• MAINTIEN DE L’ORDRE : LES RÉVÉLATIONS INÉDITES D’UN POLICIER
    https://www.youtube.com/watch?v=u_26pzEUbyc


    Le Vent Se Lève - 9 juil. 2020

    Le dialogue exclusif entre un CRS lanceur d’alerte et l’une des figures des gilets jaunes. Casseurs, racisme, violences policières : ils s’affrontent normalement sur le terrain, ils ont aujourd’hui décidé d’en discuter.

    Le policier Laurent Nguyen prend des risques en acceptant de s’exprimer sur Le Vent Se Lève aujourd’hui. Poursuites judiciaires ou révocation, libérer la parole en tant que policier a un prix.

    Cette vidéo a été publiée pour la première fois le 08/06/2020.

    #violences_policières

  • Petrolio e migranti. Il « patto libico »

    Decine di navi e depositi per il contrabbando attraverso Malta e i clan siciliani. Business da oltre un miliardo. Ispettori Onu e Ue: a comandare sono i boss del traffico di esseri umani.

    «Oil for food» la chiamavano in Iraq. Export di petrolio in cambio di cibo. Era l’unica eccezione all’embargo. Le milizie libiche hanno cambiato i fattori: «#Oil_for_migrants ». Dovendo rallentare la frequenza dei barconi, hanno ottenuto cospicui “risarcimenti” mentre imbastivano un colossale contrabbando di petrolio. « Oil for migrants ». A tutto il resto pensano i faccendieri maltesi e la mafia siciliana.

    Le ultime tracce della “Libia connection” sono del 20 gennaio. In Sicilia, per questioni di oro nero, sono finiti indagati in 23, tutti vicini ai clan di mafia catanesi. Il 5 dicembre 2019 la Procura di Bologna aveva messo i sigilli a 163mila litri di carburante. Solo due giorni prima i magistrati di Roma avevano arrestato 16 persone e bloccato 4 milioni di litri di gasolio. Abbastanza per fare il pieno a 80mila utilitarie. Secondo la procura di Trento, che aveva chiuso un’analoga inchiesta, nel nostro Paese l’evasione delle imposte negli idrocarburi può arrivare a 10 miliardi di euro. L’equivalente di una legge finanziaria.

    Per venirne a capo bisogna ficcare il naso a Malta, che «rappresenta anche uno snodo per svariati traffici illeciti, come quello dei prodotti petroliferi provenienti dai Paesi interessati da una forte instabilità politica», si legge nell’ultima relazione al parlamento della Direzione investigativa antimafia. L’episodio chiave è del 2017, quando la procura di Catania porta a termine l’operazione “Dirty Oil”, che ha permesso «di scoprire – ricorda sempre la Dia – un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie ad una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche». In mezzo, però, c’è l’omicidio di Daphne Caruana Galizia. La reporter maltese era stata eliminata con una bomba il 16 ottobre 2017, due giorni prima della retata che da Catania a Malta avrebbe confermato tutte le sue rivelazioni sui traffici illeciti tra la Libia e l’Europa via La Valletta. Messo alle strette, il governo dell’isola aveva chiesto sanzioni internazionali contro i boss del contrabbando di petrolio. Ma è a questo punto che accade un imprevisto. Uno di quegli inciampi che da solo permette di comprendere quale sia la misura e l’estensione della partita. Ad agosto 2019 il Cremlino, a sorpresa, annuncia di voler porre il veto al provvedimento con cui il Consiglio di Sicurezza Onu si apprestava a disporre il blocco, ovunque nel mondo, dei patrimoni della gang di maltesi, libici e siciliani. Un intrigo internazionale in piena regola. Un anno prima il Dipartimento del Tesoro Usa aveva disposto l’interdizione di tutti gli indagati da ogni attività negli Stati Uniti.

    Tra le persone che Malta, dopo l’uccisione di Caruana Galizia, avrebbe voluto vedere con i sigilli ai conti corrente ci sono l’ex calciatore Darren Debono e i suoi associati, tra i quali l’uomo d’affari Gordon Debono e il libico Fahmi Bin Khalifa. Nomi che tornano spesso. I tre, con il catanese Nicola Orazio Romeo, sono sotto processo perché ritenuti responsabili di un ingente traffico di gasolio sottratto ai giacimenti libici sotto il controllo della milizia Al-Nasr, quella del trafficante-guardacoste Bija e dei fratelli Kachlav. Dallo stabilimento di Zawiyah, il più grande della Libia, praticamente a ridosso del più affollato centro di detenzione ufficiale per migranti affidato dalle autorità ai torturatori che rispondono sempre a Bija, l’oro nero viene sottratto con la complicità della “ Petroleum facility guard”, un corpo di polizia privato incaricato dal governo di proteggere il petrolchimico. Ma a capo delle guardie c’è proprio uno dei fratelli Kachlav. Il porto di Zawyah è assegnato alla “Guardia costiera” che, neanche a dirlo, è comandata sempre da al Milad, nome de guerre “Bija”, nel 2017 arrivato con discrezione in Italia durante il lungo negoziato per fermare le partenze dei migranti.

    A sostenere la connessione tra smercio illegale di idrocarburi, traffico di armi ed esseri umani sono gli esperti delle Nazioni Unite inviati in Libia per investigare. Il gasolio «proviene dalla raffineria di Zawiyah lungo un percorso parallelo alla strada costiera», si legge nell’ultima relazione degli ispettori Onu visionata da Avvenire. Molte foto ritraggono proprio Bija alla guida di gruppi combattenti o impegnato su navi cisterna. Le conclusioni confermano inoltre che l’area di Zuara, dove spadroneggia il clan Dabbashi – a seconda dei casi alleato o in rotta di collisione con i boss di Zawyah – «è stata la principale piattaforma per le esportazioni illecite via mare di prodotti petroliferi raffinati». Nei dintorni ci sono almeno 40 depositi illegali di petrolio. Da questi impianti «il carburante – si legge ancora – viene trasferito in autocisterne più piccole fino al porto di Zuara, dove viene caricato in piccole navi cisterna o pescherecci con serbatoi modificati». A disposizione dei contrabbandieri c’è una flotta ragguardevole: «Circa 70 imbarcazioni, piccole petroliere o pescherecci da traino, sono dedicate esclusivamente a questa attività». Dalle stazioni di pompaggio i trafficanti utilizzano condutture che trasportano il carburante alle navi che sostano «tra 1 e 2 miglia nautiche al largo».

    I nomi dei vascelli sono noti e riportati in diversi documenti confidenziali. Impossibile che in Libia nessuno veda. In totale «esistono circa 20 reti di contrabbando attive, che danno lavoro a circa 500 persone», spiegano gli esperti Onu. Manodopera da aggiungere alle migliaia di libici arruolati dagli stessi gruppi per controllare il territorio, gestire il traffico di esseri umani, combattere per le varie fazioni.

    Le inchieste, però, non fermano il business. Il catanese Romeo, indagato nel 2017 per l’indagine etnea “ Dirty Oil”, in passato era stato ritenuto dagli investigatori in contatto con esponenti della famiglia mafiosa Santapaola–Ercolano. Ipotesi, in attesa di un pronunciamento dei tribunali, sempre respinta dall’interessato. A confermare l’interesse di Cosa nostra siciliana per le petroliere sono arrivati i 23 arresti di gennaio. Tra gli indagati vi sono ancora una volta esponenti dei clan catanesi, stavolta della famiglia Mazzei, tornata ad allearsi proprio con i Santapaola– Ercolano. «Abbiamo riscontrato alcuni collegamenti con personaggi coinvolti nell’indagine Dirty Oil, dove era emersa proprio l’origine libica del petrolio raffinato», ha commentato dopo gli arresti il procuratore aggiunto di Catania, Francesco Puleio. Alcuni degli indagati hanno anche «cercato nuovi canali di fornitura e sono entrati in contatto con l’uomo d’affari maltese Gordon Debono, coinvolto nell’indagine Dirty Oil».

    Il collegamento tra mafia libica e mafia siciliana per il tramite di mediatori della Valletta è confermato da un’altra rivelazione contenuta nel dossier consegnato al Palazzo di Vetro a fine 2019. A proposito della nave “Ruta”, con bandiera dell’Ucraina, sorpresa a svolgere attività di contrabbando petrolifero, gli investigatori Onu scrivono: «Secondo le indagini condotte dal Procuratore di Catania», il vascello è stato coinvolto in operazioni illegali, compreso il trasferimento di carburante ad altre navi, «in particolare la Stella Basbosa e il Sea Master X, entrambi collegati alla rete di contrabbando di “Fahmi Slim” e, secondo quanto riferito, ha scaricato combustibile di contrabbando nei porti italiani in 13 occasioni ». Quello di “Fahmi Slim” altro non è che il nome di battaglia di Fahmi Musa Bin Khalifa, il boss del petrolio di Zuara, in affari con Mohammed Kachlav, il capo in persona della milizia al Nasr di Zawyah.

    A ostacolare il patto tra mafie dovrebbe essere l’operazione navale europea Irini «che ha già dimostrato l’utilità in termini di informazioni raccolte, e per l’effetto deterrenza anche sul contrabbando di petrolio», ha detto nei giorni scorsi il commissario agli affari Esteri Josep Borrel. E chissà se l’aumento del 150% delle partenze sui barconi sia solo una coincidenza o non sia uno degli effetti di «Oil for migrants».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/petrolio-e-migranti-il-patto-libico
    #pétrole #migrations #Libye #pacte #extractivisme #accord #Malte #Italie #contrebande #mafia #Libia_connection #Dirty_Oil #Daphne_Caruana_Galizia #Darren_Debono #Gordon_Debono #Fahmi_Bin_Khalifa #Nicola_Orazio_Romeo #Al-Nasr #Bija #Kachlav #Zawiyah #Petroleum_facility_guard #gardes-côtes #Dabbashi #Zuara #Zawyah #Romeo #Santapaola–Ercolano #Cosa_nostra #Mazzei #Ruta #Stella_Basbosa #Sea_Master_X #Fahmi_Slim #Fahmi_Musa_Bin_Khalifa #Mohammed_Kachlav #Irini

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  • EU ’covered up’ Croatia’s failure to protect migrants from border brutality

    Exclusive: Brussels officials feared disclosing Zagreb’s lack of commitment to monitoring would cause ‘scandal’

    EU officials have been accused of an “outrageous cover-up” after withholding evidence of a failure by Croatia’s government to supervise #police repeatedly accused of robbing, abusing and humiliating migrants at its borders.

    Internal European commission emails seen by the Guardian reveal officials in Brussels had been fearful of a backlash when deciding against full disclosure of Croatia’s lack of commitment to a monitoring mechanism that ministers had previously agreed to fund with EU money.

    Ahead of responding to inquiries from a senior MEP in January, a commission official had warned a colleague that the Croatian government’s failure to use money earmarked two years ago for border police “will for sure be seen as a ‘scandal’”.

    Supervision of the behaviour of border officers had been the condition set on a larger grant of EU funds to Croatia. There have been multiple allegations of violent pushbacks of migrants and refugees by Croatian police on the border with Bosnia, including an incident in which a migrant was shot.

    In response to allegations of a cover-up, an EC spokesman told the Guardian that what was known had been withheld from MEPs as the information was believed to have been “incomplete”.
    Crosses on our heads to ’cure’ Covid-19: refugees report abuse by Croatian police
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    It throws a spotlight on both the Croatian government’s human rights record and the apparent willingness of the EU’s executive branch to cover for Zagreb’s failure.

    Croatia is seeking to enter the EU’s passport-free Schengen zone – a move that requires compliance with European human rights standards at borders.

    Despite heated denials by the Croatian authorities, the latest border incident has been described by aid workers as the most violent in the Balkan migration crisis. On 26 May, 11 Pakistani and five Afghan men were stopped by a group wearing black uniforms and balaclavas in the Plitvice Lakes, 16km (10 miles) into Croatia from the Bosnian border.

    “The men in uniforms tied each of the Pakistanis and Afghanis around a tree, so their wrists were bound and they had to turn their faces toward the trees,” according to a report from the Danish Refugee Council (DRC), which provides healthcare for migrants in Bosnia. “Once these people were unable to move, the men in uniforms fired several shots in the air with guns placed close to the ears of the Pakistanis and Afghanis. There were also shots fired close to their legs.’’

    “They kept shooting. They were shooting so closely that the stones under our feet were flying and being blown to pieces,” one of the men told the Guardian. “They kept saying: ‘I want to beat and kill you.’ They tortured us for three to four hours.”

    The council’s report says electro-shockers were placed on people’s necks and heads. “One of the men in uniform was cutting several victims with knives and the same person inflicted cuts on both of the palms of one person.”

    One asylum seeker said that one of the men put his knee on his neck, then cut at him with a blade. ‘‘He sliced the index finger of my left hand, and blood started spurting out like a small shower,’’ he said. “Then he smiled and cut my middle finger followed by my palm with a larger cut. The whole hand is swollen beyond recognition.”

    After a while, the men in balaclavas called other uniformed officers.

    According to the victims and a report by the DRC, “before the police arrival, one of the men in uniform made a film with his mobile phone, while others in his company were laughing, yelling and provoking”.

    Upon the arrival of police officers, the migrants were put into vans and taken to the border at Šiljkovača, a village close to Velika Kladuša. Police officers did not beat them, but ordered them into Bosnian territory.

    “All of them had bleeding wounds on their heads and numerous bruises on various parts of the body,” Nicola Bay, the DRC country director for Bosnia, told the Guardian. “Four of them had broken arms and one had a broken leg and both arms.”

    Contacted by the Guardian, the Croatian police denied the allegations and suggested that asylum seekers could have fabricated the account and that the wounds could be the result of “a confrontation among migrants” that took place ‘‘on 28 May in the vicinity of the Croatian border, near Cazin’’.

    Volunteers and charities who have treated migrants involved in the fight in Cazin, said the two incidents are unrelated and happened two days apart. Those involved in the fight in Cazin have not claimed they were attacked by the police.

    The establishment of supervisory mechanisms to ensure the humane treatment of migrants at the border had been a condition of a €6.8m (£6.1m) cash injection announced in December 2018 to strengthen Croatia’s borders with non-EU countries.

    The mechanism was publicised by the European commission as a way to “ensure that all measures applied at the EU external borders are proportionate and are in full compliance with fundamental rights and EU asylum laws”.

    Croatian ministers claimed last year that the funds had been handed over to the UN High Commission for Refugees (UNHCR) and the Croatian Law Centre to establish the supervisory mechanism.

    Both organisations deny receiving the money.

    In January this year, the commission was asked by Clare Daly, an Irish MEP in the Independents 4 Change party, to account for the discrepancy.

    A commission official responded that the UNCHR and Croatian Law Centre had established the monitoring mechanism but from “their own funds” to ensure independence from the government.

    He added: “Hopefully [this] clarifies this matter once and for all”.

    But both organisations have again denied being involved in any monitoring project, clarifying that they had only been engaged in an earlier initiative involving the examination of police files.

    Beyond the apparent inaccuracy of the response to Daly, internal emails suggest the full facts of the “underspending” – as its known to the commission – were also withheld.

    The EC failed to inform Daly that the Croatian government had decided to ring-fence only €102,000 of the €300,000 provided for the monitoring mechanism and that ultimately only €84,672 was actually spent – €17,469.87 was given to the interior ministry and €59,637.91 went to NGOs. A roundtable conference accounted for €1,703.16.

    “While we know that there has been underspending on the €300,000 … we thought that around € 240,000 were nevertheless spent in the context of the monitoring mechanism,” an EU official had written while discussing how to deal with the MEP’s questions. “Having spent only EUR 102,000, will for sure be seen as a ‘scandal’.”

    The commission did not pass on information on the spending to Daly but privately officials agreed to seek answers urgently. They also discussed in a phone and email exchange the possibility of intervening in the member state’s planned report due to the poor handling of the matter by the Croatian government.

    “Seeing how unfortunate [Croatia] is presenting this issue, [Croatia] definitively needs (your?) help in putting some ‘final touches’ to the report,” an official in the commission’s migration department wrote to a colleague. “Will [Croatia] provide you with an advance copy of the final report?”

    Daly told the Guardian: “It is outrageous – the commission appears to be colluding with the Croatian authorities in a cover-up.”

    An EC spokesperson said the EU’s executive branch was committed to the establishment of a fully independent border monitoring mechanism.

    The spokesperson said: “We would caution against drawing misleading conclusions from reading the internal email exchanges in isolation.”

    He added: “The Croatian authorities are explaining in their final implementation report how the monitoring mechanism was established, how it works in practice and outline the results.

    “Given that the report submitted by the Croatian authorities was incomplete, the commission asked the Croatian authorities for clarifications first in writing and orally regarding outstanding issues (eg factual data confirming the achievements of the project indicators relating to internal controls and trainings).”

    https://www.theguardian.com/global-development/2020/jun/15/eu-covered-up-croatias-failure-to-protect-migrants-from-border-brutalit
    #complicité #EU #UE #Croatie #violence #réfugiés #asile #migrations #violence #violences #hauts_fonctionnaires #fonds #argent #gardes_frontière #route_des_Balkans #frontières #Plitvice_Lakes #commission_européenne #Union_européenne #couverture

    • Report from Centre for Peace Studies on the pushback of children

      On 29th May 2020, the Centre for Peace Studies – a key member of the Border Violence Monitoring Network (BVMN) – presented a new report alongside the Welcome! Initiative. Addressing the Croatian Government, the “Report on violent and illegal expulsions of children and unaccompanied children” is based on testimonies collected by activists through the BVMN shared database. The publication shares the story of children who sought protection from Croatia, and how Croatia answered in violence.

      “We came to the door of Prime Minister Plenković and Deputy Prime Minister and Minister of the Interior Božinović, who have been turning their backs on testimonies and accusations for years and silently pursuing a policy of flattering the European Union. Even the most vulnerable are not excluded from violence – children “, said Tea Vidović on behalf of the Welcome! Initiative.

      The report submitted to the Government by the organizations provides testimonies of children and their families and unaccompanied children on violent and illegal methods that they had to experience at the hands of police authorities. This illegal and inhuman behavior violates national laws, international law and human rights, prevents access to international protection and, most importantly, marks children’s lives. Although the Government of the Republic of Croatia and the Ministry of the Interior should take into account the special vulnerability of children, respect their rights and best interests, children experience police brutality and limitation of their freedom for hours without access to water and food.

      “While the government uses every opportunity to emphasize the importance of border protection, we wonder in which way is police protecting Croatian borders? By beating children, confiscating their personal belongings, locking children in police vans for several hours in which they are exposed to extremely high or extremely low temperatures, shooting and using electric shocks, is this how the police protect Croatian borders? ”, points out Ana Ćuća.

      The exact number of children who are victims of police brutality remains unknown. BVMN has reported 209 cases of violent and illegal expulsions of children from Croatia since 2017, while Save the Children recorded 2969 expulsions of children at the borders in the Western Balkans during the first 9 months of last year.

      Two cases are currently pending at the European Court of Human Rights against Croatia, both involving violence and pushback. The first is the case of the family of the tragically late six-year-old girl Madina Hussiny, who was killed at the Croatian-Serbian border. The second includes pushbacks, illegal detention and inhumane treatment of a 17-year-old Syrian boy by Croatian police, who was pushed back to Bosnia and Herzegovina despite seeking asylum in Croatia.

      The latest report presented is the sixth report on violent and illegal expulsions published in the last four years, and it is the collective work of the Centre for Peace Studies, the Society for Psychological Assistance, the Welcome! Initiative and the Border Violence Monitoring Network. It also brings a short graphic novel based on the story of little #Madina, a young girl killed in transit, for whose death no one has yet been held accountable.

      Therefore, the organisations ask the Government and the Ministry of the Interior to finally take responsibility and for those who sanction and carry out systematic violence. Responsible institutions are obliged to investigate those who commit violence and push back children in need of protection. All children deserve justice and protection.

      https://www.borderviolence.eu/report-from-centre-for-peace-studies-on-the-pushback-of-children
      #enfants #enfance #mineurs

      Pour télécharger le #rapport:
      https://www.cms.hr/system/article_document/doc/647/Pushback_report_on_children_and_unaccompanied_children_in_Croatia.pdf

    • Policiers croates accusés de violences contre des migrants : l’UE réclame une "enquête approfondie’’

      Après avoir été interpellée par Amnesty International sur la « violence » des policiers croates à l’égard des migrants, la Commission européenne a réclamé à Zagreb une « enquête approfondie ». L’institution prévoit d’envoyer une mission sur place, quand la situation sanitaire le permettra.

      L’Union européenne est sortie de son ’’silence’’ au sujet des accusations de violences contre des migrants perpétrées par la police croate. Vendredi 12 juin, la Commission européenne a réclamé à Zagreb une "#enquête_approfondie'' à la suite de la publication d’un rapport à charge de l’ONG Amnesty International dénonçant des #passages_à_tabac, des #tortures et des tentatives d’#humiliation de la part de policiers croates (https://www.infomigrants.net/fr/post/25339/on-les-suppliait-d-arreter-de-nous-frapper-ils-chantaient-et-riaient-l).

      « Nous sommes très préoccupés par ces allégations », a déclaré un porte-parole de l’exécutif européen, Adalbert Jahnz. « La #violence, l’humiliation et les #traitements_dégradants des demandeurs d’asile et migrants n’ont pas leur place dans l’Union européenne et doivent être condamnés », a-t-il assuré.

      L’Union européenne avait été directement interpellée par Amnesty International dans son rapport. Ce document affirme que 16 migrants, qui tentaient d’entrer illégalement en Croatie, ont été « ligotés, brutalement battus et torturés » pendant plusieurs heures par des forces de l’ordre, dans la nuit du 26 au 27 mai. « L’Union européenne ne peut plus rester silencieuse et ignorer délibérément les violences et les abus commis par la police croate à la frontière », avait déclaré Massimo Moratti, directeur adjoint de l’antenne européenne de l’ONG.

      https://twitter.com/Jelena_Sesar/status/1271044353629335553?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E12

      Une mission sur place quand la situation sanitaire le permettra

      L’exécutif européen a également indiqué être « en contact étroit » avec les autorités croates qui « se sont engagées à enquêter » sur ces accusations de mauvais traitements à leur frontière avec la Bosnie (https://www.infomigrants.net/fr/post/18721/plusieurs-migrants-retrouves-blesses-a-la-frontiere-entre-la-bosnie-et). « Nous attendons que ces accusations fassent l’objet d’une enquête approfondie et que toutes les actions nécessaires soient prises », a poursuivi le porte-parole.

      La Commission prévoit aussi d’envoyer, quand la situation sanitaire le permettra, une mission sur place, dans le cadre d’un mécanisme de surveillance du respect des droits fondamentaux par les autorités aux frontières lié à l’allocation de fonds européens.

      Le ministère croate de l’Intérieur a, de son côté, immédiatement démenti ces accusations, en ajoutant cependant qu’une enquête serait ouverte.

      Des milliers de migrants empruntent chaque année la « route des Balkans » pour essayer de rejoindre l’Europe occidentale. La plupart passent par la Croatie, pays membre de l’UE, le plus souvent en provenance de la Bosnie.


      https://www.infomigrants.net/fr/post/25354/policiers-croates-accuses-de-violences-contre-des-migrants-l-ue-reclam

    • Croatia: Fresh evidence of police abuse and torture of migrants and asylum-seekers

      In a horrifying escalation of police human rights violations at the Croatian border with Bosnia, a group of migrants and asylum seekers was recently bound, brutally beaten and tortured by officers who mocked their injuries and smeared food on their bleeding heads to humiliate them, Amnesty International has revealed today.

      Amnesty International spoke to six men among a group of 16 Pakistani and Afghan asylum-seekers who were apprehended by the Croatian police on the night between 26 and 27 May near Lake Plitvice, as they tried to cross the country to reach Western Europe.

      Between eight and ten people wearing black uniforms and balaclavas identical to those used by Croatia’s Special Police, fired their weapons in the air, kicked and repeatedly hit the restrained men with metal sticks, batons and pistol grips. They then rubbed ketchup, mayonnaise and sugar that they found in one of the backpacks on migrants’ bleeding heads and hair and their trousers. Amnesty International also spoke to doctors who treated the men and NGOs who witnessed their injuries.

      “The European Union can no longer remain silent and wilfully ignore the violence and abuses by Croatian police on its external borders. Their silence is allowing, and even encouraging, the perpetrators of this abuse to continue without consequences. The European Commission must investigate the latest reports of horrifying police violence against migrants and asylum-seekers.” said Massimo Moratti, Deputy Director of the Europe Office, following the latest incident on the Croatian border.

      Physical and psychological abuse

      Amir from Pakistan told Amnesty: “We were pleading with them to stop and show mercy. We were already tied, unable to move and humiliated; there was no reason to keep hitting us and torturing us.” He said the armed men showed no sympathy. “They were taking photos of us with their phones, and were singing and laughing.” Amir had a broken arm and nose, stiches on the back of his head, and visible bruising all over his face and arms.

      Ten men suffered serious injuries that night. Thirty-year-old Tariq now has both of his arms and a leg in a cast, visible cuts and bruises on his head and face and is suffering from severe chest pain.

      “They did not give us a chance to say anything at all when they caught us. They just started hitting us. While I was lying on the ground, they hit my head with the back of a gun and I started bleeding. I tried to protect my head from the blows, but they started kicking me and hitting my arms with metal sticks. I was passing in and out of consciousness the rest of the night.” Tariq is now forced to use a wheelchair to move around and it will take months before he is able to move on his own again.

      The men told Amnesty International how they felt humiliated as militia rubbed mayonnaise and ketchup on to their bloody heads and faces. One masked man squirted mayonnaise on an asylum-seeker’s trousers between his legs, while others laughed and sang “Happy Birthday” around them.

      After almost five hours of continuous abuse, the migrants were handed over to the Croatian Border Police who transported them close to the border with Bosnia and Herzegovina in two vans before ordering them to walk. “They were taken aback by our condition. We were drenched in blood and very shook up. We could barely stand, much less walk for hours to Bosnia. But they told us to go. They told us to carry the guys who couldn’t walk and just go.” Faisal told Amnesty.

      Some of the men eventually reached Miral, a reception centre run by the International Organization for Migration in Velika Kladusa in Bosnia and Herzegovina, but five, who were too weak to walk, stayed behind and were eventually picked up by an NGO operating in the camp.

      An emergency doctor at the medical clinic in Velika Kladusa who treated the men told Amnesty International that they all had injuries on the back of their heads which were consistent with a blow by a blunt object and required stiches. Most had multiple fractures, joint injuries, collapsed lungs, cuts and bruises and several were traumatized. Their recovery could take months.

      Routine violent pushbacks and torture by the Croatian police remain unpunished

      While only the latest in the series, the incident points to a new level of brutality and abuse by the Croatian police. In early May, the Guardian reported about a group of men who were forced across the Croatian border after being beaten and having orange crosses spray-painted on their heads. The Croatian Ministry of Interior dismissed the allegations, but the testimonies of violence and intimidation fit the trend of unlawful pushbacks taking place not only on the Croatian, but also on other external borders of the European Union.

      Numerous reports over the past three years have revealed how the Croatian border police routinely assault men, women and teenagers trying to enter the country, destroy their belongings and smash their phones before pushing them back to Bosnia. People are sometimes stripped of their clothes and shoes, and forced to walk for hours through snow and freezing cold rivers.

      A physician in the Velika Kladusa clinic told Amnesty International that approximately 60 per cent of migrants and asylum-seekers who required medical treatment reported that their injuries were inflicted by the Croatian police, while they were trying to cross the border. “Many injuries involve fractures of long bones and joints. These bones take longer to heal and their fractures render the patient incapacitated for extended periods of time. This appears to be a deliberate strategy – to cause injuries and trauma that take time to heal and would make people more reluctant to try to cross the border again or any time soon,” the physician told Amnesty International.

      The Croatian Ministry of Interior has so far dismissed these allegations, refusing to carry out independent and effective investigations into reported abuses or hold its officers to account. In a climate of pervasive impunity, unlawful returns and violence at the border have only escalated. Amnesty International has shared the details of this incident with the Ministry of Interior, but has not received an official response.

      The EU’s failure to hold Croatia to account

      The European Commission has remained silent in the face of multiple, credible reports of gross human rights abuses at the Croatian border and repeated calls by the European Parliament to investigate the allegations. Furthermore, Croatia remains a beneficiary of nearly EURO 7 million of EU assistance for border security, the vast majority of which is spent on infrastructure, equipping border police and even paying police salaries. Even the small proportion (EURO 300,000) that the Commission had earmarked for a mechanism to monitor that the border measures comply with fundamental rights and EU asylum laws, has been no more than a fig leaf. Last year, the Commission recommended Croatia’s full accession to the Schengen Area despite human rights abuses already being commonplace there.

      “The European Commission cannot continue to turn a blind eye to blatant breaches of EU law as people are being branded with crosses on their heads or brutally tortured and humiliated by Croatian police. We expect nothing less than the condemnation of these acts and an independent investigation into reported abuses, as well as the establishment of an effective mechanism to ensure that EU funds are not used to commit torture and unlawful returns. Failing urgent action, Croatia’s inhumane migration practices will turn the EU into an accomplice in major human rights violations taking place at its doorstep,” said Massimo Moratti.

      Violent pushbacks from Croatian border have been a regular occurrence since late 2017. The Danish Refugee Council recorded close to 7,000 cases of forcible deportations and unlawful returns to Bosnia and Herzegovina in 2019, most of which were accompanied by reported violence and intimidation by Croatian police. Despite the brief respite during the lockdown due to COVID-19 pandemic, pushbacks continue with 1600 cases reported only in April. The figures are increasing daily, as the restrictions across the region are being lifted and the weather is turning milder.

      Amnesty International has interviewed over 160 people who have been pushed back or returned to Bosnia and Herzegovina since July 2018. Nearly one third reported being beaten, having their documents and telephones stolen, and verbally abused in what appears to be a deliberate policy designed to deter future attempts to enter the country.

      https://www.amnesty.eu/news/croatia-fresh-evidence-of-police-abuse-and-torture-of-migrants-and-asylum-se
      #rapport #Amnesty_international

    • Croatia, police abuse is systemic

      While the world is outraged and protests after George Floyd’s death to denounce institutionalised violence, migrants have been beaten and tortured on the Balkan route for years. A brutal practice often covered up, even by the EU itself.

      George Floyd’s death on May 25th sparked protests around the world against police violence and institutional racism. In the Balkans as elsewhere, sit-ins have been held in support of #BlackLivesMatter , followed by calls to report abuses committed locally by the police. And in the region there is no lack of such abuses. In fact, police violence is routine on the “Balkan route”, the flow of migrants and refugees that has crossed the peninsula since 2015 in the hope of reaching the European Union. The events of the past few weeks have unfortunately confirmed once again the link between police brutality and immigration, bringing us back to the Croatian-Bosnian border. It is a story of systemic abuse, both proven and covered up, which involves a member state of the EU, candidate for accession to the Schengen area and, according to the latest revelations of The Guardian, the European Commission itself.
      Torture in Croatia

      When it comes to police abuse on the Croatian-Bosnian border, one does not really know where to start. The accidents recorded in recent years are so many that we can no longer even speak of “accidents”, or unexpected events. On the contrary, violence is rather a common practice, the only news being the increase in brutality by the agents, who have gone from illegal pushbacks to outright torture.

      “We rarely use the word ’torture’ in Europe, but in this case we had to”, explains Massimo Moratti, deputy director of the Europe office of Amnesty International (AI). Last week, AI published yet another report of the mistreatment of migrants by the Croatian police along the border with Bosnia and Herzegovina. Mistreatment is an understatement. The testimonies collected no longer speak of broken mobile phones, or – as has happened more recently – destroyed with a screwdriver to prevent recharging, but instead contain “actual sadism”, as Moratti puts it.

      The case in question is that of 16 Pakistani and Afghan asylum seekers arrested by the Croatian police near the Plitvice lakes between May 26th and 27th. Their testimony is chilling. “We asked them to stop and show mercy. We were already tied up, there was no reason to continue hitting and torturing us", Amir told Amnesty International. Singing and filming on mobile phones, the agents continued to beat the 16 unfortunate men hard, finally smearing their wounds with ketchup and mayonnaise found in the backpack of one of the migrants. Eventually, the group was brought back to the border and forced to walk to Bosnia. Those who were unable to walk, because they are now in a wheelchair, had to be transported by others.

      “It is a pattern, a trend. These are the same practices that we have already seen in Hungary in 2015, 2016, and 2017. Dogs, sticks, broken bones... The goal is to intimidate and frighten so that no one tries to cross the border anymore", resumes Massimo Moratti, who adds: “the fractures we saw in the latter case will take months to heal”. The Amnesty International report and the attached photos tell the rest.
      Four years of violence

      How did we get to this? It is useful to make a brief summary of recent years to understand the evolution of violence. First, the “Balkan route” became a media phenomenon in the summer of 2015, when hundreds of thousands of Syrians, Iraqis, and Afghans began to travel up the Balkan peninsula to reach the European Union. At the beginning, the destination of the route was Hungary, then, with the closure of the Hungarian wall, it became Croatia, which leads to Slovenia and then to the Schengen area. In 2015, Croatian policemen showed themselves to be tolerant and benevolent, as reminded by this cover of Jutarnji List .

      In the spring of 2016, the agreement between the EU and Turkey led to the closure of the Balkan route and a change of pace. “The first case of pushback is registered in 2016 on the Serbo-Croatian border. In 2017, we have the first cases of violence", says Antonia Pindulić, legal advisor to the Centre for Peace Studies (CMS) in Zagreb. At the end of 2017, Madina Hussiny, 6, died hit by a train while returning from Croatia to Serbia following the tracks. Together with her family, she had been illegally pushed back by the Croatian policemen.

      In the summer of 2018, the Croatian police fired on a van that carried 29 migrants and refused to stop. Nine people were injured and two minors ended up in hospital in serious conditions. Since then, it has been a crescendo of accidents, especially on the Croatian-Bosnian border, where what remains of the Balkan route passes. Here, the testimonies collected by NGOs speak of beatings, theft, destruction of mobile phones and, as always, illegal pushbacks. Then, the situation has deteriorated up to the torture of the last few weeks. All in the silence of the authorities.
      The silence of the institutions

      How could the Zagreb government not complete an investigation in four years, address the police abuse, punish the guilty? It just didn’t. In fact, Andrej Plenković’s government has just “denied everything” for four years, while “no investigation has produced results”, as Antonia Pindulić of CMS summarises. And this despite the fact that there have been complaints from NGOs and also the actions of the institutions themselves in Croatia.

      “In 2019, a group of policement wrote an anonymous letter to the Croatian Ombudswoman asking to be protected from having to carry out illegal orders”, recalls Pindulić. The agents then revealed the pushback technique: GPS off, communications only on Whatsapp or Viber, no official report. Also in 2019, then President Kolinda Grabar Kitarović had let slip , during an interview on Swiss television, that “of course, a little strength is needed when making pushbacks”. Later, she said she had been misunderstood.

      After dozens of complaints have fallen on deaf ears and after in 2018 the Ombudswoman, in her investigations, had been denied access to video surveillance videos with the excuse that they were lost, the CMS decided a couple of weeks ago to file a complaint “against unknown police officers” guilty of “degrading treatment and torture against 33 people” and “violent and illegal expulsion [of these people, ed.] from the territory of the Republic of Croatia to Bosnia and Herzegovina”. “We hope that the prosecutor will open an investigation and that people who have violated the law are identified. But since the institutions themselves have violated the law for four years, I don’t know what we can expect”, says Antonia Pindulić.

      The complaint filed brings together four cases, all of which occurred at the beginning of May 2020. “We suspect that the cases are linked to each other, as all the migrants and refugees involved have reported beatings, theft of their belongings, being stripped and, above all, having a cross drawn on their head with orange spray”, says Antonia Pindulić. This very detail had brought the story on the Guardian and sparked controversy in Croatia.
      Towards a turning point?

      In their brutality, the cases seem to repeat themselves without any change in sight. But the Croatian government may soon be forced to answer for what appears to be institutionalised violence. Not only the legal action taken by the CMS “could likely end in Strasbourg”, as Massimo Moratti of Amnesty International speculates, but a lawsuit filed by three Syrian refugees against Croatia reached the European Court of Human Rights at the end of the May . And last week, after the publication of the AI ​​report, the European Commission announced that an observation mission will be sent to Croatia.

      And there is more. This week, the Guardian also revealed that communications between officials of the European Commission show how the European body “covered up Croatia’s failure to protect migrants from brutality on the border”. In question are the European funding received from Zagreb for border security: 7 million Euros, of which 300,000 for the implementation of an independent control mechanism that should have supervised the work of the police. Not only has the mechanism never been implemented, but there have been contradictory communications in this regard, with the Commission declaring that UNHCR was part of the mechanism and the latter publicly denying at the end of 2019 .

      In short, although Brussels allocated a (small) budget for the control of the brutality of Croatian agents, the mechanism that was to be activated with those funds was never created. And the Commission is aware of this. How long, then, will the Plenković government manage to hide its system of violence on the Bosnian border?

      https://www.balcanicaucaso.org/eng/Areas/Croatia/Croatia-police-abuse-is-systemic-202952

      #violence_systémique

    • Croatia: Police brutality in migrant pushback operations must be investigated and sanctioned – UN Special Rapporteurs

      Croatia must immediately investigate reports of excessive use of force by law enforcement personnel against migrants, including acts amounting to torture and ill-treatment, and sanction those responsible, UN human rights experts said today.

      “We are deeply concerned about the repeated and ongoing disproportionate use of force by Croatian police against migrants in pushback operations. Victims, including children, suffered physical abuse and humiliation simply because of their migration status,” Felipe González Morales, the Special Rapporteur on the human rights of migrants, and Nils Melzer, Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, said in a joint statement.

      They said physical violence and degrading treatment against migrants have been reported in more than 60 percent of all recorded pushback cases from Croatia between January and May 2020, and recent reports indicate the number of forced returns is rising.

      Abusive treatment of migrants has included physical beatings, the use of electric shocks, forced river crossings and stripping of clothes despite adverse weather conditions, forced stress positions, gender insensitive body searches and spray-painting the heads of migrants with crosses.

      “The violent pushback of migrants without going through any official procedure, individual assessment or other due process safeguards constitutes a violation of the prohibition of collective expulsions and the principle of non-refoulement,” González Morales said.

      “Such treatment appears specifically designed to subject migrants to torture and other cruel, inhuman or degrading treatment as prohibited under international law. Croatia must investigate all reported cases of violence against migrants, hold the perpetrators and their superiors accountable and provide compensation for victims,” Melzer added.

      The UN Special Rapporteurs are also concerned that in several cases, Croatian police officers reportedly ignored requests from migrants to seek asylum or other protection under international human rights and refugee law.

      “Croatia must ensure that all border management measures, including those aimed at addressing irregular migration, are in line with international human rights law and standards, particularly, non-discrimination, the prohibition of torture and ill-treatment, the principle of non-refoulement and the prohibition of arbitrary or collective expulsions,” they said.

      During his official visit to Bosnia and Herzegovina in September 2019, González Morales received information on violent pushback of migrants by Croatian police to Bosnia and Herzegovina. He has exchanged views with relevant Croatian authorities on this issue on several occasions. Already during his official visit to Serbia and Kosovo* in 2017, Melzer had received similar information from migrants reporting violent ill-treatment during pushback operations by the Croatian police.

      * All references to Kosovo should be understood to be in compliance with Security Council resolution 1244 (1999).

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=25976&LangID=E

      #OHCHR

    • Dva policajca u pritvoru u Karlovcu zbog ozljeđivanja migranta - protiv njih pokrenut i disciplinski postupak

      Zbog sumnje u počinjenje kaznenih djela obojica su, uz kaznenu prijavu, dovedeni pritvorskom nadzorniku Policijske uprave karlovačke. Također, obojica su udaljeni iz službe, odgovoreno je na upit KAportala

      Dva policajca PU karlovačke nalaze se u pritvoru i to zbog sumnje u ozljeđivanje ilegalnog migranta, stranog državljanina.

      Na naš upit iz policije su nam rekli da je u četvrtak, 11. lipnja, u večernjim satima, tijekom utvrđivanja okolnosti nezakonitog ulaska u Republiku Hrvatsku, u policijsku postaju Slunj doveden strani državljanin na kojem su policijski službenici uočili da je ozlijeđen.

      https://kaportal.net.hr/aktualno/vijesti/crna-kronika/3836334/dva-policajca-u-karlovackom-pritvoru-zbog-ozljedjivanja-migranta-protiv

      Commentaire reçu via la mailing-list Inicijativa Dobrodosli, mail du 23.06.2020

      two police officers were arrested this week for injuring migrants. This is a big step for the Ministry of the Interior, but small for all cases that have not yet been investigated. However, it is important to emphasize that the violence we are witnessing is not the result of isolated incidents, but of systemic violence for which those who issue and those who carry out these illegal orders should be prosecuted.

  • Appel à l’annulation d’un contrat entre l’#UE et des entreprises israéliennes pour la surveillance des migrants par drones

    Les contrats de l’UE de 59 millions d’euros avec des entreprises militaires israélienne pour s’équiper en drones de guerre afin de surveiller les demandeurs d’asile en mer sont immoraux et d’une légalité douteuse.
    L’achat de #drones_israéliens par l’UE encourage les violations des droits de l’homme en Palestine occupée, tandis que l’utilisation abusive de tout drone pour intercepter les migrants et les demandeurs d’asile entraînerait de graves violations en Méditerranée, a déclaré aujourd’hui Euro-Mediterranean Human Rights Monitor dans un communiqué.
    L’UE devrait immédiatement résilier ces #contrats et s’abstenir d’utiliser des drones contre les demandeurs d’asile, en particulier la pratique consistant à renvoyer ces personnes en #Libye, entravant ainsi leur quête de sécurité.

    L’année dernière, l’Agence européenne des garde-frontières et des garde-côtes basée à Varsovie, #Frontex, et l’Agence européenne de sécurité maritime basée à Lisbonne, #EMSA, ont investi plus de 100 millions d’euros dans trois contrats pour des drones sans pilote. De plus, environ 59 millions d’euros des récents contrats de drones de l’UE auraient été accordés à deux sociétés militaires israéliennes : #Elbit_Systems et #Israel_Aerospace_Industries, #IAI.

    L’un des drones que Frontex a obtenu sous contrat est le #Hermes_900 d’Elbit, qui a été expérimenté sur la population mise en cage dans la #bande_de_Gaza assiégée lors de l’#opération_Bordure_protectrice de 2014. Cela montre l’#investissement de l’UE dans des équipements israéliens dont la valeur a été démontrée par son utilisation dans le cadre de l’oppression du peuple palestinien et de l’occupation de son territoire. Ces achats de drones seront perçus comme soutenant et encourageant une telle utilisation expérimentale de la #technologie_militaire par le régime répressif israélien.

    « Il est scandaleux pour l’UE d’acheter des drones à des fabricants de drones israéliens compte tenu des moyens répressifs et illégaux utilisés pour opprimer les Palestiniens vivant sous occupation depuis plus de cinquante ans », a déclaré le professeur Richard Falk, président du conseil d’administration d’Euromed-Monitor.

    Il est également inacceptable et inhumain pour l’UE d’utiliser des drones, quelle que soit la manière dont ils ont été obtenus pour violer les droits fondamentaux des migrants risquant leur vie en mer pour demander l’asile en Europe.

    Les contrats de drones de l’UE soulèvent une autre préoccupation sérieuse car l’opération Sophia ayant pris fin le 31 mars 2020, la prochaine #opération_Irini a l’intention d’utiliser ces drones militaires pour surveiller et fournir des renseignements sur les déplacements des demandeurs d’asile en #mer_Méditerranée, et cela sans fournir de protocoles de sauvetage aux personnes exposées à des dangers mortels en mer. Surtout si l’on considère qu’en 2019 le #taux_de_mortalité des demandeurs d’asile essayant de traverser la Méditerranée a augmenté de façon spectaculaire, passant de 2% en moyenne à 14%.

    L’opération Sophia utilise des navires pour patrouiller en Méditerranée, conformément au droit international, et pour aider les navires en détresse. Par exemple, la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer (CNUDM) stipule que tous les navires sont tenus de signaler une rencontre avec un navire en détresse et, en outre, de proposer une assistance, y compris un sauvetage. Étant donné que les drones ne transportent pas d’équipement de sauvetage et ne sont pas régis par la CNUDM, il est nécessaire de s’appuyer sur les orientations du droit international des droits de l’homme et du droit international coutumier pour guider le comportement des gouvernements.

    Euro-Med Monitor craint que le passage imminent de l’UE à l’utilisation de drones plutôt que de navires en mer Méditerranée soit une tentative de contourner le #droit_international et de ne pas respecter les directives de l’UE visant à sauver la vie des personnes isolées en mer en situation critique. Le déploiement de drones, comme proposé, montre la détermination de l’UE à dissuader les demandeurs d’asile de chercher un abri sûr en Europe en facilitant leur capture en mer par les #gardes-côtes_libyens. Cette pratique reviendrait à aider et à encourager la persécution des demandeurs d’asile dans les fameux camps de détention libyens, où les pratiques de torture, d’esclavage et d’abus sexuels sont très répandues.

    En novembre 2019, l’#Italie a confirmé qu’un drone militaire appartenant à son armée s’était écrasé en Libye alors qu’il était en mission pour freiner les passages maritimes des migrants. Cela soulève de sérieuses questions quant à savoir si des opérations de drones similaires sont menées discrètement sous les auspices de l’UE.

    L’UE devrait décourager les violations des droits de l’homme contre les Palestiniens en s’abstenant d’acheter du matériel militaire israélien utilisé dans les territoires palestiniens occupés. Elle devrait plus généralement s’abstenir d’utiliser des drones militaires contre les demandeurs d’asile civils et, au lieu de cela, respecter ses obligations en vertu du droit international en offrant un refuge sûr aux réfugiés.

    Euro-Med Monitor souligne que même en cas d’utilisation de drones, les opérateurs de drones de l’UE sont tenus, en vertu du droit international, de respecter les #droits_fondamentaux à la vie, à la liberté et à la sécurité de tout bateau de migrants en danger qu’ils rencontrent. Les opérateurs sont tenus de signaler immédiatement tout incident aux autorités compétentes et de prendre toutes les mesures nécessaires pour garantir que les opérations de recherche et de sauvetage soient menées au profit des migrants en danger.

    L’UE devrait en outre imposer des mesures de #transparence et de #responsabilité plus strictes sur les pratiques de Frontex, notamment en créant un comité de contrôle indépendant pour enquêter sur toute violation commise et prévenir de futures transgressions. Enfin, l’UE devrait empêcher l’extradition ou l’expulsion des demandeurs d’asile vers la Libye – où leur vie serait gravement menacée – et mettre fin à la pratique des garde-côtes libyens qui consiste à arrêter et capturer des migrants en mer.

    http://www.france-palestine.org/Appel-a-l-annulation-d-un-contrat-entre-l-UE-et-des-entreprises-is
    #Europe #EU #drones #Israël #surveillance #drones #migrations #asile #réfugiés #Méditerranée #frontières #contrôles_frontaliers #militarisation_des_frontières #complexe_militaro-industriel #business #armée #droits_humains #sauvetage

    ping @etraces @reka @nepthys @isskein @karine4

  • Afghanistan investigates reports Iran guards forced migrants into river

    Afghanistan is investigating reports Afghan migrants drowned after being tortured and pushed into a river by Iranian border guards.

    The migrants were caught trying to enter Iran illegally from the western Herat province on Friday, according to local media.

    The migrants were beaten and forced to jump into a river by Iranian border guards, the reports said. Some of them are said to have died.

    Iran has dismissed the allegation.

    A foreign ministry spokesman said the incident took place on Afghan territory, not Iranian, and security guards denied any involvement.

    The number involved in the incident is unconfirmed but officials said dozens of migrants crossed the border, and at least seven people died with more still missing.

    A search party has been sent to retrieve the bodies of migrants from the river.
    The Afghan Human Rights Commission (AHRC) said local officials told it “Iranian security forces arrested a number of Afghan migrants seeking work who wanted to enter Iran”.

    “They were made to cross the Harirud river [at the Afghan-Iranian border], as a result a number of them drowned and some survived,” it added.

    Shir Agha, a migrant who witnessed the incident, told Reuters the Iranian guards “warned us that if we do not throw ourselves into the water, we will be shot”.

    Another Afghan migrant, Shah Wali, alleged that the Iranian guards “beat us, then made us do hard work”.

    “They then took us by minibus near to the river, and when we got there, they threw us into the river,” he added.

    About three million Afghans live in Iran, including refugees and wage labourers. Hundreds of Afghans cross into Iran every day to find work.

    There was a mass exodus of migrants returning to Afghanistan after the coronavirus outbreak in Iran, which has recorded almost 100,000 cases of the disease to date. Many are suspected to have brought coronavirus back across the border with them.

    But as Iran seeks to ease restrictions, Afghan migrants in search of work are crossing the country’s border in greater numbers again.

    Afghan officials have expressed concern over the incident in Herat province, risking a diplomatic row at a time of already strained relations over the coronavirus pandemic.

    In a tweet to Iranian officials, Herat’s governor Sayed Wahid Qatali wrote: “Our people are not just some names you threw into the river. One day we will settle accounts.”

    https://www.bbc.com/news/amp/world-asia-52523048?__twitter_impression=true
    #Iran #frontières #rivière #Herat #Iran #hostile_environment #weaponization #enviornnement_hostile #migrations #asile #réfugiés #décès #morts #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières

    • Afghanistan Probes Reports Iranian Guards Forced Migrants Into River

      Afghan officials were hunting on Sunday for Afghan migrants in a river bordering Iran after reports that Iranian border guards tortured dozens and threw them into the water to keep them out of Iran.

      Authorities in western Herat province said they retrieved 12 bodies from the Harirud river and at least eight other people were missing.

      The incident could trigger a diplomatic crisis between Iran and Afghanistan at a time when the coronavirus pandemic has seen an exodus of Afghan migrants from Iran, with many testing positive. Up to 2,000 Afghans cross the border from Iran, a coronavirus hotspot, into Herat each day.

      Afghanistan’s foreign ministry said on Saturday an inquiry had been launched. A senior official in the presidential palace in Kabul said initial assessments suggested at least 70 Afghans trying to enter Iran from Herat were beaten and pushed into the Harirud river on Saturday.

      Abbas Mousavi, a spokesman for Iran’s foreign ministry, said the “incident” took place on Afghan soil.

      “Border guards of the Islamic Republic of Iran denied the occurrence of any events related to this on the soil of our country,” he said in a statement on Sunday.

      Abdul Ghani Noori, governor of Herat’s Gulran district, said dozens of Afghan migrant workers were thrown into the river by members of the Iranian army.

      “Iranian armymen used shovels and gunshots to injure Afghan workers and threw them in water,” Noori told Reuters, adding that some of the injured workers were being treated in a hospital.

      Doctors at Herat District Hospital said they had received the bodies of Afghan migrants.

      “So far, five bodies have been transferred to the hospital. Of these bodies, it’s clear that four died due to drowning,” said Aref Jalali, head of the hospital. He added that two injured men were brought to the hospital on Sunday evening.

      The Taliban militant group, fighting to oust the Afghan government, said Iran should launch an investigation into the killings and “strictly punish the perpetrators”.

      “We have learnt that 57 Afghans on their way to the Islamic Republic of Iran for work were initially tortured by Iranian border guards and 23 of them later brutally martyred,” the Taliban said in a statement.

      Noor Mohammad said he was one of the Afghans caught by Iranian border guards as they were trying to cross into Iran in search of work.

      “After being tortured, the Iranian soldiers threw all of us in the Harirud river,” Mohammad told Reuters.

      Shir Agha, who said he also survived the violence, said at least 23 people thrown into the river were dead.

      Afghan officials that it was not the first time that Afghans had been killed by Iranian police guarding the 920-km (520-mile) border.

      As of Sunday, at least 541 coronavirus-infected people in Afghanistan were from Herat province, which recorded 13 deaths, with the majority of cases Afghan returnees from Iran, said Rafiq Shirzad, a health ministry spokesman in Herat.

      https://www.nytimes.com/reuters/2020/05/03/world/middleeast/03reuters-afghanistan-iran-migrants.html?searchResultPosition=3
      #noyade #torture #gardes-frontière #Harirud #armée

    • Afghanistan probes report Iran guards forced migrants into river

      Survivors say at least 23 of 57 people thrown by Iranian border guards into Harirud River drowned.

      Afghanistan has begun retrieving bodies of Afghan migrants from a river in a western province after reports that Iranian border guards tortured and threw Afghans into the river to prevent their entry into Iran.

      Afghanistan’s foreign ministry in a statement on Saturday said an inquiry had been launched and a senior official in the presidential palace in Kabul said initial assessments suggested that at least 70 Afghans who were trying to enter Iran from bordering Herat province were beaten and pushed into Harirud River.

      The Harirud River basin is shared by Afghanistan, Iran and Turkmenistan.

      Doctors at Herat District Hospital said they had received the bodies of Afghan migrants, some of whom had drowned.

      “So far, five bodies have been transferred to the hospital, of these bodies, its clear that four died due to drowning,” said Aref Jalali, head of Herat District Hospital.

      The Iranian consulate in Herat denied the allegations of torture and subsequent drowning of dozens of Afghan migrant workers by border police.

      “Iranian border guards have not arrested any Afghan citizens,” the consulate said in a statement on Saturday.

      Noor Mohammad said he was one of 57 Afghan citizens who were caught by Iranian border guards on Saturday as they tried to cross into Iran in search of work from Gulran District of Herat.

      “After being tortured, the Iranian soldiers threw all of us in the Harirud river,” Mohammad told Reuters News Agency.

      Shir Agha, who said he also survived the violence, said at least 23 of the 57 people thrown by Iranian soldiers into the river had died.

      “Iranian soldiers warned us that if we do not throw ourselves into the water, we will be shot,” said Agha.
      ’We will settle accounts’

      Local Afghan officials said it was not the first time Afghans had been tortured and killed by Iranian police guarding the 920km (520 mile) long border.

      Herat Governor Sayed Wahid Qatali in a tweet to Iranian officials said: “Our people are not just some names you threw into the river. One day we will settle accounts.”

      The incident could trigger a diplomatic crisis between Iran and Afghanistan at a time when the coronavirus pandemic has seen a mass exodus of Afghan migrants from Iran with many testing positive for COVID-19.

      Up to 2,000 Afghans daily cross the border from Iran, a global coronavirus hotspot, into Herat.

      As of Sunday, at least 541 infected people are from Herat province, which recorded 13 deaths, with the majority of positive cases found among Afghan returnees from Iran, said Rafiq Shirzad, a health ministry spokesman in Herat.

      https://www.aljazeera.com/news/2020/05/afghanistan-probes-report-iran-guards-forced-migrants-river-2005030926238

  • Frontières européennes et #Covid-19 : la commission des affaires européennes du Sénat sensible à l’inquiétude du directeur exécutif de #Frontex

    Jeudi 9 avril 2020

    La commission des affaires européennes du Sénat a entendu, le 8 avril
    2020, par audioconférence, Fabrice LEGGERI, directeur exécutif de
    Frontex, agence européenne chargée de la sécurité des frontières
    extérieures de l’Union européenne (UE).

    Les sénateurs ont interrogé le directeur sur la façon dont Frontex avait
    adapté ses missions à la #fermeture_des_frontières européennes et à la
    période de #confinement actuelle, sur l’évolution récente des #flux_migratoires, sur la situation à la frontière gréco-turque, et enfin sur les moyens alloués à Frontex pour remplir ses missions, en particulier mettre en place le corps européen de 10 000 gardes-frontières et gardes-côtes annoncé pour 2027.

    Fabrice LEGGERI a indiqué que Frontex devait actuellement gérer une
    double #crise : sanitaire, avec les #contrôles imposés par l’épidémie de
    Covid-19, et géopolitique, avec la pression migratoire qu’exerce la
    Turquie sur l’Union européenne en ne régulant plus le flux migratoire à
    la frontière, au mépris de l’accord conclu en 2016. Fin février-début
    mars, 20 000 migrants hébergés en Turquie se sont ainsi présentés aux
    frontières terrestres et maritimes grecques : moins de 2 000 – et non
    pas 150 000 comme allégué par les autorités turques – les ont franchies,
    dans un contexte parfois violent tout à fait inédit. Les autorités
    grecques ont été très réactives, et, avec l’appui de l’UE, la situation
    est aujourd’hui maîtrisée. En dépit du confinement, Frontex a déployé
    900 de ses garde-frontières équipés de protections sanitaires sur le
    terrain, dont 600 en Grèce, priorité du moment pour assurer la
    protection des frontières extérieures européennes.

    Le directeur exécutif a insisté sur le risque budgétaire qui pèse
    lourdement sur Frontex. Alors que cette agence devait se voir allouer 11
    milliards d’euros sur les années 2021 à 2027, les Présidences
    finlandaise puis croate du Conseil de l’UE ont proposé de réduire ce
    budget de moitié. Fabrice LEGGERI a qualifié cette situation de
    « catastrophique » : non seulement, la création du corps européen ne
    serait pas financée, alors que 7 000 candidatures ont été reçues pour
    700 postes à pourvoir au 1er janvier prochain, mais l’agence ne pourrait
    pas renforcer sa contribution au retour effectif des étrangers en
    situation irrégulière vers leur pays d’origine, question pourtant
    essentielle pour la crédibilité de la politique migratoire de l’Union
    européenne.

    Fabrice LEGGERI a indiqué que les flux migratoires avaient logiquement
    diminué dans le contexte actuel de confinement de la majorité de la
    population mondiale, mais qu’il était trop tôt pour évaluer l’effet de
    l’épidémie sur leur évolution de moyen terme. Des sorties de crise à des dates différentes selon les régions du monde devront en tout cas
    conduire à renforcer les contrôles sanitaires aux frontières extérieures
    de l’Europe pour ne pas relancer l’épidémie quand elle sera en voie de
    résorption dans l’UE.

    Le président #Jean_BIZET a déclaré : « Vouloir une Europe qui protège tout en assurant la libre circulation, qui plus est dans un contexte
    d’épidémie, requiert des moyens : il faut absolument sécuriser le #budget de Frontex pour les prochaines années ».

    http://www.senat.fr/presse/cp20200409.html
    #coronavirus #crise_sanitaire #contrôles_frontaliers #crise_géopolitique #pression_migratoire #Turquie #EU #UE #Union_européenne #accord_UE-Turquie #Grèce #frontières #migrations #asile #réfugiés #gardes-frontières #frontières_extérieures #risque_budgétaire

    –----

    –-> commentaire reçu via la mailing-list Migreurop, le 10.04.2020 :

    D’après ce communiqué du Sénat, la pandémie cause des inquiétudes
    à Frontex.
    Mais apparemment ça ne concerne pas la santé des migrants bloqués aux frontières européennes.

    ping @thomas_lacroix @luciebacon

  • Les conseils d’une spécialiste pour éviter la psychose du coronavirus - Mieux-vivre - Le Télégramme
    https://www.letelegramme.fr/mieux-vivre/les-conseils-d-une-specialiste-pour-eviter-la-psychose-du-coronavirus-0


    Une des clefs pour éviter la psychose est de ne pas aller chercher l’information partout.
    Depositphotos

    Afin de mieux gérer ses émotions au quotidien face aux chiffres et à la peur grimpante du coronavirus, une thérapeute livre ses conseils. Le plus important : rester détaché et éviter d’aller chercher l’information partout.

    Thérapeute spécialisée dans les troubles anxieux, Sylvie Le Moullec a dû s’adapter à la situation, comme tout professionnel, et propose des séances par visio-conférence ou appel téléphonique, « c’est différent, forcément ».

    Mais ça n’a pas suffi. « Mes patients ont annulé quasiment toutes les thérapies en cours, dans l’idée que le confinement ne durerait pas longtemps ». Avant qu’elle n’observe, depuis l’annonce du prolongement des mesures, une augmentation de la demande. « Il y a de plus en plus de personnes que ça inquiète, et qui viennent demander une consultation en visio ou par téléphone. Et ça va aller en augmentant », prédit même la psychologue qui tient deux cabinets à Quimper et Brest.

    Car, le confinement et la situation réveillent des troubles anxieux chez certains. Comment ne pas céder à la psychose de la contamination ? Résister à ses peurs profondes ? Sylvie Le Moullec a accepté de faire le tour de la question.

    Quel type de personnes vous sollicitent depuis le confinement ?
    Ce sont majoritairement les patients qui avaient déjà des thérapies en cours pour les tocs (troubles obsessionnels compulsifs), les phobies, l’alcoolisme, les prises excessives de médicaments ou les troubles alimentaires.

    La prise excessive de médicaments ?
    Oui, ça résulte d’une peur. Les médicaments permettent d’éviter de vivre, de se mettre en situation d’attendre et de vivre dans un monde parallèle. C’est pareil avec l’alcoolisme. Des patients que je suivais en thérapie recommencent à boire, ils sont gênés de faire une thérapie en ligne. En plus, ça paraît sociologiquement acceptable de boire en cette période de confinement, il n’y a qu’à voir les réseaux sociaux, avec les apéros en ligne… Il n’y a plus cette culpabilité qu’il y avait derrière.

    Vous confie-t-on régulièrement la peur d’être infecté par le coronavirus ?
    Pour ceux qui avaient déjà une phobie de la contamination et avec qui j’avais une thérapie en cours, ça se remet en place depuis le confinement. Ils mettent des gants, des masques depuis longtemps déjà, ils laissent séjourner leurs courses 48 heures à l’extérieur de chez eux, avant de les rentrer, pour que ce soit décontaminé.

    Comme si leur entrée était un sas, que c’était sain à l’intérieur et malsain à l’extérieur. Une personne m’a dit qu’elle lavait systématiquement les œufs avant de les casser, de peur que le virus ne rentre à l’intérieur de l’œuf. Ces peurs-là commencent à s’intensifier.

    La raison perd du terrain…
    Tout à fait. Le cerveau est ainsi fait qu’il est là pour nous protéger de ce qui pourrait arriver. Alors que les messages incessants, les flashs sur les téléphones portables font que les gens se mettent en état d’hyper-vigilance et se préparent à tout danger. Même à ceux qu’on invente. Car quand le cerveau n’en trouve pas, ils vont en chercher plus loin…

    À quoi répond l’automatisme d’associer le moindre symptôme à ce coronavirus ?
    Cela répond à l’information envoyée tout le temps. Les personnes se mettent à aller voir absolument toutes les infos, alors qu’elles sont souvent contradictoires. Mais ça finit par semer une impuissance, et c’est ce qui fait peur aux gens. Le fait de se dire « on ne peut rien faire ».

    Comment ne pas paniquer, sans sous-estimer cette maladie qui peut être grave ?
    Déjà, il y a le confinement (qu’il faut respecter). C’est contre-nature que de ne pas pouvoir échanger, toucher l’autre, c’est anti-humain. Ensuite, garder certains repères dans la vie. Tout le monde trouvait, au début, une super bonne raison à être confiné…
    Et plus maintenant ?
    C’est-à-dire que le confinement se prolonge. Et il devient, avec l’ennui, les incompréhensions face à la situation, qui empêchent de vivre selon la nature humaine, une agression sociale. Donc ça crée des conflits internes, et comme les gens sont confrontés à leur impuissance et à quelque chose qui les éloigne de leurs ressources, ils vont chercher à l’extérieur quelque chose qui pourrait leur prouver qu’ils n’ont pas le coronavirus. Mais se servir de ses ressources pour se prouver qu’on n’est pas atteint par quelque chose, c’est mettre son cerveau en échec.

    Quels conseils pratiques donneriez-vous au grand public pour éviter la psychose ?
    Déjà, continuer à faire comme avant. Parce que là, on va systématiquement chercher l’info partout, y compris sur les réseaux sociaux. C’est ce qui fait l’effet de panique, le cerveau est en alerte d’un danger inévitable, et il prend toutes les informations négatives pour augmenter l’insécurité.

    L’important, c’est de se sentir capable, de savoir qu’on a des ressources intérieures, qu’on peut aller les chercher. Il faut faire appel à son adaptabilité. Il y a des réponses à tout. Le but est de prendre du recul et rester détaché de la situation. Ce qui ne veut pas dire « je m’en fous », mais plutôt de ne pas s’impliquer personnellement dans le processus « je suis malade et je vais mourir ».

    Comment vos patients hypocondriaques vivent-ils cette période de crise ?
    C’est un peu paradoxal, parce que, d’un coup, on réinstalle leurs rituels. La personne hypocondriaque, ou atteinte de troubles, qui passait cinq heures par jour à se laver les mains, qui prenait quatre douches, voit ses pratiques légalisées. Alors, d’un côté, ils peuvent avoir ses pratiques sans culpabiliser derrière, mais quand le confinement va s’arrêter, le retour à la vie normale va être encore plus compliqué, parce qu’il va leur falloir réapprendre à vivre différemment.

    • C’est marrant, belle démonstration que les psys peuvent tout à fait servir de #gardes_chiourme du système dominant pour éviter que l’on se mette à creuser les raisons de cette pandémie, des fois qu’on y voit l’inaction criminelle des responsables politiques, et qu’on cherche des moyens de comprendre, par exemple pour commencer à penser et à mettre en place la révolte.
      Je ne dis pas qu’il ne faille pas gérer son angoisse en fonction de ses capacités, mais ce n’est certainement pas en coupant l’information vu qu’il y a toutes sortes de façon de réagir.

  • Privatized Pushbacks: How Merchant Ships Guard Europe

    To hinder migrants crossing the Mediterranean, European navies stopped rescuing them. Now commercial ships are tasked with saving lives — and returning migrants to war-torn Libya.

    The #Panther, a German-owned merchant ship, is not in the business of sea rescues. But one day a few months ago the Libyan Coast Guard ordered it to divert course, rescue 68 migrants in distress in the Mediterranean and return them to Libya, which is embroiled in civil war.

    The request, which the Panther was required to honor, was at least the third time that day, Jan. 11, that the Libyans had called on a merchant ship to assist migrants.

    The Libyans could easily have alerted a nearby rescue ship run by a Spanish charity. The reason they did not goes to the core of how the European authorities have found a new way to thwart desperate African migrants trying to reach their shores from across the Mediterranean.

    And some maritime lawyers think the new tactic is unlawful.

    Commercial ships like the Panther must follow instructions from official forces, like the Libyan Coast Guard, which works in close cooperation with its Italian counterpart.

    Humanitarian rescue ships, on the other hand, take the migrants to Europe, citing international refugee law, which forbids returning refugees to danger.

    After the Panther arrived in Tripoli, Libyan soldiers boarded, forced the migrants ashore at gunpoint, and drove them to a detention camp in the besieged Libyan capital.

    “We call them privatized pushbacks,” said Charles Heller, the director of Forensic Oceanography, a research group that investigates migrant rights abuses in the Mediterranean. “They occur when merchant ships are used to rescue and bring back migrants to a country in which their lives are at risk — such as Libya.”

    The coronavirus crisis has made arguments about Mediterranean migration policy seem peripheral to the European moment, as governments focus on restricting not just external migration, but also the internal movement of their own citizens.

    But long before the pandemic hit, European leaders were mainly consumed by preventing Mediterranean migration, hoping to avoid a repeat of the 2015 migration crisis. And that approach remains topical, with hundreds of migrants crossing the Mediterranean already this week, either oblivious to or unconcerned by the coronavirus outbreak.

    Since the 2015 crisis, European governments have frequently stopped the nongovernmental rescue organizations that patrol the southern Mediterranean — like the Spanish ship, Open Arms — from taking rescued migrants to European ports.

    European navies and coast guards have also largely withdrawn from the area, placing the Libyan Coast Guard in charge of search-and-rescue.

    Now Europe has a new proxy: privately-owned commercial ships. And their deployment is contested by migrant rights watchdogs.

    Although a 1979 international convention on search and rescue requires merchant ships to obey orders from a country’s Coast Guard forces, the agreement also does not permit those forces to pick and choose who helps during emergencies, as Libya’s did.

    “That’s a blatantly illegal policy,” said Dr. Itamar Mann, an expert on maritime law at the University of Haifa in Israel.

    But commercial shipowners say that after saving migrants from drowning, their legal duty is to do as they are told by the Libyan Coast Guard, as decreed by a separate convention on search-and-rescue signed in 1979.

    “This is in accordance with international law,” said John Stawpert, a representative for the International Chamber of Shipping, a global shipowners’ association.

    Between 2011 and 2018, only one commercial ship returned migrants to Libya, according to research by Forensic Oceanography.

    Since 2018 there have been about 30 such returns, involving roughly 1,800 migrants, in which merchant ships have either returned migrants to Libyan ports or transferred them to Libyan Coast Guard vessels, according to data collated by The New York Times and Forensic Oceanography.

    The real number is likely to be higher.

    During the height of the crisis, ships like the Panther would have transferred rescued migrants to the Italian Coast Guard or humanitarian organizations.

    But in 2017, Italy gradually relinquished responsibility for search-and-rescue coordination in the southern Mediterranean to the Libyan Coast Guard, neatly absolving Italy of the legal obligation to rescue and admit every migrant entering international waters north of Libya.

    The next year, merchant ship crews began to return migrants to the Libyan authorities, which had been persuaded to take on the role by the promise of more equipment and international legitimacy.

    The Panther ordinarily supplies a cluster of oil rigs roughly 50 miles north of Libya. On Jan. 11, the Libyan Coast Guard engaged the Panther instead of the Open Arms because only the Panther’s owner had agreed to abide by a restrictive set of regulations drawn up by the Libyan Coast Guard.

    “All the ships who work in search-and-rescue have to follow this code of conduct,” Commodore Masoud Abdal Samad, the Libyan Coast Guard commander, said by telephone.

    Consequently, only the Panther was considered an “acceptable” rescue vessel on Jan. 11, he added.

    The pattern of using commercial ships has increased in recent months, said Anabel Montes Mier, the head of mission aboard the Open Arms that day.

    “These commercial ships follow the orders,” Ms. Montes Mier said. “We refuse to return people to places that are unsafe.”

    Rights groups fear Libya’s refusal to work with humanitarian rescuers has put more migrant lives in danger at sea.

    The number of people reaching Italy has dropped by more than 90 percent since 2017, while the death-toll in the southern Mediterranean has roughly halved in the same period.

    But the number of people drowning, as a proportion of those trying to cross, has sharply risen — from roughly 1 in 50 in 2017, to 1 in 20 in 2019, according to data compiled by the International Organization for Migration.

    The forcible return of the migrants, a practice known as refoulement, has also put many of them in lethal danger on land, because of Libya’s civil war.

    In February, an airstrike hit the dock used by the Panther to disembark migrants in Tripoli. Once ashore, migrants are imprisoned in detention camps run by an assortment of militias. Often, these lie in areas under attack. Last July, one camp was bombed, killing 53 prisoners.

    In a lawless land that provides few rights to foreign laborers, migrants are often tortured, raped, held for ransom, or treated as modern-day slaves.

    Steven, a 20-year-old from South Sudan, described being shot and beaten by Libyan officials after he was returned to Libya by a commercial ship in November 2018.

    “Why did they rescue us and take us back to Libya?” said Steven, who asked to be identified only by his first name for fear of legal repercussions. “It was better to die in the ship.”

    The question of culpability is complex.

    Since 1951, international refugee law has stipulated that migrants should not be returned without due process to the countries they fled. But in cases involving merchant ships, migrants are often rescued in international waters, before reaching Europe’s maritime borders.

    The authorities in Italy and European Union say they should therefore be returned to Libya, since Libya coordinates search-and-rescue operations in these international waters.

    Critics argue that Italy and its European allies still bear responsibility. In the view of humanitarian monitoring groups, the Europeans never relinquished their role in orchestrating search-and-rescue missions — undermining the rationale for surrendering control to Libya.

    During at least part of 2019, Italian navy officers aboard an Italian vessel docked in Tripoli’s harbor oversaw rescues on behalf of the Libyans, according to documents published during a court case in Sicily last March.

    “They coordinated the rescue activities,” Matteo Salvini, Italy’s interior minister at the time, said in an interview with the Times.

    In one instance in November 2018, logbooks show how Italian Coast Guard officers contacted a cargo ship, the Nivin, “on behalf of” their Libyan counterparts. But the logs also reveal that the Nivin’s captain could only reach the Libyan authorities by contacting the Italian Coast Guard.

    And though European navies have withdrawn from the area, their planes still direct the Libyan Coast Guard to migrant vessels, recordings published by The Guardian show.

    In March last year, one such military plane ordered a merchant vessel to return a boatload of rescued migrants to Tripoli, without any intervention from the Libyan Coast Guard, according to recordings reported in The Atavist, a digital magazine.

    In one of several recent phone interviews, Commodore Abdal Samad of the Libyan Coast Guard said an Italian ship docked in Tripoli, once used as a search-and-rescue control center, no longer directs Libyan Coast Guard activity.

    But Libyan Coast Guard crews still sometimes use the Italian ship’s equipment to communicate with merchant vessels, Commodore Abdal Samad conceded, particularly when their radios break down.

    One of the most recent instances, he said, was the weekend in January when the Panther rescued 68 migrants from the southern Mediterranean.

    https://www.nytimes.com/2020/03/20/world/europe/mediterranean-libya-migrants-europe.html

    #push-backs #refoulement #refoulements #bateaux_marchands #privatisation #externalisation #Méditerranée #Libye #Mer_Méditerranée #refoulements_privatisés #sauvetage #privatized_pushbacks #gardes-côtes_libyens

    ping @reka

  • Comment l’Europe contrôle ses frontières en #Tunisie ?

    Entre les multiples programmes de coopération, les accords bilatéraux, les #équipements fournis aux #gardes-côtes, les pays européens et l’Union européenne investissent des millions d’euros en Tunisie pour la migration. Sous couvert de coopération mutuelle et de “#promotion_de_la mobilité”, la priorité des programmes migratoires européens est avant tout l’externalisation des frontières. En clair.

    À la fois pays de transit et pays de départ, nœud dans la région méditerranéenne, la Tunisie est un partenaire privilégié de l’Europe dans le cadre de ses #politiques_migratoires. L’Union européenne ou les États qui la composent -Allemagne, France, Italie, Belgique, etc.- interviennent de multiples manières en Tunisie pour servir leurs intérêts de protéger leurs frontières et lutter contre l’immigration irrégulière.

    Depuis des années, de multiples accords pour réadmettre les Tunisien·nes expulsé·es d’Europe ou encore financer du matériel aux #gardes-côtes_tunisiens sont ainsi signés, notamment avec l’#Italie ou encore avec la #Belgique. En plus de ces #partenariats_bilatéraux, l’#Union_européenne utilise ses fonds dédiés à la migration pour financer de nombreux programmes en Tunisie dans le cadre du “#partenariat_pour_la_mobilité”. Dans les faits, ces programmes servent avant tout à empêcher les gens de partir et les pousser à rester chez eux.

    L’ensemble de ces programmes mis en place avec les États européens et l’UE sont nombreux et difficiles à retracer. Dans d’autres pays, notamment au Nigeria, des journalistes ont essayé de compiler l’ensemble de ces flux financiers européens pour la migration. Dans leur article, Ils et elle soulignent la difficulté, voire l’impossibilité de véritablement comprendre tous les fonds, programmes et acteurs de ces financements.

    “C’est profondément préoccupant”, écrivent Maite Vermeulen, Ajibola Amzat et Giacomo Zandonini. “Bien que l’Europe maintienne un semblant de transparence, il est pratiquement impossible dans les faits de tenir l’UE et ses États membres responsables de leurs dépenses pour la migration, et encore moins d’évaluer leur efficacité.”

    En Tunisie, où les investissements restent moins importants que dans d’autres pays de la région comme en Libye, il a été possible d’obtenir un résumé, fourni par la Délégation de l’Union européenne, des programmes financés par l’UE et liés à la migration. Depuis 2016, cela se traduit par l’investissement de près de 58 millions d’euros à travers trois différents fonds : le #FFU (#Fonds_Fiduciaire_d’Urgence) de la Valette, l’#AMIF (Asylum, Migration and Integration Fund) et l’Instrument européen de voisinage (enveloppe régionale).

    Mais il est à noter que ces informations ne prennent pas en compte les autres investissements d’#aide_au_développement ou de soutien à la #lutte_antiterroriste dont les programmes peuvent également concerner la migration. Depuis 2011, au niveau bilatéral, l’Union européenne a ainsi investi 2,5 billions d’euros en Tunisie, toutes thématiques confondues.

    L’écrasante majorité de ces financements de l’UE - 54 200 000 euros - proviennent du #Fond_fiduciaire_d'urgence_pour_l'Afrique. Lancé en 2015, lors du #sommet_de_la_Valette, ce FFU a été créé “en faveur de la stabilité et de la lutte contre les #causes_profondes de la migration irrégulière et du phénomène des personnes déplacées en Afrique” à hauteur de 2 milliards d’euros pour toute la région.

    Ce financement a été pointé du doigt par des associations de droits humains comme Oxfam qui souligne “qu’une partie considérable de ses fonds est investie dans des mesures de #sécurité et de #gestion_des_frontières.”

    “Ces résultats montrent que l’approche des bailleurs de fonds européens vis-à-vis de la gestion des migrations est bien plus axée sur des objectifs de #confinement et de #contrôle. Cette approche est loin de l’engagement qu’ils ont pris (...) de ‘promouvoir des canaux réguliers de migration et de mobilité au départ des pays d’Europe et d’Afrique et entre ceux-ci’ (...) ou de ‘Faciliter la migration et la mobilité de façon ordonnée, sans danger, régulière et responsable’”, détaille plus loin le rapport.

    Surveiller les frontières

    Parmi la vingtaine de projets financés par l’UE, la sécurité des frontières occupe une place prépondérante. Le “#Programme_de_gestion_des_frontières_au_Maghreb” (#BMP_Maghreb) est, de loin, le plus coûteux. Pour fournir de l’équipement et des formations aux gardes-côtes tunisiens, l’UE investit 20 millions d’euros, près d’un tiers du budget en question.

    Le projet BMP Maghreb a un objectif clairement défini : protéger, surveiller et contrôler les #frontières_maritimes dans le but de réduire l’immigration irrégulière. Par exemple, trois chambres d’opération ainsi qu’un système pilote de #surveillance_maritime (#ISmariS) ont été fournis à la garde nationale tunisienne. En collaboration avec le ministère de l’Intérieur et ses différents corps - garde nationale, douane, etc. -, ce programme est géré par l’#ICMPD (#Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires).

    “Le BMP Maghreb est mis en place au #Maroc et en Tunisie. C’est essentiellement de l’acquisition de matériel : matériel informatique, de transmission demandé par l’Etat tunisien”, détaille Donya Smida de l’ICMPD. “On a fait d’abord une première analyse des besoins, qui est complétée ensuite par les autorités tunisiennes”.

    Cette fourniture de matériel s’ajoute à des #formations dispensées par des #experts_techniques, encore une fois coordonnées par l’ICMPD. Cette organisation internationale se présente comme spécialisée dans le “renforcement de capacités” dans le domaine de la politique migratoire, “loin des débat émotionnels et politisés”.

    "Cette posture est symptomatique d’un glissement sémantique plus général. Traiter la migration comme un sujet politique serait dangereux, alors on préfère la “gérer” comme un sujet purement technique. In fine, la ’gestionnaliser’ revient surtout à dépolitiser la question migratoire", commente #Camille_Cassarini, chercheur sur les migrations subsahariennes en Tunisie. “L’ICMPD, ce sont des ‘techniciens’ de la gestion des frontières. Ils dispensent des formations aux États grâce à un réseau d’experts avec un maître-mot : #neutralité politique et idéologique et #soutien_technique."

    En plus de ce programme, la Tunisie bénéficie d’autres fonds et reçoit aussi du matériel pour veiller à la sécurité des frontières. Certains s’inscrivent dans d’autres projets financés par l’UE, comme dans le cadre de la #lutte_antiterroriste.

    Il faut aussi ajouter à cela les équipements fournis individuellement par les pays européens dans le cadre de leurs #accords_bilatéraux. En ce qui concerne la protection des frontières, on peut citer l’exemple de l’Italie qui a fourni une douzaine de bateaux à la Tunisie en 2011. En 2017, l’Italie a également soutenu la Tunisie à travers un projet de modernisation de bateaux de patrouille fournis à la garde nationale tunisienne pour environ 12 millions d’euros.

    L’#Allemagne est aussi un investisseur de plus en plus important, surtout en ce qui concerne les frontières terrestres. Entre 2015 et 2016, elle a contribué à la création d’un centre régional pour la garde nationale et la police des frontières. A la frontière tuniso-libyenne, elle fournit aussi des outils de surveillance électronique tels que des caméras thermiques, des paires de jumelles nocturnes, etc…

    L’opacité des #accords_bilatéraux

    De nombreux pays européens - Allemagne, Italie, #France, Belgique, #Autriche, etc. - coopèrent ainsi avec la Tunisie en concluant de nombreux accords sur la migration. Une grande partie de cette coopération concerne la #réadmission des expulsé·es tunisien·nes. Avec l’Italie, quatre accords ont ainsi été signés en ce sens entre 1998 et 2011. D’après le FTDES* (Forum tunisien des droits économiques et sociaux), c’est dans le cadre de ce dernier accord que la Tunisie accueillerait deux avions par semaine à l’aéroport d’Enfidha de Tunisien·nes expulsé·es depuis Palerme.

    “Ces accords jouent beaucoup sur le caractère réciproque mais dans les faits, il y a un rapport inégal et asymétrique. En termes de réadmission, il est évident que la majorité des #expulsions concernent les Tunisiens en Europe”, commente Jean-Pierre Cassarino, chercheur et spécialiste des systèmes de réadmission.

    En pratique, la Tunisie ne montre pas toujours une volonté politique d’appliquer les accords en question. Plusieurs pays européens se plaignent de la lenteur des procédures de réadmissions de l’Etat tunisien avec qui “les intérêts ne sont pas vraiment convergents”.

    Malgré cela, du côté tunisien, signer ces accords est un moyen de consolider des #alliances. “C’est un moyen d’apparaître comme un partenaire fiable et stable notamment dans la lutte contre l’extrémisme religieux, l’immigration irrégulière ou encore la protection extérieure des frontières européennes, devenus des thèmes prioritaires depuis environ la moitié des années 2000”, explique Jean-Pierre Cassarino.

    Toujours selon les chercheurs, depuis les années 90, ces accords bilatéraux seraient devenus de plus en plus informels pour éviter de longues ratifications au niveau bilatéral les rendant par conséquent, plus opaques.

    Le #soft_power : nouvel outil d’externalisation

    Tous ces exemples montrent à quel point la question de la protection des frontières et de la #lutte_contre_l’immigration_irrégulière sont au cœur des politiques européennes. Une étude de la direction générale des politiques externes du Parlement européen élaborée en 2016 souligne comment l’UE “a tendance à appuyer ses propres intérêts dans les accords, comme c’est le cas pour les sujets liés à l’immigration.” en Tunisie.

    Le rapport pointe du doigt la contradiction entre le discours de l’UE qui, depuis 2011, insiste sur sa volonté de soutenir la Tunisie dans sa #transition_démocratique, notamment dans le domaine migratoire, tandis qu’en pratique, elle reste focalisée sur le volet sécuritaire.

    “La coopération en matière de sécurité demeure fortement centrée sur le contrôle des flux de migration et la lutte contre le terrorisme” alors même que “la rhétorique de l’UE en matière de questions de sécurité (...) a évolué en un discours plus large sur l’importance de la consolidation de l’État de droit et de la garantie de la protection des droits et des libertés acquis grâce à la révolution.”, détaille le rapport.

    Mais même si ces projets ont moins de poids en termes financiers, l’UE met en place de nombreux programmes visant à “développer des initiatives socio-économiques au niveau local”, “ mobiliser la diaspora” ou encore “sensibiliser sur les risques liés à la migration irrégulière”. La priorité est de dissuader en amont les potentiel·les candidat·es à l’immigration irrégulière, au travers de l’appui institutionnel, des #campagnes de #sensibilisation...

    L’#appui_institutionnel, présenté comme une priorité par l’UE, constitue ainsi le deuxième domaine d’investissement avec près de 15% des fonds.

    Houda Ben Jeddou, responsable de la coopération internationale en matière de migration à la DGCIM du ministère des Affaires sociales, explique que le projet #ProgreSMigration, créé en 2016 avec un financement à hauteur de 12,8 millions d’euros, permet de mettre en place “ des ateliers de formations”, “des dispositifs d’aides au retour” ou encore “des enquêtes statistiques sur la migration en Tunisie”.

    Ce projet est en partenariat avec des acteurs étatiques tunisiens comme le ministère des Affaires Sociales, l’observatoire national des migrations (ONM) ou encore l’Institut national de statistiques (INS). L’un des volets prioritaires est de “soutenir la #Stratégie_nationale_migratoire_tunisienne”. Pour autant, ce type de projet ne constitue pas une priorité pour les autorités tunisiennes et cette stratégie n’a toujours pas vu le jour.

    Houda Ben Jeddou explique avoir déposé un projet à la présidence en 2018, attendant qu’elle soit validée. "Il n’y a pas de volonté politique de mettre ce dossier en priorité”, reconnaît-elle.

    Pour Camille Cassarini, ce blocage est assez révélateur de l’absence d’une politique cohérente en Tunisie. “Cela en dit long sur les stratégies de contournement que met en place l’État tunisien en refusant de faire avancer le sujet d’un point de vue politique. Malgré les investissements européens pour pousser la Tunisie à avoir une politique migratoire correspondant à ses standards, on voit que les agendas ne sont pas les mêmes à ce niveau”.

    Changer la vision des migrations

    Pour mettre en place tous ces programmes, en plus des partenariats étatiques avec la Tunisie, l’Europe travaille en étroite collaboration avec les organisations internationales telles que l’#OIM (Organisation internationale pour les migrations), l’ICMPD et le #UNHCR (Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés), les agences de développement européennes implantées sur le territoire - #GiZ, #Expertise_France, #AfD - ainsi que la société civile tunisienne.

    Dans ses travaux, Camille Cassarini montre que les acteurs sécuritaires sont progressivement assistés par des acteurs humanitaires qui s’occupent de mener une politique gestionnaire de la migration, cohérente avec les stratégies sécuritaires. “Le rôle de ces organisations internationales, type OIM, ICMPD, etc., c’est principalement d’effectuer un transfert de normes et pratiques qui correspondent à des dispositifs de #contrôle_migratoire que les Etats européens ne peuvent pas mettre directement en oeuvre”, explique-t-il.

    Contactée à plusieurs reprises par Inkyfada, la Délégation de l’Union européenne en Tunisie a répondu en fournissant le document détaillant leurs projets dans le cadre de leur partenariat de mobilité avec la Tunisie. Elle n’a pas souhaité donner suite aux demandes d’entretiens.

    En finançant ces organisations, les Etats européens ont d’autant plus de poids dans leur orientation politique, affirme encore le chercheur en donnant l’exemple de l’OIM, une des principales organisations actives en Tunisie dans ce domaine. “De par leurs réseaux, ces organisations sont devenues des acteurs incontournables. En Tunisie, elles occupent un espace organisationnel qui n’est pas occupé par l’Etat tunisien. Ça arrange plus ou moins tout le monde : les Etats européens ont des acteurs qui véhiculent leur vision des migrations et l’État tunisien a un acteur qui s’en occupe à sa place”.

    “Dans notre langage académique, on les appelle des #acteurs_épistémologiques”, ajoute Jean-Pierre Cassarino. A travers leur langage et l’étendue de leur réseau, ces organisations arrivent à imposer une certaine vision de la gestion des migrations en Tunisie. “Il n’y a qu’à voir le #lexique de la migration publié sur le site de l’Observatoire national [tunisien] des migrations : c’est une copie de celui de l’OIM”, continue-t-il.

    Contactée également par Inkyfada, l’OIM n’a pas donné suite à nos demandes d’entretien.

    Camille Cassarini donne aussi l’exemple des “#retours_volontaires”. L’OIM ou encore l’Office français de l’immigration (OFII) affirment que ces programmes permettent “la réinsertion sociale et économique des migrants de retour de façon à garantir la #dignité des personnes”. “Dans la réalité, la plupart des retours sont très mal ou pas suivis. On les renvoie au pays sans ressource et on renforce par là leur #précarité_économique et leur #vulnérabilité", affirme-t-il. “Et tous ces mots-clés euphémisent la réalité d’une coopération et de programmes avant tout basé sur le contrôle migratoire”.

    Bien que l’OIM existe depuis près de 20 ans en Tunisie, Camille Cassarini explique que ce système s’est surtout mis en place après la Révolution, notamment avec la société civile. “La singularité de la Tunisie, c’est sa transition démocratique : l’UE a dû adapter sa politique migratoire à ce changement politique et cela est passé notamment par la promotion de la société civile”.

    Dans leur ouvrage à paraître “Externaliser la gouvernance migratoire à travers la société tunisienne : le cas de la Tunisie” [Externalising Migration Governance through Civil Society : Tunisia as a Case Study], Sabine Didi et Caterina Giusa expliquent comment les programmes européens et les #organisations_internationales ont été implantées à travers la #société_civile.

    “Dans le cas des projets liés à la migration, le rôle déterminant de la société civile apparaît au niveau micro, en tant qu’intermédiaire entre les organisations chargées de la mise en œuvre et les différents publics catégorisés et identifiés comme des ‘#migrants_de_retour’, ‘membres de la diaspora’, ou ‘candidats potentiels à la migration irrégulière’", explique Caterina Giusa dans cet ouvrage, “L’intérêt d’inclure et et de travailler avec la société civile est de ‘faire avaler la pilule’ [aux populations locales]”.

    “Pour résumer, tous ces projets ont pour but de faire en sorte que les acteurs tunisiens aient une grille de lecture du phénomène migratoire qui correspondent aux intérêts de l’Union européenne. Et concrètement, ce qui se dessine derrière cette vision “gestionnaire”, c’est surtout une #injonction_à_l’immobilité”, termine Camille Cassarini.

    https://inkyfada.com/fr/2020/03/20/financements-ue-tunisie-migration
    #externalisation #asile #migrations #frontières #Tunisie #EU #UE #Europe #contrôles_frontaliers #politique_de_voisinage #dissuasion #IOM #HCR #immobilité

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    Et celle sur la conditionnalité de l’aide au développement :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

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  • Sådan foregår bevogtningen af EU’s yderste grænser : Dansk patruljebåd beordret til at sætte flygtninge tilbage i vandet

    Dansk Frontex-mandskab nægtede at adlyde kontroversiel ordre i livsfarligt farvand.

    Gråmalede skrog hugger i fortøjningerne. Bølgeskvulp slår over betonmolen, der skærmer havnen på den græske ø Kos mod det åbne vand.

    En stiv kuling folder dannebrogsflagene i agterenden af de danske patruljebåde ud. De to fartøjer udgør Danmarks bidrag til EU’s grænse- og kystvagtsagentur, Frontex.

    Siden juni sidste år har de håndteret flere end 1.800 flygtninge og migranter i primitive gummibåde, der krydser det smalle farvand mellem Tyrkiet og Kos. Men det er slut nu.

    Siden Tyrkiet i sidste uge åbnede grænserne mod EU, er de danske patruljebåde blevet trukket tilbage. Nu agerer de i stedet øjne og ører for den græske kystvagt, der tager sig af selve håndteringen af de primitive og overfyldte gummibåde.

    Det fortæller den danske operationsleder under en briefing for forsvarsminister Trine Bramsen (S), der i går besøgte de 17 danskere ved Frontex-missionen på Kos.

    Her gør han det klart, at de lokale græske myndigheder lige nu håndterer flygtninge- og migrantbådene anderledes, end hvad de danske retningslinjer tillader.

    – Vores bidrag kommer ikke til at lave handlinger, manøvrer eller andet, der er til fare for liv og helbred, forklarer operationsleder Jens Møller fra Rigspolitiet bagefter.

    Han hentyder til videoklip af græske patruljebåde, der sejler tæt på de overfyldte migrantbåde, for at få dem til at vende om. Eller migrantbåde, der bliver slæbt eller puffet tilbage på den tyrkiske side af søgrænsen.

    Travlhed siden krise brød ud

    Betjente fra Rigspolitiet bemander sammen med besætninger fra Forsvaret de to patruljebåde. Siden sidste uge har de skruet kraftigt op for operationerne.

    – Før var opgaven at hjælpe med at samle op og bringe ind til land. Nu er forholdsordren, at vi skal fungere som øjne og så vidt muligt spotte eventuelle migrantbåde på afstand, forklarer han.

    – Ser vi nogle migrantbåde, skal vi melde til ‘Hellenic Coast Guard’ (Den græske kystvagt, red.) som kommer og håndterer dem.

    Både operationsleder Jens Møller samt orlogskaptajn Jan Niegsch, der leder den militære besætning, bekræfter, at den græske kystvagt har ordre til at forsøge at forhindre migrantbådene i at passere søgrænsen mellem Tyrkiet og Grækenland.

    – Det gør de på den måde, som de vurderer at være den rette, siger Jens Møller diplomatisk.

    Siden fredag har den tyrkiske kystvagt, der plejede at stoppe otte ud af ti migrantbåde, ikke vist sig, siger han.
    Har dokumenteret risikabel adfærd

    De danske søfolk og betjente fortæller, at de på afstand har set episoder, hvor græske patruljebåde sejler tæt på de overfyldte gummibåde, for at få dem til at vende om.

    Men det er risikabelt at stoppe en gummibåd med magt, siger orlogskaptajn Jan Niegsch.

    – Hvis den vil frem, så sejler den videre, og hvis man prøver at forhindre den, så kan man ende med en situation, hvor det bliver en søredning i stedet. De både er ikke bygget til at sejle på havet.

    Derfor er de danske besætninger nu begyndt at dokumentere, hvad de oplever, når de på afstand observerer Hellenic Coast Guard.

    – Hvis vi bevidner noget, som vi mener er i strid med reglerne, så dokumenterer vi det og melder det bagud i vores system. I første omgang bagud til Frontex, siger Jens Møller.
    Danskere fik kontroversiel ordre

    Flere af besætningsmedlemmerne fortæller, at det handler om reglerne for godt sømandsskab og forpligtelsen til at hjælpe folk i havsnød.

    Netop derfor har det hidtil været proceduren, at de danske både flytter flygtninge og migranter fra gummibådene og i sikkerhed på fordækket af søværnets patruljebåde.

    Ganske enkelt af rettidig omhu. Strøm- og vindforhold gør farvandet lumsk. Et enkelt hul i de simple gummibåde kan betyde, at de synker, og panik bryder ud med hjerteskærende scener til følge.

    Bagefter har de som oftest sejlet passagererne, der kan være ældre mennesker, kvinder samt børn helt ned til toårs-alderen, ind til havnen på Kos. De fleste er dog yngre mænd, fortæller de.

    Krisen ved EU’s yderste grænser fik forleden en dansk patruljebåd til at nægte at parere en ordre fra ’Operation Poseidons’ kommandocentral.

    Besætningen havde netop bjærget 33 flygtninge og migranter ombord på fordækket, da ordren kom på radioen.

    ’Sæt dem tilbage i vandet og slæb dem over søgrænsen’.
    Nægtede at adlyde hovedkvarter

    Besætningen vurderede, at det ville være forbundet med livsfare at udføre ordren. I første omgang, når de formentlig skulle trække pistolerne eller bruge fysisk magt for at få de lettede flygtninge til at klatre tilbage i den primitive gummibåd. En gummibåd, der ifølge et besætningsmedlem ikke var i ’sødygtig stand’.

    Operationsleder Jens Møller bekræfter episoden.

    – Fartøjschefen vurderede, at det ikke var forsvarligt. Så blev ordren omstødt, og de blev bragt til Kos havn.

    Inde på land gav operationsleder Jens Møller fartøjschefen ret. Besætningen på patruljebåden skulle ikke adlyde ordren fra den lokale, græske Frontex-leder.

    – Er det forbundet med fare at sætte dem tilbage i gummibåden, så kan vi ikke stå inde for at gøre det. Det var, hvad jeg gav mandskabet besked på, til jeg fik verificeret, at den ordre blev omstødt, beskriver han.

    Minister tilfreds med reaktion

    Siden flygtningekrisen brød ud sidste fredag, har det ikke været muligt at søge asyl i Grækenland. I stedet bliver de 1.702 migranter, der ifølge græske oplysninger har krydset søvejen til øerne siden fredag, tilbageholdt. Formentlig for at blive transporteret tilbage til Tyrkiet.

    Selv om presset på grænserne belaster Frontex-landene, der nu vil skrue op for indsatsen, er forsvarsminister Trine Bramsen tilfreds med, at besætningen ikke adlød ordren.

    – De løste opgaven ud fra det mandat, de har fået med, konstaterer hun.

    Onsdag tilbød hun desuden at støtte Frontex med et Challenger-overvågningsfly i 30 dage samt telte, tæpper og generatorer fra Beredskabsstyrelsen.

    https://www.dr.dk/nyheder/indland/saadan-foregaar-bevogtningen-af-eus-yderste-graenser-dansk-patruljebaad-beordret-

    –-> commentaire sur twitter

    According to Danish Broadcasting Danish Frontex staff refused orders from ’Operation Poseidon’s centre of command to put 33 rescued people back in their rubber boat and drag them outside Greek territorial waters.

    https://twitter.com/rspaegean/status/1235885384363659264

    #Frontex #résistance #gardes-frontière #migrations #asile #réfugiés #témoignage #désobéissance #ordres #refus_d'obéir

    –------------

    Ajouté à cette métaliste de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier. Pour dénoncer ce qu’ils/elles font et leurs collègues font, ou pas.
    https://seenthis.net/messages/723573

    ping @isskein @karine4

  • Migrants : des #enregistrements attestent de la #collaboration entre #UE et #gardes-côtes_libyens

    Pour la première fois, des conversations captées au-dessus de la Méditerranée illustrent la #coopération cynique entre les États européens et Tripoli, destinée à bloquer les traversées de migrants. Obtenues par The Guardian et le collectif The Migration Newsroom, dont Mediapart est partenaire, ces enregistrements de 2019 font entendre les conséquences, en pleine mer, d’une politique qui interroge jusqu’au patron de Frontex, d’après des courriers confidentiels.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/120320/migrants-des-enregistrements-attestent-de-la-collaboration-entre-ue-et-gar
    #EU #Frontex #union_européenne #frontières #asile #migrations #réfugiés #Libye #externalisation

    Ajouté à cette métaliste sur l’externalisation, et plus précisément avec la Libye :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765324

  • En #Libye, les oubliés

    #Michaël_Neuman a passé une dizaine de jours en Libye, auprès des équipes de Médecins Sans Frontières qui travaillent notamment dans des #centres_de_détention pour migrants. De son séjour, il ramène les impressions suivantes qui illustrent le caractère lugubre de la situation des personnes qui y sont retenues, pour des mois, des années, et celle plus difficile encore de toutes celles sujets aux #enlèvements et aux #tortures.

    La saison est aux départs. Les embarcations de fortune prennent la mer à un rythme soutenu transportant à leur bord hommes, femmes et enfants. Depuis le début de l’année, 2300 personnes sont parvenues en Europe, plus de 2000 ont été interceptées et ramenées en Libye, par les garde-côtes, formés et financés par les Européens. Les uns avaient dès leur départ le projet de rejoindre l’Europe, les autres ont fait ce choix après avoir échoué dans les réseaux de trafic d’êtres humains, soumis aux tortures et privations. Les trajectoires se mêlent, les raisons des départs des pays d’origine ne sont souvent pas univoques. En ce mois de février 2020, ils sont nombreux à tenter leur chance. Ils partent de Tripoli, de Khoms, de Sabrata… villes où se mêlent conflits, intérêts d’affaires, tribaux, semblants d’Etat faisant mine de fonctionner, corruption. Les Libyens ne sont pas épargnés par le désordre ou les épisodes de guerre. Pourtant, ce sont les apparences de vie normale qui frappent le visiteur. Les marchés de fruits et légumes, comme les bouchons qui encombrent les rues de Tripoli en témoignent  : la ville a gonflé au rythme des arrivées de déplacés originaires des quartiers touchés par la guerre d’attrition dont le pays est le théâtre entre le gouvernement intérimaire libyen qui règne encore sur Tripoli et une partie du littoral ouest et le LNA, du Maréchal Haftar, qui contrôle une grande partie du pays. Puissances internationales – Italie, France, Russie, Turquie, Emirats Arabes Unis – sont rentrées progressivement dans le jeu, transformant la Libye en poudrière dont chaque coup de semonce de l’un des belligérants semble annoncer une prochaine déflagration d’ampleur. Erdogan et Poutine se faisant face, le pouls du conflit se prend aujourd’hui autant à Idlib en Syrie qu’à Tripoli.

    C’est dans ce pays en guerre que l’Union européenne déploie sa politique de soutien aux interceptions et aux retours des ‘migrants’. Tout y passe  : financement et formation des gardes côtes-libyens, délégation du sauvetage aux navires commerciaux, intimidation des bateaux de sauvetage des ONG, suspension de l’Opération Sophia. Mais rien n’y fait  : ni les bombardements sur le port et l’aéroport de Tripoli, ni les tirs de roquettes sur des centres de détention situés à proximité d’installation militaire, pas davantage que les témoignages produits sur les exécrables conditions de vie qui prévalent dans les centres de détention, les détournements de financements internationaux, ou sur la précarité extrême des migrants résidant en ville n’ébranlent les certitudes européennes. L’hypocrisie règne  : l’Union européenne affirme être contre la détention tout en la nourrissant par l’entretien du dispositif libyen d’interception  ; le Haut-Commissariat des Nations unies pour les Réfugiés condamne les interceptions sans jamais évoquer la responsabilité des Européens.

    Onze centres de détention sont placés sous la responsabilité de la Direction chargée de l’immigration irrégulière libyenne (la DCIM). La liste évolue régulièrement sans que l’on sache toujours pourquoi, ni si la disparition d’un centre signifie véritablement qu’il a été vidé de ses détenus, ou qu’ils y résident encore sous un régime informel et sans doute plus violent encore. Une fois dans ces centres, les détenus ne savent jamais quand ils pourront en sortir  : certains s’en échappent, d’autres parviennent à acheter leur sortie, beaucoup y pourrissent des mois voire des années. L’attente y est physiquement et psychologiquement dévastatrice. C’est ainsi le lot des détenus de Dar El Jebel, près de Zintan, au cœur des montagnes Nafusa, loin et oubliés de tous : la plupart, des Erythréens, y sont depuis deux ans, parfois plus.

    La nourriture est insuffisante, les cellules, d’où les migrants ne sortent parfois que très peu, sont sombres et très froides ou très chaudes. Les journées sont parfois rythmées par les cliquetis des serrures et des barreaux. Dans la nuit du samedi 29 février au dimanche 1er mars 2020, une dizaine de jours après mon retour, un incendie sans doute accidentel à l’intérieur du centre de détention de Dar El Jebel a coûté la vie à un jeune homme érythréen.

    Nous pouvons certes témoigner que le travail entamé dans ces centres, l’attention portée à l’amélioration des conditions de vie, les consultations médicales, l’apport de compléments alimentaires, mais aussi et peut-être surtout la présence physique, visible, régulière ont contribué à les humaniser, voire à y limiter la violence qui s’y déploie. Pour autant, nous savons que tout gain est précaire, susceptible d’être mis à mal par un changement d’équilibre local, la rotation des gardes, la confiance qui se gagne et se perd, les services que nous rendons. Il n’est pas rare que les directeurs de centre expliquent que femmes et enfants n’ont rien à faire dans ces endroits, pas rare non plus qu’ils infligent des punitions sévères à ceux qui auraient tenté de s’échapper  ; certains affament leurs détenus, d’autres les libèrent lorsque la compagnie chargée de fournir les repas interrompt ses services faute de voir ses factures réglées. Il est probable que si les portes de certains centres de détention venaient à s’ouvrir, nombreux sont des détenus qui décideraient d’y rester, préférant à l’incertitude de l’extérieur leur précarité connue. Cela, beaucoup le disent à nos équipes. Dans ce pays fragmenté, les dynamiques et enjeux politiques locaux l’emportent. Ce qu’on apprend vite, en Libye, c’est l’impossibilité de généraliser les situations.

    Nous savons aussi que nous n’avons aucune vocation à devenir le service de santé d’un système de détention arbitraire  : il faut que ces gens sortent. Des hommes le plus souvent, mais aussi des femmes et des enfants, parfois tout petits, parfois nés en détention, parfois nés de viols. L’exposition à la violence, la perméabilité aux milices, aux trafiquants, la possibilité pour les détenus de travailler et de gagner un peu d’argent varient considérablement d’un centre à l’autre. Il en est aussi de leur accès pour les organisations humanitaires.

    Mais nous savons surtout que les centres de détention officiels n’abritent que 2000, 3000 des migrants en danger présents en Libye. Et les autres alors  ? Beaucoup travaillent, et assument une précarité qui est le lot, bien sûr à des degrés divers, de nombreux immigrés dans le monde, de Dubaï à Paris, de Khartoum à Bogota. Mais quelques dizaines de milliers d’autres, soit par malchance, soit parce qu’ils n’ont aucun projet de vie en Libye et recourent massivement aux services peu fiables de trafiquants risquent gros  : les enlèvements bien sûr, kidnappings contre rançons qui s’accompagnent de tortures et de sévices. Certains de ces «  migrants  », entre 45 000 et 50 000, sont reconnus «  réfugiés ou des demandeurs d’asiles  » par le Haut-Commissariat pour les réfugiés : ils sont Erythréens, Soudanais, Somaliens pour la plupart. De très nombreux autres, migrants économiques dit-on, sont Nigérians, Maliens, Marocains, Guinéens, Bangladeshis, etc. Ils sont plus seuls encore.

    Pour les premiers, un maigre espoir de relocalisation subsiste  : l’année dernière, le HCR fut en mesure d’organiser le départ de 2400 personnes vers le Niger et le Rwanda, où elles ont été placées encore quelques mois en situation d’attente avant qu’un pays, le plus souvent européen, les accepte. A ce rythme donc, il faudrait 20 ans pour les évacuer en totalité – et c’est sans compter les arrivées nouvelles. D’autant plus que le programme de ‘réinstallation’ cible en priorité les personnes identifiées comme vulnérables, à savoir femmes, enfants, malades. Les hommes adultes, seuls – la grande majorité des Erythréens par exemple – ont peu de chance de faire partie des rares personnes sélectionnées. Or très lourdement endettés et craignant légitimement pour leur sécurité dans leur pays d’origine, ils ne rentreront en aucun cas ; ayant perdu l’espoir que le Haut-Commissariat pour les réfugiés les fassent sortir de là, leur seule perspective réside dans une dangereuse et improbable traversée de la Méditerranée.

    Faute de lieux protégés, lorsqu’ils sont extraits des centres de détention par le HCR, ils sont envoyés en ville, à Tripoli surtout, devenant des ‘réfugiés urbains’ bénéficiant d’un paquet d’aide minimal, délivré en une fois et dont on peine à voir la protection qu’il garantit à qui que ce soit. Dans ces lieux, les migrants restent à la merci des trafiquants et des violences, comme ce fut le cas pour deux Erythréens en janvier dernier. Ceux-là avaient pourtant et pour un temps, été placés sous la protection du HCR au sein du Gathering and Departure Facility. Fin 2018, le HCR avait obtenu l’ouverture à Tripoli de ce centre cogéré avec les autorités libyennes et initialement destiné à faciliter l’évacuation des demandeurs d’asiles vers des pays tiers. Prévu à l’origine pour accueillir 1000 personnes, il n’aura pas résisté plus d’un an au conflit qui a embrasé la capitale en avril 2019 et à la proximité de milices combattantes.

    D’ailleurs, certains d’entre eux préfèrent la certitude de la précarité des centres de détention à l’incertitude plus inquiétante encore de la résidence en milieu ouvert  : c’est ainsi qu’à intervalles réguliers, nous sommes témoins de ces retours. En janvier, quatre femmes somalies, sommées de libérer le GDF en janvier, ont fait le choix de rejoindre en taxi leurs maris détenus à Dar El Jebel, dont elles avaient été séparées par le HCR qui ne reconnaissaient pas la légalité des couples. Les promesses d’évacuation étant virtuelles, elles sont en plus confrontées à une absurdité supplémentaire  : une personne enregistrée par le HCR ne pourra bénéficier du système de rapatriement volontaire de l’Organisation Internationale des Migrations quand bien même elle le souhaiterait.

    Pour les seconds, non protégés par le HCR, l’horizon n’est pas plus lumineux : d’accès à l’Europe, il ne peut en être question qu’au prix, là encore, d’une dangereuse traversée. L’alternative est le retour au pays, promue et organisée par l’Organisation internationale des Migrations et vécue comme une défaite souvent indépassable. De tels retours, l’OIM en a organisé plus de 40 000 depuis 2016. En 2020, ils seront probablement environ 10 000 à saisir l’occasion d’un «  départ volontaire  », dont on mesure à chaque instant l’absurdité de la qualification. Au moins, ceux-là auront-ils mis leur expérience libyenne derrière eux.

    La situation des migrants en Libye est à la fois banale et exceptionnelle. Exceptionnelle en raison de l’intense violence à laquelle ils sont souvent confrontés, du moins pour un grand nombre d’entre eux - la violence des trafiquants et des ravisseurs, la violence du risque de mourir en mer, la violence de la guerre. Mais elle est aussi banale, de manière terrifiante : la différence entre un Érythréen vivant parmi des rats sous le périphérique parisien ou dans un centre de détention à Khoms n’est pas si grande. Leur expérience de la migration est incroyablement violente, leur situation précaire et dangereuse. La situation du Darfouri à Agadez n’est pas bien meilleure, ni celle d’un Afghan de Samos, en Grèce. Il est difficile de ne pas voir cette population, incapable de bouger dans le monde de la mobilité, comme la plus indésirable parmi les indésirables. Ce sont les oubliés.

    https://www.msf-crash.org/index.php/fr/blog/camps-refugies-deplaces/en-libye-les-oublies
    #rapport_d'observation #torture #détention #gardes-côtes_libyens #hypocrisie #UE #EU #Union_européenne #responsabilité #Direction_chargée_de_l’immigration_irrégulière_libyenne (#DCIM) #Dar_El_Jebel #Zintan #montagne #Nafusa (#montagnes_Nafusa) #attente #violence #relocalisation #Niger #Rwanda #réinstallation #vulnérabilité #urban_refugees #Tripoli #réfugiés_urbains #HCR #GDF #OIM #IOM #rapatriement_volontaire #retour_au_pays #retour_volontaire

    ping @_kg_

  • Près de 600 migrants portés disparus en Libye, alerte l’OIM

    Les autorités libyennes disent avoir libéré 600 personnes, dont des femmes et des enfants, détenus dans un établissement sous le contrôle du ministère de l’Intérieur. L’Organisation internationale pour les migrations (OIM) s’inquiète du sort de ces migrants volatilisés.

    L’Organisation internationale pour les migrations (OIM) a indiqué avoir perdu la trace de 600 migrants en Libye. « Des femmes et des enfants de tous âges font partie des disparus, ce sont des personnes vulnérables », a alerté Safa Msehli, porte-parole de l’OIM, contactée par InfoMigrants jeudi 20 février.

    Ce groupe de migrants était enfermé dans un établissement sous le contrôle du ministère de l’Intérieur libyen à Tripoli depuis début janvier, après avoir été intercepté en mer Méditerranée et débarqué en Libye par les garde-côtes.

    L’OIM indique ne jamais avoir eu l’autorisation d’accéder à ce #centre. « Ce que nous savons c’est que le gouvernement libyen dit avoir libéré les 600 migrants, mais nous n’avons #aucun_signe_de vie d’eux. Nous sommes très inquiets. Nous avons demandé des éclaircissements aux autorités libyennes », a précisé Safa Msehli.


    https://twitter.com/ONUmigration/status/1230168903348891651?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E12

    Bombardements d’un port de débarquement des migrants

    Sur place, la situation humanitaire continue de se détériorer, 10 mois après le début de l’offensive du maréchal Khalifa Haftar sur Tripoli, a prévenu l’OIM.

    Dernier incident en date, quelques heures à peine avant un débarquement de migrants interceptés en Méditerranée mardi : le port maritime de Tripoli ainsi que celui d’al-Chaab, un port secondaire, ont été la cible de plus de 15 roquettes. C’est la première fois que ces ports sont ciblés par de si lourds bombardements.

    « La Libye ne peut pas attendre », a réagi Federico Soda, chef de la mission de l’OIM en Libye, dans un communiqué. Dans un appel à la communauté internationale émis après cet incident, l’organisation enjoint plus spécifiquement l’Union européenne à réagir au plus vite en prenant « des mesures concrètes pour s’assurer que les vies sauvées en mer soient acheminées vers des ports sûrs, et pour mettre fin au système de détention arbitraire ».

    L’OIM plaide pour « un mécanisme de débarquement rapide et prévisible, dans lequel les États méditerranéens prennent une responsabilité égale pour trouver un port sûr aux personnes secourues ». Il demande aussi la reconnaissance des « efforts de sauvetage des navires des ONG opérant en Méditerranée » et une levée « de toute restriction et tout retard dans le débarquement ».

    Au moins 1 700 migrants ont été interceptés et renvoyés en Libye par les garde-côtes libyens depuis le début de la nouvelle année, selon l’OIM.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/22909/pres-de-600-migrants-portes-disparus-en-libye-alerte-l-oim
    #disparitions #IOM #OIM #Libye #asile #migrations #réfugiés #disparitions #gardes-côtes_libyens #sauvetage (?) #Méditerranée #push-back #refoulements #Mer_Méditerranée

    @sinehebdo... c’est aussi un nouveau mot ?
    #migrants_volatilisés

  • Une enquête accablante de l’ONU condamne le projet phare du WWF au #Congo et révèle l’ampleur massive des abus - Survival International
    https://survivalinternational.fr/actu/12341

    C’est la première fois que l’ONU enquête sur un projet du #WWF, et ses conclusions sont accablantes :

    – Les #gardes_forestiers armés soutenus par le WWF frappent et maltraitent fréquemment les « #Pygmées » #baka vivant à Messok Dja.

    – Le projet a causé « des traumatismes et des souffrances » aux Baka.

    – Le #PNUD, l’un des bailleurs de fonds du projet, a violé ses propres politiques et normes en soutenant le projet sans avoir obtenu au préalable l’accord des Baka. Ils n’ont pas pris la peine de demander ce consentement, car ils ont simplement supposé qu’un projet de « conservation » de la #nature serait bénéfique aux Baka.[...]

    – Le projet n’a eu aucun impact sur « le démantèlement des réseaux criminels qui se cachent derrière le commerce illégal de la faune et de la flore sauvages ».

    https://www.theguardian.com/global-development/2020/feb/07/armed-ecoguards-funded-by-wwf-beat-up-congo-tribespeople

    via @fil

  • Privatised Push-Back of the #Nivin

    In November 2018, five months after Matteo Salvini was made Italy’s Interior Minister, and began to close the country’s ports to rescued migrants, a group of 93 migrants was forcefully returned to Libya after they were ‘rescued’ by the Nivin, a merchant ship flying the Panamanian flag, in violation of their rights, and in breach of international refugee law.

    The migrants’ boat was first sighted in the Libyan Search and Rescue (SAR) Zone by a Spanish surveillance aircraft, part of Operation EUNAVFOR MED – Sophia, the EU’s anti-smuggling mission. The EUNAVFOR MED – Sophia Command passed information to the Italian and Libyan Coast Guards to facilitate the interception and ‘pull-back’ of the vessel to Libya. However, as the Libyan Coast Guard (LYCG) patrol vessels were unable to perform this task, the Italian Coast Guard (ICG) directly contacted the nearby Nivin ‘on behalf of the Libyan Coast Guard’, and tasked it with rescue.

    LYCG later assumed coordination of the operation, communicating from an Italian Navy ship moored in Tripoli, and, after the Nivin performed the rescue, directed it towards Libya.

    While the passengers were initially told they would be brought to Italy, when they realised they were being returned to Libya, they locked themselves in the hold of the ship.

    A standoff ensured in the port of Misrata which lasted ten days, until the captured passengers were violently removed from the vessel by Libyan security forces, detained, and subjected to multiple forms of ill-treatment, including torture.

    This case exemplifies a recurrent practice that we refer to as ‘privatised push-back’. This new strategy has been implemented by Italy, in collaboration with the LYCG, since mid-2018, as a new modality of delegated rescue, intended to enforce border control and contain the movement of migrants from the Global South seeking to reach Europe.

    This report is an investigation into this case and new pattern of practice.

    Using georeferencing and AIS tracking data, Forensic Oceanography reconstructed the trajectories of the migrants’ vessel and the Nivin.

    Tracking data was cross-referenced with the testimonies of passengers, the reports by rescue NGO WatchTheMed‘s ‘Alarm Phone’, a civilian hotline for migrants in need of emergency rescue; a report by the owner of the Nivin, which he shared with a civilian rescue organisation, the testimonies of MSF-France staff in Libya, an interview with a high-ranking LYCG official, official responses, and leaked reports from EUNAVFOR MED.

    Together, these pieces of evidence corroborate one other, and together form and clarify an overall picture: a system of strategic delegation of rescue, operated by a complex of European actors for the purpose of border enforcement.

    When the first–and preferred–modality of this strategic delegation, which operates through LYCG interception and pull-back of the migrants, did not succeed, those actors, including the Maritime Rescue Co-ordination Centre in Rome, opted for a second modality: privatised push-back, implemented through the LYCG and the merchant ship.

    Despite the impression of coordination between European actors and the LYCG, control and coordination of such operations remains constantly within the firm hands of European—and, in particular, Italian—actors.

    In this case, as well as in others documented in this report, the outcome of the strategy was to deny migrants fleeing Libya the right to leave and request protection in Italy, returning them to a country in which they have faced grave violations. Through this action, Italy has breached its obligation of non-refoulement, one of the cornerstones of international refugee law.

    This report is the basis for a legal submission to the United Nations Human Rights Committee by Global Legal Action Network (GLAN) on behalf of an individual who was shot and forcefully removed from the Nivin.

    https://forensic-architecture.org/investigation/nivin
    #Méditerranée #rapport #Charles_Heller #asile #frontières #migrations #réfugiés #mer_Méditerranée #push-back #push-backs #refoulement #refoulements #privatisation #Italie #Libye #operation_sophia #EUNAVFOR_Med #gardes-côtes_libyens #sauvetage #Misrata #torture #privatised_push-back #push-back_privatisé #architecture_forensique #externalisation #navires_marchands #Salvini #Matteo_Salvini

    Pour télécharger le rapport :
    https://content.forensic-architecture.org/wp-content/uploads/2019/12/2019-12-18-FO-Nivin-Report.pdf

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    Sur le cas du Nivin, voir aussi, sur seenthis, ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/735627

    • Migrants refoulés en Libye : l’Italie accusée d’embrigader la marine marchande

      En marge du Forum mondial sur les réfugiés, plusieurs ONG ont annoncé mercredi saisir un comité de l’ONU dans l’espoir de faire cesser les refoulements de migrants vers la Libye .

      De son identité il n’a été révélé que ses initiales. SDG a fui la guerre au Soudan du Sud. En novembre 2018, avec une centaine d’autres migrants embarqués sur un canot pour traverser la Méditerranée, il est secouru par un cargo battant pavillon panaméen, le Nivin. Mais l’équipage, suivant ainsi les instructions des autorités italiennes, ramène les naufragés vers la Libye et le port de Misrata. Les migrants refusent de débarquer, affirmant qu’ils préfèrent mourir sur le navire plutôt que de retourner dans les centres de détention libyens.

      Il s’ensuit un bras de fer d’une dizaine de jours. Finalement, les Libyens donnent l’assaut et les migrants sont débarqués de force. SDG est blessé, puis emprisonné et maltraité. Il restera avec une balle en plastique dans la jambe pendant six mois. Le jeune homme est aujourd’hui à Malte, où il a pu déposer une demande d’asile. Il a finalement réussi la traversée, à sa huitième tentative.

      C’est en son nom que plusieurs ONG ont déposé une plainte contre l’Italie mercredi auprès du Comité des droits de l’homme de l’ONU. Cet organe, composé de 18 experts, n’émet que des avis consultatifs. « Cela ira plus vite que devant la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH). Nous visons l’Italie, car le comité de l’ONU ne se prononce que sur les violations commises par des Etats, nous ne pourrions attaquer l’Union européenne », justifie Violeta Moreno-Lax, de l’ONG Global Legal Action. L’Italie, en première ligne face à l’arrivée de boat people, avait déjà été condamnée par la CEDH en 2012 pour le refoulement de migrants en Libye. « Depuis, Rome fait tout pour contourner cet arrêt », dénonce la juriste.

      « Le choix impossible des équipages »

      L’une des tactiques, ont exposé les ONG lors d’une conférence de presse, est d’embrigader la marine marchande pour qu’elle ramène les naufragés en Libye. « La décision de l’ancien ministre de l’Intérieur Matteo Salvini de fermer les ports italiens aux navires de sauvetage en juin 2018 a créé une onde de choc en Méditerranée, décrit le chercheur suisse Charles Heller, qui documente la disparition de migrants en mer. Les autres pays européens ont retiré leurs bateaux, parce qu’ils risquaient d’être bloqués faute de ports où débarquer les migrants. Ce sont donc les navires marchands qui sont appelés à remplir le vide. Ces équipages sont face à un choix impossible. Soit ils se conforment aux instructions des autorités maritimes italiennes et violent le droit de la mer, qui oblige les marins à débarquer les naufragés vers un port sûr. Soit ils résistent et s’exposent à des poursuites judiciaires. Dans les faits, beaucoup de navires évitent de porter secours aux embarcations en détresse. »

      Ces derniers mois, Charles Heller a recensé 13 navires marchands qui ont refoulé des migrants en Libye. Parmi ces cas, deux tentatives n’ont pas réussi, les naufragés se rebellant contre un retour en Libye. « Il faut comprendre qu’une fois débarqués en Libye, les migrants sont détenus de façon totalement arbitraire. Les centres sont inadaptés, la nourriture est insuffisante, les maladies comme la tuberculose y font des ravages et les disparitions ne sont pas rares, en particulier les femmes », détaille Julien Raickman, le chef de mission de Médecins sans frontières en Libye.


      https://www.letemps.ch/monde/migrants-refoules-libye-litalie-accusee-dembrigader-marine-marchande

    • Migranti, un report accusa l’Italia: «Respingimento illegale dei 93 salvati dal mercantile Nivin e riportati in Libia con la forza»

      Le prove in un documento della Forensic Oceanography presso la Goldsmith University of London. Nell’ultimo anno, chiamando navi commerciali a soccorrere barche in difficoltà, sarebbero stati 13 i casi analoghi.

      «Qui MRCC Roma. A nome della Guardia costiera libica per la salvezza delle vite in mare vi preghiamo di procedere alla massima velocità per dare assistenza ad una barca in difficoltà con circa 70 persone a bordo. Vi preghiamo di contattare urgentemente la Guardia costiera libica attraverso questo centro di ricerca e soccorso ai seguenti numeri di telefono». Ai quali rispondono sempre gli italiani.

      Un dispaccio del centro di ricerca e soccorso di Roma delle 19.39 del 7 novembre del 2018 dimostra che a coordinare l’operazione di salvataggio di un gruppo di migranti poi riportati in Libia dal mercantile Nivin battente bandiera panamense fu l’Italia. In 93, segnalati prima da un aereo di Eunavformed, poi dal centralino Alarmphone, furono presi a bordo dal Nivin e, con l’inganno, sbarcati con la forza a Misurata dall’esercito libico dopo essere rimasti per dieci giorni asserragliati sul ponte del mercantile. Picchiati, feriti, rinchiusi di nuovo nei centri di detenzione in un paese in guerra.

      Un respingimento di massa illegittimo, contrario al diritto internazionale, che sarebbe stato dunque coordinato dall’Italia secondo una strategia di salvataggio delegato ai privati per applicare il controllo delle frontiere. Un «modello di pratica» che - secondo un rapporto redatto da Charles Heller di Forensic Oceanography, ramo della Forensic Architecture Agency basata alla Goldsmiths University of London - l’Italia e l’Europa avrebbero applicato ben 13 volte nell’ultimo anno, in coincidenza con la politica italiana dei porti chiusi.

      Caso finora unico, alcune delle persone riportate in Libia sono state rintracciate nei centri di detenzione da Msf che ne ha raccolto le testimonianze che - incrociate con i documenti e le risposte alle richieste di informazione date da Eunavformed e dalla stessa Guardia costiera libica - hanno consentito di ricostruire quello che viene definito nello studio «una pratica ricorrente di respingimenti, una nuova modalità di soccorso delegato ai privati» che verrebbe attuato quando le motovedette della guardia costiera libica, come avvenne nel caso del 7 novembre 2018, sono impegnate in altri interventi. «Impegnandosi in questa pratica - è l’accusa del report - l’Italia usa violenza extraterritoriale per contenere i movimenti dei migranti e viola l’obbligo di non respingimento». Per questo il Glan, l’organizzazione di avvocati, accademici e giornalisti investigativi Global Legal Action Network ha presentato una denuncia contro l’Italia al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite per conto di uno dei migranti riportati indietro. E’ la prima volta che accade.

      La partenza
      Nella notte tra il 6 e 7 novembre 2018 dalla costa di Zlitan parte un gommone con 93 persone a bordo di sette nazionalità diverse. C’è anche una donna con un bimbo di quattro mesi. Alle 15.25 del 7 novembre la barca viene avvistata in zona Sar libica da un aereo spagnolo dell’operazione Sophia che - secondo quanto riferito da Eunavformed - «dichiara che non c’erano assetti navali nelle vicinanze». Tramite il quartier generale della missione che, in quel momento, era sulla nave San Marco della marina italiana, l’informazione con le coordinate navali della posizione della barca viene passata al centro di ricerca e soccorso di Roma che le trasmette a quello libico. Il commodoro libico Masoud Abdalsamd riferisce che le motovedette libiche sono impegnate in altre attività e il gommone continua la sua navigazione.

      La richiesta di soccorso
      Due ore dopo, alle 17.18, dal gommone un primo contatto con il centralino Alarm Phone che comunica le coordinate al centro di soccorso di Roma e monitora la zona: non ci sono navi vicine e l’unica Ong presente, la Mare Jonio, è a Lampedusa. Roma ( che era già informata) chiama Tripoli, la guardia costiera libica identifica la Nivin, un mercantile già in rotta verso Misurata ma le manca l’attrezzatura per comunicare e dirigere la Nivin e chiede a Roma di farlo «a suo nome». Da quel momento è MRCC a prendere in mano il coordinamento, dà istruzioni al comandante della Nivin e dirige il soccorso.

      L’arrivo dei libici
      Alle 21.34, un dispaccio del centro di ricerca e soccorso dei libici annuncia la presa del coordinamento delloperazione ma la comunicazione parte dallo stesso numero nella disponibilità della Marina italiana sulla nave di stanza a Tripoli. Alle 3.30 la Nivin soccorre i migranti. Saliti a bordo i marinai li tranquillizzano dicendo loro che saranno portati in Italia. Ma quando vedono arrivare una motovedetta libica i migranti capiscono di essere stati ingannati, rifiutano il trasbordo e si barricano sulla tolda della nave. I libici dopo un poò rinunciano e la Nivin prosegue verso Misurata dicendo ai migranti di essere in rotta verso Malta. Un’altra bugia.

      Lo sbarco a Misurata
      I migranti rimangono asserragliati anche quando la nave entra nel porto libico. Ci resteranno dieci giorni chiedendo disperatamente aiuto ai media internazionali con i telefoni cellulari. Il 20 novembre l’intervento di forza dei militari libici armati pone fine alla loro odissea. Alcuni migranti vengono picchiati, feriti, ricondotti nei centri di detenzione dove alcuni di loro vengono intercettati dall’equipe di Medici senza frontiere che raccoglie le loro testimonianze che si incrociano perfettamente con i documenti recuperati.

      Il ruolo dell’Italia
      Ne viene fuori un quadro che combacia perfettamente con quanto già evidenziato da un’inchiesta in via di conclusione della Procura di Agrigento coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore Vella. Un quadro in cui l’Italia, nonostante gli accordi con la Libia, prevedono un ruolo di semplice assistenza e supporto tecnico alla Guardia costiera libica, di fatto svolge - tramite la nave della Marina militare di stanza a Tripoli - svolge una funzione di centro di comunicazione e coordinamento «dando un contributo decisivo - si legge nel report - alla capacità di controllo e coordinamento che ha saldamente in mano».
      «Quando i libici non sono in grado di intervenire - è l’accusa di Forensic Oceanography - Roma opta per una seconda modalità, quella del respingimento privato attraverso le mavi mercantili che - secondo un recente report semestrale di Eunavformed - ha prodotto 13 casi nell’ultimo anno con un aumento del 15-20 per cento».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/12/18/news/migranti_l_italia_dietro_il_respingimento_dei_93_salvati_dal_mercantile_n

  • Agencies test border patrol technologies

    U.S. Border Patrol and the Department of Homeland Security Science and Technology Directorate (S&T) conducted 11 days of exercises and demonstrations in August in Sweetgrass, Mont.

    The field test simulated illegal border crossings and evaluated portable, surveillance technologies that provide situational awareness capabilities with the hybrid communications network along the U.S./Canadian border. The network helps U.S. Custom and Border Protection track and prevent border crossings.

    Technologies tested include #Small_Unmanned_Aerial_Systems (#SUAS) designed for border security operations, and #Team_Awareness_Kit (#TAK), a federal open source map-based phone and computer application with #GPS tracking capabilities and real-time collaboration.

    “The demonstrations at the #Havre_Sector_Field_Experiment showed that communications tools like man-portable surveillance, autonomous surveillance towers, short-range surveillance sensors, SUAS, TAK, and satellite communications are both cost and operationally effective,” Shawn McDonald, S&T program manager, said. “Equally important, they are agile and scalable and serve as significant force multipliers for our agents along the northern border. Once these tools are deployed on a wider scale, our agents will be able to expand all their communications networks, simultaneously monitor remote lower-priority areas of the border while physically monitoring high-priority areas and immediately and effectively deploy resources to areas that need them most.”

    https://homelandprepnews.com/stories/40730-agencies-test-border-patrol-technologies
    #complexe_militaro-industriel #technologie #militarisation_des_frontières #frontières #USA #Etats-Unis #surveillance #gardes-frontières #asile #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #communication
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  • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong
    Articolo (1)

    Definizioni:

    Nell’applicazione delle disposizioni si specifica sotto il significato dei Termini usati.

    Dispositivo: Dispositivo di guardia costiera e la sicurezza dei porti

    Autorità marittima Libica: Autorità portuali e trasporto marittimo

    Organizzazioni: Organizzazioni governativi e non governativi impegnati nel salvataggio degli immigrati clandestini nel mare

    Immigrati: Immigrati clandestini

    Area dichiarata: Area marittima di ricerca e salvataggio sotto controllo dello stato Libico come previsto dal coordinamento dell’organizzazione internazionale marittima (#IMO)

    Il centro (#LMRCC): Il centro di coordinamento delle ricerche e salvataggio marittimo Libico dipendente del consiglio di guardia costiera e la sicurezza dei porti.

    Autorità esecutiva: Autorità di competenza del dispositivo di guardia delle coste e sicurezza dei porti o qualsiasi altra entità autorizzata da parte del governo Libico.

    Unità Marittime: Navi e barche usati da parte delle organizzazioni governativi e non governativi impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (2)

    Sono regolate a seconda delle disposizioni di questa tabella, le misure di cooperazione nella zona di ricerca e salvataggio marittimo sotto responsabilità dello stato Libico e secondo quanto dichiarato dall’organizzazione marittima internazionale (IMO) del 10 Giugno 2017

    Articolo (3)

    Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (4)

    Il Dispositivo della Guardia Costiera e Sicurezza dei porti si occupa di:

    Gestione dell’area di ricerca e salvataggio nelle acque Libiche
    Comando delle operazioni di ricerca e salvataggio nella Zona dichiarata.

    Il Centro di ricerca e salvataggio marittimo LMRCC coordina le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo nella regione.

    Articolo (5)

    Le organizzazioni interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo nell’area gestita dal Dispositivo, devono presentare una domanda di autorizzazione che alleghiamo al presente accordo, secondo il modello (T.T.A./019). Il Dispositivo si occupa della trasmissione della domanda alle autorità marittime Libiche per il rilascio dell’autorizzazione di collaborazione a seconda delle normative.

    Articolo (6)

    Le unità marittime affiliate all’organizzazione di ricerca e salvataggio in mare, durante il lavoro nell’area devono fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento – al centro di coordinamento libico per il salvataggio in mare (LMRCC).

    Articolo (7)

    In caso d’ingresso, per i casi emergenziali e speciali, nelle acque territoriali libiche, si può ricevere assistenza immediata previo autorizzazione e supervisione del centro(LMRCC).

    Articolo (8)

    Le unità marittime affiliate all’ organizzazione s’impegnano a lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto. A non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area dichiarata e a lasciargli la precedenza d’intervento.

    Articolo (9)

    Le unità marittime delle organizzazioni s’impegnano e si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro (LMRCC) e (si impegnano) a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa che intendano implementare autonomamente anche se è considerata necessaria e urgente nell’area.

    Articolo (10)

    I capitani delle navi affiliate alle organizzazioni che lavorano nell’area, devono notificare tutti gli interventi legati alla sicurezza marittima o altri atti sospetti.

    Articolo (11)

    Per quanto riguarda il diritto di visita, il personale del Dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera.

    Articolo (12)

    I naufraghi salvati nell’area, da parte delle organizzazioni, non vengono rimandati allo Stato Libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza.

    Articolo (13)

    Dopo il completamento delle operazioni di ricerca e salvataggio da parte delle organizzazioni, le barche e i motori usati nelle operazioni di contrabbando, saranno consegnati allo Stato libico e saranno sottoposti all’applicazione della legislazione in vigore.

    In tutte le circostanze va avvisato il Centro su tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza di navigazione e il rischio d’inquinamento durante le attività di ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (14)

    Salvo le comunicazioni necessarie nel contesto delle operazioni di salvataggio e, per salvaguardare la sicurezza delle vite in mare, le unità marittime affiliate alle organizzazioni s’impegnano a non mandare nessuna comunicazione o segnale di luce o altri effetti per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso loro.

    Articolo (15)

    Secondo il capitolo V della convenzione internazionale per la sicurezza delle vite in mare(SOLVAS-74) e le sue Modifiche; non sospendere o ritardare i tempi regolari dei segnali d’identificazione sistematica (AIS) e i segnali d’identificazione e localizzazione a lungo raggio(LRIT) delle navi per garantire la sicurezza della navigazione e la sicurezza delle navi che non sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio.

    Articolo (16)

    In conformità alle sue competenze di controllo, il Dispositivo controlla tutte le navi e unità marittime affiliate alle organizzazioni che violano le disposizioni del presente regolamento e le conducono al porto marittimo libico più vicino.

    Articolo (17)

    L’autorità marittima, nell’area dichiarata, esegue la procedura d’infrazione con le navi e le unità sequestrate e sospettate in coordinamento con le altre autorità coinvolte. E ove applicabile saranno esposte davanti alla procura pubblica.

    Articolo (18)

    In caso di violazione del presente accordo sarà ritirata l’autorizzazione di cooperazione rilasciata all’organizzazione che opera nell’area, verrà cancellato il nome dell’organizzazione e non sarà concessa un’altra autorizzazione in caso di ripetizione delle violazioni degli obblighi contenuti nel presente accordo.

    Articolo (19)

    Il presente decreto entra in vigore dalla sua data di emissione, l’autorità vigilano alla sua esecuzione

    14/09/2019

    http://www.integrationarci.it/2019/10/29/migranti-il-governo-libico-emette-decreto-per-neutralizzare-le-ong
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #ONG #décret #gardes-côtes

    Commentaire de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop:

    Après avoir crée une zone SAR et un MRCC (grâce au soutien logistique italien et aux fonds européen) le Gouv Serraj produit un code de conduite pour les ong qui entreraient dans la zone SAR Libyenne - qui rassemble beaucoup au code de conduit proposé par Minniti en l’été 2017 - et qui de fait met sous coordination des libyens leurs actions.

    #code_de_conduite #SAR #Libye #SAR_libyenne #Minniti

    Sur le code de conduite de 2017:
    https://seenthis.net/messages/514535#message614460
    Et plus largement ici:
    https://seenthis.net/messages/514535

    • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong

      Ecco il testo: “Autorizzazione preventiva al soccorso, polizia a bordo e sequestro per chi non obbedisce, i naufraghi mai in Libia”

      Il decreto, emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. E’ stato inviato anche in Italia ed è un grottesco quanto pericoloso tentativo di ostacolare ancor di più l’operato delle navi umanitarie ma soprattutto di aggredirle con operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici. Un decreto che, alla vigilia della scadenza del patto tra Italia e Libia, desta ulteriori preoccupazioni anche perché alle Ong, che continuano ad operare in zona Sar libica, non è mai stato sottoposto. Ma è già, almeno sulla carta operativo. E, per assurdo che sembri, prevede che i naufraghi salvati non possano essere portati in Libia.Il decreto, che Repubblica ha consultato tradotto dall’ufficio immigrazione Arci, consta di 19 articoli ed esordisce così: “Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo”.

      Alle Ong “interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo” è imposto di presentare una preventiva domanda di autorizzazione alle autorità libiche a cui sono obbligate “ a fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento.Ed ecco le condizioni che vengono imposte alle navi umanitarie: “lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto, non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area e lasciare la precedenza d’intervento”. “Le Ong si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro e si impegnano a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa anche se è considerata necessaria e urgente”.E poi gli articoli che più preoccupano le Ong perché preludono ad un intervento di tipo poliziesco e autorizzano la Guardia costiera libica a salire a bordo delle navi. “Il personale del dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera”.

      L’articolo 12 è il più contraddittorio perché a fronte di una rivendicazione di coordinamento assoluto degli interventi di soccorso nella sua zona Sar, prescrive che “i naufraghi salvati dalle organizzazioni non vengono rimandati nello stato libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza”. La Libia invece vuole “le barche e i motori usati”.Alle Ong è richiesto di “non mandare alcuna comunicazione o segnale di luce per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso di loro.Infine le sanzioni: “ tutte le navi che violano le disposizioni del presente regolamento verranno condotte al porto libico più vicino e sequestrate. E non verrà più concessa alcuna autorizzazione”.

      “Il «codice Minniti libico» per le Ong è, come quello dell’ex Ministro italiano, un atto che punta ad ostacolare e criminalizzare i salvataggi in mare - commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -Per di più è illegittimo, essendo stato emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà complice di questi criminali.Il «codice Minniti libico» conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, le ragioni che ci spingono a chiedere la cancellazione degli accordi con la Libia e l’azzeramento del Memorandun. Per cambiare pagina si ponga fine a questa follia e si metta subito in campo un piano straordinario di evacuazione delle persone detenute.”

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/29/news/migranti_il_governo_libico_emette_decreto_per_neutralizzare_le_ong-239783
      #gardes-côtes_libyens

  • Malte permet à des garde-côtes libyens d’entrer dans sa zone de sauvetage pour intercepter des migrants

    Une embarcation de migrants a été interceptée vendredi dernier dans la zone de recherche et de sauvetage maltaise par une patrouille de garde-côtes libyens. Les 50 personnes qui se trouvaient à bord ont été ramenées en Libye. Pour la première fois, Alarm phone a pu documenter cette violation du #droit_maritime_international. Le HCR a ouvert une #enquête.

    L’agence des Nations unies pour les réfugiés (HCR) a annoncé mardi 22 octobre l’ouverture d’une enquête après que les autorités maltaises ont laissé des garde-côtes libyens intercepter une embarcation de migrants en détresse qui se trouvait dans la zone de recherche et de sauvetage (SAR) maltaise.

    Alarm phone, une organisation qui permet aux bateaux de migrants en difficultés de demander de l’aide, a retracé mercredi 23 octobre, dans un communiqué, le déroulé des événements qui ont conduit à l’emprisonnement des 50 migrants dans le centre de #Tarik_al_Sika, à #Tripoli.

    Tout commence le vendredi 18 octobre, en début d’après-midi, quand Alarm phone reçoit un appel de détresse d’un bateau surchargé. Environ 50 personnes, dont des femmes et des enfants, se trouvent à bord de ce rafiot en bois. Les coordonnées GPS que les migrants envoient à Alarm Phone indiquent qu’ils se trouvent dans la SAR zone maltaise.

    La plateforme téléphonique transmet alors la position de l’embarcation aux centres de coordination des secours en mer de Malte (#RCC) et de Rome (#MRCC). Malte ne tarde pas à répondre : “Nous avons reçu votre email. Nous nous occupons de tout", indique un officier maltais.

    Enfermement à Tripoli

    Dans les heures qui suivent, Alarm phone tente de garder le contact avec le RCC de Malte et le MRCC de Rome mais ne reçoit plus de réponse. À bord, les migrants donnent de nouvelles coordonnées GPS à l’organisation : ils se trouvent toujours dans la SAR zone maltaise. Le dernier contact entre Alarm phone et l’embarcation a lieu à 17h40.

    Quelques heures plus tard, le #PB_Fezzan, un navire appartenant aux garde-côtes libyens, a intercepté l’embarcation de migrants dans la zone de recherche et sauvetage de Malte. Les équipes d’Alarm phone apprennent, par un officier du RCC de Malte, qu’un hélicoptère des Forces armées maltaises avait été impliqué dans l’opération, en "supervisant la situation depuis les airs".

    Le PB Fezzan est ensuite rentré à Tripoli avec les migrants à son bord. Tous ont été placés dans le centre de détention de Tarik al Sika.

    Violation des conventions internationales et du principe de non-refoulement

    En ne portant pas secours à cette embarcation, le RCC de Malte a violé à la fois le droit de la mer et le principe de non-refoulement établi dans la Convention européenne des droits de l’Homme et celle relative au statut international de réfugiés.

    Le HCR a ouvert une enquête afin de déterminer pour quelles raisons Malte n’a pas porté secours à l’embarcation, a indiqué mardi Vincent Cochetel, l’envoyé spécial du HCR pour la Méditerranée centrale, à l’agence Associated press (AP).

    Selon lui, "des preuves existent que Malte a demandé à des garde-côtes libyens d’intervenir" dans sa propre zone de recherche et sauvetage le 18 octobre. "Le problème est que les migrants ont été débarqués en Libye. Il ne fait aucun doute qu’il s’agit d’une violation des lois maritimes. Il est clair que la Libye n’est pas un port sûr", a-t-il ajouté.

    Vincent Cochetel a également affirmé qu’il ne s’agissait pas de la première fois que Malte se rendait coupable d’une telle non-assistance.

    "Malte est particulièrement peu coopérant"

    Contacté par InfoMigrants, Maurice Stierl, membre d’Alarm phone, rappelle qu’il n’est pas rare que les garde-côtes européens ne remplissent pas leurs obligations. "Ce cas est particulièrement dramatique mais ce n’est pas une surprise pour nous tant nous avons vu [des autorités européennes] se dérober à leurs responsabilités", assure-t-il.

    "Malte est particulièrement peu coopérant ces dernières semaines. Quand nous les appelons, soit ils sont injoignables, soit ils ne nous communiquent pas d’informations sur les modalités de la mission de sauvetage qu’ils vont lancer", s’agace l’activiste.

    Malte n’est pas le seul pays européen à rechigner à secourir des migrants en Méditerranée centrale, précise Maurice Stierl. "Nous avons aussi eu de mauvaises expériences avec d’autres États membres dont le MRCC de Rome […] C’est un problème européen."

    https://twitter.com/alarm_phone/status/1187265157937991680?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

    https://www.infomigrants.net/fr/post/20377/malte-permet-a-des-garde-cotes-libyens-d-entrer-dans-sa-zone-de-sauvet
    #migrations #réfugiés #zone_SAR #SAR #gardes-côtes_libyens #sauvetage #asile #migrations #réfugiés #frontières #Méditerranée #pull-back #Mer_Méditerranée

  • New Frontex Regulation : corrected version of the text

    The European Parliament is due to approve a corrected version of the new Frontex Regulation, which was originally agreed between the Council and Parliament in April but has been undergoing revision by legal and linguistic specialists.

    See: REGULATION (EU) 2019/... OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of ... on the European Border and Coast Guard and repealing Regulations (EU) No 1052/2013 and (EU) 2016/1624 (http://www.statewatch.org/news/2019/oct/eu-frontex-regulation-ep-approved-corrected-version-2-10-19.pdf)

    And: the version initially agreed between the Parliament and Council in April (http://www.statewatch.org/news/2019/apr/eu-frontex-final-tAnnex%20to%20LIBE%20letter-EBCG-text.pdf)

    The Regulation was proposed in September 2018 and agreement was reached between the Parliament and Council in April 2019. The speed of the legislative process may explain why the text has to be corrected and approved in accordance with Rule 241 of the Parliament’s rules of procedure (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RULES-9-2019-07-02-RULE-241_EN.html).

    The headline change introduced by the new Regulation is a “standing corps” of 10,000 border guards. The official intention is to introduce the standing corps by 2027, but incoming Commission President Ursula von der Leyen has committed to doing so by 2024 - although an article in DW commented (https://www.dw.com/en/can-the-eus-ursula-von-der-leyen-fulfill-her-promises/a-49625188) that this “looks extremely unlikely, as the member states have repeatedly rejected the move.”

    The new Regulation will also give the agency expanded surveillance powers, an extended mandate in the field of deportations and new possibilities for cooperation with non-EU states. Under its current mandate, Frontex has already begun to operate outside the EU, with an operation launched in Albania in May.

    http://www.statewatch.org/news/2019/oct/eu-new-frontex-reg.htm
    #frontex #frontières #contrôles_frontaliers #gardes-frontières_européens #gardes-frontières #migrations #asile #réfugiés #Albanie #surveillance #renvois #expulsions

    –---

    Sur la coopération avec l’Albanie, voir :
    https://seenthis.net/messages/782260

  • Minima sociaux. La CAF lèse des bénéficiaires du RSA | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/minima-sociaux-la-caf-lese-des-beneficiaires-du-rsa-678557

    Père divorcé, Frédéric a ses enfants en garde alternée. Pourtant, les allocations familiales ne lui versent qu’un revenu de solidarité active de célibataire. Un cas non isolé.

    Frédéric va enfin être fixé. C’est aujourd’hui, après la réunion d’une commission administrative, que le président du conseil départemental du Cher décidera si les deux enfants de ce cinquantenaire seront pris en compte dans le calcul de son RSA. Pour l’instant, leur présence chez lui, une semaine sur deux, dans le cadre d’une garde partagée, n’est pas reconnue. Calculé comme s’il était célibataire, son RSA s’élève à 559,74 euros par mois. Pourtant, son statut de père est pris en compte lorsqu’il s’agit du partage de l’allocation familiale avec son ex-femme. 66,11 euros, lesquels sont considérés comme un revenu et, à ce titre, comble de l’ironie, déduits de son RSA de célibataire… « Cette situation est complètement aberrante », s’étrangle Florie Gaeta, administratrice CGT de la Caisse d’allocations familiales (CAF) du Cher.

    Avec la CAF, tout n’avait pourtant pas si mal commencé. Quand Frédéric, ex-père au foyer, fait au printemps dernier sa demande de RSA, ses deux garçons sont pris en compte comme étant à sa charge. Il reçoit un premier versement qui s’élève à 1 007,53 euros. Mais, dès le mois suivant, le montant de son allocation est divisé par deux.

    Commence alors pour lui une bataille afin de comprendre le sens de cette baisse. Selon la CAF, l’affaire est simple. En juillet, en remplissant un formulaire avec son ancienne compagne, Frédéric a renoncé aux prestations non divisibles octroyées par la CAF – toutes sauf les allocations familiales. En le faisant, estime l’organisme, il a accepté de ne plus rien recevoir au titre de parent d’enfants à charge, y compris le complément de son RSA. « C’est parce que vous avez souhaité que l’autre parent puisse bénéficier des autres prestations en faveur des enfants que vous ne pouvez prétendre à l’étude d’autres droits en faveur des enfants (c’est la raison pour laquelle votre revenu de solidarité active est calculé sur la base d’une seule personne) », lui ­explique la directrice de la CAF dans un courrier, le 16 septembre.

    « Tous les gens que j’ai consultés partagent mon point de vue »
    Frédéric conteste cette vision des choses. Sur le site officiel de l’administration service-public.fr, il est bien précisé dans un encadré que « selon le juge administratif, l’enfant en garde alternée est à la charge des deux parents. En conséquence, s’ils peuvent prétendre au RSA, chaque parent peut percevoir la moitié de la majoration pour enfant à charge ». Lecture confirmée par le Conseil d’État, la plus haute juridiction en matière administrative, dans un jugement rendu le 21 juillet 2017. De plus, ajoute Frédéric, la majoration au titre d’enfants à charge est financée par le conseil départemental, et ne peut donc être traitée comme une prestation de la CAF. Une analyse confirmée par la responsable technique du RSA au département. Sans effet. « Tous les gens que j’ai consultés partagent mon point de vue », assure Frédéric, ulcéré.

    #CAF #RSA #jurisprudence (pas appliquée) #gardes_alternées #AAH #parents_célibataires

  • Une journée avec les hommes et les femmes de Frontex

    Chaque jour ils surveillent, contrôlent, lisent avec attention vos documents. Les employés de Frontex sont au taquet. L’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes a pour mission principale d’aider les Etats membres de l’Union européenne et de l’espace Schengen à sécuriser leurs frontières extérieures. Elle dispose d’une réserve de réaction rapide de 1500 agents et sera dotée, progressivement jusqu’à 2027, d’un corps permanent de 10.000 agents.

    Les hommes et les femmes qui la composent traquent la moindre anomalie, le moindre document frauduleux. Au moindre doute, tout votre véhicule est fouillé.

    Frontex dirige des opérations maritimes, aériennes et terrestres (en Méditerranée et dans les pays de l’Est notamment). Elles sont menées par des garde-frontières mis à la disposition de l’agence par les Etats membres. Ils sont reconnaissables à leur brassard ou leur dossard bleu clair et sont toujours accompagnés par des agents de l’Etat membre dans lequel a lieu l’opération.

    A l’été 2018 par exemple, dans le cadre de l’opération opération Minerva, Frontex a aidé les autorités espagnoles à contrôler les passagers arrivant du Maroc par ferry. L’agence avait également déployé des experts en documents contrefaits et des agents formés pour repérer les véhicules volés.

    https://ds1.static.rtbf.be/article/image/770xAuto/5/b/b/b8d4c4953a1d60bd9cf28d042fa96f59-1568391909.pngCertains week-ends jusqu’à 100.000 voyageurs et 20.000 véhicules différents sont contrôlés au poste frontière de Medika. D’un côté c’est l’Europe. De l’autre, l’Ukraine. Un point de passage idéal pour a trafiquants en tout genre, drogue, contrebande, contrefaçon. Pour les affronter, une coopération internationale est tout simplement indispensable.

    En matière de lutte contre l’immigration illégale, Frontex coordonne aussi des opérations de renvoi de migrants irréguliers vers leurs pays d’origine (chaque Etat membre restant libre de déterminer quelle personne doit être renvoyée). Elle peut aider les États membres à financer les opérations de retour et à coopérer avec les pays tiers chargés des procédures de réadmission.

    L’Agence européenne assure également une veille permanente de la situation aux frontières extérieures de l’UE et de l’espace Schengen : elle analyse les tendances et collecte des données sur les personnes liées aux filières d’immigration clandestine ou aux activités criminelles transfrontalières (trafics, terrorisme, pêches illégales…). Elle transmet ces informations aux Etats membres et à l’office européen de police Europol.

    Une vocation familiale

    Piotr Wiciejowski a toujours voulu être soldat, il faut dire que c’est une tradition dans la famille. Sauf qu’il a choisi la protection des frontières comme terrain de chasse. Aujourd’hui il coordonne l’agence européenne Frontex à Medyka.

    Dans le même bureau travaillent un Polonais, un Autrichien, un Portugais, un Letton et un Moldave. Tous ont des expériences différentes mais un même objectif : agir rapidement et compter les uns sur les autres.

    « On contrôle les polices d’assurance, les documents de voiture, les passeports, les papiers de voyage, les visas et même les cartes de pêche. » Explique Piotr Wiciejowski.

    La détection des faux documents est une priorité dans la profession et un succès face aux criminels.

    « Notre groupe s’entraîne constamment. Nous avons des spécialistes de la contrefaçon de documents, de la détection des documents de voitures volées, nous partageons les expériences de nos collègues des services de police et des services des frontières d’autres pays de l’Union européenne. » ajoute le garde-frontière.

    En 2018, 1500 faux documents d’identité ont été saisis à la frontière orientale de l’Union européenne. La contrebande est un aussi un défi aux postes frontières. Drogues, alcool sans accise, cigarettes permettent aux organisations criminelles de gagner beaucoup d’argent.

    Un agent témoigne anonymement. « Il s’agit d’un secteur très lucratif pour les groupes criminels, c’est de l’argent facile à gagner, il n’est pas étonnant que des personnes peu scrupuleuses tentent leur chance. Mais nous sommes là pour l’éviter. »

    Les passeurs rivalisent d’imagination pour cacher leur marchandise. Mais les hommes de Frontex ne sont pas dupes et les chiens détecteurs de drogue par exemple, sont très utiles pour dénicher les cargaisons frauduleuses.

    « L’innovation et la créativité de ces groupes criminels n’ont pas de limite » explique le garde.

    Piotr Wiciejowski sait que toutes les voitures doivent être soigneusement contrôlées à la frontière de Medyka. C’est le dernier point de passage pour qu’un véhicule volé ne disparaît complètement des radars. La lutte contre les voleurs de voitures est possible grâce à la coopération internationale. En 2018, près de 1000 voitures volées ont été interceptées aux frontières de l’Union européenne. « Nous venons de saisir une voiture Jaguar en version limitée, d’une valeur marchande supérieure à 400.000 PLN. (Soit 92.313 euros) Lors des contrôles frontaliers en Pologne, il s’est avéré que les numéros d’identification et les papiers de la voiture étaient contrefaits », explique une responsable du bureau polonais.

    Lorsqu’un agent doit vérifier un document ou obtenir des informations rapidement, les employés de Frontex peuvent immédiatement contacter leurs collègues européens. Le temps et la rapidité de réaction sont au détriment des criminels." Si quelqu’un franchit la frontière de notre côté, il peut ensuite arriver facilement à Lisbonne, au Portugal. Nous sommes donc tenus de travailler d’une façon précise et la plus professionnelle possible. Nous sentons la pression sur nous, mais nous la gérons très bien. "

    Lorsqu’ils rentrent dans leur pays, les employés de Frontex ont acquis de nouvelles expériences tout en contribuant à protéger la frontière orientale de l’Union européenne. Une coopération qui joue aussi sur la dissuasion. Les hommes de Frontex veulent aussi donner l’impression aux trafiquants qu’ils ne peuvent leur échapper.

    https://www.rtbf.be/info/monde/detail_ces-heros-du-quotidien-les-hommes-et-les-femmes-de-frontex?id=10313604
    #Frontex #frontières #contrôles_frontaliers #témoignage #gardes-frontière #travail #asile #migrations #réfugiés

    • Frontex, rempart de l’Europe forteresse !

      À la lecture de l’article paru sur le site de la RTBF du 21 septembre dernier[1], initialement titré “Ces héros du quotidien : les hommes et les femmes de Frontex” et rebaptisé quelques heures plus tard “Une journée avec les hommes et les femmes de Frontex”, nous aurions pu croire qu’il s’agissait d’une campagne de recrutement pour cet organisme européen. “Travailler pour Frontex, c’est agir pour la collectivité” ; “travailler pour Frontex, c’est se réaliser” ; “travailler pour Frontex, c’est faire partie de la grande Europe” semble affirmer ce papier. Mais sous des faux-semblants d’objectivité, cet article nous apparaît clairement partial étant donné l’omission de nombreuses informations.

      Melting-pot nauséabond

      Non, Frontex n’a pas un rôle émancipateur mais est un outil de répression et de blocage des arrivant.e.s et migrant.e.s avant qu’ils.elles ne touchent le sol de l’Union européenne ou de l’Espace Schengen.

      Or, les raisons d’être de Frontex – en réalité, celles que l’autrice a choisi de présenter – s’égrènent tout au long de l’article sous un jour positif. Nous y apprenons que les employé.e.s se dévouent pour nous protéger de la drogue, de la criminalité, des trafics en tout genre… mais aussi de l’immigration “illégale”. Il s’agirait donc de nuisances multiples agrégeables en un tout homogène. Autrement dit, les Européen.ne.s, honnêtes citoyen.ne.s, seraient menacé.e.s et l’objet du malheur viendrait, forcément, de l’extérieur. Cette idée prend appui sur une sémantique très orientée : “sécurité”, “protection”, “affrontement”, “terrain de chasse” (l’Europe serait-elle un terrain de chasse ?!)...

      Paresse intellectuelle et alimentation des peurs constituent donc le ton de cet article. À l’heure où l’extrême droite, véritable menace, gangrène toute l’Europe, nous ne pouvons nous y résoudre. Dès lors, nous formulons une série d’interrogations.

      Quels sont les effets possibles de ce type d’article ? A titre d’illustration, de la perception de menaces à l’armement des agents[2], il n’y a qu’un pas… que la Commission européenne a déjà franchi… et que l’article de la RTBF ne mentionne pas.

      Faut-il, une fois de plus, assimiler l’immigration à une menace ? Faut-il associer l’immigration au trafic de drogue ? À la criminalité ? Faut-il rappeler que les migrant.e.s sont en danger et que les politiques migratoires européennes tuent ? L’Europe, érigée en terre isolée, a déjà laissé périr 30 000 personnes depuis l’année 2000, rien qu’en Méditerranée (selon The Migrants files). Pourtant elles tentaient seulement de fuir des guerres, des traitements iniques et des conditions de vie indignes. Leurs espoirs se heurtent aux murs d’une Europe érigée en forteresse. Cela, l’article ne le mentionne pas non plus. Ne nous y trompons pas : ce ne sont pas “seulement” des personnes qui nous sont étrangères qui décèdent. Nous affirmons que chaque corps qui se noie, chaque vie arrachée s’accompagne de l’amenuisement de notre conscience et de nos valeurs. Voilà bien une menace réelle.

      Angles-morts de l’article

      Le fait que Frontex soit très fort critiqué par des associations ne figure pas non plus dans l’article. Les actions de ces “héros” (comme le titrait au départ la journaliste rédactrice) sont dénoncées par de nombreuses associations (Agir pour la Paix, CNCD, Migreurop, à titre d’illustrations). Beaucoup de critiques venant du monde journalistique ont été faites concernant le manque de transparence de l’agence de contrôle des frontières. Le Guardian, notamment, avait déclaré que Frontex se rendait coupable de violations des droits fondamentaux. Par ailleurs, le journaliste allemand Arne Semsrott et l’espagnole Luisa Izuzquiza, une militante du droit à l’information avaient déposé plainte contre Frontex pour manque de transparence. Nous aurions aimé a minima une solidarité journalistique de la part de la RTBF[3]

      L’article omet également de mentionner ce que Frontex nous coûte. Cette agence, garante de l’Europe forteresse, a investi, depuis l’an 2000… 15 milliards d’euros pour barricader ses frontières qui n’ont pour effet que de garder les personnes migrantes prisonnières à l’intérieur de nos murs physiques et numériques (fichages et contrôles) en complément d’une politique de l’externalisation (Turquie, Maghreb, Libye, collaborant ainsi avec des régimes autoritaires sinon des dictatures) qui représentent un marché lucratif, impossible à mener sans des politiques sécuritaires (et corollaires, racistes).

      Frontex et ses dérives

      Ce sont bien les mesures de nos gouvernements démocratiques qui ont préféré investir des milliards d’euros dans des moyens issus de la haute technologie sécuritaire prônée par Frontex, distillant le principe de la libre circulation des capitaux, au détriment de la sécurité des personnes qui sont forcées de fuir la misère, les changements climatiques ou les dictatures.

      Ainsi, durant la récente période des “vacances”, des centaines de personnes sont mortes en mer, contraintes de fuir dans des embarcations de fortune, faute d’obtenir des moyens légaux de quitter des terres hostiles. Les avions et bateaux de Frontex ont empêché les missions de sauvetage des ONG en criminalisant leurs actions, en les poursuivant pour délit de solidarité ou en les accusant de trafic d’êtres humains. Notons que cette épée de Damoclès poursuit également les hébergeur.se.s aujourd’hui.

      Questionner la déontologie journalistique

      Cet article s’avère donc problématique, et ce, à bien des égards. En plus des questions soulevées précédemment, nous questionnons l’aspect déontologique. La mission du journalisme est d’informer et non de faire du publi-reportage. Faut-il le rappeler ?

      Certes, protéger un territoire des trafics en tout genre, comme la criminalité, est indispensable. Néanmoins, Frontex, comme nous l’avons démontré, c’est avant tout le rempart de l’Europe forteresse.

      Ce reportage unilatéral, partiel et partial est-il digne de l’ambition de la RTBF qui est d’offrir à ses auditeur.trice.s une information de qualité et de référence ? On attend mieux du service public.

      Aucun des médias principaux de la presse écrite de Belgique francophone n’a accepté positivement notre carte blanche selon nos conditions, à savoir qu’elle soit l’objet d’un article à part entière.

      Conclusion

      Le contrôle des murs aux frontières de l’Europe est le problème et non la solution. La hiérarchisation entre les personnes, la catégorisation entre celles et ceux qui ont le droit d’avoir des droits ou non sur le sol européen doit cesser. Les personnes qui risquent leur vie aux frontières doivent être sauvées et accueillies dignement. La solidarité est la seule solution pour faire face aux défis climatiques, démocratiques et économiques à venir.

      https://blogs.mediapart.fr/collectif-citoyen-belge/blog/270919/frontex-rempart-de-l-europe-forteresse
      #journalisme #presse #fact-checking
      ping @karine4

    • Le #Maroc et Frontex renforcent leur coopération

      La capitale polonaise a abrité, jeudi, une séance de travail entre le Maroc et l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex) axée sur les moyens de renforcer la coopération et la coordination entre les deux parties afin de relever les défis de la migration clandestine et de la criminalité transfrontalière.
      Lors de cette réunion dirigée par le wali, directeur de la migration et de la surveillance des frontières au ministère de l’Intérieur, Khalid Zerouali, et le directeur exécutif de l’Agence Frontex, Fabrice Leggeri, les débats ont porté sur le rôle central du Maroc dans la lutte contre la migration clandestine et la criminalité transfrontalière, l’évaluation des mécanismes de coordination et les différents aspects de la coopération.
      Dans une déclaration à la MAP, Khalid Zerouali a indiqué que la séance de travail, à laquelle ont participé une importante délégation marocaine et l’ambassadeur du Maroc en Pologne, Abderrahim Atmoun, a été l’occasion de jeter la lumière sur le rôle important et les grands efforts déployés par le Royaume en matière de lutte contre l’immigration clandestine et les autres phénomènes transfrontaliers, et sur la contribution importante du Maroc à la stabilité et à la sécurité régionale et internationale.
      Il a également souligné que les responsables de l’Agence Frontex ont salué les approches pratiques, efficaces et pluridimensionnelles adoptées par le Maroc pour faire face aux flux migratoires sur Hautes orientations de Sa Majesté le Roi Mohammed VI, et le souci du Royaume à consacrer ces efforts non seulement pour lutter contre ce phénomène mais également pour le traiter dans ses dimensions humaines et suivant des méthodes proactives dont l’efficacité a été prouvée.
      Le Maroc a exprimé sa disposition permanente à contribuer à la lutte contre ces phénomènes négatifs, a affirmé Khalid Zerouali, appelant à concevoir de nouvelles solutions pour accompagner le développement de ces phénomènes qui se compliquent de plus en plus à cause des conditions sociales et sécuritaires prévalant dans certaines régions du continent africain.
      Il a, en outre, rappelé que le Maroc ne s’est pas limité à traiter la question de l’immigration illégale en se basant seulement sur une approche purement sécuritaire mais il a également contribué dans sa position de leader à mettre en place une institution chargée d’évaluer, d’analyser et d’étudier les causes de ce genre de migration suivant des approches pratiques afin de trouver les solutions appropriées, et ce rôle a été confié à l’Observatoire africain de la migration basé à Rabat, soulignant l’importance de la Conférence intergouvernementale sur le Pacte mondial pour des migrations sûres, ordonnées et régulières, tenue à Marrakech et qui a constitué un espace pour innover des solutions concrètes pour l’établissement de partenariats à tous les niveaux.
      Pour leur part, les responsables de l’agence européenne, dont le siège est à Varsovie, ont relevé que la coordination et la coopération institutionnelle entre Frontex et le Maroc constituent un modèle et une référence dans la coopération entre les pays du Nord et du Sud pour lutter contre la migration irrégulière et mettre à profit les expériences accumulées par le Maroc pour traiter les questions sécuritaires et faire face aux défis posés par les flux migratoires, la criminalité transfrontalière et le terrorisme.
      Ils ont également souligné que la feuille de route claire et les approches du Maroc ont prouvé leur efficacité et leur efficience pour transcender les entraves en rapport avec la migration clandestine.
      La délégation marocaine a participé à Varsovie à la 24ème Conférence internationale sur la sécurité des frontières, organisée cette semaine par Frontex en présence des représentants de plus de 100 pays et 300 experts internationaux, dont les représentants de plusieurs organisations et institutions internationales œuvrant dans le domaine de la sécurité des frontières.
      La conférence a examiné plusieurs questions portant notamment sur les mécanismes permettant de prévenir, de faire respecter et de lutter contre les problèmes mondiaux liés à la sécurité des frontières, tels le trafic des êtres humains et la falsification des documents et des pièces d’identité.

      Fabrice Leggeri : Le Royaume, un partenaire clé dans la lutte contre la migration clandestine

      Le Maroc est « un partenaire clé, modèle et fiable » dans la coopération avec l’Union européenne et les différents pays du monde dans la lutte contre la migration clandestine et d’autres phénomènes connexes, a affirmé jeudi à Varsovie en Pologne le directeur exécutif de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex), Fabrice Leggeri.
      Le partenariat avec le Maroc a toujours permis de trouver de nombreuses solutions pour lutter contre le phénomène de la migration illégale et ce grâce aux « bonnes expériences » accumulées par le Maroc en matière de lutte contre les phénomènes négatifs, notamment la migration clandestine, la criminalité organisée transfrontalière et le terrorisme, a-t-il souligné dans une déclaration à la MAP en marge d’une séance de travail tenue à Varsovie entre le Maroc et l’Agence Frontex axée sur les questions de migration et de coopération bilatérale.
      Fabrice Leggeri a, par ailleurs, indiqué que cette réunion a été « fructueuse et riche » au niveau des débats constructifs et francs entre les deux parties, et aussi au niveau des propositions avancées par le Maroc en vue de renforcer davantage la coopération bilatérale, ajoutant que la séance de travail a aussi permis d’aborder d’autres questions d’intérêt commun notamment la technologie d’analyse des risques et d’innovation, la coopération entre les garde-côtes et les institutions de sécurité compétentes.
      Le responsable européen a, en outre, souligné que le dialogue et la coopération avec le Maroc ont été toujours une priorité pour l’Union européenne et l’Agence Frontex.

      https://www.libe.ma/Le-Maroc-et-Frontex-renforcent-leur-cooperation_a113092.html

  • Accord de Malte

    Nelle bozze dell’accordo di Malta si chiede a chi fa soccorso in mare di «conformarsi alle istruzioni dei competenti Centri di Coordinamento del Soccorso», e di «non ostruire» le operazioni della «Guardia costiera libica».

    Primo: la formula vi suona già sentita?

    Già, quando l’anno scorso il governo italiano negoziò fino a tarda notte al Consiglio europeo di giugno, le conclusioni contenevano queste parole:

    «Le imbarcazioni (...) non devono ostruire le operazioni della Guardia costiera libica».

    Nella bozza dell’accordo di Malta si va persino oltre, perché alle imbarcazioni di ricerca e soccorso si chiedono due cose:

    (1) non ostruite la Guardia costiera libica;
    (2) conformatevi alle richieste dello RCC competente.

    Quanto all’ostruzione delle operazioni della Guardia costiera libica, non si ricorda un caso recente.

    Al contrario, è generalmente la Guardia costiera libica a usare comportamenti aggressivi.
    @VITAnonprofit metteva in fila un po’ di fatti nel 2017.

    http://www.vita.it/it/article/2017/11/08/mediterraneo-tutti-gli-attacchi-della-guardia-costiera-libica-alle-ong/145042

    Ovviamente, non è che la Guardia costiera libica sia sempre aggressiva. C’è chi fa il suo lavoro in maniera professionale, chi no.

    Il punto è un altro: spesso non sappiamo chi operi dove. Come spiega @lmisculin, la Guardia costiera libica non esiste: https://www.ilpost.it/2017/08/26/guardia-costiera-libica

    Passando al «conformarsi alle istruzioni dei competenti Centri di Coordinamento del Soccorso», il discorso diventa ancora più spinoso.

    Si arriva rapidamente a un paradosso clamoroso, consentito da un diritto internazionale che ha più buchi di un groviera.

    Questo: la Libia è l’unico paese al mondo ad avere costituito un proprio Centro di Coordinamento del Soccorso (a giugno 2018) e, allo stesso tempo, a non essere considerato da @Refugees
    un «luogo sicuro» per lo sbarco delle persone soccorse.

    Pensateci un attimo: se soccorro qualcuno in quel tratto di mare amplissimo che è la zona #SAR libica, il diritto internazionale mi obbliga a contattare lo RCC libico.

    Ma lo stesso diritto internazionale obbliga lo #RCC libico a NON INDICARE SÉ STESSO come luogo di sbarco!

    Cosa succede di solito, invece? Prendiamo #OceanViking.

    Il 17 settembre dopo un salvataggio, manda un’email allo RCC libico chiedendo un «luogo sicuro» di sbarco.

    Dopo diverse ore, dalla Libia rispondono: perfetto, venite da noi, ad al Khums.

    Sarebbe un respingimento.

    Non è un evento raro, anzi, accade costantemente: se e quando lo RCC libico risponde, indica un suo porto come «luogo sicuro».

    Da #OceanViking rispondono che non si può fare. Certo che no: sbarcare le persone in Libia sarebbe un respingimento.

    Notate l’estrema pazienza.

    In questa situazione di estrema incertezza, chiedere a chi effettua soccorsi nel tratto di mare in cui il coordinamento del soccorso è tecnicamente di competenza libica di «conformarsi» senza condizioni alle richieste di Tripoli rischia di legittimare i respingimenti.

    CONCLUSIONE /1.

    «Non ostruire» le operazioni della «Guardia costiera libica» è una richiesta corretta solo se molto qualificata.

    Dipende da molte condizioni, prima tra tutte di quale Guardia costiera libica stiamo parlando, e da come si stia comportando.

    CONCLUSIONE /2.

    Con il suo linguaggio tranchant, la bozza di Malta chiede a chi effettua un soccorso in zona SAR libica di «conformarsi» alle richieste libiche.

    Senza specificare altro, gli Stati europei stanno implicitamente chiedendo alle Ong di effettuare respingimenti.

    source : https://twitter.com/emmevilla/status/1177518357773307904?s=19
    #Matteo_Villa
    #accord_de_Malte #sauvetage #asile #migrations #réfugiés #frontières #Méditerranée #gardes_côtes_libyens #Méditerranée #port_sûr #pays_sûr #mer_Méditerranée

    ping @isskein

  • #Soudan : les #milices #Janjawid garde-frontières ou #passeurs ?

    Dans un communiqué, les #Forces_de_soutien_rapide (#RSF), groupe paramilitaire servant de “garde-frontières” au Soudan, ont annoncé avoir arrêté 138 migrants africains, jeudi 19 septembre. Pour le spécialiste Jérôme Tubiana, cette annonce fait partie d’une stratégie : le Soudan cherche à attirer l’attention de l’Union européenne qui a arrêté de lui verser des fonds.

    Les Forces de soutien rapide (RSF), une organisation paramilitaire soudanaise, ont annoncé avoir arrêté, jeudi 19 septembre, 138 Africains qui souhaitaient pénétrer “illégalement” en Libye. Parmi eux, se trouvaient des dizaines de Soudanais mais aussi des Tchadiens et des Éthiopiens.

    "Le 19 septembre, une patrouille des RSF a arrêté 138 personnes de différentes nationalités qui essayaient de traverser illégalement la frontière avec la Libye", précise le communiqué.

    Une partie de ces migrants ont été incarcérés dans la zone désertique de #Gouz_Abudloaa, situé environ à 100 km au nord de Khartoum, comme ont pu le constater des journalistes escortés sur place par des RSF, mercredi 25 septembre. Dans le communiqué, les RSF assurent également avoir saisi six véhicules appartenant à des passeurs libyens chargés du transit des migrants.

    Le même jour, le Soudan a décidé de fermer ses #frontières avec la Libye et la Centrafrique pour des raisons de sécurité. Dans les faits, le pays souhaite mettre fin aux départs de rebelles soudanais vers la Libye, qui sont parfois rejoints par des migrants.

    Créées en 2013 par l’ex-président soudanais, Omar el-Béchir, les RSF assurent le maintien de l’ordre dans le pays. Trois ans après leur création, elles ont été dotées d’une mission supplémentaire : empêcher les migrants et les rebelles de franchir les frontières nationales. C’est ce que montrent notamment des chercheurs dans un rapport publié par un think tank néerlandais, Clingendael, publié en septembre 2018.

    Les Forces de soutien rapide, véritables gardes-frontières du Soudan

    Si le document pointe une politique soudanaise de surveillance des frontières "en grande partie assignée aux ‘forces de soutien rapide’ (RSF)", derrière cette appellation officielle, se cache une réalité plus sombre. Connue localement sous le nom de Janjawid, cette milice fait notamment l’objet d’une enquête du Conseil militaire de transition, qui dirige le Soudan depuis la destitution, le 11 avril, du président Omar el-Béchir.

    D’après les conclusions de l’enquête, rendues publiques samedi 27 juillet, les RSF auraient frappé et tiré sur des manifestants lors d’un sit-in, le 3 juin, à Khartoum, alors qu’ils étaient venus protester contre la politique d’Omar el-Béchir. Si d’après un groupe de médecins, 127 manifestants ont été tués, le commission d’enquête compte, de son côté, 87 morts. Cette répression violente avait provoqué, dans la foulée, un levé de boucliers à l’échelle internationale.

    Un groupe armé qui a bénéficié de fonds européens

    Certains RSF sont aussi accusés d’avoir commis des exactions dans la région du Darfour, à l’ouest du Soudan. Le rapport précise pourtant que, grâce aux fonds versés par l’Union européenne, ils “sont mieux équipés, mieux financés et déployés non seulement au Darfour, mais partout au Soudan". D’après ce document, "160 millions d’euros ont été alloués au Soudan" entre 2016 et 2017. Et, une partie de cet argent a été versé par Khartoum aux RSF. Leur chef, Hemeti, est d’ailleurs officiellement le numéro 2 du Conseil militaire de transition.

    Fin juillet, l’Union européenne a toutefois annoncé le gel de ses financements au Soudan. "L’Union européenne a pris peur. Elle a considéré que cette coopération avec le Soudan était mauvaise pour son image car, depuis plusieurs années, elle finançait un régime très violent envers les migrants et les civils", explique Jérôme Tubiana, chercheur spécialiste du Soudan et co-auteur du rapport néerlandais.

    Non seulement les passeurs demandent de l’argent aux migrants mais ce ne sont pas les seuls à leur en réclamer. "La milice Janjawid taxe les migrants, elle joue à un double-jeu", dénonce sur RFI, Clotilde Warin, journaliste chercheuse et co-auteure du rapport. "Les miliciens […] qui connaissent très bien la zone frontalière entre le Soudan, le Tchad et le Niger […] deviennent eux-mêmes des passeurs, ils utilisent les voitures de l’armée soudanaise, le fuel de l’armée soudanaise. C’est un trafic très organisé."

    "Les RSF profitent de leur contrôle de la route migratoire pour vendre les migrants à des trafiquants libyens", ajoute, de son côté, Jérôme Tubiana, qui estime que ces miliciens s’enrichissent plus sur le dos des migrants qu’ils ne les arrêtent.

    Annoncer l’arrestation d’un convoi est donc un moyen, pour les RSF, de faire du chantage à l’Europe. "Ils essayent de lui dire que si elle veut moins de migrants sur son territoire, elle doit apporter son soutien aux RSF car, ils sont les seuls à connaître cette région dangereuse", précise Jérôme Tubiana, ajoutant qu’Hemeti, fragilisé, est en recherche de soutiens politiques.

    Un membre des RSF, interrogé dans le cadre de l’enquête néerlandaise, reconnaît lui-même le rôle actif de la milice dans le trafic des migrants. "De temps en temps, nous interceptons des migrants et nous les transférons à Khartoum, afin de montrer aux autorités que nous faisons le travail. Nous ne sommes pas censés prendre l’argent des migrants, [nous ne sommes pas censés] les laisser s’échapper ou les emmener en Libye… Mais la réalité est assez différente…", lit-on dans le rapport.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/19795/soudan-les-milices-janjawid-garde-frontieres-ou-passeurs?ref=tw_i
    #gardes-frontière #para-militaires #paramilitaires #fermeture_des_frontières #maintien_de_l'ordre #contrôles_frontaliers #surveillance_des_frontières #fonds_européen #Hemeti #armée #trafic_d'êtres_humains #armée_soudanaise #externalisation #externalisation_des_frontières

    ping @karine4 @isskein @pascaline

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message804171

    • Une nouvelle de juillet 2019...

      EU suspends migration control projects in Sudan amid repression fears

      The EU has suspended projects targeting illegal migration in Sudan. The move comes amid fears they might have aided security forces responsible for violently repressing peaceful protests in the country, DW has learned.

      An EU spokesperson has confirmed to DW that a German-led project that organizes the provision of training and equipment to Sudanese border guards and police was “halted” in mid-March, while an EU-funded intelligence center in the capital, Khartoum, has been “on hold” since June. The EU made no public announcements at the time.

      The initiatives were paid for from a €4.5 billion ($5 billion) EU fund for measures in Africa to control migration and address its root causes, to which Germany has contributed over €160 million. Sudan is commonly part of migration routes for people aiming to reach Europe from across Africa.

      Critics had raised concerns that working with the Sudanese government on border management could embolden repressive state forces, not least the notorious Rapid Support Forces (RSF) militia, which is accused by Amnesty International of war crimes in Sudan’s Darfur region. An EU summary of the project noted that there was a risk that resources could be “diverted for repressive aims.”

      Support for police

      A wave of protest swept the country in December, with demonstrators calling for the ouster of autocratic President Omar al-Bashir. Once Bashir was deposed in April, a transitional military council, which includes the commander of the RSF as deputy leader, sought to restore order. Among various incidents of repression, the militia was blamed for a massacre on June 3 in which 128 protesters were reportedly killed.

      While the EU maintains it has provided neither funding nor equipment to the RSF, there is no dispute that Sudanese police, who also stand accused of brutally repressing the protests, received training under the programs.

      Dr. Lutz Oette, a human rights expert at the School of Oriental and African Studies (SOAS), told DW: “The suspension is the logical outcome of the change in circumstances but it exposes the flawed assumptions of the process as far as working with Sudan is concerned.”

      Oette said continuing to work with the Sudanese government would have been incompatible with the European Union’s positions on human rights, and counterproductive to the goal of tackling the root causes of migration.

      Coordination center

      The intelligence center, known as the Regional Operational Center in Khartoum (ROCK), was to allow the security forces of nine countries in the Horn of Africa to share intelligence about human trafficking and people smuggling networks.

      A spokesperson for the European Commission told DW the coordination center had been suspended since June “until the political/security situation is cleared,” with some of its staff temporarily relocated to Nairobi, Kenya. Training and some other activities under the Better Migration Management (BMM) program were suspended in mid-March “because they require the involvement of government counterparts to be carried out.” The EU declined to say whether the risk of support being provided to repressive forces had contributed to the decision.

      The spokesperson said other EU activities that provide help to vulnerable people in the country were continuing.

      An official EU document dated December 2015 noted the risk that the provision of equipment and training to security services and border guards could be “diverted for repressive aims” or subject to “criticism by NGOs and civil society for engaging with repressive governments on migration (particularly in Eritrea and Sudan).”

      ’Regular monitoring’

      The BMM program is being carried out by a coalition of EU states — France, Germany, Italy, the Netherlands, the United Kingdom — and aid agencies led by the German development agency GIZ. It includes projects in 11 African countries under the auspices of the “Khartoum process,” an international cooperation initiative targeting illegal migration.

      The ROCK intelligence center, which an EU document shows was planned to be situated within a Sudanese police training facility, was being run by the French state-owned security company Civipol.

      The EU spokesperson said, “Sudan does not benefit from any direct EU financial support. No EU funding is decentralized or channeled through the Sudanese government.”

      “All EU-funded activities in Sudan are implemented by EU member states development agencies, the UN, international organizations and NGOs, who are closely scrutinized through strict and regular monitoring during projects’ implementation,” the spokesperson added.

      A spokesperson for GIZ said: “The participant lists of BMM’s training courses are closely coordinated with the [Sudanese government] National Committee for Combating Human Trafficking (NCCHT) to prevent RSF militiamen taking part in training activities.”

      The GIZ spokesperson gave a different explanation for the suspension to that of the EU, saying the program had been stopped “in order not to jeopardize the safety of [GIZ] employees in the country.” The spokesperson added: “Activities in the field of policy harmonization and capacity building have slowly restarted.”

      https://www.dw.com/en/eu-suspends-migration-control-projects-in-sudan-amid-repression-fears/a-49701408

      #police #Regional_Operational_Center_in_Khartoum (#ROCK) #Better_Migration_Management (#BMM) #processus_de_Khartoum

      Et ce subtil lien entre migrations et #développement :

      Sudan does not benefit from any direct EU financial support. No EU funding is decentralized or channeled through the Sudanese government.

      “All EU-funded activities in Sudan are implemented by EU member states development agencies, the UN, international organizations and NGOs, who are closely scrutinized through strict and regular monitoring during projects’ implementation,” the spokesperson added.

      #GIZ

      Ajouté à la métaliste #migrations et développement :
      https://seenthis.net/messages/733358

  • A #Split, l’Europe tente de former les #gardes-côtes_libyens

    La mission militaire européenne #Sophia a accepté, pour la première fois et dans des conditions strictes, d’ouvrir à un journaliste l’une des formations qu’elle dispense depuis 2016.

    « Vous ne pourrez pas rester au-delà d’une matinée » ; « Tout sujet politique doit être évité » ; « Vous ne pourrez pas interviewer les élèves »… Après plusieurs demandes, la mission militaire européenne Sophia a accepté, pour la première fois et dans des conditions strictes, d’ouvrir à un journaliste l’une des formations qu’elle dispense depuis 2016 à des gardes-côtes et d’autres membres de la #marine_libyenne.

    En ce mois de septembre, sur la base navale de Split (#Croatie), onze militaires libyens participent à un cours avancé de #plongée_sous-marine, dispensé par d’anciens membres des forces spéciales croates. Dans une salle de classe, on les retrouve en tenue, chemises bleues, pantalons marine, mocassins noirs et casquettes neuves sur lesquelles a été brodé au fil jaune, en anglais, « #Libyan_Navy ». Ils s’appellent Saïd, Aymen, Tabal… La plupart sont sous-officiers et ont entre 20 et 35 ans. Au tableau, un instructeur, traduit en arabe par un interprète, déroule le programme de la journée.

    Volet controversé de l’aide apportée par l’Union européenne (UE) à la Libye pour lutter contre l’immigration clandestine, le soutien aux gardes-côtes a accompagné le désengagement des secours venus des Etats membres en Méditerranée centrale et le transfert à la Libye de la coordination des sauvetages au large de ses côtes, autrefois assumée par l’Italie. L’opération Sophia avait été lancée en 2015 après une série de naufrages afin de « démanteler les modèles économiques des passeurs ». A la demande de Rome, elle a, par la suite, été privée de ses navires pour se concentrer sur la surveillance aérienne.


    https://www.lemonde.fr/international/article/2019/09/24/a-split-l-europe-tente-de-former-les-gardes-cotes-libyens_6012777_3210.html
    #formation #Frontex #asile #migrations #réfugiés #contrôles_frontaliers #opération_Sophia #operation_Sophia

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    Ajouté à la métaiste sur les formations des gardes-côtes lybiens sur le territoire européen :
    https://seenthis.net/messages/938454

    ping @karine4