruite de façon légale » (p. 142). Ainsi « l’agir rituel façonne la réalité, il la (re)construit d’une façon légale, bref, il l’institue » (p. 142). Le monde du rite, comme le monde légal fait « comme si » la réalité était le décalque fidèle de la représentation que l’on s’en fait, alors qu’elle n’en est que l’ombre projetée. Or, comme Polanyi l’a déjà montré, la propriété privée de la terre est une fiction fondatrice des sociétés de marché, mais n’a rien d’universel. À l’inverse, les sociétés de l’aire voltaïque disposent de leurs propres fictions pour déterminer leur rapport à la terre ; or « rares sont les études sur le foncier qui ne recourent pas à des modèles, des théories et des concepts forgés dans l’histoire sédimentée des sociétés occidentales pour analyser les ‘pratiques’ du Sud, en les détachant des systèmes de pensée qui les pénètrent » (p. 210).

    La souveraineté d’une terre inappropriable

    Aussi l’auteure reproche-t-elle à beaucoup d’anthropologues qui ont travaillé sur les sociétés africaines d’avoir projeté des représentations fabriquées en occident sur les sociétés qu’ils étudiaient et aux institutions internationales d’imposer comme une vérité universelle ce qui n’est qu’une fabrication particulière.

    Pour contrer ces tendances théoriques et politiques, l’auteure se concentre sur la figure des « #gardiens_de_la_Terre » qui sont des dignitaires dont le rôle est de délimiter et d’attribuer des terrains aux familles. Du fait du pouvoir qui est le leur, certains ont voulu décrire cette institution dans le cadre des fictions juridiques européo-centrées en les présentant comme des souverains modernes ou des propriétaires éminents à l’image des seigneurs médiévaux. Face à cela, Danouta Liberski-Bagnoud montre que ces « gardiens de la Terre » n’en sont ni les propriétaires ni les souverains, ils sont, en réalité, garants de son #inappropriabilité et, ce faisant, sont au service de sa #souveraineté propre :

    "Dans les sociétés voltaïques […], les hommes n’exercent aucune souveraineté sur la Terre, mais ils sont les sujets de la souveraineté que la Terre exerce sur eux. La Terre n’appartient à personne d’autre qu’à elle-même, nul organe supérieur ne la commande, sa souveraineté ni ne se délègue ni ne se partage entièrement. Cette fiction que construisent les rites et les mythes fonde le régime de partage de la terre. Partage éphémère, non inscrit dans la durée d’un rapport de force, qui tient la durée d’une vie humaine, et répond ainsi à un principe d’#équité, car il empêche toute entreprise qui viserait à l’accumulation de portions de terre, au détriment du reste de la collectivité." (p. 321)

    Cependant, il faut se garder de faire de la Terre une souveraine au sens occidental d’une personnalité juridique qui pourrait imposer sa volonté en dernière instance, parce que ce n’est pas une personne.

    La Terre n’est ni une personne ni un bien (p. 285). Dans les sociétés voltaïques, la Terre est la source intarissable de la vie dans laquelle toute vie doit trouver sa place, et c’est en ce sens qu’elle exerce son pouvoir sur les hommes. La Terre apparaît comme l’instance qui anime le rapport aux espaces qu’elle contient : le village, la brousse, les lieux sacrés, la délimitation de nouveaux espaces voués à la culture sont autant de lieux qui ne peuvent exister qu’avec l’accord de la terre. Le rôle des « gardiens de la Terre » est alors d’assurer l’#harmonie entre l’ordre de la Terre et ceux qui veulent y trouver place. La Terre, dans ce cadre, ne saurait être un bien, elle « n’appartient qu’à elle-même » et son inappropriabilité apparaît comme « la condition d’un mode de l’habiter en commun » (p. 374-375).

    Cette #représentation éloignée de la fiction juridique d’une terre envisagée comme un bien séparable du territoire auquel elle appartient dépend de « la fiction rituelle qui construit la terre comme si elle était la figure de l’autorité suprême, garante du noyau des interdits fondamentaux qui permettent aux sociétés de tenir ensemble » (p. 327-328). En ce sens, la Terre, conçue comme une instance, supporte, ordonne et fait vivre le corps commun de la société et doit être distinguée de la terre conçue comme un simple fonds ; la deuxième est incluse, dépend et ne peut être comprise sans la première. Cette distinction permet ainsi d’opérer un retour critique sur notre civilisation qui aurait ainsi oublié le souci de la Terre dans des fictions qui poussent au contraire à des processus qui favorisent la #déshabitation.

    Le geste théorique comparatiste qu’opère Danouta Liberski-Bagnoud permet de prendre un peu de distance à l’égard de nos représentations en nous montrant qu’il peut exister des rapports à la terre sans propriété privée. Ces autres formes de l’habiter produisent d’autres manières de s’approprier la terre non captatrices et ouvertes sur le #commun. Ce faisant, le geste théorique opéré dans l’ouvrage permet de réfléchir, sous un angle anthropologique, à la notion de fiction juridique beaucoup travaillée en droit, en exhibant ce que nos institutions contiennent d’artifices à la fois factices et producteurs de réalité sociale. Il met ainsi en évidence ce que Castoriadis avait nommé l’institution imaginaire des sociétés. Sur ce plan l’ouvrage, dont bien des formulations sont très évocatrices, revêt toute sa pertinence. Il permet d’ouvrir les horizons d’un autre rapport possible à la Terre sans pour autant laisser croire que les sociétés voltaïques seraient plus authentiques ou plus proches de la nature. Elles entretiennent seulement un rapport autre à la nature qui n’a pas besoin du mythe de la #domination du monde et des choses et qui ne la réduit pas à un ensemble de ressources utiles à exploiter. Le grand intérêt de l’ouvrage réside dans l’usage spéculatif qui est fait de la comparaison étroitement menée entre le rapport occidental à une terre de plus en plus déshabitée avec les formes de l’habiter des peuples de la Volta. Il y a, certes, un risque d’idéalisation, mais, à l’issue de la lecture, on se dit qu’à l’aune des résultats spéculatifs qu’il permet d’obtenir, il mérite d’être couru.

    https://laviedesidees.fr/Liberski-Bagnoud-souverainete-terre
    #livre

    • La Souveraineté de la Terre. Une leçon africaine sur l’habiter

      Les sociétés industrielles ne peuvent plus aujourd’hui s’ériger en modèle de développement. Avant même de détruire, pour l’ensemble des peuples, les équilibres environnementaux, elles se sont engagées dans une forme de déshabitation du monde qui compromet le maintien des formes humanisées de la vie. Sur cette question fondamentale, les systèmes de pensée qui ont fleuri au Sud du Sahara nous apportent un éclairage indispensable – et des pistes de réflexion. Ils nous offrent une leçon précieuse sur une notion marginalisée dans le Droit occidental, mais centrale dans ces systèmes  : l’inappropriable.
      La Terre y est en effet placée hors de tout commerce. Envisagée comme une instance tierce, libre et souveraine, garante des interdits fondamentaux, elle n’appartient qu’à elle-même. Forgée au creuset du rite, cette conception organise toute la vie de la communauté et le partage du sol. Elle est par là même contraire à nos fictions juridiques et économiques qui permettent d’agir comme si la terre était une marchandise circulant entre propriétaires privés, et qui ont pour effet de nous déterritorialiser. Aussi, elle permet un autre mode d’habiter le monde. Cet ouvrage entend montrer quelques voies offertes par des sociétés africaines pour repenser le rapport à la Terre et redonner dès lors un futur aux générations à venir.

      https://www.seuil.com/ouvrage/la-souverainete-de-la-terre-danouta-liberski-bagnoud/9782021515572

  • BALLAST • Revenir au bois : pour des alternatives forestières
    https://www.revue-ballast.fr/revenir-au-bois-pour-des-alternatives-forestieres

    À coup sûr, l’é­té à venir sera comme le pré­cé­dent, comme les pro­chains : cani­cu­laire et ryth­mé par des #feux_de_forêts aux quatre coins de la France et du monde. Les chan­ge­ments cli­ma­tiques se constatent dans les bois plus qu’ailleurs et les arbres peinent à suivre. En cause, notam­ment, l’ex­ploi­ta­tion des forêts en tous points contraire à leur adap­ta­tion. Depuis quinze ans, le Réseau pour les alter­na­tives fores­tières (#RAF) mène des réflexions sur le #fon­cier fores­tier, le tra­vail dans les bois et la pré­ser­va­tion des forêts afin d’im­pul­ser une vision contraire à celle de l’in­dus­trie. Nous avons par­ti­ci­pé à l’une des for­ma­tions que le réseau pro­pose, dans le Tarn. Reportage. ☰ Par Roméo Bondon

  • La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Débacle. Observationally-constrained projections of an ice-free Arctic even under a low emission scenario | Nature Communications
    https://www.nature.com/articles/s41467-023-38511-8

    The sixth assessment report of the IPCC assessed that the Arctic is projected to be on average practically ice-free in September near mid-century under intermediate and high greenhouse gas emissions scenarios, though not under low emissions scenarios, based on simulations from the latest generation Coupled Model Intercomparison Project Phase 6 (CMIP6) models. Here we show, using an attribution analysis approach, that a dominant influence of greenhouse gas increases on Arctic sea ice area is detectable in three observational datasets in all months of the year, but is on average underestimated by CMIP6 models. By scaling models’ sea ice response to greenhouse gases to best match the observed trend in an approach validated in an imperfect model test, we project an ice-free Arctic in September under all scenarios considered. These results emphasize the profound impacts of greenhouse gas emissions on the Arctic, and demonstrate the importance of planning for and adapting to a seasonally ice-free Arctic in the near future.

    Arctique : des étés sans glace de mer probables dès 2030
    https://bonpote.com/arctique-des-etes-sans-glace-de-mer-probables-des-2030

    La glace de mer en Arctique est-elle un point de bascule ?
    Il est possible que la communication soit un peu confuse sur le terme de “point de bascule”, ou tipping point en anglais. Certaines personnes ont communiqué sur le fait que ce soit un tipping point, d’autres non, et il est important de bien définir le terme.

    Qu’est-ce qu’un point de bascule ?
    Bien que le principe soit connu depuis plusieurs décennies par les scientifiques, ce n’est que récemment que le point de bascule est explicitement utilisé. Le GIEC y fait référence dans son 4e rapport pour la première fois, puis y fait désormais référence dans chaque rapport (et rapports spéciaux). Dans son rapport spécial 1.5, voici la définition donnée au point de bascule :

    Degré de changement des propriétés d’un système au-delà duquel le système en question se réorganise, souvent de façon abrupte, et ne retrouve pas son état initial même si les facteurs du changement sont éliminés. En ce qui concerne le système climatique, le point de bascule fait référence à un seuil critique au-delà duquel le climat mondial ou un climat régional passe d’un état stable à un autre état stable.
    La deuxième notion très importante, est l‘irréversibilité : “terme qualifiant l’état perturbé d’un système dynamique à une échelle temporelle donnée, quand le temps nécessaire à la restauration du système par les processus naturels est nettement plus long que le temps nécessaire à l’atteinte de cet état perturbé”.

    Notons que ces points de bascule peuvent être soit provoqués par des fluctuations naturelles du climat, soit par un forçage externe, tel que le réchauffement climatique. Ces points de bascule, dont l’avènement est plausible dans les un à deux siècles à venir (voire avant) avec les émissions anthropiques, sont susceptibles d’entrainer une trajectoire irréversible. Il faudrait alors des siècles, voire des millénaires, pour revenir à la situation initiale.

    Quels sont les différents points de bascule ?
    Ces points de bascule sont nombreux et variés : on retrouve bien sûr la forêt amazonienne, mais aussi la fonte de la banquise arctique, la fonte partielle (Antarctique) ou totale (Groenland) des calottes glaciaires, les changements de la circulation thermohaline, la transformation de la forêt amazonienne en savane, l’affaiblissement de la mousson estivale indienne, le dégel du pergélisol (qui libèrerait des gaz à effet de serre), etc.

    En 2018, Steffen & al. publiait une carte qui résume les principaux points de bascule théoriques à partir d’un certain degré de réchauffement moyen global, où la glace de mer en été en Arctique était présente :

    Peut-on affirmer que la glace de mer en Arctique est un point de bascule ?
    Dirk Notz, co-auteur de l’étude, a déclaré que “ce sera le premier composant majeur de notre système climatique que nous perdons à cause de nos émissions de gaz à effet de serre”.

    Mais le GIEC indique dans son dernier rapport que la perte de la glace de mer en Arctique en été n’est pas un point de bascule (confiance haute, page 5 du chap 9). C’est également ce qu’avait retenu McKay & al. dans leur étude publiée en septembre 2022, où le point de bascule de la glace de mer en Arctique avait été écarté.

    C’est également ce que confirme Jean-Baptiste Sallée : avec la définition du GIEC, ce n’est pas un point de bascule puisque si nous réduisons le réchauffement, la glace revient. Sur le plan physique, c’est très clair. Si certaines personnes considèrent que c’est un point de bascule, c’est probablement parce que le réchauffement climatique n’est pas prêt de s’arrêter et que les promesses des gouvernements nous emmènent vers un monde à bien plus de +2°C de réchauffement mondial (potentiellement +4°C en France) et comme les promesses n’engagent que celles et ceux qui les croient…

    NB : il est aussi très important de comprendre que ces points de bascule sont difficiles à définir précisément, et une fois déclenchés, ils ne mènent pas forcément à un changement abrupt et immédiat du climat : le changement est bel et bien acté une fois le « seuil » passé, mais les conséquences peuvent s’étaler sur des siècles voire des millénaires, comme dans le cas de la hausse du niveau marin.

    Quelles conséquences possibles avec des étés sans glace de mer en Arctique ?
    Sans aucune hésitation, la conséquence la plus importante sera l’augmentation des phénomènes météorologiques extrêmes que nous connaissons actuellement, tels que les vagues de chaleur, les incendies de forêt et les inondations, a déclaré Seung-Ki Min, qui a dirigé l’étude. “Nous devons réduire les émissions de CO2 de manière plus ambitieuse et nous préparer à nous adapter à ce réchauffement plus rapide de l’Arctique et à ses répercussions sur la société humaine et les écosystèmes“.

    Le phénomène va également accélérer le réchauffement arctique, ce qui peut “augmenter les événements météorologiques extrêmes aux latitudes moyennes, comme les canicules et les feux de forêts. Cela peut aussi accélérer le réchauffement mondial, en faisant dégeler le permafrost, ainsi que la montée du niveau des océans en faisant fondre la calotte glaciaire du Groenland”

    Dans le Figaro, Jean-Baptiste Sallée rappelle que “la banquise réfléchit les rayons du soleil. Sa disparition accentuera le réchauffement, avec le risque d’enclencher un cercle vicieux » qui pourrait par exemple impacter la calotte glaciaire du Groenland”.

    Les conséquences vont bien au-delà de l’Arctique
    Cette calotte glaciaire contient assez de glace pour augmenter le niveau des océans de six à sept mètres, précise Heïdi Sevestre, glaciologue, pour Bon Pote. Et parmi les autres conséquences nous pourrions également citer :

    L’érosion des côtes en Arctique qui sera plus importante : la banquise protège les côtes de l’action érosive des vagues partout en Arctique.
    Plus de brouillard dans l’Arctique.
    De nouvelles routes de navigation, avec toutes les implications géopolitiques que cela implique.
    Une menace pour la biodiversité marine, avec des écosystèmes menacés, qui servent de lieu de pêche et de chasse pour les communautés inuites de la régions.
    Le déclin de la glace de mer dans les mers de Barents et de Kara pourrait à lui seul expliquer jusqu’à un tiers du réchauffement hivernal sur le plateau tibétain.
    Enfin, l’auteur principal de l’étude rappelle en outre que la banquise « est un moteur de la circulation océanique globale » : sa disparition l’espace d’un ou plusieurs mois pourrait aussi avoir des conséquences aujourd’hui difficiles à évaluer.

    Il est trop tard pour sauver la glace de mer d’été en Arctique
    “Il est trop tard pour sauver la glace de mer d’été en Arctique”. Cette déclaration fait froid dans le dos et devrait faire la une de tous les journaux. Si le catastrophisme est à combattre parce qu’il peut mener à l’inaction, cette nouvelle étude devrait être l’évènement le plus médiatisé de l’année, compte tenu des conséquences gravissimes que cela aura pour l’humanité. Notons au passage que l’Arctique n’est pas le seul à souffrir, puisque l’Antarctique est également en très mauvaise posture.

    #Arctique #fonte #réchauffement_arctique #événements_météorologiques #climat #réchauffement_climatique

    • Results indicate that the first sea ice-free September will occur as early as the 2030s–2050s irrespective of emission scenarios. Extended occurrences of an ice-free Arctic in the early summer months are projected later in the century under higher emissions scenarios.

  • Fonds Marianne : début des travaux de la commission d’enquête
    Diffusée en direct le 16 mai 2023
    https://www.youtube.com/watch?v=JWHHh3yd6og

    Le 16 mai, la commission d’enquête sénatoriale sur le fonds Marianne entend Christian Gravel, secrétaire général du Comité interministériel de prévention de la délinquance et de la radicalisation (CIPDR), en charge du fonds Marianne.

    Plus d’un mois après les révélations de France 2, Marianne et Mediapart et huit jours après l’ouverture d’une information judiciaire par le Parquet national financier, le Sénat a validé, le 10 mai dernier, la création d’une commission d’enquête sur le fonds Marianne. Rattachée à la commission des finances, la commission d’enquête tâchera de faire la lumière sur la gestion des subventions allouées au titre de ce fonds, mis en place en 2021, suite à l’assassinat de Samuel Paty.

    #Fonds_Marianne

  • Quand un vieux document de 1749 stoppe un projet immobilier
    https://france3-regions.francetvinfo.fr/bretagne/finistere/quimper/insolite-quand-un-vieux-document-de-1749-stoppe-un-proj

    L’acte valide un legs d’une certaine veuve Cardé, riche de son état, mais soucieuse des plus démunis. En 1749, Agnès Pérard de Kersula de son nom de jeune fille, décide de contribuer à la création d’une maison de charité, qui deviendra plus tard bureau de bienfaisance, d’action sociale, etc … jusqu’à un CCAS en 1986.

    Sur le précieux document, il est inscrit, noir sur blanc cassé, que « la donation est faite pour le soulagement des pauvres, des malades …. sans que sous quelque prétexte que ce soit ,les revenus puissent être employés à autre usage qu’au soulagement des pauvres ».

  • Pour compléter sa retraite, le boss de FO Marseille a perçu 2 000 euros par mois du syndicat | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/100523/pour-completer-sa-retraite-le-boss-de-fo-marseille-percu-2-000-euros-par-m

    En janvier 2022, le dirigeant du syndicat incontournable dans la gestion de la ville s’est vu attribuer un forfait mensuel, pour compenser la perte de revenus liée à son départ à la retraite. Une possibilité qui n’est pas mentionnée dans les statuts du syndicat.

    Benoît Gilles et Suzanne Leenhardt (MarsActu)

    10 mai 2023 à 17h06

    Dans le privé, on appellerait cela un parachute doré. Mais, au sein du syndicat général des agents territoriaux force ouvrière (FO) de la ville de Marseille, le matelas financier a été octroyé alors que le principal concerné n’a pas lâché la barre.

    En 2022, le syndicat, ultra-majoritaire et omniprésent dans la gestion de la ville, même si sa mainmise s’effiloche, a versé près de 2 000 euros par mois à Patrick Rué, son secrétaire général, pour compenser son départ à la retraite de son poste d’agent de la ville.

    https://jpst.it/3d7Ou

    #syndicats #bureaucratie_syndicale #institutionnalisation_syndicale #corruption #fonction_publique_territoriale

  • Les Community Land Trusts : vers l’émergence de #communs de l’habitat ?
    https://metropolitiques.eu/Les-Community-Land-Trusts-vers-l-emergence-de-communs-de-l-habitat.h

    Les Organismes fonciers solidaires se développent aujourd’hui en France pour favoriser l’accès au #logement ; Daniela Festa revient sur les origines des mécanismes dissociant la propriété foncière de ses usages, afin de réduire les coûts du logement. Les symptômes de la crise du logement sont aujourd’hui avérés dans le monde entier et ni le marché ni les programmes publics ne parviennent à produire une offre suffisante de logements abordables. Cette impasse a poussé de nombreuses études critiques, #Essais

    / #habitat, #foncier, #fiducie, communs, marché, logement

    #marché
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/festa.pdf

  • Où va la France ?

    La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales » juge Jean-François Bayart, professeur à l’IHEID, pour qui #Emmanuel_Macron vit dans une #réalité_parallèle et joue avec le feu.

    Où va la France ? se demande la Suisse. La mauvaise réponse serait de s’arrêter à la raillerie culturaliste des Gaulois éternels mécontents. La #crise est politique. Emmanuel Macron se réclame de l’ « extrême centre » qu’incarnèrent successivement, dans l’Histoire, le Directoire, le Premier et le Second Empire, et différents courants technocratiques saint-simoniens. Il est le dernier avatar en date de ce que l’historien Pierre Serna nomme le « poison français » : la propension au réformisme étatique et anti-démocratique par la voie de l’exercice caméral et centralisé du pouvoir.

    Le conflit des retraites est le symptôme de l’épuisement de ce gouvernement de l’extrême centre. Depuis trente ans, les avertissements n’ont pas manqué, que les majorités successives ont balayés d’un revers de main en criant aux corporatismes, à la paresse, à l’infantilisme du peuple. Administrée de manière autoritaire et souvent grotesque, la pandémie de Covid-19 a servi de crash test auquel n’ont pas résisté les services publics dont s’enorgueillissait le pays et qui lui fournissaient, au-delà de leurs prestations, une part de ses repères.

    Emmanuel Macron, tout à son style « jupitérien », aggrave l’aporie dans laquelle est tombée la France. Il n’a jamais rien eu de « nouveau », et sa posture d’homme « providentiel » est une figure éculée du répertoire bonapartiste. Il n’imagine pas autre chose que le modèle néolibéral dont il est le pur produit, quitte à le combiner avec une conception ringarde du roman national, quelque part entre le culte de Jeanne d’Arc et la fantaisie réactionnaire du Puy-du-Fou. Son exercice du pouvoir est celui d’un enfant immature, narcissique, arrogant, sourd à autrui, plutôt incompétent, notamment sur le plan diplomatique, dont les caprices ont force de loi au mépris de la Loi ou des réalités internationales.

    Ce pourrait être drôle si ce n’était pas dangereux. L’interdiction de l’ « usage de dispositifs sonores portatifs » pour éviter les casserolades des opposants, le bouclage policier des lieux où se rend le chef de l’Etat, le lancement de campagnes de rectification idéologique contre le « wokisme », la « théorie du genre », l’ « islamo-gauchisme », l’ « écoterrorisme » ou l’« ultra-gauche » sont autant de petits indices, parmi beaucoup d’autres, qui ne trompent pas le spécialiste des régimes autoritaires que je suis. La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales ».
    Un arsenal répressif à disposition des pouvoirs suivants

    D’aucuns crieront à l’exagération polémique. Je leur demande d’y regarder à deux fois en ayant à l’esprit, d’une part, l’érosion des libertés publiques, au nom de la lutte contre le terrorisme et l’immigration, depuis au moins trois décennies, d’autre part, les dangers que revêtent de ce point de vue les innovations technologiques en matière de contrôle politique et l’imminence de l’arrivée au pouvoir du Rassemblement national auquel les gouvernements précédents auront fourbi un arsenal répressif rendant superflues de nouvelles lois liberticides.

    Il n’est pas question, ici, de « bonnes » ou de « mauvaises » intentions de la part du chef de l’Etat, mais d’une logique de situation à laquelle il se prête et qu’il favorise sans nécessairement la comprendre. Macron n’est ni Poutine ni Modi. Mais il prépare l’avènement de leur clone hexagonal. Au mieux sa politique est celle de Viktor Orban : appliquer le programme de l’extrême droite pour éviter son accession au pouvoir.

    Sur fond d’évidement des partis de gouvernement, un « flibustier » – pour reprendre le qualificatif de Marx à propos du futur Napoléon III – s’est emparé du butin électoral à la faveur de la sortie de route de Nicolas Sarkozy, François Hollande, Alain Juppé, François Fillon, Manuel Valls. Il a cru « astucieux », pour continuer à citer Marx, de détruire « en même temps » la gauche et la droite pour s’installer dans le confort d’un face-à-face avec Marine Le Pen. Mais Emmanuel Macron n’a été élu et réélu que grâce au concours des voix de la gauche, soucieuse de conjurer la victoire du Rassemblement national. Son programme, libéral et pro-européen, n’a jamais correspondu aux préférences idéologiques que du quart du corps électoral, hormis même la part croissante des non-inscrits et des abstentionnistes qui sape la légitimité des institutions.
    Un président aveugle et méprisant

    Nonobstant cette évidence, Emmanuel Macron, ignorant de par son éducation et son itinéraire professionnel les réalités du pays profond, primo-élu à la magistrature suprême sans jamais avoir exercé le moindre mandat local ou national, a entendu faire prévaloir la combinaison schmittienne d’un « Etat fort » et d’une « économie saine » en promulguant ses réformes néolibérales par voie d’ordonnances, en court-circuitant les corps intermédiaires et ce qu’il nomme l’« Etat profond » de la fonction publique, en s’en remettant à des cabinets privés de conseil ou à des conseils a-constitutionnels tels que le Conseil de défense, en réduisant la France au statut de « start-up nation » et en la gérant comme un patron méprisant ses employés, « Gaulois réfractaires ».

    Une chroniquei : Les casseroles de Macron, un totem de plus dans la cocotte-minute

    Le résultat ne se fit pas attendre. Lui qui voulait apaiser la France provoqua le plus grave mouvement social depuis Mai 68, celui des Gilets jaunes dont le spectre continue de hanter la Macronie. La main sur le cœur, Emmanuel Macron assura, au début de la pandémie de Covid-19, avoir compris que tout ne pouvait être remis aux lois du marché. A plusieurs reprises, il promit avoir changé pour désamorcer l’indignation que provoquait sa morgue. De nouvelles petites phrases assassines prouvèrent aussitôt qu’il en était incapable. Il maintint son cap néolibéral et fit alliance avec Nicolas Sarkozy en 2022 pour imposer une réforme financière de la retraite en dépit de l’opposition persistante de l’opinion et de l’ensemble des forces syndicales, non sans faire fi de leurs contre-propositions.

    Face au nouveau mouvement social massif qui s’est ensuivi, Emmanuel Macron s’est enfermé dans le déni et le sarcasme. Il argue de la légitimité démocratique en répétant que la réforme figurait dans son programme et qu’elle a été adoptée selon une voie institutionnelle validée par le Conseil constitutionnel.
    Une réalité parallèle

    Sauf que : 1) Emmanuel Macron n’a été réélu que grâce aux voix de la gauche, hostile au report de l’âge de la retraite ; 2) le peuple ne lui a pas donné de majorité parlementaire lors des législatives qui ont suivi le scrutin présidentiel ; 3) le projet portait sur les « principes fondamentaux de la Sécurité sociale », lesquels relèvent de la loi ordinaire, et non d’une loi de « financement de la Sécurité sociale » (article 34 de la Constitution), cavalier législatif qui a rendu possible le recours à l’article 49.3 pour imposer le texte ; 4) le gouvernement s’est résigné à cette procédure parce qu’il ne disposait pas de majorité positive, mais de l’absence de majorité pour le renverser au terme d’une motion de censure ; 5) le Conseil constitutionnel est composé de personnalités politiques et de hauts fonctionnaires, non de juristes, et se préoccupe moins du respect de l’Etat de droit que de la stabilité du système comme l’avait déjà démontré son approbation des comptes frauduleux de la campagne électorale de Jacques Chirac, en 1995 ; 6) le détournement de la procédure parlementaire a suscité la désapprobation de nombre de constitutionnalistes et s’est accompagné du refus de toute négociation sociale.

    Comme en 2018, Emmanuel Macron répond à la colère populaire par la violence policière. Atteintes à la liberté constitutionnelle de manifester, utilisation de techniques conflictuelles de maintien de l’ordre, usage d’un armement de catégorie militaire qui cause des blessures irréversibles telles que des éborgnages ou des mutilations ont entraîné la condamnation de la France par les organisations de défense des droits de l’homme, le Conseil de l’Europe, la Cour européenne de justice, les Nations unies.

    Face à ces accusations, Emmanuel Macron s’enfonce dans une réalité parallèle et radicalise son discours politique. A peine réélu grâce aux voix de la gauche, dont celles de La France insoumise, il place celle-ci hors de l’ « arc républicain » dont il s’arroge le monopole de la délimitation. Il voit la main de l’ « ultragauche » dans la contestation de sa réforme. Il justifie les violences policières par la nécessité de lutter contre celles de certains manifestants.

    Sauf que, à nouveau : 1) le refus, récurrent depuis l’apport des suffrages de la gauche à Jacques Chirac en 2002 et le contournement parlementaire du non au référendum de 2005, de prendre en considération le vote des électeurs quand celui-ci déplaît ou provient d’une autre famille politique que la sienne discrédite la démocratie représentative, nourrit un abstentionnisme délétère et pousse à l’action directe pour faire valoir ses vues, non sans succès pour ce qui fut des Gilets jaunes et des jeunes émeutiers nationalistes corses auxquels il fut accordé ce qui avait été refusé aux syndicats et aux élus ; 2) le non-respect des décisions de justice par l’Etat lorsque des intérêts agro-industriels sont en jeu amène les écologistes à occuper les sites des projets litigieux, au risque d’affrontements ; 3) la stigmatisation d’une ultragauche dont l’importance reste à démontrer va de pair avec le silence du gouvernement à propos des voies de fait de l’ultra-droite identitariste et des agriculteurs productivistes qui multiplient les agressions contre les écologistes.
    « Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police »

    Ce n’est pas être un « amish » et vouloir retourner « à la bougie » que de s’interroger sur la 5G ou sur l’inconsistance du gouvernement quand il défend à grand renfort de grenades les méga-bassines alors que se tarissent les nappes phréatiques du pays. Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police. Ce n’est pas être un gauchiste que de diagnostiquer la surexploitation croissante des travailleurs au fil de la précarisation des emplois et au nom de logiques financières, de repérer le siphonnage du bien public au profit d’intérêts privés, ou de déplorer le « pognon de dingue » distribué aux entreprises et aux contribuables les plus riches. Point besoin non plus d’être grand clerc pour comprendre que la Macronie n’aime pas les pauvres. Elle n’a plus d’autre réponse que la criminalisation des protestations. Elle souhaite maintenant dissoudre la nébuleuse des Soulèvements de la terre que parrainent l’anthropologue Philippe Descola, le philosophe Baptiste Morizot, le romancier Alain Damasio ! Quand Gérald Darmanin entend le mot culture il sort son LBD.

    Dans cette fuite en avant, un pas décisif a été franchi lorsque le gouvernement s’en est pris à la Ligue des droits de l’homme. Ce faisant, la Macronie s’est de son propre chef placée en dehors de l’ « arc républicain ». Cette association, née, faut-il le rappeler, de l’affaire Dreyfus, est indissociable de l’idée républicaine. Seul le régime de Pétain avait osé l’attaquer. Sur la planète, ce sont bien les Poutine et les Orban, les Erdogan et les Modi, les Kaïs Saïed ou les Xi Jinping qui tiennent de tels propos. Oui, la France bascule.

    https://www.letemps.ch/opinions/va-france

    #France #Macron #macronisme #crise_politique #extrême_centre #poison_français #néolibéralisme #casserolades #autoritarisme #illibéralisme #répression #libertés_publiques #réformes #réformes_néolibérales #Etat_profond #fonction_publique #Conseil_de_défense #Gilets_jaunes #déni #sarcasme #violences_policières #réalité_parallèle #arc_républicain

    via @karine4, aussi signalé par @monolecte
    https://seenthis.net/messages/1002152

  • Ces #terres qui se défendent

    Pour son hors-série hivernal, le magazine indépendant Socialter s’associe au collectif Reprise de terres pour s’attaquer à l’accaparement des terres en France et au système productiviste qui le soutient.

    Nous sommes au seuil d’une catastrophe foncière. Dans les dix prochaines années, la moitié des agriculteurs français va partir à la retraite, et c’est près d’un quart du territoire français qui va changer de mains. Un chambardement démographique qui aiguise déjà toutes les convoitises : celles de l’agro-industrie et ses pesticides, des bétonneurs et leurs entrepôts, des aménageurs de territoire et leurs autoroutes. Leur monde se fera sans les vivants et contre eux.

    Alors comment inventer des tactiques foncières, politiques et juridiques pour contrer cet accaparement ? Quelles alliances politiques nouer pour lui opposer un front solide ? Comment résorber les divisions historiques entre #paysannerie et protection du vivant ? Comment dépasser l’opposition entre mise en culture des terres et libre évolution – entre nature et culture ?

    https://fr.ulule.com/hors-serie-socialter-ces-terres-qui-se-defendent

    #résistance #reprise_de_terres #accaparement_des_terres #France #foncier #agriculture #retraite #démographie

    déjà signalé par @halbnar :
    https://seenthis.net/messages/978693