• #Gilets_Jaunes : « c’est le plus gros corpus d’#expression_citoyenne qu’on ait analysé en France et peut-être dans le monde », que sont devenus les cahiers de #doléances ?

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/paris-ile-de-france/paris/gilets-jaunes-c-est-le-plus-gros-corpus-d-expression-ci

    Un consortium est mis en place et Gilles Proriol fait partie des forces vives mises à contribution. Une aventure unique pour l’expert en analyse : « C’est le plus gros corpus d’expression citoyenne qu’on ait analysé en France, probablement en Europe et peut-être dans le monde ». Un double challenge puisque l’équipe a dû analyser tous les cahiers « en un temps record ». Trois semaines ont été nécessaires pour numériser et étudier les textes des citoyens avant le grand débat national : « Le gouvernement voulait des premiers résultats très rapidement pour pouvoir communiquer dessus ».

    Ce condensé du regard français a même surpris Gilles Proriol de par sa richesse d’expression et sa diversité d’opinions : « Je pense que la plupart des médias, des élus, pensent que la population n’a pas grand-chose à dire, nous, on a démontré que c’était faux. C’est scientifiquement faux ». De ce corpus, l’équipe a réussi à sortir plus de 700 propositions différentes, en notant que « les gens parlent assez peu d’immigration quand on ne leur pose pas directement la question ».

    • Badinter, un type qui sait se faire sa publicité.

      En 1966, il avait épousé en secondes noces Élisabeth Bleustein-Blanchet, fille de Marcel Bleustein-Blanchet, fondateur de Publicis.
      Des euros par centaines de millions.

      S’il n’avait pas supprimé la peine de mort, un ou une autre s’en serait chargé.

    • Rappelons que c’est François Mittérrand qui voulait l’abolition de la peine de mort.

      Homme politique Badinter, garde des Sceaux, président du Conseil constitutionnel, sénateur, passa son existence à défendre les intérêts de la grande bourgeoisie à laquelle il appartenait.
      Se plaçant systématiquement du côté de sa classe, il s’opposera toujours aux mesures sociales et politiques venues de la gauche.
      Dès 1981 il s’opposa en Conseil des ministres aux nationalisations pourtant prévues par le programme du nouveau président. Puis fut le comptable scrupuleux de l’indemnisation des actionnaires des sociétés concernées.

      On ajoutera sans allonger la liste son aveu d’avoir fait du Conseil constitutionnel, un bouclier contre l’expression souveraine du parlement. Sans oublier son aversion pour les couches populaires dont témoignèrent ses prises de position au moment de la crise des #gilets_jaunes.

  • Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza

    Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.

    Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.

    Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.

    I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.

    “L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.

    Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.

    In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30

    Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.

    Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.

    Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.

    Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)

    “Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.

    Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.

    Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.

    https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
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  • Top du tas de #fumier, les cons qui croient que le monde ne va pas tourner sans eux

    "Anti-écolo, anti-FNSEA : la #Coordination_rurale de mon cul, le syndicat qui attise la colère agricole

    Courtisée par l’extrême droite, la Co. ru. est un des acteurs de la mobilisation en cours. Elle se bat contre la mondialisation et les mesures écologiques, avec des méthodes parfois violentes. Les appels à bloquer Paris lundi se multiplient. (...)) #OMG

    Vous étiez où, les #culs_terreux, avec les #Gilets_Jaunes ?

     :-D :-D :-D Au boulot, les #bouseux #politique #agricole #France #souveraineté #nombril #seenthis #vangauguin

    https://www.mediapart.fr/journal/politique/280124/anti-ecolo-anti-fnsea-la-coordination-rurale-le-syndicat-qui-attise-la-col

  • Si les Gilets jaunes n’ont certes pas « gagné », peut-on dire qu’ils ont « perdu »  ? – niet ! éditions
    https://niet-editions.fr/blog/si-les-gilets-jaunes-n-ont-certes-pas-gagne

    « Remarques conclusives », dernier chapitre de La révolte des Gilets jaunes.

    Il est temps de récapituler et d’essayer d’extraire de cette étonnante révolte quelques éléments d’analyse. Nous n’avons pas la prétention d’émettre une « théorie des Gilets jaunes », seulement de tirer quelques fils.

    En l’espace d’une vingtaine de jours, entre fin novembre et début décembre 2018, la France a changé de visage. Toutes les villes, grandes et petites, toutes les zones dites « périurbaines » ont basculé dans un désordre imprévisible. Des milliers de gens qui n’avaient jamais manifesté ou contesté leur sort ont découvert l’immensité partagée de la dépossession et le vertige d’une révolte qui a surgi face à la nudité policière du pouvoir. Des populations habituellement cloisonnées se sont côtoyées dans l’affrontement, justifiant des actes injustifiables au regard du droit. Les blocages économiques, les saccages des centres-villes, le rejet des « politiques » ont mis – presque – tout le monde d’accord. Des actions directes se répandaient comme une traînée de poudre. Les chants du samedi se diffusaient jusque dans les cours de récréation, où les écoliers jouaient à Gilets jaunes contre CRS, la colère fracturait le consensus médiatique pour produire des éclats de vérité réduisant à néant la faconde des journalistes et du personnel politique. Le mouvement, s’emparant d’individus aux identités atomisées, produisait en quelques jours des formes de communauté dont la richesse révélait par contraste la pauvreté existentielle des rapports sociaux du capitalisme du XXIe siècle.

    Le 24 novembre, Sylvie découvre, avec quatre amies, sa première manifestation sur les Champs-Élysées, pour l’Acte II. Autour d’elle, certains montent des barricades, d’autres détachent des pavés. « Je n’ai rien fait, mais étonnamment j’ai aimé ça », souffle-t-elle. Elle pense à Mai 68, à la France « qui se réveille ». « Je me suis dit : On va gagner ! » Deux jours plus tard, elle s’était « équipée ».

    Le Monde, 26 juillet 2019.

    En décembre, l’ordre public, reflet de ces rapports sociaux, fut sérieusement secoué. On a appris plus tard que des policiers avaient reçu la consigne de se réfugier en dernière instance dans les jardins de l’Élysée. On a vu, dans les quartiers généraux de la bourgeoisie, des gens habitués à dominer apprendre soudain à subir, médusés de voir les prolétaires s’organiser eux aussi, et selon des règles peu convenables. On a vu, l’espace d’un instant, littéralement, la peur changer de camp. Une partie du monde occidental avait les yeux fixés sur la France et ses symboles éternels léchés par les flammes et noyés dans la fumée. Le président du MEDEF s’est – paraît-il – amusé rétrospectivement des centaines d’appels reçus de patrons effrayés prêts à tout lâcher plutôt que de passer sur le billot.

    « À la rentrée, la maîtresse a demandé à mon fils ce que leurs parents faisaient comme métier. Il a répondu : “Mon père est prisonnier politique Gilet jaune !” »

    Abdelaziz, Bastamag.net, 16 janvier 2020.

    Mais produire un retour sur un mouvement pour tenter d’en dégager les percées et les limites, c’est aussi prendre acte du fait qu’il a buté sur des forces qui l’ont tenu en échec. Dans la dynamique de recul, pourtant, cet échec est refusé par les Gilets jaunes qui, contre toute évidence, soutiennent samedi après samedi qu’ils sont toujours plus nombreux. C’est que, pour eux, rien ne sera plus comme avant. Pour eux, les appels au respect de la république et de la démocratie parleront toujours le langage du ciel, car ce qu’ils disent avoir mis en jeu, c’est leur existence concrète.

    « Vous n’obtiendrez rien, Mademoiselle, vous feriez mieux de rentrer chez vous », suggère un homme dans une berline. « Je n’attends rien de spécial. Ici, on fait les choses pour soi : j’ai déjà gagné. »

    Le Monde, 15 décembre 2018.

    Peuple, classes, contradictions

    Le nom sous lequel une révolution s’introduit n’est jamais celui qu’elle portera sur ses bannières le jour du triomphe. Pour s’assurer des chances de succès, les mouvements révolutionnaires sont forcés, dans la société moderne, d’emprunter leurs couleurs, dès l’abord, aux éléments du peuple qui, tout en s’opposant au gouvernement existant, vivent en totale harmonie avec la société existante. En un mot, les révolutions doivent obtenir leur billet d’entrée pour la scène officielle des mains des classes dirigeantes elles-mêmes.

    Karl Marx, New York Tribune, 27 juillet 1857.

    Nous l’avons montré, le « peuple  » qui a surgi sur le devant de la scène le 17 novembre, nourri d’un impressionnant sentiment de légitimité, semant le désordre, déferlant sur les Champs-Élysées comme dans toutes les sous-préfectures, a rapidement vu son unité se fissurer. Cette entité fictive n’a pas résisté longtemps à l’évidence suivante : il y a en son sein des gens qui sont pauvres et d’autres qui le sont moins. Ceux-ci s’accommodent globalement de la manière dont vont les choses, et les autres non. En somme, ce « peuple » en apparence homogène, tel qu’il se manifeste autour des premiers feux de palettes sur les ronds-points, soudé par le rejet des riches et l’opposition aux « puissants », voit son homogénéité se dissoudre dès lors que sont mis en jeu les intérêts divergents des segments qui le composent.

    Ce peuple, qui est-il  ? Que veut-il  ? Répondre à cette question, c’est nier la réalité même du terme : la société, chacun le sait bien au fond, est traversée d’oppositions et structurée en classes sociales. Le fétiche « peuple » met en tension ces divisions sociales, les recouvre mais en aucun cas ne les abolit.

    #livre #Gilets_jaunes #peuple #classes

  • « Les magnifiques sauvages » : documentaire sur les #Gilets_jaunes de Cerveaux non Disponibles !
    https://ricochets.cc/Les-magnifiques-sauvages-documentaire-sur-les-gilets-jaunes-de-Cerveaux-no

    🎬 « LES MAGNIFIQUES SAUVAGES » : LE DOCUMENTAIRE SUR LES GILETS JAUNES Regardez, partagez, discutez du nouveau documentaire de Cerveaux non disponibles sur le soulèvement des Gilets Jaunes, qui sort pour le 5e anniversaire du mouvement. « Que retiendra-t-on des Gilets Jaunes dans quelques décennies ? Si l’on laisse le pouvoir politico-médiatique décider, les gilets jaunes resteront dans l’histoire comme un mouvement de sauvages ayant tout détruit pour pouvoir rouler moins cher. Un épiphénomène, certes (...) #Les_Articles

    / Révoltes, insurrections, débordements..., Gilets jaunes

    #Révoltes,_insurrections,_débordements...
    https://ricochets.cc/IMG/distant/html/nEHYqyQJxu0-0580-4d498df.html

  • Recours aux armes « non létales » : 2022 excellent millésime | Paul Rocher (sous X @PaulRocher10) via @colporteur | 05.11.23

    https://twitter.com/PaulRocher10/status/1721262476933706174

    Près de 12 000 tirs policiers sur la population civile en 2022, soit 33 tirs par jour. Voilà ce que montrent les derniers chiffres sur le recours aux armes « non létales ». Hormis les années des #giletsjaunes (2018/19), c’est un nouveau record.

    Au-delà du nombre élevé de tirs sur 1 année, la tendance est frappante. En 2022, les policiers ont tiré 80 fois plus qu’en 2009. Pourtant, ni les manifestants ni la population générale ne sont devenus plus violents. La hausse des violences est celle des #violencespolicières

    Ces données du min. de l’intérieur n’affichent pas les tirs de grenades (assourdissantes, lacrymogène) et ignorent les coups de matraque. Même pour les armes comptabilisées, on assiste à une sous-déclaration. Le niveau réel des #violencespolicières est donc encore plus élevé

    Souvent on entend que les armes non létales seraient une alternative douce aux armes à feu. Pourtant, les derniers chiffres confirment la tendance à la hausse des tirs à l’arme à feu. Pas d’effet de substitution, mais un effet d’amplification de la violence

    Ces derniers temps, on entend beaucoup parler de « décivilisation ». Si elle existe, ces chiffres montrent encore une fois qu’elle ne vient pas de la population . Les données disponibles (⬇️) attestent qu’elle se tient sage, contrairement à la police

    https://www.acatfrance.fr/rapport/lordre-a-quel-prix

  • #Taux_de_change : retour sur la politique israélienne des #otages

    Eyal Weizman, fondateur du collectif Forensic Architecture, revient sur la manière dont les #civils installés autour de #Gaza ont servi de « #mur_vivant » lors des massacres du 7 octobre perpétrés par le #Hamas, et retrace l’évolution de la politique israélienne à l’égard des otages.

    Au printemps 1956, huit ans après la Nakba (un terme arabe qui désigne « la catastrophe » ou « le désastre » que fut pour les Palestiniens la création d’Israël), un groupe de fedayins palestiniens franchit le fossé qui sépare Gaza de l’État d’Israël. D’un côté se trouvent 300 000 Palestiniens, dont 200 000 réfugiés expulsés de la région ; de l’autre, une poignée de nouvelles installations israéliennes. Les combattants palestiniens tentent de pénétrer dans le kibboutz de Nahal Oz, tuent Roi Rotberg, un agent de sécurité, et emportent son corps à Gaza, mais le rendent après l’intervention des Nations unies.

    #Moshe_Dayan, alors chef de l’état-major général d’Israël, se trouvait par hasard sur place pour un mariage et a demandé à prononcer, le soir suivant, l’éloge funèbre de Rotber. Parlant des hommes qui ont tué #Rotberg, il a demandé : « Pourquoi devrions-nous nous plaindre de la #haine qu’ils nous portent ? Pendant huit ans, ils se sont assis dans les camps de réfugiés de Gaza et ont vu de leurs yeux comment nous avons transformé les terres et les villages où eux et leurs ancêtres vivaient autrefois. » Cette reconnaissance de ce que les Palestiniens avaient perdu, les hommes politiques israéliens d’aujourd’hui ne peuvent plus se permettre de l’exprimer. Mais Dayan ne défendait pas le #droit_au_retour : il a terminé son discours en affirmant que les Israéliens devaient se préparer à une #guerre_permanente et amère, dans laquelle ce qu’Israël appelait les « #installations_frontalières » joueraient un rôle majeur.

    Au fil des ans, le #fossé s’est transformé en un système complexe de #fortifications - une #zone_tampon de 300 mètres, où plus de deux cents manifestants palestiniens ont été tués par balle en 2018 et 2019 et des milliers d’autres blessés, plusieurs couches de #clôtures en barbelés, des #murs en béton s’étendant sous terre, des mitrailleuses télécommandées - et des équipements de #surveillance, dont des tours de guet, des caméras de vidéosurveillance, des capteurs radar et des ballons espions. À cela s’ajoute une série de #bases_militaires, dont certaines situées à proximité ou à l’intérieur des installations civiles qui forment ce que l’on appelle l’#enveloppe_de_Gaza.

    Empêcher le retour des réfugiés

    Le #7_octobre_2023, lors d’une attaque coordonnée, le Hamas a frappé tous les éléments de ce système interconnecté. #Nahal_Oz, l’installation la plus proche de la clôture, a été l’un des points névralgiques de l’attaque. Le terme « #Nahal » fait référence à l’unité militaire qui a créé les installations frontalières. Les installations du Nahal ont débuté comme des avant-postes militaires et sont devenues des villages civils, principalement de type #kibboutz. Mais la transformation n’est jamais achevée et certains résidents sont censés se comporter en défenseurs quand la communauté est attaquée.

    La « #terre_des_absents » a été la #tabula_rasa sur laquelle les planificateurs israéliens ont dessiné le projet des colons sionistes après les expulsions de 1948. Son architecte en chef était #Arieh_Sharon, diplômé du Bauhaus, qui a étudié avec Walter Gropius et Hannes Meyer avant de s’installer en Palestine en 1931, où il a construit des lotissements, des coopératives de travailleurs, des hôpitaux et des cinémas. Lors de la création de l’État d’Israël, David Ben Gourion l’a nommé à la tête du département de planification du gouvernement. Dans The Object of Zionism (2018), l’historien de l’architecture Zvi Efrat explique que, bien que le plan directeur de Sharon soit fondé sur les principes les plus récents du design moderniste, il avait plusieurs autres objectifs : fournir des logements aux vagues d’immigrants arrivés après la Seconde Guerre mondiale, déplacer les populations juives du centre vers la périphérie, sécuriser la frontière et occuper le territoire afin de rendre plus difficile le retour des réfugiés.

    Dans les années 1950 et 1960, le #plan_directeur de Sharon et de ses successeurs a conduit à la construction, dans les « #zones_frontalières », définies à l’époque comme représentant environ 40 % du pays, de centres régionaux ou « #villes_de_développement » qui desservaient une constellation d’#implantations_agraires. Ces villes de développement devaient accueillir les immigrants juifs d’Afrique du Nord – les Juifs arabes – qui allaient être prolétarisés et devenir des ouvriers d’usine. Les implantations agraires de type kibboutz et #moshav étaient destinées aux pionniers du #mouvement_ouvrier, principalement d’Europe de l’Est. Les #terres appartenant aux villages palestiniens de #Dayr_Sunayd, #Simsim, #Najd, #Huj, #Al_Huhrraqa, #Al_Zurai’y, #Abu_Sitta, #Wuhaidat, ainsi qu’aux tribus bédouines #Tarabin et #Hanajre, sont occupées par les villes de développement #Sderot et #Ofakim et les kibboutzim de #Re’im, #Mefalsim, #Kissufim et #Erez. Toutes ces installations ont été visées le 7 octobre.

    La première #clôture

    À la suite de l’#occupation_israélienne de 1967, le gouvernement a établi des installations entre les principaux centres de population palestinienne à Gaza même, dont la plus grande était #Gush_Katif, près de Rafah, à la frontière égyptienne ; au total, les #colonies israéliennes couvraient 20 % du territoire de Gaza. Au début des années 1980, la région de Gaza et ses environs a également accueilli de nombreux Israéliens évacués du Sinaï après l’accord de paix avec l’Égypte.

    La première clôture autour du territoire a été construite entre 1994 et 1996, période considérée comme l’apogée du « #processus_de_paix ». Gaza était désormais isolée du reste du monde. Lorsque, en réponse à la résistance palestinienne, les colonies israéliennes de Gaza ont été démantelées en 2005, certaines des personnes évacuées ont choisi de s’installer près des frontières de Gaza. Un deuxième système de clôture, plus évolué, a été achevé peu après. En 2007, un an après la prise de pouvoir du Hamas à Gaza, Israël a entamé un #siège à grande échelle, contrôlant et limitant les flux entrants de produits vitaux - #nourriture, #médicaments, #électricité et #essence.

    L’#armée_israélienne a fixé les privations à un niveau tel que la vie à Gaza s’en trouve presque complètement paralysée. Associé à une série de campagnes de #bombardements qui, selon les Nations unies, ont causé la mort de 3 500 Palestiniens entre 2008 et septembre 2023, le siège a provoqué une #catastrophe_humanitaire d’une ampleur sans précédent : les institutions civiles, les hôpitaux, les systèmes d’approvisionnement en eau et d’hygiène sont à peine capables de fonctionner et l’électricité n’est disponible que pendant la moitié de la journée environ. Près de la moitié de la population de Gaza est au #chômage et plus de 80 % dépend de l’#aide pour satisfaire ses besoins essentiels.

    L’enveloppe de Gaza

    Le gouvernement israélien offre de généreux #avantages_fiscaux (une réduction de 20 % de l’impôt sur le revenu par exemple) aux habitants des installations autour de Gaza, dont beaucoup longent une route parallèle à la ligne de démarcation, à quelques kilomètres de celle-ci. L’enveloppe de Gaza comprend 58 installations situées à moins de 10 km de la frontière et comptant 70 000 habitants. Au cours des dix-sept années depuis la prise de pouvoir par le Hamas, malgré les tirs sporadiques de roquettes et de mortiers palestiniens et les bombardements israéliens sur le territoire situé à quelques kilomètres de là, les installations n’ont cessé d’augmenter. La hausse des prix de l’immobilier dans la région de Tel-Aviv et les collines ouvertes de la région (que les agents immobiliers appellent la « Toscane du nord du Néguev ») a entraîné un afflux de la classe moyenne.

    De l’autre côté de la barrière, les conditions se sont détériorées de manière inversement proportionnelle à la prospérité croissante de la région. Les installations sont un élément central du système d’#enfermement imposé à Gaza, mais leurs habitants tendent à différer des colons religieux de Cisjordanie. Démontrant l’aveuglement partiel de la gauche israélienne, certaines personnes installées dans le Néguev sont impliquées dans le #mouvement_pacifiste.

    Le 7 octobre, les combattants du Hamas ont forcé les éléments interconnectés du réseau de siège. Des tireurs d’élite ont tiré sur les caméras qui surplombent la zone interdite et ont lancé des grenades sur les #tours_de_communication. Des barrages de roquettes ont saturé l’#espace_radar. Plutôt que de creuser des tunnels sous les clôtures, les combattants sont venus par le sol. Les observateurs israéliens ne les ont pas vus ou n’ont pas pu communiquer assez rapidement ce qu’ils ont vu.

    Les combattants ont fait sauter ou ouvert quelques douzaines de brèches dans la clôture, élargies par les bulldozers palestiniens. Certains combattants du Hamas ont utilisé des parapentes pour franchir la frontière. Plus d’un millier d’entre eux ont pris d’assaut les bases militaires. L’armée israélienne, aveuglée et muette, n’a pas de vision claire du champ de bataille et les détachements mettent des heures à arriver. Des images incroyables sont apparues sur Internet : des adolescents palestiniens ont suivi les combattants à vélo ou à cheval, sur une terre dont ils avaient peut-être entendu parler par leurs grands-parents, maintenant transformée au point d’en être méconnaissable.

    Les #massacres du 7 octobre

    Les événements auraient pu s’arrêter là, mais ce ne fut pas le cas. Après les bases, ce furent les installations, les horribles massacres maison par maison, et le meurtre d’adolescents lors d’une fête. Des familles ont été brûlées ou abattues dans leurs maisons, des civils incluant des enfants et des personnes âgées ont été prises en otage. Au total, les combattants ont tué environ 1 300 civils et soldats. Plus de 200 personnes ont été capturées et emmenées à Gaza. Jusqu’alors, rien, dans la #violence ni la #répression, n’avait rendu de tels actes inévitables ou justifiés.

    Israël a mis des décennies à brouiller la ligne de démarcation entre les fonctions civiles et militaires des installations, mais cette ligne a aujourd’hui été brouillée d’une manière jamais envisagée par le gouvernement israélien. Les habitants civils cooptés pour faire partie du mur vivant de l’enveloppe de Gaza ont subi le pire des deux mondes. Ils ne pouvaient pas se défendre comme des soldats et n’étaient pas protégés comme des civils.

    Les images des installations dévastées ont permis à l’armée israélienne d’obtenir carte blanche de la part de la communauté internationale et de lever les restrictions qui avaient pu être imposées précédemment. Les hommes politiques israéliens ont appelé à la #vengeance, avec un langage explicite et annihilationiste. Les commentateurs ont déclaré que Gaza devrait être « rayée de la surface de la Terre » et que « l’heure de la Nakba 2 a sonné ». #Revital_Gottlieb, membre du Likoud à la Knesset, a tweeté : « Abattez les bâtiments ! Bombardez sans distinction ! Assez de cette impuissance. Vous le pouvez. Il y a une légitimité mondiale ! Détruisez Gaza. Sans pitié ! »

    L’échange de prisonniers

    Les otages civils des installations dont Israël a fait un « mur vivant » sont devenus pour le Hamas un #bouclier_humain et des atouts pour la #négociation. Quelle que soit la façon dont le #conflit se termine, que le Hamas soit ou non au pouvoir (et je parie sur la première solution), Israël ne pourra pas éviter de négocier l’#échange_de_prisonniers. Pour le Hamas, il s’agit des 6 000 Palestiniens actuellement dans les prisons israéliennes, dont beaucoup sont en #détention_administrative sans procès. La prise en otages d’Israéliens a occupé une place centrale dans la #lutte_armée palestinienne tout au long des 75 années de conflit. Avec des otages, l’#OLP et d’autres groupes cherchaient à contraindre Israël à reconnaître implicitement l’existence d’une nation palestinienne.

    Dans les années 1960, la position israélienne consistait à nier l’existence d’un peuple palestinien, et donc qu’il était logiquement impossible de reconnaître l’OLP comme son représentant légitime. Ce déni signifiait également qu’il n’y avait pas à reconnaître les combattants palestiniens comme des combattants légitimes au regard du droit international, et donc leur accorder le statut de #prisonniers_de_guerre conformément aux conventions de Genève. Les Palestiniens capturés étaient maintenus dans un #vide_juridique, un peu comme les « combattants illégaux » de l’après 11-septembre.

    En juillet 1968, le Front populaire de libération de la Palestine (FPLP) a détourné un vol d’El-Al et l’a fait atterrir en Algérie, inaugurant une série de détournements, dont l’objectif explicite était la libération de prisonniers palestiniens. L’incident d’Algérie a conduit à l’échange de 22 otages israéliens contre 16 prisonniers palestiniens, bien que le gouvernement israélien ait nié un tel accord. Seize contre 22 : ce taux d’échange n’allait pas durer longtemps. En septembre 1982, après l’invasion du Liban par Israël, le Commandement général du FPLP d’Ahmed Jibril a capturé trois soldats de l’armée israélienne ; trois ans plus tard, dans le cadre de ce qui a été appelé l’accord Jibril, Israël et le FPLP-CG sont finalement parvenus à un accord d’échange de prisonniers : trois soldats contre 1 150 prisonniers palestiniens. Dans l’accord de 2011 pour la libération de Gilad Shalit, capturé par le Hamas en 2006, le taux d’échange était encore plus favorable aux Palestiniens : 1 027 prisonniers pour un seul soldat israélien.
    Directive Hannibal

    Anticipant de devoir conclure de nombreux accords de ce type, Israël s’est mis à arrêter arbitrairement davantage de Palestiniens, y compris des mineurs, afin d’augmenter ses atouts en vue d’un échange futur. Il a également conservé les corps de combattants palestiniens, qui devaient être restitués dans le cadre d’un éventuel échange. Tout cela renforce l’idée que la vie d’un colonisateur vaut mille fois plus que la vie d’un colonisé, calcul qui évoque inévitablement l’histoire du #colonialisme et du commerce d’êtres humains. Mais ici, le taux de change est mobilisé par les Palestiniens pour inverser la profonde asymétrie coloniale structurelle.

    Tous les États ne traitent pas de la même manière la capture de leurs soldats et de leurs citoyens. Les Européens et les Japonais procèdent généralement à des échanges secrets de prisonniers ou négocient des rançons. Les États-Unis et le Royaume-Uni affirment publiquement qu’ils ne négocient pas et n’accèdent pas aux demandes des ravisseurs et, bien qu’ils n’aient pas toujours respecté cette règle à la lettre, ils ont privilégié l’abstention et le silence lorsqu’une opération de sauvetage semblait impossible.

    Cette attitude est considérée comme un « moindre mal » et fait partie de ce que les théoriciens des jeux militaires appellent le « jeu répété » : chaque action est évaluée en fonction de ses éventuelles conséquences à long terme, les avantages d’obtenir la libération d’un prisonnier étant mis en balance avec le risque que l’échange aboutisse à l’avenir à la capture d’autres soldats ou civils.

    Lorsqu’un Israélien est capturé, sa famille, ses amis et ses partisans descendent dans la rue pour faire campagne en faveur de sa libération. Le plus souvent, le gouvernement y consent et conclut un accord. L’armée israélienne déconseille généralement au gouvernement de conclure des accords d’échange, soulignant le risque pour la sécurité que représentent les captifs libérés, en particulier les commandants de haut rang, et la probabilité qu’ils encouragent les combattants palestiniens à prendre davantage d’otages. Yahya Sinwar, qui est aujourd’hui le chef du Hamas, a été libéré dans le cadre de l’#accord_Shalit. Une importante campagne civile contre ces échanges a été menée par le mouvement religieux de colons #Gush_Emunim, qui y voyait une manifestation de la fragilité de la société « laïque et libérale » d’Israël.

    En 1986, à la suite de l’#accord_Jibril, l’armée israélienne a publié la directive controversée Hannibal, un ordre opérationnel secret conçu pour être invoqué lors de la capture d’un soldat israélien par une force armée irrégulière. L’armée a nié cette interprétation, mais les soldats israéliens l’ont comprise comme une autorisation de tuer un camarade avant qu’il ne soit fait prisonnier. En 1999, #Shaul_Mofaz, alors chef de l’état-major général, a expliqué cette politique en ces termes : « Avec toute la douleur que cela implique, un soldat enlevé, contrairement à un soldat tué, est un problème national. »

    Bien que l’armée ait affirmé que le nom de la directive avait été choisi au hasard par un programme informatique, il est tout à fait approprié. Le général carthaginois Hannibal Barca s’est suicidé en 181 avant J.-C. pour ne pas tomber aux mains des Romains. Ceux-ci avaient fait preuve d’une détermination similaire trente ans plus tôt : lorsque Hannibal tenta d’obtenir une rançon pour les soldats qu’il avait capturés lors de sa victoire à Cannes, le Sénat, après un débat houleux, refusa et les prisonniers furent exécutés.

    Le 1er août 2014, lors de l’offensive sur Gaza connue sous le nom d’« #opération_Bordure_protectrice », des combattants palestiniens ont capturé un soldat de Tsahal près de Rafah, et la #directive_Hannibal est entrée en vigueur. L’armée de l’air a bombardé le système de tunnels où avait été emmené le soldat, tuant 135 civils palestiniens, dont des familles entières. L’armée a depuis annulé la directive. Toutefois, la plupart des bombardements actuels vise les #tunnels où se trouvent les postes de commandement du Hamas et les otages : le gouvernement semble ainsi, par ces bombardements aveugles, non seulement menacer les Gazaouis d’une #destruction sans précédent, mais aussi revenir au principe de préférer des captifs morts à un accord. #Bezalel_Smotrich, ministre israélien des finances, a appelé à frapper le Hamas « sans pitié, sans prendre sérieusement en considération la question des captifs ». #Gilad_Erdan, ambassadeur d’Israël auprès des Nations unies, a déclaré que les otages « ne nous empêcheraient pas de faire ce que nous devons faire ». Mais dans cette guerre, le sort des #civils de Gaza et des Israéliens capturés est étroitement lié, tout comme celui des deux peuples.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/041123/taux-de-change-retour-sur-la-politique-israelienne-des-otages
    #Israël #Palestine #Eyal_Weizman #à_lire

  • La guerre de Gaza et la situation mondiale. Vincent Présumey, 23/10/2023
    https://aplutsoc.org/2023/10/24/la-guerre-de-gaza-et-la-situation-mondiale-vincent-presumey-le-23-10-2023

    Il est indispensable d’intégrer ce qui est pour l’instant la #guerre de #Gaza mais pourrait devenir plus et pire, depuis les 7-8 octobre 2023, à l’analyse globale de la crise mondiale contemporaine. Le plus grand danger intellectuel, et par voie de conséquence politique et moral, serait de croire à un feuilleton déjà connu, tant les forces en présence dans cette région du monde sont observées, mythifiées, assimilées dans les consciences depuis des décennies. Ce danger est aggravé par le fait que la question en surplomb dans la situation mondiale, c’est celle de la #guerre_mondiale. Devant un théâtre où tout le monde croit reconnaître les siens, et devant un danger que l’on préfère souvent ne pas nommer, grande est la tentation de fuir sans phrases, fuir la démarche qui consiste à analyser pour trouver comment agir en intégrant le nouveau et pas en répétant seulement le connu ou ce que l’on croit connaître.

    Réciter les slogans et s’y réfugier n’est plus que conservatisme devant la catastrophe et ne conjure rien du tout. Le pessimisme de la raison et l’optimisme de la volonté, inséparables, devraient être de rigueur.

    Le tournant du 7 octobre 2023 est l’évènement le plus retentissant, au plan mondial, depuis le 24 février 2022. Il ne nous ramène nullement à l’avant 24 février. Au contraire, il nous engage plus encore dans le XXI° siècle des guerres et des révolutions.

    Plan du texte :

    Le cadre dans lequel cette guerre survient.
    « Sud global » contre « Occident », ou le discours de l’impérialisme multipolaire.
    La balance de la justice, vraiment ?
    Le sens historique des #pogroms des 7-8 octobre.
    La nature de la guerre israélienne contre Gaza.
    La place de l’#Iran.
    A propos du « deux poids deux mesures ».
    Le positionnement de Washington et la possibilité sous-jacente de la guerre mondiale.

    ... Qu’il soit nécessaire, pour analyser la place de la guerre engagée le 7 octobre, d’une analyse mondiale intégrant la guerre en Ukraine et reliant les deux guerres, semble [...] tout à fait inenvisageable, voire impensable. Sud global contre Occident impérialiste, telle est la représentation idéologique qui doit submerger tout autre discours, toute autre réflexion

    ... plus riches des dures leçons de l’histoire et des combats anticolonialistes, sont les réflexions de nos camarades ukrainiens propalestiniens, que les pogroms révulsent et qui s’écrient, comme Hanna Perekhoda : « Notre Hamas, nous l’avons eu ! », c’était l’OUN, et cela pourrait être Azov : ces camarades, aux premiers rangs de la lutte de libération nationale, récusent ces organisations, leurs méthodes et leurs crimes, antisémites et antipolonais, récusent tout amalgame mythique entre leur lutte à eux, la guerre de libération actuelle, et la tradition « bandériste », et savent combien la nation ukrainienne a payé et paie cher ces crimes et cet amalgame, « nazi-ukrainien », cette équation raciste que, s’agissant des Palestiniens, Gilbert Achcar croit conjurer en dénonçant leur « nazification », mais qu’il conforte en fait, en montant un échafaudage idéologique pour nous expliquer que les crimes du Hamas, dans sa petite « balance de la justice » qui ne serait soi-disant « pas métaphysique » et pas occidentale, sont des crimes de bonne qualité puisque ce sont des crimes commis du bon côté.

    .... « S’il y a une leçon à tirer de la guerre de libération algérienne, c’est bien que le terrorisme contre les civils dessert les luttes des opprimés et des exclus (...) » - écrivait Mohamed Harbi, qui sait de quoi il parle, dans Hommes et libertés, n°117, janvier-mars 2002.

    .... Pas plus que le Hamas ne combattait l’oppression nationale et coloniale israélienne les 7 et 8 octobre, l’armée israélienne ne « riposte » ou n’exerce des « représailles » visant à « détruire le Hamas » à Gaza. Il s’agit de la plus monstrueuse opération menée contre cette population civile emprisonnée dans un immense ghetto

    .... Beaucoup de commentateurs parlent d’une « seconde #Nakba ». Là encore soyons clairs : c’est pire. L’histoire n’est pas répétition, et tant que le capitalisme conduit biosphère et genre humain à l’abîme, elle est aggravation. C’est pire parce que de plus grande dimension, parce que la population gazaouie n’a pas où aller, l’Égypte fermant ses portes, l’errance au Sinaï, ce vieux mythe n’est-ce pas, signifiant la décimation, pire aussi parce que le nettoyage ethnique en Cisjordanie pourrait bien être le corollaire.

    ... l’Iran. Engagé dans une fuite en avant par peur de la révolution, peur de « Femmes, Vie, Liberté », la caste oligarchique ultra-réactionnaire des mollahs a un programme, un programme de réaction sur toute la ligne, et le génocide du peuple judéo-israélien en fait partie. Il en fait partie, à côté de la répression sauvage en Iran, de l’écrasement des kurdes, de la vassalisation de l’Irak, de l’inféodation du #Liban aux structures mafieuses du #Hezbollah, et du charcutage de la Syrie avec l’expulsion des arabes sunnites d’une grande partie du territoire.

    ... Le rôle contre- révolutionnaire de l’Iran lui a permis d’avoir la tolérance états-unienne, contre la révolution syrienne, et l’alliance russe. .....

    en pdf
    https://aplutsoc.files.wordpress.com/2023/10/la-guerre-de-gaza-et-la-situation-mondiale_vp_2023-10-23.p

    #campisme #Israël #E-U #U.S.A #impérialisme_multipolaire #guerre_en_Ukraine #internationalisme #Gilbert_Achcar #Franz_Fanon #pogroms (by both sides) #Jewish_Voice_for_Peace #crimes_contre_l’humanité #gazaouis

    • Ils sont devenus fou même la gendarmerie s’inquiète de cette nouvelle autorisation de tirer au LBD à bout portant. Ce lanceur de balles de défense crache des balles de caoutchouc à 250 km/h. Le ministère de l’Intérieur donne l’autorisation de tuer à ses supplétifs. C’était déjà le cas mais cette décision doit venir des multiples recours des précédentes victimes survivantes aux violences policières. La gueule ravagée de Hedi à Marseille ne leur a pas suffit. Ils auraient sans doute préféré qu’il soit mort. Voici la réponse de ce gouvernement de fou furieux à la condamnation des violences policières. Il change la loi. Si ça continu, la france va finir comme les states avec plus de flingues que d’habitants.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/271023/le-ministere-de-l-interieur-reduit-la-distance-de-tir-des-lbd-malgre-leur-

    • [Liberté de la police] Le ministère de l’intérieur réduit la distance de tir des LBD malgré leur dangerosité
      https://www.mediapart.fr/journal/france/271023/le-ministere-de-l-interieur-reduit-la-distance-de-tir-des-lbd-malgre-leur-

      Ces cinq dernières années, plus de 35 personnes ont été blessées et une tuée par des tirs de lanceur de balles de défense. Pourtant, dans ses instructions, le ministère de l’intérieur a abaissé la distance réglementaire. Une décision que la gendarmerie conseille de ne pas suivre.

      La liste des blessés ne cesse de s’allonger. Hedi à Marseille, Virgil à Nanterre, Nathaniel à Montreuil, Mehdi à Saint-Denis, Abdel à Angers : tous ont été grièvement touchés par un tir de lanceur de balles de défense après les révoltes suscitées par la mort de Nahel en juin dernier. Mediapart a cherché à savoir quelle était la distance minimum de sécurité que les policiers doivent respecter lorsqu’ils tirent au LBD.

      Le ministère de l’intérieur et la Direction générale de la police nationale ont mis un mois à nous répondre. Et pour cause, cette distance réglementaire a tout simplement été supprimée des récentes instructions, remplacée par une distance dite « opérationnelle » correspondant à celle du fabricant de munitions. Auparavant, pour tirer, un policier devait respecter une distance minimum de 10 mètres. Selon les informations collectées par Mediapart, elle est désormais passée à 3 mètres.

      Une décision dangereuse que la gendarmerie nationale déconseille de suivre.

      Gravement touché au cerveau par un tir de LBD dans la nuit du 1er au 2 juillet, à Marseille, Hedi, 22 ans, subit depuis de multiples interventions chirurgicales. C’est le cas encore en octobre, alors que la prochaine est prévue en novembre. À ce jour, déjà confronté à une potentielle paralysie, Hedi ne sait toujours pas s’il pourra conserver l’usage de son œil gauche.
      Il fait partie des nombreuses victimes du LBD, une arme utilisée par la police et les gendarmes depuis le début des années 2000 (en remplacement du #flashball, apparu à la fin des années 1990). Muni d’un canon de 40 millimètres, ce fusil tire des balles de caoutchouc à plus de 250 km/heure (plus de 73 m/seconde). Le ministère de l’intérieur qualifie le LBD_« d’arme de force intermédiaire », alors même qu’elle est classée « catégorie A2 », c’est-à-dire #matériel_de_guerre, aux côtés notamment des lance-roquettes. Une classification qui laisse peu de doute sur sa létalité.

      Des instructions ministérielles d’août 2017 précisent que « le tireur vise de façon privilégiée le torse ainsi que les membres inférieurs », cibler la tête étant interdit. Lorsqu’une personne est touchée, le policier doit s’assurer de son état de santé et la garder sous surveillance permanente.
      Comme le rappelle une note du ministère de l’intérieur adressée à l’ensemble des forces de l’ordre, en février 2019, les fonctionnaires habilités doivent faire usage du LBD, selon le cadre prévu par le Code pénal et celui de la sécurité intérieure,
      « dans le strict respect des principes de nécessité et de proportionnalité »_.

      Hormis en cas de légitime défense, c’est-à-dire lorsque l’agent, un de ses collègues ou une tierce personne est physiquement menacée, des sommations doivent précéder le tir, qui doit se faire à une distance réglementaire, en deçà de laquelle les risques de lésions sont irréversibles. Mais quelle est cette distance ?

      Une nouvelle munition pas moins dangereuse

      Notre enquête nous a conduits à compulser les instructions ministérielles que nous avons pu nous procurer. Il faut remonter à 2013 pour voir figurer que le LBD « ne doit pas être utilisé envers une personne se trouvant à moins de 10 mètres ».
      Depuis, dans les notes de 2017, 2018 ou 2019, nulle trace de recommandations concernant la distance minimum de sécurité. Seul le règlement de l’armement de dotation de la gendarmerie nationale, mis à jour le 1er septembre 2023, rappelle que « le tir en deçà de 10 mètres, uniquement possible en cas de légitime défense, peut générer des risques lésionnels importants ».
      Interrogée, la Direction générale de la police nationale (#DGPN) n’a pas su nous répondre sur la distance réglementaire, arguant que la doctrine d’emploi du LBD 40 faisait « actuellement l’objet d’une réécriture ». Seule précision, les unités de police utilisent une nouvelle munition, appelée la munition de défense unique (MDU), « moins impactante » que l’ancienne, nommée la Combined tactical systems (CTS).
      Certes, depuis 2019, la MDU, moins rigide et légèrement moins puissante, est majoritairement utilisée par les policiers. Pour autant, elle n’en reste pas moins dangereuse, comme l’attestent les graves blessures qu’elle a pu occasionner, notamment sur Hedi ou sur plusieurs jeunes qui ont perdu un œil lors des révoltes à la suite du décès de Nahel.

      Ce qui est dangereux, c’est que le ministère et la DGPN ont banalisé l’usage du LBD.
      Un commissaire de police

      C’est d’ailleurs la raison pour laquelle le Centre national d’entraînement des forces de gendarmerie (CNEFG) conseille de conserver, avec cette nouvelle munition, une distance minimum de 10 mètres. En effet, dans une note interne, datée du 12 septembre 2022, adressée à la Direction générale de la gendarmerie nationale (#DGGN), et que Mediapart a pu consulter, il est stipulé que « par principe de sécurité et de déontologie », il doit être rendu obligatoire pour les gendarmes de ne pas tirer au LBD à moins de 10 mètres.
      Selon un officier, « au sein de la gendarmerie, nous privilégions l’usage du LBD pour une distance de 30 mètres pour faire cesser une infraction s’il n’y a pas d’autres moyens de le faire. Lorsque le danger est plus près de nous, à quelques mètres, nous tentons de neutraliser l’individu autrement qu’en ayant recours au LBD ».
      Quand bien même la nouvelle munition représente une certaine avancée, étant « moins dure et donc susceptible de faire moins de blessures », « elle reste néanmoins puissante et dangereuse. Évidemment, d’autant plus si elle est tirée de près ».

      Un haut gradé de la gendarmerie spécialisé dans le #maintien_de_l’ordre insiste : « Cette nouvelle munition ne doit pas conduire à modifier la doctrine d’emploi du LBD, ni à un débridage dans les comportements. » Il rappelle que le LBD est « l’ultime recours avant l’usage du 9 mm. Son usage ne doit pas être la règle. Ce n’est pas une arme de dispersion dans les manifestations ».

      Information inexacte

      Nous avons donc recontacté la police nationale pour qu’elle nous transmette les dernières directives mentionnant la distance minimum qu’un policier doit respecter. Le cabinet du ministre a, lui, répondu qu’une « distance minimum de sécurité serait communiquée. Il n’y a pas de raison que ce soit différent des gendarmes ». Et pourtant...
      Après moult relances, la Direction générale de la police a déclaré qu’il fallait prendre en compte « la distance opérationnelle des munitions » et « qu’en deçà de 3 mètres, le risque lésionnel est important », assurant que « les doctrines en ce domaine sont communes pour les forces de sécurité intérieures, police nationale et gendarmerie nationale ».
      Une information inexacte puisque la gendarmerie interdit de tirer au-dessous de 10 mètres.

      « Ce qui est dangereux, explique auprès de Mediapart un commissaire de police, c’est que le ministère et la DGPN ont banalisé l’usage du LBD, qui devait initialement être utilisé en cas d’extrême danger, comme ultime recours avant l’usage de l’arme. »

      Un pas a été franchi pour légitimer des tirs de très près.
      Un commandant, spécialisé dans le maintien de l’ordre

      Depuis, après avoir été « expérimenté dans les banlieues, il a été utilisé, depuis 2016 [en fait, depuis le début des années 2000, ndc], dans les manifestations et les mobilisations contre la loi Travail [où la pratique s’est généralisée, ndc]. En enlevant toute notion de distance minimum de sécurité, le ministère gomme la dangerosité de cette arme et des blessures qu’elle cause ».
      Pour ce commissaire, « c’est un nouveau verrou qui saute. On peut toujours contester cette distance, qui était déjà peu respectée, mais elle introduisait néanmoins un garde-fou, aussi ténu soit-il ».
      Avec l’apparition des nouvelles munitions « présentées comme moins impactantes, un pas a été franchi pour légitimer des tirs de très près », nous explique un commandant spécialisé dans le maintien de l’ordre. Ainsi, dans les nouvelles instructions du ministère, « la distance minimum n’existe plus ». « Pire, poursuit ce commandant, on a vu apparaître les termes employés par le fabricant de la munition qui parle de “distance opérationnelle”. »
      En effet, dans une instruction relative à l’usage des armes de force intermédiaire, datée du 2 août 2017 et adressée à l’ensemble des fonctionnaires, sont précisées les « distances opérationnelles », allant de 10 à 50 mètres pour l’ancienne munition, et de 3 à 35 mètres pour la nouvelle. C’est sur cette instruction que s’appuie aujourd’hui la DGPN.
      Selon ce gradé, « même d’un point de vue purement opérationnel, c’est absurde. Car le point touché par le tireur est égal au point qu’il a visé à environ 25 mètres et pas en deçà. Donc il faudrait donner cette distance et non une fourchette ».
      « Avec une distance aussi courte que 3 mètres, c’est presque tirer à bout portant. Et c’est inviter, davantage qu’ils ne le faisaient déjà, les policiers à tirer de près avec des risques gravissimes de blessures. Non seulement les agents manquent de formation, mais avec ces directives, ils vont avoir tendance à sortir leur LBD comme une simple matraque et dans le plus grand flou », conclut-il, rappelant « le tir absolument injustifié de la BAC sur le jeune qui a eu le cerveau fracassé à Marseille [en référence à Hedi – ndlr] ».

      Les déclarations faites à la juge d’instruction du policier Christophe I., auteur du tir de LBD, qui a grièvement blessé Hedi à la tête, en juillet, révèlent l’ampleur des conséquences de la banalisation d’une telle arme.
      Le policier explique que le soir des faits, « il n’y avait pas de consignes particulières sur l’utilisation des armes ». Que Hedi ait pu être atteint à la tête ne le surprend pas. Une erreur aux conséquences dramatiques qui ne semble pas lui poser problème : « J’ai tiré sur un individu en mouvement, dit-il. Le fait de viser le tronc, le temps que la munition arrive, c’est ce qui a pu expliquer qu’il soit touché à la tête. » En revanche, il nie que les blessures d’Hedi aient pu être occasionnées par le LBD, allant même jusqu’à avancer qu’elles peuvent « être liées à sa chute » au sol [moment ou des bouts du projectile se sont incrustés dans sa tête avant d’être découvert par le personnel soignant, obvisously, ndc]

      Dans d’autres enquêtes mettant en cause des tirs de LBD, les déclarations des policiers auteurs des tirs affichent à la fois la dangerosité de cette arme et la banalisation de son usage. L’augmentation du nombre de #manifestants blessés, en particulier lors des mobilisations des gilets jaunes, avait d’ailleurs conduit le Défenseur des droits, Jacques Toubon, à demander, en janvier 2019, la « suspension » du recours au LBD dans les manifestations.
      La France, un des rares pays européens à autoriser le LBD
      Depuis, plusieurs organisations non gouvernementales, parmi lesquelles le Syndicat des avocats de France, la Confédération générale du travail ou le Syndicat de la magistrature, ont saisi la justice pour en demander l’interdiction. En vain. Après avoir essuyé un refus du Conseil d’État de suspendre cette arme, les organisations syndicales ont vu leur requête jugée irrecevable par la Cour européenne des droits de l’homme en avril 2020, estimant que les « faits dénoncés ne relèvent aucune apparence de violation des droits et libertés garanties par la Convention et […] que les critères de recevabilité n’ont pas été satisfaits ».

      À l’annonce du refus du Conseil d’État d’interdire le LBD, le syndicat de police majoritaire, Alliance, avait salué « une sage décision ». Son secrétaire général adjoint, qui était alors Frédéric Lagache, avait précisé auprès de l’AFP que « si le Conseil d’État avait prononcé l’interdiction, il aurait fallu à nouveau changer de doctrine et revenir à un maintien de l’ordre avec une mise à distance ».
      Un discours bien différent de celui de ses homologues allemands, qui ont refusé d’avoir recours au LBD (utilisé dans deux Länder sur seize). En effet, comme le rappelle le politiste Sebastian Roché dans son livre La police contre la Rue, en 2012, le premier syndicat de police d’Allemagne, par la voix d’un de ses représentants, Frank Richter, s’était opposé à ce que les forces de l’ordre puissent avoir recours à cette arme : « Celui qui veut tirer des balles de caoutchouc [comme celles du LBD – ndlr] accepte consciemment que cela conduise à des morts et des blessés graves. Cela n’est pas tolérable dans une démocratie. »
      En Europe, la France est, avec la Grèce et la Pologne, l’un des rares pays à y avoir recours.

      #LBD #LBD_de_proximité #armes_de_la_police #Darmanin #à_bout_portant #terroriser #mutiler #police #impunité_policière #militarisation #permis de_mutiler #permis_de_tuer

    • Ni oubli, ni pardon
      https://piaille.fr/@LDH_Fr/111308175763689939

      Le 27 octobre 2005, Zyed & Bouna 17&15 ans meurent à l’issue d’une course poursuite avec des policiers qui seront relaxés. Ils font partie d’une liste trop longue des victimes d’une violence ordinaire dont les auteurs ne sont jamais poursuivis. Cette impunité doit cesser.

    • en 2012, le premier syndicat de police d’Allemagne, par la voix d’un de ses représentants, Frank Richter, s’était opposé à ce que les forces de l’ordre puissent avoir recours à cette arme : « Celui qui veut tirer des balles de caoutchouc [comme celles du LBD – ndlr] accepte consciemment que cela conduise à des morts et des blessés graves. Cela n’est pas tolérable dans une démocratie. »

      En Europe, la France est, avec la Grèce et la Pologne, l’un des rares pays à y avoir recours.

      La fin de l’article de Mediapart, dont est extrait le passage ci dessus, a part, dans son seen à elle : https://seenthis.net/messages/1023468

    • Quelques nuances de LBD
      https://lundi.am/Quelques-nuances-de-LBD

      Dans une enquête parue ce vendredi, Médiapart révèle que les policiers devaient jusqu’à présent respecter une distance de 10 à 15 mètres pour tirer sur un individu. Cette distance minimale aurait été supprimée des récentes instructions du ministère de l’Intérieur. Elle est désormais passée à seulement trois mètres. Laurent Thines, neurochirugien et poète engagé contre les armes (sub)létales, nous a transmis ces impressions.

    • @sombre je dirais bien #oupas moi aussi : la pratique récente du LBD en fRance semble indiquer que les policiers, préfets et le ministre ont bien lu la notice en détail et estimé que la couleur rouge était un indicateur de zones à viser en priorité, pour faire respecter l’ordre.

    • @PaulRocher10
      https://twitter.com/PaulRocher10/status/1721262476933706174

      Près de 12 000 tirs policiers sur la population civile en 2022, soit 33 tirs par jour. Voilà ce que montrent les derniers chiffres sur le recours aux armes « non létales ». Hormis les années des #giletsjaunes (2018/19), c’est un nouveau record.

      Au-delà du nombre élevé de tirs sur 1 année, la tendance est frappante. En 2022, les policiers ont tiré 80 fois plus qu’en 2009. Pourtant, ni les manifestants ni la population générale ne sont devenus plus violents. La hausse des violences est celle des #violencespolicières

      Ces données du min. de l’intérieur n’affichent pas les tirs de grenades (assourdissantes, lacrymogène) et ignorent les coups de matraque. Même pour les armes comptabilisées, on assiste à une sous-déclaration. Le niveau réel des #violencespolicières est donc encore plus élevé

      Souvent on entend que les armes non létales seraient une alternative douce aux armes à feu. Pourtant, les derniers chiffres confirment la tendance à la hausse des tirs à l’arme à feu. Pas d’effet de substitution, mais un effet d’amplification de la violence

      Ces derniers temps, on entend beaucoup parler de « décivilisation ». Si elle existe, ces chiffres montrent encore une fois qu’elle ne vient pas de la population . Les données disponibles (⬇️) attestent qu’elle se tient sage, contrairement à la police
      https://www.acatfrance.fr/rapport/lordre-a-quel-prix

  • Le président du Conseil d’orientation des retraites, dans le collimateur de Matignon depuis des mois, a été débarqué
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/10/25/le-president-du-conseil-d-orientation-des-retraites-debarque_6196394_823448.

    « Ce n’est pas une mesure de sanction », assure l’entourage de la première ministre. Pierre-Louis Bras avait pourtant été accusé par le gouvernement, en particulier par Elisabeth Borne, d’avoir alimenté la confusion dans le débat sur la réforme des #retraites.

    .... La nomination de son successeur, qui fera l’objet d’un décret du président de la République .... Cette décision ne constitue nullement une surprise.

    Dans Le Parisien du 9 avril, Mme Borne lui avait reproché d’avoir « brouillé les esprits », alors qu’elle cherchait à convaincre l’opinion de la nécessité de reporter à 64 ans l’âge légal de départ pour éviter un déficit de notre système par répartition en 2030. La première ministre faisait ainsi référence à des propos de M. Bras, lors d’une audition à l’Assemblée nationale : le 19 janvier, il avait affirmé que les dépenses de retraites « ne dérapent pas », tout en précisant que le rapport du COR de 2022 prévoyait des déficits durables. Mais beaucoup n’avaient retenu que l’idée selon laquelle la situation restait sous contrôle et n’exigeait, par conséquent, aucune réforme.

    Le 12 juillet, lors des questions au gouvernement au Sénat, Mme Borne avait même accusé l’instance de n’avoir pas « pleinement joué son rôle ces derniers temps », du fait de travaux ayant prêté à « toutes sortes d’interprétations et d’expressions, éloignant ainsi le #COR de sa mission originelle ».

    https://archive.ph/PiOtS

    • Avec la nomination de Gilbert Cette, le pouvoir reprend en main le Conseil d’orientation des retraites
      https://www.mediapart.fr/journal/economie-et-social/311023/avec-la-nomination-de-gilbert-cette-le-pouvoir-reprend-en-main-le-conseil-

      Une semaine après avoir écarté l’ancien président du Conseil d’orientation des retraites, Pierre-Louis Bras, Matignon a nommé un économiste très proche du macronisme, et très favorable au recul de l’âge de départ, à la tête de cette institution.

    • Gilbert Cette, un économiste orthodoxe professeur à l’école de commerce Neoma et à l’université d’Aix-Marseille, et compagnon de route historique de la Macronie.

      Lors de la campagne de 2017, il avait signé la tribune des économistes soutenant la candidature d’Emmanuel Macron à la présidence de la République publiée dans Le Monde. On y trouvait notamment cette envolée lyrique et fort optimiste : « La nouvelle croissance, proposée par Emmanuel Macron, repose sur le progrès et l’innovation, c’est-à-dire la création en permanence de nouvelles technologies, de nouvelles activités, de nouveaux biens et services de meilleure qualité et de nouvelles façons de produire plus économes en énergie. »

      Une fois son poulain élu à l’Élysée, l’économiste a été nommé à la tête du comité d’experts sur le #salaire minimum qui, systématiquement depuis, prône l’absence de tout « coup de pouce » au #Smic, c’est-à-dire de toute augmentation au-delà de la hausse légale.
      C’est ainsi un membre du cercle proche de la présidence qui prend le contrôle d’un instance censée être indépendante.

      Un économiste organique du macronisme
      #Gilbert_Cette, 69 ans, a longtemps eu une image de gauche, issue de son passage comme conseiller technique au ministère du travail tenu par Martine Aubry entre 1998 et 2000. Mais c’est en réalité un #économiste néolibéral pur et dur, de la tendance « sociale-libérale », où le social découle du libéral, ce qui lui a permis de rester proche du Parti socialiste jusqu’au milieu des années 2010.

      C’est d’ailleurs en 2011 qu’il se rapproche d’Emmanuel Macron. À l’époque, ce dernier, selon Les Jours, organise des réunions d’économistes dans son restaurant parisien fétiche, La Rotonde, pour plancher sur le programme de François Hollande. Et c’est logiquement que Gilbert Cette, passé par la Banque de France et le Centre d’analyse économique, se rapproche du futur candidat lorsque celui-ci décide d’en finir avec le PS pour imposer ses réformes néolibérales.

      Car toute la pensée de Gilbert Cette le rapproche de la vision macroniste de l’économie. Le #marché est y central et l’enjeu des politique publiques est principalement de permettre aux agents économiques de participer à la compétition sur les marchés. D’où une insistance sur la formation et l’éducation pour adapter la force de travail aux besoins du capital.
      L’État, dans cette optique, ne doit pas compter ses aides aux entreprises, mais doit néanmoins prendre garde aux déficits. Aussi n’a-t-il pas d’autre moyen que de remplacer les transferts sociaux par des soutiens à l’innovation et à la formation .

      Dans une tribune au Monde cosignée avec Élie Cohen en 2019, il affirmait que « plutôt que d’amplifier sans cesse les politiques redistributives visant à réduire les inégalités spontanément fortes en France, il faut les réduire en amont par des politiques éducatives et de formation, et par une meilleure insertion sur le marché de l’emploi ». Cette phrase pourrait résumer la doctrine d’Emmanuel Macron.
      Si l’on voulait résumer les positions de Gilbert Cette en une phrase, on pourrait dire qu’il convient de soutenir absolument le #capital et ses profits en espérant que ces derniers se transforment en emplois et en innovations. Alors même que des cercles de plus en plus larges s’interrogent sur la pertinence des #baisses_de_cotisations, Gilbert Cette les a défendues en août dans un texte publié par Les Échos, reprenant la vieille rengaine de la « baisse des charges sur les bas salaires » pour créer des emplois.
      Dans le monde de Gilbert Cette, c’est le #travail qui doit toujours s’adapter. Adepte de la « #flexi-sécurité » où la sécurité est optionnelle, il soutenait en novembre 2021, dans L’Opinion, une « adaptation du droit du travail au numérique » allant plus loin encore que la réformes de 2017.
      D’ailleurs, adepte des comparaisons internationales, souvent utilisées pour justifier les #réformes en faveur du capital, Gilbert Cette défend depuis longtemps une remise en cause du niveau qu’il juge trop élevé du Smic et de ses méthodes de revalorisation. En 2018, il proposait, dans le cadre du comité d’experts sur le Smic, de réduire la revalorisation du salaire minimum, voire de le #désindexer de l’#inflation. Il le faisait au nom de la compétitivité et de la boucle prix-salaires.

      Gilbert Cette est de ces économistes qui, même lorsqu’ils ont tort, continuent de faire comme s’ils avaient raison. Après avoir promu des politiques néolibérales pour augmenter la productivité de l’#économie, l’économiste a constaté que les gains de productivité étaient désormais nuls (ce qui n’est guère étonnant puisqu’on a subventionné les bas salaires les moins productifs), et exige donc en retour des réformes pour « #travailler_plus ». C’est ce qu’il prônait dans cette tribune publiée dans Les Échos en mai dernier. Et là encore, comme par miracle, il était en plein accord avec le discours de la majorité présidentielle.

      Gilbert Cette fait partie de ces économistes orthodoxes absolument intolérants à tout autre cadre de pensée, même déviant légèrement des leurs. Dans une tribune de février 2020 publiée dans Les Échos, il fustigeait, avec ses compères #Élie_Cohen et #Philippe_Aghion, également connus pour leur proximité avec l’Élysée, les « analyses simplistes » de l’Institut des politiques publiques (IPP) et de l’Observatoire français des conjonctures économiques (OFCE), qui avaient osé critiquer les réformes sur la #fiscalité_du_capital d’Emmanuel Macron. Malheureusement, le comité d’évaluation officiel, composé de membres dont l’orthodoxie n’est pas douteuse, n’a pas réussi à tirer de conclusions plus favorables, malgré ses efforts…

      Un soutien appuyé à la réforme des retraites de 2023

      Avec une telle pensée, Gilbert Cette ne pouvait être qu’un adepte de la réforme proposée par Emmanuel Macron en début d’année 2023. Le report à 64 ans de l’âge minimal de départ à la retraite répondait à plusieurs obsessions de cet économiste technocrate : la lutte contre les déficits, l’allongement du temps de travail, l’obsession d’une croissance « mécanique » liée à la quantité de travail.
      Car, dans le monde merveilleux de cet économiste de tableaux, le report de l’âge de départ à la retraite augmente automatiquement la quantité de travail fourni, et donc le PIB. Dans un texte publié dans Les Échos en octobre 2022, Gilbert Cette estimait ainsi que la réforme des retraites permettrait d’augmenter « la richesse moyenne produite par habitant, ce qui à la fois financerait une hausse du pouvoir d’achat moyen et, à taux de prélèvement inchangés, serait source spontanée d’impôts et taxes qui donnerait des marges de manœuvre saines à la politique économique ».
      Une formidable histoire, au point qu’on se demande pourquoi la réforme de 2010 n’a pas permis à la France de connaître une telle bouffée de prospérité. C’est peut-être qu’aucun des mécanismes rêvés par l’économiste n’a de réalité concrète.
      Mais peu importe, Gilbert Cette a, durant le débat sur la #réforme_des_retraites, défendu bec et ongles la réforme. Et c’est bien un des points les plus troublants de cette nomination : Gilbert Cette n’est pas resté neutre dans le débat sur les retraites. Il a été un des défenseurs les plus acharnés de la réforme.
      Dans un entretien accordé à L’Opinion en janvier 2023, il soutenait ainsi l’idée que la retraite était « très sociale ». Et d’ajouter, comme un écho au récit gouvernemental : « Tout le monde est gagnant, car c’est une réforme qui rend soutenable le régime de retraite, pour cela tout le monde fait un petit effort et l’effort demandé est plus faible pour les personnes aux carrières longues. »_ Des propos que l’on aurait pu mettre dans la bouche d’un ministre du gouvernement Borne.

      Avec un tel pedigree, il faut bien en convenir, le COR rentre désormais dans le giron du pouvoir. C’est une mise au pas en règle, avec la nomination d’un président qui a toujours défendu les positions gouvernementales. Le but est évident : il s’agit de produire des analyses « indépendantes » qui soient en accord avec le récit recherché par l’exécutif et d’éviter que ne se reproduisent des épisodes comme ceux où Pierre-Louis Bras a ouvertement mis en échec ce récit.

      Il convient ainsi de voir cette nomination pour ce qu’elle est : un épisode de plus dans la lente et continuelle dérive autoritaire d’un pouvoir qui ne supporte pas de se voir soumis à une contradiction et qui ne tolère « l’indépendance » que tant qu’elle lui donne raison. Jusqu’ici, le pouvoir niait et ignorait les études n’allant pas dans le sens de sa politique et montrant son caractère irrationnel. On a désormais, avec l’arrivée de Gilbert Cette à la tête du COR, franchi un cap : ce que l’on souhaite, ce sont des experts aux ordres.

      #expert

  • [pub] Les extraits du « Côté obscur de la force » : « Pendant la crise des “gilets jaunes”, jamais une surveillance aussi massive n’avait été déployée »

    Dans un livre qui paraît chez Flammarion mercredi 11 octobre, le journaliste Vincent Nouzille propose une enquête très fouillée sur ce qu’il appelle les « dérives du ministère de l’intérieur et de sa #police ». « Le Monde » publie en avant-première des extraits concernant le mouvement social qu’a connu la France en 2018.
    Par Vincent Nouzille

    Bonnes feuilles. C’est un secret d’Etat jusque-là bien préservé que nous dévoilons ici : en pleine crise des « #gilets_jaunes », les services de renseignement français ont mis sur #écoute et géolocalisé des milliers de #manifestants. Jamais une #surveillance aussi massive n’avait été déployée. Jamais autant d’individus en même temps n’avaient été concernés. Jamais de tels moyens techniques n’avaient été combinés pour savoir où des citoyens allaient se rendre, et tenter d’interpeller en amont ceux qui étaient suspectés, à tort ou à raison, de s’apprêter à commettre des violences.

    Selon les témoignages de plusieurs responsables de la police et du #renseignement, si le cadre légal a été formellement respecté, certaines de ces surveillances ont été décidées et avalisées sur la base de critères flous et dans la précipitation. « C’était la panique au sommet du pouvoir et dans les services, explique une source au ministère de l’intérieur. Le mouvement des “gilets jaunes” se transformait chaque samedi en insurrection. Il fallait sauver la République. Nous avons donc ratissé large1. »
    Au lendemain de la journée du 1er décembre 2018, où la violence est montée d’un cran, notamment à Paris avec le saccage de l’Arc de triomphe et au Puy-en-Velay avec l’incendie de la préfecture, le ministre de l’intérieur, #Christophe_Castaner, et son secrétaire d’Etat, #Laurent_Nuñez, décident de changer de stratégie. Ils exigent que le dispositif de sécurité soit plus mobile et demandent davantage d’interpellations en amont. Ils souhaitent surtout une surveillance ciblée de toute personne présumée violente. (…)

    Les services de renseignement ont déjà dans leurs radars des individus classés à l’ultragauche et à l’ultradroite, beaucoup étant « #fichés_S » (pour « sûreté d’Etat »). En revanche, la plupart des « gilets jaunes » sont inconnus. Dans les premiers temps, les services peinent à repérer des « leaders » d’un mouvement aussi éruptif que peu organisé. (…) Le préfet de police de Paris, Michel Delpuech, s’inquiète des activistes provinciaux que ses équipes ne connaissent pas et qui risquent de « monter » à Paris pour y semer des troubles chaque samedi.
    Face aux risques de désordre qui se propagent, les « gilets jaunes » étant insaisissables et se déplaçant sans arrêt, la donne change. « Nous allons maintenant travailler sur cette nouvelle population », glisse, de manière elliptique, Laurent Nuñez à propos des « gilets jaunes », lors d’une audition au Sénat le 4 décembre. Durant la seule journée du 8 décembre 2018, 724 personnes sont placées en garde à vue dans toute la France, souvent avant même qu’elles ne commencent à manifester. Les samedi 15 et 22 décembre, le même dispositif se reproduit. Les différents services ont commencé leur surveillance de certains manifestants considérés comme potentiellement dangereux. Et cela avec l’aval des plus hautes instances, qui ont donné leur feu vert à l’emploi massif des « techniques de renseignement », les « TR » dans le jargon des initiés. (…)

    L’emploi des #techniques_de_renseignement ne peut être justifié que pour la défense nationale, la protection des intérêts majeurs du pays, la lutte contre l’espionnage économique et scientifique, la prévention du terrorisme, du crime organisé et de la prolifération d’armes de destruction massive. Mais elles sont aussi autorisées pour la prévention des « atteintes à la forme républicaine des institutions », de la « reconstitution de groupements dissous » ou des « violences collectives de nature à porter gravement atteinte à la paix publique ». C’est principalement ce dernier motif – appelé « 5-C » par les spécialistes, et déjà employé lors de l’évacuation de la #ZAD_de_Notre-Dame-des-Landes au printemps 2018 – qui va être utilisé à grande échelle lors de la crise des « gilets jaunes ».

    En décembre 2018, les requêtes de « TR » affluent brutalement (…). Même si les données publiées dans les rapports annuels de la CNCTR [Commission nationale de contrôle des techniques de renseignement] sont imparfaites, elles donnent un aperçu de cette montée. Les demandes motivées par la « prévention des violences collectives » passent de 6 % de l’ensemble des requêtes en 2017 à 14 % en 2019, ce qui représente une augmentation de 133 % et un cumul de plus de 20 000 demandes en trois ans2 ! Dans le détail, le compteur des « géoloc », déjà en forte croissance les années précédentes, s’affole, passant de 3 751 demandes en 2017 à 5 191 en 2018, puis à 7 601 en 2019, soit un doublement en deux ans et la plus forte progression des techniques de renseignement. Quant aux écoutes, elles se multiplient aussi sur la même période, passant de 8 758 en 2017 à 12 574 en 2019, soit une croissance de 43 % en deux ans. Globalement, cette surveillance a concerné au moins 2 000 personnes entre fin 2018 et fin 2019. (…)

    La pression est telle que le centre d’écoute, basé aux Invalides, doit faire appel à des renforts d’effectifs pour les week-ends. De plus, le nombre de lignes téléphoniques écoutées simultanément a rapidement atteint le maximum autorisé3, ce qui a conduit Matignon à rehausser ce contingent en juin 2019 pour atteindre 3 800 lignes, dont 3 050 réservées au ministère de l’intérieur. Les « grandes oreilles » sont employées à grande échelle.
    Au siège de la CNCTR, un bâtiment sécurisé caché au fond d’un jardin de la rue de Babylone, dans le 7e arrondissement, la tension est maximale chaque fin de semaine à partir de décembre 2018. (…) « C’était l’enfer. Tous les services voulaient un feu vert dans la soirée de vendredi. La Commission n’avait pas forcément le temps de vérifier les motivations indiquées dans les centaines de demandes », précise un de ses membres, qui n’a pas eu son mot à dire sur ces décisions.

    (…) Beaucoup de manifestants ciblés sont ainsi repérés en direct, dans leurs déplacements en voiture, en train, jusqu’à Paris, ou vers d’autres grandes métropoles où se déroulaient des rassemblements importants. Ignorant qu’ils sont géolocalisés grâce à leur téléphone, certains sont interpellés sur les routes, aux péages, dans les gares ou près des lieux de leur résidence. Seize personnes, présentées par la police comme des « black blocs » ou des « ultrajaunes », seront arrêtées à 12 h 30 le samedi 7 décembre 2019, dans une maison louée avenue du Général-Leclerc, au Bouscat, près de Bordeaux, et les locaux perquisitionnés.
    Leur localisation a été rendue possible, affirmeront les enquêteurs, grâce à la découverte faite dans la nuit de tags anti-police peints dans le quartier et sur la foi d’« investigations d’environnement » effectuées le matin même. Mais les détails de ces « investigations d’environnement » ne seront pas versés en procédure, car, selon l’officier de police judiciaire chargé de l’enquête, elles « provenaient d’informations classifiées ». Ce qui correspond à des renseignements de surveillance émanant des services.

    La #géolocalisation permet également de suivre le parcours des « cibles » durant les manifestations. Les trajets sont visualisés en direct sur des écrans. (…) Chaque cible est alors colorée selon son appartenance présumée : rouge pour des cibles de l’ultragauche, bleu pour l’ultradroite. (…)

    D’autres « gilets jaunes » font l’objet d’un traçage en direct hors des manifestations habituelles du samedi. Le dimanche 14 juillet 2019, juste avant le défilé traditionnel des armées sur les Champs-Elysées, les services reçoivent des alertes sur la présence de « gilets jaunes » dans les parages, alors que le périmètre a été interdit à toute manifestation sur ordre du préfet de police. Plus grave : ils soupçonnent une attaque contre le président de la République, Emmanuel Macron. Au vu du risque de « trouble grave à l’ordre public », des surveillances téléphoniques sont aussitôt autorisées, pour quelques jours, sur plusieurs cibles, avant d’être levées faute de menaces avérées. Coïncidence ? Ce jour-là, parmi les près de 200 personnes interpellées dans Paris en marge du défilé, trois leaders connus des « gilets jaunes », Eric Drouet, Maxime Nicolle et Jérôme Rodrigues, sont arrêtés dès le matin aux alentours des Champs-Elysées et placés en garde à vue, avant d’être relâchés dans l’après-midi, une fois les procédures lancées ou classées sans suite. Les techniques de surveillance sont également utilisées de manière intensive pour repérer les manifestants contre le sommet du G7 qui se tient à Biarritz du 24 au 26 août 2019. (…)

    La fin du mouvement des « gilets jaunes » en 2020, suivie de la longue crise sanitaire, n’a pas stoppé cette surveillance ciblée. Au contraire. Selon les données de la CNCTR, chargée de filtrer les requêtes des services, les demandes d’écoutes et de poses de balises pour tous types de motifs sont restées stables à un niveau élevé depuis 2020. Celles portant sur des intrusions dans des lieux privés ont fortement augmenté, tout comme celles sur la captation de données informatiques. Quant aux demandes de géolocalisation en temps réel , très prisées lors des manifestations, elles ont continué leur irrésistible ascension, de 7 601 en 2019, jusqu’à 10 901 en 2022 , un nouveau record.

    Notes de bas de page :
    1- Entretiens avec l’auteur. La plupart des sources de ce prologue ont requis l’anonymat, vu le caractère sensible des informations livrées ici. Les dates des entretiens ne sont pas précisées.
    2 - Nombre des requêtes de TR motivées par les motifs de prévention des violences collectives : 4 226 en 2017 (soit 6 % du total des 70 432 demandes) ; 6 596 en 2018 (soit 9 % des 73 298 demandes) ; 10 296 en 2019 (soit 14 % du total des 73 543 demandes). Source : rapports annuels de la #CNCTR.
    3 - Le contingent d’écoutes était de 3 040 depuis 2017, déjà passé à 3 600 en juin 2018.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/les-extraits-du-cote-obscur-de-la-force-pendant-la-crise-des-gilets-jaunes-j
    les (...) du texte sont du journal

    edit #police_politique #solutionnisme_technologique #écologie_radicale #SLT #extinction_rebellion ...

    #manifestations #livre

    • « Le Côté obscur de la force », enquête sur la part d’ombre des pratiques policières
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/09/le-cote-obscur-de-la-force-enquete-sur-la-part-d-ombre-des-pratiques-policie

      L’enquête de Vincent Nouzille qui paraît le 11 octobre chez Flammarion fait la lumière sur deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les libertés publiques : la multiplication des entraves au droit de manifester et le développement de la surveillance de masse.

      Livre. Depuis P… comme police, d’Alain Hamon et Jean-Charles Marchand (Alain Moreau, 1983), les livres d’enquête sur une institution aussi décriée que propice aux fantasmes n’ont pas fait défaut. Il manquait toutefois, dans ce catalogue, un ouvrage consacré aux plus récentes années, un livre qui serait à la fois une mise en perspective de maux endémiques (comme la difficulté à admettre l’existence de violences policières, fussent-elles répétées et objectivées) et un exercice d’analyse prospective sur des pratiques policières renouvelées, bien souvent inquiétantes. Vincent Nouzille, journaliste rompu aux investigations documentées, comble cette lacune en explorant Le Côté obscur de la force (Flammarion, 512 pages, 23 euros).
      Si elle n’oublie pas les figures imposées et traite notamment de la persistance de réseaux d’influence souterrains au sein du ministère de l’intérieur, son enquête aide avant tout à mettre en lumière deux tendances de fond aux lourdes conséquences sur les #libertés_publiques. La première tient à la multiplication des entraves au #droit_de_manifester grâce à la mobilisation de toutes les ressources judiciaires possibles, parfois au moyen de procédés à la limite du dilatoire. La seconde tendance concerne la mise en œuvre de techniques de surveillance de masse.
      Noyés dans les rapports officiels et les interventions des autorités policières, les chiffres exhumés par l’auteur montrent que des milliers d’individus ont fait l’objet d’une surveillance étroite, une vaste entreprise de « renseignement » décidée au plus haut sommet de l’Etat lors de la crise des « gilets jaunes » et prolongée depuis. La pérennisation de ces techniques fait craindre une extension du domaine panoptique, rendue probable par le test grandeur nature des Jeux olympiques et paralympiques de Paris en 2024. « Il est assez vraisemblable, prévient Vincent Nouzille, que les enseignements qui en seront tirés inciteront ses promoteurs, notamment toute la filière de la sécurité qui piaffe d’impatience, à vouloir en tirer parti pour passer à la vitesse supérieure. » Et accélérer un mouvement, manifestement déjà bien engagé, de surveillance généralisée.

      "Ils ne peuvent plus s’en passer" : un livre révèle une "flambée" des écoutes depuis les "gilets jaunes"
      https://www.radiofrance.fr/franceinter/ils-ne-peuvent-plus-s-en-passer-un-livre-revele-une-flambee-des-ecoutes-

      (...) il y a eu au moins 2.000 personnes écoutées ou géolocalisées pendant la crise des « gilets jaunes ». Jamais on n’avait écouté autant de monde en même temps lors d’une crise sociale. Cela a permis aux services de renseignement et services de police, d’une part d’écouter, mais surtout de suivre les #mouvements de ces manifestants et d’en interpeller certains en amont des manifestations. Cela a été, selon eux, extrêmement efficace. Les [représentants] officiels me disent que tout a été fait dans les règles. Mais vu le nombre de demandes et vu, surtout, l’afflux soudain des demandes, nous pouvons nous poser des questions sur les contrôles qui ont pu être exercés en la matière."

      Vous montrez également que cette surveillance n’a pas pris fin après cet épisode des « gilets jaunes »...

      "On aurait pu croire qu’avec la fin de la crise des « gilets jaunes », début 2020, cette surveillance diminue. Or, ce n’est pas du tout ce qui s’est passé, au contraire. En fait, les responsables du service de renseignement m’ont confié qu’ils y avaient pris goût et ne pouvaient plus se passer des écoutes, et surtout des géolocalisations en temps réel, qui permettent de savoir où sont les personnes que l’on veut surveiller. Le nombre des personnes qui ont été surveillées "au titre des violences collectives", comme on dit dans le jargon, a atteint 3.500 en 2021, c’est à dire trois fois plus qu’en 2017. Nous avons donc bien eu une extension de la surveillance à un nombre beaucoup plus grand de personnes.

      Il y a ensuite eu un léger repli en 2022, mais, début 2023, je révèle qu’il y a eu un nouvel accord de la Commission nationale des techniques de renseignement pour élargir les critères de la surveillance et des possibilités d’écoutes à des personnes qui font partie des mouvements de l’écologie radicale. C’est le cas de certains membres des Soulèvements de la Terre, d’Extinction rébellion et d’autres, notamment toutes les personnes qui ont lutté contre les méga-bassines. Cette commission a décidé fin 2022, début 2023, de changer les critères et d’accepter un certain nombre de demandes des renseignements qu’elle avait jusqu’alors refusées. Par exemple, lorsqu’a eu lieu la première manifestation à Sainte-Soline, en octobre 2022, les services de renseignement avaient fait des demandes d’écoute d’un certain nombre de leaders des mouvements, et cela n’avait pas été accepté par cette commission. Mais vu la violence et les incidents qui ont eu lieu fin octobre, l’intrusion ensuite dans la cimenterie Lafarge, près de Marseille, qui a eu lieu en décembre, et d’autres incidents de ce type, cette Commission de contrôle des techniques de renseignement a décidé d’élargir les critères d’écoute en acceptant désormais des cas de demandes de personnes qui sont susceptibles de commettre des violences non pas physiques, mais des #violences_matérielles, de destruction, de #sabotage."

      #justice #enquêtes_judiciaires #JO #gendarmerie #Service_central_de_renseignement_territorial #RT

  • Manu le #gilet_jaune
    http://carfree.fr/index.php/2023/09/26/manu-le-gilet-jaune

    On attendait (ou pas) depuis des mois un soi-disant projet de #planification écologique qui allait mettre enfin la France sur la voie d’une prise de conscience écologique et on obtient… Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #bagnole #carburant #critique #Emmanuel_Macron #humour #politique #subventions #transition_énergétique #voiture_électrique

    • J’ai d’ailleurs toujours été épaté par ce miracle du libéralisme : les riches qui contestent sans cesse les impôts sont les premiers à récupérer des milliers d’euros d’argent public sous forme de bonus automobile pour acheter leur deuxième ou troisième voiture électrique pour madame ou les enfants. Et tous ceux qui gagnent juste assez pour payer des impôts sont en général bien incapables de débourser les sommes monstrueuses demandées pour s’équiper d’une voiture électrique, même en comptant le bonus. En fait, la plupart des gens qui roulent en diesel payent des impôts pour que les professions libérales comme les chefs d’entreprise, les médecins, avocats, etc. s’achètent des voitures électriques grâce aux subventions publiques…

      Etonnant, non ? A une époque, l’impôt servait à prendre de l’argent aux riches pour le reverser aux pauvres. Aujourd’hui, on prend surtout aux pauvres pour financer le train de vie des riches… Mais bon, vous saviez déjà tout ça si vous avez vu la réception royale de Charles III à Versailles…

      C’est pourquoi, nous conseillons à « Manu le gilet jaune » de relire le texte magnifique d’André Gorz sur la bagnole écrit en 1973 et dont voici la première phrase : « Le vice profond des bagnoles, c’est qu’elles sont comme les châteaux ou les villa sur la Côte : des biens de luxe inventés pour le plaisir exclusif d’une minorité de très riches et que rien, dans leur conception et leur nature, ne destinait au peuple. »

  • Une France bouclée John R. MacArthur - Le Devoir

    Pour ne pas dire plus, la France traverse une crise politique et culturelle de grande ampleur. La réforme des retraites, la mort de Nahel Merzouk, abattu par un policier, la violence qui en a résulté dans la rue, la violence rhétorique qui émane des rangs de l’Assemblée nationale — tout signale une inversion des « valeurs républicaines » vantées par les politiciens de toutes allégeances. La beauté philosophique de la France — incarnée par le concept essentiel de la fraternité — cède le pas à une laideur d’esprit qui se traduit par une métaphorique défiguration du corps politique et du contrat social.

    Bizarrement, le monde extérieur agit comme si de rien n’était. Les touristes étrangers continuent d’inonder les lieux iconiques de l’Hexagone, et en si grand nombre que le gouvernement a lancé un programme pour réguler le « surtourisme ». Nulle part ce surtourisme n’est-il plus mis plus en évidence qu’au pied de la tour Eiffel ; nulle part le déclin de l’idéal républicain à la française n’est-il plus frappant.

    Comment ça ? Le pourrissement de la République n’est-il pas surtout démontré par l’inégalité des banlieues comme celle de « Nahel M. », par l’isolement des pauvres immigrants arabes et africains, ainsi que les petites gens démunis des villes et villages oubliés qui ont créé le mouvement des gilets jaunes ? D’une part, oui. Cette France que ni les touristes ni Emmanuel Macron ne connaissent est une tumeur attisée par l’indifférence des élites.

    Cependant, la belle France, celle des Lumières, donne toujours le meilleur d’elle-même quand elle exsude son assurance, c’est-à-dire une authentique croyance sans peur — en la liberté, en l’égalité et en la fraternité. La tour Eiffel est le symbole parfait de cette confiance populaire — brillante ingénierie ouverte sur le monde érigée pour l’Exposition dite universelle de 1889 —, un phare dédié dans une certaine mesure à la liberté d’imaginer et de réfléchir. Aujourd’hui, cette magnifique structure est enfermée derrière un hideux mur de verre pare-balles afin de protéger les visiteurs contre le « terrorisme ».

    Depuis l’aboutissement de ce projet sécuritaire, le parcours aléatoire et aisé sous la tour — à mon avis aussi le meilleur poste d’observation pour l’apprécier — est interdit. Pour ne serait-ce qu’accéder à l’esplanade, il faut se plier à un contrôle de sécurité (bien que son accès reste gratuit). Pire encore peut-être, ce bouclage a ruiné la promenade agréable qui faisait partie intégrante du charme du Champ-de-Mars.


    En pleine pandémie, la société de préservation SOS Paris a expliqué les dégâts collatéraux de cette décision : « Pendant que les Parisiens étaient cruellement privés d’espaces verts [… ], d’importants travaux de terrassement avaient lieu dans les allées latérales de la tour Eiffel. Les millions de visiteurs doivent désormais s’entasser pour franchir les sas de sécurité, comme dans un aéroport. Ceux-ci ont été intégrés au grand mur de verre et de métal qui emprisonne et enlaidit depuis deux ans la vieille dame ainsi que les deux charmants jardins à l’anglaise, réduits à des zones de file d’attente. Ces allées n’ayant pas été conçues pour résister à une telle fréquentation, il a donc fallu… les bétonner. »

    Voisin à mi-temps de la vieille dame, je peux témoigner de l’effet esthétiquement ravageur de sa sécurisation sur elle. Faire le tour de la tour vous oblige à percer des phalanges de touristes et de vendeurs à la sauvette, tous pressés et confinés pour obéir aux forces de l’ordre. Déjà, l’image d’une France suffoquée, fermée et craintive est déprimante. Mais est-ce que ce vandalisme d’espace public est même une mesure de sécurité efficace ? Conçu à la suite des attentats terroristes de novembre 2015, dont celui du Bataclan, cet aménagement a été pensé par la préfecture de police et la mairie, qui ont voulu, selon Le Parisien, « renforcer » le site contre d’éventuels attentats et tueries de masse.

    Dans un premier temps, j’étais plutôt d’accord avec le sénateur Eugene McCarthy, qui estimait qu’entourer la Maison-Blanche d’une clôture pour empêcher l’approche d’assassins servait d’encouragement aux fous les plus ambitieux. En 1968, année d’extraordinaire violence en Amérique, McCarthy déclara que, s’il était élu président, il démantèlerait la clôture. Sans défi lancé à leur ingéniosité, les tueurs aspirants perdraient tout intérêt, assurait-il. Même teintée d’ironie, son idée était, au fond, sérieuse. 

    Comme l’a remarqué le journaliste Russell Baker en 1995, McCarthy avait compris que trop de sécurité s’avérait finalement autodestructeur, le rêve d’une sécurité absolue n’étant en effet rien de plus qu’un… rêve. Ce qu’Oussama ben Laden a illustré le 11 septembre 2001 (ainsi que les assassins de Charlie Hebdo, 14 ans plus tard), c’est que l’imprévu et l’audace ont toujours un avantage contre la technologie, même la plus haute, de même que contre la surveillance, même la plus attentive.

    Le nouvel édifice de protection de la tour Eiffel dessiné par l’architecte Dietmar Feichtinger se veut transparent — il l’est, littéralement —, mais c’est également un leurre. On n’a qu’à penser à la tentative d’assassinat contre le maire de L’Haÿ-les-Roses durant les récentes émeutes pour démasquer les experts en sécurité trop sûrs d’eux. Là-bas, une voiture-bélier en feu lancée par des « terroristes » a défoncé le portail du domicile du maire. Les auteurs ont ensuite incendié la voiture familiale avec l’intention, presque réussie, de mettre le feu à la maison et d’en tuer ses habitants.

    Je suis tout à fait favorable à la prudence civique. En revanche, j’appuie le grand Russell Baker quand il dit ceci : « Chaque renforcement de ce qu’on appelle la sécurité augmente le risque qu’un autre morceau de liberté soit sacrifié pour en payer le prix. » Ainsi qu’un morceau de l’âme nationale, pourrait-on ajouter.

    John R. MacArthur est éditeur de Harper’s Magazine. Sa chronique revient au début de chaque mois.

    #France #macron #émmanuel_macron #néolibéralisme #capitalisme #idéologie #sécurité #crise #GJ #gilets_jaunes #nahel #retraites #laideur #défiguration #vandalisme #Paris #PS #anne_hidalgo

    Source : https://www.ledevoir.com/opinion/chroniques/795804/chronique-une-france-bouclee

  • « Aujourd’hui mes #idéaux comptent plus que ma carrière » : #CRS depuis 12 ans, #Laurent_Nguyen préférerait renoncer à son métier qu’à son #humanité

    "Je m’appelle Laurent Nguyen, j’ai 44 ans, #gardien_de_la_paix et affecté en CRS depuis 12 ans. Moi, j’ai pris la décision d’entrer dans la #police quand j’avais 30 ans. J’avais des idées assez proches de l’#extrême_droite, et pour moi, la #sécurité était la première des #libertés qu’on devait garantir. On a tendance à considérer que les #manifestants sont complices des #casseurs. Et puis c’est une manière de se protéger psychologiquement, de se dire : ’De toutes façons, ils n’avaient qu’à pas être là, il y a un ordre de dispersion, il y a des casseurs. Donc, le #droit_de_manifester, bon, ça fait partie de la loi, effectivement, mais à un moment donné, on ne peut pas avoir des manifs tout le temps. Il y a des gens qui sont élus, bah si vous n’êtes pas contents, c’est comme ça’. J’étais dans ce logiciel-là, ça m’allait très bien.
    J’ai été vite déçu en CRS, déjà de ne pas trouver la cohésion que j’espérais trouver. Quand vous arrivez, que vous pensez sauver la France, que vous êtes confrontés aussi au désespoir de certains collègues dans des commissariats qui travaillent dans des conditions abominables. C’est difficile à vivre en tant que policier, ce sentiment d’#impuissance.
    J’ai le souvenir d’une mission à #Calais. On intervient un matin très tôt pour évacuer des migrants qui dorment dans la forêt. Et j’ai en face de moi un garçon qui a trois ans, qui a l’âge de mon fils. Et moi, je pense à mon fils, et que tu laisse ton humanité ressortir, tu te dis : ’Quelle #injustice pour cet enfant d’être là, dormir dans une forêt boueuse de #Dunkerque.' C’est pas normal qu’on en arrive là. Moi, j’en suis arrivé à vivre une très profonde #dépression. Je suis passé pas loin de me foutre en l’air. Et donc moi, après avoir vécu cette période, où je prends le choix que mon fils ait un père, bah, qu’est-ce que je peux lui transmettre ?
    Au départ du mouvement des #gilets_jaunes, j’ai tout de suite éprouvé de la sympathie pour ces gens, parce que c’étaient des revendications qui semblaient tout à fait légitimes. Je pense que beaucoup de policiers ont ressenti aussi cette sympathie, cette proximité. Il y avait une gêne chez beaucoup de mes collègues, et quand on a eu les premières scènes de violence, qui ont été diffusées dans les médias, moi, j’ai eu le sentiment qu’il y avait une forme de soulagement chez certains policiers, parce que ça leur permettait de régler un petit peu ce #problème_de_conscience en désignant un #ennemi. Moi, qui avait pris parti publiquement au sein de ma compagnie en faveur des gilets jaunes, parce que je défendais leurs revendications qui selon moi étaient justes, j’ai commencé à voir des collègues qui m’ont pris à partie, en me reprochant de soutenir les gilets jaunes, parce que si tu soutiens les gilets jaunes, tu soutiens les casseurs. Vous avez des gens qui ne peuvent même plus offrir des cadeaux de Noël à leurs enfants, qui ne peuvent pas les emmener en vacances, qui perdent leur boulot, qui ne savent pas comment ils vont s’en sortir, qui n’ont plus d’espoir. Est-ce qu’on peut comprendre aussi qu’à un moment donné ils puissent péter les plombs ? Alors il y en a qui disent que #réfléchir, c’est #désobéir, ou alors qu’il ne faut pas avoir d’états d’âme. Mais moi, je ne veux pas me priver de mon #âme, je ne veux pas me priver de ma #conscience, et moi, on m’a souvent reproché d’être un #idéaliste, comme si c’était une tare. Mais aujourd’hui je le revendique. Oui, j’ai des idéaux et aujourd’hui oui, mais idéaux comptent plus que ma #carrière et comptent plus que mon avenir personnel. Si je dois perdre mon boulot, bah, je perdrai mon boulot. C’est trop précieux pour moi de m’être trouvé, d’avoir trouvé mon humanité pour courir le risque de la perdre.

    https://twitter.com/ARTEfr/status/1684820991116185600

    Source : le #film_documentaire diffusé sur arte :
    Au nom du #maintien_de_l'ordre


    https://www.arte.tv/fr/videos/101352-000-A/au-nom-du-maintien-de-l-ordre-1-2
    ... qui n’est plus disponible sur le site web d’arte (et que je n’a pas trouvé ailleurs en ligne)

    #travail #forces_de_l'ordre #témoignage #France #liberté #déception #conditions_de_travail

    –—

    ajouté à la #métaliste de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier. Pour dénoncer ce qu’ils/elles font et leurs collègues font, ou pas :
    https://seenthis.net/messages/723573

    • #flic, formellement il ne l’est plus depuis deux ans je crois, ex syndicaliste policier, son discours est rodé de manière à présenter les policiers comme victimes de l’administration policière et de leurs supérieurs.

      edit lorsque je ne savais rien de lui, j’avais trouvé son témoignage émouvant, tiens un facho dont le travail ignoble fait évoluer les vues ? là, je vois ces choses comme un marketing qui vise à humaniser la police et me souviens que ces animaux de plateaux sont occupé à faire mentir un dicton adapté au cas ( « flic suicidé à moitié pardonné », winch means : il n’y a pas de pardon qui tienne) en venant se faire aimer. leur pub, c’est un peu comme si il fallait publier du Cantat une fois par semaine. y a un moment où la prise de conscience c’est de fermer sa gueule.
      #hochet_de_gauche #ouin_ouin

  • Gilberto Gil au Marseille Jazz des Cinq Continents
    https://www.radiofrance.fr/fip/podcasts/live-a-fip/gilberto-gil-au-marseille-jazz-des-cinq-continents-2707390

    Après le concert de la chanteuse américaine Samara Joy, notre première soirée live en direct des Jardins du Palais Longchamp au Marseille Jazz des Cinq Continents se poursuit avec l’immense Gilberto Gil, artiste révolutionnaire tant dans sa musique que dans ses engagements politiques. En plus d’un demi-siècle de carrière, Gilberto Gil a fait rayonner la culture brésilienne sur la planète. « Je savais vraiment que la musique était mon langage. Que la musique me ferait découvrir le monde et m’emmènerait vers d’autres contrées, car je pensais avoir la musique de la terre et la musique du ciel ».

    Figure majeure de la Música Popular Brasileira (MPB) dans les années 60, il a été le père, avec Caetano Veloso, du tropicalisme, un mouvement qui a suscité le mécontentement de la dictature et forcé les deux artistes à s’exiler un temps à Londres. Ministre de la Culture en 2002, guitariste et chanteur originaire de Salvador de Bahia, ses actions ont été reconnues par plusieurs nations qui lui ont décerné le titre d’Artiste de la Paix par l’UNESCO en 1999. À 81 ans, Gilberto Gil continue de défendre la liberté et de militer pour l’environnement avec sa musique sans frontière.

    https://rf.proxycast.org/638cb3a9-1d83-4d1d-b628-7fea2cf3cc31/13416-25.07.2023-ITEMA_23446522-2023Y21958S1206-21.mp3

    #musique #jazz #samba #MPB #Brésil #live #Gilberto_Gil #FIP

  • Maintenant en librairie :
    https://entremonde.net/sur-les-gilets-jaunes

    Le mou­ve­ment des Gilets jaunes est trop étrange pour qu’on puisse y voir un verre à moitié plein ou à moitié vide. Ne res­sem­blant à rien de déjà vu, il ne suffit pas de lister ce qui lui aurait manqué pour qu’il cadre avec des sché­mas préé­ta­blis ; on peine même, a pos­te­riori, à l’inté­grer aux théo­ries pré­dic­ti­ves qui, d’ailleurs, ne l’avaient pas vu venir. Le phé­no­mène est pour­tant connu, mais il sur­prend tou­jours : il arrive, par­fois, que les pro­lé­tai­res ne fas­sent rien comme prévu, et c’est très bien... mais cela n’est pas sans géné­rer quel­ques inquié­tu­des. Le trop de réa­lité excède tou­jours…

    #France #GiletsJaunes

  • #Yassine_Bouzrou, #avocat : « Il n’y a pas de problème policier en France, il y a un problème judiciaire »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/05/yassine-bouzrou-il-n-y-a-pas-de-probleme-policier-en-france-il-y-a-un-proble

    Pour moi, il n’y a pas de problème #policier en France, il y a un problème #judiciaire. Tant que la justice protégera d’une manière aussi flagrante les policiers, ils n’auront aucune raison de modifier leur comportement. La responsabilité est d’abord judiciaire. Si, demain, la justice décidait, comme elle le fait en matière de #violences_policières, de prononcer des non-lieux dans toutes les affaires de stupéfiants par exemple, on risquerait d’avoir une explosion du trafic de stupéfiants en France. Dans les faits, comme il y a une #impunité_judiciaire presque complète, il est logique que les actes de violences policières se multiplient. Or, il y a eu une #aggravation des violences policières illégitimes ces dernières années, avec l’impunité totale dans les dossiers de « #gilets_jaunes » éborgnés au #LBD [lanceur de balles de défense], avec l’augmentation du nombre de morts du fait de la loi de 2017 sur les refus d’obtempérer. La justice n’a jamais été aussi radicale dans l’#exonération des policiers.

    Pour moi, l’#IGPN, c’est un faux problème. Conduire des enquêtes pénales suppose de faire appel à des officiers de police judiciaire, eux seuls peuvent placer en garde à vue et conduire des investigations importantes. Remplacer l’IGPN signifiera qu’on changera de nom, c’est tout. Le problème, c’est que l’IGPN ne travaille pas pour les #avocats, mais pour les procureurs, et travaille surtout pour le ministère de l’intérieur. Comme l’IGPN a la double casquette, administrative et judiciaire, ils disent, dans leurs conclusions, s’il y a eu ou non une faute commise, donc ils portent un jugement. Ensuite, il est très facile pour un magistrat de se ranger derrière l’avis de l’IGPN, en expliquant qu’aucune faute n’a été commise, et donc de classer sans suite ou de rendre un non-lieu.

    • En quoi c’est un faux problème puisque dans pas mal de pays l’IGPN locale ne dépend pas du même ministère, c’est vraiment indépendant. C’est bien une énorme différence que juste le nom, de pas dépendre de la même hiérarchie du tout et d’avoir un organisme plus indépendant (dans la mesure du possible, ça reste le même gouvernement).

    • Des premières communications des parquets jusqu’à l’utilisation de l’#IGPN ou des expertises, tout est fait pour criminaliser nos clients et protéger les forces de l’ordre. Nous avons un mal fou à obtenir les dossiers des policiers. Cela serait pourtant important. Ont-ils déjà fait usage de leurs armes ? Ont-ils déjà été l’objet de plaintes ? D’enquêtes ? Dans l’affaire Traoré, il a fallu cinq ans pour obtenir, non pas les dossiers, mais une synthèse de l’#IGGN [inspection générale de la gendarmerie nationale] sur leur parcours. Dans l’affaire Zineb Redouane, nous n’avons rien. Dans un dossier de tir de LBD dans la tête d’une enfant à Chanteloup-les-Vignes (Yvelines), nous avons demandé que l’ADN soit prélevé sur le projectile – que la famille avait remis à la police. La justice a refusé. Puis elle a conclu à un classement sans suite pour défaut d’identification du tireur.

      Nous sommes aussi confrontés à des faux sur les procès-verbaux. Dans un dossier à Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis), par exemple, d’un homme tabassé par un policier, ce dernier avait rédigé un PV – complètement faux – sans savoir qu’il était filmé. Il avait été renvoyé devant le tribunal correctionnel et non devant la cour criminelle. Il a fallu se battre pour obtenir qu’il soit jugé pour faux en écriture. Les peines, lorsqu’il y a un procès, sont aussi, très souvent, trop légères. Même lorsqu’ils sont convaincus de la culpabilité des policiers, les magistrats ont tendance à requérir du sursis. Le slogan « Pas de justice, pas de paix » a du sens. Or, il n’y a aucune justice en matière de violences policières illégitimes.

      https://justpaste.it/bnl4t

      #Police #justice #impunité #immunité

    • ce qu’il dit, @rastapopoulos, c’est que si la justice ne sanctionne pas ces fonctionnaires (au moyen de peines diverses, y compris des interdictions d’exercer, des interdictions d’utilisation d’une arme) il n’y aura - sauf exception et a minima -pas de sanction dont l’institution policière elle-même serait à l’origine en cas d’excès de pouvoir, d’abus, de délit ou de crime à l’encontre des justiciables, que c’est à la justice de protéger les justiciables et de traiter les fonctionnaires de policiers comme des justiciables.

      il essaie de creuser une brèche dans et contre la justice comme institution policière, de tordre ce bras de la police. c’est du moins -peut-être est-ce « optimiste » -ce que je comprends.

    • @rastapopoulos
      il me semble que le discours s’entende, voire est même stratégique. L’idée, comme détaillée par @colporteur, est que tant que la justice ne punit pas les mauvais élève, il n’y a aucune raison que cela change, quand bien même les enquêtes seraient menées sérieusement ou que l’IGPN serait un organisme indépendant (les juges sont libres ensuite de suivre, ou non, ses recommandations).

      Il est peut-être d’autant plus stratégique de raisonner ainsi, que les magistrats pourraient être sensibles à ces critiques, issues de praticiens des cours de justice. En tant qu’avocat impliqué depuis plus de 15 ans sur ces cas de violences policières (avec notamment Arie Alimi), il estime en tout cas que c’est par cette brèche qu’il est plus probable de pouvoir avancer sur ces questions dans le cas français... je lui fait personnellement confiance et suis plutôt heureux de la médiatisation des arguments de la défense, qui est souvent relayée en second ordre.

    • Mort de Nahel : la troublante fiche de police qui relance la piste du mensonge
      https://www.leparisien.fr/faits-divers/mort-de-nahel-la-troublante-fiche-de-police-qui-relance-la-piste-du-menso

      Versée à l’enquête judiciaire, une fiche d’intervention mentionne que l’adolescent a foncé sur le policier auteur du tir mortel. Un comportement depuis remis en doute par la vidéo des faits. La famille de la victime y voit la preuve d’un mensonge policier.

      #Paywall... #faux_en_écriture_publique

    • Un comportement depuis remis en doute

      Même face à l’évidence, notre journaliste ne parvient pas à écrire « ...depuis remis en cause... ». Parce que la parole policière ne doit pas être remise en cause. Remise en doute, à la limite, mais encore faut-il qu’un juge se laisse convaincre, et alors, alléluia, on pourra passer à autre chose et faire comme si la vidéo n’avait jamais existé. Ou l’inverse. L’important étant de passer à autre chose, avec sursis.

    • la presse se fait fort de souligner que la défense Nahel avait pointé un « faux en écriture publique » de manière erronée puisque les premiers éléments policiers ne résultaient que d’échanges radios et de leur résumé (et non de PV). or voici que ce crime spécifique ressurgit mécaniquement. le travail de défense juridique des policiers impliqués avait commencé. il fallait étayer un scénario mensonger qui ne pouvait reposer sur les seules déclarations des concernés par une parole assermentée (qui prend valeur de preuve).
      pas de bol. la défense police s’est effondrée et doit se reconstruire.

      l’expression police criminelle désigne une caractéristique générale de l’institution.

  • Éborgnement de Jérôme Rodrigues : ce que révèlent les caméras-piétons des policiers
    https://www.index.ngo/enquetes/eborgnement-de-jerome-rodrigues-ce-que-revelent-les-cameras-pietons-des-policiers/#

    En janvier 2019, lors de l’acte XI des « gilets jaunes », Jérôme Rodrigues était éborgné par l’explosion d’une grenade de désencerclement. INDEX a obtenu accès à des centaines de vidéos et documents exclusifs, que nous avons analysés pour produire une reconstitution détaillée des circonstances de l’incident. Source : INDEX.ngo

    • D’après les études disponibles, la police française serait la seule en Europe à utiliser des grenades de désencerclement dans le cadre du maintien de l’ordre. La société civile alerte sur le sujet depuis des années. Selon Amnesty International : « Les grenades de désencerclement doivent être interdites lors des opérations de maintien de l’ordre car [c]es projectiles frappent de façon aléatoire les personnes avec un risque élevé de lésions graves. »

      Le Défenseur des Droits a lui aussi pointé du doigt l’utilisation de « cette arme susceptible de porter gravement atteinte à l’intégrité physique des personnes touchées », dans une décision rendue en 2019 sur le cas d’un manifestant blessé à Paris en 2016. Jacques Toubon, à la tête de l’institution à l’époque, avait alors invité le ministre de l’Intérieur à « engager une réflexion approfondie sur la pertinence de la dotation, pour les opérations de maintien de l’ordre, de cette arme. »

      Quelques mois plus tard, en septembre 2020, le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin avait annoncé le remplacement de la grenade à main de désencerclement (GMD) en dotation dans la police nationale par un nouveau modèle (GENL, pour Grenade à Éclats Non-Létaux), censé présenter « une moindre dangerosité » par rapport au modèle précédent.

      Pourtant, la comparaison des fiches techniques de ces deux modèles de grenades ne révèle pas différence essentielle sur le plan de leur dangerosité : la nouvelle grenade de désencerclement GENL reste une grenade dont les éclats sont susceptibles de porter gravement atteinte à l’intégrité physique des personnes se trouvant à proximité de son point d’explosion.

      Depuis le début du mouvement social contre la réforme de retraites en janvier 2023, au moins un nouveau cas de manifestant éborgné par l’explosion d’une grenade de désencerclement est à recenser, ainsi que des dizaines de nouveaux blessés.

  • L’engagement militant des #femmes : sortir de l’invisibilisation
    https://metropolitiques.eu/Sortir-de-l-invisibilisation-l-engagement-militant-de-femmes.html

    L’inscription des femmes dans les contestations contemporaines est au centre de ce nouvel épisode de l’émission Le #genre en ville. La sociologue Édith Gaillard interroge l’invisibilisation de l’engagement militant des femmes à travers les deux moments qu’ont été en #Allemagne et en #France les squats féministes d’obédience anarchiste et le mouvement des #gilets_jaunes. Émission : Le genre en ville Considérer l’inscription des femmes dans les mouvements sociaux et plus particulièrement dans ceux des squats #Podcasts

    / genre, #féminisme, femmes, #militantisme, gilets jaunes, #squat, Allemagne, #mouvement_social, (...)

  • À Lyon, des manifs contre la réforme des retraites s’en étaient pris au quartier huppé du 6e arrondissement et nombreuses furent les mobilisations be water dont la multiplicité (simultanée) et l’imprévisibilité avaient obéré l’aptitude policière à nasser et arrêter. Depuis le Premier mai, entre collaboration de la CGT, utilisation de l’ADN et de drones, la justice et la police travaillent...

    Caisse de So - Lyon @CaissedesoLyon
    https://twitter.com/CaissedesoLyon/status/1663257265921458200

    🚨Durant la manifestation/carnaval du 26 mai, un jeune homme a été interpellé à la Croix-Rousse. Les policiers auraient retrouvé son #ADN dans la quinquallerie Foussier qui a été pillé pendant la #Manifestation1erMai

    Déjà « connu des services » pour avoir incendié un véhicule de police pendant les #giletsjaunes et participé au saccage du local du PS en 2016, il a été placé en détention avant sa comparution immédiate demain à partir de 14h au tribunal.

    Plusieurs choses à retenir :
    ➡️ des enquêtes sont encore en cours pour les manfestations de mars, avril et mai. Par ex, un homme (arrêté et condamné pour une manif) s’est fait prequisitionner à la mi-mai et aura un procès l’année prochaine pour le 1er mai.
    Un autre manifestant a été arrêté le 16 mai, toujours pour la manifestation du 1er mai. Il a été écroué et est passé en comparuton immédiate le 19 mai.
    ➡️ si les policiers ne dispersent pas instantanément les rassemblements/manifs non-déclarées, c’est très certainement parce qu’ils passent au crible les participant-e-s pour essayer de mettre le grappin sur les gens qu’ils recherchent toujours🕵️‍♀️.
    ➡️ en cas de garde-à-vue pour le 1er mai ou autre, on a toujours rien à déclarer ! Et en cas de perquiz, c’est toujours bien si les enquêteurs ne trouvent pas 🧥🧣🧢👜 qui nous incriminent. À bon entendeur !
    Rdv le 6 juin dans la rue !

    Que s’est-il passé ce 1er mai à Lyon ?
    https://groupeantifascistelyonenvirons.com/2021/05/04/communique-suite-a-la-manif-du-1er-mai

    Le bloc avance lentement pour rester compact et ne pas se détacher du reste de la manif. Au bout de 300 mètres, Jackie, leader de l’UD #CGT de Lyon vient à l’avant de notre bloc et nous demande d’aller plus vite car ils n’arrivent pas à avancer. Le bloc accélère donc le pas mais nous réalisons que la CGT n’avance pas pour autant. Une personne vient nous voir et nous informe qu’elle aurait entendu un flic en civil, dire à un responsable de la CGT, qu’ils allaient procéder à des arrestations dans le bloc. Le bloc s’arrête pour attendre le reste de la manif, mais trop tard. La manœuvre entre CGT et police était déjà en place, un cordon de plusieurs dizaines de CRS encercle le bloc dans son dos. Le bloc comprend qu’il est en train d’être nassé, les banderoles se retournent pour faire face à cette ligne de police mais nous sommes entouré-es.

    Immédiatement une première charge fonce dans le Pink bloc et leur arrache les banderoles. Le bloc explose suite aux percées de flics par devant, à l’arrière et sur les cotés en simultanée. Les flics se replient aussitôt et le bloc se reforme pour se sécuriser. Il ressort les banderoles mais dans la foulée, une deuxième charge beaucoup plus violente est opérée. La CGT, qui n’a toujours pas bougé de sa ligne, regarde le spectacle, cacahuètes à la main.

    Lyon : deux individus interpellés « grâce à l’utilisation d’un drone » lors de la manifestation du 1er Mai
    https://www.lefigaro.fr/actualite-france/manifestations-du-1er-mai-deux-individus-interpelles-a-lyon-grace-a-l-utili

    Les drones de surveillance en appui aux forces de l’ordre font déjà leur effet à Lyon. Moins de deux heures après le départ de la manifestation du 1er Mai, les policiers ont interpellé deux individus repérés par un drone alors qu’ils allaient s’en prendre à la mairie du 7e arrondissement, a annoncé la préfecture.

    #police #drones #manifestation #arrestation #répression

  • Des « gilets jaunes » belges s’en prennent à des enseignes sponsors des JO de Paris La Libre
    Dans la nuit de mardi à mercredi, des « gilets jaunes » ont attaqué symboliquement plusieurs grandes enseignes en Wallonie, affirment-ils. Les principaux sponsors des JO de Paris étaient visés.

    https://www.lalibre.be/resizer/rHPbtdrbZaAOEgYv8k6ncX9N37c=/768x512/filters:format(jpeg):focal(251x197:261x187)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/ipmgroup/Z2OH55UGYFCXHDKOSR2XUTPHZY.jpg

    Le Carrefour de Jambes (Namur) a notamment été tagué. Selon les responsables de l’action, celle-ci se voulait solidaire avec celles de leurs homologues français dans le cadre de la réforme des retraites dans l’Hexagone.

    Les « gilets jaunes » de Namur affirment s’en être pris à « des dizaines » de magasins Carrefour et Decathlon, à Jambes, Wavre, Liège et Dinant. Sur celui de Jambes, où l’action a pu être constatée par Belga, un tag « Pas de retraites, pas de JO » a été peint sur la devanture. « Nous nous joignons à l’appel de nos camarades français qui veulent mener toutes les actions possibles contre des grosses sociétés, telles que Alibaba, Toyota, Allianz ou Coca-Cola qui engraissent leurs actionnaires sur le dos des travailleurs. Elles font leur publicité en finançant les JO 2024 », ont déclaré les militants. Ils entendent également démontrer leur solidarité avec leurs homologues français qui luttent contre la réforme des retraites, qui repousse de 62 à 64 ans l’âge légal de départ à la pension.

    #jo #jeux_olympiques #sponsors #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #retraite #retraites

    Source : https://www.lalibre.be/belgique/societe/2023/05/17/des-gilets-jaunes-belges-sen-prennent-a-des-enseignes-sponsors-des-jo-de-par

  • Où va la France ?

    La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales » juge Jean-François Bayart, professeur à l’IHEID, pour qui #Emmanuel_Macron vit dans une #réalité_parallèle et joue avec le feu.

    Où va la France ? se demande la Suisse. La mauvaise réponse serait de s’arrêter à la raillerie culturaliste des Gaulois éternels mécontents. La #crise est politique. Emmanuel Macron se réclame de l’ « extrême centre » qu’incarnèrent successivement, dans l’Histoire, le Directoire, le Premier et le Second Empire, et différents courants technocratiques saint-simoniens. Il est le dernier avatar en date de ce que l’historien Pierre Serna nomme le « poison français » : la propension au réformisme étatique et anti-démocratique par la voie de l’exercice caméral et centralisé du pouvoir.

    Le conflit des retraites est le symptôme de l’épuisement de ce gouvernement de l’extrême centre. Depuis trente ans, les avertissements n’ont pas manqué, que les majorités successives ont balayés d’un revers de main en criant aux corporatismes, à la paresse, à l’infantilisme du peuple. Administrée de manière autoritaire et souvent grotesque, la pandémie de Covid-19 a servi de crash test auquel n’ont pas résisté les services publics dont s’enorgueillissait le pays et qui lui fournissaient, au-delà de leurs prestations, une part de ses repères.

    Emmanuel Macron, tout à son style « jupitérien », aggrave l’aporie dans laquelle est tombée la France. Il n’a jamais rien eu de « nouveau », et sa posture d’homme « providentiel » est une figure éculée du répertoire bonapartiste. Il n’imagine pas autre chose que le modèle néolibéral dont il est le pur produit, quitte à le combiner avec une conception ringarde du roman national, quelque part entre le culte de Jeanne d’Arc et la fantaisie réactionnaire du Puy-du-Fou. Son exercice du pouvoir est celui d’un enfant immature, narcissique, arrogant, sourd à autrui, plutôt incompétent, notamment sur le plan diplomatique, dont les caprices ont force de loi au mépris de la Loi ou des réalités internationales.

    Ce pourrait être drôle si ce n’était pas dangereux. L’interdiction de l’ « usage de dispositifs sonores portatifs » pour éviter les casserolades des opposants, le bouclage policier des lieux où se rend le chef de l’Etat, le lancement de campagnes de rectification idéologique contre le « wokisme », la « théorie du genre », l’ « islamo-gauchisme », l’ « écoterrorisme » ou l’« ultra-gauche » sont autant de petits indices, parmi beaucoup d’autres, qui ne trompent pas le spécialiste des régimes autoritaires que je suis. La France est bel et bien en train de rejoindre le camp des démocraties « illibérales ».
    Un arsenal répressif à disposition des pouvoirs suivants

    D’aucuns crieront à l’exagération polémique. Je leur demande d’y regarder à deux fois en ayant à l’esprit, d’une part, l’érosion des libertés publiques, au nom de la lutte contre le terrorisme et l’immigration, depuis au moins trois décennies, d’autre part, les dangers que revêtent de ce point de vue les innovations technologiques en matière de contrôle politique et l’imminence de l’arrivée au pouvoir du Rassemblement national auquel les gouvernements précédents auront fourbi un arsenal répressif rendant superflues de nouvelles lois liberticides.

    Il n’est pas question, ici, de « bonnes » ou de « mauvaises » intentions de la part du chef de l’Etat, mais d’une logique de situation à laquelle il se prête et qu’il favorise sans nécessairement la comprendre. Macron n’est ni Poutine ni Modi. Mais il prépare l’avènement de leur clone hexagonal. Au mieux sa politique est celle de Viktor Orban : appliquer le programme de l’extrême droite pour éviter son accession au pouvoir.

    Sur fond d’évidement des partis de gouvernement, un « flibustier » – pour reprendre le qualificatif de Marx à propos du futur Napoléon III – s’est emparé du butin électoral à la faveur de la sortie de route de Nicolas Sarkozy, François Hollande, Alain Juppé, François Fillon, Manuel Valls. Il a cru « astucieux », pour continuer à citer Marx, de détruire « en même temps » la gauche et la droite pour s’installer dans le confort d’un face-à-face avec Marine Le Pen. Mais Emmanuel Macron n’a été élu et réélu que grâce au concours des voix de la gauche, soucieuse de conjurer la victoire du Rassemblement national. Son programme, libéral et pro-européen, n’a jamais correspondu aux préférences idéologiques que du quart du corps électoral, hormis même la part croissante des non-inscrits et des abstentionnistes qui sape la légitimité des institutions.
    Un président aveugle et méprisant

    Nonobstant cette évidence, Emmanuel Macron, ignorant de par son éducation et son itinéraire professionnel les réalités du pays profond, primo-élu à la magistrature suprême sans jamais avoir exercé le moindre mandat local ou national, a entendu faire prévaloir la combinaison schmittienne d’un « Etat fort » et d’une « économie saine » en promulguant ses réformes néolibérales par voie d’ordonnances, en court-circuitant les corps intermédiaires et ce qu’il nomme l’« Etat profond » de la fonction publique, en s’en remettant à des cabinets privés de conseil ou à des conseils a-constitutionnels tels que le Conseil de défense, en réduisant la France au statut de « start-up nation » et en la gérant comme un patron méprisant ses employés, « Gaulois réfractaires ».

    Une chroniquei : Les casseroles de Macron, un totem de plus dans la cocotte-minute

    Le résultat ne se fit pas attendre. Lui qui voulait apaiser la France provoqua le plus grave mouvement social depuis Mai 68, celui des Gilets jaunes dont le spectre continue de hanter la Macronie. La main sur le cœur, Emmanuel Macron assura, au début de la pandémie de Covid-19, avoir compris que tout ne pouvait être remis aux lois du marché. A plusieurs reprises, il promit avoir changé pour désamorcer l’indignation que provoquait sa morgue. De nouvelles petites phrases assassines prouvèrent aussitôt qu’il en était incapable. Il maintint son cap néolibéral et fit alliance avec Nicolas Sarkozy en 2022 pour imposer une réforme financière de la retraite en dépit de l’opposition persistante de l’opinion et de l’ensemble des forces syndicales, non sans faire fi de leurs contre-propositions.

    Face au nouveau mouvement social massif qui s’est ensuivi, Emmanuel Macron s’est enfermé dans le déni et le sarcasme. Il argue de la légitimité démocratique en répétant que la réforme figurait dans son programme et qu’elle a été adoptée selon une voie institutionnelle validée par le Conseil constitutionnel.
    Une réalité parallèle

    Sauf que : 1) Emmanuel Macron n’a été réélu que grâce aux voix de la gauche, hostile au report de l’âge de la retraite ; 2) le peuple ne lui a pas donné de majorité parlementaire lors des législatives qui ont suivi le scrutin présidentiel ; 3) le projet portait sur les « principes fondamentaux de la Sécurité sociale », lesquels relèvent de la loi ordinaire, et non d’une loi de « financement de la Sécurité sociale » (article 34 de la Constitution), cavalier législatif qui a rendu possible le recours à l’article 49.3 pour imposer le texte ; 4) le gouvernement s’est résigné à cette procédure parce qu’il ne disposait pas de majorité positive, mais de l’absence de majorité pour le renverser au terme d’une motion de censure ; 5) le Conseil constitutionnel est composé de personnalités politiques et de hauts fonctionnaires, non de juristes, et se préoccupe moins du respect de l’Etat de droit que de la stabilité du système comme l’avait déjà démontré son approbation des comptes frauduleux de la campagne électorale de Jacques Chirac, en 1995 ; 6) le détournement de la procédure parlementaire a suscité la désapprobation de nombre de constitutionnalistes et s’est accompagné du refus de toute négociation sociale.

    Comme en 2018, Emmanuel Macron répond à la colère populaire par la violence policière. Atteintes à la liberté constitutionnelle de manifester, utilisation de techniques conflictuelles de maintien de l’ordre, usage d’un armement de catégorie militaire qui cause des blessures irréversibles telles que des éborgnages ou des mutilations ont entraîné la condamnation de la France par les organisations de défense des droits de l’homme, le Conseil de l’Europe, la Cour européenne de justice, les Nations unies.

    Face à ces accusations, Emmanuel Macron s’enfonce dans une réalité parallèle et radicalise son discours politique. A peine réélu grâce aux voix de la gauche, dont celles de La France insoumise, il place celle-ci hors de l’ « arc républicain » dont il s’arroge le monopole de la délimitation. Il voit la main de l’ « ultragauche » dans la contestation de sa réforme. Il justifie les violences policières par la nécessité de lutter contre celles de certains manifestants.

    Sauf que, à nouveau : 1) le refus, récurrent depuis l’apport des suffrages de la gauche à Jacques Chirac en 2002 et le contournement parlementaire du non au référendum de 2005, de prendre en considération le vote des électeurs quand celui-ci déplaît ou provient d’une autre famille politique que la sienne discrédite la démocratie représentative, nourrit un abstentionnisme délétère et pousse à l’action directe pour faire valoir ses vues, non sans succès pour ce qui fut des Gilets jaunes et des jeunes émeutiers nationalistes corses auxquels il fut accordé ce qui avait été refusé aux syndicats et aux élus ; 2) le non-respect des décisions de justice par l’Etat lorsque des intérêts agro-industriels sont en jeu amène les écologistes à occuper les sites des projets litigieux, au risque d’affrontements ; 3) la stigmatisation d’une ultragauche dont l’importance reste à démontrer va de pair avec le silence du gouvernement à propos des voies de fait de l’ultra-droite identitariste et des agriculteurs productivistes qui multiplient les agressions contre les écologistes.
    « Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police »

    Ce n’est pas être un « amish » et vouloir retourner « à la bougie » que de s’interroger sur la 5G ou sur l’inconsistance du gouvernement quand il défend à grand renfort de grenades les méga-bassines alors que se tarissent les nappes phréatiques du pays. Ce n’est pas être un black bloc que de dénoncer les excès structurels de la police. Ce n’est pas être un gauchiste que de diagnostiquer la surexploitation croissante des travailleurs au fil de la précarisation des emplois et au nom de logiques financières, de repérer le siphonnage du bien public au profit d’intérêts privés, ou de déplorer le « pognon de dingue » distribué aux entreprises et aux contribuables les plus riches. Point besoin non plus d’être grand clerc pour comprendre que la Macronie n’aime pas les pauvres. Elle n’a plus d’autre réponse que la criminalisation des protestations. Elle souhaite maintenant dissoudre la nébuleuse des Soulèvements de la terre que parrainent l’anthropologue Philippe Descola, le philosophe Baptiste Morizot, le romancier Alain Damasio ! Quand Gérald Darmanin entend le mot culture il sort son LBD.

    Dans cette fuite en avant, un pas décisif a été franchi lorsque le gouvernement s’en est pris à la Ligue des droits de l’homme. Ce faisant, la Macronie s’est de son propre chef placée en dehors de l’ « arc républicain ». Cette association, née, faut-il le rappeler, de l’affaire Dreyfus, est indissociable de l’idée républicaine. Seul le régime de Pétain avait osé l’attaquer. Sur la planète, ce sont bien les Poutine et les Orban, les Erdogan et les Modi, les Kaïs Saïed ou les Xi Jinping qui tiennent de tels propos. Oui, la France bascule.

    https://www.letemps.ch/opinions/va-france

    #France #Macron #macronisme #crise_politique #extrême_centre #poison_français #néolibéralisme #casserolades #autoritarisme #illibéralisme #répression #libertés_publiques #réformes #réformes_néolibérales #Etat_profond #fonction_publique #Conseil_de_défense #Gilets_jaunes #déni #sarcasme #violences_policières #réalité_parallèle #arc_républicain

    via @karine4, aussi signalé par @monolecte
    https://seenthis.net/messages/1002152

  • Tir de LBD : une femme estimée partiellement responsable de sa blessure par la justice
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/05/03/tir-de-lbd-une-femme-estimee-partiellement-responsable-de-sa-blessure-par-la

    Egarée avec sa fille dans une ville qu’elle ne connaissait pas, pressant le pas à la vue des fumées, Sophie Lacaille s’est retrouvée non loin de la place Pey-Berland, devant l’hôtel de ville, où de nombreux débordements violents ont eu lieu. La quinquagénaire se souvient d’un « bruit de pas très forts sur le bitume », puis d’une « douleur fulgurante à la nuque ». Elle s’est évanouie dans les bras de sa fille. Un pompier volontaire lui a porté secours, avant qu’elle ne soit évacuée vers les urgences.

    […]

    Cette dernière a estimé que la responsabilité de l’Etat était bien engagée. Mais dans son délibéré, rendu le 23 février, le tribunal administratif de Bordeaux pose le principe d’un partage de cette responsabilité. « Elle s’est maintenue à proximité des attroupements alors même qu’elle constatait une montée en puissance de la violence dans la ville et ne pouvait ignorer les graves incidents intervenus au cours des semaines précédentes à l’occasion de manifestations de “gilets jaunes” », justifient les juges. Pour eux, Sophie Lacaille a commis « une imprudence fautive » et « cette faute est de nature à exonérer partiellement l’Etat de sa responsabilité à hauteur de 25 % ».