• Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

    Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

    L’Italia fa un gigantesco e preoccupante passo indietro in tema di trasparenza sulle frontiere e di controllo democratico dell’esercizio del potere esecutivo. Su parte delle nostre forniture milionarie alla Libia, anche di natura militare, per bloccare le persone rischia infatti di calare un velo nero. A fine 2023 il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza che riconosce come non illegittima la “assoluta” inaccessibilità di quegli atti della Pubblica amministrazione che ricadono genericamente nel settore di interesse della “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, svuotando così di fatto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che è a disposizione di tutti i cittadini (e non solo dei giornalisti). Non è un passaggio banale dal momento che la conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese. Ma la teoria traballa. E ne siamo testimoni.

    Breve riepilogo dei fatti. Il 21 ottobre 2021 l’Agenzia industrie difesa (Aid) -ente di diritto pubblico controllato dal ministero della Difesa- stipula un “Accordo di collaborazione” con la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere in seno al ministero dell’Interno. Fu il Viminale -allora guidato dalla prefetta Luciana Lamorgese, che come capo di gabinetto ebbe l’attuale ministro, Matteo Piantedosi- a rivolgersi all’Agenzia, chiedendole “la disponibilità a fornire collaborazione per iniziative a favore dei Paesi non appartenenti all’Unione europea finalizzate al rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. L’accordo dell’ottobre di tre anni fa riguardava una cooperazione “da attuarsi anche tramite la fornitura di mezzi e materiali” per dare impulso alla seconda fase del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya”.

    Il Sibmmil è legato finanziariamente al Fondo fiduciario per l’Africa, istituito dalla Commissione europea a fine 2015 al dichiarato scopo di “affrontare le cause profonde dell’instabilità, degli spostamenti forzati e della migrazione irregolare e per contribuire a una migliore gestione della migrazione”. La prima “fase” del progetto è dotata di un budget di 46,3 milioni di euro, la seconda, quella al centro dell’accordo tra Aid e ministero dell’Interno, di 15 milioni. A beneficiare di queste forniture (navi, formazione, equipaggiamenti, tecnologie), come abbiamo ricostruito in questi anni, sono state soprattutto le milizie costiere libiche, che si sono rese responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani. Nel 2022, pochi mesi dopo la stipula dell’accordo, abbiamo inoltrato come Altreconomia un’istanza di accesso civico alla Aid -allora guidata dall’ex senatore Nicola Latorre, sostituito dal dicembre scorso dall’accademica Fiammetta Salmoni- per avere la copia del testo e degli allegati.

    La richiesta fu negata richiamando a mo’ di “sostegno normativo” un decreto del ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022 (ancora a guida Lamorgese). L’oggetto di quel provvedimento era l’aggiornamento della “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Un’apparente formalità. Il Viminale, però, agì di sostanza, includendo tra i documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.

    Il 16 gennaio 2023 Roma e Ankara hanno firmato un memorandum per “procedure operative standard” per il distacco in Italia di “esperti della polizia nazionale turca”

    Non solo. In quel decreto si schermava poi un altro soggetto sensibile: Frontex. Vengono infatti classificati come inaccessibili anche i “documenti relativi alla cooperazione con l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (appunto Frontex, ndr), per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. Così come le “relazioni, rapporti ed ogni altro documento relativo a problemi concernenti le zone di confine […] la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali”.

    È per questo motivo che lo definimmo il “decreto che azzera la trasparenza sulle frontiere”, promuovendo di lì a poco un ricorso al Tar -grazie agli avvocati Giulia Crescini, Nicola Datena, Salvatore Fachile e Ginevra Maccarone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e membri del progetto Sciabaca&Oruka- contro i ministeri dell’Interno, della Difesa, della Pubblicazione amministrazione, oltreché l’Agenzia industrie difesa (Aid), proprio per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico generalizzato. In primo grado, però, il Tar del Lazio ci ha dato torto.

    Ed eccoci arrivati al Consiglio di Stato, il cui pronunciamento, pubblicato a metà novembre 2023, ha ritenuto infondato il nostro appello, riconoscendo come “fonte di un divieto assoluto all’accesso civico generalizzato”, non sorretto perciò da alcuna motivazione, proprio quel decreto ministeriale firmato Luciana Lamorgese del marzo 2022. “All’ampliamento della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati”, hanno scritto i giudici della quarta sezione.

    I legali che ci hanno accompagnato in questo percorso non la pensano allo stesso modo. “Il Consiglio di Stato ha affermato che il decreto ministeriale del 16 marzo 2022, una fonte secondaria, non legislativa, adottata in attuazione della disciplina del diverso istituto dell’accesso documentale, abbia introdotto nell’ordinamento un limite assoluto all’accesso civico, che può essere invocato dalla Pubblica amministrazione senza che questa sia tenuta a fornire alcuna motivazione in merito alla sua ricorrenza.

    Si tratta di un’evidente elusione del dettato normativo, che prevede in materia una riserva assoluta di legge”, osservano le avvocate Crescini e Maccarone. Che aggiungono: “I giudici hanno respinto anche la censura relativa all’assoluta genericità del limite introdotto con il decreto ministeriale, che non individua precisamente le categorie di atti sottratti all’accesso, ma al contrario solo il settore di interesse, cioè la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, essendo idoneo a ricomprendere qualunque tipologia di atto, documento o dato, di fatto svuotando di contenuto l’istituto”. Questa sentenza del Consiglio di Stato rischia di rappresentare un precedente preoccupante. “L’accesso civico è uno strumento moderno che avrebbe potuto garantire la trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione secondo canoni condivisibili che rispecchiano le esigenze che si sono cristallizzate in tutta Europa nel corso degli ultimi anni -riflettono le avvocate-. Tuttavia con questa interpretazione l’istituto viene totalmente svuotato di significato, costringendoci a fare un passo indietro di notevole importanza in tema di trasparenza, che è chiamata ad assicurare l’effettivo andamento democratico di un ordinamento giuridico”.

    I mezzi guardacoste che l’Italia si appresta a cedere quest’anno alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno tunisino sono sei

    Le forniture italiane per ostacolare i transiti, intanto, continuano. Negli ultimi mesi la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale -retta da Claudio Galzerano, già a capo di Europol- ha ripreso con forza a bandire gare o pubblicare, a cose fatte, affidamenti diretti. Anche per trasferte o distacchi in Italia di “ufficiali” libici, tunisini, ivoriani o “esperti della polizia nazionale turca”. La delegazione della Libyan coast guard and port security, ad esempio, è stata portata dal 15 al 18 gennaio di quest’anno alla base navale della Guardia di Finanza a Capo Miseno (NA) per una “visita tecnica”. Nei mesi prima altre “autorità libiche” erano state formate alle basi di Gaeta (LT) o Capo Miseno. Gli ufficiali della Costa d’Avorio sono stati in missione dal 30 ottobre scorso al 20 gennaio 2024 “in materia di rimpatri”. Sono stati portati nei punti caldi di Lampedusa e Ventimiglia.

    Al dicembre 2023 risale invece la firma dell’accordo tra la Direzione centrale e il Comando generale della Gdf per la fornitura di navi, assistenza, manutenzione, supporto tecnico-logistico a beneficio di Libia, Tunisia ed Egitto. Obiettivo: il “rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. Proprio alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno di Tunisi finiranno sei guardacoste litoranei della classe “G.L. 1.400”, con servizi annessi del tipo “consulenza, assistenza e tutoraggio”, per un valore di 4,8 milioni di euro (i soldi li mette il Viminale, i mezzi e la competenza la Guardia di Finanza). Navi ma anche carburante. A inizio gennaio di quest’anno il direttore Galzerano, dietro presunta richiesta di non ben precisate “autorità tunisine”, ha approvato la spesa di “nove milioni di euro circa” (testualmente) per “il pagamento del carburante delle unità navali impegnate nella lotta all’immigrazione clandestina e nelle operazioni di ricerca e di soccorso” nelle acque tunisine. Dove hanno recuperato le risorse? Da un fondo ministeriale dedicato a “misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie anche attraverso imprescindibili misure di cooperazione internazionale”. Chissà quale sarà la prossima fermata.

    https://altreconomia.it/cosi-litalia-ha-svuotato-il-diritto-alla-trasparenza-sulle-frontiere
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  • #Fonds_fiduciaire de l’UE pour l’Afrique : 115,5 millions d’euros pour renforcer la #sécurité, la protection des migrants et la création d’#emplois dans la région du #Sahel

    La Commission européenne a adopté cinq nouveaux programmes et trois compléments pour des programmes actuels, pour un montant de 115,5 millions d’euros au titre du fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique, afin de compléter les efforts actuellement déployés dans la région du Sahel et du lac Tchad.

    Neven Mimica, commissaire chargé de la coopération internationale et du développement, a tenu les propos suivants : « Nous avons assisté au cours de ces dernières semaines à une recrudescence de la violence et des attentats terroristes dans la région du Sahel et du lac Tchad. Les nouveaux programmes et les compléments à des programmes existants de l’UE, pour un montant de 115,5 millions d’euros, viendront renforcer davantage nos actions sur les fronts du développement et de la sécurité. Ils contribueront également à renforcer la présence de l’État dans des régions fragiles, à créer des emplois pour les jeunes et à protéger les migrants dans le besoin. Afin de poursuivre, dans un futur proche, le bon travail réalisé dans le cadre du fonds fiduciaire, il convient de reconstituer ses ressources qui s’épuisent rapidement. »

    Dans un contexte de précarité croissante de la sécurité au Sahel, l’UE s’engage à poursuivre sa coopération aux niveaux régional et national. Elle soutiendra les efforts déployés par les pays du #G5_Sahel (#Burkina_Faso, #Tchad, #Mali, #Mauritanie et #Niger) afin d’apporter une réponse commune aux grandes menaces transfrontières et aux principaux besoins régionaux en matière de #développement. Une enveloppe supplémentaire de 10 millions d’euros viendra renforcer les capacités de défense et de sécurité des pays du G5 Sahel, tandis qu’un montant de 2 millions d’euros sera alloué au soutien de la coordination de l’#Alliance_Sahel. Au Burkina Faso, une enveloppe supplémentaire de 30 millions d’euros sera allouée au programme d’urgence Sahel en place, afin de renforcer l’accès aux services sociaux de base et encourager le dialogue entre communautés.

    D’autres mesures renforceront les efforts de protection des migrants, de lutte contre la traite des êtres humains et d’amélioration de la gestion des migrations. Une enveloppe supplémentaire de 30 millions d’euros sera allouée à la protection des migrants et des réfugiés le long de la route de la Méditerranée centrale et à la recherche de solutions durables dans la région du Sahel et du lac Tchad. Elle permettra d’accroître encore le nombre de migrants bénéficiant de mesures de protection et de retour volontaire tout en veillant à leur réintégration durable et dans la dignité. Au Niger, l’équipe conjointe d’investigation a démantelé 33 réseaux criminels et 210 trafiquants ont été condamnés au cours de ces deux dernières années. Elle bénéficiera d’une enveloppe supplémentaire de 5,5 millions d’euros afin de capitaliser sur ce succès. Au #Ghana, un montant de 5 millions d’euros consacré au renforcement des capacités et aux équipements permettra de renforcer la gestion des frontières du pays.

    Deux mesures visent spécifiquement à créer des débouchés économiques et des possibilités de développement. Au Ghana, des nouvelles activités, pour un montant de 20 millions d’euros, permettront d’améliorer les perspectives d’emploi et d’encourager la transition vers des économies vertes et résilientes face au changement climatique. Au Mali, une enveloppe supplémentaire de 13 millions d’euros s’inscrira au soutien de la création d’emplois et de la fourniture de services publics par l’État dans des régions à la sécurité précaire autour de #Gao et de #Tombouctou.

    Historique du dossier

    Le fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique a été créé en 2015 en vue de remédier aux causes profondes de l’instabilité, des migrations irrégulières et des déplacements forcés. Actuellement, les ressources allouées à ce fonds fiduciaire s’élèvent à 4,2 milliards d’euros, qui proviennent des institutions de l’UE, des États membres de l’UE et d’autres contributeurs.

    L’aide annoncée aujourd’hui s’ajoute aux 188 programmes déjà adoptés pour les trois régions (nord de l’Afrique, Sahel et lac Tchad, et Corne de l’Afrique). L’ensemble de ces programmes représente un montant total de 3,6 milliards d’euros. Ces fonds étaient répartis comme suit : Sahel et lac Tchad 1,7 milliard d’euros (92 programmes) ; Corne de l’Afrique 1,3 milliard d’euros (70 programmes) ; nord de l’Afrique 582 millions d’euros (21 programmes). Ce montant inclut cinq programmes transrégionaux.

    http://europa.eu/rapid/press-release_IP-19-1890_fr.htm
    #Sahel #Fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #asile #migrations #réfugiés

    • Fondos de cooperación al desarrollo para levantar un muro invisible a 2.000 kilómetros de Europa

      Abdelaziz se escabulle entre la gente justo al bajarse del autobús, con una alforja en mano y rostro de alivio y cansancio. Tiene 21 años y es de Guinea Conakry. Acaba de llegar al centro de tránsito de la Organización Internacional de Migraciones (OIM) en Agadez (Níger), desde Argelia. La policía argelina le detuvo mientras trabajaba en una cantera en Argel. Se lo requisó todo y lo metió en un autobús de vuelta. Lo mismo le sucedió a Ousmane, de Guinea Bissau. “Fui al hospital para que me quitaran una muela y allí me cogieron. Hablé hasta no poder más, pero me dijeron que no tenía derechos porque no tenía papeles. Me lo quitaron todo y me enviaron al desierto”.

      Les abandonaron en pleno Sáhara, después de maltratarles y humillarles. “La policía nos trató como animales, nos pegó con bastones”, afirma Mamadou. Todos tuvieron que andar 14 kilómetros para llegar a Níger, uno de los países más pobres del planeta, convertido en frontera de la UE. El “basurero donde se tira todo lo que la UE rechaza”, en palabras del periodista nigerino, Ibrahim Manzo Diallo.

      La arena y el calor sofocante marcan el día a día en este lugar, principal cruce migratorio de África. Los migrantes expulsados de Argelia, más de 35.000 desde 2014 y solo 11.000 en 2018, coinciden aquí, en las instalaciones de la OIM, con repatriados de Libia. La mayoría pasó por ambos países, no siempre con la voluntad de llegar a Europa –según la ONU, el 70% de las migraciones de África Subsahariana se dan en el interior del continente–. “Podría estar aquí dos semanas explicándote todo lo que he vivido en Libia y no acabaría. Vendían a personas como ovejas”, relata Ibrahim, de Senegal. “Estuve en Libia dos años y luego trabajé en Argel durante tres más. Un día, la policía llegó, me atrapó y me expulsó. Hemos sufrido mucho”, narra Ousmane.

      En las infraestructuras de la agencia vinculada a la ONU juegan al fútbol, reciben atención médica y psicológica y esperan su turno, a menudo lento, para su repatriación. “La capacidad del centro es de entre 400 y 500 plazas, pero a veces hemos tenido que gestionar hasta 1.800 personas por el retraso en la obtención de documentos”, describe el director de la instalación, Lincoln Gaingar. Con fondos europeos, la OIM recoge a los migrantes en el lado nigerino de la frontera con Argelia y organiza caravanas de vuelta a sus países de origen. A este programa lo llama “retorno voluntario”. Buena parte de la sociedad civil y expertos lo califica como regresos “claramente forzados”. “No se deciden de forma libre, sino condicionados por una expulsión previa”, explica el sociólogo burkinés Idrissa Zidnaba. “Argelia hace el trabajo sucio de Europa, que luego se cobra en sus negociaciones con la UE”, afirma Mahamadou Goita, activista maliense pro derechos humanos.

      El aumento de las deportaciones es una de las estrategias de la UE para construir su particular valla en medio del desierto. Otras pasan por el refuerzo del control de fronteras, las trabas a los defensores de los migrantes o la utilización de fondos de ayuda al desarrollo condicionados a frenar a quienes intentar alcanzar las costas europeas. Todo un dispositivo de contención desplegado en Níger, que ejerce de muro invisible de Europa.

      Un pequeño hangar de tela intenta protegerles del sol ardiente a media mañana. Algunos han salido, pero otros, la mayoría, pasa el día en el gheto –albergue clandestino, propiedad de traficantes– sin saber muy bien qué hacer ni cómo seguir. “Estamos bloqueados, pero no queremos volver atrás, nuestro objetivo es Europa”, explica Hassan, de Guinea Conakry. “La vida en África no merece la pena, queremos ir a Europa para ganar dinero y regresar”, afirma Mahamadou, de Gambia.

      En una habitación adyacente, el pequeño Melvin duerme plácidamente. Su madre ha salido a buscar trabajo con el fin de reunir la cantidad necesaria para pagar un pasaje hacia el norte. “Los precios dependen del traficante, pero están entre 800.000 y un millón de FCFA –unos 1.500 euros–”, según Daouda. La ruta está cada vez más difícil por los obstáculos que la UE y el Gobierno de Níger imponen a la travesía.

      El principal escollo llegó en 2015 en forma de ley, la 036, muy conocida en el país, que establece como delito el tráfico ilegal de personas para desmantelar redes en Agadez. Se confiscaron 200 vehículos, se detuvo a decenas de transportistas y se asestó un duro golpe a la economía regional, históricamente dedicada al contrabando –desde tejidos, oro y sal en la Edad Media hasta armas, drogas y personas, en la actualidad–.

      “Hemos practicado una represión enorme, lo admito. En Agadez, la población rechaza la ley y pide su modificación, pero somos inflexibles y no la cambiaremos. Agadez dice que su economía se fundamenta en el tráfico ilícito de migrantes, pero yo me pregunto. ¿A pesar de que la droga sustente a centenares de familias se tiene que autorizar? La respuesta es no”, afirma la directora de la agencia contra la trata de personas de Níger, Gogé Maimouna Gazibo.

      Las autoridades locales, por su parte, denuncian falta de previsión y de entendimiento, así como que se priorice la visión securitaria por delante del desarrollo en una de las regiones más necesitadas del planeta. “El bloqueo brusco del comercio sin atender las necesidades de nuestra población ha comportado el despliegue de vías alternativas que mantienen el tráfico de manera más informal, mucho más peligrosa y extremadamente cara”, asegura el vicealcalde de Agadez, Ahmed Koussa.

      Algunos han dejado de formar parte del negocio con el programa de reconversión de traficantes lanzado por la UE. “Me dieron tres motos y ahora trabajo como taxi-moto. Ahora no me pongo en riesgo, pero nos dan muy poco. Nosotros estamos habituados a ganar mucho dinero”, explica Laouli, extraficante, durante una reunión de la asociación que han creado para canalizar las ayudas europeas. Los retrasos y la insuficiencia son sus quejas recurrentes. “Nos prometieron un millón de FCFA para poner en marcha una actividad empresarial y abandonar el tráfico con el que ganábamos dos o tres millones de FCFA por semana –unos 3.000 euros–. Pero hasta ahora, no hemos recibido nada”, asegura Ahmed, exconductor de la ruta hacia Libia.

      El Estado reconoce que, de las más de 5.000 personas que debían recibir fondos, solo se ha apoyado a 370. “Aunque las medidas son escasas, nuestra voluntad es que el Estado esté presente, que estas personas vean que no les dejamos, porque el riesgo en el norte es que se incendie [que grupos rebeldes de la zona vuelvan a coger las armas]”, asegura el director de estabilización de la Alta Autoridad para la Consolidación a la Paz de Níger, Hamidou Boubacar.
      Los flujos a través de Níger se han reducido un 90%, según la OIM

      Tanto la UE como la OIM afirman que los flujos a través de Níger se han reducido notablemente, en un 90%, pasando de 330.000 personas en 2016 a 18.000 en 2017 y a menos de 10.000 en 2018. El tráfico continúa, pero de forma menos visible. Los vehículos siguen agolpándose al comienzo de la semana a las afueras de Agadez para iniciar su viaje, en “el convoy de los lunes”, pero hay menos coches y más militares en el puesto de control. Los viajeros se apean antes de la barrera, cruzan a pie y vuelven a subir al vehículo, corriendo. Unos palos en la parte trasera de la pick-up sobresalen. Son su apoyo para evitar caídas durante el trayecto, a gran velocidad para evitar ser vistos.

      Cada coche acoge a unas 25 personas hacinadas. El desierto aguarda y la muerte acecha. “Dicen que ahora ya no hay migrantes en Agadez, pero sí los hay, aunque más escondidos”, reconoce Bachir, que mantiene su actividad ligada a la migración. “Antes la gente iba en convoy por la vía principal y no podías estar un día sin ver a alguien. Ahora, en cambio, si tienes una avería por las rutas secundarias, por las dunas profundas, nadie te ve, no hay puntos de agua y puede resultar fatal”, asegura Djibril, que dejó el tráfico como consecuencia de la ley. “Desde su implementación todo se hace de forma encubierta y clandestina. Han llevado a la gente a la ilegalidad y eso aumenta la vulnerabilidad de los migrantes, que pasan por caminos más complicados”, confirma el responsable de Médicos Sin Fronteras en Níger, Francisco Otero.

      Las organizaciones humanitarias procuran identificar los nuevos itinerarios, aunque resulta difícil porque se bifurcan por la inmensidad del Sáhara, hacia Chad y sobre todo hacia Malí. El país vecino, sumido en una crisis securitaria y sin presencia del Estado en la mitad de su territorio, es un espacio de proliferación de grupos armados. El cerco en Agadez desvía las rutas hacia esta ’tierra de nadie’, a través de la ciudad de Gao.
      “Traslada el problema a otro país, sin resolverlo”

      “Si se cierra una vía, otras se abren”, admite el consejero técnico del Ministerio de Malienses en el Exterior, Boulaye Keita. La Casa del Migrante de Gao ha registrado un incremento notable del movimiento por la ciudad, de 7.000 personas en 2017 a 100.000 en 2018. Para Sadio Soukouna, investigadora del Institut de Recherche pour le Développement (IRD) en Bamako, esto demuestra que la mano dura contra la migración en Níger “traslada el problema a otro país, sin resolverlo”.

      En la misma línea, Hamani Oumarou, sociólogo del LASDEL, el centro de estudios sociales más importante de Níger, afirma: “Cuanto más cerramos las fronteras, más vulnerables hacemos a los migrantes, porque rodean los puestos de control y toman rutas menos seguras y mejor controladas por los traficantes. Este es el gran riesgo de los dispositivos de control”.

      Los migrantes se enfrentan a la presencia de grupos terroristas en la zona. “Interceptan sus vehículos y les dicen que pueden ganar algo de dinero si les siguen y algunos lo hacen. Otros, en cambio, son secuestrados en contra de su voluntad y su familia debe pagar el rescate. El año pasado liberamos a 14 personas”, revela el responsable de la Casa del Migrante de Gao, Eric Alain Kamdem. “Hay familias que una vez en la frontera se dividen para que al menos uno de los dos sobreviva”, asegura el activista Mahamadou Goita.

      Las autoridades vinculan en ocasiones el terrorismo con la migración para justificar el refuerzo de fronteras con controles biométricos. “Ayudamos a las autoridades a securizar sus fronteras e instalamos programas muy sofisticados para el registro de la gente que entra y sale. Estamos muy contentos de tener una cooperación tan estrecha en este ámbito”, afirma el jefe de la misión de la OIM en Níger, Martin Wyss. Reconoce la voluntad europea de empujar las fronteras hacia Níger y trabajar por “una migración regular, segura y ordenada”, en la línea del Pacto Mundial de migraciones.

      Níger es uno de los beneficiarios de la ayuda europea al desarrollo, no solo por su vulnerabilidad sino también por sus esfuerzos en el control fronterizo. Hasta 2020, prevé recibir más de 1.800 millones de euros procedentes del Fondo Fiduciario de Emergencia para África (EUTF), un mecanismo que emplea recursos destinados a la cooperación al desarrollo para frenar la llegada de migrantes a Europa.

      La mayoría de este fondo –que cuenta con 4.200 millones– proviene del principal instrumento de cooperación de la UE, el Fondo Europeo de Desarrollo. Sin embargo, casi la mitad de este dinero no se está dedicando a erradicar la pobreza: cerca del 40% de su presupuesto está siendo desviado directamente para control migratorio en terceros países, según han constatado las ONG europeas en 2018, tres años después de su creación.

      El fondo fiduciario fue ideado en la Cumbre de La Valeta de 2015 para “atacar las causas profundas de las migraciones”. Desde entonces, la UE apuesta por la formación militar de ejércitos africanos –a través de misiones como EUCAP Sahel– para desmantelar redes de tráfico y promueve proyectos de desarrollo local para intentar evitar desplazamientos.

      En Níger, el fondo dedica 253 millones de euros. Entre ellos, la UE destina 90 millones al proyecto de apoyo a la justicia y la seguridad en el país, que proporciona ayuda directa a las autoridades nigerinas. Parte de este dinero ha dependido de una serie de condiciones, como elaborar una estrategia nacional contra la migración irregular, adquirir equipos de seguridad para mejorar los controles fronterizos, rehabilitar o construir puestos fronterizos en zonas estratégicas, crear unidades especiales de policía de fronteras o levantar centros de migrantes, según ha documentado la red de ONG europeas Concord. El programa incluye establecer un equipo conjunto de investigación compuesto por agentes de policía franceses, españoles y nigerinos para apoyar a las autoridades del país, de acuerdo con su investigación.

      Los riesgos que acarrea esta política de reforzar los servicios de seguridad e imponer controles fronterizos más estrictos en Níger son varios, según las ONG, desde impulsar “prácticas corruptas” por parte de policías hasta la detención “sin pruebas suficientes” de presuntos traficantes de personas.

      La Unión Europea niega el concepto de “externalización de fronteras”, pero admite un despliegue de todos sus instrumentos en el país por su importancia en cuestión migratoria. Su embajadora, Denise-Elena Ionete, asegura que “Níger ha hecho mucho para disminuir el sufrimiento y la pérdida de vidas humanas en el desierto y el Mediterráneo y eso explica el poderoso aumento de nuestra cooperación los últimos años”.

      Organizaciones de la sociedad civil africana y europea denuncian que se condicionen fondos de desarrollo al freno migratorio y el desvío de estos hacia programas de seguridad. Para el periodista Ibrahim Manzo Diallo, se trata de “un chantaje en toda regla, una coacción a África y a los pobres”. Las entidades también consideran las donaciones escasas e ineficaces, puesto que “el desarrollo está vinculado a una intensificación de la movilidad” y no al revés, según el director del grupo de investigación sobre migraciones de la Universidad de Niamey, Harouna Mounkaila. No son las personas más pobres las que migran ni proceden de los países más vulnerables, como demuestra el propio Níger con índices ínfimos de migrantes en Europa.

      Otros colectivos sociales señalan que el refuerzo de fronteras obstaculiza la movilidad regional mayoritaria y vulnera el protocolo de libre circulación de la Comunidad de Estados de África Occidental (CEDEAO), similar al Espacio Schengen. Consideran que la contención va en contra de la apuesta de la Unión Africana (UA) por la libertad de movimiento continental y rompe consensos propios.

      Las autoridades nigerinas rechazan estas acusaciones y defienden que la ley contra el tráfico proporciona mayores garantías a las personas en tránsito y no quebranta, en ningún caso, el derecho a moverse. Solo exigen, explican, viajar con documentación identificativa y rechazan un incremento de las muertes en el desierto como consecuencia del aumento de los controles. “Si me quieren decir que debemos abrir nuestras fronteras porque los migrantes que atraviesan Níger cambian de ruta, se desvían y mueren, pues digo que no. Ningún responsable político podría decir eso y, además, no tengo pruebas de que ahora haya más muertos que antes”, asegura Gogé Maimouna.

      Tanto la UE como la OIM alaban la “mejora” de la gestión migratoria en Níger y comparan los posibles efectos negativos con la ilegalización de la droga. “Está claro que cuando conviertes algo legal en ilegal obligas a que lo responsables se escondan. Europa tenía que hacer algo en este tema, porque la falta de una gestión ordenada de la migración ha facilitado el auge de los extremismos y ha dividido a nuestro continente”, afirma Wyss, de la OIM. Las migraciones son cada vez menos visibles, mientras los mecanismos de control se expanden por la región de forma más perceptible.

      La frontera llega a #Mali y Burkina Faso

      El edificio es nuevo, se inauguró en 2018, con capacidad para 240 personas. Las decenas de habitaciones contienen literas, un gran comedor preside el lugar y una bandera de la República de Mali ondea en lo alto. Es uno de los centros donde opera la OIM en Bamako, pero su titularidad es del Estado. Esa es la diferencia con Níger. “La OIM tiene serias dificultades en asentarse en Mali. Hace años que lo intenta pero no tiene centros de tránsito propios, sino que colabora con asociaciones locales. El factor clave es la importancia de la diáspora maliense”, asegura Eric Kamden.

      Cinco millones de malienses viven en el extranjero, un 15% en Europa, sobre todo en Francia. Es una diáspora dinámica y movilizada que con sus remesas aporta más que toda la Ayuda Oficial al Desarrollo (AOD). “Mali tiene una tradición migratoria muy larga. Es un país de origen y de tránsito, a diferencia de Níger. Eso significa que para tomar cualquier decisión en Mali, se debe tener en cuenta a la diáspora, no solo desde un punto de vista cuantitativo sino porque los migrantes son escuchados y respetados en sus pueblos, familias y comunidades, porque las sustentan”, afirma el asesor del Ministerio de Malienses en el Exterior, Boulaye Keita. Este mayor margen de negociación de Mali ya tumbó los acuerdos de readmisión promovidos por la UE en 2014.

      No obstante, el país es uno de los principales receptores de fondos europeos con 214 millones de euros y la inversión se percibe en el crecimiento de la OIM y su dispositivo de contención. Las nuevas edificaciones que gestionan los “retornos voluntarios” lo demuestran. A ellas llegan migrantes malienses expulsados de Argelia o repatriados de Libia, Gabón, Angola o Francia. “Para mí Argelia es agua pasada, no volveré a allí. Ahora, por fin, estoy en casa y me voy a quedar aquí”, asegura Moctar, nacido en la región oeste de Kayes y visiblemente cansado tras el largo viaje en autobús desde Niamey. Algunos habían estado también en Agadez y repiten sus historias sobre malos tratos recibidos en Argelia, aunque sin cerrar la puerta a volver a partir.

      “Quizás vuelvo a irme a otro país, pero no a Argelia. Son muy racistas con nosotros y eso no está bien”, atestigua Kalidou. Para ellos, sin reconocimiento del estatuto de refugiado o solicitante de asilo, a pesar de la guerra abierta que azota el norte de su país, Bamako supone el fin del periplo organizado por la #OIM, forzado por las circunstancias. Este organismo internacional, critica el antropólogo y activista Mauro Armanino, “acaricia por un lado y por el otro golpea”. Por una parte protege, sensibiliza y apoya a los migrantes más necesitados, pero por el otro “ejerce de brazo armado de las políticas europeas” y “agencia de deportación”, sostiene el investigador de la Universidad de Bamako Bréma Dicko.

      El responsable de programas de la OIM en Mali, David Cumber, se defiende asegurando que no quieren frenar la migración, aunque admite la voluntad de la institución de “reducir la migración irregular”. Sus argumentos apuntan “la necesidad de que las personas viajen con documentos”, a la vez que reconoce su incapacidad para reclamar “más vías legales y seguras”, al tratarse de una agencia intraestatal financiada por potencias internacionales.

      En #BurkinaFaso, el discurso disuasorio y a favor del retorno ha calado en el régimen surgido de la revolución de 2014, inestable, ávido de recursos y víctima creciente del terrorismo. Este país es lugar de paso de las rutas hacia el norte, punto de avituallamiento previo a Níger. Abdoulaye, por ejemplo, de Costa de Marfil, salió a la aventura hacia España, pero se quedó en Ouagadougou, capital de Burkina Faso, para ganar un poco de dinero y seguir su camino.

      Hoy trabaja en la cafetería de una estación de autobuses de la capital donde ya lleva casi un año, pero no renuncia a pisar suelo español. “Intentaré hacerme el visado, pero me faltan recursos. Tengo amigos que viven allí y por eso quiero ir”. Los burkineses en Europa son minoritarios, solo hay pequeñas comunidades en Italia y escasas en España. La OIM, junto a ONG locales, intenta disuadir la movilidad explicando los peligros del camino. “Estamos subcontratados por la OIM, nos pagan para ir por los pueblos a exponer los riesgos del viaje. Eso no nos impide denunciar que el cierre de fronteras europeo provoca más curiosidad y más ganas de partir a las personas. Si las fronteras estuvieran abiertas, mucha gente iría y volvería sin problema”, expone Sebastien Ouédraogo, coordinador de la entidad Alert Migration.

      Para Moussa Ouédraogo, responsable de la ONG burkinesa Grades, su país se ha convertido en la “prefrontera, donde cerrar el paso a cuanta más gente mejor”. Los puestos de control policial se han propagado por todo el país bajo el pretexto de lucha contra el terrorismo, pero “sin duda es por la migración, porque la intensificación de la vigilancia intimida a la gente de partir”, afirma. Se han instalado controles biométricos en la frontera entre Burkina Faso y Níger, en Kantchari, además de puntos de vigilancia en todas las carreteras del territorio, lo que aumenta también la corrupción. “Muchas veces los migrantes tienen los papeles en regla, pero los policías les piden dinero igualmente”, explica el presidente de la ONG local Tocsin, Harouna Sawadogo.

      La colaboración entre la UE, la OIM y las autoridades parece funcionar. La vinculación entre migración y desarrollo va en sintonía y el Gobierno la asume, aunque reclama, de forma tímida, una flexibilización en la concesión de visados para reducir los flujos irregulares. “Los Estados son soberanos para aceptar o no la entrada de extranjeros, pero los burkineses queremos viajar para aprender y traer capital humano que ayude a desarrollarnos. Por eso, Europa debe dar más visados”, argumenta Gustave Bambara, director de política de población del Ministerio de Economía y Finanzas. El Gobierno de Níger apoya esta visión y reivindica una mayor recompensa a sus esfuerzos por aplicar sus recetas.

      “Níger está haciendo lo que puede para frenar los flujos, pero si Europa sigue cerrando sus fronteras, habrá más gente descontenta de la que ya hay y esto, a la larga, no será rentable para nuestro Estado”, advierte Gogé Maimouna Gazibo, responsable de la agencia contra el tráfico de personas.

      En un centro de acogida en Ouagadougou, Jimmy, de 19 años, originario de Liberia, repite una posición extendida entre quienes regresan. “Sigo queriendo ir a Europa, porque yo no quería volver a mi país. En cuanto regrese, volveré a probar la ruta de Marruecos, intentaré saltar las vallas: entrar o morir”.

      https://especiales.eldiario.es/llaves-de-europa/sahel.html?_ga=2.228431199.379866320.1572532596-1969249460.15619

  • L’agenda européen en matière de migration : l’UE doit poursuivre les progrès accomplis au cours des quatre dernières années

    Dans la perspective du Conseil européen de mars, la Commission dresse aujourd’hui le bilan des progrès accomplis au cours des quatre dernières années et décrit les mesures qui sont encore nécessaires pour relever les défis actuels et futurs en matière de migration.

    Face à la crise des réfugiés la plus grave qu’ait connu le monde depuis la Seconde Guerre mondiale, l’UE est parvenue à susciter un changement radical en matière de gestion des migrations et de protection des frontières. L’UE a offert une protection et un soutien à des millions de personnes, a sauvé des vies, a démantelé des réseaux de passeurs et a permis de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe à son niveau le plus bas enregistré en cinq ans. Néanmoins, des efforts supplémentaires sont nécessaires pour assurer la pérennité de la politique migratoire de l’UE, compte tenu d’un contexte géopolitique en constante évolution et de l’augmentation régulière de la pression migratoire à l’échelle mondiale (voir fiche d’information).

    Frans Timmermans, premier vice-président, a déclaré : « Au cours des quatre dernières années, l’UE a accompli des progrès considérables et obtenu des résultats tangibles dans l’action menée pour relever le défi de la migration. Dans des circonstances très difficiles, nous avons agi ensemble. L’Europe n’est plus en proie à la crise migratoire que nous avons traversée en 2015, mais des problèmes structurels subsistent. Les États membres ont le devoir de protéger les personnes qu’ils abritent et de veiller à leur bien-être. Continuer à coopérer solidairement dans le cadre d’une approche globale et d’un partage équitable des responsabilités est la seule voie à suivre si l’UE veut être à la hauteur du défi de la migration. »

    Federica Mogherini, haute représentante et vice-présidente, a affirmé : « Notre collaboration avec l’Union africaine et les Nations unies porte ses fruits. Nous portons assistance à des milliers de personnes en détresse, nous en aidons beaucoup à retourner chez elles en toute sécurité pour y démarrer une activité, nous sauvons des vies, nous luttons contre les trafiquants. Les flux ont diminué, mais ceux qui risquent leur vie sont encore trop nombreux et chaque vie perdue est une victime de trop. C’est pourquoi nous continuerons à coopérer avec nos partenaires internationaux et avec les pays concernés pour fournir une protection aux personnes qui en ont le plus besoin, remédier aux causes profondes de la migration, démanteler les réseaux de trafiquants, mettre en place des voies d’accès à une migration sûre, ordonnée et légale. La migration constitue un défi mondial que l’on peut relever, ainsi que nous avons choisi de le faire en tant qu’Union, avec des efforts communs et des partenariats solides. »

    Dimitris Avramopoulos, commissaire pour la migration, les affaires intérieures et la citoyenneté, a déclaré : « Les résultats de notre approche européenne commune en matière de migration parlent d’eux-mêmes : les arrivées irrégulières sont désormais moins nombreuses qu’avant la crise, le corps européen de garde-frontières et de garde-côtes a porté la protection commune des frontières de l’UE à un niveau inédit et, en collaboration avec nos partenaires, nous travaillons à garantir des voies d’entrée légales tout en multipliant les retours. À l’avenir, il est essentiel de poursuivre notre approche commune, mais aussi de mener à bien la réforme en cours du régime d’asile de l’UE. En outre, il convient, à titre prioritaire, de mettre en place des accords temporaires en matière de débarquement. »

    Depuis trois ans, les chiffres des arrivées n’ont cessé de diminuer et les niveaux actuels ne représentent que 10 % du niveau record atteint en 2015. En 2018, environ 150 000 franchissements irréguliers des frontières extérieures de l’UE ont été détectés. Toutefois, le fait que le nombre d’arrivées irrégulières ait diminué ne constitue nullement une garantie pour l’avenir, eu égard à la poursuite probable de la pression migratoire. Il est donc indispensable d’adopter une approche globale de la gestion des migrations et de la protection des frontières.

    Des #mesures immédiates s’imposent

    Les problèmes les plus urgents nécessitant des efforts supplémentaires sont les suivants :

    Route de la #Méditerranée_occidentale : l’aide au #Maroc doit encore être intensifiée, compte tenu de l’augmentation importante des arrivées par la route de la Méditerranée occidentale. Elle doit comprendre la poursuite de la mise en œuvre du programme de 140 millions d’euros visant à soutenir la gestion des frontières ainsi que la reprise des négociations avec le Maroc sur la réadmission et l’assouplissement du régime de délivrance des visas.
    #accords_de_réadmission #visas

    Route de la #Méditerranée_centrale : améliorer les conditions d’accueil déplorables en #Libye : les efforts déployés par l’intermédiaire du groupe de travail trilatéral UA-UE-NU doivent se poursuivre pour contribuer à libérer les migrants se trouvant en #rétention, faciliter le #retour_volontaire (37 000 retours jusqu’à présent) et évacuer les personnes les plus vulnérables (près de 2 500 personnes évacuées).
    #vulnérabilité #évacuation

    Route de la #Méditerranée_orientale : gestion des migrations en #Grèce : alors que la déclaration UE-Turquie a continué à contribuer à la diminution considérable des arrivées sur les #îles grecques, des problèmes majeurs sont toujours en suspens en Grèce en ce qui concerne les retours, le traitement des demandes d’asile et la mise à disposition d’un hébergement adéquat. Afin d’améliorer la gestion des migrations, la Grèce devrait rapidement mettre en place une stratégie nationale efficace comprenant une organisation opérationnelle des tâches.
    #accord_ue-turquie

    Accords temporaires en matière de #débarquement : sur la base de l’expérience acquise au moyen de solutions ad hoc au cours de l’été 2018 et en janvier 2019, des accords temporaires peuvent constituer une approche européenne plus systématique et mieux coordonnée en matière de débarquement­. De tels accords mettraient en pratique la #solidarité et la #responsabilité au niveau de l’UE, en attendant l’achèvement de la réforme du #règlement_de_Dublin.
    #Dublin

    En matière de migration, il est indispensable d’adopter une approche globale, qui comprenne des actions menées avec des partenaires à l’extérieur de l’UE, aux frontières extérieures, et à l’intérieur de l’UE. Il ne suffit pas de se concentrer uniquement sur les problèmes les plus urgents. La situation exige une action constante et déterminée en ce qui concerne l’ensemble des éléments de l’approche globale, pour chacun des quatre piliers de l’agenda européen en matière de migration :

    1. Lutte contre les causes de la migration irrégulière : au cours des quatre dernières années, la migration s’est peu à peu fermement intégrée à tous les domaines des relations extérieures de l’UE :

    Grâce au #fonds_fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique, plus de 5,3 millions de personnes vulnérables bénéficient actuellement d’une aide de première nécessité et plus de 60 000 personnes ont reçu une aide à la réintégration après leur retour dans leur pays d’origine.
    #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique

    La lutte contre les réseaux de passeurs et de trafiquants a encore été renforcée. En 2018, le centre européen chargé de lutter contre le trafic de migrants, établi au sein d’#Europol, a joué un rôle majeur dans plus d’une centaine de cas de trafic prioritaires et des équipes communes d’enquête participent activement à la lutte contre ce trafic dans des pays comme le #Niger.
    Afin d’intensifier les retours et la réadmission, l’UE continue d’œuvrer à la conclusion d’accords et d’arrangements en matière de réadmission avec les pays partenaires, 23 accords et arrangements ayant été conclus jusqu’à présent. Les États membres doivent maintenant tirer pleinement parti des accords existants.
    En outre, le Parlement européen et le Conseil devraient adopter rapidement la proposition de la Commission en matière de retour, qui vise à limiter les abus et la fuite des personnes faisant l’objet d’un retour au sein de l’Union.

    2. Gestion renforcée des frontières : créée en 2016, l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes est aujourd’hui au cœur des efforts déployés par l’UE pour aider les États membres à protéger les frontières extérieures. En septembre 2018, la Commission a proposé de renforcer encore le corps européen de garde-frontières et de garde-côtes et de doter l’Agence d’un corps permanent de 10 000 garde-frontières, afin que les États membres puissent à tout moment bénéficier pleinement du soutien opérationnel de l’UE. La Commission invite le Parlement européen et les États membres à adopter la réforme avant les élections au Parlement européen. Afin d’éviter les lacunes, les États membres doivent également veiller à un déploiement suffisant d’experts et d’équipements auprès de l’Agence.

    3. Protection et asile : l’UE continuera à apporter son soutien aux réfugiés et aux personnes déplacées dans des pays tiers, y compris au Moyen-Orient et en Afrique, ainsi qu’à offrir un refuge aux personnes ayant besoin d’une protection internationale. Plus de 50 000 personnes réinstallées l’ont été dans le cadre de programmes de l’UE depuis 2015. L’un des principaux enseignements de la crise migratoire est la nécessité de réviser les règles de l’UE en matière d’asile et de mettre en place un régime équitable et adapté à l’objectif poursuivi, qui permette de gérer toute augmentation future de la pression migratoire. La Commission a présenté toutes les propositions nécessaires et soutient fermement une approche progressive pour faire avancer chaque proposition. Les propositions qui sont sur le point d’aboutir devraient être adoptées avant les élections au Parlement européen. La Commission continuera de travailler avec le Parlement européen et le Conseil pour progresser vers l’étape finale.

    4. Migration légale et intégration : les voies de migration légale ont un effet dissuasif sur les départs irréguliers et sont un élément important pour qu’une migration ordonnée et fondée sur les besoins devienne la principale voie d’entrée dans l’UE. La Commission présentera sous peu une évaluation complète du cadre de l’UE en matière de migration légale. Parallèlement, les États membres devraient développer le recours à des projets pilotes en matière de migration légale sur une base volontaire. L’intégration réussie des personnes ayant un droit de séjour est essentielle au bon fonctionnement de la migration et plus de 140 millions d’euros ont été investis dans des mesures d’intégration au titre du budget de l’UE au cours de la période 2015-2017.

    http://europa.eu/rapid/press-release_IP-19-1496_fr.htm
    –-> Quoi dire plus si ce n’est que... c’est #déprimant.
    #Business_as_usual #rien_ne_change
    #hypocrisie
    #langue_de_bois
    #à_vomir
    ....

    #UE #EU #politique_migratoire #asile #migrations #réfugiés #frontières

  • Italy strengthens Libya accord, another four patrol boats

    Italy announced it is sending another four patrol boats to Libya in addition to others that were previously delivered to the North African country, in an effort to strengthen collaboration in fighting illegal immigration.

    Italy is strengthening its collaboration with Libya through a series of measures aimed at fighting illegal immigration. It will send four more patrol boats to Libya in addition to the ones that were previously delivered. It will also create a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), a naval shipyard to provide maintenance for the vessels, and systems for communication and controls along the coast. Italy is reinforcing its agreement with Libya in order to improve Tripoli’s ability to fight illegal immigration, provide migrant rescues, and control the borders.

    A total of 45 mn made available for interventions

    The measures were agreed upon during a meeting in Tripoli between the heads of the Libyan Navy and Coast Guard and representatives from the Italian Interior Ministry, Finance Police, Coast Guard, and Navy. There are 45 million euros available for interventions, 10 million from the EU and 35 million from the four Visegrad Group countries (Poland, Hungary, Czech Republic and Slovakia). The plans also provide for a series of reforms involving Libyan authorities responsible for the borders, including those managing search and rescue (SAR) operations, and personnel training for every sector in the Libyan public administration.

    Protests in France over vessels for Libya

    Meanwhile, protests erupted in France over the government’s decision to follow the Italian example and provide six vessels to the Libyan Navy. Michael Neuman, director of studies at Doctors Without Borders/ Crash (Centre de Réflexion sur l’Action et les Savoirs Humanitaires), called the decision “a supplementary step in European cooperation with Libya to strengthen control of the borders, at the cost of despicable conditions of detention for migrants.” Neuman was cited on Monday in the French daily Le Monde in an article on the French government’s new and unexpected decision.

    https://www.infomigrants.net/en/post/15395/italy-strengthens-libya-accord-another-four-patrol-boats

    #Libye #externalisation #France #gardes-côtes_libyens #asile #migrations #frontières #contrôles_frontaliers #Italie

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #Trust_Fund

    • Italian journalist: We’ve invented an authority that doesn’t exist in Libya, Al-Sarraj is a feint

      Founder and director of Italian magazine Limes, Lucio Caracciolo, said during a media statement on Thursday that Italy invented an authority that does not exist in Libya, in a reference to the Tripoli-based #Government_of_National_Accord (#GNA), which Caracciolo described its Prime Minister Fayez Al-Sarraj as a “feint”.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/43168

    • Appalti del Viminale sulle frontiere: ecco chi è rimasto in gara per sei nuove navi alla Libia

      A fine 2018 il ministero dell’Interno ha indetto un bando di gara per la fornitura di 20 “battelli” da cedere alla polizia della Libia per contrastare il flusso dei migranti. In gara -per il lotto di sei navi- è rimasta oggi un’azienda di Cervia. I finanziamenti arrivano dall’Unione europea. Nel frattempo, il governo cerca un veicolo blindato per l’esperto immigrazione italiano a Tripoli. A proposito di “luogo sicuro”

      La gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro indetta dal ministero dell’Interno italiano a fine 2018 per la fornitura di 20 nuove imbarcazioni da destinare alla polizia della Libia per contrastare il flusso dei migranti si sta definendo.
      Dopo l’ultima riunione della commissione giudicatrice del 27 settembre 2019, è rimasta infatti in gara una sola azienda -la “MED Spa” di Cervia (RA)- a seguito dell’esclusione della concorrente -la ditta individuale Marcelli- disposta a fine settembre dal Viminale per una “riscontrata difformità” rispetto alle “specifiche tecniche di gara” (un tubolare).
      La procedura di gara dei 20 “battelli pneumatici di tipo oceanico”, suddivisi in due lotti da 14 e 6 unità, è partita poco prima del Natale 2018, il 21 dicembre, tramite una “determina a contrarre” firmata della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata proprio presso il Viminale.

      Come descritto a gennaio, in questo caso i finanziamenti arrivano dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Le risorse per i 20 “battelli” che l’Italia sta per cedere alla Libia arriveranno in particolare dal progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro dell’Interno Marco Minniti). “Nel Progetto è prevista una specifica voce di budget per la fornitura di battelli pneumatici da destinare allo Stato della Libia”, in particolare alla “polizia libica”, scrive negli atti di gara il ministero.

      Se l’Unione europea è il principale finanziatore, chi deve implementarne la prima fase in loco, dal luglio 2017, è appunto il nostro ministero dell’Interno. È un “pezzo” di quella strategia di dichiarato “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce da tempo lungo le rotte africane, al fine di respingere per delega le persone. Nel gennaio di quest’anno abbiamo dedicato l’inchiesta di copertina di Altreconomia proprio a questi affari lungo le frontiere e agli appalti pubblici del Viminale, ricostruendone filiera, fonti di finanziamento, soggetti coinvolti e valore.

      Stando agli ultimi atti di gara, dunque, la “MED Spa” è rimasta senza contendenti per quanto riguarda il “Lotto 2”, dal valore massimo stimato in 2,4 milioni di euro. Si tratta di sei imbarcazioni da 9 metri “complete di motori fuoribordo da 250 HP 4 tempi” (per il primo lotto non sarebbero pervenute offerte). “Per ogni battello acquisito -riporta la specifica tecnica del ministero- la ditta contraente provvederà ad un corso di 30 ore per l’indottrinamento alla condotta, uso delle apparecchiature di bordo e manutenzione del battello a favore di almeno quattro operatori”. Mezzi e formazione.

      La MED è stata fondata nel 2014 e al 30 giugno di quest’anno conta 92 addetti e un fatturato di circa 12,5 milioni di euro (2018). Come già anticipato in primavera, il 98,93% del capitale della società (pari a 1,48 milioni di euro) è sotto sequestro preventivo disposto nel febbraio 2018 dal Tribunale di Perugia. La motivazione è esplicitata nel bilancio della stessa società: si tratta delle quote del suo principale azionista, “Feendom International FZE”, domiciliato negli Emirati Arabi Uniti. “Il provvedimento (di sequestro, ndr) -si legge nel bilancio 2018 di MED- fa rifermento a pregresse attività di natura illecita svolta da diversi soggetti ai quali farebbe verosimilmente riferimento la proprietà della FEENDOM INTERNATIONAL FZE, svolte in settori differenti da quello nel quale opera la MED SpA. Si evidenzia che la MED SpA è stata interessata dal succitato provvedimento di sequestro esclusivamente quale soggetto terzo”.

      La vicenda societaria della MED è già stata esaminata dal ministero dell’Interno che, anche a seguito di separate comunicazioni dell’amministratore giudiziario, non avrebbe rilevato alcun “motivo ostativo” alla sua partecipazione. MED ha scommesso sulle “gare pubbliche”. “La società non ha subito pesanti contraccolpi sul proprio business -si legge infatti nella relazione sulla gestione del bilancio 2018 di MED-, se non la perdita di alcuni marchi […] che però è stata controbilanciata dal settore gare pubbliche. A tale proposito questa linea di business sta contribuendo in maniera sempre più importante alla crescita di MED, basti pensare che a seguito dell’acquisizione di alcune gare con l’Arma dei Carabinieri, abbiamo un portafoglio di opzioni, esercitabili nei prossimi due anni, di circa 4 milioni di euro”.

      Mentre la fornitura dei battelli va verso una definizione, se ne è aperta un’altra, tra fine settembre e inizio ottobre 2019, dal valore più ridotto (90mila euro) ma legata sempre al progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”. Stiamo parlando del “servizio di noleggio di un’autovettura blindata per la durata di un anno, da utilizzare nella città di Tripoli” che il ministero dell’Interno vorrebbe affidare direttamente per le “esigenze dell’esperto immigrazione” italiano nella capitale della Libia. Dovrebbe trattarsi di una Toyota Land Cruiser o di un “modello equivalente”. Il termine per la presentazione delle istanze è scaduto il 14 ottobre. A proposito di “luogo sicuro”.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-navi

    • Libia, festa della Marina: l’Italia consegna dieci nuove motovedette

      Sabato scorso a Tripoli, nella base di #Sitta. Promesse dall’ex ministro Salvini a luglio scorso, i libici ne prendono possesso proprio nel giorno della scadenza del Memorandum
      La Marina libica ha festeggiato il 57esimo anniversario della sua fondazione prendendo possesso delle dieci nuove piccole motovedette fornite dall’Italia. La cerimonia e’ avvenuta nella base di Abu Sitta a Tripoli sabato scorso, il 2 novembre, proprio il giorno in cui scadeva il contestato Memorandum Italia-Libia che il governo italiano ha scelto di rinnovare per j prossimi tre anni chiedendo delle modifiche a garanzia del rispetto dei diritti umani delle migliaia di migranti intercettati dalla guardia costiera libica e riportati nei centri di detenzione in cui vengono tenuti in condizioni disumane e sottoposti ad ogni tipo di violenze.

      La consegna delle motovedette che va cosi’ ad arricchire la flotta della Guardia costiera fornita e addestrata dall’Italia era stata promessa e annunciata per la fine dell’estate dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini in uno degli ultimi comitati nazionale ordine e sicurezza da lui presieduto. Negli ultimi due anni sono stati quasi 40.000 i migranti intercettati e riportati indietro dai libici con interventi nella zona Sar sotto il controllo di Tripoli ma che, dalle indagini dei pm di Agrigento, risulta di fatto gestita dalla Marina italiana. Le foto delle dieci nuove motovedette consegnate durante la cerimonia sono state diffuse dalla Lybian navy e rilanciate dal sito di osservazione Migrant Rescue watch

      Ieri il ministro degli Esteri libico Mohamed Taher Siala ha ricevuto l’ambasciatore italiano Giuseppe Buccino Grimaldi, latore della nota verbale con cui l’Italia ha chiesto l’insediamento del Comitato italo-libico presieduto dai ministri di Interno ed Esteri di entrambi i Paesi, e ha confermato che la Libia esaminera’ gli emendamenti proposti dall’Italia e «decidera’ se approvarli o meno in linea con gli interessi supremi del governo e del popolo libico». Sulle modifiche al Memorandum il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese riferira’ alla Camera mercoledi pomeriggio.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/11/04/news/libia_festa_della_marina_l_italia_consegna_dieci_nuove_motovedette-240197
      #bateau #bateaux

  • Dai dati biometrici alle motovedette : ecco il #business della frontiera

    La gestione delle frontiere europee è sempre di più un affare per le aziende private. Dai Fondi per la difesa a quelli per la cooperazione e la ricerca: l’Ue implementa le risorse per fermare i flussi.

    Sono 33 i miliardi che l’Europa ha intenzione di destinare dal 2021 al 2027 alla gestione del fenomeno migratorio e, in particolare, al controllo dei confini. La cifra, inserita nel #Mff, il #Multiannual_Financial_Framework (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2018%3A321%3AFIN), (ed ora in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio) rappresenta il budget complessivo Ue per la gestione delle frontiere esterne, dei flussi migratori e dei flussi di rifugiati. E viene notevolmente rafforzata rispetto al periodo precedente (2016-2020) quando i miliardi stanziati erano 12,4. Meno della metà.

    A questo capitolo di spesa contribuiscono strumenti finanziari diversi: dal fondo sulla sicurezza interna (che passa da 3,4 a 4,8 miliardi) a tutto il settore della cooperazione militare, che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, come accade già per le due missioni italiane in Libia e in Niger. Anche una parte dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e di quello per la Pace saranno devoluti allo sviluppo di nuove tecnologie militari per fermare i flussi in mare e nel deserto. Stessa logica per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi proveniente dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo Centrale.

    Un grande business in cui rientrano anche i Fondi alla ricerca. La connessione tra gestione della migrazione, #lobby della sicurezza e il business delle imprese private è al centro di un’indagine di Arci nell’ambito del progetto #Externalisation_Policies_Watch, curato da Sara Prestianni. “Lo sforzo politico nella chiusura delle frontiere si traduce in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza - sottolinea Prestianni -. La dimensione europea della migrazione si allontana sempre più dal concetto di protezione in favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza, che ha una logica repressiva. Chi ne fa le spese sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e propri o business”. Tra gli aspetti più interessanti c’è l’utilizzo del Fondo alla ricerca Orizon 20-20 per ideare strumenti di controllo. “Qui si entra nel campo della biometria: l’obiettivo è dotare i paesi africani di tutto un sistema di raccolta di dati biometrici per fermare i flussi ma anche per creare un’enorme banca dati che faciliti le politiche di espulsione - continua Prestianni -. Questo ha creato un mercato, ci sono diverse imprese che hanno iniziato ad occuparsi del tema. Tra le aziende europee leader in questi appalti c’è la francese #Civipol, che ha il monopolio in vari paesi di questo processo. Ma l’interconnessione tra politici e lobby della sicurezza è risultata ancor più evidente al #Sre, #Research_on_Security_event, un incontro che si è svolto a Bruxelles a dicembre, su proposta della presidenza austriaca: seduti negli stessi panel c’erano rappresentanti della commissione europea, dell’Agenzia #Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza. Tutti annuivano sulla necessità di aprire un mercato europeo della frontiera, dove lotta alla sicurezza e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente”.

    In questo contesto, non è marginale il ruolo dell’Italia. “L’idea di combattere i traffici e tutelare i diritti nasce con #Tony_Blair, ma già allora l’obiettivo era impedire alle persone di arrivare in Europa - sottolinea Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci -. Ed è quello a cui stiamo assistendo oggi in maniera sempre più sistematica. Un esempio è la vicenda delle #motovedette libiche, finanziate dall’Italia e su cui guadagnano aziende italianissime”. Il tema è anche al centro dell’inchiesta di Altreconomia di Gennaio (https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta), curata da Duccio Facchini. “L’idea era dare un nome, un volto, una ragione sociale, al modo in cui il ministero degli Interni traduce le strategie di contrasto e di lotta ai flussi di persone” spiega il giornalista. E così si scopre che della rimessa in efficienza di sei pattugliatori, dati dall’Italia alla Tunisia, per il controllo della frontiera, si occupa in maniera esclusiva un’azienda di Rovigo, i #Cantieri_Navali_Vittoria: “Un soggetto senza concorrenti sul mercato, che riesce a vincere l’appalto anche per la rimessa in sicurezza delle motovedette fornite dal nostro paese alla Libia”, sottolinea Facchini.

    Motovedette fornite dall’Italia attraverso l’utilizzo del Fondo Africa: la questione è al centro di un ricorso al Tar presentato da Asgi (Associazione studi giuridici dell’immigrazione). “Il Fondo Africa di 200 milioni di euro viene istituito nel 2018 e il suo obiettivo è implementare le strategie di cooperazione con i maggiori paesi interessati dal fenomeno migratorio: dal #Niger alla LIbia, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio - spiega l’avvocata Giulia Crescini -. Tra le attività finanziate con questo fondo c’è la dotazioni di strumentazioni per il controllo delle frontiere. Come Asgi abbiamo chiesto l’accesso agli atti del ministero degli Esteri per analizzare i provvedimenti e vedere come sono stati spesi questi soldi. In particolare, abbiamo notato l’utilizzo di due milioni di euro per la rimessa in efficienza delle motovedette fornite dall’Italia alla Libia - aggiunge -. Abbiamo quindi strutturato un ricorso, giuridicamente complicato, cercando di interloquire col giudice amministrativo, che deve verificare la legittimità dell’azione della Pubblica amministrazione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto la sentenza di rigetto in primo grado, e ora presenteremo l’appello. Ma studiando la sentenza ci siamo accorti che il giudice amministrativo è andato a verificare esattamente se fossero stati spesi bene o meno quei soldi - aggiunge Crescini -. Ed è andato così in profondità che ha scritto di fatto che non c’erano prove sufficienti che il soggetto destinatario stia facendo tortura e atti degradanti nei confronti dei migranti. Su questo punto lavoreremo per il ricorso. Per noi è chiaro che l’Italia oggi sta dando strumentazioni necessarie alla Libia per non sporcarsi le mani direttamente, ma c’è una responsabilità italiana anche se materialmente non è L’Italia a riportare indietro i migranti. Su questo punto stiamo agendo anche attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo”.

    http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/620038/Dai-dati-biometrici-alle-motovedette-ecco-il-business-della-frontie

    #externalisation #frontières #UE #EU #Europe #Libye #Forteresse_européenne #asile #migrations #réfugiés #privatisation #argent #recherche #frontières_extérieures #coopération_militaire #sécurité_intérieure #fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #technologie #militarisation_des_frontières #fonds_fiduciaire #développement #Horizon_2020 #biométrie #données #données_biométriques #base_de_données #database #expulsions #renvois #marché #marché_européen_de_la_frontière #complexe_militaro-industriel #Tunisie #Côte_d'Ivoire #Italie
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    • Gli affari lungo le frontiere. Inchiesta sugli appalti pubblici per il contrasto all’immigrazione “clandestina”

      In Tunisia, Libia, Niger, Egitto e non solo. Così lo Stato italiano tramite il ministero dell’Interno finanzia imbarcazioni, veicoli, idranti per “ordine pubblico”, formazione delle polizie e sistemi automatizzati di identificazione. Ecco per chi la frontiera rappresenta un buon affare.

      Uno dei luoghi chiave del “contrasto all’immigrazione clandestina” che l’Italia conduce lungo le rotte africane non si trova a Tunisi, Niamey o Tripoli, ma è in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco. È ad Adria, poco distante dal Po, che ha sede “Cantiere Navale Vittoria”, un’azienda nata nel 1927 per iniziativa della famiglia Duò -ancora oggi proprietaria- specializzata in cantieristica navale militare e paramilitare. Si tratta di uno dei partner strategici della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno, per una serie di commesse in Libia e Tunisia.

      La Direzione è il braccio del Viminale in tema di “gestione” dei flussi provenienti da quei Paesi ritenuti di “eccezionale rilevanza nella gestione della rotta del Mediterraneo centrale” (parole della Farnesina). Quella “rotta” conduce alle coste italiane: Libia e Tunisia, appunto, ma anche Niger e non solo. E quel “pezzo” del Viminale si occupa di tradurre in pratica le strategie governative. Come? Appaltando a imprese italiane attività diversissime tra loro per valore, fonti di finanziamento, tipologia e territori coinvolti. Un principio è comune: quello di dar forma al “contrasto”, sul nostro territorio o di frontiera. E per questi affidamenti ricorre più volte una formula: “Il fine che si intende perseguire è quello di collaborare con i Paesi terzi ai fini di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina”. Tra gli ultimi appalti aggiudicati a “Cantiere Navale Vittoria” (ottobre 2018) spicca la rimessa in efficienza di sei pattugliatori “P350” da 34 metri, di proprietà della Guardia nazionale della Tunisia. Tramite gli atti della procedura di affidamento si possono ricostruire filiera e calendario.

      Facciamo un salto indietro al giugno 2017, quando i ministeri degli Esteri e dell’Interno italiani sottoscrivono un’“intesa tecnica” per prevedere azioni di “supporto tecnico” del Viminale stesso alle “competenti autorità tunisine”. Obiettivo: “Migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusi la “lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. La spesa prevista -12 milioni di euro- dovrebbe essere coperta tramite il cosiddetto “Fondo Africa”, istituito sei mesi prima con legge di Stabilità e provvisto di una “dotazione finanziaria” di 200 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato del Fondo è quello di “rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. Le autorità di Tunisi hanno fretta, tanto che un mese dopo l’intesa tra i dicasteri chiedono all’Italia di provvedere subito alla “rimessa in efficienza” dei sei pattugliatori. Chi li ha costruiti, anni prima, è proprio l’azienda di Adria, e da Tunisi giunge la proposta di avvalersi proprio del suo “know how”. La richiesta è accolta. Trascorre poco più di un anno e nell’ottobre 2018 l’appalto viene aggiudicato al Cantiere per 6,3 milioni di euro. L’“attività di contrasto all’immigrazione clandestina”, scrive la Direzione immigrazione e frontiere, è di “primaria importanza per la sicurezza nazionale, anche alla luce dei recenti sbarchi sulle coste italiane di migranti provenienti dalle acque territoriali tunisine”. I pattugliatori da “consegnare” risistemati alla Tunisia servono quindi a impedire o limitare gli arrivi via mare nel nostro Paese, che da gennaio a metà dicembre di 2018 sono stati 23.122 (di cui 12.976 dalla Libia), in netto calo rispetto ai 118.019 (105.986 dalla Libia) dello stesso periodo del 2017.


      A quel Paese di frontiera l’Italia non fornisce (o rimette in sesto) solamente navi. Nel luglio 2018, infatti, la Direzione del Viminale ha stipulato un contratto con la #Totani Company Srl (sede a Roma) per la fornitura di 50 veicoli #Mitsubishi 4×4 Pajero da “consegnare presso il porto di Tunisi”. Il percorso è simile a quello dei sei pattugliatori: “Considerata” l’intesa del giugno 2017 tra i ministeri italiani, “visto” il Fondo Africa, “considerata” la richiesta dei 50 mezzi da parte delle autorità nordafricane formulata nel corso di una riunione del “Comitato Italo-Tunisino”, “vista” la necessità di “definire nel più breve tempo possibile le procedure di acquisizione” per “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”, eccetera. E così l’offerta economica di 1,6 milioni di euro della Totani è ritenuta congrua.

      Capita però che alcune gare vadano deserte. È successo per la fornitura di due “autoveicoli allestiti ‘idrante per ordine pubblico’” e per la relativa attività di formazione per 12 operatori della polizia tunisina (352mila euro la base d’asta). “Al fine di poter supportare il governo tunisino nell’ambito delle attività di contrasto all’immigrazione clandestina” è il passe-partout utilizzato anche per gli idranti, anche se sfugge l’impiego concreto. Seppur deserta, gli atti di questa gara sono interessanti per i passaggi elencati. Il tutto è partito da un incontro a Roma del febbraio 2018 tra l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e l’omologo tunisino. “Sulla base” di questa riunione, la Direzione del Viminale “richiede” di provvedere alla commessa attraverso un “appunto” datato 27 aprile dello stesso anno che viene “decretato favorevolmente” dal “Sig. Capo della Polizia”, Franco Gabrielli. Alla gara (poi non aggiudicata) si presenta un solo concorrente, la “Brescia Antincendi International Srl”, che all’appuntamento con il ministero delega come “collaboratore” un ex militare in pensione, il tenente colonnello Virgilio D’Amata, cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Ma è un nulla di fatto.

      A Tunisi vengono quindi consegnati navi, pick-up, (mancati) idranti ma anche motori fuoribordo per quasi 600mila euro. È del settembre 2018, infatti, un nuovo “avviso esplorativo” sottoscritto dal direttore centrale dell’Immigrazione -Massimo Bontempi- per la fornitura di “10 coppie di motori Yamaha 4 tempi da 300 CV di potenza” e altri 25 da 150 CV. Il tutto al dichiarato fine di “garantire un dispiegamento efficace dei servizi di prevenzione e di contrasto all’immigrazione clandestina”.

      Come per la Tunisia, anche in Libia il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel Fondo Africa. Parlamento non pervenuto

      Poi c’è la Libia, l’altro fronte strategico del “contrasto”. Come per la Tunisia, anche in questo contesto il ritmo è scandito da “intese tecniche” tra ministeri di Esteri e Interno -Parlamento non pervenuto- “per l’uso dei finanziamenti” previsti nel citato Fondo Africa. Una di queste, datata 4 agosto 2017, riguarda il “supporto tecnico del ministero dell’Interno italiano alle competenti autorità libiche per migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi la lotta al traffico di migranti e le attività di ricerca e soccorso”. L’“eventuale spesa prevista” è di 2,5 milioni di euro. Nel novembre 2017 se n’è aggiunta un’altra, rivolta a “programmi di formazione” dei libici del valore di 615mila euro circa (sempre tratti dal Fondo Africa). Quindi si parte dalle intese e poi si passa ai contratti.

      Scorrendo quelli firmati dalla Direzione immigrazione e polizia delle frontiere del Viminale tra 2017 e 2018, e che riguardano specificamente commesse a beneficio di Tripoli, il “fornitore” è sempre lo stesso: Cantiere Navale Vittoria. È l’azienda di Adria -che non ha risposto alle nostre domande- a occuparsi della rimessa in efficienza di svariate imbarcazioni (tre da 14 metri, due da 35 e una da 22) custodite a Biserta (in Tunisia) e “da restituire allo Stato della Libia”. Ma anche della formazione di 21 “operatori della polizia libica” per la loro “conduzione” o del trasporto di un’altra nave di 18 metri da Tripoli a Biserta. La somma degli appalti sfiora complessivamente i 3 milioni di euro. In alcuni casi, il Viminale dichiara di non avere alternative al cantiere veneto. Lo ha riconosciuto la Direzione in un decreto di affidamento urgente per la formazione di 22 “operatori di polizia libica” e la riconsegna di tre motovedette a fine 2017. Poiché Cantiere Navale Vittoria avrebbe un “patrimonio informativo peculiare”, qualunque ricerca di “soluzioni alternative” sarebbe “irragionevole”. Ecco perché in diverse “riunioni bilaterali di esperti” per la cooperazione tra Italia e Libia “in materia migratoria”, oltre alla delegazione libica (i vertici dell’Amministrazione generale per la sicurezza costiera del ministero dell’Interno) e quella italiana (tra cui l’allora direttore del Servizio immigrazione del Viminale, Vittorio Pisani), c’erano anche i rappresentanti di Cantiere Navale Vittoria.
      Se i concorrenti sono pochi, la fretta è tanta. In più di un appalto verso la Libia, infatti, la Direzione ha argomentato le procedure di “estrema urgenza” segnalando come “ulteriori indugi”, ad esempio “nella riconsegna delle imbarcazioni”, non solo “verrebbero a gravare ingiustificatamente sugli oneri di custodia […] ma potrebbero determinare difficoltà anche di tipo diplomatico con l’interlocutore libico”. È successo nell’estate 2018 anche per l’ultimo “avviso esplorativo” da quasi 1 milione di euro collegato a quattro training (di quattro settimane) destinati a cinque equipaggi “a bordo di due unità navali da 35 metri, un’unità navale da 22 metri e un’unità navale da 28 metri di proprietà libica”, “al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Lo scopo è fornire una “preparazione adeguata su ogni aspetto delle unità navali”. Della materia “diritti umani” non c’è traccia.

      Questa specifica iniziativa italiana deriva dal Memorandum d’Intesa con la Libia sottoscritto a Roma dal governo Gentiloni (Marco Minniti ministro dell’Interno), il 2 febbraio 2017. Il nostro Paese si era impegnato a “fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. È da lì che i governi di Italia e Libia decidono di includere tra le attività di cooperazione anche l’erogazione dei corsi di addestramento sulle motovedette ancorate a Biserta.

      Ai primi di maggio del 2018, il Viminale decide di accelerare. C’è l’“urgenza di potenziare, attraverso la rimessa in efficienza delle imbarcazioni e l’erogazione di corsi di conduzione operativa, il capacity building della Guardia Costiera libica, al fine di aumentare l’efficienza di quel Paese per il contrasto dell’immigrazione illegale”. Anche perché, aggiunge il ministero, “alla luce degli ultimi eventi di partenze di migranti dalle coste libiche”, “appare strettamente necessario ed urgente favorire il pieno ripristino dell’efficienza delle competenti Autorità dello Stato della Libia nell’erogazione dei servizi istituzionali”. E così a fine giugno 2018 viene pubblicato il bando: i destinatari sono “operatori della polizia libica” e non invece le guardie costiere. Il ministero ha dovuto però “rimodulare” in corsa l’imposto a base d’asta della gara (da 763mila a 993mila euro). Perché? Il capitolato degli oneri e il verbale di stima relativi al valore complessivo dell’intera procedura sarebbero risultati “non remunerativi” per l’unico operatore interessato: Cantiere Navale Vittoria Spa, che avrebbe comunicato “di non poter sottoscrivere un’offerta adeguata”.

      Le risorse per quest’ultimo appalto non arrivano dal Fondo Africa ma da uno dei sei progetti finanziati in Libia dall’Unione europea tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. Quello che ci riguarda in particolare s’intitola “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, del valore di oltre 46 milioni di euro. Mentre l’Ue è il principale finanziatore, chi deve implementarlo in loco, dal luglio 2017, è proprio il nostro ministero dell’Interno. Che è attivo in due aree della Libia: a Nord-Ovest, a Tripoli, a beneficio delle guardie costiere libiche (tramite la costituzione di un centro di coordinamento per le operazioni di ricerca e soccorso in mare e per la dichiarazione di un’area di ricerca e soccorso in mare autonoma), e una a Sud-Ovest, nella regione del Fezzan, nel distretto di Ghat, per incrementare la capacità di sorveglianza, “in particolare nelle aree di frontiera terrestre con il Niger, maggiormente colpita dall’attraversamento illegale”. È previsto inoltre un “progetto pilota” per istituire una sede operativa per circa 300 persone, ripristinando ed equipaggiando le esistenti strutture nella città di Talwawet, non lontano da Ghat, con tre avamposti da 20 persone l’uno.

      A un passo da lì c’è il Niger, l’altra tessera del mosaico. Alla metà di dicembre 2018, non risultano appalti in capo alla Direzione frontiere del Viminale, ma ciò non significa che il nostro Paese non sia attivo per supportare (anche) la gestione dei suoi confini. A metà 2017, infatti, l’Italia ha destinato 50 milioni di euro all’EU Trust Fund per “far fronte alle cause profonde della migrazione in Africa/Finestra Sahel e Lago Ciad”, con un’attenzione particolare al Niger. Si punta alla “creazione di nuove unità specializzate necessarie al controllo delle frontiere, di nuovi posti di frontiera fissa, o all’ammodernamento di quelli esistenti, di un nuovo centro di accoglienza per i migranti a Dirkou, nonché per la riattivazione della locale pista di atterraggio”. In più, dal 2018 è scesa sul campo la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger” (MISIN) che fa capo al ministero della Difesa e ha tra i suoi obiettivi quello di “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere”. Il primo corso “per istruttori di ordine pubblico a favore della gendarmeria nigerina” si è concluso a metà ottobre 2018. Pochi mesi prima, a luglio, era stata sottoscritta un’altra “intesa tecnica” tra Esteri e Difesa per rimettere in efficienza e cedere dieci ambulanze e tre autobotti. Finalità? “Il controllo del territorio volto alla prevenzione e al contrasto ai traffici di esseri umani e al traffico di migranti, e per l’assistenza ai migranti nell’ambito delle attività di ricerca e soccorso”: 880mila euro circa. Il Niger è centrale: stando all’ultima programmazione dei Paesi e dei settori in cui sono previsti finanziamenti tramite il “Fondo Africa” (agosto 2018, fonte ministero degli Esteri), il Paese è davanti alla Libia (6 milioni contro 5 di importo massimo preventivato).

      Inabissatosi in Niger, il ministero dell’Interno riemerge in Egitto. Anche lì vigono “accordi internazionali diretti al contrasto dell’immigrazione clandestina” sostenuti dall’Italia. La loro traduzione interessa da vicino la succursale italiana della Hewlett-Packard (HP). Risale infatti a fine 2006 un contratto stipulato tra la multinazionale e la Direzione del Viminale “per la realizzazione di un Sistema automatizzato di identificazione delle impronte (AFIS) per lo Stato dell’Egitto”, finalizzato alle “esigenze di identificazione personale correlate alla immigrazione illegale”: oltre 5,2 milioni di euro per il periodo 2007-2012, cui se ne sono aggiunti ulteriori 1,8 milioni per la manutenzione ininterrotta fino al 2017 e quasi 500mila per l’ultima tranche, 2018-2019. HP non ha avversari -come riporta il Viminale- in forza di un “accordo in esclusiva” tra la Hewlett Packard Enterprise e la multinazionale della sicurezza informatica Gemalto “in relazione ai prodotti AFIS per lo Stato dell’Egitto”. Affari che non si possono discutere: “L’interruzione del citato servizio -sostiene la Direzione- è suscettibile di creare gravi problemi nell’attività di identificazione dei migranti e nel contrasto all’immigrazione clandestina, in un momento in cui tale attività è di primaria importanza per la sicurezza nazionale”. Oltre alla partnership con HP, il ministero dell’Interno si spende direttamente in Egitto. Di fronte alle “esigenze scaturenti dalle gravissimi crisi internazionali in vaste aree dell’Africa e dell’Asia” che avrebbero provocato “massicci esodi di persone e crescenti pressioni migratorie verso l’Europa”, la Direzione centrale immigrazione (i virgolettati sono suoi) si è fatta promotrice di una “proposta progettuale” chiamata “International Training at Egyptian Police Academy” (ITEPA). Questa prevede l’istituzione di un “centro di formazione internazionale” sui temi migratori per 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di ben 22 Paesi africani presso l’Accademia della polizia egiziana de Il Cairo. Il “protocollo tecnico” è stato siglato nel settembre 2017 tra il direttore dell’Accademia di polizia egiziana ed il direttore centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere. Nel marzo 2018, il capo della Polizia Gabrielli è volato a Il Cairo per il lancio del progetto. “Il rispetto dei diritti umani -ha dichiarato in quella sede- è uno degli asset fondamentali”.

      “La legittimità, la finalità e la consistenza di una parte dei finanziamenti citati con le norme di diritto nazionale e internazionale sono stati studiati e in alcuni casi anche portati davanti alle autorità giudiziarie dai legali dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, asgi.it)”, spiega l’avvocato Giulia Crescini, parte del collegio dell’associazione che si è occupato della vicenda. “Quando abbiamo chiesto lo stato di implementazione dell’accordo internazionale Italia-Libia del febbraio 2017, il ministero dell’Interno ha opposto generiche motivazioni di pericolo alla sicurezza interna e alle relazioni internazionali, pertanto il ricorso dopo essere stato rigettato dal Tar Lazio è ora pendente davanti al Consiglio di Stato”. La trasparenza insegue la frontiera.

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      “LEONARDO” (FINMECCANICA) E GLI INTERESSI SULLE FRONTIERE

      In Tunisia, Libia, Egitto e Niger, l’azienda Leonardo (Finmeccanica) avrebbe in corso “attività promozionali per tecnologie di sicurezza e controllo del territorio”. Alla richiesta di dettagli, la società ha risposto di voler “rivitalizzare i progetti in sospeso e proporne altri, fornendo ai Governi sistemi e tecnologie all’avanguardia per la sicurezza dei Paesi”. Leonardo è già autorizzata a esportare materiale d’armamento in quei contesti, ma non a Tripoli. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, ha approvato la Risoluzione 2420 che estende l’embargo sulle armi nel Paese per un altro anno. “Nel prossimo futuro -fa sapere l’azienda di cui il ministero dell’Economia è principale azionista- il governo di accordo nazionale potrà richiedere delle esenzioni all’embargo ONU sulle armi, per combattere il terrorismo”. Alla domanda se Leonardo sia coinvolta o operativa nell’ambito di iniziative collegate al fondo fiduciario per l’Africa dell’Unione europea e in particolare al programma da 46 milioni di euro coordinato dal Viminale, in tema di frontiere libiche, l’azienda ha fatto sapere che “in passato” avrebbe “collaborato con le autorità libiche per lo sviluppo e implementazione di sistemi per il monitoraggio dei confini meridionali, nonché sistemi di sicurezza costiera per il controllo, la ricerca e il salvataggio in mare”. Attualmente la società starebbe “esplorando opportunità in ambito europeo volte allo sviluppo di un progetto per il controllo dei flussi migratori dall’Africa all’Europa, consistente in un sistema di sicurezza e sorveglianza costiero con centri di comando e controllo”.

      Export in Libia. Il “caso” Prodit

      Nei primi sei mesi del 2018, attraverso l’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento), l’Italia ha autorizzato l’esportazione di “materiale d’armamento” verso la Libia per un valore di circa 4,8 milioni di euro. Nel 2017 questa cifra era zero. Si tratta, come impone la normativa in tema di embargo, di materiali “non letali”. L’ammontare è minimo se paragonato al totale delle licenze autorizzate a livello mondiale dall’Italia tra gennaio e giugno 2018 (3,2 miliardi di euro). Chi esporta è una singola azienda, l’unica iscritta al Registro Nazionale delle Imprese presso il Segretariato Generale del ministero della Difesa: Prodit Engineering Srl. In Libia non ha esportato armi ma un veicolo terrestre modificato come fuoristrada e materiali utilizzabili per sminamento.

      https://altreconomia.it/frontiera-buon-affare-inchiesta

      #Leonardo #Finmeccanica #Egypte #Tunisie #identification #P350 #Brescia_Antincendi_International #Virgilio_D’Amata #Massimo_Bontempi #Yamaha #Minniti #Marco_Minniti #EU_Trust_Fund #Trust_Fund #Missione_bilaterale_di_supporto_nella_Repubblica_del_Niger #MISIN #Hewlett-Packard #AFIS #International_Training_at_Egyptian_Police_Academy #ITEPA

    • "La frontiera è un buon affare": l’inchiesta sul contrasto del Viminale all’immigrazione «clandestina» a suon di appalti pubblici

      Dalla Tunisia alla Libia, dal Niger all’Egitto: così lo Stato italiano finanzia imbarcazioni, veicoli, formazione a suon di appalti pubblici. I documenti presentati a Roma dall’Arci.

      «Quando si parla di esternalizzazione della frontiera e di diritto di asilo bisogna innanzitutto individuare i Paesi maggiormente interessati da queste esternalizzazioni, capire quali sono i meccanismi che si vuole andare ad attaccare, creare un caso e prenderlo tempestivamente. Ma spesso per impugnare un atto ci vogliono 60 giorni, le tempistiche sono precise, e intraprendere azioni giudiziarie per tutelare i migranti diventa spesso molto difficile. Per questo ci appoggiamo all’Arci». A parlare è Giulia Crescini, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che insieme a Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di ARCI, Sara Prestianni, coordinatrice del progetto #externalisationpolicieswatch, e Duccio Facchini, giornalista di Altreconomia, ha fatto il punto sugli appalti della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno e più in generale dei fondi europei ed italiani stanzianti per implementare le politiche di esternalizzazione del controllo delle frontiere in Africa.

      L’inchiesta. Duccio Facchini, presentando i dati dell’inchiesta di Altreconomia «La frontiera è un buon affare», ha illustrato i meccanismi di una vera e propria strategia che ha uno dei suoi punti d’origine in un piccolo comune del Veneto, in provincia di Rovigo, affacciato sul Canal Bianco - dove ha sede una delle principale aziende specializzate in cantieristica navale militare e paramilitare - e arriva a toccare Tripoli, Niamey o Il Cairo. Il filo rosso che lega gli affidamenti milionari è uno solo: fermare il flusso di persone dirette in Italia e in Europa. Anche utilizzando fondi destinati alla cooperazione e senza alcun vaglio parlamentare.

      Il Fondo Africa, istituito con la legge di bilancio 2017, art. 1 comma 621 per l’anno 2018, è pari a 200 milioni di euro, cifra che serve per attivare forme di collaborazione e cooperazione con i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno della migrazione, anche se l’espressione in sé significa tutto e niente. «Questo fondo - ha spiegato Facchini in conferenza nella sede Arci lo scorso 6 febbraio - viene dato al ministero degli Affari esteri internazionali che individua quali sono questi Paesi: nello specifico il ministero ha indicato una sfilza di Paesi africani, dal Niger alla Libia alla Tunisia, passando per l’Egitto la Costa d’Avorio, indicando anche una serie di attività che possono essere finanziate con questi soldi. Tra queste c’è la dotazione di strumentazioni utili per il controllo della frontiera». Gli autori dell’inchiesta hanno chiesto al ministero l’elenco dei provvedimenti che sono stati messi in campo e per attivare questa protezione alla frontiera. «Siamo alla fine del 2017 e notiamo che tra questi ce n’è uno che stanzia 2 milioni e mezzo per la messa in opera di quattro motovedette. Da lì cominciamo a domandarci se in base alla normativa italiana è legittimo dare una strumentazione così specifica a delle autorità così notoriamente coinvolte nella tortura e nella violenza dei migranti. Quindi abbiamo strutturato un ricorso giuridicamente molto complicato per cercare di interloquire con il giudice amministrativo». Notoriamente il giudice amministrativo non è mai coinvolto in questioni relative al diritto di asilo - per capire: è il giudice degli appalti - ed è insomma colui che va a verificare se la pubblica amministrazione ha adempiuto bene al suo compito.

      l punto di partenza. «Il giudice amministrativo e la pubblica amministrazione – ha spiegato Giulia Crescini dell’Asgi - stanno sempre in un rapporto molto delicato fra loro perché la pubblica amministrazione ha un ambito di discrezionalità all’interno del quale il giudice non può mai entrare, quindi la PA ha dei limiti che vengono messi dalla legge e all’interno di quei limiti il ministero può decidere come spendere quei soldi. Secondo noi quei limiti sono superati, perché la legge non autorizza a rafforzare delle autorità che poi commettono crimini contro i migranti, riportando queste persone sulla terra ferma in una condizione di tortura, soprattutto nei centri di detenzione». I legati hanno dunque avviato questo ricorso, ricevendo, qualche settimana fa, la sentenza di rigetto di primo grado. La sentenza è stata pubblicata il 7 gennaio e da quel giorno a oggi i quattro avvocati hanno studiato le parole del giudice, chiedendo alle altre organizzazioni che avevano presentato insieme a loro il ricorso se avessero intenzione o meno di fare appello. «Studiando la sentenza - continua Crescini - ci siamo accorti di come. pur essendo un rigetto, non avesse poi un contenuto così negativo: il giudice amministrativo in realtà è andato a verificare effettivamente se la pubblica amministrazione avesse speso bene o meno questo soldi, cioè se avesse esercitato in modo corretto o scorretto la discrezionalità di cui sopra. Un fatto che non è affatto scontato. Il giudice amministrativo è andato in profondità, segnalando il fatto che non ci sono sufficienti prove di tortura nei confronti dei migranti da parte delle autorità. Dal punto di vista giuridico questo rappresenta una vittoria. Perché il giudice ha ristretto un ambito molto specifico su cui potremo lavorare davanti al Consiglio di Stato».

      La frontiera è un buon affare. L’inchiesta «La frontiera è un buon affare» rivela che lo sforzo politico che vede impegnate Italia e istituzioni europee nella chiusura delle frontiere si traduce direttamente in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza.

      La dimensione europea della migrazione - si legge in un comunicato diffuso da Arci - si allontana sempre più dal concetto di protezione a favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza e alla repressione del fenomeno migratorio. La logica dell’esternalizzazione, diventata pilastro della strategia tanto europea quanto italiana di gestione delle frontiere, assume in questo modo, sempre più, una dimensione tecnologica e militare, assecondando le pressioni della lobby dell’industria della sicurezza per l’implementazione di questo mercato. L’uso dei fondi è guidato da una tendenza alla flessibilità con un conseguente e evidente rischio di opacità, conveniente per il rafforzamento di una politica securitaria della migrazione.

      Nel MFF - Multiannual Financial Framework - che definisce il budget europeo per un periodo di 7 anni e ora in discussione tripartita tra Commissione, Parlamento e Consiglio - si evidenzia l’intento strategico al netto dei proclami e dei comizi della politica: la migrazione è affrontata principalmente dal punto di vista della gestione del fenomeno e del controllo delle frontiere con un incremento di fondi fino a 34 miliardi di euro per questo settore.

      A questo capitolo di spesa - si legge ancora nel comunicato - contribuiscono strumenti finanziari diversi, dal fondo sulla sicurezza interna - che passa dai 3,4 del 2014/20120 ai 4,8 miliardi del 2021/2027 e che può essere speso anche per la gestione esterna delle frontiere - a tutto il settore della cooperazione militare che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, una tendenza che si palesa con evidenza nelle due missioni militari nostrane in Libia e Niger.

      Dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e quello per la Pace, una buona parte saranno devoluti allo sviluppo di nuova tecnologia militare, utilizzabili anche per la creazione di muri nel mare e nel deserto. Stessa logica anche per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi provenienti dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo centrale.

      Sulla pelle dei migranti. Chi ne fa le spese, spiegano gli autori dell’inchiesta, sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business. Questa connessione e interdipendenza tra politici e lobby della sicurezza, che sfiora a tutto gli effetti il conflitto di interessi, è risultata evidente nel corso del SRE «Research on security event» tenutosi a Bruxelles a fine dicembre su proposta della presidenza austriaca. Seduti negli stessi panel rappresentanti della commissione dell’Agenzia Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza, manifestavano interesse per un obbiettivo comune: la creazione di un mercato europeo della sicurezza dove lotta al terrorismo e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente

      «Il Governo Italiano si iscrive perfettamente nella logica europea, dalle missioni militari con una chiara missione di controllo delle frontiere in Niger e Libia al rinnovo del Fondo Africa, rifinanziato con 80 milioni per il 2018/2019, che condiziona le politiche di sviluppo a quelle d’immigrazione», dichiara ancora Arci. «Molti i dubbi che solleva questa deriva politica direttamente tradotta nell’uso dei fondi europei e nazionali: dalle tragiche conseguenze sulla sistematica violazione delle convenzione internazionali a una riflessione più ampia sull’opacità dell’uso dei fondi e del ruolo sempre più centrale dell’industria della sicurezza per cui la politica repressiva di chiusura sistematica delle frontiere non è altro che l’ennesimo mercato su cui investire, dimenticandosi del costo in termine di vite umane di questa logica».

      https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/02/07/news/la_frontiera_e_un_buon_affare-218538251
      #complexe_militaro-industriel

    • Appalti sulle frontiere: 30 mezzi di terra alla Libia dall’Italia per fermare i migranti

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità di Tripoli nuovi veicoli fuoristrada per il “contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. Un appalto da 2,1 milioni di euro finanziato tramite il “Fondo Fiduciario per l’Africa”, nell’ambito del quale l’Italia accresce il proprio ruolo. Il tutto mentre l’immagine ostentata di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del Viminale

      Il ministero dell’Interno italiano si appresta a fornire alle autorità della Libia trenta nuovi veicoli fuoristrada per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. L’avviso esplorativo pubblicato dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il Viminale, risale al 5 marzo 2019 (scadenza per la presentazione della manifestazione d’interesse all’8 aprile di quest’anno).

      La fornitura riguarda 30 mezzi “Toyota Land Cruiser” (15 del modello GRJ76 Petrol e 15 del GRJ79 DC Petrol), in “versione tropicalizzata”, relativamente ai quali le autorità libiche, il 24 dicembre 2018, avrebbero esplicitato alla Direzione di Roma precise “specifiche tecniche”. Il Viminale la definisce una “richiesta di assistenza tecnica” proveniente da Tripoli per le “esigenze istituzionali legate al contrasto del fenomeno dell’immigrazione irregolare”. In forza di questa “strategia”, dunque, il governo italiano -in linea con i precedenti, come abbiamo raccontato a gennaio nell’inchiesta sugli “affari lungo le frontiere”– continua a equipaggiare le autorità del Paese Nord-africano per contrastare i flussi migratori. L’ammontare “massimo” degli ultimi due lotti (da 15 mezzi l’uno) è stimato in 2,1 milioni di euro.

      E così come è stato per la gara d’appalto da oltre 9,3 milioni di euro per la fornitura di 20 imbarcazioni destinate alla polizia libica, indetta dal Viminale a fine dicembre 2018, anche nel caso dei 30 mezzi Toyota le risorse arriveranno dal “Fondo Fiduciario per l’Africa” (EU Trust Fund), istituito dalla Commissione europea a fine 2015 con una dotazione di oltre 4 miliardi di euro. In particolare, dal progetto implementato dal Viminale e intitolato “Support to integrated Border and Migration Management in Libya – First Phase”, dal valore di oltre 46 milioni di euro e il cui “delegation agreement” risale a metà dicembre 2017 (governo Gentiloni, ministro competente Marco Minniti).

      Questo non è l’unico progetto finanziato tramite l’EU Trust Fund che vede il ministero dell’Interno italiano attivo nel continente africano. Alla citata “First Phase”, infatti, se ne sono affiancati nel tempo altri due. Uno è di stanza in Tunisia e Marocco (“Border Management Programme for the Maghreb region”), datato luglio 2018 e dal valore di 55 milioni di euro. L’altro progetto, di nuovo, ricade in Libia. Si tratta del “Support to Integrated border and migration management in Libya – Second Phase”, risalente al 13 dicembre 2018, per un ammontare di altri 45 milioni di euro. Le finalità dichiarate nell’”Action Document” della seconda fase in Libia sono -tra le altre- quelle di “intensificare gli sforzi fatti”, “sviluppare nuove aree d’intervento”, “rafforzare le capacità delle autorità competenti che sorvegliano i confini marittimi e terrestri”, “l’acquisto di altre navi”, “l’implementazione della rete di comunicazione del Maritime Rescue Coordination Centre” di Tripoli, “la progettazione specifica di programmi per la neocostituita polizia del deserto”.

      La strategia di contrasto paga, sostiene la Commissione europea. “Gli sforzi dell’Ue e dell’Italia nel sostenere la Guardia costiera libica per migliorare la sua capacità operativa hanno raggiunto risultati significativi e tangibili nel 2018”, afferma nel lancio della “seconda fase”. Di “significativo e tangibile” c’è il crollo degli sbarchi sulle coste italiane, in particolare dalla Libia. Dati del Viminale alla mano, infatti, nel periodo compreso tra l’1 gennaio e il 7 marzo 2017 giunsero 15.843 persone, scese a 5.457 lo scorso anno e arrivate a 335 quest’anno. La frontiera è praticamente sigillata. Un “successo” che nasconde la tragedia dei campi di detenzione e sequestro libici dove migliaia di persone sono costrette a rimanere.

      È in questa cornice che giunge il nuovo “avviso” del Viminale dei 30 veicoli, pubblicato come detto il 5 marzo. Quello stesso giorno il vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha incontrato a Roma il vicepremier libico Ahmed Maiteeq. Un “cordiale colloquio”, come recita il comunicato ministeriale, che avrebbe visto sul tavolo “i rapporti tra i due Paesi, in particolare su sicurezza, lotta al terrorismo, immigrazione e stabilizzazione politica della Libia”.

      Ma l’immagine ostentata dal governo Conte di una “Libia sicura” è offuscata dagli stessi atti di gara del ministero dell’Interno. Tra i quesiti presentati al Viminale da parte dei potenziali concorrenti al bando dei 20 battelli da destinare alla polizia libica, infatti, si trovano richieste esplicite di “misure atte a garantire la sicurezza dei propri operatori”. “Laddove si rendesse strettamente necessario effettuare interventi di garanzia richiesti in loco (Libia)”, gli operatori di mercato hanno chiesto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere “che tali prestazioni potranno essere organizzate a patto che le imbarcazioni si trovino in città (Tripoli, ndr) per garantire la sicurezza degli operatori inviati per tali prestazioni”. Il ministero dell’Interno conferma il quadro di instabilità del Paese: “Le condizioni di sicurezza in Libia devono essere attentamente valutate in ragione della contingenza al momento dell’esecuzione del contratto”, è la replica al quesito. “Appare di tutto evidenza che la sicurezza degli operatori non dovrà essere compromessa in relazione ai rischi antropici presenti all’interno dello Stato beneficiario della commessa”. Per gli operatori, non per i migranti in fuga.

      https://altreconomia.it/appalti-libia-frontiere-terra
      #Libye

  • #métaliste (qui va être un grand chantier, car il y a plein d’information sur seenthis, qu’il faudrait réorganiser) sur :
    #externalisation #contrôles_frontaliers #frontières #migrations #réfugiés

    Des liens vers des articles généraux sur l’externalisation des frontières de la part de l’ #UE (#EU) :
    https://seenthis.net/messages/569305
    https://seenthis.net/messages/390549
    https://seenthis.net/messages/320101

    Ici une tentative (très mal réussie, car évidement, la divergence entre pratiques et les discours à un moment donné, ça se voit !) de l’UE de faire une brochure pour déconstruire les mythes autour de la migration...
    La question de l’externalisation y est abordée dans différentes parties de la brochure :
    https://seenthis.net/messages/765967

    Petit chapitre/encadré sur l’externalisation des frontières dans l’ouvrage "(Dé)passer la frontière" :
    https://seenthis.net/messages/769367

    Les origines de l’externalisation des contrôles frontaliers (maritimes) : accord #USA-#Haïti de #1981 :
    https://seenthis.net/messages/768694

    L’externalisation des politiques européennes en matière de migration
    https://seenthis.net/messages/787450

    "#Sous-traitance" de la #politique_migratoire en Afrique : l’Europe a-t-elle les mains propres ?
    https://seenthis.net/messages/789048

    Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights :
    https://seenthis.net/messages/794636
    #paix #stabilité #droits #Libye #Niger #Turquie

    Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”
    https://seenthis.net/messages/880193

    Brochure sur l’externalisation des frontières (passamontagna)
    https://seenthis.net/messages/952016