• Il sistema delle “coop pigliatutto”

    Per anni hanno dominato il settore dell’accoglienza in Veneto prima di sbarcare nella detenzione amministrativa. Oggi gestiscono due Cpr, tra cui quello di Gradisca d’Isonzo, dove dalla sua riapertura sono morte quattro persone

    Il 16 dicembre del 2019 il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, riapre, a sei anni dalle proteste che hanno portato alla sua chiusura. Tra i primi trattenuti del nuovo corso, c’è un gruppo di circa settanta persone provenienti dal centro di Bari, dove sono stati bruciati tre degli ultimi quattro moduli rimasti dopo le proteste dei mesi precedenti. Bibudi Anthony Nzuzi è tra coloro che sono stati trasferiti «di punto in bianco», dice, in Friuli. L’accoglienza non è stata delle migliori: «Pioveva, faceva freddo, ci siamo ritrovati i poliziotti in tenuta antisommossa. Non avevamo materassi, non c’erano coperte, non avevamo niente per poterci vestire. Ci siamo ritrovati a dormire al freddo perché non c’era il riscaldamento», racconta.

    Nzuzi è nel Cpr friulano anche tra il 17 e il 18 gennaio 2020, quando muore un trattenuto georgiano di 37 anni, Vakhtang Enukidze. I poliziotti di cui parla Nzuzi stanno sedando una protesta. «Hanno inizialmente pestato tutti, solo che lui [Vakhtang Enukidze] era caduto – racconta – ma continuavano a pestarlo e gli altri ragazzi si sono buttati addosso ai poliziotti e l’hanno tirato via».

    Nzuzi si trova nello stesso reparto di Enukidze ma in un’altra cella. «La sera lui [Vakhtang Enukidze] lamentava dolori, non si sentiva bene – ricorda, ripensando ai momenti dopo che la polizia ha lasciato il Cpr -. È andato a dormire e non si è più risvegliato». Questa versione è stata confermata da alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi durante due visite ispettive subito dopo il decesso. Non dagli investigatori, però.

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    L’inchiesta in breve

    - Ekene nasce nel 2017 come diretta emanazione di Ecofficina ed Edeco, enti che hanno dominato il mercato dell’accoglienza in Veneto guadagnandosi l’appellativo di “coop pigliatutto”
    - A gestirla è Simone Borile, imprenditore padovano che proviene dal business dei rifiuti. Sebbene non compaia mai nella visura camerale, viene considerato dagli inquirenti di Venezia “amministratore di fatto” delle cooperative
    - Nel 2016, Ecofficina-Edeco si aggiudica due centri di accoglienza, a Cona e Bagnoli. Per la gestione dei due hub, sono nati due processi paralleli a Padova e Venezia, dove sono indagati alcuni funzionari delle due prefetture e i vertici della cooperativa, tra cui Simone Borile. Le accuse, a vario titolo, sono di frode nell’esecuzione del contratto, inadempimento e frode degli obblighi contrattuali, rivelazioni di segreto d’ufficio
    - Con la liquidazione di Edeco nasce Ekene, che segna l’ingresso nel mondo della detenzione amministrativa con l’aggiudicazione dei Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, e Macomer, in Sardegna
    – Dalla sua riapertura nel gennaio 2019, nel Cpr friulano sono morte quattro persone. Borile è indagato per omidicio colposo per il decesso di Vakhtang Enukidze, lasciato secondo l’accusa per nove ore senza soccorsi
    – Nell’ottobre 2022, la cooperativa veneta ha vinto la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Dopo sette mesi la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici

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    A seguito della morte di Enukidze, la procura di Gorizia ha cominciato a indagare. L’autopsia sul deceduto ha stabilito come causa della morte un edema polmonare e cerebrale dovuto non a un pestaggio, ma a un cocktail di farmaci e stupefacenti. Così a essere riviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo sono stati il direttore del centro, Simone Borile, e il centralinista che era di turno quel giorno. La cooperativa che ha in gestione il Cpr si chiama Ekene. È nata dalle ceneri di Ecofficina ed Edeco, conosciute in Veneto come “coop pigliatutto”, per aver dominato per anni la gestione dell’accoglienza in tutta la regione.

    Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Enukidze è stato lasciato senza soccorso per diverse ore, nonostante le richieste di aiuto degli altri trattenuti, prima di essere trasferito in ospedale, dove è morto alle 15:37. La sorella, Asmat, ricorda l’ultima telefonata in cui percepiva una voce diversa: «Sembrava che avesse bevuto. Aveva dei dolori e gli avevano dato qualcosa per calmarlo, un antidolorifico. Stava talmente male che non riusciva nemmeno ad andare all’udienza. Mi diceva di contattare l’ambasciata georgiana, per farlo uscire dal Cpr», racconta. Simone Borile, raggiunto al telefono da IrpiMedia, ha una versione diversa dei fatti: «È stato soccorso immediatamente, appena c’è stata la chiamata», il problema «riguarda il mancato funzionamento del sistema di chiamata. Niente a che vedere con il mancato soccorso».
    L’ascesa di Ecofficina tra le coop dell’accoglienza

    Borile ha cominciato a lavorare con i migranti dai tempi di Ecofficina Educational, cooperativa con sede a Battaglia Terme, in provincia di Padova, fondata il 2 agosto 2011. Il direttore del Cpr di Gradisca non appare nella visura camerale in quanto sarebbe stato un semplice consulente esterno. Gli inquirenti di Venezia e Padova che indagheranno sulla società, sosterranno tuttavia che sia lo stesso Borile l’amministratore di fatto delle “coop pigliatutto”.

    I legami tra Borile e i vertici di Ecofficina sono però evidenti: vicepresidente della cooperativa è la moglie Sara Felpati mentre il presidente del consiglio di amministrazione è Gaetano Battocchio, coinvolto con lui nel processo per bancarotta della società di gestione dei rifiuti della Bassa Padovana, Padova Tre srl, ma poi assolto, al contrario di Borile che a marzo 2023 è stato uno dei due condannati in primo grado a quattro anni e otto mesi per peculato perché avrebbe trattenuto illegalmente un importo di oltre tre milioni di euro.

    È nel dicembre 2014 che per la prima volta il nome di Ecofficina viene accostato a un caso di frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti sugli ospiti. Il processo che ne è scaturito si chiuderà otto anni e mezzo dopo, il 12 luglio 2023, con l’assoluzione dei vertici della cooperativa perché il fatto non sussiste.

    Durante gli anni passati a processo, Ecofficina Educational – che nel 2015 ha ceduto parte dell’azienda a un’altra cooperativa, Ecofficina Servizi – si aggiudica diversi appalti per l’accoglienza migranti in particolare nella provincia di Padova, con un monopolio che comprende l’ex Caserma Prandina di Padova, l’Hotel Maxim’s a Montagnana, lo Sprar del comune di Due Carrare e l’accoglienza di più di 700 migranti nelle province di Venezia, Vicenza e Rovigo.

    Nel caso dello Sprar di Due Carrare, uno dei requisiti fondamentali per partecipare era aver svolto in modo continuativo, e per almeno due anni, l’attività di accoglienza. A gennaio 2016, la cooperativa ha depositato una dichiarazione attestante una convenzione con la Prefettura di Padova che provava l’inizio dell’attività il 6 gennaio 2014, nonostante Ecofficina fosse entrata nel settore solo nel maggio dello stesso anno. Grazie alla documentazione falsa, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Padova, Ecofficina avrebbe ottenuto l’aggiudicazione provvisoria delle gare per la gestione di centri di accoglienza. Il processo che è scaturito dall’indagine è ancora in corso, riporta il Mattino di Padova. IrpiMedia non ha ricevuto alcuna risposta a domande di chiarimento rivolte via email alla cooperativa su questo e su altri temi.

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    Cpa, Cas, Sai: le sigle dell’accoglienza

    In Italia il sistema di accoglienza dovrebbe svilupparsi su due binari: a un primo livello ci sono i Centri di prima accoglienza (Cpa) e gli hotspot, e a un secondo il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), strutture gestite dagli enti locali su base volontaria, che dovrebbero rappresentare il sistema ordinario. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), invece, dovrebbero essere individuati e istituiti dalle prefetture nel caso in cui i posti negli altri centri fossero esauriti. La maggior parte delle persone che arrivano sul territorio però sono accolte nei Cas, sintomo di una gestione perennemente emergenziale del fenomeno. In base ai dati del rapporto di Actionaid Centri d’Italia del 2022, i posti nei Cas, dove è ospitato oltre il 65% delle persone, e nei Cpa sono infatti quasi 63 mila, a fronte dei 34 mila posti del Sai.

    I centri di prima accoglienza e gli hotspot sono invece strutture nate per identificare, fotosegnalare e assistere dal punto di vista sanitario le persone appena arrivate in Italia. Dovrebbero fornire anche le prime informazioni legali per la richiesta di protezione internazionale.

    Nel Sai – prima conosciuto come Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e prima ancora come Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) – i servizi assicurati sono solitamente superiori rispetto agli altri centri e mirano ad accompagnare le persone accolte nei loro percorsi di vita e di autonomia: oltre al vitto e all’alloggio, sono infatti assicurate assistenza legale, mediazione linguistica, orientamento lavorativo, insegnamento della lingua italiana, assistenza psicosociale.

    A parte alcune categorie di soggetti, come i minori stranieri non accompagnati, il decreto firmato il 10 marzo 2023 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha escluso i richiedenti asilo dalla possibilità di essere accolti nel sistema ordinario, riservando loro i pochi servizi di base garantiti dal Cas, ulteriormente ridotti: l’assistenza materiale, sanitaria e linguistica, vitto e alloggio, eliminando i servizi di assistenza psicologica, i corsi di italiano e l’orientamento legale.

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    Gli anni di Edeco

    Dopo le vicende di Ecofficina, la cooperativa cambia nome. Spunta dunque un nuovo attore nel mercato dell’accoglienza in Veneto: Edeco. I vertici però rimangono invariati. La cooperativa inizia a partecipare ai bandi per la gestione dell’accoglienza a partire dal 2016, quando il suo organigramma si arricchisce di nuove figure. Tra queste, Annalisa Carraro, che con Battocchio, Felpati e Borile sarà imputata nel processo di Venezia. Quell’anno in Italia il numero dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) cresce di quasi il doppio rispetto all’anno precedente, con 137 mila strutture dove si concentra il 78% dei richiedenti asilo. In particolare, in Veneto questa tendenza si affianca alla resistenza degli amministratori locali verso il sistema di accoglienza diffusa rappresentato dagli Sprar (oggi Sai).

    È in questo contesto che nascono centri come la tendopoli nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, gestita provvisoriamente da Ecofficina fino al luglio del 2016. Quel mese sarà proprio Edeco, in un raggruppamento temporaneo d’imprese con Ecos e Food Service, ad aggiudicarsi il nuovo appalto.

    Le denunce sulle condizioni interne emergono già dal giugno dello stesso anno, quando alcune associazioni effettuano una visita al centro evidenziando il sovraffollamento e la carenza dei servizi essenziali. Le proteste successive dei richiedenti asilo spingono il presidente della Confcooperative del Veneto, Ugo Campagnaro, a prendere la decisione di sospendere Ecofficina-Edeco con queste motivazioni: «Non esiste una legge che impedisca di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza […]. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business».

    I problemi diventano evidenti quando a gennaio 2017 Sandrine Bakayoko, 25enne ivoriana ospite del centro di Cona, muore per trombosi polmonare. Questo episodio porterà ad alcuni lavori di ristrutturazione e alla riduzione degli ospiti da 1.600 a 1.000, misure comunque non sufficienti a evitare la protesta dei richiedenti asilo, che a novembre si mettono in marcia verso Venezia per ottenere un incontro con il prefetto di Venezia, che alla fine deciderà di spostarli in altre strutture, scrive Internazionale.

    Due anni più tardi la Procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per i vertici di Ecofficina-Edeco. Borile, sempre “amministratore di fatto” a quanto afferma l’accusa, e i suoi colleghi avrebbero impiegato un numero di operatori inferiore agli obblighi contrattuali, un’inadempienza che sarebbe stata coperta dai trasferimenti di personale dall’altro grande centro gestito dalla cooperativa, quello di Bagnoli, in provincia di Padova, e dalla falsificazione dei documenti, che avrebbero fatto apparire un numero di operatori superiore. Inoltre, l’impiego di medici e infermieri con turni e orari inferiori rispetto a quanto previsto dal capitolato d’appalto avrebbe procurato un ingiusto profitto di oltre 200 mila euro. Tutto questo sarebbe stato possibile anche grazie alle informazioni fornite dalla Prefettura. Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni contenute nelle carte processuali, ex prefetti e funzionari avrebbero preannunciato e in alcuni casi concordato con i responsabili della cooperativa l’orario e la data delle visite ispettive. Una prassi che avrebbe permesso a Ecofficina-Edeco di organizzarsi in anticipo per coprire eventuali falle.

    Per questo motivo, la giudice per le indagini preliminari ha accolto le richieste di rinvio a giudizio, tra gli altri, anche nei confronti dell’ex prefetto pro tempore di Venezia Domenico Cuttaia e dell’allora vice prefetto vicario Vito Cusumano per rivelazione di segreto d’ufficio.

    Raggiunto al telefono, Simone Borile ha commentato in questo modo: «Non si trattava di ispezioni, ma esclusivamente di una visita di cortesia». Il processo è ancora in primo grado, in fase dibattimentale: nell’ultima udienza, un’ex operatrice ha raccontato che era il personale a firmare il foglio presenze per conto dei richiedenti asilo, in modo da poter ricevere dalla Prefettura la quota diaria per ogni persona accolta, riporta Il Gazzettino.

    Un processo molto simile si sta svolgendo a Padova sulla gestione del Cas di Bagnoli. Tra gli imputati ci sono ancora una volta Sara Felpati, Simone Borile, Gaetano Battocchio, oltre all’ex viceprefetto Pasquale Aversa, il vicario Alessandro Sallusto e una funzionaria della Prefettura. Le accuse a vario titolo sono di turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Secondo l’accusa, grazie ai contatti con la Prefettura, Borile, Battocchio e Felpati avrebbero ottenuto informazioni sui concorrenti, partecipando a un bando su misura per Edeco. Anche in questo caso viene contestata la presenza di personale in numero inferiore rispetto al capitolato d’appalto e le chiamate di preavviso della Prefettura prima di alcune ispezioni per permettere alla cooperativa di farsi trovare in regola.
    I danni delle indagini

    Le indagini finiscono per danneggiare la “coop pigliatutto” che alla fine del 2018, anno di chiusura delle strutture di Cona e Bagnoli, avvia una procedura di licenziamento collettivo per 57 lavoratori, a cui se ne aggiungono 71 in scadenza di contratto. Si tratta di addetti alle pulizie e custodia, operai, insegnanti, tecnici, psicologi, educatori che riducono sensibilmente la rosa di Edeco, composta fino ad allora da 228 dipendenti. Nel 2020, Edeco inizia il processo di liquidazione, ma comincia a prendere nuova forma, sempre con lo stesso sistema: la creazione di nuove cooperative.

    Questa volta sono due le cooperative che prendono il testimone di Edeco, segnando l’ingresso nel mondo del trattenimento dei cittadini stranieri: Ekene e Tuendelee. La prima è dedicata quasi esclusivamente alla gestione dei Cpr, la seconda all’attività principale di «pulizia generale (non specializzata) di edifici», oltre a servizi educativi e socio-sanitari come le «attività di prima accoglienza per cittadini stranieri».

    Simone Borile, che di nuovo non compare nelle visure camerali, ha giustificato così a La Nuova Venezia la necessità di creare nuovi soggetti: «Era impossibile continuare a lavorare a causa del danno reputazionale che abbiamo subito». Le stesse persone coinvolte nei processi di Padova e Venezia sono presenti anche nei nuovi organigrammi, come Sara Felpati, prima presidente del Cda di Ekene, ruolo passato poi alla sorella Chiara, e Annalisa Carraro, ex consigliera di Edeco, che oggi ricopre il ruolo di vicepresidente di Ekene e di consigliera in Tuendelee.

    Le controversie del passato non hanno quindi impedito l’aggiudicazione di nuove strutture: nell’agosto del 2019 Edeco ottiene in gestione il Cpr di Gradisca d’Isonzo, poi ceduto due anni dopo a Ekene, e nel dicembre 2021 quello di Macomer. In Friuli, la cooperativa si aggiudica una gara da quasi cinque milioni di euro, grazie al ribasso dell’11,9% rispetto alla base d’asta, dopo l’esclusione delle prime quattro società in graduatoria. Ekene a marzo 2023 vince anche un ricorso al Tar per ottenere la gestione di un centro di accoglienza a Oderzo, nel trevigiano, nell’ex caserma Zanusso.

    Ekene ha poi preso in gestione il Cpr di Macomer dopo l’aggiudicazione della gara del 2021. In una visita, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha riportato criticità simili a quelle emerse nella struttura friulana, come la violazione del diritto alla salute, all’informazione normativa e alla corrispondenza, poiché «neanche i difensori possono contattare i loro assistiti in caso di comunicazioni urgenti se non attraverso il filtro del gestore», si legge nel rapporto. Inoltre, secondo Asgi la visita medica è spesso assente o viene fatta in modo superficiale.

    La cooperativa veneta ha poi vinto, nell’ottobre 2022, la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Ma dopo sette mesi, a maggio 2023, la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici: nel decreto di esclusione si riconosce esplicitamente Ekene come diretta emanazione di Edeco. Ricordando i gravi reati contestati nei procedimenti penali in corso, la Prefettura afferma di non poter «valutare favorevolmente l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico». Considerazioni diverse rispetto a quelle della Prefettura di Gorizia, che ha permesso a Simone Borile di mantenere il ruolo di direttore del centro di Gradisca d’Isonzo.

    L’imputazione di Borile per omicidio colposo, secondo i verbali della nuova gara indetta dalla Prefettura di Gorizia per la gestione del Cpr, «può avere rilievo solo al fine di considerare l’affidabilità dell’operatore economico sotto la cui gestione è occorso l’evento morte», dato che Borile non ricopre alcun incarico formale in Ekene. Nella stessa gara, la cooperativa Badia Grande è stata esclusa per il rinvio a giudizio del rappresentante legale per diversi reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture per la gestione dei Cpr di Trapani e Bari. Dai verbali della prefettura disponibili in rete risulta che la posizione della cooperativa veneta sia ancora in fase di valutazione.
    Morire di Cpr a Gradisca d’Isonzo

    Dalla riapertura del 2019 ad oggi sono morti quattro trattenuti al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Dopo Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni, è morto per overdose da metadone quattro giorni dopo essere entrato nel centro, il 10 luglio 2020, in una cella di isolamento, dove si trovava con altre cinque persone per il periodo di quarantena. Andrea Guadagnini, avvocato di Turia, ha scoperto della sua morte proprio in sede di convalida del trattenimento ed esprime perplessità sulla provenienza di quella sostanza. Altre due persone si sono poi tolte la vita nella struttura: Anani Ezzedine era un cittadino tunisino di 44 anni. Anche lui in isolamento per il periodo di quarantena, si è suicidato nella sua cella nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2021. Arshad Jahangir, un ragazzo 28enne di origine pakistana, si è suicidato il 31 agosto 2022 in camera un’ora dopo essere entrato nel Cpr.

    «È chiaro che per noi i Cpr debbano essere chiusi, ma nel frattempo volevamo instaurare delle prassi virtuose per agevolare la tutela dei diritti dei detenuti», afferma Eva Vigato, che insieme ad altre due colleghe, tra dicembre 2019 e novembre 2020 ha svolto il servizio di assistenza legale per l’ente gestore. Sostiene che anche per lei fosse molto difficile intervenire: i diritti dei trattenuti nei Cpr non sono delineati da una legge, ma da un semplice regolamento ministeriale, di cui non possono essere contestate le violazioni.

    https://www.youtube.com/watch?v=xq-OrG9-V7c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    «Sono successe delle cose che ci hanno sconvolto», ricorda l’avvocata Vigato. Dopo la morte di Vakhtang Enukidze, Vigato e le sue colleghe hanno assistito a un’altra serie di irregolarità: «Abbiamo deciso di tener duro e ci siamo date come limite la Convenzione di Ginevra – spiega -. Di fronte a una violazione del trattato internazionale avremmo sporto denuncia».

    L’occasione si è presentata a novembre 2020: le legali si sono rese conto che dal Cpr transitavano cittadini tunisini senza che venisse registrato il loro ingresso nel sistema e senza che riuscissero a incontrarli e a informarli dei loro diritti, tra cui la richiesta di asilo, tutelata proprio dalla Convenzione di Ginevra. Le avvocate avevano dunque incaricato formalmente i mediatori di informare i trattenuti della possibilità di chiedere protezione internazionale e di metterlo per iscritto. In risposta, l’ente gestore ha deciso di diminuire le ore di ufficio legale, portando l’avvocata a inviare una segnalazione per denunciare la violazione della Convenzione di Ginevra alla Prefettura e al Garante nazionale. Ha risposto «il prefetto in persona – racconta Vigato – dicendo che non c’era nulla di irregolare ravvisabile nell’operato. Mi domando come abbia fatto, in così pochi giorni e senza un serio controllo, ad affermare una cosa del genere». La sera stessa Edeco ha rimosso Vigato e le sue colleghe dall’incarico.

    Nella segnalazione inviata alle autorità, Vigato ha evidenziato la violazione di molteplici diritti, tra cui quello alla salute e all’assistenza legale. Sostiene ci fosse un abuso di medicine nella struttura: «A un certo punto ci siamo rese conto che non c’era un controllo reale sui farmaci e potevano essere utilizzati anche in modo improprio dai detenuti». Le legali spesso non riuscivano ad accedere alle informazioni sanitarie e, in alcuni casi, non veniva caricato il resoconto delle visite, soprattutto quelle psicologiche. «L’impressione che è uscita sia dal processo Edeco sia dalla mia esperienza nel Cpr – conclude Vigato – è che ci sia una sorta di soluzione di comodo tra l’ente gestore e l’istituzione, per cui va bene così».

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    La storia di Anthony

    Bibudi Anthony Nzuzi è nato in Libano, da genitori congolesi, nel 1983, in piena guerra civile. «Era la fase del bombardamento massiccio», racconta, ma dopo cinque anni «la situazione era diventata veramente insostenibile». Per questa ragione, sua madre ha deciso di mandare i figli fuori dal Paese: due dei tre fratelli più grandi sono emigrati in Congo Brazzaville, ma lui, il più piccolo, è rimasto con lei. Poi sono fuggiti insieme in Siria e, visto che il conflitto si stava avvicinando, in Turchia, ad Ankara e a Istanbul.

    Infine, hanno deciso di venire in Italia per ricongiungersi con il fratello maggiore, che si trovava nel Paese da diversi anni. «Nel 1998 mia madre, dopo anni di duro lavoro, è riuscita a riunire tutta la famiglia qui a Jesi, nelle Marche», dice Anthony, che ha poi studiato come perito elettrotecnico, mentre uno dei fratelli ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia nella disciplina delle arti marziali.

    Anthony vive quindi in Italia da quasi trent’anni e ha conosciuto il mondo dei Cpr «per un errore», racconta: «Vivevo a Modena e mi sono fidato di una persona, sbagliando. Mi sono trovato a dover scontare una pena di 11 mesi e 29 giorni in carcere». Mentre era recluso gli è scaduto il permesso di soggiorno senza, sostiene, che gli fosse data la possibilità di rinnovarlo. «A luglio mi è arrivato il foglio di via e il 10 ottobre a mezzanotte sono venuti a prendermi in cella, mi hanno fatto preparare tutte le mie cose perché dovevano espatriarmi in Congo». Ma dopo essere stato trasferito a Fiumicino alle quattro di mattina e alcune ore di attesa, il volo non è partito ed è stato riportato in cella.

    Uscito dal carcere, dopo uno sconto di pena per buona condotta, ha potuto passare un giorno con la famiglia per poi essere recluso in un Cpr. «Era l’unico modo per me per rimanere in Italia – racconta con commozione – non è facile, ma sono riuscito ad andare avanti». È stato portato al Cpr di Bari, ma per la sua avvocata, che esercita nelle Marche, era diventato difficile seguirlo.

    Dopo pochi giorni le condizioni nel centro pugliese erano già critiche: cibo ammuffito, carenze igieniche e, secondo Anthony, negli altri moduli la situazione era anche peggiore. Per questo sono iniziate rivolte interne che hanno reso inagibile la struttura, andata a fuoco. «La mattina dell’incendio ci siamo ritrovati caricati su dei pullman e portati a Gorizia – dice – di punto in bianco».

    Anthony considera il carcere molto meglio del Cpr: «Hai una vita dignitosa, per quanto è possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano». E aggiunge: «Se arrivo a dire una cosa del genere significa che stavo meglio in carcere per davvero. I primi giorni a Gradisca abbiamo patito il freddo, il cibo arrivava gelato e crudo. Non è stato per niente facile».

    Grazie all’assistenza legale della sua avvocata è riuscito a uscire, ma se fosse stato rimpatriato nel Paese di origine dei suoi genitori, dove lui non è mai stato, avrebbe dovuto arrangiarsi senza soldi: «Non mi hanno dato un euro quando sono arrivato in aeroporto», spiega. Anthony rischiava di essere rimpatriato in Congo, dove ha alcuni parenti, «ma non so neanche dove siano, come si chiamino o come contattarli». E, oltre ad avere sempre avuto i documenti in regola, già prima di entrare nel Cpr, aveva un figlio di nazionalità italiana.

    «Metà delle persone che trovi nel Cpr – conclude Anthony – hanno semplicemente voglia di trovare un futuro. Magari c’è chi vorrebbe veramente lavorare, ma non ha possibilità perché lo trattano come un cane. Dagli la possibilità di dimostrarti che può rimanere nel tuo Paese. Non ne vuole tante, gliene basta una».

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    ici aussi : https://seenthis.net/messages/1016060

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  • Coop ou pas coop de trouver une alternative à la grande distribution ?

    Un #magasin sans client, sans salarié, sans marge, sans contrôle, sans espace de pouvoir où la confiance règne vous y croyez ? Difficile, tant le modèle et les valeurs de la grande distribution, et plus largement capitalistes et bourgeoises ont façonnés nos habitus. Néanmoins, parmi nous certains cherchent l’alternative : supermarchés coopératifs, collaboratifs, épiceries participatives, citoyennes, etc. Des alternatives qui pourtant reprennent nombre des promesses de la grande distribution et de ses valeurs. Les épiceries “autogérées”, “libres” ou encore en “gestion directe” tranchent dans ce paysage. Lieux d’apprentissage de nouvelles habitudes, de remise en cause frontale du pouvoir pyramidal et pseudo-horizontal. Ce modèle sera évidemment à dépasser après la révolution, mais d’ici-là il fait figure de favori pour une #émancipation collective et individuelle.

    Le supermarché : une #utopie_capitaliste désirable pour les tenants de la croyance au mérite

    Le supermarché est le modèle hégémonique de #distribution_alimentaire. #Modèle apparu seulement en 1961 en région parisienne il s’est imposé en quelques décennies en colonisant nos vies, nos corps, nos désirs et nos paysages. Cette utopie capitaliste est devenue réalité à coup de #propagande mais également d’adhésion résonnant toujours avec les promesses de l’époque : travaille, obéis, consomme ; triptyque infernal où le 3e pilier permet l’acceptation voire l’adhésion aux deux autres à la mesure du mérite individuel fantasmé.

    Malgré le succès et l’hégémonie de ce modèle, il a parallèlement toujours suscité du rejet : son ambiance aseptisée et criarde, industrielle et déshumanisante, la relation de prédation sur les fournisseurs et les délocalisations qui en découlent, sa privatisation par les bourgeois, la volonté de manipuler pour faire acheter plus ou plus différenciant et cher, le greenwashing (le fait de servir de l’écologie de manière opportuniste pour des raisons commerciales), etc., tout ceci alimente les critiques et le rejet chez une frange de la population pour qui la recherche d’alternative devient motrice.

    C’est donc contre ce modèle que se (re)créent des #alternatives se réclamant d’une démarche plus démocratique, plus inclusive, ou de réappropriation par le citoyen… Or, ces alternatives se réalisent en partant du #modèle_dominant, jouent sur son terrain selon ses règles et finalement tendent à reproduire souvent coûte que coûte, parfois inconsciemment, les promesses et les côtés désirables du supermarché.
    Comme le dit Alain Accardo dans De Notre Servitude Involontaire “ce qu’il faut se résoudre à remettre en question – et c’est sans doute la pire difficulté dans la lutte contre le système capitaliste -, c’est l’#art_de_vivre qu’il a rendu possible et désirable aux yeux du plus grand nombre.”
    Le supermarché “coopératif”, l’épicerie participative : des pseudo alternatives au discours trompeur

    Un supermarché dit “coopératif” est… un supermarché ! Le projet est de reproduire la promesse mais en supprimant la part dévolue habituellement aux bourgeois : l’appellation “coopératif” fait référence à la structure juridique où les #salariés ont le #pouvoir et ne reversent pas de dividende à des actionnaires. Mais les salariés ont tendance à se comporter collectivement comme un bourgeois propriétaire d’un “moyen de production” et le recrutement est souvent affinitaire : un bourgeois à plusieurs. La valeur captée sur le #travail_bénévole est redistribuée essentiellement à quelques salariés. Dans ce type de supermarché, les consommateurs doivent être sociétaires et “donner” du temps pour faire tourner la boutique, en plus du travail salarié qui y a lieu. Cette “#coopération” ou “#participation” ou “#collaboration” c’est 3h de travail obligatoire tous les mois sous peine de sanctions (contrôles à l’entrée du magasin pour éventuellement vous en interdire l’accès). Ces heures obligatoires sont cyniquement là pour créer un attachement des #bénévoles au supermarché, comme l’explique aux futurs lanceurs de projet le fondateur de Park Slope Food le supermarché New-Yorkais qui a inspiré tous les autres. Dans le documentaire FoodCoop réalisé par le fondateur de la Louve pour promouvoir ce modèle :”Si vous demandez à quelqu’un l’une des choses les plus précieuses de sa vie, c’est-à-dire un peu de son temps sur terre (…), la connexion est établie.”

    L’autre spécificité de ce modèle est l’#assemblée_générale annuelle pour la #démocratie, guère mobilisatrice et non propice à la délibération collective. Pour information, La Louve en 2021 obtient, par voie électronique 449 participations à son AG pour plus de 4000 membres, soit 11%. Presque trois fois moins avant la mise en place de cette solution, en 2019 : 188 présents et représentés soit 4,7%. À Scopeli l’AG se tiendra en 2022 avec 208 sur 2600 membres, soit 8% et enfin à la Cagette sur 3200 membres actifs il y aura 143 présents et 119 représentés soit 8,2%

    Pour le reste, vous ne serez pas dépaysés, votre parcours ressemblera à celui dans un supermarché traditionnel. Bien loin des promesses de solidarité, de convivialité, de résistance qui n’ont su aboutir. Les militants voient de plus en plus clairement les impasses de ce modèle mais il fleurit néanmoins dans de nouvelles grandes villes, souvent récupéré comme plan de carrière par des entrepreneurs de l’#ESS qui y voient l’occasion de se créer un poste à terme ou de développer un business model autour de la vente de logiciel de gestion d’épicerie en utilisant ce souhait de milliers de gens de trouver une alternative à la grande distribution.

    #La_Louve, le premier supermarché de ce genre, a ouvert à Paris en 2016. Plus de 4000 membres, pour plus d’1,5 million d’euros d’investissement au départ, 3 années de lancement et 7,7 millions de chiffre d’affaires en 2021. À la création il revendiquait des produits moins chers, de fonctionner ensemble autrement, ne pas verser de dividende et de choisir ses produits. Cette dernière est toujours mise en avant sur la page d’accueil de leur site web : “Nous n’étions pas satisfaits de l’offre alimentaire qui nous était proposée, alors nous avons décidé de créer notre propre supermarché.” L’ambition est faible et le bilan moins flatteur encore : vous retrouverez la plupart des produits présents dans les grandes enseignes (loin derrière la spécificité d’une Biocoop, c’est pour dire…), à des #prix toujours relativement élevés (application d’un taux de 20% de marge).

    À plus petite échelle existent les épiceries “participatives”. La filiation avec le #supermarché_collaboratif est directe, avec d’une cinquantaine à quelques centaines de personnes. Elles ne peuvent généralement pas soutenir de #salariat et amènent des relations moins impersonnelles grâce à leur taille “plus humaine”. Pour autant, certaines épiceries sont des tremplins vers le modèle de supermarché et de création d’emploi pour les initiateurs. Il en existe donc avec salariés. Les marges, selon la motivation à la croissance varient entre 0 et 30%.

    #MonEpi, startup et marque leader sur un segment de marché qu’ils s’efforcent de créer, souhaite faire tourner son “modèle économique” en margeant sur les producteurs (marges arrières de 3% sur les producteurs qui font annuellement plus de 10 000 euros via la plateforme). Ce modèle très conforme aux idées du moment est largement subventionné et soutenu par des collectivités rurales ou d’autres acteurs de l’ESS et de la start-up nation comme Bouge ton Coq qui propose de partager vos données avec Airbnb lorsque vous souhaitez en savoir plus sur les épiceries, surfant sur la “transition” ou la “résilience”.

    Pour attirer le citoyen dynamique, on utilise un discours confus voire trompeur. Le fondateur de MonEpi vante volontiers un modèle “autogéré”, sans #hiérarchie, sans chef : “On a enlevé le pouvoir et le profit” . L’informatique serait, en plus d’être incontournable (“pour faire ce que l’on ne saurait pas faire autrement”), salvatrice car elle réduit les espaces de pouvoir en prenant les décisions complexes à la place des humains. Pourtant cette gestion informatisée met toutes les fonctions dans les mains de quelques sachant, le tout centralisé par la SAS MonEpi. De surcroit, ces épiceries se dotent généralement (et sont incitées à le faire via les modèles de statut fournis par MonEpi) d’une #organisation pyramidale où le simple membre “participe” obligatoirement à 2-3h de travail par mois tandis que la plupart des décisions sont prises par un bureau ou autre “comité de pilotage”, secondé par des commissions permanentes sur des sujets précis (hygiène, choix des produits, accès au local, etc.). Dans certains collectifs, le fait de participer à ces prises de décision dispense du travail obligatoire d’intendance qui incombe aux simples membres…

    Pour finir, nous pouvons nous demander si ces initiatives ne produisent pas des effets plus insidieux encore, comme la possibilité pour la sous-bourgeoisie qui se pense de gauche de se différencier à bon compte : un lieu d’entre-soi privilégié où on te vend, en plus de tes produits, de l’engagement citoyen bas de gamme, une sorte d’ubérisation de la BA citoyenne, où beaucoup semblent se satisfaire d’un énième avatar de la consom’action en se persuadant de lutter contre la grande distribution. De plus, bien que cela soit inconscient ou de bonne foi chez certains, nous observons dans les discours de nombre de ces initiatives ce que l’on pourrait appeler de l’#autogestion-washing, où les #inégalités_de_pouvoir sont masqués derrière des mots-clés et des slogans (Cf. “Le test de l’Autogestion” en fin d’article).

    L’enfer est souvent pavé de bonnes intentions. Et on pourrait s’en contenter et même y adhérer faute de mieux. Mais ne peut-on pas s’interroger sur les raisons de poursuivre dans des voies qui ont clairement démontré leurs limites alors même qu’un modèle semble apporter des réponses ?

    L’épicerie autogérée et autogouvernée / libre : une #utopie_libertaire qui a fait ses preuves

    Parfois nommé épicerie autogérée, #coopérative_alimentaire_autogérée, #épicerie_libre ou encore #épicerie_en_gestion_directe, ce modèle de #commun rompt nettement avec nombre des logiques décrites précédemment. Il est hélas largement invisibilisé par la communication des modèles sus-nommés et paradoxalement par son caractère incroyable au sens premier du terme : ça n’est pas croyable, ça remet en question trop de pratiques culturelles, il est difficile d’en tirer un bénéfice personnel, c’est trop beau pour être vrai…Car de loin, cela ressemble à une épicerie, il y a bien des produits en rayon mais ce n’est pas un commerce, c’est un commun basé sur l’#égalité et la #confiance. L’autogestion dont il est question ici se rapproche de sa définition : la suppression de toute distinction entre dirigeants et dirigés.

    Mais commençons par du concret ? À #Cocoricoop , épicerie autogérée à Villers-Cotterêts (02), toute personne qui le souhaite peut devenir membre, moyennant une participation libre aux frais annuels (en moyenne 45€ par foyer couvrant loyer, assurance, banque, électricité) et le pré-paiement de ses futures courses (le 1er versement est en général compris entre 50€ et 150€, montant qui est reporté au crédit d’une fiche individuelle de compte). À partir de là, chacun.e a accès aux clés, au local 24h/24 et 7 jours/7, à la trésorerie et peut passer commande seul ou à plusieurs. Les 120 foyers membres actuels peuvent venir faire leurs courses pendant et hors des permanences. Ces permanences sont tenues par d’autres membres, bénévolement, sans obligation. Sur place, des étagères de diverses formes et tailles, de récup ou construites sur place sont alignées contre les murs et plus ou moins généreusement remplies de produits. On y fait ses courses, pèse ses aliments si besoin puis on se dirige vers la caisse… Pour constater qu’il n’y en a pas. Il faut sortir une calculatrice et calculer soi-même le montant de ses courses. Puis, ouvrir le classeur contenant sa fiche personnelle de suivi et déduire ce montant de son solde (somme des pré-paiements moins somme des achats). Personne ne surveille par dessus son épaule, la confiance règne.

    Côté “courses”, c’est aussi simple que cela, mais on peut y ajouter tout un tas d’étapes, comme discuter, accueillir un nouveau membre, récupérer une débroussailleuse, participer à un atelier banderoles pour la prochaine manif (etc.). Qu’en est-il de l’organisation et l’approvisionnement ?

    Ce modèle de #commun dont la forme épicerie est le prétexte, cherche avant tout, à instituer fondamentalement et structurellement au sein d’un collectif les règles établissant une égalité politique réelle. Toutes les personnes ont le droit de décider et prendre toutes les initiatives qu’elles souhaitent. “#Chez_Louise” dans le Périgord (Les Salles-Lavauguyon, 87) ou encore à #Dionycoop (St-Denis, 93), comme dans toutes les épiceries libres, tout le monde peut, sans consultation ou délibération, décider d’une permanence, réorganiser le local, organiser une soirée, etc. Mieux encore, toute personne est de la même manière légitime pour passer commande au nom du collectif en engageant les fonds disponibles dans la trésorerie commune auprès de tout fournisseur ou distributeur de son choix. La trésorerie est constituée de la somme des dépôts de chaque membre. Les membres sont incités à laisser immobilisé sur leur fiche individuelle une partie de leurs dépôts. Au #Champ_Libre (Preuilly-Sur-Claise, 37), 85 membres disposent de dépôts moyens de 40-50€ permettant de remplir les étagères de 3500€ selon l’adage, “les dépôts font les stocks”. La personne qui passe la commande s’assure que les produits arrivent à bon port et peut faire appel pour cela au collectif.

    D’une manière générale, les décisions n’ont pas à être prises collectivement mais chacun.e peut solliciter des avis.

    Côté finances, à #Haricocoop (Soissons, 02), quelques règles de bonne gestion ont été instituées. Une #créditomancienne (personne qui lit dans les comptes bancaires) vérifie que le compte est toujours en positif et un “arroseur” paye les factures. La “crédito” n’a aucun droit de regard sur les prises de décision individuelle, elle peut seulement mettre en attente une commande si la trésorerie est insuffisante. Il n’y a pas de bon ou de mauvais arroseur : il voit une facture, il paye. Une autre personne enfin vérifie que chacun a payé une participation annuelle aux frais, sans juger du montant. Ces rôles et d’une manière générale, toute tâche, tournent, par tirage au sort, tous les ans afin d’éviter l’effet “fonction” et impliquer de nouvelles personnes.

    Tout repose donc sur les libres initiatives des membres, sans obligations : “ce qui sera fait sera fait, ce qui ne sera pas fait ne sera pas fait”. Ainsi, si des besoins apparaissent, toute personne peut se saisir de la chose et tenter d’y apporter une réponse. Le corolaire étant que si personne ne décide d’agir alors rien ne sera fait et les rayons pourraient être vides, le local fermé, les produits dans les cartons, (etc.). Il devient naturel d’accepter ces ‘manques’ s’il se produisent, comme conséquence de notre inaction collective et individuelle ou l’émanation de notre niveau d’exigence du moment.

    Toute personne peut décider et faire, mais… osera-t-elle ? L’épicerie libre ne cherche pas à proposer de beaux rayons, tous les produits, un maximum de membres et de chiffre d’affaires, contrairement à ce qui peut être mis en avant par d’autres initiatives. Certes cela peut se produire mais comme une simple conséquence, si la gestion directe et le commun sont bien institués ou que cela correspond au niveau d’exigence du groupe. C’est à l’aune du sentiment de #légitimité, que chacun s’empare du pouvoir de décider, de faire, d’expérimenter ou non, que se mesure selon nous, le succès d’une épicerie de ce type. La pierre angulaire de ces initiatives d’épiceries libres et autogouvernées repose sur la conscience et la volonté d’instituer un commun en le soulageant de tous les espaces de pouvoir que l’on rencontre habituellement, sans lequel l’émancipation s’avèrera mensongère ou élitiste. Une méfiance vis-à-vis de certains de nos réflexes culturels est de mise afin de “s’affranchir de deux fléaux également abominables : l’habitude d’obéir et le désir de commander.” (Manuel Gonzáles Prada) .

    L’autogestion, l’#autogouvernement, la gestion directe, est une pratique humaine qui a l’air utopique parce que marginalisée ou réprimée dans notre société : nous apprenons pendant toute notre vie à fonctionner de manière autoritaire, individualiste et capitaliste. Aussi, l’autogestion de l’épicerie ne pourra que bénéficier d’une vigilance de chaque instant de chacun et chacune et d’une modestie vis-à-vis de cette pratique collective et individuelle. Autrement, parce que les habitudes culturelles de domination/soumission reviennent au galop, le modèle risque de basculer vers l’épicerie participative par exemple. Il convient donc de se poser la question de “qu’est-ce qui en moi/nous a déjà été “acheté”, approprié par le système, et fait de moi/nous un complice qui s’ignore ?” ^9 (ACCARDO) et qui pourrait mettre à mal ce bien commun.

    S’affranchir de nos habitus capitalistes ne vient pas sans effort. Ce modèle-là ne fait pas mine de les ignorer, ni d’ignorer le pouvoir qu’ont les structures et les institutions pour conditionner nos comportements. C’est ainsi qu’il institue des “règles du jeu” particulières pour nous soutenir dans notre quête de #confiance_mutuelle et d’#égalité_politique. Elles se résument ainsi :

    Ce modèle d’épicerie libre diffère ainsi très largement des modèles que nous avons pu voir plus tôt. Là où la Louve cherche l’attachement via la contrainte, les épiceries autogérées cherchent l’#appropriation et l’émancipation par ses membres en leur donnant toutes les cartes. Nous soulignons ci-dessous quelques unes de ces différences majeures :

    Peut-on trouver une alternative vraiment anticapitaliste de distribution alimentaire ?

    Reste que quelque soit le modèle, il s’insère parfaitement dans la #société_de_consommation, parlementant avec les distributeurs et fournisseurs. Il ne remet pas en cause frontalement la logique de l’#économie_libérale qui a crée une séparation entre #consommateur et #producteur, qui donne une valeur comptable aux personnes et justifie les inégalités d’accès aux ressources sur l’échelle de la croyance au mérite. Il ne règle pas non plus par magie les oppressions systémiques.

    Ainsi, tout libertaire qu’il soit, ce modèle d’épicerie libre pourrait quand même n’être qu’un énième moyen de distinction sociale petit-bourgeois et ce, même si une épicerie de ce type a ouvert dans un des quartiers les plus défavorisés du département de l’Aisne (réservée aux personnes du quartier qui s’autogouvernent) et que ce modèle génère très peu de barrière à l’entrée (peu d’administratif, peu d’informatique,…).

    On pourrait aussi légitimement se poser la question de la priorité à créer ce type d’épicerie par rapport à toutes les choses militantes que l’on a besoin de mettre en place ou des luttes quotidiennes à mener. Mais nous avons besoin de lieux d’émancipation qui ne recréent pas sans cesse notre soumission aux logiques bourgeoises et à leurs intérêts et institutions. Une telle épicerie permet d’apprendre à mieux s’organiser collectivement en diminuant notre dépendance aux magasins capitalistes pour s’approvisionner (y compris sur le non alimentaire). C’est d’autant plus valable en période de grève puisqu’on a tendance à enrichir le supermarché à chaque barbecue ou pour approvisionner nos cantines et nos moyens de lutte.

    Au-delà de l’intérêt organisationnel, c’est un modèle de commun qui remet en question concrètement et quotidiennement les promesses et les croyances liées à la grande distribution. C’est très simple et très rapide à monter. Aucune raison de s’en priver d’ici la révolution !
    Le Test de l’Autogestion : un outil rapide et puissant pour tester les organisations qui s’en réclament

    À la manière du test de Bechdel qui permet en trois critères de mettre en lumière la sous-représentation des femmes et la sur-représentation des hommes dans des films, nous vous proposons un nouvel outil pour dénicher les embuscades tendues par l’autogestion-washing, en toute simplicité : “le test de l’Autogestion” :

    Les critères sont :

    - Pas d’AGs ;

    - Pas de salarié ;

    - Pas de gestion informatisée.

    Ces 3 critères ne sont pas respectés ? Le collectif ou l’organisme n’est pas autogéré.

    Il les coche tous ? C’est prometteur, vous tenez peut être là une initiative sans donneur d’ordre individuel ni collectif, humain comme machine ! Attention, le test de l’autogestion permet d’éliminer la plupart des faux prétendants au titre, mais il n’est pas une garantie à 100% d’un modèle autogéré, il faudra pousser l’analyse plus loin. Comme le test de Bechdel ne vous garantit pas un film respectant l’égalité femme-homme.

    Il faut parfois adapter les termes, peut être le collectif testé n’a pas d’Assemblée Générale mais est doté de Réunions de pilotage, n’a pas de salarié mais des services civiques, n’a pas de bureau mais des commissions/groupe de travail permanents, n’a pas de logiciel informatique de gestion mais les documents de gestion ne sont pas accessibles sur place ?
    Pour aller plus loin :

    Le collectif Cooplib fait un travail de documentation de ce modèle de commun et d’autogestion. Ses membres accompagnent de manière militante les personnes ou collectifs qui veulent se lancer (= gratuit).

    Sur Cooplib.fr, vous trouverez des informations et des documents plus détaillés :

    – La brochure Cocoricoop

    – Un modèle de Statuts associatif adapté à l’autogestion

    – La carte des épiceries autogérées

    – Le Référentiel (règles du jeu détaillées)

    – Le manuel d’autogestion appliqué aux épiceries est en cours d’édition et en précommande sur Hello Asso

    Ces outils sont adaptés à la situation particulière des épiceries mais ils sont transposables au moins en partie à la plupart de nos autres projets militants qui se voudraient vraiment autogérés (bar, librairie, laverie, cantine, camping,…). Pour des expérimentations plus techniques (ex : garage, ferme, festival,…), une montée en compétence des membres semble nécessaire.

    D’autres ressources :

    – Quelques capsules vidéos : http://fede-coop.org/faq-en-videos

    – “Les consommateurs ouvrent leur épiceries, quel modèle choisir pour votre ville ou votre village ?”, les éditions libertaires.

    https://www.frustrationmagazine.fr/coop-grande-distribution
    #alternative #grande_distribution #supermarchés #capitalisme #épiceries #auto-gestion #autogestion #gestion_directe #distribution_alimentaire

    sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/1014023

  • Longtemps tu as pensé que la cuisine libanaise était une des meilleures du monde. Et puis on t’a fait découvrir la vidéo Tiktok aux 11 millions de vues de « Dr Food ».
    https://www.tiktok.com/@drfood.worldwide/video/7184856715257449730?is_copy_url=1&is_from_webapp=v1&lang=fr

    (Après, pour être honnête, en dehors des lentilles de contact qui font les yeux bleu-électrique, il n’y a pas de trucs aussi choquant que ça dans les autres vidéos.)

  • Instagram : la foire aux vanités

    Deux milliards d’utilisateurs actifs chaque mois, 100 millions de vidéos et photos partagées quotidiennement : lancé à l’automne 2010, au cœur de la Silicon Valley, par Kevin Systrom et Mike Krieger, deux étudiants de l’université de Stanford, le réseau Instagram a connu une ascension fulgurante. Surfant sur le développement de la photographie sur mobile, l’application, initialement conçue pour retoucher (grâce à ses fameux filtres) et partager des clichés, attire rapidement des célébrités et attise la convoitise des géants du numérique. En 2012, Mark Zuckerberg, le patron de Facebook, qui flaire son potentiel commercial, la rachète pour la somme faramineuse de 1 milliard de dollars. La publicité y fait son apparition deux ans plus tard, favorisant l’explosion du marketing d’influence. Désormais, les marques se tournent vers les personnalités les plus suivies pour promouvoir leurs produits. Les stars aux millions d’abonnés, comme Cristiano Ronaldo ou Kim Kardashian, engrangent des revenus astronomiques, tandis qu’au bas de la hiérarchie, soumis à une concurrence impitoyable, les « nano-influenceurs » se contentent de contrats payés en nature ou d’avantages promotionnels. Transformé en gigantesque centre commercial, le réseau abreuve ses utilisateurs de visions modifiées de la réalité, entre corps jeunes et dénudés, spots touristiques aussitôt pris d’assaut et images esthétisées de nourriture, labellisées « food porn ». Conséquences : les opérations de chirurgie esthétique se multiplient chez les jeunes, enrichissant des praticiens peu scrupuleux, tandis que l’anxiété et la dépression progressent de façon inquiétante chez les adolescents, particulièrement perméables à ces idéaux standardisés.

    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/66132_0

    #film #documentaire #film_documentaire
    #réseaux_sociaux #Instagram #drogue #beauté #fanbook #Mark_Zuckerberg #esthétique #marketing_d'influence #influencer #foll-ow #mise_en_scène #fast_fashion #mode #corps #algorithme #nudité #misogynie #standardisation #dysmorphie #santé_mentale #chirurgie_esthétique #décès #food_porn #estime_de_soi #reconnaissance

  • #Frank, l’algoritmo anti-sciopero. La #Cgil porta in tribunale #Deliveroo

    La Cgil fa una causa a Deliveroo per discriminazione collettiva. Per il sindacato la multinazionale del «food delivery» usa l’algoritmo «Frank» per assegnare le consegne e penalizza persone che hanno malattie, esigenze di cura o chi esercita il diritto di sciopero.

    Il prossimo due gennaio davanti a un giudice del lavoro di Bologna potrebbe tenersi la prima causa contro gli effetti discriminatori sul diritto di sciopero, sullo stato di malattia legata a un handicap o a condizioni familiari come la maternità prodotti da «Frank», l’algoritmo usato da Deliveroo, la principale multinazionale della consegna di cibo in moto e in bici (#Food_delivery) in Europa. Il nome è stato preso dal protagonista della serie Tv It’s Always Sunny in Philadelphia interpretato dall’attore americano Danny DeVito. Il ricorso è stato presentato dagli avvocati Maria Bidetti, Carlo De Marchis e Sergio Vacirca per conto delle categorie della Cgil Filt, Filcams e Nidil. L’udienza potrebbe essere rinviata perché i tempi di convocazione sono stati troppo stretti. Ieri, in una nota, la filiale italiana della multinazionale diceva di non essere stata informata «né direttamente né indirettamente» del ricorso. In ogni caso, quando inizierà il procedimento, sarà una nuova occasione per approfondire il sistema del lavoro digitale a cottimo elaborato dalle piattaforme e, se sarà il caso, uno dei modi per introdurre i diritti sindacali all’autotutela dei ciclofattorini («riders») e il rispetto delle norme sui diritti fondamentali presenti anche in un recente provvedimento licenziato dal parlamento.

    NELLA RICOSTRUZIONE del funzionamento di «Frank» (algoritmo «cieco» che, in più «ignora la diversità», si legge) emerge un dato politico importante. Nell’«antefatto processuale e capitolato probatorio», in pratica un racconto sviluppato in 44 punti, si sostiene che a seguito delle lotte organizzate dai riders tra il 2017 e il 2018 per rivendicare i loro diritti Deliveroo ha adottato un sistema di organizzazione del lavoro basato sulla prenotazione delle fasce orarie per priorità e basate sulla classificazione del loro rendimento («ranking»). Nella stessa occasione, ricordano gli avvocati, Deliveroo decise anche «di aumentare del 100% il numero dei riders iscritti nella propria piattaforma». Il «ranking» è una classifica che serve a misurare la «reputazione» del rider in base a due criteri: l’affidabilità e la partecipazione. La prima è misurata in base a una scala 100/100, la seconda è espressa in una scala 12/12. Il periodo della «valutazione» riguarda due settimane nelle quali i rider ha effettuato un’attività. Secondo la Cgil, a seguito delle prime forme autonome di organizzazione dei lavoratori, «Frank» sarebbe stato programmato per imporre il rispetto della sessione di lavoro prenotata e la connessione entro 15 minuti dall’inizio della sessione di lavoro. «Di fatto, si penalizza l’adesione del rider a forme di autotutela». In più, aggiunge il sindacato, l’astensione dell’attività determina una penalizzazione che «incide sulle future possibilità di accesso al lavoro».

    PER LA CGIL «Frank» sanziona i riders con la perdita di punteggio nel sistema definito «ranking reputazionale». È stato programmato per penalizzare «tutte le forme lecite di astensione dal lavoro» perché «determina la retrocessione nella fascia di prenotazione» e «limita le occasioni di lavoro». In un lavoro basato sulla concorrenza tra riders sui tempi di consegna e nella definizione della migliore «performance» il «valore» del profilo reputazione è la «chiave» per accedere alla fascia oraria e alla zona della città dove ci sono più ordini e, dunque, maggiori occasioni di guadagno. Ad esempio, Napoli è divisa in due zone, si legge; Roma in 13, Bologna in 5, Milano in 19, Bergamo in tre. Le fasce orarie («slots» o turni di lavoro) sono divise in tre blocchi: i riders con raking migliore vanno alle 11, seguono le 15 e le 17. A conferma si riportano alcune espressioni dell’azienda: «Se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ricevere una notifica prima degli altri».

    Il sistema permette a chi ha un punteggio maggiore di scegliere fino a 50 sessioni di lavoro. Questo determina una diminuzione della scelta tra le sessioni disponibili per chi ha una valutazione inferiore. «Frank» «esaspera lo svolgimento della prestazione», impone «ritmi produttivi incompatibili con il diritto di sciopero», seleziona la forza lavoro «in una logica competitiva estranea alla disciplina antidiscriminatoria». Tra l’altro, il sindacato chiede di« inibire» il sistema di prenotazione per fasce di priorità fondato sul ranking.

    «I RIDER – ha risposto Deliveroo – non sono penalizzati se rifiutano le proposte di consegna. I nostri algoritmi sono creati dalle persone e l’algoritmo implementa delle regole che sono sviluppate dalle persone». Spiegazioni che non escludono la ricostruzione fornita dal sindacato e confermano il fatto che l’«apprendimento automatico» sul quale è fondato il suo «potere predittivo» (concetti ricorrenti sia sul sito dell’azienda che nelle dichiarazioni dell’a.d. Matteo Sarzana) apprende dalle persone, sia quando eseguono le performance e producono dati, sia quando protestano. In discussione è il modo in cui l’algoritmo è usato. La richiesta è di negoziarlo. «I rider sono lavoratori autonomi – ribadisce l’azienda – liberi di accettare o rifiutare una proposta di consegna».

    IL PROBLEMA è un altro: quando accettano la consegna devono eseguire un compito e sono eterodiretti da «Frank». Sono «dipendenti». È questo, al fondo, il conflitto del lavoro su queste piattaforme digitali.

    https://ilmanifesto.it/frank-lalgoritmo-anti-sciopero-la-cgil-porta-in-tribunale-deliveroo
    #travail #algorithme #discrimination #Italie #discrimination_collective #grève #justice #recours #maladie

    ping @etraces @albertocampiphoto

  • La mondialisation de l’alimentation préhistorique a duré trois millénaires
    Les paysans ont commencé à transformer les régimes alimentaires à travers le vieux monde il y a 7 000 ans.

    Depuis le début de l’archéologie, les chercheurs ont balayé le monde à la recherche de preuves des premières cultures domestiquées. En extrayant minutieusement des morceaux d’orge, de blé, de mil et de riz calcinés dans les restes de foyers et de feux de camp antiques, ils ont publié des études affirmant qu’une région ou un pays en particulier avait été l’un des premiers à cultiver des céréales anciennes.
    Xinyi Liu, professeur adjoint d’anthropologie des arts et des sciences, université de Washington à Saint-Louis

    À présent, une équipe internationale de scientifiques, dirigée par Xinyi Liu de l’Université de Washington à Saint-Louis, a consolidé les résultats de centaines d’études afin de dresser une carte détaillée de la manière dont les anciennes cultures céréalières se sont répandues dans des poches isolées. civilisations à travers le vieux monde.

    "Le fait même que la" mondialisation alimentaire "dans la Préhistoire a duré plus de trois mille ans indique peut-être que l’un des principaux moteurs du processus était les besoins perpétuels des pauvres plutôt que des choix culturels plus éphémères des puissants au néolithique et à l’âge du bronze », a déclaré Liu, professeur adjoint d’anthropologie des arts et des sciences.

    Paru dans la revue Quaternary Science Reviews, l’étude illustre le consensus scientifique actuel sur le processus de mondialisation de l’alimentation préhistorique qui a transformé les régimes alimentaires en Eurasie et en Afrique du Nord il y a 7 000 à 3 500 ans.

    Les co-auteurs incluent des chercheurs de l’Université de Cambridge au Royaume-Uni ; Université Zheijiang en Chine ; l’Institut lituanien d’histoire ; la Smithsonian Institution ; et l’Académie chinoise des sciences sociales à Beijing.

    L’étude suggère que la mondialisation alimentaire à l’époque de la préhistoire n’était pas motivée par les appétits exotiques des élites dirigeantes, mais par l’ingéniosité incessante de paysans pauvres qui recherchaient de nouveaux moyens de mettre un peu plus de nourriture sur leurs tables.

    "Les récents développements de la recherche déplacent l’attention de la chronologie et des voies vers les moteurs du processus de" mondialisation de l’alimentation "et prennent en compte le contexte dans lequel les innovations agricoles et alimentaires ont vu le jour et les agents impliqués", a déclaré Liu. "Ces études soulignent le rôle joué par les principaux agents de la production agricole, les agriculteurs ordinaires du passé."
    champ de millet
    Le mil, une base de l’alimentation ancienne, est toujours cultivé dans les contreforts des montagnes à travers l’Eurasie. (Photo : Xinyi Liu)

    En essayant de nouveaux types de semences, en labourant les champs un peu plus en amont ou en aval ou en décalant les temps de plantation et de récolte, les paysans ont utilisé une méthode empirique pour surmonter les défis climatiques et élargir les limites géographiques de la plantation de certains grains. . Progressivement, cette expérimentation a considérablement amélioré les rendements, car les agriculteurs ont appris à prolonger la saison de croissance en plantant des cultures de printemps et d’automne dans les mêmes champs.

    Alors que beaucoup de gens sont au courant de la propagation mondiale des cultures vivrières à la suite de l’exploration du Nouveau Monde - un processus connu sous le nom de Columbian Exchange - - Liu affirme que le processus de mondialisation alimentaire préhistorique a eu un impact tout aussi dramatique sur la culture vivrière dans le Vieux Monde.

    Le blé et l’orge se sont déplacés du sud-ouest de l’Asie vers l’Europe, l’Inde et la Chine, tandis que le mil et le mil ont pris la direction opposée : de la Chine à l’ouest. Rice a parcouru l’Asie de l’Est, du Sud et du Sud-Est ; Les mil et le sorgho africains ont traversé l’Afrique subsaharienne et l’océan Indien, a déclaré Liu.

    « Tandis que la plupart des aliments exotiques dont nous jouissons aujourd’hui sont le résultat de réseaux commerciaux modernes, le processus de mondialisation alimentaire a clairement ses racines dans la préhistoire », a déclaré Liu. « La mondialisation de l’alimentation était bien amorcée avant le Columbia Exchange et la révolution islamique agricole. Cela remonte à des millénaires, même la plus ancienne preuve matérielle d’un contact transeurasien, tel que la Route de la soie. »

    L’étude de Liu retrace les parcours de la ferme aux céréales de la ferme à la table, qui sillonnent les continents de l’Ancien Monde en trois vagues distinctes :

    Avant 5000 av. J.-C., les premières communautés agricoles se formèrent dans des poches isolées de contreforts fertiles et de bassins versants de ruisseaux où les conditions étaient optimales pour la culture de céréales sauvages originaires de la région. Les dispersions de cultures sont généralement limitées aux régions voisines largement compatibles en termes de climat et de saisonnalité.

    Entre 5000 et 2500 av. J.-C., les agriculteurs ont trouvé des moyens de faire pousser la culture de divers grains dans de vastes régions où des systèmes météorologiques compatibles avec les cultures étaient confinés à l’intérieur et séparés par des systèmes montagneux majeurs, tels que ceux associés au plateau tibétain et aux montagnes de Tianshan.

    Entre 2500 et 1500 avant JC, les paysans ont trouvé le moyen de dépasser les barrières naturelles et climatiques qui ont longtemps séparées l’est et l’ouest, le nord et le sud - maîtrisant la culture de céréales qui avaient évolué pour prospérer dans les altitudes extrêmes du plateau tibétain ou sous les pluies diluviennes des moussons asiatiques. Des systèmes agricoles précédemment isolés ont été mis en place, ouvrant la voie à un nouveau type d’agriculture dans laquelle les plantations de cultures locales et exotiques permettent des cultures multiples et des saisons de croissance prolongées.

    « L’ensemble du processus ne concerne pas seulement l’adoption, mais aussi le« rejet », qui reflète toute une gamme de choix faits par différentes communautés, parfois motivés par l’opportunité écologique dans des environnements inédits, parfois par un conservatisme culinaire », a déclaré Liu. "Comme le dit le vieil adage chinois : Ce qui a été longtemps uni, s’effondrera et ce qui a été longtemps divisé, finira par se réunir."


    https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0277379118307807?via%3Dihub

    Prehistoric food globalization spanned three millennia | The Source | Washington University in St. Louis
    https://source.wustl.edu/2019/02/prehistoric-food-globalization-spanned-three-millennia

    #Néolithique #diffusion_agriculture #Agriculture #8000BC
    #Anthropocene #Paleogeography #Global_Archaeobotany
    #Food_globalisation

    Xinyi Liu, Penelope J. Jones, Giedre Motuzaite Matuzeviciute, Harriet V. Hunt, Diane L. Lister, Ting An, Natalia Przelomska, Catherine J. Kneale, Zhijun Zhao, Martin K. Jones. From ecological opportunism to multi-cropping : Mapping food globalisation in prehistory. Quaternary Science Reviews, 2019 ; 206 : 21

    DOI : 10.1016/j.quascirev.2018.12.017

  • Boston City Council Passes Groundbreaking #Food_Justice Ordinance

    Food justice advocates heaped praise on Boston Monday after the city’s legislative body unanimously passed an ordinance that boosts the local economy and environment as well as workers, animal welfare, and healthful eating.

    “With this passage, Boston has loosened the stranglehold that corporations have over our food system, especially in schools,” said Alexa Kaczmarski, senior organizer at Corporate Accountability, following the vote on the Good Food Purchasing Program (GFPP).

    “This will have ripple effects throughout the entire nation,” she added.

    The GFPP, sponsored by Boston City Councilor At-Large Michelle Wu, affects public food purchasers, the largest of which is the Boston Public Schools, which has a $18 million food budget.

    https://www.commondreams.org/news/2019/03/20/boston-city-council-passes-groundbreaking-food-justice-ordinance
    #Justice_alimentaire #Boston #USA #Etats-Unis #ordonnance #alimentation

  • MG
    http://www.radiopanik.org/emissions/mix-delivery/mg-

    It’s not a good thing to drink out here You know, I’ve practically given it up dear. Tomorrow I am going alone a long way Into the #jungle. It is all grey But green on top Only sometimes when a tree has fallen The sun comes down plop, it is quite appalling.

    #deep #food_drum_and_bass #jungle,deep,food_drum_and_bass
    http://www.radiopanik.org/media/sounds/mix-delivery/mg-_06065__1.mp3

  • #Gaspillage_alimentaire. Les Canadiens, mauvais élèves

    Une étude pionnière sur la question est catégorique : plus de la moitié de la nourriture produite au Canada est purement et simplement perdue et finit en majorité dans des sites d’enfouissement.

    Les grands coupables ? Les producteurs et non les consommateurs, comme on le pensait auparavant. L’étude, dont les conclusions sont également reprises dans les pages du quotidien Le Devoir, détaille ce gaspillage :
    Les pommes pourrissent au sol faute de cueilleurs, les surplus de lait sont détruits, des milliers d’hectares de produits maraîchers sont labourés dans les champs lorsque des commandes sont annulées.”

    https://www.courrierinternational.com/revue-de-presse/gaspillage-alimentaire-les-canadiens-mauvais-eleves
    #Canada #alimentation

  • #Food_matters

    Food Matters examines how the food we eat can help or hurt our health. Nutritionists, naturopaths, doctors, and journalists weigh in on such topics as organic food, food safety, raw foodism, and nutritional therapy.

    J’ai regardé ce #film (sans avoir lu aucune critique au préalable, juste parce que le titre m’intriguait) :
    https://www.foodmatters.com/films
    #documentaire

    ... et je dois dire que je suis pas mal perplexe... est-ce que quelqu’un l’a vu ? Une opinion ?

    #nutrition #médecine #santé #you_are_what_you_eat #alimentation #sols #agriculture #industrie_agro-alimentaire #raw_food #crudisme #Paul_Kouchakoff #superfood #vitamines #vitamine_C #Linus_Paulin #Gerson_Therapy #maladies_cardio-vasculaires #végétarisme #industrie_pharmaceutique #big-pharma #édition_scientifique #science #dépression #santé_mentale #eau #boire #cancer #chimiothérapie #médecine_orthomoléculaire

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    Médecine orthomoléculaire

    La médecine orthomoléculaire se propose de soigner les personnes par l’apport optimal de substances naturellement connues de l’organisme, par opposition à l’utilisation de molécules à effets thérapeutiques créées par l’humain. Cette thérapeutique n’est pas validée par la communauté médicale et est considérée comme inefficace.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/M%C3%A9decine_orthomol%C3%A9culaire

    #Max_Gerson

    Max Gerson (18 octobre 1881 - 8 mars 1959) était un médecin américain d’origine allemande qui a développé la #thérapie_de_Gerson, un régime alimentaire comme traitement du cancer, qui prétend pouvoir guérir le cancer et la plupart des maladies chroniques dégénératives.

    Gerson a décrit son approche dans le livre A Cancer Therapy : Results of 50 Cases. The National Cancer Institute a évalué ces allégations pour conclure que ce traitement n’apportait pas de bénéfices.

    Après la mort de Gerson, sa fille Charlotte Gerson a continué de promouvoir la thérapie via la fondation « Gerson Institute » en 1977

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Max_Gerson

    Une mention est faite aussi de la #Campaign_for_the_truth_medicine, dont on trouve très peu d’info sur la toile...

  • #OGM - Mensonges et vérités

    La #controverse entre pro-OGM (organismes génétiquement modifiés) et anti-OGM rend le débat passionnel et parfois incompréhensible. Ce tour d’horizon mondial démêle le vrai du faux, preuves scientifiques à l’appui.

    Depuis plus de vingt ans, les OGM (organismes génétiquement modifiés), en particulier les plantes, ne cessent de s’étendre sur la planète, dans le but d’améliorer les rendements de soja, maïs, coton, colza, riz, etc. Dix pays, sur les vingt-huit qui en cultivent, représentent, à eux seuls, 98 % de la superficie mondiale des cultures transgéniques – soit 11 % des terres cultivées –, essentiellement sur le continent américain, le sous-continent indien et en Chine. Aux États-Unis, où les premières plantations de soja transgénique ont été introduites en 1996, les OGM représentent environ 90 % des cultures de soja, de maïs et de coton. Selon leurs défenseurs, ils sont indispensables pour répondre aux besoins d’une population en forte croissance. C’est l’argument du géant du secteur, le semencier américain Monsanto, qui produit aussi le célèbre Roundup, un herbicide total dont la substance active, le glyphosate, épargne les plantes OGM.


    https://www.arte.tv/fr/videos/057483-000-A/ogm-mensonges-et-verites

    #film #documentaire #reportage #vidéo
    #BT #maïs_BT #rentabilité #TH #soja #Roundup #USA #Etats-Unis #monoculture #agriculture #élevage #Argentine #Monsanto #pommes_De_terre #risques #génie_génétique #toxine_BT #pesticides #industrie_agro-alimentaire #glyphosate #herbicide #super_mauvaises_herbes #darwinisme #soja_roundup_ready #atrazin #business #santé #cancer #Mexique #propriété_intellectuelle #brevets #Percy_Schmeiser #sécurité_alimentaire #Ghana #malformation_congénitale #justice #biodiversité

    #USAID (qui lie #aide_au_développement et utilisation de OGM dans le pays qui va recevoir l’aide)

    #Gates_Foundation (qui finance des tests de plantes OGM au Ghana)

    #biotechnologie_agricole #coton #Bukina_Faso #coton_BT #Sofitex #rendements #Geocoton #Roundup_Ready_Flex_Cotton #néo-colonialisme

    #MON810 #maïs_MON810 #riz_doré #riz #Philippines #golden_rice #Syngenta #technologie #dengue #oxitec #moustiques_transgéniques #AGM #animaux_génétiquement_modifiés

    • Une ONG présentée dans le film, au Ghana :
      #Food_sovereignty_ghana

      Food Sovereignty Ghana is a grass-roots movement of Ghanaians, home and abroad, dedicated to the promotion of food sovereignty in Ghana. Our group believes in the collective control over our collective resources, rather than the control of our resources by multinational corporations and other foreign entities. This movement is a product of Special Brainstorming Session meeting on the 21st of March, 2013, at the Accra Freedom Centre. The meeting was in response to several calls by individuals who have been discussing, writing, or tweeting, about the increasing phenomenon of land grabs, the right to water and sanitation as a fundamental human right, water privatization issues, deforestation, climate change, carbon trading and Africa’s atmospheric space, and in particular, the urgent issue of the introduction of GM food technology into our agriculture, particularly, its implications on food sovereignty, sustainable development, biodiversity, and the integrity of our food and water resources, human and animal health, and our very existence as a politically independent people. These calls insisted that these issues need to be comprehensively addressed in a systematic and an organized manner.

      Foremost in these calls was the need for a comprehensive agricultural policy that respects the multi-functional roles played by agriculture in our daily lives, and resists the avaricious calculations behind the proposition that food is just another commodity or component for international agribusiness. The trade in futures or speculation involving food have pushed food prices beyond the reach of almost a billion of people in the world who go to bed, each day, hungry. Even though we have have doubled the amount of food to feed everybody in the world today, people still don’t have access to food. The primary cause of this is the neo-liberal agenda of the imperialists, such as the SAP, EPA, AGOA, TRIPS, AoA, AFSNA, AGRA, which have the focus on marginalising the small family farm agriculture that continues to feed over 80% of Africa and replacing them with governance structures, agreements and practices that depend on and promote unsustainable and inequitable international trade and give power to remote and unaccountable corporations.

      We came together in order to help turn a new leaf. We see a concerted effort, over the years, to distort our agriculture to such an extent that today, our very survival as a free and independent people crucially depend on how fast we are able to apply the breaks, and to rather urgently promote policies that focus on food for people, and value our local food providers, the arduous role of the resilient small family farm for thousands of years. We need to resist imperialist policies such as the Structural Adjustment Programmes of the World Bank and the IMF which rolled away 30 years of gains towards food sovereignty in the 1970s and 80s. Those African countries that graduated from the SAP were subsequently slammed with HIPIC. In all these years, the imperialist countries fortified their agricultural production with heavy government subsidies, as Africa saw the imposition of stringent conditionality removing all government subsidies on our own agriculture. The effect has been a destruction of our local food production capacity and a dependence on corporations for our daily food needs. This has had a devastating effect on Africa’s agriculture, and our ability to feed ourselves.

      We believe that a proper analysis of the food crisis is a matter that cannot be left with trade negotiators, investment experts, or agricultural engineers. It is essentially a matter of political economy. As Jean Ziegler succinctly puts it, “Every child who dies of hunger in today’s world has been murdered.” Our Food Under Our Control! is determined to make sure that such a crime becomes impossible in Ghana. Our number one mission is to switch the language from food security to food sovereignty as the goal, to repeat the words food sovereignty at every opportunity and say we don’t want food security, that can still be dependence, we want food sovereignty, we need food sovereignty. This is not the same as “food security”. A country can have food security through food imports. Dependence on food imports is precarious and prone to multiple risks — from price risks, to supply risks, to conditionality risks (policy conditions that come with food imports). Food sovereignty, on the other hand, implies ensuring domestic production and supply of food. It means that the nationals of the country (or at the very least nationals within the region) must primarily be responsible for ensuring that the nation and the region are first and foremost dependent on their own efforts and resources to grow their basic foods.

      Aims and objectives:

      1. To help promote the people’s right to healthy and culturally appropriate food produced through ecologically sound and sustainable methods, and to generally ensure the priority of domestic food crops produced by small farms over export crops.

      2. To help create mass awareness about the political, economic, health and environmental impacts of genetically modified food technology and defend the right of the people to define their own food and agricultural systems.

      3. To help ensure small farms are sustained by state provision and facilitation of necessary infrastructure: Security of land tenure, Water, Financial credit, Energy, Fertilizers, Transport, Storage, Extension service, Marketing, Technology and Equipment for production, harvesting, storage and transport, and Insurance against crop failures due to climate changes, or other unforeseen circumstances.

      4. To help resist the theft, destruction, and loss of the Commons, our natural and indigenous resources, by means of laws, commercial contracts and intellectual property rights regimes, and to generally serve as the watch-dog over all aspects of agricultural sustainability in Ghana.

      5. To help protect and preserve public access to and ownership of the Commons: Water, Land, Air, Seeds, Energy, Plants, Animals, and work closely with like-minded local, national, and international organisations in the realization of the foregoing objectives.


      http://foodsovereigntyghana.org

    • Un chercheur, #Damián_Verzeñassi de l’#université_de_Rosario, mentionné il y a une année dans un article de Mediapart :

      Argentine : soja transgénique voisine avec maladies

      Avia Terai, ville de 10 000 habitants, est exposée aux pulvérisations incessantes sur ses champs de soja et de coton de glyphosate, le composant de base de l’herbicide de Monsanto. Un pesticide que l’Organisation mondiale pour la santé a étiqueté cancérogène en 2015. Ici, des enfants naissent avec des malformations, des troubles neurologiques sévères et le taux de cancer est trois fois plus élevé que la moyenne nationale, selon l’étude du docteur argentin Damián Verzeñassi de l’université de Rosario. De son côté, Monsanto nie catégoriquement l’authenticité de ces études et considère que la #toxicité de son produit phare Roundup n’a pas encore été prouvée.

      https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/argentine-soja-transgenique-voisine-avec-maladies

      Le chercheur a fait une étude dans laquelle il montrait un lien entre le glyphosate et le développement de cancer :
      “Hay una incidencia del glifosato en los nuevos casos de cáncer”

      Desde 2010 se hicieron relevamientos en 32 localidades de la región pampeana y se relevaron más de 110 mil personas. Según Verzeñassi, si se encontró en estas localidades, donde se aplicó el modelo productivo con transgénicos a base de agrotóxicos, un pico muy importante de casos de cáncer, hipotiroidismo y abortos espontáneos.


      https://rosarionuestro.com/hemos-encontrado-un-incremento-en-la-incidencia-del-glifosato-en-los

    • #Red_de_Médicos_de_Pueblos_Fumigados (Argentine)

      La Red Universitaria de Ambiente y Salud (REDUAS) es una coordinación entre profesionales universitarios, académicos, científicos, miembros de equipos de salud humana en sus distintos niveles y demás estudiosos, preocupados por los efectos deletéreos de la salud humana que genera el ambiente degradado a consecuencias de la actividad productiva humana, especialmente cuando esta se da a gran escala y sustentada en una visión extractivista.

      La REDUAS surge como una de las decisiones tomadas en el 1º Encuentro de Médicos de Pueblos Fumigados, realizado en la Facultad de Ciencias Médicas de la Universidad Nacional de Córdoba y organizado por el Modulo de Determinantes Sociales de la Salud de la Cátedra de Pediatría y por la Cátedra de Medicina I de dicha Facultad; concretado el 26 y 27 de agosto de 2010

      La REDUAS se construye para unir, coordinar y potenciar el trabajo de investigación científica, asistencia sanitaria, análisis epidemiológico y divulgación ,difusión y defensa del derecho a la salud colectiva, que realizan equipos que desarrollan este tipo de actividades en 10 provincias distintas de la Republica Argentina y que se encuentran activados por el problema del daño a la salud que ocasiona la fumigación o aspersión, sistemática de más de 300 millones de litros de plaguicidas sobre casi 12 millones de personas que conviven con los sembradíos de cultivos agroindustriales.

      Para avanzar en ese sentido se propone aportar al debate público por la necesidad de construir prácticas productivas que permitan una supervivencia feliz de la especie humana en la superficie terrestre y de la responsabilidad publica, privada, colectiva e individual en el resguardo de esas condiciones ecológicas.

      Considerando al derecho a la salud, como uno de los valores sociales que debemos tratar de privilegiar en el análisis de las decisiones políticas y económicas que se toman en nuestra sociedad, creemos necesario ampliar la difusión del conocimiento de los datos científicos que se dispone, y que muchas veces se invisibilizan; aportar a la generación de nuevos datos e informaciones experimentales y observacionales – poblacionales; y potenciar la voz de los equipos de salud, investigadores y pobladores en general afectados en sus derechos por agresiones ambiéntales generadas por practicas productivas ecológicamente agresivas.


      http://reduas.com.ar
      #résistance

    • #Madres_de_Ituzaingo_Anexo-Cordoba
      http://madresdeituzaingoanexo.blogspot.fr

      Madres de #Ituzaingó: 15 años de pelea por el ambiente

      En marzo de 2002 salieron a la calle por primera vez para reclamar atención sanitaria ante la cantidad de enfermos en el barrio.Lograron mejorar la zona y alejar las fumigaciones, nuevas normas ambientales y un juicio inédito. Dicen que la lucha continúa. Un juicio histórico


      http://www.lavoz.com.ar/ciudadanos/madres-de-ituzaingo-15-anos-de-pelea-por-el-ambiente
      #Sofia_Gatica

    • Transgenic DNA introgressed into traditional maize landraces in #Oaxaca, Mexico

      Concerns have been raised about the potential effects of transgenic introductions on the genetic diversity of crop landraces and wild relatives in areas of crop origin and diversification, as this diversity is considered essential for global food security. Direct effects on non-target species1,2, and the possibility of unintentionally transferring traits of ecological relevance onto landraces and wild relatives have also been sources of concern3,4. The degree of genetic connectivity between industrial crops and their progenitors in landraces and wild relatives is a principal determinant of the evolutionary history of crops and agroecosystems throughout the world5,6. Recent introductions of transgenic DNA constructs into agricultural fields provide unique markers to measure such connectivity. For these reasons, the detection of transgenic DNA in crop landraces is of critical importance. Here we report the presence of introgressed transgenic DNA constructs in native maize landraces grown in remote mountains in Oaxaca, Mexico, part of the Mesoamerican centre of origin and diversification of this crop7,8,9.

      https://www.nature.com/articles/35107068

    • #Gilles-Éric_Séralini

      Gilles-Éric Séralini, né le 23 août 1960 à Bône en Algérie1, est un biologiste français, professeur de biologie moléculaire à l’université de Caen2. Il est cofondateur, administrateur et membre du conseil scientifique du CRIIGEN3, parrain de l’association Générations Cobayes4 et lanceur d’alerte5. Il est aussi membre du conseil scientifique de The Organic Center6, une association dépendant de l’Organic Trade Association (en)7, « le principal porte-parole du business bio aux États-Unis »8, et parrain de la Fondation d’entreprise Ekibio9.

      Il s’est fait notamment connaître du grand public pour ses études sur les OGM et les pesticides, et en particulier en septembre 2012 pour une étude toxicologique portée par le CRIIGEN mettant en doute l’innocuité du maïs génétiquement modifié NK 603 et du Roundup sur la santé de rats10,11. Cette étude, ainsi que les méthodes utilisées pour la médiatiser, ont été l’objet d’importantes controverses, les auteurs étant accusés d’instrumentaliser de la science, ou même suspectés de fraude scientifique12,13. En réalité, les agences de santé européennes et américaines réagissent sur le tard, indiquant les lacunes et faiblesses méthodologiques rédhibitoires de la publication (notamment un groupe de contrôle comportant un nombre d’individus ridiculement bas). Certains dénoncent aussi un manque de déontologie pour s’assurer d’un « coup de communication ». La revue Food and Chemical Toxicology retire l’étude en novembre 2013.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/Gilles-%C3%89ric_S%C3%A9ralini

      Dans le documentaire on parle notamment d’un article qu’il a publié dans la revue « Food and chemical toxicology », que j’ai cherché sur internet... et... suprise suprise... je l’ai trouvé, mais le site de Elsevier dit... « RETRACTED »
      Long term toxicity of a Roundup herbicide and a Roundup-tolerant genetically modified maize
      https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0278691512005637

      Il est par contre dispo sur sci-hub !
      http://sci-hub.tw/https://doi.org/10.1016/j.fct.2012.08.005

      voici la conclusion :

      In conclusion, it was previously known that glyphosate con- sumption in water above authorized limits may provoke hepatic and kidney failures ( EPA ). The results of the study presented here clearly demonstrate that lower levels of complete agricultural gly- phosate herbicide formulations, at concentrations well below offi- cially set safety limits, induce severe hormone-dependent mammary, hepatic and kidney disturbances. Similarly, disruption of biosynthetic pathways that may result from overexpression of the EPSPS transgene in the GM NK603 maize can give rise to com- parable pathologies that may be linked to abnormal or unbalanced phenolic acids metabolites, or related compounds. Other muta- genic and metabolic effects of the edible GMO cannot be excluded. This will be the subject of future studies, including transgene and glyphosate presence in rat tissues. Reproductive and multigenera- tional studies will also provide novel insights into these problems. This study represents the first detailed documentation of long- term deleterious effects arising from the consumption of a GM R- tolerant maize and of R, the most used herbicide worldwide. Altogether, the significant biochemical disturbances and physi- ological failures documented in this work confirm the pathological effects of these GMO and R treatments in both sexes, with different amplitudes. We propose that agricultural edible GMOs and formu- lated pesticides must be evaluated very carefully by long term studies to measure their potential toxic effects.

    • #RiskOGM

      RiskOGM constitue depuis 2010 l’action de recherche du ministère en charge de l’Écologie, du Développement durable et de l’Énergie pour soutenir la structuration d’une communauté scientifique et le développement de connaissances, de méthodes et de pratiques scientifiques utiles à la définition et à la mise en œuvre des politiques publiques sur les OGM.

      Le programme s’appuie sur un Conseil Scientifique et sur un Comité d’Orientation qui réunit des parties prenantes.

      Les axes de recherche prioritaires identifiés portent sur les plans de surveillance générale des OGM, la coexistence des cultures, la gouvernance, les aspects économiques, éthiques et sociaux ou encore la démarche globale d’analyse de la sécurité des aliments contenant des produits transgéniques,

      3 projets en cours ont été soutenus après un 1er appel à proposition fin 2010. Fin 2013, suite à un deuxième appel, le projet (#PGM / #GMO90plus) a été sélectionné et soutenu à hauteur de 2,5 M€. Il vise à une meilleure connaissance des effets potentiels sur la santé de la consommation sur une longue durée de produits issus des plantes génétiquement modifiées.

      http://recherche-riskogm.fr/fr
      #programme_de_recherche

      Un projet dont fait partie #Bernard_Salles, rattaché à l’INRA, interviewé dans le documentaire.
      Lui, semble clean, contrairement au personnage que je vais un peu après, Pablo Steinberg

    • Projet #G-Twyst :

      G-TwYST is the acronym for Genetically modified plants Two Year Safety Testing. The project duration is from 21 April 2014 – 20 April 2018.

      The European Food Safety Authority (EFSA) has developed guidance for the risk assessment of food and feed containing, consisting or produced from genetically modified (GM) plants as well as guidance on conducting repeated-dose 90-day oral toxicity study in rodents on whole food/feed. Nonetheless, the long-term safety assessment of genetically modified (GM) food/feed is a long-standing controversial topic in the European Union. At the present time there are no standardized protocols to study the potential short-, medium- and/or long-term toxicity of GM plants and derived products. Against this backdrop the main objective of the G-TwYST project is to provide guidance on long-term animal feeding studies for GMO risk assessment while at the same time responding to uncertainties raised through the outcomes and reports from recent (long-term) rodent feeding studies with whole GM food/feed.

      In order to achieve this, G-TwYST:

      Performs rat feeding studies for up to two years with GM maize NK603. This includes 90 day studies for subchronic toxicity, 1 year studies for chronic toxicity as well as 2 year studies for carcinogenicity. The studies will be based on OECD Test Guidelines and executed according to EFSA considerations
      Reviews recent and ongoing research relevant to the scope of G-TwYST
      Engages with related research projects such as GRACE and GMO90plus
      Develops criteria to evaluate the scientific quality of long-term feeding studies
      Develops recommendations on the added value of long-term feeding trials in the context of the GMO risk assessment process.
      As a complementary activity - investigates into the broader societal issues linked to the controversy on animal studies in GMO risk assessment.
      Allows for stakeholder engagement in all key steps of the project in an inclusive and responsive manner.
      Provides for utmost transparency of what is done and by whom it is done.

      G-TwYST is a Collaborative Project of the Seventh Framework Programme of the European Community for Research, Technological Development and Demonstration Activities. The proposal for G-TwYST was established in reponse to a call for proposals on a two-year carcinogenicity rat feeding study with maize NK603 that was launched by he European Commission in June 2013 (KBBE.2013.3.5-03).

      https://www.g-twyst.eu

      Attention : ce projet semble être sous forte influence des lobbys de l’OGM...

      Fait partie de ce projet #Pablo_Steinberg, interviewé dans le documentaire.

      Pablo Steinberg est d’origine argentine, il est également le toxicologue du projet « #GRACE : GMO Risk Assessment and communication evidence », financé par l’UE :

      GRACE was a project funded under the EU Framework 7 programme and undertaken by a consortium of EU research institutes from June 2012 - November 2015. The project had two key objectives:

      I) To provide systematic reviews of the evidence on the health, environmental and socio-economic impacts of GM plants – considering both risks and possible benefits. The results are accessible to the public via an open access database and other channels.

      II) GRACE also reconsidered the design, execution and interpretation of results from various types of animal feeding trials and alternative in vitro methods for assessing the safety of GM food and feed.

      The Biosafety Group was involved in the construction of the central portal and database (CADIMA; Central Access Database for Impact Assessment of Crop Genetic Improvement Technologies) that managed the information gathered in the pursuit of the two objectives and in the dissemination of information.

      http://biosafety.icgeb.org/projects/grace

      La conférence finale de présentation du projet GRACE a été organisée à Potsdam... un 9 novembre... date-anniversaire de la chute du mur...
      Voici ce que #Joachim_Schiemann, coordinateur du projet, dit à cette occasion (je transcris les mots prononcés par Schiemann dans le reportage) :

      « Nous aussi, avec nos activités, nous essayons d’abattre certains murs et de faire bouger certaines positions qui sont bloquées. Je trouve que c’est très symbolique d’avoir organisé cette conférence à Potsdam, à proximité de Berlin et des vestiges du mur »

    • Prof. Potrykus on #Golden_Rice

      #Ingo_Potrykus, Professor emeritus at the Institute of Plant Sciences, ETH Zurich, is one of the world’s most renowned personalities in the fields of agricultural, environmental, and industrial biotechnology, and invented Golden Rice with Peter Beyer. In contrast to usual rice, this one has an increased nutritional value by providing provitamin A. According to WHO, 127 millions of pre-school children worldwide suffer from vitamine A deficiency, causing some 500,000 cases of irreversible blindness every year. This deficiency is responsible for 600,000 deaths among children under the age of 5.

      https://blog.psiram.com/2013/09/prof-potrykus-on-golden-rice
      Ce riz, enrichi de #bêtacarotène pour pallier aux carences de #provitamine_A, a valu, à Monsieur #Potrykus, la couverture du Time, une première pour un botaniste :

    • Golden Illusion. The broken promise of GE ’Golden’ rice

      GE ’Golden’ rice is a genetically engineered (GE, also called genetically modified, GM) rice variety developed by the biotech industry to produce pro-vitamin A (beta-carotene). Proponents portray GE ’Golden’ rice as a technical, quick-fix solution to Vitamin A deficiency (VAD), a health problem in many developing countries. However, not only is GE ’Golden’ rice an ineffective tool to combat VAD it is also environmentally irresponsible, poses risks to human health, and compromises food security.

      https://www.greenpeace.org/archive-international/en/publications/Campaign-reports/Genetic-engineering/Golden-Illusion
      #rapport

    • #MASIPAG (#Philippines)

      MASIPAG a constaté que les paysans qui pratiquent la production agricole biologique gagnent en moyenne environ 100 euros par an de plus que les autres paysans, parce qu’ils ne dépensent pas d’argent dans des fertilisants et pesticides chimiques. Dans le contexte local, cela représente une économie importante. En plus, l’agriculture biologique contribue à un milieu plus sain et à une réduction des émissions de gaz à effet de serre. Malgré cela, le gouvernement philippin poursuit une politique ambiguë. En 2010, il a adopté une loi sur la promotion de l’agriculture biologique, mais en même temps il continue à promouvoir les cultures génétiquement modifiées et hybrides nécessitant le recours aux intrants chimiques. La loi actuelle insiste également sur une certification couteuse des produits bio par les tiers, ce qui empêche les #petits_paysans de certifier leurs produits.

      http://astm.lu/projets-de-solidarite/asie/philipinnes/masipag
      #paysannerie #agriculture_biologique

    • #AquAdvantage

      Le saumon AquAdvantage (#AquAdvantage_salmon® pour les anglophones, parfois résumé en « #AA_Salmon » ou « #AAS ») est le nom commercial d’un saumon transgénique et triploïde1.

      Il s’agit d’un saumon atlantique modifié, créé par l’entreprise AquaBounty Technologies (en)2 qui est devenu en mai 2016 le premier poisson génétiquement modifié par transgenèse commercialisé pour des fins alimentaires. Il a obtenu à cette date une autorisation de commercialisation (après son évaluation3) au Canada. En juillet 2017, l’entreprise a annoncé avoir vendu 4,5 tonnes de saumon AquAdvantage à des clients Canadiens qui ont à ce jour gardés leur anonymat4. L’entreprise prévoit de demander des autorisations pour des truites5, des tilapias 5 et de l’omble arctique génétiquement modifiés6.

      Selon les dossiers produits par AquaBounty à la FDA, deux gènes de saumons Chinook et deux séquences provenant d’une autre espèce (loquette d’Amérique) ont été introduits7, (information reprise par un article du New-York Times8 et un article scientifique évoquent aussi un gène provenant d’un autre poisson (loquette d’Amérique9). En 2010, AquaBounty, produirait déjà au Canada sur l’Île-du-Prince-Édouard les œufs de poissons destinés à des élevages en bassins enclavés à terre au Panama10 pour des poissons à exporter (alors que l’étiquetage n’est toujours pas obligatoire aux États-Unis)10.

      Ce poisson est controversé. Des préoccupations scientifiques et environnementalistes portent sur les risques d’impacts environnementaux à moyen et long terme, plus que sur le risque alimentaire. La FDA a considéré que la modification était équivalente à l’utilisation d’un médicament vétérinaire (hormone de croissance et modification transgénique)11 et a donc utilisé son processus (dit « NADA12 ») d’évaluation vétérinaire. Dans ce cadre, la FDA a conclu que ce poisson ne présentait a priori pas de risques pour la santé, et pouvait être cultivé de manière sûre. Mais en 2013, l’opportunité d’élever un tel poisson reste très contestée13 notamment depuis au moins 1986 concernant les risques qu’il pourrait poser à l’égard de l’environnement14, l’autorisation de mise sur le marché pourrait être à nouveau repoussée15.


      https://fr.wikipedia.org/wiki/AquAdvantage
      #saumon #saumon_transgénique #AquaBounty_Technologies

      Aussi appelé...
      #FrankenFish

  • #10 / Migrer et cultiver la ville : l’#agriculture_communautaire à #Malmö (#Suède)

    Une partie de ce que mangent les villes est désormais produite en leur sein. En effet, l’agriculture fait depuis une quinzaine d’année son grand retour dans les villes du Nord, sous des formes très diverses. Une définition large de l’agriculture urbaine, entendue ici comme toute activité de production végétale à renouvellement rapide, professionnelle ou amatrice, destinée à une consommation ou un usage urbains, et pratiquée sur des terrains localisés dans la ville ou à sa périphérie (Moustier et M’Baye, 1999 ; Scheromm et al., 2014), rend compte de son renouveau, de la diversité de ses acteurs et d’un continuum de formes, allant des jardins collectifs aux exploitations marchandes classiques (Nahmias et Le Caro, 2012).

    Alors que la littérature francophone sur l’agriculture urbaine met traditionnellement l’accent sur le raccourcissement des chaînes de production à travers le développement des circuits courts, ou encore sur la fonction écologique de ces espaces agricoles (Lamine et Deverre, 2010), nous proposons de nous pencher sur un aspect moins étudié du métabolisme alimentaire urbain : l’#alimentation des personnes en situation de migration, dont l’accès à des produits culturellement appropriés peut s’avérer problématique. S’intéresser à ce que mangent les migrants mène à analyser l’agriculture urbaine au prisme de la #justice_alimentaire. Issue du #food_movement alternatif des villes nord-américaines (Paddeu, 2012), cette notion s’entend a priori comme la répartition équitable dans les modes de production et de distribution des ressources alimentaires sur un territoire donné (Gottlieb et Joshi, 2010). Cette situation n’est pas atteinte partout ni pour toutes les populations. Dans les métropoles, les injustices alimentaires sont criantes, notamment quand on regarde les populations souffrant de problèmes d’insécurité et d’accessibilité alimentaires – populations défavorisées, minorités, migrants et populations immigrées (Alkon et Agyeman, 2011). L’agriculture urbaine, considérée sous l’angle de la justice alimentaire, répond alors à des enjeux combinés d’environnement, de santé publique, de nutrition, ainsi que d’inégalités raciales, de classe et de genre selon la terminologie nord-américaine (Slocum et al., 2016). Si les commerces alimentaires ethniques et les stratégies d’approvisionnement des communautés immigrées ont déjà été étudiés (Raulin, 1990 ; Ma Mung et al., 1992 ; Augustin-Jean, 1995 ; Dubucs, 2013), mettre la lumière sur la production-même des aliments à destination des communautés immigrées en ville interroge le rôle de l’agriculture urbaine dans leur souveraineté alimentaire, puisqu’elle produit localement des aliments permettant de maintenir une continuité culturelle.

    La ville de Malmö (Suède), troisième ville de Suède avec 560 000 habitants en 2014 d’après les chiffres du Bureau national de la statistique (SCB, 2016), est particulièrement intéressante pour étudier les dynamiques de l’agriculture urbaine selon le questionnement de la justice alimentaire. C’est la ville multiculturelle par excellence : environ 43 % de la population totale est immigrée ou étrangère1, soit la plus forte proportion parmi les villes suédoises. 178 nationalités sont présentes, avec une majorité d’immigrés européens en provenance des pays de l’ex-Yougoslavie (qui constitue la deuxième communauté la plus importante) et de Pologne, mais aussi du Danemark voisin. Les communautés en provenance du continent européen sont installées depuis plusieurs décennies dans la ville. 34% des immigrés ou des étrangers viennent d’Asie, aire englobant dans les statistiques le Proche et Moyen-Orient, la Chine et l’Asie du Sud-Est (SCB, 2016). Cette immigration est beaucoup plus récente. Si les Libanais, Iraniens, Afghans et Syriens sont particulièrement représentés, ce sont les Irakiens qui constituent la première communauté immigrée ou étrangère à Malmö. Parallèlement à l’arrivée plus ou moins récente de populations étrangères, Malmö se transforme au rythme de grands projets d’aménagement urbain censés répondre à l’objectif d’être un modèle de ville durable. Ces projets sont potentiellement porteurs de recompositions pour l’agriculture urbaine. L’étude de l’agriculture pratiquée par les migrants dans les jardins communautaires municipaux doit ici permettre de répondre à deux questions principales. Premièrement, quel rôle jouent les migrants dans la recomposition des systèmes alimentaires urbains, en termes de production mais aussi de soutien à une demande alimentaire ethnique ? Contribuent-ils à développer des formes particulières d’agriculture urbaine, par leur localisation, les types de cultures, les pratiques de commercialisation et les débouchés ? Deuxièmement, ces dynamiques doivent être replacées dans le contexte des dynamiques métropolitaines plus globales : dans quelle mesure les espaces de l’agriculture urbaine communautaire sont-ils intégrés au discours et à la politique de la ville durable ? Dans quelle mesure participent-ils à des formes d’ancrage des migrants dans la ville ?

    L’étude de terrain menée lors de deux séjours en 2015 et 2016 à Malmö a apporté des pistes de réponses. Les observations directes sur les jardins communautaires ont été complétées par des entretiens auprès de plusieurs types d’acteurs : (1) sept entretiens auprès des services municipaux en charge de la gestion des jardins, de la planification urbaine, de l’environnement et des terres agricoles ; (2) sept entretiens auprès des acteurs de l’agriculture urbaine à Malmö (jardins associatifs, responsables de projets d’agriculture urbaine publics et privés, associations de promotion de l’agriculture urbaine) ; (3) six entretiens avec des jardiniers d’origine étrangère. L’analyse des documents d’aménagement à l’échelle de la ville ou de projets concernant les quartiers où sont implantés les jardins municipaux, ainsi que de documents portant sur les jardins (documents réglementaires, site internet municipal sur les jardins) a permis de contextualiser le travail et a apporté de précieux compléments d’information. Ce travail de terrain s’est confronté à plusieurs problèmes, car l’étude de ce que mangent et, surtout, de ce que produisent les immigrés en ville pose des défis méthodologiques au chercheur. Ainsi, les immigrés, dans le cadre des activités de production alimentaire sur les jardins municipaux de Malmö, ont recours à de nombreuses pratiques informelles qui restent volontairement cachées. L’observation paysagère permet néanmoins d’identifier des filières et des espaces de production communautaires. L’étude met au jour les ressorts de ce qui s’apparente à une agriculture communautaire, dont la production est pratiquée par et à destination des communautés immigrées selon les nationalités. Les espaces d’agriculture communautaire sont plus ou moins intégrés dans les politiques d’aménagement durable, qui entraînent des reconfigurations porteuses de vulnérabilités pour les espaces agricoles urbains tenus par les migrants.

    http://www.revue-urbanites.fr/10-hochedez-malmo
    #agriculture_urbaine #intégration #migrations #asile #réfugiés

    nous proposons de nous pencher sur un aspect moins étudié du métabolisme alimentaire urbain : l’#alimentation des personnes en situation de migration, dont l’accès à des produits culturellement appropriés peut s’avérer problématique. S’intéresser à ce que mangent les migrants mène à analyser l’agriculture urbaine au prisme de la #justice_alimentaire. Issue du #food_movement alternatif des villes nord-américaines (Paddeu, 2012)

    –-> géographie_culturelle et #géographie_politique (vu qu’on parle de #justice_alimentaire)

  • The #campus is a food desert

    Comme je réside sur le campus, je mange sur le campus. Eh bien je peux vous dire que j’en ai marre et que ça me rend malade. Pour vous dire l’ampleur de la catastrophe : on y trouve pas d’eau minérale. Et même pas d’eau du tout. Par contre, il y a tout ce qu’il faut en termes de sodas et de boissons énergisantes. J’avoue que le premier matin, j’ai trouvé ça drôle de manger un southern american petit déjeuner. Mais le deuxième matin le muffin avait du mal à passer. Le jus d’orange en poudre m’a fait pouffer. Je n’ose vous parler de la confiture que l’on trouve uniquement dans une bouteille de plastique type bouteille de ketchup. D’ailleurs j’en suis au point où je me demande si je ne vais pas utiliser du ketchup plutôt que la confiture sur mes toasts de pain de mie le matin. Avec un peu de tabasco ça peut être pas mal en fait. Je suis à bout. Heureusement que je suis dans un hôtel ultra chic. Le midi, c’est encore pire. Il n’y a pas de restaurants universitaires ni de restaurants tout court d’ailleurs. Il y #Subway, #MacDo, une version low cost de #PizzaHot, … Bref, toute la #malbouffe est au rendez-vous. Je dépéris à vue d’oeil. Et le soir on remet ça. Même problème. J’en suis malade. Et dire que les étudiant-e-s n’ont pas d’autre choix toute l’année. Je pense à la quantité d’hormones qu’ils ingurgitent. J’en perds l’appétit (c’est dire chez moi). Ce midi par contre j’ai été sauvé par un collègue paysagiste qui m’a amené manger dans un resto vietnamien pas trop loin du campus. Quel plaisir de manger du riz blanc. Et ce soir, c’est une collègue de l’administration qui m’amène manger en ville. Peut-être aurais-je même un petit verre de vin ?


    https://onpartenlouisiane.wordpress.com/2018/04/06/the-campus-is-a-food-desert
    #fac #food_desert #désert_alimentaire #alimentation #junk_food #fast-food #université

  • Le site n’est pas du tout sexy, mais j’ai l’impression que les recherches sont de bonne qualité et il y a plein de données...
    http://www.fooddeserts.org
    Avec une carte ici :
    www.fooddeserts.org/images/FoodDesertFinder.tif
    Une carte sur l’obésité à #Londres :

    #food_desert #supermarchés #alimentation #UK #Angleterre #cartographie #visualisation #obésité

    J’ai découvert le site via la mailing-list Crit geo forum, avec ce commentaire :

    Those interested in food and social justice may see a nice irony in comparing these two maps.

    1) Map of the best quality agricultural soil in the UK, the best, Grade One, is heavily present around The Wash area of Eastern England

    http://publications.naturalengland.org.uk/publication/6172638548328448 and click on pdf link

    2) MSOA level obesity map, extract for East Anglia, Wash, Lincolnshire area. Available at www.fooddeserts.org, section 8, bottom of page. Red is the most obese decile, followed by pink, orange, yellow.... Silver is the least obese declie, followed by purple, dark blue, light blue, green....

    In other words, the areas where the UK’s fruit and veg industry is most productive is where there is most obesity. We don’t pay the people who actually produce our 5-a-day enough to benefit from the health effects of 5-a-day. Nor do we pay the people who sell them to us enough to benefit from them, in the towns. To have a good diet you need to live in the areas where fresh produce is largely neither produced nor sold, the wealthy peri-urban regions just outside the main urban areas.

  • An archaeological mystery in #Ghana: why didn’t past droughts spell famine like more recent ones do ?
    http://www.npr.org/sections/thesalt/2016/07/20/486670144/an-archaeological-mystery-in-ghana-why-didn-t-past-droughts-spell-famine #Africa #Afrique #agriculture #trade #food_security #colonialisme

    Stumbling upon the systemic impact of the British on precolonial trade and industry - and its consequences in fostering food insecurity...

  • The #Foodbank Dilemma

    When I think about foodbanks now, more than anything else, I think about Louise.* Louise was the first person I ever met who talked to me about her experiences of using a foodbank. Six months later, it is still my meeting with Louise I return to time and again. As if making sense of that meeting can somehow help me unravel all the issues that I have wrestled with in the months that have followed, as I have visited foodbanks, talked to the people who run and use them, interviewed food experts, and read books, reports and articles, trying to understand the foodbank phenomenon.


    http://lacuna.org.uk/food-and-health/the-foodbank-dilemma
    #pauvreté #alimentation #banque_alimentaire #charité
    cc @odilon

  • We all go for food security, but who wins at the end? - by @odilon http://visionscarto.net/food-security-who-benefits

    #Food_security #Colonization #Corporations #Land_grabbing #G7 #Agriculture #Food #Revolts #Peasantry #Africa

    The New alliance for food security and nutrition (NAFSN) is a partnership launched in 2012 by the G8 group (G7 since the exclusion of Russia) between private corporations from the agribusiness sector, 10 african countries (partners), international institutions, NGOs and peasants associations within partner countries. This initiative has been promoted as one of the means to eradicate hunger and malnutrition. However, more and more NGOs are criticizing the control of land resources by multinational corporations, which harms local communities more than it helps.

  • How multinationals use #climate_change to impose an industrial agricultural model
    http://multinationales.org/How-multinationals-use-climate-change-to-impose-an-industrial-agric

    Governments are keeping an eye on the agricultural sector’s #greenhouse_gas emissions. A new concept is emerging: “climate-smart #agriculture,” with the objective of producing more, better. In the arena of climate negotiations, multinational corporations are getting set to promote “smart fertilizers” and plants genetically modified for heat tolerance. While industrial agriculture is about to win the battle with organic agriculture, researchers and nongovernmental organizations (NGOs) are (...)

    #Investigations

    / #Yara, #Walmart, #Food_and_Agriculture, #Greenwashing, #food & Agribusiness, agriculture, food, greenhouse gas, climate change, #supply_chain, #GMOs, (...)

    #Food_&_Agribusiness #influence
    « http://www.truth-out.org/news/item/33889-green-capitalism-how-multinationals-use-climate-change-to-impose-an »
    « https://www.grain.org/article/entries/5271-les-exxon-de-l-agriculture#sdfootnote38sym »
    « http://www.fao.org/gacsa/en »
    « http://www.fao.org/3/a-ax295e.pdf »
    « http://www.infogm.org/viet-nam-ogm-trois-mais-autorises-a-la-culture-en-2014#nb5 »
    « http://www.climatesmartagconcerns.info/english.html »
    « http://www.cirad.fr/en »
    « http://www.midilibre.fr/2015/03/18/agriculture-et-climat-le-defi,1137526.php »
    « https://cgspace.cgiar.org/rest/bitstreams/24750/retrieve »
    « http://csa2015.cirad.fr »
    « http://corporate.walmart.com/global-responsibility/environment-sustainability/sustainable-agriculture »
    « http://www.corporateknights.com/channels/food-beverage/walmart-targets-climate-smart-suppliers-2-14298636 »

  • Les ouvriers, pionniers de la malbouffe ?
    http://www.laviedesidees.fr/Les-ouvriers-pionniers-de-la-malbouffe.html

    Comment les classes laborieuses ont-elles vécu le passage de l’alimentation rurale à l’alimentation de l’ère industrielle ? Plutôt qu’une mutation dommageable, Kathleen L. Turner met en avant la variété de stratégies adoptées par les individus pour faire face à la place prise par l’industrie dans leur #alimentation et de leurs existences.

    Livres & études

    / #classe_ouvrière, alimentation, #inégalités

    #Livres_&_études

  • Synthetic Biology : Life reconstructed by engineers and multinationals
    http://multinationales.org/Synthetic-Biology-Life

    According to its proposents, synthetic biology would seem to be leading us into a brighter future, full of promises of better medicines, anti-pollution bacteria and synthetic fuels. But whilst it continues to attract investments from the largest global companies in the biotechnology, #Energy and agribusiness sectors, the use of lab-built DNA and of patented gene factories to produce life at industrial scale raises many questions. As the first fully computer-designed organisms are just (...)

    #Investigations

    / Food & Agribusiness, Energy, #Pharma, #France, #United_States, #Michelin, #Total, #Sanofi, #Green_Economy, #Amyris, #new_technologies, #intellectual_property, #Environmental_Health, regulations and (...)

    #Food_&_Agribusiness #regulations_and_norms
    « http://www.genopole.fr/Bioparc-les-projets-structurants.html »
    « http://www.sanofi.com/Images/32474_20130411_ARTEMISININE_fr.pdf »
    « http://www.etcgroup.org »
    « http://www.foe.org/news/archives/2012-03-global-coalition-calls-oversight-synthetic-biology »
    « http://cache.media.enseignementsup-recherche.gouv.fr/file/Rapport_Biologie_de_synthese/58/5/L2_BIOLOGIE_DESYNTHeSE_version_finale_web2_202585.pdf »
    « http://biobricks.org/about-foundation »
    « https://www.ncbi.nlm.nih.gov/genbank »
    « http://www.issb.genopole.fr/Research/teams »
    « http://www.lefigaro.fr/sciences/2012/06/22/01008-20120622ARTFIG00775-faut-il-avoir-peur-de-la-biologie-synthetique.php »
    « http://www.lapaillasse.org »
    « http://www.lemonde.fr/le-monde-2/article/2009/09/04/biohackers-les-bricoleurs-d-adn_1235563_1004868.html »
    « http://www.ensembl.org/Homo_sapiens/Info/Index »
    « http://2013.igem.org/Team:INSA_Toulouse »
    « http://biologie-synthese.cnam.fr/historique »
    « http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-off/i4354.asp »
    « http://wallpapersus.com/dna-nanotech-creative-design »
    « http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=395 »
    « http://total.com/fr/energies-savoir-faire/energies-renouvelables/biomasse/projets-realisations/amyris »
    « http://sciencescitoyennes.org/wp-content/uploads/2013/10/Fiche_FSC_Artémisinine.pdf »