• Macron et Pap à Ganges : casserolles et poeles interdites par la prefecture | Libé Live | 20.04.23

    https://www.liberation.fr/economie/social/en-direct-retraites-suivez-cette-journee-de-colere-des-cheminots-et-de-de

    10h48

    Les casseroles interdites à Ganges. Qu’elles soient en inox, en céramique, à induction, classique, de la dernière génération Tefal ou Arthur Martin, la sentence est la même : aucune casserole n’a droit de cité ce jeudi dans la petite ville de l’Hérault où est attendu Emmanuel Macron ce matin. Les manifestants se voient ainsi confisquer une à une leurs casseroles par les gendarmes. « C’est comme vous voulez, soit vous la déposez là, soit vous la déposez à la voiture et vous revenez », répond un gendarme à un manifestant venu avec son tambour de cuisine pour rejoindre le rassemblement dans le centre de Ganges, d’après une vidéo publiée par le journaliste Paul Larrouturou sur Twitter. « C’est illégal », se plaint un manifestant, d’après le reporter, ce à quoi le gendarme rétorque : « Vous voulez voir l’arrêté préfectoral ? ». La préfecture a bien publié un arrêté hier, interdisant « l’usage de dispositifs sonores portatifs », sans plus de précisions. Ce qui vaut donc, aussi, pour les poêles.

    #WTF ?

    @marielle je sors ta trouvaille de son thread :

    « J’aime bien ce petit côté Intervilles. Demain, l’Hérault a la pression après la magnifique humiliation de Macron en Alsace.

    On vous regarde, les amies, les amis. Faites nous vibrer !
    Soyez nos Héros. »

    https://twitter.com/Pr_Logos/status/1648707575574151168

  • « Fire Island » du Village People. La culture gay sort du ghetto.
    https://lhistgeobox.blogspot.com/2023/04/fire-island-du-village-people-la.html

    « Posée face à l’océan Atlantique à deux heures de New York, Fire Island est une fine bande de terre d’environ 300 mètres de large étirée sur une cinquantaine de kilomètres. On ne s’y déplace qu’à pied ou en bateau. Pendant des siècles, elle n’a abrité que quelques contrebandiers. Dans les années 1920, l’île devient le refuge de la bohème new-yorkaise. Écrivains, musiciens, acteurs, vedettes en tout genre s’y retrouvent. L’isolement des lieux, la complaisance de la police locale permettent d’échapper à la prohibition qui sévit alors avec virulence sur le continent. Les autochtones encaissent l’argent des locations saisonnières et ferment les yeux. » ...

  • Migranti, i sindaci delle grandi città contro il governo: «Scelte sbagliate che ledono i diritti: non si cancelli la protezione speciale»

    I sindaci delle maggiori città italiane (di centrosinistra) di nuovo contro il governo Meloni. Oggetto della discussione, ma anche (e soprattutto) di preoccupazione: la gestione dell’immigrazione, in particolare, il sistema di accoglienza e la cancellazione della protezione speciale per i migranti. «Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia», si legge in un documento congiunto sul decreto Cutro che porta le firme dei sindaci di #Roma, #Roberto_Gualtieri, di #Milano #Beppe_Sala, di #Napoli #Gaetano_Manfredi, di #Torino #Stefano_Lorusso, di #Bologna, #Matteo_Lepore e di #Firenze, #Dario_Nardella. «La preoccupazione delle città – si legge nel documento – è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni». Secondo il fronte dei sindaci dem, l’esecutivo non deve «ragionare in ottima emergenziale: è sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal Sai, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità».

    «No alla cancellazione della #protezione_speciale»

    Sala, Gualtieri, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella non condividono la cancellazione della protezione speciale, confermata anche ieri, sabato 15 aprile, dalla stessa premier Meloni durante il suo viaggio in Etiopia. Per i sindaci delle maggiori città si tratta, infatti, di «una misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità», si legge nel documento congiunto. Tutto questo – scrivono i primi cittadini – «mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città», prosegue il documento dei sindaci.

    «Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori. La storia degli ultimi vent’anni di accoglienza in Italia dimostra chiaramente come modelli emergenziali, con standard qualitativi minimi e volti al mero “vitto e alloggio” abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata. E soprattutto abbiano fallito processi di inclusione efficaci e duraturi», prosegue il documento.

    Le proposte

    Dopo questa lunga premessa, i sindaci dem hanno poi avanzato delle proposte sul tema. «1. Sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del Sai, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti», scrivono. «2. Il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati». I primi cittadini chiedono poi che i Cas, ovvero i centri di accoglienza straordinari, vengano trasformati «in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il Sai».

    Al punto 4, i sei amministratori chiedono inoltre che «vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato. In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca». Infine, «ci auspichiamo – continuano – che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale. Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese», concludono i sindaci.

    https://www.open.online/2023/04/16/immigrazione-sindaci-grandi-citta-vs-governo-meloni

    #Italie #villes-refuge #decreto_Cutro #villes #Naples #Turin #Milan #Rome #Florence #Bologne #résistance #protection_spéciale

  • À Sevran, des lycéens mineurs subissent plus de 30h de garde à vue et des humiliations après un blocage | StreetPress
    https://www.streetpress.com/sujet/1681227962-sevran-lyceens-mineurs-subissent-30h-garde-vue-humiliations-

    Le 27 mars, Raja, Raian, Henri et Ousmane sont interpellés en marge du blocage de leur lycée à Sevran. Trois d’entre eux, dont deux mineurs, sont placés en garde à vue et subissent des humiliations. #Lycéens, parents et professeurs s’insurgent.

    #police

    • A Conflans, pas mieux :

      « L’enjeu ici, c’est la vision de la police qu’ont nos jeunes, fustige Corinne Grootaert, présidente du conseil local, à Conflans-Sainte-Honorine, du syndicat des parents d’élèves FCPE. On ne peut pas faire confiance à l’autorité si on estime qu’elle ment délibérément. Une erreur peut arriver mais la reconnaissance de cette erreur par l’institution policière est fondamentale. »

      Pour la représentante des parents d’élèves, le communiqué de presse de la préfecture des Yvelines n’apaise pas les tensions : « Il ne répond pas à nos interpellations. Les photos et vidéos publiées sur les réseaux sociaux ne justifient pas la violence qui a été opérée par les forces de police. »

      L’une des demandes de Corinne Grootaert auprès de la préfecture est notamment « d’entendre les jeunes » pour qu’une mise au clair soit faite « des deux parties ».

      Antoine Tardy, cosecrétaire académique du SNES-FSU de Versailles, syndicat des personnels enseignants des collèges et lycées généraux et technologiques, affirme avoir d’ores et déjà fait une demande auprès du rectorat pour « garantir la sécurité des élèves et leur droit citoyen fondamental de manifestation ».

      Contactée, l’académie de Versailles ne souhaite pas faire de commentaire à propos des événements du jeudi 6 avril, les fait s’étant déroulés « à l’extérieur de l’établissement ».

      https://www.mediapart.fr/journal/france/120423/arrestation-musclee-d-un-lyceen-conflans-sainte-honorine-aurait-pu-mourir

    • Conflans-Sainte-Honorine : la préfecture s’explique sur l’interpellation musclée devant un lycée
      https://www.huffingtonpost.fr/france/article/conflans-sainte-honorine-la-prefecture-s-explique-sur-l-interpellatio

      Dans un communiqué publié samedi 8 avril, la préfecture des Yvelines revient sur cette intervention : six policiers nationaux, en plus des agents municipaux, mobilisés à la demande du chef de l’établissement. Le texte explique que les forces de l’ordre, « pas équipées pour le maintien de l’ordre », ont été « encerclées » et visées par « des jets de projectiles » peu après 10 heures du matin, après qu’ils ont accompagné des « pompiers qui intervenaient pour une personne blessée au sein de l’établissement. »

      Dans ce contexte, la préfecture explique que les policiers - qui n’avaient pas manifesté leur intention de mettre fin au blocage jusqu’ici, selon le récit - ont alors procédé au « contrôle d’un groupe de jeunes d’où semblait provenir les projectiles. »

      « Un individu masqué ayant tenté de se soustraire au contrôle a été rattrapé par les policiers. Ce dernier, peu coopératif, se débattait, ce qui a contraint plusieurs policiers à le maîtriser au sol pour parvenir à le menotter », relate le communiqué, à propos de l’une des séquences polémiques. C’est à ce moment-là, indiquent encore les autorités, que certains policiers ont fait usage « d’une projection de gaz lacrymogène à main pour maintenir les jeunes hostiles à distance. »

      Concernant les #LBD, et les grenades lacrymogènes, la préfecture de police ne revient pas sur les scènes qui montrent des policiers viser des jeunes manifestement au niveau du haut du corps. Pour rappel, la procédure interdit aux policiers de viser la tête. Le communiqué précise simplement que les agents mobilisés ce jour-là n’ont pas fait usage de ces armes.

  • ★ Droite-gauche : il n’y a rien à dépasser... - Socialisme libertaire

    La traditionnelle opposition droite/gauche de l’arc institutionnel qui structurait la vie politique parlementaire depuis plus de cent ans, était devenue de moins en moins perceptible au fil des années. Si bien que les alternances construites sur cette coupure ont perdu, petit à petit leur raison d’être.
    Ce n’est pas faire preuve d’une grande sagacité que de constater que, depuis des décennies, l’offre politique de la gauche ressemblait à s’y méprendre à celle de la droite. Si, dans le discours, il restait quelques traces de ses origines dans le mouvement ouvrier, une fois au pouvoir, les politiques menées étaient celles dont le patronat et la bourgeoisie avaient besoin. Il fut un temps où ces derniers voyaient un avantage à laisser la gauche piloter l’avion pour prendre des mesures impopulaires avec un risque moindre de réaction populaire.
    Du « savoir terminer une grève » en 1936, au « tournant de la rigueur » en 1983 et au « virage social-libéral » en 1974, cette gauche représentée par la SFIO d’abord, par le PS ensuite depuis le congrès d’Epinay en 1971, avait depuis longtemps prouvé au patronat qu’il ne courait aucun risque à lui confier les clés du camion (...)

    #anarchisme #communisme_libertaire #autogestion #émancipation #écologie #antimilitarisme #anticléricalisme #fédéralisme_libertaire #feminisme #antiétatisme #anticapitalisme #antifascisme #internationalisme... #gauche #droite

    ⏩ Lire l’article complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/06/droite-gauche-il-n-y-a-rien-a-depasser.html

  • « enfants gazés = préfet nazi » inscrit sur un mur de Charleville-Mézières Time of Israel

    L’inscription aurait été tracée sur le mur d’un établissement scolaire ; Alain Bucquet a porté plainte

    Le préfet des Ardennes a porté plainte après la découverte d’une inscription sur un mur de Charleville-Mézières le traitant de « nazi », a-t-il indiqué vendredi, au lendemain de la manifestation contre la réforme des retraites.

    L’inscription « enfants gazés = préfet nazi » a été peinte sur un mur de Charleville-Mézières, dénonce le préfet Alain Bucquet dans un communiqué. « Je condamne avec la plus grande fermeté ces écrits infamants pour lesquels j’ai déjà déposé plainte et qui n’ont pas leur place dans la République Française que j’ai l’honneur de servir », écrit-il.

    La procureure de Charleville-Mézières Magali Josse a indiqué à l’AFP que, lorsqu’elle aurait confirmation du dépôt de cette plainte, elle ouvrirait une enquête pour « outrage à personne dépositaire de l’autorité publique ». L’inscription a selon elle été tracée sur le mur d’un établissement scolaire, qui l’a également signalée au parquet vendredi.

    Source : https://fr.timesofisrael.com/enfants-gazes-prefet-nazi-inscrit-sur-un-mur-de-charleville-mezier

    #gaz #grenades #grenades_lacrymogènes #violences #violences_policières #police #emmanuel_macron #macron #retraites #Charleville-Mézières #France

  • Waldorf Astoria Berlin: Der Chefconcierge zeigt uns das Luxushotel am Bahnhof Zoo
    https://www.berliner-zeitung.de/stil-individualitaet/waldorf-astoria-berlin-chefconcierge-christoph-hundehege-nimmt-uns-

    Ein Bericht über das Hotel, in dem man nicht aufs Klo darf - als Taxifahrer. Da haben sich Kollegen derart daneben benommen, dass die ganze Zunft Kloverbot hat

    Da.
    https://www.openstreetmap.org/node/3683945001

    9.4.2023 von Manuel Almeida Vergara - „Meet me at the clock“, sagt der New Yorker – und sein Gegenüber weiß sofort, was damit gemeint ist. Schließlich ist die mit bronzenen Relieffiguren dekorierte Standuhr im Waldorf Astoria, dem 1931 gegründeten Luxushotel, seit Jahrzehnten ein beliebter Treffpunkt. So beliebt, dass „meet me by the clock“ in New York zum geflügelten Wort geworden ist.

    „Wir treffen uns an der Uhr“ – diese Aufforderung kennt auch der Berliner, wenngleich sie ihn – ein bisschen weniger glamourös – nolens volens zur Weltzeituhr führt. Dabei hat auch Berlin seit genau zehn Jahren ein Waldorf Astoria. Und auch das Waldorf Astoria Berlin hat eine hübsche Standuhr in der Lobby.

    Christoph Hundehege plädiert ohnehin dafür, dass sich Berlinerinnen und Berliner öfter mal in das Fünf-Sterne-Hotel am Bahnhof Zoo verirren sollten. Und zwar nicht nur, um sich bei der Lobby-Uhr zu treffen: Vom Spa über die Bar bis zum Restaurant; von den weltberühmten „Eggs Benedict“ zum Frühstück über ein Stück „Red Velvet Cake“ am Nachmittag bis zum abendlichen Drink in der Hotelbar habe das Haus doch einiges zu bieten, das nicht nur Touristinnen und Touristen gefallen dürfte.

    Was in New York, London oder Paris ganz üblich ist – nämlich, auch als Einheimische die Vorzüge der besten Hotels der Stadt zu genießen – sollte sich bei uns genauso durchsetzen, findet Hundehege. Seit der Hoteleröffnung 2013 ist er Chefconcierge des Hauses, seit vergangenem Jahr außerdem Deutschland-Präsident von „Les Clefs d’Or“, einer renommierten weltweiten Concierge-Vereinigung.

    Wir treffen Christoph Hundehege im 30. Stock. Er wartet schon in einer großzügigen Ambassador-Suite auf uns, über der nur die noch großzügigere Präsidentensuite liegt. Und auch wenn sein Metier zur Verschwiegenheit verpflichtet: Ein paar Einblicke in seinen Berufsalltag will uns der Chefconcierge doch gewähren.

    Herr Hundehege, mir fällt gleich das goldene Emblem auf, das mir von Ihrem Revers entgegenfunkelt. Sieht ganz so aus, als seien Sie hochdekotiert – zumindest in Ihrem Berufsfeld.

    Das ist jedenfalls kein Militärabzeichen oder ein Sheriffstern. Wie der Name schon sagt, sind die goldenen Schlüssel das Symbol von „Les Clefs d’Or“, einer internationalen Vereinigung von Hotelconcierges. Weltweit haben wir fast 4000 Mitglieder, 200 davon arbeiten allein in Luxushäusern in Deutschland. Wir nutzen dieses Netzwerk gerne, weil wir unsere Gäste auf ihren Reisen begleiten wollen, auch über ihren Aufenthalt bei uns hinaus. Bevor sie in eine andere Stadt und ein anderes Hotel weiterziehen, telefonieren wir oft mit den Concierges dort, um sie schon mal über besondere Wünsche oder Vorlieben zu informieren. Das machen wir übrigens markenübergreifend.

    Da ruft dann also ein Concierge aus dem Waldorf Astoria Berlin beim Four Seasons in Miami oder Kempinski in Istanbul an, um die Leute dort auf ihre Gäste vorzubereiten?

    Sicher, wenn es doch dem Genuss unserer Gäste dient! Vielleicht gibt es beim nächsten Reiseziel ja ein tolles Restaurant, das schon mal reserviert werden soll, oder ein Konzert, für das es noch Karten braucht. Oder jemand hat eine Nussallergie, ist Pescetarier oder mag abends gern ein warmes Kirschkernkissen ans Bett. Jeder Hinweis hilft. Also arbeiten wir innerhalb dieser Concierge-Vereinigung wirklich eng zusammen.

    Was muss ein Concierge tun, um Mitglied bei „Les Clefs d’Or“ werden zu können?

    Theoretisch kann jeder und jede Concierge Teil unserer Vereinigung werden, wenngleich unsere Mitglieder vor allem in den Luxushäusern dieser Welt zu finden sind. Auf jeden Fall müssen sie schon eine bestimmte Anzahl an Jahren in diesem Beruf gearbeitet und auch mindestens zwei Paten innerhalb der Vereinigung haben, die für sie bürgen.

    Und was müsste man tun, um wieder rauszufliegen?

    Da gibt es bestimmt etwas. Wir haben ja ethische und moralische Vorsätze, an denen wir alle uns orientieren.

    Ich stelle mir gerade einen totalen Männerverein vor, ähnlich wie bei den traditionsreichen Butler-Vereinigungen Großbritanniens. Liege ich richtig?

    Überhaupt nicht! Ich kenne zwar den genauen prozentualen Anteil nicht, aber in der Hotellerie und Gastronomie sind ja ohnehin sehr viele Frauen tätig und so auch als Concierges. Das war sicherlich mal anders, auch, wenn wir nur ein oder zwei Dekaden zurückblicken. Aber das gleicht sich immer mehr aus, und das ist auch von unbedingter Wichtigkeit. Die Mischung macht’s, und so bin ich sehr froh, dass ich bei uns ein ganz ausgewogenes Team überblicke, das genau zur Hälfte aus Frauen und zur anderen aus Männern besteht.

    Eine Prämisse, der Sie sich als Chefconcierge des Waldorf Astoria Berlin und überdies als Präsident von „Les Clefs d’Or“ verschreiben, ist der Grundsatz der Verschwiegenheit. Dabei erleben Sie in ihrem Arbeitsalltag bestimmt einige kuriose Dinge. Fällt es Ihnen schwer, manchmal nicht doch aus dem Nähkästchen zu plaudern?

    Das fällt natürlich hin und wieder schwer. Ich würde lügen, wenn ich etwas anderes behauptete. Aber da muss ich – da müssen wir – uns eben kontrollieren, weil wir ja nicht selten mit hochrangigen und berühmten Gästen umgehen, denen wir eine Privatsphäre ermöglichen wollen. Also haben Details und Geschichtchen in Gesprächen außerhalb unseres Hauses nichts verloren.

    Glücklicherweise befinden wir uns ja gerade innerhalb Ihres Hauses, also versuche ich es einfach mal: Welche Begegnung mit einem Gast, welcher spezielle Wunsch ist Ihnen in zehn Jahren Waldorf Astoria Berlin besonders im Gedächtnis geblieben?

    Da gibt es wirklich viele Momente. Spontan muss ich an eine Situation denken, die sich im Rahmen des Champions-League-Finales zwischen Juventus Turin und FC Barcelona 2015 hier in Berlin abgespielt hat. Wir hatten einen Gast, der sich die ganze Woche auf dieses Finalspiel gefreut hatte. Zweieinhalb Stunden vor Anpfiff hatte er aber noch immer kein Ticket bekommen. Also stand er vor unserem Concierge-Desk mit der Bitte, ihm doch eines zu besorgen. Das war sicherlich ein Wunsch, der bei mir hängengeblieben ist, weil seine Erfüllung so schwierig war. Und um Ihre nächste Frage gleich vorwegzunehmen: Ja, wir konnten ihm sein Ticket besorgen, auch wenn das ein bisschen mehr Anstrengungen gekostet hat als eine einfache Restaurantreservierung.

    Dann also eine andere nächste Frage: Wen muss man anrufen, und was muss man sagen, wenn man zwei Stunden vor Anpfiff noch ein Ticket fürs Champions-League-Finale will?

    Da wären wir jetzt beim Nähkästchen, das ich lieber geschlossen halte. Wenn ich Ihnen jetzt erzählen würde, wie das funktioniert hat, dann könnte das ja am Ende jeder leisten.

    Steigen die Ansprüche eines Gastes parallel zu seiner Bedeutung? Oder anders: Kann sich eine berühmte Persönlichkeit bei Ihnen nochmal ganz andere Dinge wünschen als jemand gänzlich Unbekanntes?

    Wir haben grundsätzlich den Anspruch, jeden Gast gleich zu behandeln. Aber natürlich gibt es den einen oder die andere, die vielleicht ein paar mehr Anforderungen mit sich bringt. Wenn Sie zum Beispiel an einen Künstler denken, der gerade eine Welttournee macht und währenddessen in 100 Hotels übernachtet, dann tun wir gut daran, hier das gewünschte Umfeld zu schaffen, damit auf dieser Tour nichts ins Holpern gerät. Aber generell bemühen wir uns, niemanden seiner oder ihrer Popularität wegen zu bevorzugen.

    Ist das überhaupt möglich? Sie werden ja auch ganz persönliche Vorlieben haben, Stars, die Sie ganz toll finden und andere, mit denen Sie nichts anfangen können.

    Natürlich gibt es zum Beispiel Künstler, die ich persönlich musikalisch oder schauspielerisch besser finde als andere. Oder Staatsbesuche, auf die ich mich mehr freue als auf andere. Aber da muss ich eben ganz die professionelle Distanz wahren. Das wird von unserem Haus erwartet. Stellen Sie sich mal vor, ich würde einen Gast nach Karten für seine nächste Show, einem Autogramm oder einem Selfie fragen. Das wäre undenkbar! Und genauso undenkbar wäre es, dass ich einen Gast mit seinen Wünschen links liegen lasse, nur weil er nicht berühmt ist.

    Also darf ich Sie auch als ganz normaler Gast um Champions-League-Tickets bitten?

    Sicher, das dürfen Sie. Dafür sind wir letzten Endes da. Es muss ja auch nicht unbedingt das begehrte Fußballticket sein, es können auch Karten für ein Opernstück sein, für das Sie sich kurzfristig entschieden haben, oder einfach nur Tickets für den Zoo. Oder wir helfen Gästen dabei, sich ein Tagesticket von der BVG zu ziehen, einfach, weil sie das vorher noch nie gemacht haben. Alles ist möglich.

    Kommt es trotzdem mal vor, dass Sie Ihren Gästen sagen müssen: „Sorry, geht nicht“?

    Ich würde lügen, wenn ich sagte, es klappt immer alles völlig problemlos. Letzten Endes geht es darum, für den Gast gute Lösungen zu finden. Wenn es zum Beispiel in der Philharmonie spontan nicht mehr, wie gewünscht, fünf Plätze nebeneinander gibt, dann sorgen wir eben in Absprache mit dem Gast dafür, dass die Gruppe aufgeteilt wird und jeder einen guten Platz findet. Lösungen suchen und Lösungen finden – ich glaube, das beschreibt unsere Aufgabe als Concierges ganz gut.

    Interessant, dass Sie bis jetzt nur Beispiele außerhalb Ihres Hauses gewählt haben. Wünsche, die in der Oper, im Konzerthaus oder eben im Fußballstadion erfüllt werden sollen. Spannend wird es doch gerade dann, wenn jemand vor Ort zum Beispiel nicht mit seinem Zimmer einverstanden ist. Man hört ja gelegentlich von Stars, die etwa vorab ihre Suite neu streichen lassen, weil ihnen die Wandfarbe nicht gefällt. Oder sind das nur Hollywood-Mythen?

    Nein, das sind keine Fantastereien. So etwas gibt es. Wir haben durchaus Gäste, und das müssen gar keine Hollywoodstars sein, denen das ein oder andere Bild im Hotelzimmer nicht gefällt. Natürlich machen wir auch das dann möglich und tauschen die Kunst aus. Oder es gibt Gäste, die ihr Schlafzimmer durchgehend abgedunkelt haben wollen, sodass kein Tageslicht reinkommt. Auch das machen wir möglich. Wir versuchen, dem Ganzen keine Grenzen zu setzen.

    Klingt so, als sei Geduld Ihre wichtigste Eigenschaft. Was muss man noch mitbringen, um Ihren Job machen zu können?

    Geduld ist ganz wichtig, das stimmt. Außerdem würde ich sagen, man muss ein übergeordnetes Interesse an vielerlei Dingen mitbringen. Wir wollen unseren Gästen Empfehlungen authentisch geben können, müssen also wissen, wie es in bestimmten Restaurants so schmeckt, welcher Gang besonders zu empfehlen ist. Oder in welchen Galerien und Museen, aber auch in welchen Kiezen es gerade besonders spannend ist. Und weil sich unsere Stadt und ihre Stadtteile ja rasend schnell verändern, gehören zu meinem Beruf auch große Investitionen an privater Zeit. Wir wollen und müssen immer auf dem Laufenden sein. Man kennt das ja aus dem Privaten: Wenn Freunde Sie nach einem Restaurant fragen, dann ist es immer besonders schön, wenn Sie ganz authentisch davon erzählen können, weil Sie selbst schon mal da waren.

    Wenn wir über die Veränderungen in unserer Stadt sprechen, muss ich gleich an die Neuentwicklung der City West denken. An den Wunsch, aus der Gegend um den Bahnhof Zoo, wo 2013 auch das Waldorf Astoria eröffnet hat, eine elegante, mondäne Innenstadtlage zu machen. Spielt Ihr Haus bei diesem Vorhaben eine wichtige Rolle?

    Ja, das glaube ich durchaus. Ich würde jetzt nicht so weit gehen zu sagen, dass die Eröffnung des Waldorf Astoria Berlin der Schlüssel dazu war, die City West auf diese Weise zu entwickeln. Aber ich würde schon sagen, dass auch unsere Eröffnung dazu geführt hat, dass viele luxuriöse Boutiquen auf den Kurfürstendamm zurückgekommen sind und auch andere entsprechende Bauvorhaben umgesetzt wurden.

    Also passt Waldorf Astoria als Marke zu Berlin? Es gibt in der Stadt sicherlich einige Menschen, die das anders sehen.

    Berlin muss sich meines Erachtens vor keiner Metropole der Welt verstecken. Ganz im Gegenteil. Wenn ein Waldorf Astoria nach New York oder Amsterdam oder London passt, warum soll es nicht auch nach Berlin passen? Es gehört zu jeder Metropole dazu, dass auch diese Art von Hotellerie betrieben wird. Und die Nachfrage bestärkt uns ja darin. Luxus-Sternehotels funktionieren – auch in Berlin.

    Ist es also an der Zeit, dass wir uns endlich von Wowereits Motto „arm, aber sexy“ verabschieden?

    Ich glaube, dieser Satz hat in eine gewisse Zeit gepasst. Aber mittlerweile passt er nicht mehr. Wenn Sie sich nur mal anschauen, wie viele erstklassige Restaurants in den vergangenen Jahren und Monaten eröffnet haben! Wenn Sie sich vornehmen würden, jedes dieser Restaurants zu testen, dann wären Sie in zwei Jahren noch nicht damit durch. Dass solche Restaurants und eben Hotels wie unseres in Berlin so gut funktionieren, spricht doch dafür, dass die Klientel da ist.

    Nur empfangen Sie in Ihrem Haus ja eher Gäste von außerhalb und eben nicht die Berlinerinnen und Berliner, die vielleicht nach wie vor sexy und arm sind.

    Das ist nicht richtig. Uns besuchen auch viele Menschen, die in Berlin leben. Auch wenn das noch nicht in dem Maße geschieht, wie wir uns das wünschen würden. Das ist vielleicht tatsächlich etwas, das sich in Berlin noch nicht so durchgesetzt hat wie etwa in London oder New York: Dort ist es ganz normal, sich abends auch mal in einer Hotelbar oder einem Hotelrestaurant zu treffen, oder das Spa dort zu nutzen. Diese Hemmschwelle, die es in Berlin offenbar immer noch gibt – nämlich an den freundlichen Doormen vorbei in ein Fünf-Sterne-Hotel zu spazieren und die dortigen Angebote zu nutzen – existiert dort nicht. Aber es gibt auch hier in unserem Hotel viele schöne Dinge, die auch Berlinerinnen und Berliner erleben können. Sei es der High Tea in unserer Library im 15. Stock – für mich übrigens der schönste Ort im ganzen Hotel –, ein Tag im Guerlain-Spa oder eine Veranstaltung wie „Champaign & Eggs“ unten im Roca Restaurant.

    Gut gemachte Eier spielen im Waldorf Astoria tatsächlich eine übergeordnete Rolle. Im New Yorker Stammhaus wurden „Eggs Benedict“ erfunden, ein Frühstücksklassiker, der mittlerweile überall auf der Welt gegessen wird. Genau wie der „Red Velvet Cake“, der ebenso im Waldorf Astoria New York erfunden wurde. Hinzu kommen viele weitere, teils dramatische Geschichten, die mit dem Hotel verbunden sind. Etwa jene des Gründers John Jacob Astor IV, der 1912 beim Untergang der Titanic ums Leben gekommen war. In Ihrem Haus erinnert daran zum Beispiel ein Treppengeländer, dessen Metalldetails der Partitur des Liedes entsprechen, das als letztes auf dem sinkenden Schiff gespielt wurde. Prägt diese reiche, turbulente Markengeschichte Waldorf Astorias Sie in Ihrer täglichen Arbeit?

    Ja, das tut sie. Und das muss sie auch. Alle Häuser, die weltweit zum Portfolio von Waldorf Astoria gehören, müssen das in ihrer DNA tragen und auch zeigen. Die Erwartungen, mit denen Gäste zu uns kommen, sind gerade durch das New Yorker Mutterhaus und seine lange, intensive Geschichte sehr groß. Also muss jede Mitarbeiterin und jeder Mitarbeiter in unserem Haus dazu bereit sein, diese Geschichte weiterzuschreiben. Und ähnlich, wie ich das eben in Bezug auf Berliner Restaurants gesagt habe – nämlich, dass es auf ein authentisches Erzählen aus dem eigenen Erleben heraus ankommt – trifft das auch auf unser Hotel zu. Ich empfehle unseren Kolleginnen und Kollegen immer, wenn sie mal in Amsterdam, Shanghai oder eben New York sind, auch das Waldorf Astoria dort anzuschauen. Einfach, um unsere Marke möglichst gut zu kennen und kommunizieren zu können.

    Spielt diese Geschichte der Marke auch für Ihre Gäste eine Rolle?

    Auch das. Zudem verbinden viele Gäste ganz eigene, private Geschichten mit Waldorf Astoria. In der Tat haben wir eine sehr große amerikanische Gästeklientel, und es gibt viele, für die unser Name mit Erinnerungen verknüpft ist. Gerade vergangene Woche hatten wir hier noch ein Paar zu Gast, das seinen 50. Hochzeitstag bei uns in Berlin, aber seinen 10. Hochzeitstag schon im Waldorf Astoria in New York gefeiert hatte. Solche Gäste haben noch das, was sie früher in einem unserer Hotels erlebt haben, vor Augen, und kommen mit dieser Erwartungshaltung zu uns. Dafür, dass wir sie dann nicht enttäuschen müssen, arbeiten wir jeden Tag.

    Könnten Sie sich überhaupt vorstellen, für ein Hotel zu arbeiten, das nicht auf diesem Niveau angesiedelt ist?

    Ich persönlich könnte mir das nicht vorstellen, nein. Und ich hoffe, das ist auch bei allen meinen Kolleginnen und Kollegen so. Letztlich soll es doch das sein, wofür wir tagtäglich hierherkommen: Die Erwartungen unserer Gäste nicht nur zu erfüllen, sondern sie zu übertreffen. Den besten Service zu bieten, ein Auge fürs noch so kleinste Detail beweisen. Ich finde es unheimlich spannend, dass hier kein Tag dem anderen gleicht. Und dass ich auch nach zehn Jahren Waldorf Astoria Berlin noch von Gästen, ihren Wünschen und den damit einhergehenden Herausforderungen überrascht werde.

    Waldorf Astoria New York

    Das Waldorf Astoria New York, ein im Stile des Art déco entworfenes Wahrzeichen der Stadt, wurde im Jahr 1931 fertiggestellt. Es war aus dem Zusammenschluss zweier Hotels hervorgegangen; eines hatte dem Inverstor William Waldorf Astor, das andere dem Geschäftsmann John Jacob Astor IV gehört. Über die Jahre wurde Waldorf Astoria zu einer der renommiertesten Hotelmarken der Welt, die heute zur Hilton-Gruppe gehört und weltweit Dependancen unterhält.

    #Berlin #Charlottenburg #Hardenbergstraße #Hotel #Gastronomie #Arbeit #Luxus

  • Welcome to the Frontlines : Beyond Violence and Nonviolence | 闯 Chuang
    https://chuangcn.org/2020/06/frontlines

    This piece is also available as a high-quality pdf for reading or printing.

    https://chuangcn.org/wp-content/uploads/2020/06/WFL.pdf
    https://chuangcn.org/wp-content/uploads/2020/06/WFL_Booklet.pdf

    “Bienvenue en première ligne”, au delà de la violence et de la non-violence.
    https://dndf.org/?p=18804

    About | 闯 Chuǎng
    https://chuangcn.org/About

    C’est là qu’on trouve le mode d’emploi des barricades infranchissables du type dents de dragons .
    https://twitter.com/AG_Rennes2/status/1640608953141719042
    https://pbs.twimg.com/media/FsSdJPLXoAAJZjb?format=jpg&name=large

    Quand je vois ce genre de publication j’ai toujours l’impression d’être tombé sur un honeypot , un guet-apens destiné aux pauvres imbéciles qui sont prêts à croire en la bonne parole du premier prédicateur venu. Pour des raisons purement romantiques je me réserve toujours quelques minutes pour me rejouir de la beauté des paroles de révolté:e. (Là d’accord pour les " :" ;-) )

    闯 Chuǎng: The image of a horse breaking through a gate. Meaning: To break free; To attack, charge; To break through, force one’s way in or out; To act impetuously. 闯关 (chuǎngguān): to run a blockade. 闯座 (chuǎngzuò): to attend a feast without being invited.

    Over the past three decades, China has transformed from an isolated state-planned economy into an integrated hub of capitalist production. Waves of new investment are reshaping and deepening China’s contradictions, creating billionaires like Ma Yun while the millions below — those who farm, cook, clean, and assemble his electronic infrastructure — struggle to escape fates of endless grueling work. But as China’s wealthy feast ever more lavishly, the poor have begun to batter down the gates to the banquet hall. 闯 is the sudden movement when the gate is broken and the possibilities for a new world emerge beyond it.

    闯 Chuǎng will publish a journal analyzing the ongoing development of capitalism in China, its historical roots, and the revolts of those crushed beneath it. Chuǎng is also a blog chronicling these developments in shorter and more immediate form, and will publish translations, reports, and comments on Chinese news of interest to those who want to break beyond the bounds of the slaughterhouse called capitalism.

    Contact us at chuangcn@riseup.net

    Si 闯 Chuǎng se révèle comme une source fialble, on pourra considérer l’étude de quelques uns de ses textes aux titres intéressants :

    Resources
    https://chuangcn.org/resources

    China FAQ 常见中国问题解答系列 – Is China a capitalist country ? 中国是资本主义国家吗
    https://chuangcn.org/2022/03/china-faq-capitalist

    Chinese Workers Think about the CCP ? 中国工人如何看待中共?
    https://chuangcn.org/2022/03/china-faq-ccp

    Chuang ( chuangcn) / Twitter
    https://twitter.com/chuangcn

    闯 Chuang publishes a journal and blog analyzing the ongoing development of capitalism in China and the revolts of those crushed beneath it.

    #merci à @colporteur pour le lien initial https://seenthis.net/messages/997813 qui reprend https://dndf.org/?p=18804 qui est une traduction de https://chuangcn.org/2020/06/frontlines et de tracts référencés plus haut.

    #Chine #révolte #capitalisme #gauche

  • Israël bombarde le Liban et Gaza après des tirs de roquettes
    Par MEE | Published date : Vendredi 7 avril 2023 | Middle East Eye édition française
    https://www.middleeasteye.net/fr/actu-et-enquetes/israel-bombarde-liban-gaza-tirs-roquettes-raids-mosque-aqsa-jerusalem

    L’armée israélienne a lancé des frappes aériennes sur le Liban et la bande de Gaza tôt vendredi, quelques heures après que des roquettes ont été tirées depuis le sud du Liban sur Israël jeudi après-midi, sur fonds de violences israéliennes à la mosquée al-Aqsa à Jérusalem.

    L’armée a déclaré que les frappes au Liban visaient des infrastructures appartenant au mouvement palestinien Hamas. Les médias locaux ont déclaré que des terres agricoles autour d’al-Rashadieh, un camp de réfugiés en bord de mer juste au sud de la ville de Sour, avaient été touchées.

    Le village voisin d’al-Kalila, d’où des roquettes ont été tirées plus tôt, aurait également été pris pour cible. Il n’y a pour l’heure pas de victimes connues.

    L’armée libanaise a annoncé vendredi dans un tweet avoir démantelé dans le sud du pays une nouvelle rampe de lancement de roquettes susceptibles d’être tirées sur Israël.

    Le Liban et Israël « ne veulent pas de guerre », a affirmé vendredi la Force intérimaire des Nations unies (FINUL) déployée dans le sud du Liban pour faire tampon entre les deux pays, après des contacts entre les deux parties.

    Plusieurs zones de la bande de Gaza ont également été touchées lors de différents raids qui ont commencé après minuit, heure locale. Aucune victime n’a été signalée non plus, selon le ministère palestinien de la Santé. (...)

    #IsraelLiban #GAZA

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

    #Frontex #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #justice #Lisa-Marie_Komp #OLAF #Sénégal #externalisation #Africa-Frontex_intelligence_community (#Afic) #Rac #Nigeria #Gambie #Niger #Ghana #Côte_d'Ivoire #Togo #Mauritanie #status_agreement #échange_de_données #working_arrangement #Serbie #Monténégro #Albanie #Moldavie #Macédoine_du_Nord #CJUE #cours_de_justice #renvois #expulsions

    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Il y a des trucs vraiment super qui s’inventent en autogestion.
    Au #ccl de #Lille, il y a tout un truc de prophylaxie pour gérer les éponges dans le bâtiment, tout en permettant une économie.

    - Une éponge commence sa vie à la vaisselle.
    - Puis quand on la trouve sale, elle se fait amputer un coin.
    - Et elle continue sa vie au nettoyage de tables, de vitres...
    - Ensuite, quand elle est bien usée, elle se fait amputer un deuxième coin.
    - Et peut finir sa vie aux WC, ou à de trucs encore plus crades.

    Je trouve cette technique super de couper les coins pour marquer l’impossibilité de revenir en arrière.
    #anarchisme

  • Gazage très urbain à Strasbourg | Rue89Str / Mediapart | 04.03.23

    https://www.mediapart.fr/journal/france/040423/dans-une-nasse-strasbourg-etait-genoux-suppliait-et-la-police-ne-reagissai

    C’était Petite rue des Dentelles, à Strasbourg, le 20 mars de l’an de crasse 2023.

    Les fonctionnaires de police on laissé tremper les gentils manifestant égarés par hasard dans une ruelle bouchée des deux côtés par un dispositif de sécurité hermétique pendant 1/4h, le temps qu’ils comprennent bien et que les palets de CS finissent de faire effet ; seulement 3 évanouissements sur 50 lapins, des chochottes ; faut dire que les gazés avaient intérêt à se tenir bien sages, parce-que toute tentative de sortie était voué au « bâton » dixit le chef de cohorte. Peut-être que y va y avoir plainte pour torture animale ?

    Pour d’autres, au contraire, ce soir-là les a confortés dans leur envie de lutter contre la réforme des retraites, mais aussi dans les moyens à utiliser. C’est le cas de Guillaume, 27 ans. Au moment où les gaz lacrymogènes saturent la ruelle et où il réalise qu’il est bloqué avec une cinquantaine de personnes, il entre dans un immeuble.

    « Je suis monté tout en haut d’un petit escalier en colimaçon, au 2e étage. J’ai toqué à la porte. C’était un couple très gentil. Ils m’ont donné de l’eau pour mes yeux et ont fait le guet pour me dire ce qu’il se passait dans la rue. Puis, progressivement, d’autres manifestants sont arrivés et se sont installés comme moi sur les marches. Au total, j’ai compté, on était une trentaine. C’était dingue comme moment, trente personnes dans un escalier, qui ne faisaient aucun bruit. On ne voulait pas que la police nous contrôle et prenne nos cartes d’identité. »

    Au bout de 40 minutes, d’après des textos que nous avons pu consulter, Guillaume parvient à sortir de l’immeuble et de la ruelle, sans se faire contrôler par les forces de l’ordre.

    • Techniquement, la police est formelle : ce n’était pas une nasse. En effet : « Ce n’était pas une nasse, c’était un simple hasard de circonstances. Une nasse, c’est un dispositif pour prendre en tenailles, contraindre et restreindre. Là, on ne bloquait pas pour bloquer. » Vous bloquiez pour quoi, alors ?

    • https://fr.wikipedia.org/wiki/Gaz_lacrymogène (dit aussi CS)

      la majorité des données toxicologiques existantes sont inaccessibles, car encore dans le domaine militaire, et en 2020, « la composition détaillée du Gaz lacrymogène produit et utilisé en France » n’est toujours pas publique ; des effets toxiques à moyen ou long termes de ces gaz sont cependant « bien connus officiellement pour les militaires et les forces de police ».

      Le cyanure semble être la principale source de nocivité des gaz CS : à partir des gaz inhalés, des molécules ingérées ou via un passage percutané, « chaque molécule de gaz lacrymogène CS se métabolise dans le corps humain en deux molécules de cyanure ». Ce cyanure bloque une partie de la chaîne respiratoire et crée un stress oxydatif, même à petites en dose. Outre les yeux (risques de cataracte) le fonctionnement du cerveau, du foie et des reins sont affectés.

      Les effets directs sont accentués par temps chaud et humide.

      #gaz_lacrymogene #lacrymogene #gaz_CS

  • Le siège de Gaza ---> 70 % de la population sous le seuil de pauvreté

    via Amina Bitar, responsable du groupe défense Palestine à Arendal (Norvège)

    1,1 million sur 1,6 sont enregistrés comme réfugiés auprès de l’UNRWA, l’agence onusienne qui s’occupe des réfugiés palestiniens

    44 % d’entre eux ont moins de 14 ans

    L’âge moyen est 18 ans

    La croissance de la population est de 3,2 en moyenne, une des plus forte du monde

    72 % de la population vit en zone urbaine

    Taux d’alphabétisation :
    –- 97 % pour les hommes
    –- 88 % pour les femmes

    Taux de chômage estimé à environ 40 %

    70% de la population vit sous le seuil de pauvreté...

    Tous ces chiffres sont du PNUD ou de l’UNWRA

    https://dl.dropbox.com/s/811q7i4x17owtz4/gazaimaging.jpg

    #gaza #palestine #israël #occupation