Electricité : quatre fournisseurs s’allient pour des offres « plus vertes » et relancent le débat sur l’origine de l’énergie – La Tribune
▻https://www.latribune.fr/climat/energie-environnement/electricite-quatre-fournisseurs-s-allient-pour-des-offres-plus-vertes-et-r
EXCLUSIF. Quatre fournisseurs d’énergie (llek, Enercoop, Octopus Energy et Volterres) viennent de former un collectif afin de promouvoir des offres d’électricité « vraiment vertes », dans la jungle du marché de détail. Seulement voilà, leurs positions ne font pas l’unanimité dans le secteur. Au cœur du débat : le fonctionnement des garanties d’origine, ces certificats électroniques servant à prouver qu’une quantité donnée d’énergie renouvelable achetée par un opérateur a bien été produite pour approvisionner un client final.
Certains fournisseurs d’énergie sont-ils plus vertueux que d’autres ? Alors que le nombre d’offres d’électricité « 100% verte et locale » a explosé ces dernières années, difficile pour le consommateur d’y voir clair au-delà des slogans. Et pour cause, la plupart de ces entreprises ne génèrent pas elles-mêmes le courant qu’elles commercialisent. Or, le système certifiant que l’électricité qu’elles achètent pour un client est bien renouvelable, appelé « garantie d’origine », suscite de vives critiques.
]]>Vivre et lutter dans un monde toxique. #Violence_environnementale et #santé à l’âge du #pétrole
Pour en finir avec les success stories pétrolières, voici une histoire des territoires sacrifiés à la transformation des #hydrocarbures. Elle éclaire, à partir de sources nouvelles, les #dégâts et les #luttes pour la santé au XXe siècle, du #Japon au #Canada, parmi les travailleurs et travailleuses des enclaves industrielles italiennes (#Tarento, #Sardaigne, #Sicile), auprès des pêcheurs et des paysans des « #Trente_Ravageuses » (la zone de #Fos / l’étang de# Berre, le bassin gazier de #Lacq), ou encore au sein des Premières Nations américaines et des minorités frappées par les #inégalités_environnementales en #Louisiane.
Ces différents espaces nous racontent une histoire commune : celle de populations délégitimées, dont les plaintes sont systématiquement disqualifiées, car perçues comme non scientifiques. Cependant, elles sont parvenues à mobiliser et à produire des savoirs pour contester les stratégies entrepreneuriales menaçant leurs #lieux_de_vie. Ce livre expose ainsi la #tension_sociale qui règne entre défense des #milieux_de_vie et #profits économiques, entre santé et #emploi, entre logiques de subsistance et logiques de #pétrolisation.
Un ouvrage d’une saisissante actualité à l’heure de la désindustrialisation des #territoires_pétroliers, des #conflits sur la #décarbonation des sociétés contemporaines, et alors que le désastre de #Lubrizol a réactivé les interrogations sur les effets sanitaires des dérivés pétroliers.
▻https://www.seuil.com/ouvrage/vivre-et-lutter-dans-un-monde-toxique-collectif/9782021516081
]]>Après la crue
Quelques années après la #crue exceptionnelle de 2013 dans les #Pyrénées centrales, des enseignants-chercheurs en géographie sont allés recueillir la parole des habitants et des acteurs locaux pour mieux connaître la période de l’#après-crue.
Ils ont choisi deux vallées particulièrement touchées par la catastrophe :
- #Vallée_du_Bastan (#Hautes-Pyrénées) : #Barèges, #Luz-Saint-Sauveur
- #Haute_vallée_de_la_Garonne (#Haute-Garonne) : #Fos, #Saint-Béat
Ces #témoignages montrent que les deux territoires étudiés ont fait face à beaucoup de difficultés après la crue et qu’ils n’ont pas récupéré au même rythme et de la même manière. Les chercheurs ont essayé de comprendre pourquoi.
Ce film est accompagné d’images d’archives de l’INA et d’archives locales recueillies auprès des habitants des deux vallées.
Avec ce film, les chercheurs présentent le fruit de leur travail au grand public et en particulier aux habitants des deux vallées. Ils ont voulu, grâce à de nombreux entretiens, rendre compte du vécu des habitants après une crue et montrer les stratégies déployées par les acteurs du territoire pour faire face aux conséquences de cette crue.
▻https://blogs.univ-tlse2.fr/miroir/2024/01/23/apres-la-crue
]]>“#Villa_del_seminario”, la storia rimossa del campo di concentramento in #Maremma
Nella frazione #Roccatederighi del Comune di #Roccastrada tra la fine del 1943 e la metà del 1944 vi fu un “campo di concentramento ebraico”, come scrissero i fascisti nel contratto di affitto con un vescovo vicino al regime. Da lì si partiva per #Fossoli, direzione Auschwitz. Il romanzo dello scrittore Sacha Naspini smuove la polvere.
Roccatederighi, frazione del Comune di Roccastrada, in Maremma, tra il 28 novembre del 1943 e il 9 giugno del 1944 ospitò un campo di concentramento: vi furono rinchiusi un centinaio di ebrei, 38 dei quali poi deportati verso la Germania, da cui ritornarono solo in quattro. La struttura che ospitò il campo è la sede estiva del seminario vescovile di Grosseto, la “Villa del seminario” che dà il titolo all’ultimo romanzo di Sacha Naspini, scrittore grossetano che a Roccatederighi (che diventa Le Case in questo e in altri dei suoi libri) ha passato l’infanzia nella casa dei nonni materni.
Che cosa ti ha spinto ad affrontare la vicenda del campo di concentramento della Villa del seminario?
SN In qualche modo vengo da lì e fin da ragazzino sentivo girare per casa questa faccenda: il seminario sono due grossi edifici all’imbocco del paese, dicevano là sono successe delle cose, ma erano discorsi che sfumavano nel nulla. Prima del 2008, quando in occasione della Giornata della memoria fu messa lì una lastra commemorativa, la villa del seminario era usata per fare le scampagnate, anche le braciate del 25 aprile o del 1 maggio. Ricordo io e mio fratello, con i miei nonni che andavamo nel giardino del vescovo. Pochi sapevano, così quando è uscito il libro ho ricevuto molti messaggi o mail, da parte di persone che magari oggi hanno 75 anni, che sono nate e vivono a Roccatederighi e che di quella vicenda non ne avevano mai sentito parlare. Un uomo, che abita sulla provinciale, a cento metri dal seminario e mi ha proprio scritto: “Davvero vivo davanti a un campo di concentramento?”. Perché da lì si partiva per Fossoli (Modena), proseguendo poi per Auschwitz. E negli anni Ottanta e Novanta lì i giovani della Diocesi, anche quelli della mia generazione, facevano i campi estivi.
Sei cresciuto a Grosseto: manca ancora o si è sviluppata una memoria condivisa rispetto a quell’evento? Nel libro scrivi che la strada verso quell’edificio ormai diroccato è ancora oggi via del Seminario.
SN C’è un rimosso, io vengo da quei massi, quella bella cartolina di Maremma, rude e vera, ma anche da quel silenzio. Non tutti i rocchigiani hanno accolto bene il mio romanzo, fa parte della mentalità di paese il sentirsi attaccati o in qualche modo svestiti, spogliati da una serie di costruzioni e difese che la gente prende nei confronti dello stare al mondo in quella routine. Questo però è un caso unico nel mondo, perché nel contratto di affitto tra Alceo Ercolani (prefetto di Grosseto per la Repubblica sociale italiana) e Paolo Galeazzi, vescovo fascista, si parla apertamente di “campo di concentramento ebraico”, cose che danno un certo sgomento. Come ricordo nelle ultime pagine del romanzo, a febbraio 2022, nel giorno in cui ho chiuso le bozze del mio libro, il sindaco di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna inaugurava la piazza in ricordo di Galeazzi, di cui si ricordano pastorali di chiaro stampo fascista e passeggiate a braccetto di Benito Mussolini.
La memoria, quindi, non è né può essere condivisa.
SN Il mio libro è stato un po’ come andare a muovere polvere sotto il tappeto. C’è anche chi mi ha detto “Io non lo sapevo, quindi non è vero”, ma la realtà è che una storica, Luciana Rocchi (dal 1993 al 2016 è stata Direttrice dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea, ndr) ha scoperto negli archivi della Diocesi il contratto d’affitto, che non può essere nascosto. La notizia, frutto del lavoro di una storica, resta un po’ sottotono, in sordina. Finché un libro, “Il muro degli ebrei”, di Ariel Paggi, una ricognizione su 175 ebrei di Maremma, molti dei quali passano anche da via del Seminario, mi ha dato le mappe per scrivere davvero questa storia.
Altri particolari sono frutto della storia familiare: mia nonna mi ha raccontato in tutte le salse l’inverno durissimo del 1943, che già da novembre si annunciava così; poi la guerra, com’era avvertita in paese, con la febbre che si alzava sempre di più man mano che avanzavano gli alleati, l’organizzazione delle prime bande partigiane, ma anche le privazioni, il razionamento. Nel dicembre del 1943 il babbo della mia nonna materna è morto di “deperimento organico”, praticamente di fame, in casa. I bottegai di Roccatederighi probabilmente non ne sapevano niente, ma hanno visto arrivare intere famiglie che si facevano auto-internare, con l’idea di trascorrere alla villa del seminario quel momento particolare, lasciar passare la guerra e tornare a casa. Il vescovo è rimasto lì per tutto il tempo, scegliendo solo alla fine di salvare alcuni ebrei, tra i più benestanti, probabilmente per ottenere una “carta verde” dal nuovo governo, a cui ha poi chiesto gli arretrati per l’affitto non pagato.
Anche dopo il 2008, quand’è stata apposta la lastra, non c’è la giusta attenzione. Sono emersi negli anni alcuni progetti di rivalutazione dello stabile, per farne un albergo o un istituto per malati di Alzheimer, ma la villa resta in abbandono. È cambiata la sacralità del luogo: dormiresti in un albergo sapendo che è stato un campo di concentramento?
Uno dei protagonisti della vicenda è Boscaglia, giovanissima guida di una banda partigiana.
SN La storia di Guido Radi, “Boscaglia”, è legata a quella della partigiana Norma Parenti, due persone che vibrano ancora. Lui venne ucciso a 19 anni, il suo corpo straziato trascinato fino a Massa Marittima, dove lei andò a recuperarlo, per darne sepoltura. Sono storie che potete ritrovare, perché tutto ciò che racconto è vero, a partire dalla morte di Edoardo, il figlio di Anna, in una vicenda che richiama la strage di Istia d’Ombrone, quando 11 ragazzi vennero assassinati per rappresaglia nel marzo del 1944. All’ultima commemorazione, nel 2023, il sindaco Vivarelli Colonna, che si è presentato senza fascia tricolore, è stato contestato da cittadini che hanno assistito al comizio del sindaco girati di spalle, in silenzio.
La storia è narrata da René, un ciabattino di 50 anni che ha perso tre dita al tornio da ragazzino. Nel libro racconti la sua rivoluzione.
SN Presa coscienza del grande lavoro di Paggi ho voluto scrivere una storia creando questo cinquantenne fuori dai giochi, che ingoia tutta le cattiverie del paese a partire dai nomignoli per la sua menomazione, da Pistola a Settebello. L’ho voluto ciabattino, perché quello è un pezzo di guerra che si è combattuta tanto con i piedi. È una storia che potrei aver ascoltato in paese e che ho ritrovato in un libro di Cazzullo, “Mussolini il capobanda”, che parla di un ciabattino storpio di Roccastrada che ha fatto la Resistenza. Ho voluto raccontare la trasformazione di un personaggio passivo, spettatore del mondo, dovuto all’impatto con la storia con la “s” maiuscola: il suo impatto vero è quando uccidono Edoardo, suo figlioccio, quando l’amica amata Anna decide di andare nei boschi per continuare l’impegno di suo figlio e lascio a lui un compito. Per la prima volta si trova a modificare il suo sguardo sulle cose e su stesso. È un’epopea interiore. Si chiede che cosa vedano i ragazzi che vanno nei boschi, che cosa intuiscono, elementi che tornano anche nel personaggio di Simone.
Simone, che diventa amico di Renè, è un giovane soldato che pare appoggiare la resistenza. Come l’hai costruito?
SN Per costruire il suo personaggio mi sono agganciato alle testimonianze dei ragazzi che si ritrovavano ingabbiati in un’uniforme che non sentivano più loro. Il calvario di Simone lo porta a dire “preferisco morire dalla parte sbagliata”. Oggi mi piace trasmettere questi fuochi, quella brama di futuro ai ragazzi che incontro nelle scuole, che si infervorano di fronte a vicende che riguardano loro coetanei. Ogni romanzo offre un’immersione in una circostanza accompagnata da un’emotività particolare. “Boscaglia” aveva 19 anni quando è morto, 18 quando era andato in montagna, non lascia indifferente un ragazzo di quinta superiore.
▻https://altreconomia.it/villa-del-seminario-la-storia-rimossa-del-campo-di-concentramento-in-ma
#Italie #camp_de_concentration #deuxième_guerre_mondiale #seconde_guerre_mondiale #shoah #histoire #déportation #Auschwitz #mémoire
Chile searches for those missing from Pinochet dictatorship with the help of artificial intelligence
At the end of August, Chilean president Gabriel Boric launched the Search Plan for more than 1,000 Chileans. Today, old judicial documents, many typewritten, have been digitized to apply cutting edge technology and cross-reference data.
On Monday 15 January, at the inauguration of the “Congress of the Future” in Santiago, President Gabriel Boric stated that artificial intelligence, the theme of the 13th version of the conference, “will play an important role in the search for our #missing detainees.” He was referring to the #Search_Plan to find over 1,000 individuals who were victims of the Augusto Pinochet dictatorship (1973-1990), which his Administration presented on August 30, 2023, on the eve of the September 11 commemoration of the 50th anniversary of the coup d’état that ousted Salvador Allende, the socialist president.
The plan, spearheaded by Justice Minister Luis Cordero, is an initiative that is intended to become a permanent State policy. According to Justice data, after the dictatorship in Chile there were 1,469 victims of forced disappearance and of these, 1,092 are missing detainees, while 377, who were executed, are missing as well. So far only 307 have been identified.
To embark on this new search, which has already been initiated by the courts, Cordero tells EL PAÍS that he is working with two main sources. On the one hand, the judicial investigations, which comprise millions of pages. And on the other, the administrative records of the cases that are scattered around state agencies. These include the Human Rights Program, created in 1997, which falls under the Ministry of Justice, as well as previous investigations in military Prosecutor’s Offices (which used to close the cases) and the files that provided the basis for the 1991 National Commission for Truth and Reconciliation Report, driven by the former president, Patricio Aylwin (1990-1994), and in which an account of the victims was given for the first time.
Typewritten documents
Unsholster, a company specialized in data analysis, data science and software development, whose general manager is the civil engineer Antonio Díaz-Araujo, is behind the technological analysis of the information. The Human Rights Program has already digitalized the information, while the Judicial Branch is 80% digitalized. The firm was awarded the project in a bidding process in the context of the Search Plan — it is in charge of the implementation of artificial intelligence.
Something of relevance in this investigation is that the judicial files, separated according to each case, were processed in the old Chilean justice system (changed in 2005), which implies that the judges’ inquiries are on paper — most of them have the pages sewn into a notebook by hand, written on typewriters, and there are even several handwritten parts. These are the ones containing statements, black and white photographs, photocopies of photos, forensic reports and old police reports.
However, in addition, the judicial inquiries that have been undertaken since 2000 will provide a more up-to-date and crucial basis of information in the analysis. Since then, hundreds of cases that had been shelved during the dictatorship have been reopened by judges with exclusive dedication to cases of human rights violations with sentences.
Cordero points out that “there is a lot of information in the hands of the State and there is no human capacity to process it, because it needs to be interconnected. For example, there are testimonies that appear in some files and not in others. And, in addition, depending on the judges, there were lines of investigation, so there may have been precedents that were useful for some and not for others.” For this reason, the justice minister says artificial intelligence can play a key role, as he believes that in these cases, the cross-referencing of information will be crucial.
“All that information is in judicial and administrative files, and what digitization accomplishes first is to integrate them in one place. And then to work with artificial intelligence, which allows us to reduce the investigation gaps using algorithms, which are being tested, and which can read, for example, dates, names, places, for instance, in those files,” the minister adds.
4.7 million pages and counting
Unsholster is currently in the pre-project stage, before it starts programming, Díaz-Araujo explains to EL PAÍS. “But we have already touched on most of the file types that we will need to deal with,” he says. The documents that have been coming in, scanned sheet by sheet, are in folders, in PDF format, and therefore do not correspond to a logic that allows data to be searched because they are recorded as images. For this reason, the first step has been to start applying OCR (Optical Character Recognition) technology so that they can be transformed into data.
They already have information — which does not yet include the thousands of files of the Judicial Branch — totaling 46,768 PDF files, which amounts to more than 4.7 million pages. “If a person were to read every one of those pages, out loud and without understanding or relating facts, they would probably spend eight hours a day reading for 27 years,” explains the civil engineer.
Once those files are moved to pages, Díaz-Araujo says, “a big classification tree is created, which allows you to classify pages that have images, manuscripts, typewritten pages, or Word-style files. And then you start to apply, on each one of them, the best OCR” for each type of page, because the key, he adds, lies in “what material is brought to each one.”
Another stage, he explains, is to create different types of dictionaries and entities “that can be learned with use.” For example, nicknames of people, places, streets (many have changed names since the dictatorship), ways of writing and dates.
This implies, he says, creating a topology of entities in the reading, using technology, of each of the texts “that is capable of rapidly correlating different pages, people, places and dates in a highly flexible way.” He gives an example: “Many of the offenders may have nicknames, and several of them may be written in different ways, but that doesn’t mean that they won’t be linked. What you do is create technology that is capable of suggesting other correlations to the analyst as they occur over time.”
Therefore, he elaborates, “there is artificial intelligence in the classification of documents; there is high intelligence in transforming documents from an image to searchable data and then, there is a lot of it, in the creation of entities that enable the connection of some documents with others. And, finally, the most necessary thing in a platform is that it should be about the possibility of competing algorithms, with artificial intelligence or without, on this data. But it should not be bound to a technology, because the biggest issue is being open to new technologies of the future. If you keep it closed, it becomes a stumbling block.”
He continues: “Another key point of this platform is that the original data, and the transformed data, are retained. But you can continue to create other data on top of that. There is no time machine that kind of freezes the ability to produce more algorithms and more information with new platforms in the future.”
Contreras and Krassnoff
Five months after technology was first applied to the nearly 47,000 documents of Unsholster’s Human Rights Program, it is already possible, thanks to the implementation of the initial OCR on the identification documents, to find thousands of mentions of at least four military officers who were part of Pinochet’s secret police, the feared DINA (National Intelligence Directorate).
Manuel Contreras, its director general, sentenced at the time of his death in 2015 to 526 years in prison for hundreds of crimes, appears 2,800 times; Pedro Espinoza and Miguel Krassnoff, both serving sentences in Punta Peuco prison, 2,079 and 2,954 mentions, respectively. And Marcelo Moren Brito, who was the torturer of Ángela Jeria, the mother of former socialist president, Michelle Bachelet, 2,284 times.
For now they are only mentions. But from now on, names, facts, dates and places can be linked and related, says Díaz-Araujo.
▻https://english.elpais.com/international/2024-01-18/chile-searches-for-those-missing-from-pinochet-dictatorship-with-the
#Chili #intelligence_artificielle #identification #fosses_communes #dictature #AI #IA
]]>Du monde qui va au Fosdem 2024 ?
Allez, c’est un des derniers forum d’informatique avec l’esprit comme dans les années 2000, velu (c’est mixte) et rigolard.
On le regrettera quand il n’existera plus ou sera devenu une World Conference comme une autre, pleine de boites, de recruteurs et de tunasse (par exemple type CES).
C’est un peu comme le Capitole du Libre de Toulouse, en bien bien plus grand.
▻https://fosdem.org/2024/schedule
#fosdem #logiciel_libre #bruxelles #free #fosdem2024 @stephane
More than 1,000 unmarked graves discovered along EU migration routes
Bodies also piling up in morgues across continent as countries accused of failing to meet human rights obligations.
Refugees and migrants are being buried in unmarked graves across the European Union at a scale that is unprecedented outside of war.
The Guardian can reveal that at least 1,015 men, women and children who died at the borders of Europe in the past decade were buried before they were identified.
They lie in stark, often blank graves along the borders – rough white stones overgrown with weeds in Sidiro cemetery in Greece; crude wooden crosses on Lampedusa in Italy; in northern France faceless slabs marked simply “Monsieur X”; in Poland and Croatia plaques reading “NN” for name unknown.
On the Spanish island of Gran Canaria, one grave states: “Migrant boat number 4. 25/09/2022.”
The European parliament passed a resolution in 2021 that called for people who die on migration routes to be identified and recognised the need for a coordinated database to collect details of the bodies.
But across European countries the issue remains a legislative void, with no centralised data, nor any uniform process for dealing with the bodies.
Working with forensic scientists from the International Committee of the Red Cross (ICRC) and other researchers, NGOs and pathologists, the Guardian and a consortium of reporters pieced together for the first time the number of migrants and refugees who died in the past decade along the EU’s borders whose names remain unknown. At least 2,162 bodies have still not been identified.
Some of these bodies are piling up in morgues, funeral parlours and even shipping containers across the continent. Visiting 24 cemeteries and working with researchers, the team found more than 1,000 nameless graves.
These, however, are the tip of the iceberg. More than 29,000 people died on European migration routes in this period, the majority of whom remain missing.
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What is the border graves project?
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About the investigation
The Guardian teamed up with Süddeutsche Zeitung and eight reporters from the Border Graves Investigation who received funding from Investigative Journalism for Europe and Journalismfund Europe.
We worked with researchers at the International Committee of the Red Cross who shared exclusively their most up-to-date findings on migrant and refugee deaths registered in Spain, Malta, Greece and Italy between 2014 and 2021.
Other partners included Marijana Hameršak of the European Irregularized Migration Regime at the Periphery of the EU (ERIM) project in Croatia, Grupa Granica and Podlaskie Humanitarian Emergency Service (POPH) in Poland and Sienos Grupė in Lithuania. The journalist Maël Galisson provided data for France.
Reporters and researchers also checked death registers, interviewed prosecutors and spoke to local authorities and morgue directors, as well as visiting two dozen cemeteries to track the number of unidentified migrants and refugees who have died trying to cross into the EU in the past decade and find their graves.
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The problem is “utterly neglected”, according to Europe’s commissioner for human rights, Dunja Mijatović, who has said EU countries are failing in their obligations under international human rights law.
“The tools are there. We have the agencies and the forensic experts, but they need to be engaged [by governments],” she said. The rise of the hard right and a lack of political will were likely to further impede the development of a proper system to address “the tragedy of missing migrants”, she added.
Instead, pockets of work happen at a local level. Pathologists, for example, collect DNA samples and the few personal items found on the bodies. The clues to lives lost are meagre: loose change in foreign currency, prayer beads, a Manchester United souvenir badge.
The lack of coordination leaves bewildered families struggling to navigate localised, often foreign bureaucracy in the search for lost relatives.
Supporting them falls to aid organisations such as the ICRC, which has recorded 16,500 requests since 2013 for information to its programme for restoring family links from people looking for relatives who went missing en route to Europe. The largest number of requests have come from Afghans, Iraqis, Somalians, Guineans and people from the Democratic Republic of the Congo, Eritrea and Syria. Only 285 successful matches have been achieved.
And now even some of this support is about to disappear. As governments cut their aid budgets, the ICRC has been forced to refocus its reduced resources. National Red Cross agencies will continue the family links programme but much of the ICRC’s work training police and local authorities is being cut.
A race against time
The mini set of scissors and comb worn on a chain were unique to 24-year-old Oussama Tayeb, a small talisman that reflected his job as a barber. For his cousin Abdallah, they were the hope that he had been found.
Tayeb set sail last year from the north-west of Algeria just before 8pm on Christmas Day. Onboard with him were 22 neighbours who had clubbed together to pay for the boat they had hoped would take them to Spain.
His family has been searching for him since. Abdallah, who lives in France, fears it is a race against time.
Spanish police introduced a database in 2007 in which data and genetic samples from unidentified remains are meant to be logged. In practice, the system breaks down when it comes to families searching for missing relatives, who have no clear information about how to access it.
The family had provided a DNA sample soon after Tayeb’s disappearance. With no news by February, they travelled to southern Spain for a second time to search for him. At the morgue in Almería, a forensic doctor reacted to Tayeb’s photo, saying he looked familiar. She recalled a necklace, but said the man she was thinking of was believed to have died in a jet ski accident.
“It was a really intense moment because we knew that Oussama was wearing a jet ski lifejacket,” Abdallah said.
Even with the knowledge that Tayeb’s body may have been found, his cousin was unable to see the corpse lying in the morgue without a police officer. Abdallah remembered the shocking callousness with which he was greeted at one of the many police stations he tried. “One policeman told us that if ‘they don’t want to disappear, they shouldn’t have taken a boat to Spain’.”
Looming over Abdallah’s continuing search is a practical pressure mentioned by the Spanish pathologist: bodies in the morgue are usually kept for a year and then buried, whether identified or not. “We only want an answer. If we see the chain, this would be like a death certificate. It’s so heartbreaking. It’s like we’re leaving Oussama in the fridge and we can’t do anything about it,” he said.
‘Here lies a brother who lost his life’
The local authorities that receive the most bodies are often on small islands and are increasingly saying they cannot cope.
They warn that an already inadequate system is going backwards. Spain’s Canary Islands have reported a record 35,410 men, women and children reaching the archipelago by boat this year. In recent months, most of these vessels have sought to land on the tiny, remote island of El Hierro. In the past six weeks alone, seven unidentified people were buried on the island.
The burial vaults of 15 unidentified people who were found dead on a rickety wooden vessel in 2020, in the town of Agüimes on Gran Canaria, bear identical plaques that read simply: “Here lies a brother who lost his life trying to reach our shores.”
In the Muslim section of Lanzarote’s Teguise cemetery, the graves of children are marked with circles of stones. They include the grave of a baby believed to have been stillborn on a deadly crossing from Morocco in 2020. Alhassane Bangoura’s body was separated from his mother during the rescue and was buried in an unmarked grave. His name is only recorded informally, engraved on a bowl by locals moved by his plight.
It is the same story in the other countries at the edge of the EU; unmarked graves dotted along their frontiers standing testament to the crisis. Along the land borders, in Croatia, Poland, Lithuania, the numbers of unmarked graves are fewer but still they are there, blank stones or sometimes an NN marked on plaques.
In France, the anonymous inscription “X” stands out in cemeteries in Calais. The numbers seem low compared with those found along the southern coastal borders: 35 out of 242 migrants and refugees who died on the Franco-British border since 2014 remain unidentified. The high proportion of the dead identified reflects the fact that people spend time waiting before attempting the Channel crossing so there are often contacts still in France able to name those who die.
Fragments of hope
Leaked footage of Polish border guards laughing at a young man hanging upside down, trapped by his foot, stuck in the razor wire on the top of the 180km (110-mile) steel border fence separating Belarus from Poland caused a brief social media storm.
But the moment he is caught in the searchlights, his frightened face briefly frozen, has haunted 50-year-old Kafya Rachid for the past year. She is sure the man is her missing child, Mohammed Sabah, who was 22 when she last saw him alive.
Sabah had flown from his home in Iraqi Kurdistan in the autumn of 2021 to Belarus, for which he had a visa. He was successfully taken across the EU border by smugglers but was detained about 50km (30 miles) into Poland and deported back to Belarus.
Waiting to cross again, his messages suddenly stopped. The family had been coming to terms with the fact he was probably dead. Then the video surfaced. With little else to go on, fragments such as this give families hope.
Sabah’s parents, as so often happens, were unable to get visas to travel to the EU. Instead, Rekaut Rachid, an uncle of Sabah who has lived in London since 1999, has made three trips to Poland to try to find him.
Rachid believes the Polish authorities lied to him when they told him the man in the video was Egyptian, and this keeps him searching. “They are hiding something. Five per cent of me thinks maybe he died. But 95% of me thinks he is in prison somewhere in Poland,” he said, adding: “My sister calls every day to ask if I think he is still alive. I don’t know how to answer.”
Shipping container morgues
In a corner of the hospital car park in the Greek city of Alexandroupolis, two battered refrigerated shipping containers stand next to some rubbish bins. Inside are the bodies of 40 people.
The border from Turkey into Greece over the Evros River nearby is only a 10- to 20-minute crossing, but people cross at night when their small rubber boats can easily hit a tree and capsize. Corpses decompose quickly in the riverbed mud, so that facial characteristics, clothing and any documents that might help identify them are rapidly destroyed.
Twenty of the corpses in the containers are the charred remains of migrants who died in wildfires that consumed this part of Greece during the summer’s heatwave. Identification has proved exceptionally difficult, with only four of the dead named to date.
Prof Pavlos Pavlidis, the forensic pathologist for the area, works to determine the cause of death, to collect DNA samples and to catalogue any personal effects that might help relatives identify their loved ones at a later date.
The temporary container morgues in Alexandroupolis are on loan from the ICRC. The humanitarian agency has loaned another container to the island of Lesbos, another migration hotspot, for the same purpose.
Lampedusa does not have that luxury. “There are no morgues and no refrigerated units,” said Salvatore Vella, the Sicilian head prosecutor who leads investigations into shipwrecks off its coast. “Once placed in body bags, the bodies of migrants are transferred to Sicily. Burial is managed by individual towns. It has happened that migrants have sometimes been buried in sort of mass graves within cemeteries.”
The scale of the problem was becoming so acute, said Filippo Furri, an anthropologist and an associate researcher at Mecmi, a group that examines deaths during migration, that “there have been cases of coffins abandoned in cemetery warehouses due to lack of space, or bodies that remain in hospital morgues”.
‘It’s not only a technical difficulty but also a political one’
“If you count the relatives of those who are missing, hundreds of thousands of people are impacted. They don’t know where their loved ones are. Were they well treated, were they respected when they were buried? That’s what preys on families’ minds,” said Laurel Clegg, the ICRC forensic coordinator for migration in Europe. “We have an obligation to provide the dead with a dignified burial; and [to address] the other side, providing answers to families through identification of the dead.”
She said keeping track of the dead relied on lots of parts working well together: a legal framework that protected the unidentified dead, consistent postmortems, morgues, registries, dignified transport and cemeteries.
The systems are inadequate, however, despite the EU parliament resolution. There are still no common rules about what information should be collected, nor a centralised place to store this information. The political focus is on catching the smugglers rather than finding out who their victims are.
A spokesperson for the European Commission said the rights and dignity of refugees and migrants had to be addressed alongside tackling people smuggling. They said each member state was responsible individually for how it dealt with those who died on its borders, but that the commission was working to improve coordination and protocols and “regrets the loss of every human life” .
In Italy, significant efforts have been made to identify the dead from a couple of well-reported, large-scale disasters. Cristina Cattaneo, the head of the laboratory of forensic anthropology and odontology (Labanof) at the University of Milan, has spent years working to identify the dead from a shipwreck in 2015 in which more than 1,000 people lost their lives.
Raising the wreck to retrieve the bodies has cost €9.5m (£8.1m) already. Organising the 30,000 mixed bones into identifiable remains of 528 bodies has been a herculean task. Only six victims have so far been issued official death certificates.
As political positions on irregular migration have hardened, experts are finding official enthusiasm for their complex work has diminished. “It’s not only a technical difficulty but also a political one,” Cattaneo said.
In Sicily, Vella has been investigating a fishing boat that sank in October 2019. It was carrying 49 people, mostly from Tunisia. Just a few miles off shore, a group onboard filmed themselves celebrating their imminent arrival in Europe before the boat ran out of fuel and capsized. The Italian coastguard rescued 22 people but 27 others lost their lives.
Coastguard divers, using robots, captured images of bodies floating near the vessel, but were unable to recover all of them. The footage circulated around the world. A group of Tunisian women who had been searching for their sons contacted the Italian authorities and were given permits to travel to meet the prosecutor, who showed them more footage.
One mother, Zakia Hamidi, recognised her 18-year-old son, Fheker. It was a searing experience for both her and Vella: “At that moment, I realised the difference between a mother, torn apart by grief, but who at least will return home with her child’s body, and those mothers who will not have a body to mourn. It is something heartbreaking.”
The torture of not knowing
The grief that people feel when they have no certainty about the fate of their missing relatives has a very particular intensity.
Dr Pauline Boss, professor emeritus of psychology at the University of Minnesota in the US, was the first to describe this “ambiguous loss”. “You are stuck, immobilised, you feel guilty if you begin again because that would mean accepting the person is dead. Grieving is frozen, your decision-making is frozen, you can’t work out the facts, can’t answer the questions,” she said.
Not knowing often has severe practical consequences too. Spouses may not be able to exercise their parental rights, inherit assets or claim welfare support or pensions without a death certificate. Orphans cannot be adopted by extended family without one either.
Sometimes relatives are left in the dark for years. A decade on from a shipwreck disaster in 2013, bereaved families continue to gather in Lampedusa every year, still searching for answers. Among them this year was a Syrian woman, Sabah al-Joury, whose son Abdulqader was on the boat. She said that not knowing where he ended up was like having “an open wound”.
Sabah’s family said the torture of not being able to find out what happened to him was “like dying everyday”. Abdallah thinks he must make another trip from Paris to southern Spain before the end of the year. “What is difficult is not to have the body, not to be able to bury him,” he said.
Rituals around death were indicative of a deep human need, said Boss. “The most important thing is for the name to be marked somewhere, so the family can visit, and the missing can be remembered. A name means you were on this Earth, not forgotten.”
▻https://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2023/dec/08/revealed-more-than-1000-unmarked-graves-discovered-along-eu-migration-r
#migrations #asile #réfugiés #frontières #mourir_aux_frontières #tombes #fosses_communes #Europe #morts_aux_frontières #enterrement #cimetières #morgues #chiffres
]]>#Taux_de_change : retour sur la politique israélienne des #otages
Eyal Weizman, fondateur du collectif Forensic Architecture, revient sur la manière dont les #civils installés autour de #Gaza ont servi de « #mur_vivant » lors des massacres du 7 octobre perpétrés par le #Hamas, et retrace l’évolution de la politique israélienne à l’égard des otages.
Au printemps 1956, huit ans après la Nakba (un terme arabe qui désigne « la catastrophe » ou « le désastre » que fut pour les Palestiniens la création d’Israël), un groupe de fedayins palestiniens franchit le fossé qui sépare Gaza de l’État d’Israël. D’un côté se trouvent 300 000 Palestiniens, dont 200 000 réfugiés expulsés de la région ; de l’autre, une poignée de nouvelles installations israéliennes. Les combattants palestiniens tentent de pénétrer dans le kibboutz de Nahal Oz, tuent Roi Rotberg, un agent de sécurité, et emportent son corps à Gaza, mais le rendent après l’intervention des Nations unies.
#Moshe_Dayan, alors chef de l’état-major général d’Israël, se trouvait par hasard sur place pour un mariage et a demandé à prononcer, le soir suivant, l’éloge funèbre de Rotber. Parlant des hommes qui ont tué #Rotberg, il a demandé : « Pourquoi devrions-nous nous plaindre de la #haine qu’ils nous portent ? Pendant huit ans, ils se sont assis dans les camps de réfugiés de Gaza et ont vu de leurs yeux comment nous avons transformé les terres et les villages où eux et leurs ancêtres vivaient autrefois. » Cette reconnaissance de ce que les Palestiniens avaient perdu, les hommes politiques israéliens d’aujourd’hui ne peuvent plus se permettre de l’exprimer. Mais Dayan ne défendait pas le #droit_au_retour : il a terminé son discours en affirmant que les Israéliens devaient se préparer à une #guerre_permanente et amère, dans laquelle ce qu’Israël appelait les « #installations_frontalières » joueraient un rôle majeur.
Au fil des ans, le #fossé s’est transformé en un système complexe de #fortifications - une #zone_tampon de 300 mètres, où plus de deux cents manifestants palestiniens ont été tués par balle en 2018 et 2019 et des milliers d’autres blessés, plusieurs couches de #clôtures en barbelés, des #murs en béton s’étendant sous terre, des mitrailleuses télécommandées - et des équipements de #surveillance, dont des tours de guet, des caméras de vidéosurveillance, des capteurs radar et des ballons espions. À cela s’ajoute une série de #bases_militaires, dont certaines situées à proximité ou à l’intérieur des installations civiles qui forment ce que l’on appelle l’#enveloppe_de_Gaza.
Empêcher le retour des réfugiés
Le #7_octobre_2023, lors d’une attaque coordonnée, le Hamas a frappé tous les éléments de ce système interconnecté. #Nahal_Oz, l’installation la plus proche de la clôture, a été l’un des points névralgiques de l’attaque. Le terme « #Nahal » fait référence à l’unité militaire qui a créé les installations frontalières. Les installations du Nahal ont débuté comme des avant-postes militaires et sont devenues des villages civils, principalement de type #kibboutz. Mais la transformation n’est jamais achevée et certains résidents sont censés se comporter en défenseurs quand la communauté est attaquée.
La « #terre_des_absents » a été la #tabula_rasa sur laquelle les planificateurs israéliens ont dessiné le projet des colons sionistes après les expulsions de 1948. Son architecte en chef était #Arieh_Sharon, diplômé du Bauhaus, qui a étudié avec Walter Gropius et Hannes Meyer avant de s’installer en Palestine en 1931, où il a construit des lotissements, des coopératives de travailleurs, des hôpitaux et des cinémas. Lors de la création de l’État d’Israël, David Ben Gourion l’a nommé à la tête du département de planification du gouvernement. Dans The Object of Zionism (2018), l’historien de l’architecture Zvi Efrat explique que, bien que le plan directeur de Sharon soit fondé sur les principes les plus récents du design moderniste, il avait plusieurs autres objectifs : fournir des logements aux vagues d’immigrants arrivés après la Seconde Guerre mondiale, déplacer les populations juives du centre vers la périphérie, sécuriser la frontière et occuper le territoire afin de rendre plus difficile le retour des réfugiés.
Dans les années 1950 et 1960, le #plan_directeur de Sharon et de ses successeurs a conduit à la construction, dans les « #zones_frontalières », définies à l’époque comme représentant environ 40 % du pays, de centres régionaux ou « #villes_de_développement » qui desservaient une constellation d’#implantations_agraires. Ces villes de développement devaient accueillir les immigrants juifs d’Afrique du Nord – les Juifs arabes – qui allaient être prolétarisés et devenir des ouvriers d’usine. Les implantations agraires de type kibboutz et #moshav étaient destinées aux pionniers du #mouvement_ouvrier, principalement d’Europe de l’Est. Les #terres appartenant aux villages palestiniens de #Dayr_Sunayd, #Simsim, #Najd, #Huj, #Al_Huhrraqa, #Al_Zurai’y, #Abu_Sitta, #Wuhaidat, ainsi qu’aux tribus bédouines #Tarabin et #Hanajre, sont occupées par les villes de développement #Sderot et #Ofakim et les kibboutzim de #Re’im, #Mefalsim, #Kissufim et #Erez. Toutes ces installations ont été visées le 7 octobre.
La première #clôture
À la suite de l’#occupation_israélienne de 1967, le gouvernement a établi des installations entre les principaux centres de population palestinienne à Gaza même, dont la plus grande était #Gush_Katif, près de Rafah, à la frontière égyptienne ; au total, les #colonies israéliennes couvraient 20 % du territoire de Gaza. Au début des années 1980, la région de Gaza et ses environs a également accueilli de nombreux Israéliens évacués du Sinaï après l’accord de paix avec l’Égypte.
La première clôture autour du territoire a été construite entre 1994 et 1996, période considérée comme l’apogée du « #processus_de_paix ». Gaza était désormais isolée du reste du monde. Lorsque, en réponse à la résistance palestinienne, les colonies israéliennes de Gaza ont été démantelées en 2005, certaines des personnes évacuées ont choisi de s’installer près des frontières de Gaza. Un deuxième système de clôture, plus évolué, a été achevé peu après. En 2007, un an après la prise de pouvoir du Hamas à Gaza, Israël a entamé un #siège à grande échelle, contrôlant et limitant les flux entrants de produits vitaux - #nourriture, #médicaments, #électricité et #essence.
L’#armée_israélienne a fixé les privations à un niveau tel que la vie à Gaza s’en trouve presque complètement paralysée. Associé à une série de campagnes de #bombardements qui, selon les Nations unies, ont causé la mort de 3 500 Palestiniens entre 2008 et septembre 2023, le siège a provoqué une #catastrophe_humanitaire d’une ampleur sans précédent : les institutions civiles, les hôpitaux, les systèmes d’approvisionnement en eau et d’hygiène sont à peine capables de fonctionner et l’électricité n’est disponible que pendant la moitié de la journée environ. Près de la moitié de la population de Gaza est au #chômage et plus de 80 % dépend de l’#aide pour satisfaire ses besoins essentiels.
L’enveloppe de Gaza
Le gouvernement israélien offre de généreux #avantages_fiscaux (une réduction de 20 % de l’impôt sur le revenu par exemple) aux habitants des installations autour de Gaza, dont beaucoup longent une route parallèle à la ligne de démarcation, à quelques kilomètres de celle-ci. L’enveloppe de Gaza comprend 58 installations situées à moins de 10 km de la frontière et comptant 70 000 habitants. Au cours des dix-sept années depuis la prise de pouvoir par le Hamas, malgré les tirs sporadiques de roquettes et de mortiers palestiniens et les bombardements israéliens sur le territoire situé à quelques kilomètres de là, les installations n’ont cessé d’augmenter. La hausse des prix de l’immobilier dans la région de Tel-Aviv et les collines ouvertes de la région (que les agents immobiliers appellent la « Toscane du nord du Néguev ») a entraîné un afflux de la classe moyenne.
De l’autre côté de la barrière, les conditions se sont détériorées de manière inversement proportionnelle à la prospérité croissante de la région. Les installations sont un élément central du système d’#enfermement imposé à Gaza, mais leurs habitants tendent à différer des colons religieux de Cisjordanie. Démontrant l’aveuglement partiel de la gauche israélienne, certaines personnes installées dans le Néguev sont impliquées dans le #mouvement_pacifiste.
Le 7 octobre, les combattants du Hamas ont forcé les éléments interconnectés du réseau de siège. Des tireurs d’élite ont tiré sur les caméras qui surplombent la zone interdite et ont lancé des grenades sur les #tours_de_communication. Des barrages de roquettes ont saturé l’#espace_radar. Plutôt que de creuser des tunnels sous les clôtures, les combattants sont venus par le sol. Les observateurs israéliens ne les ont pas vus ou n’ont pas pu communiquer assez rapidement ce qu’ils ont vu.
Les combattants ont fait sauter ou ouvert quelques douzaines de brèches dans la clôture, élargies par les bulldozers palestiniens. Certains combattants du Hamas ont utilisé des parapentes pour franchir la frontière. Plus d’un millier d’entre eux ont pris d’assaut les bases militaires. L’armée israélienne, aveuglée et muette, n’a pas de vision claire du champ de bataille et les détachements mettent des heures à arriver. Des images incroyables sont apparues sur Internet : des adolescents palestiniens ont suivi les combattants à vélo ou à cheval, sur une terre dont ils avaient peut-être entendu parler par leurs grands-parents, maintenant transformée au point d’en être méconnaissable.
Les #massacres du 7 octobre
Les événements auraient pu s’arrêter là, mais ce ne fut pas le cas. Après les bases, ce furent les installations, les horribles massacres maison par maison, et le meurtre d’adolescents lors d’une fête. Des familles ont été brûlées ou abattues dans leurs maisons, des civils incluant des enfants et des personnes âgées ont été prises en otage. Au total, les combattants ont tué environ 1 300 civils et soldats. Plus de 200 personnes ont été capturées et emmenées à Gaza. Jusqu’alors, rien, dans la #violence ni la #répression, n’avait rendu de tels actes inévitables ou justifiés.
Israël a mis des décennies à brouiller la ligne de démarcation entre les fonctions civiles et militaires des installations, mais cette ligne a aujourd’hui été brouillée d’une manière jamais envisagée par le gouvernement israélien. Les habitants civils cooptés pour faire partie du mur vivant de l’enveloppe de Gaza ont subi le pire des deux mondes. Ils ne pouvaient pas se défendre comme des soldats et n’étaient pas protégés comme des civils.
Les images des installations dévastées ont permis à l’armée israélienne d’obtenir carte blanche de la part de la communauté internationale et de lever les restrictions qui avaient pu être imposées précédemment. Les hommes politiques israéliens ont appelé à la #vengeance, avec un langage explicite et annihilationiste. Les commentateurs ont déclaré que Gaza devrait être « rayée de la surface de la Terre » et que « l’heure de la Nakba 2 a sonné ». #Revital_Gottlieb, membre du Likoud à la Knesset, a tweeté : « Abattez les bâtiments ! Bombardez sans distinction ! Assez de cette impuissance. Vous le pouvez. Il y a une légitimité mondiale ! Détruisez Gaza. Sans pitié ! »
L’échange de prisonniers
Les otages civils des installations dont Israël a fait un « mur vivant » sont devenus pour le Hamas un #bouclier_humain et des atouts pour la #négociation. Quelle que soit la façon dont le #conflit se termine, que le Hamas soit ou non au pouvoir (et je parie sur la première solution), Israël ne pourra pas éviter de négocier l’#échange_de_prisonniers. Pour le Hamas, il s’agit des 6 000 Palestiniens actuellement dans les prisons israéliennes, dont beaucoup sont en #détention_administrative sans procès. La prise en otages d’Israéliens a occupé une place centrale dans la #lutte_armée palestinienne tout au long des 75 années de conflit. Avec des otages, l’#OLP et d’autres groupes cherchaient à contraindre Israël à reconnaître implicitement l’existence d’une nation palestinienne.
Dans les années 1960, la position israélienne consistait à nier l’existence d’un peuple palestinien, et donc qu’il était logiquement impossible de reconnaître l’OLP comme son représentant légitime. Ce déni signifiait également qu’il n’y avait pas à reconnaître les combattants palestiniens comme des combattants légitimes au regard du droit international, et donc leur accorder le statut de #prisonniers_de_guerre conformément aux conventions de Genève. Les Palestiniens capturés étaient maintenus dans un #vide_juridique, un peu comme les « combattants illégaux » de l’après 11-septembre.
En juillet 1968, le Front populaire de libération de la Palestine (FPLP) a détourné un vol d’El-Al et l’a fait atterrir en Algérie, inaugurant une série de détournements, dont l’objectif explicite était la libération de prisonniers palestiniens. L’incident d’Algérie a conduit à l’échange de 22 otages israéliens contre 16 prisonniers palestiniens, bien que le gouvernement israélien ait nié un tel accord. Seize contre 22 : ce taux d’échange n’allait pas durer longtemps. En septembre 1982, après l’invasion du Liban par Israël, le Commandement général du FPLP d’Ahmed Jibril a capturé trois soldats de l’armée israélienne ; trois ans plus tard, dans le cadre de ce qui a été appelé l’accord Jibril, Israël et le FPLP-CG sont finalement parvenus à un accord d’échange de prisonniers : trois soldats contre 1 150 prisonniers palestiniens. Dans l’accord de 2011 pour la libération de Gilad Shalit, capturé par le Hamas en 2006, le taux d’échange était encore plus favorable aux Palestiniens : 1 027 prisonniers pour un seul soldat israélien.
Directive Hannibal
Anticipant de devoir conclure de nombreux accords de ce type, Israël s’est mis à arrêter arbitrairement davantage de Palestiniens, y compris des mineurs, afin d’augmenter ses atouts en vue d’un échange futur. Il a également conservé les corps de combattants palestiniens, qui devaient être restitués dans le cadre d’un éventuel échange. Tout cela renforce l’idée que la vie d’un colonisateur vaut mille fois plus que la vie d’un colonisé, calcul qui évoque inévitablement l’histoire du #colonialisme et du commerce d’êtres humains. Mais ici, le taux de change est mobilisé par les Palestiniens pour inverser la profonde asymétrie coloniale structurelle.
Tous les États ne traitent pas de la même manière la capture de leurs soldats et de leurs citoyens. Les Européens et les Japonais procèdent généralement à des échanges secrets de prisonniers ou négocient des rançons. Les États-Unis et le Royaume-Uni affirment publiquement qu’ils ne négocient pas et n’accèdent pas aux demandes des ravisseurs et, bien qu’ils n’aient pas toujours respecté cette règle à la lettre, ils ont privilégié l’abstention et le silence lorsqu’une opération de sauvetage semblait impossible.
Cette attitude est considérée comme un « moindre mal » et fait partie de ce que les théoriciens des jeux militaires appellent le « jeu répété » : chaque action est évaluée en fonction de ses éventuelles conséquences à long terme, les avantages d’obtenir la libération d’un prisonnier étant mis en balance avec le risque que l’échange aboutisse à l’avenir à la capture d’autres soldats ou civils.
Lorsqu’un Israélien est capturé, sa famille, ses amis et ses partisans descendent dans la rue pour faire campagne en faveur de sa libération. Le plus souvent, le gouvernement y consent et conclut un accord. L’armée israélienne déconseille généralement au gouvernement de conclure des accords d’échange, soulignant le risque pour la sécurité que représentent les captifs libérés, en particulier les commandants de haut rang, et la probabilité qu’ils encouragent les combattants palestiniens à prendre davantage d’otages. Yahya Sinwar, qui est aujourd’hui le chef du Hamas, a été libéré dans le cadre de l’#accord_Shalit. Une importante campagne civile contre ces échanges a été menée par le mouvement religieux de colons #Gush_Emunim, qui y voyait une manifestation de la fragilité de la société « laïque et libérale » d’Israël.
En 1986, à la suite de l’#accord_Jibril, l’armée israélienne a publié la directive controversée Hannibal, un ordre opérationnel secret conçu pour être invoqué lors de la capture d’un soldat israélien par une force armée irrégulière. L’armée a nié cette interprétation, mais les soldats israéliens l’ont comprise comme une autorisation de tuer un camarade avant qu’il ne soit fait prisonnier. En 1999, #Shaul_Mofaz, alors chef de l’état-major général, a expliqué cette politique en ces termes : « Avec toute la douleur que cela implique, un soldat enlevé, contrairement à un soldat tué, est un problème national. »
Bien que l’armée ait affirmé que le nom de la directive avait été choisi au hasard par un programme informatique, il est tout à fait approprié. Le général carthaginois Hannibal Barca s’est suicidé en 181 avant J.-C. pour ne pas tomber aux mains des Romains. Ceux-ci avaient fait preuve d’une détermination similaire trente ans plus tôt : lorsque Hannibal tenta d’obtenir une rançon pour les soldats qu’il avait capturés lors de sa victoire à Cannes, le Sénat, après un débat houleux, refusa et les prisonniers furent exécutés.
Le 1er août 2014, lors de l’offensive sur Gaza connue sous le nom d’« #opération_Bordure_protectrice », des combattants palestiniens ont capturé un soldat de Tsahal près de Rafah, et la #directive_Hannibal est entrée en vigueur. L’armée de l’air a bombardé le système de tunnels où avait été emmené le soldat, tuant 135 civils palestiniens, dont des familles entières. L’armée a depuis annulé la directive. Toutefois, la plupart des bombardements actuels vise les #tunnels où se trouvent les postes de commandement du Hamas et les otages : le gouvernement semble ainsi, par ces bombardements aveugles, non seulement menacer les Gazaouis d’une #destruction sans précédent, mais aussi revenir au principe de préférer des captifs morts à un accord. #Bezalel_Smotrich, ministre israélien des finances, a appelé à frapper le Hamas « sans pitié, sans prendre sérieusement en considération la question des captifs ». #Gilad_Erdan, ambassadeur d’Israël auprès des Nations unies, a déclaré que les otages « ne nous empêcheraient pas de faire ce que nous devons faire ». Mais dans cette guerre, le sort des #civils de Gaza et des Israéliens capturés est étroitement lié, tout comme celui des deux peuples.
▻https://www.mediapart.fr/journal/international/041123/taux-de-change-retour-sur-la-politique-israelienne-des-otages
#Israël #Palestine #Eyal_Weizman #à_lire
Réhumaniser les personnes décédées en Méditerranée
Au-delà d’un bilan chiffré, les personnes décédées sont des personnes, avec une histoire et des proches. Dans un contexte de guerre comme un contexte migratoire, lutter contre la #déshumanisation permet à plusieurs acteurs de faire passer des messages politiques.
Il y a d’abord ces noms, écrits au stylo sur les bras par des enfants de Gaza et dont les images ont circulé sur les réseaux sociaux ces derniers jours. Un prénom, une date de naissance, pour être identifié, pour dire qu’on a existé. Alors que dans la nuit de vendredi 27 à samedi 28 octobre la guerre en Israël et en Palestine est entrée dans une nouvelle phase selon les termes de l’état-major israélien, les Palestiniens bloqués au nord de Gaza subissent des bombardements intensifs. Le territoire est d’ailleurs aujourd’hui décrit comme un “champ de bataille” par l’armée israélienne.
Jour après jour, les bilans sont diffusés. Le Hamas, qui a pris le pouvoir sur #Gaza depuis 2007, publie le décompte quotidien des victimes du conflit côté palestinien. Des chiffres repris dans les médias qui donnent l’impression d’une masse d’êtres humains non-identifiables ; plus de 8 000 personnes décédées à ce jour, dont 40% sont des enfants selon l’ONG Save the Children qui publiait dimanche 29 octobre un communiqué pour alerter sur cette réalité : 3 257 enfants sont morts depuis le début de l’offensive israélienne en réponse aux attaques meurtrières du Hamas contre des civils israéliens le 7 octobre. En trois semaines, le nombre d’enfants tués a dépassé le bilan de l’année 2019.
A ce jour, l’OMS indique également qu’un millier de corps non identifiés seraient ensevelis sous les décombres à Gaza. Derrière les statistiques, la peur d’être oublié, que son corps disparaisse sans identité, comme le rappelle les mots de la journaliste palestinienne Plestia Alaqad qui rend compte du conflit sur son compte Instagram : “je perds mes mots à ce stade… à chaque minute, Gaza pourrait être effacée et personne ne saurait rien… je pourrais être tuée à chaque instant, et le plus effrayant est que peut-être, personne n’arrivera à retrouver mon corps mort, et il n’y aura peut être plus rien de moi-même à enterrer”, a-t-elle écrit le 28 octobre alors qu’Israël annonçait lancer la seconde phase de son offensive sur Gaza et intensifiait les bombardements sur l’enclave.
Ces chiffres égrenés au fil des semaines rappellent d’autres drames, d’autres disparitions silencieuses et invisibles. En Palestine, comme en haute mer depuis le début des années 2010, invisibiliser, nier la présence des corps participe au processus de déshumanisation. Il vient illustrer la hiérarchie des décès entre ceux que l’on montre, que l’on médiatise et que l’on prend en compte et ceux que certains préfèrent laisser dans une masse incertaine. Dans les différents cas, il y a les dominés et les dominants. Un processus politique qui n’est pas inéluctable et qu’il est possible de dénoncer et de dépasser.
Au-delà des bilans qui paraissent importants à diffuser pour montrer l’ampleur du drame qui se joue à Gaza, certains souhaitent donc aujourd’hui réhumaniser les victimes, mettre un visage, un parcours, une histoire pour ne pas oublier que sous les bombes se sont des humains qui disparaissent : “On peut continuer à rafraîchir le bilan du nombre de morts à Gaza de manière froide et désintéressée ou bien on peut considérer que ces femmes, ces hommes, ont des visages, des noms, des histoires”, explique le journaliste du Parisien Merwane Mehadji sur le réseau social X (anciennement Twitter). Sur son compte, il publie des photos et des courtes biographies de certains des invisibles décédés à Gaza : l’autrice Heba Abu Nada, 32 ans, Ibraheem Lafi, photoreporter, 21 ans, Areej, dentiste, 25 ans qui devait se marier dans quelques jours.
Sur le site de l’ONG Visualizing Palestine c’est la campagne We Had Dreams qui met des mots sur les peurs et les aspirations des personnes prises au piège dans Gaza bombardée :
“Si je meurs, rappelez-vous que nous étions des individus, des humains, que nous avions des noms, des rêves, des projets et que notre seul défaut était d’être classé comme inférieurs », Belal Aldbabbour.
Ces initiatives posent un des enjeux actuels du conflit : mettre un visage c’est humaniser les #victimes alors que dans de nombreuses déclarations de responsables politiques en Europe et aux États-Unis, il est courant de parler uniquement du Hamas comme cible des Israéliens. Hillary Clinton dit ainsi “ceux qui demandent un cessez-le-feu ne comprennent pas qui est le Hamas”. Cela revient alors à annuler la présence de civils à Gaza ou à faire des habitants des terroristes.
▻https://twitter.com/CBSEveningNews/status/1718681711133794405
Du côté des autorités israéliennes, certaines personnalités politiques nient même l’humanité des habitants de Gaza : « J’ai ordonné un siège complet de la bande de Gaza. Il n’y aura pas d’électricité, pas de nourriture, pas de carburant. Tout est fermé. Nous combattons des animaux humains et nous agissons en conséquence », déclarait ainsi le ministre XX le XX octobre.
“Nous sommes en présence d’un désir d’éradiquer les Palestinien.ne.s, si ce n’est de la terre, de la vie politique terrestre”, analyse la chercheuse Samera Esmeir au regard de cette déclaration. Dans un article publié en anglais sur le site du média égyptien Mada Masr, elle explique : “ Nous sommes en présence d’une entreprise coloniale qui tente de détruire ce qui a échappé à la destruction pendant et après les cycles précédents de conquête et de dévastation – cycles qui ont commencé en 1948. Nous sommes en présence d’une volonté coloniale d’effacer l’autochtone.” Remontant l’histoire de la création de l’État d’Israël, la professeure associée du département de rhétorique de l’université de Berkeley en Grande-Bretagne développe pour démontrer la construction au fil des années d’une dénégation d’accorder un statut civil aux Palestiniens : “La société palestinienne a été détruite en 1948. Les territoires occupés en 1967 ont été délibérément fragmentés, déconnectés et séparés par des colonies. Il n’y a pas de forme d’État, d’armée permanente, d’étendue de territoire ou de position civile. Au lieu de cela, il y a de nombreux camps de réfugiés, des familles dépossédées et des sujets en lutte. Tout ce qui pourrait favoriser la normalité civile est déjà visé par l’occupation israélienne, qu’il s’agisse de maisons, d’écoles, d’ONG, de centres culturels ou d’universités. Comparée à l’autre côté de la ligne verte, la vie en Cisjordanie et dans la bande de Gaza, où se concentre la violence israélienne à l’encontre des Palestinien.ne.s, n’autorise aucune normalité civile”.
Selon les statistiques de l’ONG israélienne pour la défense des droits humains B’Tselem, plus de 10 500 Palestiniens ont été tués par les forces israéliennes depuis le début de la 2nde Intifada en 2000. L’ONG a entrepris un travail de vérification de chaque décès, que la personne soit palestinienne, israélienne ou étrangère : “B’Tselem examine les circonstances de chaque décès, notamment en recensant les témoignages oculaires lorsque cela est possible et en rassemblant des documents officiels (copies de pièces d’identité, actes de décès et dossiers médicaux), des photographies et des séquences vidéo”, peut-on lire sur le site de l’organisation. Un travail de recensement et d’identification qui répond également à l’enjeu de garder traces des victimes du conflit au fil des années. Une position que l’organisation défend depuis sa création : “Depuis la création de B’Tselem en 1989, nous documentons, recherchons et publions des statistiques, des témoignages, des séquences vidéo, des prises de position et des rapports sur les violations des droits humains commises par Israël dans les territoires occupés.”, peut-on lire sur le site internet de l’ONG. Une position énoncée dans le nom même de l’association puisque B’Tselem signifie en Hébreu “à l’image de” selon un verset de la Genèse (premier livre de la Torah juive et de la Bible chrétienne) qui considère : “Le nom exprime l’attendu moral universel et juif de respecter et de faire respecter les droits humains de tous”.
Un enjeu qui rappelle celui de la disparition de personnes migrantes anonymes en Méditerranée. Des corps avalés par la mer que la médecin légiste italienne #Cristina_Cattaneo et son équipe tentent, elles-aussi, d’identifier. Son livre Naufragés sans visage a été traduit en français en 2019. Une manière de lutter contre la figure du migrant qui devient parfois une entité abstraite, notamment dans les discours politiques des extrêmes en Europe. “Lorsque l’on identifie ces gens, il est aussi plus difficile de détourner les yeux de la situation”, expliquait-elle au micro de France Culture. Un travail qu’elle réalise au sein de l’université de Milan depuis 1995 au début à propos des inconnus de la rue décédés. En 2013, les inconnus de la migration prennent de plus en plus de place dans son travail du fait de la catastrophe grandissante en haute mer.
Comme à Gaza, les personnes migrantes sont conscientes de la possibilité de disparaître sans laisser de #traces. Dans son travail à la frontière entre l’Espagne et le Maroc, l’anthropologue #Carolina_Kobelinsky relève : « Toutes les personnes rencontrées parlent de la mort, des morts laissés en route, des stratégies pour y faire face. De l’éventualité de sa propre mort. La mort est présente dans les discours quotidiennement, autant que la musique, le foot,… ». Elle décide donc d’intégrer à son terrain de recherche l’omniprésence de la mort comme potentialité dans les #récits des personnes qui traversent la frontière. A la frontière entre le Maroc et l’Espagne au niveau de Melilla et Nador, il est aussi question de la disparition des corps à la « barrière », notamment lors des confrontations avec la gendarmerie marocaine ou la guardia civile espagnole.
« Ces #corps disparaissent : enterrés dans des #fosses_communes, avalés par la terre, toutes sortes de théories circulent parmi les migrants. Cela renforce l’idée qu’il s’agit non seulement d’une #peur de la mort mais encore plus celle de la #disparition_totale. Ils sont partis comme anonymes socialement, et ils atteignent l’#anonymat de la mort avec la #volatilisation du corps. »
« Le plus important pour les jeunes rencontrés est de mettre en place une #stratégie pour faire en sorte que les familles reçoivent la nouvelle du décès. Interviennent alors de véritables « #pactes », où l’on apprend le numéro de téléphone par cœur de la famille de l’autre pour faire passer ce message : « J’ai fait tout ce que j’ai pu pour avoir une vie meilleure », jusqu’à la mort.
▻https://www.1538mediterranee.com/rehumaniser-les-personnes-decedees-en-mediterranee
#décès #humanisation #réhumanisation #migrations #guerre #mort #morts #identification
Les #impasses de la migration
Pour LSD, #Raphaël_Krafft constate que la situation des exilés aux portes ou sur le sol européen a été rendue intenable, malgré les bonnes volontés.
▻https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/serie-les-impasses-de-la-migration
]]>En #Afrique, l’exploitation des #énergies #fossiles reste massivement destinée aux besoins de l’Occident
▻https://www.lemonde.fr/afrique/article/2022/11/15/en-afrique-l-exploitation-des-energies-fossiles-reste-massivement-destinee-a
Novembre 2022
« De la Mauritanie au Mozambique, l’addiction de l’Europe aux énergies fossiles est un puissant moteur du développement de projets d’infrastructures de production de gaz naturel liquéfié (GNL) sur le continent, déplore Amos Wemanya, du club de réflexion Power Shift Africa. Ces projets de plusieurs milliards de dollars conduisent les pays africains à s’endetter davantage et les détournent d’une transition vers les énergies renouvelables. C’est mauvais pour le climat comme pour le développement de l’Afrique. »
Le plaidoyer contre les énergies fossiles n’est pas seulement mené au nom de la lutte contre le dérèglement climatique. Il s’appuie aussi sur le bilan de décennies d’expérience au terme desquelles 600 millions d’Africains demeurent sans accès à l’électricité ; quand l’exploitation pétrolière ne s’accompagne pas, de surcroît, de désastres écologiques, comme dans le delta du Niger au Nigeria.
]]>Le gaz est aussi nocif pour le climat que le charbon | Mediapart
▻https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/030823/le-gaz-est-aussi-nocif-pour-le-climat-que-le-charbon?userid=c44c87af-effa-
CLIMAT
Le gaz est aussi nocif pour le climat que le charbon
Alors que l’Europe et les majors pétrolières se ruent vers le gaz, une nouvelle étude scientifique montre que ce combustible fossile est tout aussi néfaste que le charbon. Ces résultats ébranlent l’idée vantée par les industriels que le gaz serait une énergie de transition vers un avenir vert.
Mickaël Correia
3 août 2023 à 09h22
Alors que le monde brûle sous nos yeux et enregistre des températures record, nous serions en train d’effectuer un pas dans la mauvaise direction pour atteindre la transition écologique. Telle est l’amère sensation qui ressort à la lecture d’une vaste étude scientifique, publiée le 17 juillet dans Environmental Research Letters.
Le gaz #fossile, lorsqu’il est brûlé pour générer de l’électricité, émet deux fois moins de CO2 que le charbon. Ce qui fait que le gaz est depuis longtemps considéré comme une alternative plus propre que la houille. Au point qu’il est vanté par les industriels comme pouvant servir d’énergie de transition vers un futur éolien et solaire, notamment dans les pays du Sud encore très dépendants du charbon.
Mais l’étude, menée par des scientifiques de la Nasa et des universités Harvard et Duke, démontre qu’à cause des fuites de méthane durant sa production et son transport, le gaz serait en réalité tout autant climaticide que le charbon.
Principal constituant du gaz fossile, le méthane est un gaz à effet de serre 84 fois plus puissant que le CO2 sur une période de vingt ans, et est responsable de près d’un quart du dérèglement climatique. « Nous estimons qu’un taux de fuite de 0,2 % est suffisant pour que le gaz ait des impacts climatiques plus importants que le charbon », écrivent les chercheurs et chercheuses.
Cette marge est très mince lorsque l’on sait, comme le souligne l’étude, que « les bassins de production de gaz aux États-Unis révèlent des taux de fuite allant de 0,65 % à 66,2 % » et que « des taux de fuite similaires ont été détectés dans le monde entier ».
Ces travaux viennent renforcer un corpus de recherches (ici ou là par exemple) qui battent en brèche l’idée selon laquelle le gaz serait moins émetteur de gaz à effet de serre que le charbon ou le pétrole, et permettrait de ralentir le réchauffement en attendant le déploiement généralisé des énergies renouvelables.
Spécialiste mondialement reconnu de l’impact du gaz sur le climat, Robert Howarth, chercheur à l’université Cornell aux États-Unis, va jusqu’à estimer que le gaz naturel liquéfié (GNL, du gaz passé à l’état liquide afin de le rendre transportable par navire) « possède une empreinte carbone supérieure d’au moins 20 % à celle du charbon ».
Ruée climaticide vers le gaz
Cette nouvelle étude met en relief la manière dont les géants énergétiques empruntent une voie à contre-sens de l’urgence climatique. Les majors sont en effet en train de réorienter leurs capitaux vers le gaz afin de compenser la diminution de la production de pétrole. « Pour répondre à la croissance de la demande mondiale en énergie, tout en contribuant à contenir le réchauffement climatique, notre compagnie a fait du gaz naturel, la moins émettrice des énergies fossiles, un pilier de sa stratégie », clame par exemple la multinationale française TotalEnergies.
Le groupe a pour objectif d’augmenter sa production de gaz d’un tiers d’ici à 2030, grâce à des mégaprojets au Mozambique, aux États-Unis, en Angola ou en Papouasie-Nouvelle-Guinée. L’an dernier, TotalEnergies a signé avec la firme QatarEnergy un accord pour ériger au Qatar le plus grand projet de GNL au monde. Et la multinationale prospecte activement pour exploiter du gaz offshore en Afrique du Sud.
Idem pour le pétrolier anglo-néerlandais Shell devenu le champion mondial du GNL. La firme a conclu en juin 2022 un partenariat avec le gouvernement tanzanien pour la construction d’un terminal de production et d’exportation de GNL d’une valeur de 30 milliards de dollars. « Utilisé tant par les particuliers que les entreprises, le gaz naturel peut parfaitement s’associer aux sources d’énergie renouvelable, comme l’éolien et le solaire, pour produire notre électricité », assure la compagnie.
L’Europe s’est aussi enferrée dans le gaz fossile, notamment depuis le début de la guerre en Ukraine. Après avoir labellisé le gaz comme « énergie verte » en 2022, l’Union européenne, alors qu’elle s’est engagée à réduire sa consommation de gaz de 30 % d’ici à 2030 pour limiter le dérèglement climatique, projette la construction de vingt-six terminaux d’importation de GNL pour pallier la fin des achats de gaz russe.
Par ailleurs, le Réseau européen des gestionnaires de réseau de transport de gaz (Entsog) vient de publier son plan décennal de développement du réseau gazier pour le Vieux Continent. Il prévoit, pour un investissement total de 30 milliards d’euros, 143 nouveaux projets d’infrastructures gazières destinées au transport ou à l’importation.
L’industrie gazière européenne redouble ses efforts en faveur du gaz fossile, destructeur du climat.
Dominic Eagleton, chargé de campagne pour l’ONG Global Witness
Ces ambitions gazières vont tellement à l’encontre de la crise climatique que le régulateur européen de l’énergie a jugé le 14 juillet dernier que ces industriels devaient revoir leur copie, soulignant que le réseau gazier en Europe est déjà suffisamment développé.
« L’industrie gazière européenne redouble ses efforts en faveur du gaz fossile, destructeur du climat, a réagi le 17 juillet Dominic Eagleton, chargé de campagne pour l’ONG Global Witness. Ces projets auraient pour effet d’aggraver les événements climatiques extrêmes. Nous avons besoin d’une élimination progressive et urgente du #gaz_fossile, ainsi que d’une électricité et d’un chauffage propres et abordables pour tous. »
Ce lundi 31 juillet, alors que ce mois s’annonce comme le plus chaud jamais mesuré sur Terre, le premier ministre britannique, Rishi Sunak, a annoncé l’attribution de « centaines » de nouvelles licences gazières et pétrolières en mer du Nord.
Son ministre de l’énergie, Andrew Bowie, a déclaré sans ambages viser « l’exploitation maximale » des réserves britanniques de gaz. Une volonté délibérée, et à rebours des #alertes #scientifiques, de jeter de l’huile sur le feu climatique.
]]>ArcelorMittal visé par deux plaintes pour pollutions illégales à Dunkerque et Fos-sur-Mer
▻https://disclose.ngo/fr/article/arcelormittal-vise-par-deux-plaintes-pour-pollutions-illegales-a-dunkerque
Dans la foulée des révélations de Disclose sur les émissions illégales de polluants par ArcelorMittal, l’association France Nature Environnement a déposé plainte, jeudi 23 mars, contre les deux principaux sites français du groupe sidérurgique. Une action en justice qui pointe de nouvelles pollutions des eaux et de l’air. Lire l’article
]]>ArcelorMittal : révélations sur un pollueur hors-la-loi
▻https://disclose.ngo/fr/article/arcelormittal-revelations-sur-un-pollueur-hors-la-loi
Depuis dix ans, le leader européen de l’acier dépasse les limites de pollution autorisées par la loi, en dépit de graves risques sanitaires. Des documents confidentiels obtenus par Disclose révèlent des manquements répétés au sein des deux principales usines d’ArcelorMittal en France, à Dunkerque et Fos-sur-Mer. Lire l’article
]]>[rapport] Zoom sur les menaces géopolitiques et climatiques du projet de gazoduc EastMed, soutenu par l’UE - Espace Presse Greenpeace France
▻https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-zoom-sur-les-menaces-geopolitiques-et-climatiques-du-projet-de-ga
Un nouveau rapport publié aujourd’hui par Greenpeace Italie dénonce les risques #géopolitiques et climatiques liés au projet de gazoduc EastMed, que la Commission européenne a jugé prioritaire dans le cadre des projets d’intérêt commun (PIC) dans le domaine de l’#énergie.
Le gazoduc, qui ne serait pas mis en service avant 2028, relierait les champs gaziers israéliens et chypriotes à la Grèce puis à l’Italie, traversant les eaux contestées entre la Grèce, la Turquie et Chypre.
Face au danger qu’il représente à la fois pour la paix en #Europe et pour le #climat, Greenpeace demande à la Commission et aux gouvernements européens de se retirer du projet de #gazoduc EastMed, de le retirer de la liste des PIC et de procéder à une évaluation des risques de #conflit pour tout projet transfrontalier d’infrastructure de combustibles #fossiles soutenu par l’UE. La France doit également prendre ses responsabilités en poussant activement pour l’arrêt du soutien de l’#UE à ce projet.
]]>L’Écho des Gnous #0246
▻https://www.echodesgnous.org/podcast/lecho-des-gnous-0246
Playlist : Ygit Atilla : Broken Love Xander Black : I know now Caley N’Danis : Le coeur en vadrouille Liste des sujets sur le wiki de l’émission
▻https://www.echodesgnous.org/podcast-download/188/lecho-des-gnous-0246.mp3
]]>Bienvenue sur le site de l’Écho des Gnous !
▻https://www.echodesgnous.org/2021/09/28/hello-world
L’Écho des Gnous est une émission de radio destinée à expliquer et vulgariser l’actualité des logiciels libres et des libertés numériques. Elle est diffusée depuis 2010, le dimanche une semaine sur deux, de 19h à 20h sur Radio Campus : En FM sur 106,6 et en DAB+ dans la région lilloise Par internet sur campuslille.com Pour … Continue reading « Bienvenue sur le site de l’Écho des Gnous ! »
]]>Le FOSDEM est-il devenu boomer ?
Pendant longtemps, au #Fosdem, on pouvait voir des tracks complets sur un langage fraichement sorti, le découvrir, voir des gens deja matures dessus.
Entendre des conférences sur des techno disruptives.
Mais le panorama technologique a beaucoup changé en 3 ans de Covid... ChatGPT, DALL-E pour ne citer que la pointe de l’iceberg. Et côté technos de hackeurs (du dimanche), c’est plutôt du pseudo code pour Minecraft, GTA 5 qui a percé. On ne s’intéresse plus trop aux langages de 1er niveau : C, C++, Rust... j’ai envie de dire « on ne code plus », on ne fait qu’intégrer et paramétrer.
Alors est ce qu’une génération est en train de s’éteindre ? Est ce que ca se fait sans remplacement ? Qui codera le kernel Linux en 2035 ?
Mais surtout, le logiciel libre est-il en train de mourir ? Et la réponse est OUI, et à toute vitesse.
Plus personne ne se souci de l’étique des logiciels, du comment ils sont fait, qui possède l’outil de production. Privé ou public.
Un smartphone, vite, et que ca marche !
Du monde va au Fosdem 2023 ?
C’est enfin la reprise sur place après 3 ans.
]]>COP27 climate talks reach crunch time with big rifts remaining | Reuters
▻https://www.reuters.com/business/cop/cop27-draft-climate-deal-retains-15c-limit-many-issues-unresolved-2022-11-1
Après le dos rond, la contre-attaque
“Instead of a reference to phasing out all fossil fuels, we have an even weaker version of the language around coal and fossil fuel subsidies than we got last year,” said Catherine Abreu of the E3G non-profit think tank.
]]>Territoires palestiniens : Naplouse, un deuxième Gaza ?
RFI – Publié le : 26/10/2022 – Avec notre envoyé spécial à Naplouse, Sami Boukhelifa
▻https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20221026-territoires-palestiniens-naplouse-un-deuxi%C3%A8me-gaza
(...) Depuis deux semaines, le siège israélien prive la ville de ses visiteurs. D’habitude, les 30 chambres de l’hôtel accueillent surtout des étrangers, membres d’ONG, ou bien des Arabes israéliens. Salem Hantoli dénonce une punition collective. « Comment peut-on accepter que 250 000 personnes soient assiégées ? Et pour quelle raison ? Parce que vous pourchassez quinze combattants palestiniens, qui luttent pour la liberté, et qui se trouvent quelque part dans la vieille ville ? Et donc pour cette raison, vous enfermez toute une population, et vous tuez l’économie ? Et personne ne dit rien ! Ni les pays arabes, ni les États-Unis, et encore moins les Nations unies ! Comme si rien ne se passait. C’est le 15ᵉ jour de siège. Bienvenue en Palestine… Désormais, Naplouse, c’est Gaza. Une deuxième Gaza », estime-t-il.
(...)
Selon Nacer Abu Jeish, le siège, les opérations de l’armée israélienne, tout cela fait partie de la stratégie des responsables israéliens. En période électorale, comme en ce moment, ils intensifient la répression. Leur but, explique-t-il, est de séduire un pays de plus en plus raciste, et bien ancré à droite. « L’histoire se répète à chaque scrutin. Les bulletins de vote israéliens sont imprégnés de sang palestinien. Notre peuple paye le prix de leur propagande électorale. Et il le paye de sa vie. Ils souhaitent nous détruire. Ils nous oppriment, ils s’accaparent nos terres. »
C’est pourquoi, malgré toutes les difficultés endurées par les habitants de Naplouse depuis le début du siège, la population soutient la brigade Areen Al Oussoud. Et voit en son combat contre les forces israéliennes, une nécessité.
]]>Un phénoménal fil de discussion, en anglais, sur la question « Les machines qui pondent du code à la demande en régurgitant du code source digéré dont elles ne sont pas l’auteur et qui initialement était sous licence libre, Microsoft Copilot en particulier, enfreignent elles la loi et la licence libre des logiciels sources qui ont servi à l’apprentissage ? »
▻https://news.ycombinator.com/item?id=33240341
#microsoft #copilot #github #machinelearning #libre #foss #copyright
DebugPoint Weekly Roundup #22.08: Ubuntu Pro, System 76’s Iced toolkit Decision and More #linux #opensource #foss #roundup
▻https://debugpointnews.com/weekly-roundup-22-08
Maxime Combes sur Twitter : "
[Surprise !] Le projet de loi #PouvoirDAchat prévoit d’alléger les règles environnementales pour accélérer la construction d’un terminal gazier au Havre afin d’importer plus de #GazDeSchiste des #Etats-Unis, repoussant la sortie des énergies #fossiles. Je vous explique 🧵 ⤵️ 1/n » / Twitter
▻https://twitter.com/MaximCombes/status/1545285249348915203
[…]
Vous trouvez surprenant qu’un projet de loi portant sur le "pouvoir d’achat", c’est-à-dire sur la capacité des ménages à maintenir leur niveau de vie, comporte une procédure visant à accélérer la construction d’un terminal d’importation de gaz de schiste ?
Moi aussi.
]]>Fosses communes | Le blog de Floréal
►https://florealanar.wordpress.com/2022/07/03/fosses-communes
La carte ci-dessous indique l’emplacement des fosses communes où furent jetés les corps de centaines de milliers d’Espagnols antifranquistes, républicains, anarchistes, socialistes, communistes.
On mesure ainsi l’ampleur du majuscule crime commis après la victoire des militaires factieux et des bandes fascistes à leur côté, d’autant que quatre-vingt-trois ans après la fin de la guerre civile, toutes les fosses communes du pays n’ont pas été mises au jour. Il paraît que seul le Cambodge des Khmers rouges en compte davantage. En Espagne, les assassins n’ont jamais eu à rendre de comptes.
]]>Traité sur la Non-Prolifération des Combustibles Fossiles
Stan Cox : Etats-Unis. Comment ne pas faire face à Vladimir Poutine… en forant et pompant
Scientifiques, chercheurs et universitaires exigent un Traité sur la Non-Prolifération des Combustibles Fossiles
Raúl M. Grijalva : La guerre et le secteur pétrolier : un responsable démocrate dénonce l’opération en cours
▻https://entreleslignesentrelesmots.blog/2022/04/04/traite-sur-la-non-proliferation-des-combustibles-fossil
]]>Mahmoud Khattab sur Twitter : “I learned one of the most interesting histories of the pyramids: they have millions of years old fossils 🐚” / Twitter
▻https://twitter.com/Mamoudinijad/status/1501997042427740163
Mahmoud Khattab sur Twitter : “I was extremely happy to learn this because I have been fascinated by fossils and their abundance in so many parts of Cairo. I’m talking fossils that outlived the ancient Tethys sea that covered what is now north of Africa millions of years ago” / Twitter
▻https://twitter.com/Mamoudinijad/status/1502004603348529155
Smartphone Hardening Privacy non-root Guide 2.0 (for normal people) : degoogle
▻https://www.reddit.com/r/degoogle/comments/ibz6iz/smartphone_hardening_privacy_nonroot_guide_20_for
Tags : #sécurité_informatique #android #google #FOSS
]]>Arrêt du #financement des #énergies #fossiles à l’étranger : pourquoi la France ne fait pas partie des signataires
▻https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/11/05/arret-du-financement-des-energies-fossiles-a-l-etranger-pourquoi-la-france-n
Cette initiative vise à ne plus délivrer de nouvelles #licences d’#exploration et d’#exploitation de #pétrole et de #gaz et à éliminer progressivement la #production existante – ce que la France a déjà entrepris depuis la loi Hulot de 2017 sur les #hydrocarbures. « Cela montre qu’il y a un problème de #cohérence en France : pourquoi ne plus octroyer de licences chez nous, mais continuer de financer des #projets ailleurs ? »
]]>#Canada Les recherches ne révèlent aucun reste humain sur le site de l’ancien Hôpital Camsell D’après les informations de Stephen David Cook
▻https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1834031/hopital-camsell-edmonton-autochtones-arret-fouilles
Des fouilles pour trouver des restes humains sur le site de l’ancien Hôpital Camsell, à Edmonton, ont pris fin vendredi après que des équipes n’en ont découvert aucun.
L’établissement avait accueilli des patients autochtones du nord de l’Alberta et des Territoires du Nord-Ouest pendant des dizaines d’années, notamment pour traiter des cas de tuberculose. Le site situé au coin de la 128e Rue et de la 144e Avenue est prévu d’accueillir des propriétés résidentielles.
L’été dernier, un radar à pénétration de sol avait permis de creuser dans 13 endroits, mais les recherches ont été infructueuses. Jeudi et vendredi, 21 anomalies ont fait l’objet de trous dans la terre, mais seuls des débris ont été remontés à la surface.
D’autres recherches ne sont pas prévues sur le site.
Selon le chef de la Première Nation Papaschase, Calvin Bruneau, des préoccupations persistent étant donné que tant de personnes ont déclaré que des gens avaient été enterrés à cet endroit : “Que leur est-il arrivé ? Ont-ils été retirés et enterrés autre part ? ”
Il dit avoir entendu des témoignages au fil des ans de projets de développement qui ne prenaient pas en compte que des restes humains pouvaient exister à certains endroits.
“L’ennui, c’est que personne ne veut parler, affirme le chef Bruneau, qu’il s’agit d’anciens employés, d’anciens promoteurs ou de constructeurs [ …] Tout est passé sous silence. ”
Les recherches sur le site de l’ancien Hôpital Camsell ont été financées par le promoteur immobilier. L’architecte, Gene Dub, dit avoir fait ce geste après avoir été bouleversé par la découverte au printemps des restes de 215 enfants enterrés sur le site d’un ancien pensionnat autochtone à Kamloops, en Colombie-Britannique.
#peuples_autochtones #histoire #disparitions #fosse_commune #enfants #pensionnat #école #cadavres #vol #viols #peuples_premiers #nations_premières #premières_nations #autochtones #colonialisme #extermination #génocide #tuberculose
]]> Tombes découvertes au Canada : l’Église catholique versera 30 millions de dollars aux autochtones
▻https://www.ouest-france.fr/monde/canada/tombes-decouvertes-au-canada-l-eglise-catholique-versera-30-millions-de
Après des excuses formelles prononcées la semaine passée, l’Église catholique a annoncé, lundi, le versement de 30 millions de dollars aux survivants des pensionnats des peuples autochtones. Ces derniers mois, plus d’un millier de tombes ont été découvertes près d’anciennes institutions religieuses du pays.
Les évêques catholiques du Canada se sont engagés lundi à verser 30 millions de dollars canadiens pour soutenir les initiatives en faveur des survivants des pensionnats pour autochtones après avoir présenté des « excuses formelles » la semaine dernière.
Ces fonds seront débloqués sur cinq années pour « remédier à la souffrance causée par les pensionnats au Canada », expliquent les évêques dans un communiqué publié lundi 27 septembre.
Il s’agira de « soutenir des programmes et des projets dédiés à l’amélioration de la vie » des survivants des pensionnats et de leur communauté, a déclaré Mgr Raymond Poisson, président de la Conférence des évêques catholiques du Canada (CECC).
Vendredi dernier, les évêques avaient exprimé leur « profond remords » et présenté « leurs excuses sans équivoque » aux peuples autochtones après la découverte ces derniers mois de plus d’un millier de tombes près d’anciens pensionnats dirigés par l’église catholique.
« Traumatisme historique »
Une nouvelle fois, les évêques reconnaissent dans le communiqué publié lundi l’existence d’un « traumatisme historique et toujours présent, causé par le système des pensionnats ».
Dans le pays, très marqué par ces révélations, de nombreuses voix s’étaient élevées pendant l’été pour demander des excuses de l’Eglise et même du pape en personne.
Au total, plus d’un millier de tombes anonymes près d’anciens pensionnats catholiques pour autochtones ont été retrouvées cet été, remettant en lumière une page sombre de l’histoire canadienne et sa politique d’assimilation forcée des Premières Nations.
Quelque 150 000 enfants amérindiens, métis, et inuits ont été enrôlés de force dans 139 pensionnats à travers le pays, où ils ont été coupés de leurs familles, de leur langue et de leur culture.
#Canada #peuples_autochtones #histoire #disparitions #fosse_commune #enfants #pensionnat #école #cadavres #vol #viols #peuples_premiers #nations_premières #premières_nations #autochtones #colonialisme #extermination #génocide
]]>Les oubliés de l’Espagne
En octobre 2019, le cercueil du général Franco quittait le mausolée où il était enterré depuis 1975.
Une construction à la gloire du national catholicisme qui abrite près de 30 000 cadavres de la guerre civile. Le film se propose d’explorer les lignes de fractures qui traversent toujours la société espagnole dans le prisme de son exhumation.
▻https://pages.rts.ch/docs/doc/11923852-les-oublies-de-l-espagne.html
#film #film_documentaire #documentaire
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Militarisation of the Evros border is not a new thing, it’s between Greece and Turkey after all. 12 km of land border used to have a minefield. This is at a cemetery in Alexandroupolis. It’s not a vacant plot but a grave for dozens of unidentified migrant mine victims from 1990s.
#Evros #Grèce #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #asile #migrations #histoire #réfugiés #frontières #mines_antipersonnel #cimetière #Alexandroupolis #fosse_commune #militarisation_des_frontières
#Ville_Laakkonen
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En 2012, quand @albertocampiphoto et moi étions dans la région, nous avons visité le cimetière de #Sidirò où les victimes du passage frontaliers (à partir des années 2010, soit une fois le terrain déminé) ont été enterrées :
En Ukraine, découverte des restes de milliers de victimes des purges staliniennes
▻https://www.lemonde.fr/international/article/2021/08/25/en-ukraine-decouverte-des-restes-de-milliers-de-victimes-des-purges-stalinie
Des fosses contenant les restes de quelque 5 000 à 8 000 personnes ont été localisées sur un terrain de presque cinq hectares situé près de l’aéroport d’Odessa.
Des fosses communes contenant les dépouilles de milliers de personnes massacrées dans les années 1930 lors de purges staliniennes ont été découvertes à Odessa, dans le sud de l’Ukraine, ont annoncé les autorités, mercredi 25 août. Il s’agit de l’un des plus vastes sites de ce type en Ukraine, qui fut membre de l’Union soviétique.
A ce jour, vingt-neuf fosses contenant les restes de quelque 5 000 à 8 000 personnes ont été localisées sur un terrain de presque 5 hectares situé près de l’aéroport d’Odessa, a détaillé Sergui Goutsaliouk, chef de l’antenne régionale de l’Institut de la mémoire nationale. Ce nombre pourrait encore augmenter, les opérations étant toujours en cours.
Les restes ont été découverts après que les autorités municipales ont ordonné des fouilles exploratoires en vue d’autoriser des travaux d’élargissement de l’aéroport, car des fosses communes avaient déjà été mises au jour par le passé dans cette zone.
Plusieurs centaines de milliers de victimes
Selon M. Goutsaliouk, la plupart des victimes, des habitants de la région, ont été tuées d’une balle dans la nuque par le NKVD, la police secrète soviétique et ancêtre du KGB. Ces exécutions remontent aux années 1937-1939, pendant la Grande terreur stalinienne. Toujours d’après M. Goutsaliouk, il ne sera pas possible d’identifier les victimes, les documents concernant ces purges étant classés secrets et conservés à Moscou, « qui ne les donnera pas » à l’Ukraine en raison des relations tendues entre les deux pays.
]]> Rwanda, 1994, entre avril et juillet, 100 jours de génocide...
Celui que l’on appelle « Le dernier génocide du siècle » s’est déroulé dans un tout petit pays d’Afrique, sous les yeux du monde entier, sous le joug des politiques internationales, et sous les machettes et la haine de toute une partie de la population. Sur environ 7,5 millions de Rwandais d’alors, 1,5 million de personnes ont été exterminées pour le seul fait d’appartenir à la caste « tutsi » (chiffres officiels de 2004) : hommes, femmes, enfants, nouveau-nés, vieillards... De cette tragédie historique, suite à plusieurs années de recherche dont sept mois passés au Rwanda pour récolter des témoignages, les auteurs ont tiré une fiction éprouvante basée sur des faits réels.
https://www.glenat.com/drugstore/rwanda-1994-integrale-9782356261120
#BD #bande_dessinée #livre
#Kigali #Murambi #fosses_communes #Nyagatare #FAR #génocide #Rwanda #France #armée_française #opération_Turquoise #camps_de_réfugiés #réfugiés #Goma #zone_turquoise #aide_humanitaire #choléra #entraide #eau_potable
Un assistant dopé à l’IA pour programmer un peu à notre place, avec OpenAI et entraîné sur des milliards de lignes de code par microsoft github. Et on dirait que ça marche : le codeur rédige un prototype de fonction et le commentaire qui décrit ce qu’elle fait (dans Visual Studio ...) et l’assistant rédige le code. Si on lui demande, il propose d’autres versions.
▻https://copilot.github.com
#programmation #IA #deep_learning #github #visualstudio #openAI #text_generation
]]>Canada : découverte macabre dans un ancien établissement pour enfants autochtones
▻https://www.rfi.fr/fr/am%C3%A9riques/20210530-canada-d%C3%A9couverte-macabre-dans-un-ancien-%C3%A9tablissement-pour-e
Les restes d’au moins 215 enfants seraient enterrés sur le terrain de cette école où des élèves de plusieurs nations autochtones dormaient et étudiaient entre 1890 et 1963. Des experts tentent maintenant d’identifier et de rapatrier ce qu’il reste des corps.
Les chefs autochtones de Colombie-Britannique tentent de mettre sur pied un plan pour pouvoir rendre les restes de corps à leur famille, plusieurs décennies après leur disparition. Des historiens fouillent d’ailleurs les archives laissées par la congrégation religieuse qui gérait le pensionnat pour trouver trace des décès et des enterrements d’écoliers.
Quatre mille enfants disparus
Cela fait 20 ans que la communauté autochtone, où se trouve cette école, s’emploie à vérifier ce que racontent les survivants qui l’ont fréquentée. Plusieurs témoignaient des décès de leurs camarades suite à des privations, à des mauvais traitements, dans parler des épidémies. L’utilisation d’un radar a permis de détecter la présence de dépouilles dans ce pensionnat que fréquentaient environ 500 enfants autochtones chaque année.
De tels établissements existaient aux quatre coins du Canada. Ils visaient à éduquer les jeunes selon la culture dominante, en les détournant de celle de leurs parents. Au fil du temps, plus de 4 000 enfants auraient disparu, sans que bien souvent leurs familles ne soient prévenues, ni qu’elles puissent se recueillir sur leurs tombes.
]]> On doit toujours apprendre des erreurs passées : aujourd’hui on a une conscience #écologique plus poussée, et on ne peut pas reproduire le modèle asiatique de #développement qui a un coût environnemental très important même s’il a réduit la #pauvreté. Les règles de commerce, les régimes de propriété intellectuelle rendent difficile l’#industrialisation de l’#Afrique. Mais les atouts de l’Afrique doivent être mis en évidence : les coûts de l’#énergie renouvelable sont devenus compétitifs, et l’Afrique peut directement aller vers les énergies renouvelables. La première difficulté n’est pas #technologique, c’est celui de la fiscalité, qui protège un tissu industriel basé sur les énergies #fossiles, et qui est très difficile à défaire, comme on a pu le voir en France avec les Gilets Jaunes.
(Carlos Lopes)
#cartographie #projection #mercator #Libre
▻https://www.franceculture.fr/emissions/la-grande-table-idees/carlos-lopes-afrique-quels-futurs-possibles
Les mercenaires des énergies fossiles
L’industrie des énergies fossiles a trouvé dans la pandémie en cours un moyen d’étendre son emprise, de capter des fonds publics destinés à la relance et d’imposer de fausses solutions laissant présager d’une véritable catastrophe climatique. La COVID-19 est une crise sanitaire mondiale qui, rien qu’en Europe, a touché plus de 4,2 millions de personnes et fait près de 215 000 victimes. Mais comme avec tant d’autres crises avant elle, qu’elles soient financières (2008) ou climatiques, tout le monde n’est pas logé à la même enseigne. L’épidémie a mis en exergue les inégalités existantes, accablant sans commune mesure les populations précaires ou marginalisées et les minorités.
Note sur : Fossil Free Politics : La pandémie, une aubaine pour les pollueurs :
Comment l’industrie fossile profite des plans de relance pour asseoir l’hégémonie de l’énergie sale
▻https://entreleslignesentrelesmots.blog/2020/11/05/les-mercenaires-des-energies-fossiles
]]>Fos / étang de Berre : 200 ans d’histoire industrielle et environnementale
►https://fos200ans.fr
Un webdoc en SPIP comme support de vulgarisation d’un projet de recherche socio-historique.
Double navigation immersive ou cartographique, création d’un outil de génération de fonds cartographiques pour GIS à partir d’images, plein d’interviews vidéos des acteurs locaux... une collaboration chercheurs/vidéaste/spipeurs efficace !
aujourd’hui passé en statique
#spip #pollution #lutte_environnementale #fos #webdoc #shameless_autopromo
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