• Meloni, accordo con Rama prevede 2 centri migranti in Albania

    “L’accordo prevede di allestire centri per migranti in Albania che possano contenere fino a 3mila persone”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il primo ministro dell’Albania Edi Rama. “L’accordo che sigliamo oggi – ha aggiunto - arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione” tra i due Paesi e “quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra Stati Ue e Stati per ora extra Ue – per ora - è fondamentale”. “In questi due centri” i migranti resteranno “il tempo necessario per le procedure e una volta a regime nei centri ci potrà essere un flusso annuale complessivo di 36 mila persone”. “L’accordo non riguarda i minori e donne in gravidanza ed i soggetti vulnerabili – precisa – la giurisdizione sarà italiana. L’Albania collabora sulla sorveglianza esterna delle strutture. All’accordo che disegna la cornice, seguiranno una serie di protocolli. Contiamo di rendere operativi i centri in primavera”. (ANSA).

    https://it.euronews.com/2023/11/06/meloni-accordo-con-rama-prevede-2-centri-migranti-in-albania

    #Italie #asile #migrations #réfugiés #Albanie #accord #externalisation #centres

    ajouté à la Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

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    Et ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
    https://seenthis.net/messages/900122

    • Migranti, accordo Italia-Albania. Meloni: “Centri italiani nel loro Paese”. Il Pd: “Un pericoloso pasticcio”. Ue: “L’Italia rispetti il diritto comunitario”

      Il premier Edi Rama ricevuto a Palazzo Chigi dove è stato siglato un protocollo d’intesa in materia di gestione dei flussi. Accoglieranno fino a 3mila persone, solo coloro che saranno salvati in mare. Protestano + Europa e Avs

      La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro dell’Albania Edi Rama. «Sono contenta di annunciare con lui un protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migranti. L’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania. C’è una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità – dice Meloni durante le dichiarazioni congiunte con il collega albanese – L’accordo prevede di allestire due centri migranti in Albania che possano contenere fino 3mila persone. E arricchisce di un ulteriore tassello la collaborazione» tra i due Paesi e «quando ne abbiamo iniziato a discutere siamo partiti dall’idea che l’immigrazione illegale di massa è un fenomeno che nessuno Stato Ue può affrontare da solo e la collaborazione tra stati Ue e stati - per ora - è fondamentale».

      Un accordo contro cui si scagliano le opposizioni e che il Pd definisce “un pericoloso pasticcio”. Mentre da Bruxelles un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos dice: «Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale».

      L’incontro tra i due primi ministri è stata anche l’occasione per ribadire il sostegno dell’Italia all’ingresso di Tirana in Ue. "L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali”. E ancora. «L’Ue non è un club. Quindi, io non parlo di ingressi ma di riunificazione dei Balcani occidentali che sono Paesi Ue a tutti gli effetti», osserva Meloni. Che ricorda anche come l’Italia sia «il primo partner commerciale dell’Albania. Il nostro interscambio vale circa il 20% del Pil albanese. Ci sono intensi rapporti culturali e sociali. È una strettissima collaborazione che già esiste nella lotta all’illegalità. L’accordo di oggi arricchisce questa collaborazione con un ulteriore tassello», conclude la premier.
      Le reazioni

      Se la destra plaude all’intesa tra l’Italia e l’Albania, le opposizioni insorgono. «L’accordo che il governo Meloni ha raggiunto con il governo albanese sembra configurarsi come un pericoloso pasticcio, parecchio ambiguo. Se infatti si è, come sembra, di fronte a richiedenti asilo, appare assolutamente inimmaginabile compiere con personale italiano e senza esborso di risorse, come annunciato, le procedure di verifica delle domande d’asilo», attacca Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie della segreteria nazionale del Pd. “Praticamente si crea una sorta di Guantanamo italiana, al di fuori di ogni standard internazionale, al di fuori dell’Ue senza che possa esserci la possibilita’ di controllare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in questi centri"., protesta Riccardo Magi, segretario di Più Europa. E Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinisra aggiunge: Quello che il governo ha definito come un ’importantissimo protocollo di intesa’ non è altro che una politica di respingimento mascherata da cooperazione internazionale. Il governo italiano –prosegue - sta delegando la gestione dei migranti irregolari, di fatto esternalizzando le proprie responsabilità, con il rischio di creare campi di permanenza che potrebbero non assicurare standard adeguati di accoglienza e rispetto per la dignità umana".

      Ma il ministro degli Esteri Antonio Tajani replica: «L’accordo rafforza il nostro ruolo da protagonista in Europa ed apre nuove strade di collaborazione nell’Adriatico. Contrasto all’immigrazione irregolare e bloccare la tratta di esseri umani. Queste le priorita’ della nostra politica estera».
      Il protocollo d’intesa

      Il protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi migratori siglato oggi, secondo quanto si apprende da fonti di palazzo Chigi, non si applica agli immigrati che giungono sulle coste e sul territorio italiani ma a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili. Le strutture realizzate, viene spiegato, potranno accogliere complessivamente fino a 3mila immigrati, per una previsione di 39mila persone accolte in un anno. L’accordo si pone un obiettivo di dissuasione rispetto alle partenze e di deterrenza rispetto al traffico di esseri umani.

      La giurisdizione dei due centri per migranti in Albania sarà italiana, spiega ancora Palazzo Chigi. I migranti, viene precisato, sbarcheranno a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un centro di prima accoglienza e screening; a Gjader realizzerà una struttura modello Cpr per le successive procedure. L’Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e sorveglianza. L’Albania, sottolinea ancora Palazzo Chigi, già vede un’importante presenza di forze dell’Ordine e magistrati italiani.
      Rama: “Se l’Italia chiama l’Albania c’è”

      “Se l’Italia chiama l’Albania c’è – risponde Rama – Non sta a noi giudicare il merito politico di decisioni prese in questo luogo e altre istituzioni, a noi sta rispondere ’Presente’ quando si tratta di dare una mano. Questa volta significa aiutare a gestire con un pizzico di respiro in più una situazione e difficile per l’Italia". «La geografia è diventata una maledizione per l’Italia, quando si entra in Italia si entra in Ue – spiega il premier Albanese – Noi non abbiamo la forza e la capacità di essere la soluzione ma abbiamo un dovere verso l’Italia e la capacità di dare una mano. L’Albania non fa parte dell’Unione ma è uno Stato europeo, ci manca la U davanti ma ciò non ci impedisce di essere e vedere il mondo come europei».

      https://www.repubblica.it/politica/2023/11/06/news/migranti_meloni_accordo_albania_edi_rama-419723671

      #Gjader #Shengjin #débarquement #identification #screening #premier_accueil #CPR

    • Migrants, accord Italie-Albanie. Meloni : « Des centres italiens dans leur pays ». Adhésion de Tirana à l’UE : « Nous l’avons toujours soutenue »

      Le Premier ministre Giorgia Meloni a reçu le Premier ministre de l’Albanie au Palazzo Chigi Edi Rama. “Je suis heureux d’annoncer avec lui un mémorandum d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires. L’Italie est le premier partenaire commercial de l’Albanie. Il existe déjà une collaboration très étroite dans la lutte contre l’illégalité – a déclaré Meloni lors de la réunion conjointe déclarations avec son collègue albanais – L’accord prévoit la création de centres de migrants en Albanie pouvant accueillir jusqu’à 3 mille personnes. Et il enrichit la collaboration « entre les deux pays avec une étape supplémentaire » et « lorsque nous avons commencé à en discuter, nous sommes partis du l’idée que l’immigration clandestine de masse est un phénomène auquel aucun État de l’UE ne peut lutter seul et que la collaboration entre les États de l’UE est – pour l’instant – fondamentale”.

      La rencontre entre les deux premiers ministres a également été l’occasion de réitérer le soutien de l’Italie à l’entrée de Tirana dans l’UE. “L’Albanie se confirme comme une nation amie et même si elle ne fait pas encore partie de l’Union, elle se comporte comme si elle en était un pays membre et c’est une des raisons pour laquelle je suis fier que l’Italie ait toujours été l’un des pays qui soutiennent l’élargissement. aux Balkans occidentaux”. Et encore. “L’UE n’est pas un club. Je ne parle donc pas d’entrées, mais de la réunification des Balkans occidentaux, qui sont à tous égards des pays de l’UE”, observe encore Meloni. Il rappelle également que l’Italie est “le premier partenaire commercial de l’Albanie. Nos échanges commerciaux représentent environ 20 % du PIB albanais. Il existe des relations culturelles et sociales intenses. C’est une collaboration très étroite qui existe déjà dans la lutte contre l’illégalité. L’accord d’aujourd’hui enrichit cette collaboration d’une étape supplémentaire”, conclut le Premier ministre.

      Le protocole d’accord entre l’Italie et l’Albanie sur la gestion des flux migratoires signé aujourd’hui, selon ce que l’on apprend de sources au Palazzo Chigi, ne s’applique pas aux immigrants arrivant sur les côtes et le territoire italiens mais à ceux secourus en mer, à l’exception de les mineurs, les femmes enceintes et les sujets vulnérables. Les structures créées, explique-t-on, pourront accueillir au total jusqu’à 3 mille immigrants, pour une prévision de 39 mille personnes accueillies par an. L’accord vise à dissuader les départs et à décourager la traite des êtres humains.

      « Si l’Italie appelle l’Albanie, elle est là – répond Rama – Ce n’est pas à nous de juger du mérite politique des décisions prises dans ce lieu et dans d’autres institutions, c’est à nous de répondre ‘Présent’ lorsqu’il s’agit de prêter un main. Cette fois, il s’agit d’aider à gérer une situation difficile pour l’Italie avec un peu plus de répit.” “La géographie est devenue une malédiction pour l’Italie, quand vous entrez en Italie, vous entrez dans l’UE – explique le Premier ministre Albanese – Nous n’avons pas la force et Nous avons la capacité d’être la solution, mais nous avons un devoir envers l’Italie et la capacité de lui donner un coup de main. L’Albanie ne fait pas partie de l’Union mais c’est un Etat européen, il nous manque le U devant mais cela ne nous empêche pas d’être et de voir le monde en Européens”.

      https://fr.italy24.press/local/1061085.html

    • Migrants: two structures to manage illegal flows, this is what the Italy-Albania #memorandum_of_understanding provides

      Two structures in Albanian territory under Italian jurisdiction which will serve to manage illegal migratory flows. This is the fulcrum of the memorandum of understanding signed today by Italy and Albania and announced by the Prime Minister Giorgia Meloni and the counterpart Edi Rama. Rama’s “surprise” visit was not officially announced until this morning when a brief note from Palazzo Chigi announced that the two heads of government would meet in the afternoon and that they would subsequently make statements to the press. The discretion of the two governments prevailed and, consequently, also the surprise effect at the time of the announcement. “It is an agreement that enriches the friendship between the two nations,” said Meloni at the time of the announcement, subsequently explaining the details of the agreement which focuses on three primary objectives: combating human trafficking, preventing it and welcoming who has the right to protection. “Albania will grant some areas of the territory”, where Italy will be able to create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to three thousand people who will remain here for the time necessary to process asylum applications and , possibly, for the purposes of repatriation", said Meloni, specifying that the agreement does not concern minors, pregnant women and vulnerable subjects.

      The prime minister also provided details on the areas which will host the two structures which, hopefully, will be ready by spring 2024. “In the port of Shengjin (the seaport located north of Albania) disembarkation and identification procedures will be taken care of, while in another more internal area another structure based on the Repatriation Retention Centers model will be created (Cpr)”, explained Meloni, adding that the Albanian police forces will cooperate to guarantee “the security and external surveillance of the structures”. According to Meloni, the agreement signed today is a further step in the close bilateral cooperation. “Mass illegal immigration is a phenomenon that EU member states cannot face alone and cooperation between EU states and, for now, non-EU states can be decisive,” said the Prime Minister, according to whom Albania confirms itself as a friend not only of Italy but also of the European Union. “Despite not yet being formally part of the EU, Albania is a candidate country but behaves as if it were already a de facto member country of the Union and this is one of the reasons why I am proud of the fact that Italy is has always been one of the greatest supporters of the entry of Albania and the Western Balkans into the Union", added Meloni, who defined the memorandum of understanding “an innovative solution” in the hope that “it can become the model for other agreements of this type”.

      Speaking at the end of Meloni’s statements, Prime Minister Rama – underlining that the idea for the agreement was born during the Prime Minister’s summer holiday in Vlore – he immediately wanted to point out that “when Italy calls, Albania is there”. “Albania is not an EU state, but it is in Europe. It is a European state, and this does not prevent us from seeing the world as Europeans,” said Rama. “We would not have made this agreement with any other EU state. There is an important relationship of a historical, cultural, but also emotional nature, which links Albania with Italy", continued the prime minister. “We can lend a hand and help manage a situation which, as everyone sees, is difficult for Italy. When you enter Italy, you enter Europe, the EU, but when it comes to managing this entry as an EU we know well how things go,” said Rama. “We don’t have the strength to be a solution, but I believe we have a duty towards Italy and a certain ability to lend a hand”, added Rama who then recalled how his country can boast a tradition of hospitality, which began by the thousands of Italians protected after the Second World War. “We have a history of hospitality”, Rama underlined, recalling that Albania welcomed more than half a million war refugees and those fleeing to survive the ethnic cleansing from Kosovo. “We also gave refuge to thousands of Afghan women when NATO abandoned Afghanistan, and to a few thousand Iranians,” added the Albanian prime minister.

      https://www.agenzianova.com/en/news/migrants-two-structures-to-manage-illegal-flows%2C-this-is-what-the-Ita
      #MoU

    • Migranti: Un #Protocollo_d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.osservatoriorepressione.info/migranti-un-protocollo-dintesa-lalbania-opaco-disumano-pri

    • Naufraghi e richiedenti protezione. In collisione con i diritti

      È sbagliato evocare Guantanamo e la detenzione extraterritoriale dei sospetti terroristi negli Usa, ma di certo l’accordo a sorpresa tra Italia e Albania per l’accoglienza di una parte delle persone tratte in salvo dal mare è destinato a far discutere. Il governo Meloni aveva bisogno di riprendere l’iniziativa su un dossier identitario come quello della politica dell’asilo, i cui risultati sono finora rimasti lontani dalle promesse elettorali, e ha servito all’opinione pubblica una soluzione che può presentare come “innovativa”. Ma l’innovazione può entrare in collisione con i diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dai trattati europei e internazionali.

      Anzitutto, il patto Meloni-Rama ha un sottofondo post-coloniale, come l’accordo britannico con il Ruanda a cui sembra ispirarsi: un Paese del “Primo mondo”, forte delle sue risorse politiche ed economiche, dirotta su un Paese meno fortunato e più bisognoso di appoggi l’onere di accogliere sul suo territorio i migranti sgraditi. Si immagina paradossalmente che Paesi con meno risorse e istituzioni più fragili possano ricevere degnamente i profughi che da noi sono visti come un problema. Infatti, quasi tradendo il sottotesto punitivo dell’accordo, si prevede che vengano esentati dal trasferimento in Albania donne in gravidanza, minori, soggetti vulnerabili. E il governo non ha esitato a parlare di una misura finalizzata alla deterrenza nei confronti di quelli che si ostina a definire come immigrati illegali, al pari del modello britannico.

      In realtà nel 2022 il 48% dei richiedenti l’asilo ha ottenuto uno status legale in prima istanza, e ad essi si aggiunge il 72% di coloro che hanno presentato un ricorso giurisdizionale. Dunque, rischiamo di mandare in Albania delle persone che hanno diritto all’asilo. Proprio l’esempio britannico mostra che le corti di giustizia, nazionali ed europee, l’hanno finora bloccato, e la capacità di reggere al vaglio della magistratura sarà un arduo banco di prova dell’accordo.

      Qualcosa non quadra poi riguardo ai numeri: si prevede di realizzare due strutture sul territorio albanese, una per l’identificazione allo sbarco, l’altra per l’accoglienza temporanea, con una capacità di 3.000 posti complessivi, e si prevede di trattare complessivamente 36-39.000 profughi all’anno. Si lascia intendere che basteranno quattro settimane per decidere della loro domanda di asilo, mentre oggi il tempo medio è di circa 18 mesi, senza contare la possibilità di ricorso. È probabile che i profughi languiranno a lungo in Albania e che i numeri dei casi trattati rimarranno assai più bassi di quelli annunciati.

      Ma i problemi più spinosi riguardano l’integrazione dei “deportati”. Se otterranno la protezione internazionale, averli lasciati in un Paese terzo non avrà di certo preparato la strada per la loro futura integrazione in Italia, sotto il profilo della possibilità di apprendere e praticare la lingua italiana, di conoscere la società in cui dovranno inserirsi, di orientarsi nel mercato del lavoro e nel sistema dei servizi. Se invece riceveranno un diniego, occorre chiedersi che ne sarà di loro. La bassissima capacità di rimpatrio forzato da parte delle nostre istituzioni (4.304 persone nel 2022), peraltro simili in questo agli altri Paesi europei, è un dato ormai noto. Se ne occuperanno le autorità albanesi? Con quale protezione dei loro diritti umani inalienabili, per esempio il diritto alle cure mediche necessarie e urgenti, o a non morire di fame?

      La politica dell’immigrazione ci ha abituato da tempo a dichiarazioni enfatiche – basti ricordare i più volte annunciati accordi con la Tunisia – e presunte soluzioni che si rivelano inattuabili. Anche l’accordo Italia-Albania rischia ora di entrare nella serie. O meglio: se non sarà attuato, sarà l’ennesima pseudo-ricetta venduta all’opinione pubblica; se dovesse essere attuato, anche solo parzialmente, tratterà soltanto una minoranza dei casi e sferrerà comunque una picconata alla già traballante architettura giuridica dei diritti umani fondamentali.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/in-collisione-con-i-diritti

    • Accord migratoire Italie-Albanie : l’#ONU appelle au respect du #droit_international

      L’agence de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a appelé mardi au « respect du droit international relatif aux réfugiés » après l’accord signé lundi entre l’Italie et l’Albanie visant à délocaliser dans ce pays l’accueil de migrants sauvés en mer et l’examen de leur demande d’asile.

      « Les modalités de transfert des demandeurs d’asile et des réfugiés doivent respecter le droit international relatif aux réfugiés », a exhorté le HCR dans un communiqué publié à Genève.

      L’accord signé lundi à Rome par la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni et son homologue albanais Edi Rama prévoit que l’Italie va ouvrir dans ce pays, candidat à l’adhésion à l’UE, deux centres pour accueillir des migrants sauvés en mer afin de « mener rapidement les procédures de traitement des demandes d’asile ou les éventuels rapatriements ».

      Ces deux centres gérés par l’Italie, opérationnels au printemps 2024, pourront accueillir jusqu’à 3.000 migrants, soit environ 39.000 par an selon les prévisions. Les mineurs, les femmes enceintes et les personnes vulnérables ne seraient pas concernés.

      Le HCR, qui dit n’avoir « pas été informé ni consulté sur le contenu de l’accord », estime que « les retours ou les transferts vers des pays tiers sûrs ne peuvent être considérés comme appropriés que si certaines normes sont respectées - en particulier, que ces pays respectent pleinement les droits découlant de la Convention relative au statut des réfugiés et les obligations en matière de droits de l’Homme, et si l’accord contribue à répartir équitablement la responsabilité des réfugiés entre les nations, plutôt que de la déplacer ».

      Un membre du gouvernement italien a précisé mardi que les migrants seraient emmenés directement vers ces centres, sans passer par l’Italie, et que ces structures seraient placées sous l’autorité de Rome en vertu d’« un statut d’extraterritorialité ». Mais de nombreuses questions sur le fonctionnement d’un tel projet restent en suspens.

      L’Italie est confrontée à un afflux de migrants depuis janvier (145.000 contre 88.000 en 2022 sur la même période). Les règles européennes prévoient que d’une manière générale, le premier pays d’entrée d’un migrant dans l’UE est responsable du traitement de sa demande d’asile, et les pays méditerranéens se plaignent de devoir assumer une charge disproportionnée.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/071123/accord-migratoire-italie-albanie-l-onu-appelle-au-respect-du-droit-interna

    • Accordo Italia-Albania: un altro patto illegale, un altro tassello della propaganda del governo

      #Fulvio_Vassallo_Paleologo: «Un protocollo opaco, disumano e privo di basi legali»

      “Un’intesa storica”, “È un accordo che arricchisce un’amicizia storica”, “I nostri immigrati in Albania”, “Svolta sugli sbarchi”. E’ un tripudio di frasi altisonanti e di affermazioni risolutive quelle che hanno accompagnato in questi giorni la diffusione del protocollo d’intesa firmato da Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama, per l’apertura in Albania di due centri italiani per la gestione dei richiedenti asilo. Strutture in cui dovranno essere trattenute persone migranti, ad esclusione di donne e minori, soccorse nel Mediterraneo centrale da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza.

      Alcuni dettagli dell’operazione sono emersi da un testo (scarica qui) di nove pagine scarse e 14 articoli che indicano come funzioneranno e verranno gestiti i centri. L’accordo ha una durata di cinque anni e sarà rinnovato automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza. In un anno dovrebbero essere accolte-trattenute circa 36.000 persone. I costi, dalle spese di detenzione alla sicurezza interna, saranno tutti in capo all’Italia, mentre l’Albania fornirà gratuitamente gli spazi in cui verranno costruiti i centri: uno al porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord di Tirana, e un altro a Gjader, nell’entroterra. I due centri dovrebbero servire per processare entro 30 giorni le richieste di asilo e per trattenere coloro a cui verrà negata la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine oppure del probabile invio in Italia. Come ha annunciato Giorgia Meloni “dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.
      L’Italia dovrà farsi carico anche di tutte le spese legate alla costruzione dei centri che dovranno essere aperti per la primavera del 2024. Il Post riporta che il sito albanese Gogo.al ha indicato sommariamente dei costi iniziali (vedi il documento diffuso): “l’Italia verserà all’Albania entro 3 mesi un primo fondo pari a 16,5 milioni. Si prevede che oltre 100 milioni di euro saranno congelati in un conto bancario di secondo livello come garanzia”.

      La presidente del Consiglio doveva battere un colpo, dare un messaggio al suo elettorato e alla maggioranza: il “problema immigrazione”, con gli sbarchi che non accennano a diminuire 1 e il flop dell’accordo con la Tunisia, è sempre una priorità della sua agenda politica, a tal punto che è lei stessa, senza coinvolgere nessun altro ministro, a intestarsi l’operazione e dichiarare il nuovo “punto di svolta”. E’ perciò evidente che questo protocollo si inserisce dentro il solco della narrazione mediatica e normativa, dal decreto Piantedosi sulle Ong, al cosiddetto decreto Cutro, fino alla proclamazione dello stato di emergenza dell’11 aprile e alle altre modifiche ai danni di minori e richiedenti asilo, dove vale tutto per raggiungere l’obiettivo dichiarato di ostacolare gli arrivi delle persone migranti.

      Tuttavia, tutti questi tentativi, dall’esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo fino a portare fisicamente le persone in Paesi extra Ue, non sono una prerogativa solo del governo Meloni, ma hanno avuto in questi anni diversi promotori e, pur con delle differenze tra loro, una stessa matrice ideologica anti-migranti: per esempio, i respingimenti a catena dall’Italia alla Bosnia-Erzegovina, non hanno poi uno scopo così diverso dagli accordi tra Inghilterra e Ruanda.

      Secondo l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo si tratta dell’ennesimo annuncio propagandistico del governo in quanto il protocollo d’intesa è «opaco, disumano e privo di basi legali».

      «Nulla infatti – fa notare l’esperto di diritto di asilo e immigrazione – è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, né su quali autorità effettuano i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?», si domanda.

      Nel protocollo – si legge nel testo – le autorità italiane avranno piena responsabilità all’interno dei centri, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento».

      «La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi – spiega l’esperto – al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici)».

      «In quell’occasione – prosegue Paleologo – la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama».

      Anche rispetto la procedura di cosiddetto “sbarco selettivo” tra donne, minori e uomini ci sono diversi problemi di legittimità giuridica in quanto si tratta di una palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio. Anche su questo punto Paleologo è chiaro: «Il diritto di chiedere protezione internazionale è regolato secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo. Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure se sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporrebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera».

      Da Bruxelles, la Commissione UE non esclude del tutto la validità dell’accordo, affermando che il caso è diverso dall’accordo Regno Unito-Ruanda, in quanto si applicherebbe alle persone che non hanno ancora raggiunto le coste italiane. Sempre secondo l’avvocato Paleologo «il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, pratiche illegali di privazione della libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio».

      «La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respingimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana”? Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati.
      Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea», conclude Paleologo.

      https://www.meltingpot.org/2023/11/accordo-italia-albania-un-altro-patto-illegale-un-altro-tassello-della-p

    • L’accordo Italia-Albania sui migranti? Solo propaganda!

      Il nuovo memorandum d’intesa tra Italia e Albania sulla gestione dei migranti? Probabilmente solo un « ennesimo annuncio propagandistico » secondo Fulvio Vassallo Paleologo che firma su ADIF [1] un dettagliato articolo che analizza l’annuncio di Giogia Meloni ( non il provvedimento perché questo non esiste ).

      In altre parole, « per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, il “Piano Mattei per l’Africa”, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee ».

      Possibile che il giurista abbia ragione, ma è anche possibile che il fine sia creare terrore in chi in Italia è già; I CPR, ancor di più se in Albani, sono strumentali a schiavizzare i migranti.

      L’avvocato e attivista pro migranti Fulvio Vassallo Paleologo, nell’articolo solleva pure una serie di perplessità giuridiche del progetto della presidente del consiglio italiano di realizzare un CPR in Albania.

      Una tra queste: « qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo [e quindi l’Italia, NdR] deve avere una espressa previsione di legge, e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa » [1].

      Come possa assicurarsi, in Albania, la difesa legale del migrante e un procedimento di convalida firmato da un magistrato italiano rappresenta un grande punto interrogativo. « Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese? », scrive infatti il giurista nell’articolo.

      Precisa poi Fulvio Vassallo Paleologo come « il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi ».

      Il giudizio finale dell’autore rispetto all’annuncio della Meloni non può, quindi, che essere negativo e drastico: « appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio ».

      Tagliente anche il giudizio rispetto alla firma del leader albanese, Edi Rama: « il Memorandum d’intesa rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità ».

      La differenza tra la verità di Fulvio Vassallo Paleologo e la propaganda della Meloni, tuttavia, la fanno le “visualizzazioni” del sito ADIF rispetto a quelli di Repubblica, La Stampa, Libero, Il Giornale, La Verità, Il Gazzettino, etc dove l’effetto “annuncio” è passato senza commenti critici.

      Fonti e Note:

      [1] ADIF, 7 novembre 2023, Fulvio Vassallo Paleologo, “Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali”.

      https://www.pressenza.com/it/2023/11/laccordo-italia-albania-sui-migranti-solo-propaganda

    • Un Protocollo d’intesa con l’Albania, opaco, disumano e privo di basi legali

      Con l’ennesimo annuncio propagandistico del govern si apprende che Giorgia Meloni avrebbe concluso con il premier albanese Edi Rama un Memorandum d’intesa , che prevede – la realizzazione in Albania di due centri per il rimpatrio, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 persone definite “irregolari”, ma solo se soccorse nel Mediterraneo da navi militari italiane, come quelle della Marina Militare e della Guardia di Finanza. Più precisamente, “l’Albania darà possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del territorio albanese dove l’Italia potrà realizzare, a proprie spese, due strutture dove allestire centri per la gestione di migranti illegali. Inizialmente potrà accogliere fino a 3mila persone che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio”. I naufraghi saranno sbarcati a Shengjin e l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un “centro di prima accoglienza e screening” a Gjader, che di fatto sarà una “struttura modello Cpr” per le successive procedure. I due centri dovrebbero servire per processare in 28-30 giorni le richieste di asilo e per detenere coloro che si vedranno respinta la richiesta di protezione, in vista del rimpatrio nei paesi di origine. Come ha annunciato Giorgia Meloni “Dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr”.

      Secondo quanto annunciato dalle stesse fonti governative in un anno si penserebbe addirittura di fare transitare in queste nuove strutture detentive, che dovrebbero essere sotto giurisdizione italiana, ma con “sorveglianza esterna” affidata alle autorità albanesi, circa 36.000 persone. Nulla è stato comunicato sulle modalità di rimpatrio e sulle autorità che saranno incaricate di eseguire gli accompagnamenti forzati, nè su quali autorità efettueranno i trasferimenti sotto scorta dai punti di sbarco in Albania ai centri di detenzione “sotto giurisdizione italiana”. Di certo, fin dal momento dello sbarco in Albania i migranti, già ritenuti comunque “illegali”, saranno totalmente privati della libertà personale. Come impone la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice. Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese?

      La consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi, al momento dello sbarco, fino, presumibilmente, all’ingresso nei centri di detenzione, che si asserisce sarebbero “sotto giurisdizione italiana” potrebbe costituire una ipotesi di respingimento collettivo analoga a quella riscontrata e condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegno alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi socorsi in acque internazionali (pratica illegale che comunque si protrasse fino al 2010, con trasbordi più discreti in alto mare, piuttosto che con l’ingresso delle unità militari italiane nei porti libici). In quell’occasione la Corte di Strasburgo affermò che sebbene il soccorso fosse avvenuto in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, oltre che il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. Dunque, in quella occasione, tra il momento in cui i profughi venivano accolti a bordo delle navi italiane e quello in cui gli stessi erano consegnati alle autorità libiche a Tripoli, le autorità italiane avevano esercitato su di essi un controllo de facto che impegnava la responsabilità dello stato italiano per qualunque violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea. La stessa considerazione potrà valere in futuro quando le autorità italiane consegneranno alle forze di polizia albanese i cittadini stranieri soccorsi in mare da unità militari italiane, ai fini del loro trasferimento forzato e dell’eventuale rimpatrio. Secondo il premier albanese, “Chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli”. La prova più evidente della riduzione delle persone a rifiuti da smaltire, la cifra morale e politica condivisa da Giorgia Meloni e da Edi Rama.

      Un progetto impraticabile e privo di basi legali, quanto previsto dal Memorandum sottoscritto dalla Meloni con il premier albanese, alla luce dei tempi previsti per le procedure nei centri di detenzione, e soprattutto a causa delle difficoltà di esecuzione delle misure di allontanamento forzato da tutti i paesi europei, anche per la mancanza di accordi di riammissione tra l’Albania e molti paesi di origine dei naufraghi che, dopo essere soccorsi in mare, dovranno affrontare in stato di detenzione procedure”accelerate” per il riconoscimento di uno status di protezione, ed una possibile deportazione. Senza potere fare valere i diritti di difesa e le garanzie della libertà personale previsti dalla Costituzione italiana (a partire dal’art.13 che impone la tempestiva convalida da parte di un giudice di ogni misura di trattenimento amministrativo attuata sotto la giurisdizione italiana) e dalle norme sovranazionali dettate dalle Nazioni Unite a protezione dei richiedenti asilo, e dall’Unione Europea in materia di rimpatri e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. E poi, se pensiamo ai migranti soccorsi intercettati nel mare Ionio, ma anche a quelli provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, quanti di loro provengono da paesi terzi veramente “sicuri” ? Il governo italiano non può creare una evidente disparità di trattamento tra persone soccorse nel Mediterraneo da navi civili e altre soccorse da navi militari, che per questa sola ragione verrebbero esposte a procedure accelerate in territorio extra-UE, a differenza di quelle sbarcate in Italia,soprattutto se si tratta di persone che non provengono da paesi terzi sicuri, per cui in Italia si prevedono procedure ordinarie e sistemi di prima e seconda accoglienza.

      Non si comprende neppure quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di salvatagio. Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in axque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale dal nord-africa. Forse si vorranno imporre giorni e giorni di navigazione su imbarcazioni poco adatte al trasporto di naufraghi, o si risoverà tutto nel’ennesimo effetto annuncio ?

      Come è avvenuto anche in passato, il contenuto del Memorandum, e degli accordi che seguiranno, resta avvolto nell’opacità più totale, e tutto sembra rimesso a successive intese operative segrete, che matureranno tra le autorità italiane e quelle albanesi. Ma colpisce immediatamente la portata disumanizzante dell’accordo, se solo si mette in evidenza l’uso pregiudiziale del termine “irregolari”, quando non addirittura “illegali”, per indicare tutte le persone soccorse in mare da navi militari italiane e condotte in Albania, ad eccezione di donne in gravidanza, persone vulnerabili e minori. In palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio, e comunque riconoscono a tutte le persone, senza differenze a seconda della natura e della nazionalità della nave soccorriitrice, il diritto di chiedere protezione internazionale secondo regole fissate da Direttive e Regolamenti europei, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di asilo, Regole che non possono essere derogate da un Memorandum d’intesa che, come altri che lo hanno preceduto, nel 2016 con il Sudan (governo Renzi), e nel 2017 (governo Gentiloni) con la Libia, neppure sarà portato all’approvazione del Parlamento, come imporebbe l’art. 80 della Costituzione. Approvazione che del resto, anche quando fosse richiesta, sarebbe probabilmente un ennesimo atto di forza della maggioranza, su una opposizione divisa, come in passato, sul tema, oggi ancora più scottante, degli accordi con i paesi terzi per realizzare le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ma per Giorgia Meloni, dopo il fallimento del Memorandum d’intesa tra Unione europea e la Tunisia, le difficoltà nei rapporti con i governi libici ancora in conflitto, e la caduta di qualsiasi ipotesi di collaborazione con i paesi africani, il Piano Mattei per l’Africa, rimasto congelato dopo la crisi in Niger, paese che si pensava di utilizzare come partner per operazioni di deportazione, e infine, per la ventata anti-occidentale che si respira in tutti i paesi del Sahel dopo l’esplosione del conflitto in Palestina, occorreva una dimostrazione di forza. Magari l’ennesimo annuncio, di un piano che dovrebbe andare a regime, secondo le intenzioni dei governi non prima della primavera del 2024, giusto in tempo prima delle elezioni europee.

      Per il ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, il Memorandum sarebbe “in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano della presidente della Commissione von der Leyen”. Da Bruxelles, un portavoce della Commissione europea all’Adnkronos ha invece affermato: “Siamo stati informati di questo accordo, ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l’accordo operativo deve essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale“. Non si vede come la Commissione europea possa dare sostegno a questo Memorandum d’intesa, anche se l’approssimarsi della scadenza delle elezioni europee potrebbe fare schierare opportunisticamente alcuni leader nazionali(sti) o pezzi della Commisione UE a fianco di Giorgia Meloni. Il riconoscimento dell’Albania come “paese terzo sicuro” non potrà certo legittimare respingimenti collettivi, vietati dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali del’Unione Europea, pratiche illegali di privazione dela libertà personale o procedure di rimpatrio vietate dalla Direttiva 2008/115/CE, e dalle Direttive n. 32 e 33 del 2013, in materia di procedure e di accoglienza per richiedenti asilo.

      Appare ben strano che un paese aderente all’Unione Europea possa deportare persone soccorse in acque internazionali da proprie navi militari verso un paese che non appartiene all’Unione Europea e che dunque non è soggetto al rispetto degli obblighi e delle garanzie stabilite dalla normativa eurounitaria. Se poi si considerasse il diritto internazionale del mare, le persone soccorse in alto mare dovrebbero essere sbarcate in un porto sicuro nel paese che ha coordinato le attività di ricerca e salvataggio. In ogni caso le attività degli assetti militari in mare, con riferimento al soccorso dei naufraghi ed al contrasto dell’immigrazione irregolare, non possono prescindere dagli obblighi imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014. O, forse, le operazioni di ricerca e soccorso si trasformeranno in attività di intercettazione ed “manovre cinematiche di interposizione”, come quelle condotte poste in essere nel 1997 dal comandante di Nave Sibilla, dopo gli accordi di Prodi con il governo albanese di allora, quando la nave militare italiana, nel tentativo di attuare un maldestro blocco navale, speronava un barcone carico di migranti provenienti dall’Albania, mandandolo a fondo? Ci saranno altri casi simili sotto esame da parte dei Tribunali penali italiani?

      La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha già sanzionato l’Italia nel 2014 sul caso Sharifi per i respjgimenti collettivi effettuati verso un paese terzo “sicuro”, come poteva esserlo nel 2009 la Grecia, e sentenze più recenti hanno condannato su diversi casi il nostro paese per trattenimenti informali o “de facto“, senza la tempestiva convalida giurisdizionale imposta in precisi termini temporali, oltre che dall’art. 13 della Costituzione italiana, dagli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Qualunque forma di detenzione praticata da un paese aderente alla suddetta Convenzione deve avere una espressa previsione legale (riserva di legge), e deve essere convalidata da un giudice davanti al quale ogni persona migrante possa fare valere i suoi diritti di difesa (riserva di giurisdizione). Si prevede la presenza di giudici italiani nei nuovi centri di detenzione che si vorrebbero aprire in Albania “sotto giurisdizione italiana” ?

      Non sembra che il Memorandum d’intesa firmato dalla Meloni e da Edi Rama, alla caccia di appoggi per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, abbia tenuto conto di queste regole che, semmai si riuscisse davvero ad applicare quanto annunciato, potrebbero essere lese dalle autorità italiane sotto la cui giurisdizione resterebbero le persone deportate in Albania. E saranno tutte da verificare quali saranno le conseguenze per il traballante governo albanese di un Memorandum d’intesa che rischia di produrre migliaia di persone costrette alla clandestinità in territorio albanese, quando al termine dei trenta giorni di detenzione previsti non potranno essere rimpatriati. Un ennesimo esempio di come gli accordi tra governi possano agevolare le bande criminali che in Albania sono sempre più attive e che potrebbero lucrare sulla clandestinità, che sarebbero meglio contrastate se si garantisse alle persone migranti canali legali di ingresso e il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro per davvero, secondo le regole fissate dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa dell’Unione europea.

      https://www.a-dif.org/2023/11/07/un-protocollo-dintesa-con-lalbania-opaco-disumano-e-privo-di-basi-legali

    • Accordo Italia-Albania sui migranti, la UE chiede i dettagli

      L’Italia realizzerà in Albania due centri per la gestione dei migranti che potranno gestire un flusso annuale di 36mila persone. Lo ha dichiarato oggi la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa con il primo ministro albanese Edi Rama. Ne parliamo con Genthiola Madhi, ricercatrice di Osservatorio Balcani e Caucaso, e con Andrea Spagnolo, professore di Diritto internazionale e umanitario all’Università di Torino.

      https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/luogo-lontano/puntata/trasmissione-7-novembre-2023-160500-2404283315532563

    • Ecco perché l’accordo tra Italia e Albania è illegale: tutte le procedure che violano il diritto europeo

      Rappresenta il punto più estremo dell’esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo. Le tutele per le persone bisognose di protezione, invece che garantite, vengono ridotte al minimo.

      Il Protocollo stipulato tra Italia ed Albania “per il rafforzamento della cooperazione in materia migratoria” è il punto finora più estremo (ma, come si vedrà, anche incoerente) a cui l’Italia è giunta nel processo di esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo.

      Trattandosi di un’intesa avente una chiara natura politica, che richiede oneri finanziari, e che altresì riguarda la condizione giuridica degli stranieri, quindi una materia coperta dalla riserva di legge di cui all’art. 10 co.2 della Costituzione, il Protocollo e i suoi atti attuativi devono essere ratificati dal Parlamento ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Prive di alcun pregio mi sembrano le argomentazioni di chi ritiene che non occorre alcuna ratifica trattandosi di una sorta rinforzo ad accordi pre-esistenti.

      Scopo del Protocollo è quello di trasportare coattivamente in Albania cittadini di paesi terzi per “i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l’insussistenza dei requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza” (art.1) in Italia. In Albania, in “aree di proprietà demaniale” (art.1) albanesi, quindi in territorio albanese a tutti gli effetti, nel quale i migranti rimarrebbero confinati “al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse” (art.4.3).

      Il testo non esclude che l’ingresso in Albania avvenga anche in via diversa da quella marittima, quindi riguardi anche persone straniere bloccate sulle vie terrestri, magari nei Balcani, purché tale trasporto avvenga “esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane” (art. 4.4). Le autorità italiane assicurano “la permanenza dei migranti all’interno delle aree impedendo la loro uscita non autorizzata” (art. 6.5) e il periodo di permanenza in Albania “non può essere superiore al periodo massimo di trattenimento consentito dalla normativa italiana” (art. 9.1).

      Al termine delle procedure le autorità italiane “provvedono all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese” (art. 9) ovvero al rientro in Italia. Molta enfasi è stata posta sul fatto che l’accordo sia finalizzato al trasferimento forzato in Albania dei soccorsi in mare al fine di esaminare le domande di asilo dei naufraghi; tuttavia nel protocollo non c’è alcun riferimento alla procedura di asilo né alla protezione internazionale e le uniche parole che richiamano l’asilo riguardano il rinvio a non meglio definite procedure di frontiera.

      Obiettivo non secondario del protocollo, risulterebbe dunque essere l’utilizzo del territorio albanese per farvi dei centri di detenzione amministrativa per stranieri espulsi dall’Italia, ma che verrebbero trattenuti in Albania al fine di eseguire coattivamente il rimpatrio nel paese di origine. Nonostante il ministro Piantedosi si affanni a dichiarare che non si tratterà di CPR (Centri per il Rimpatrio) il testo del Protocollo dice diversamente.

      Emerge dunque evidente il rischio che l’operazione intenda nascondere una strategia per realizzare CPR inaccessibili, lontani da sguardi indiscreti e da inchieste giornalistiche, liberandosi dell’incubo di dover trovare un luogo dove aprirli in Italia, dove nessun amministratore, di qualsiasi colore politico li vuole. Esaminiamo ora l’ipotesi che il Protocollo venga applicato principalmente a persone soccorse in mare che verrebbero portate in Albania al solo scopo di detenerle e di esaminare le loro domande di asilo.

      Nel testo del protocollo si fa riferimento esplicito all’espletamento delle procedure di frontiera previste dal diritto italiano ed europeo. Prima ancora di verificare se gli standard e le garanzie previste dal diritto dell’Unione possano essere rispettate, ciò che bisogna chiedersi è se sia possibile esaminare le domande di asilo presentate da coloro che vengono deportati dal territorio italiano in cui si trovano (le navi ed altri mezzi delle autorità italiane) nel territorio albanese.

      La risposta non può che essere negativa, dal momento che il diritto dell’Unione sull’asilo (o protezione internazionale) si applica nel territorio degli Stati membri, alle frontiere, nelle zone di transito e nelle acque territoriali. Non si applica al di fuori dell’Unione. Un’applicazione extra-territoriale del diritto dell’UE non pare possibile, come del tutto correttamente messo in luce anche dal documento “Preliminary Comments on the Italy-Albania Deal” pubblicato il 9.11.23 dall’autorevole E.C.R.E. (European Council on Refugees and Exiles).

      Analogo ragionamento vale anche per ciò che attiene l’ipotesi di usare i centri per l’esecuzione del trattenimento degli stranieri espulsi regolato dal diritto dell’Unione con la Direttiva 115/2008/CE. Anche in tal caso non ne risulta possibile alcuna applicazione extra territoriale al di fuori del territorio degli stati membri dell’Unione.

      Va sempre considerato che non ci troviamo di fronte alla questione di come consentire l’accesso alla procedura di asilo da parte di uno straniero che si trova all’estero, e di come si possa esaminare, almeno in fase preliminare, la sua domanda di asilo al fine di consentire un suo successivo ingresso nel territorio di uno stato membro: in altri termini, di come creare delle procedure di ingresso protette a persone con un chiaro bisogno di protezione.

      All’esatto opposto, il protocollo tra Italia e Albania configura una situazione nella quale persone che sono già sotto la giurisdizione italiana, per essere stati soccorsi e trasportati da navi dello Stato, vengono subito dopo tradotte in un paese terzo al solo scopo di impedirne l’ingresso nel territorio nazionale e predeterminare delle condizioni di esame delle domande di asilo con garanzie procedurali ridotte al minimo.

      Ammettiamo ora, come mero esercizio, che si possa sostenere che il diritto dell’Unione sia applicabile all’esame delle domande di asilo in Albania ed esaminiamo le principali questioni che si aprono: la consegna dei migranti dalle mani delle autorità italiane a quelle albanesi, allo sbarco e fino all’ingresso nei centri di detenzione, che, nonostante l’asserita giurisdizione italiana, si trovano in territorio albanese, potrebbe configurare un respingimento collettivo vietato dal diritto dell’Unione Europea. Per i respingimenti collettivi attuati con la Libia nel 2009 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani il 23.02.2013 nella causa Hirsi Jamaa.

      Nessuna valutazione sulla condizione delle persone salvate in mare può essere condotta a bordo delle navi italiane, e dunque ogni procedura giuridica dovrebbe iniziare in territorio albanese all’interno di centri sotto la giurisdizione italiana (ma anche albanese). La restrizione della libertà personale di coloro che vi verrebbero rinchiusi, per essere conforme all’art. 13 Costituzione, va convalidato dall’autorità giudiziaria con un esame caso per caso a seguito del quale il provvedimento di trattenimento viene convalidato o meno.

      Come garantire dentro il microcosmo del campo a gestione italiana il corretto funzionamento della procedura, tra cui ovviamente il diritto del richiedente che si intende trattenere di essere assistito da un legale italiano di fiducia? In ogni caso deve essere esclusa la possibilità di un trattenimento generalizzato di tutti i richiedenti asilo perché tassativamente vietato dal diritto dell’Unione che vieta agli Stati di applicare misure di limitazione della libertà personale nei confronti dei richiedenti asilo “per il solo fatto di essere un richiedente” (Direttiva 2013/33/UE articolo 7 paragrafo 1).

      Come noto, il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento venga disposto solo in casi molto limitati e “salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive” (articolo 8, paragrafo 2), misure che comunque in Albania non sarebbero mai praticabili.

      La larga maggioranza dei richiedenti asilo, sicuramente tutte le situazioni vulnerabili e i minori, ma anche tutti coloro cui non sarebbe applicabile la procedura accelerata di frontiera, non potrebbero dunque in nessun caso essere trattenuti, ma poiché non possono neppure rimanere in Albania al di fuori dal centro, dovrebbero essere trasportati in Italia immediatamente per continuare l’accoglienza e l’esame ordinario della loro domanda di asilo sul territorio nazionale.

      Nei confronti di coloro che rimarrebbero rinchiusi nei centri in Albania va garantito senza eccezioni l’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui il diritto di ricevere “le informazioni sulla procedura con riguardo alla situazione particolare del richiedente” nonché di comunicare con “organizzazioni che prestino assistenza legale o altra consulenza ai richiedenti” (Direttiva 2013/32/UE art. 19).

      In caso di diniego il richiedente deve poter pienamente esercitare il suo diritto alla difesa, costituzionalmente garantito (Cost. articolo 24) e ha diritto ad un “ricorso effettivo” (Direttiva 2013/32/UE art. 46 par.1) che per essere tale deve garantire alla persona la libertà di consultare un legale e di sceglierlo.

      Nell’ambito delle procedure accelerate di frontiera il giudice mantiene la possibilità di concedere la sospensiva nelle more della decisione di merito ovvero “autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro” (art.46 par.6 lettera d). Ma, in caso di autorizzazione il richiedente non si trova affatto sul territorio dello Stato membro (!) bensì in Albania, il che comporta l’immediato trasferimento in Italia del richiedente da parte delle autorità italiane e la prosecuzione dell’iter della domanda in Italia.

      Il Protocollo appare dunque un incredibile coacervo di procedure radicalmente illegittime rispetto al diritto dell’Unione vigente e che comunque non potrebbero essere applicate in modo razionale e rispettoso di garanzie procedurali e di tutela dei diritti fondamentali degli stranieri coinvolti, sia che si tratti di naufraghi prima e richiedenti asilo poi, che di stranieri espulsi e poi trattenuti in Albania.

      https://www.unita.it/2023/11/10/ecco-perche-laccordo-tra-italia-e-albania-e-illegale-tutte-le-procedure-che-vi

    • Ancora lui, ancora Edi

      Periodicamente il primo ministro albanese si occupa dei flussi migratori italiani. Ripassare quali siano le sue motivazioni è utile, anche perché questa volta, forse, ha esagerato. Un commento

      Edi Rama governa l’Albania da più di dieci anni. Le prime elezioni le vinse nel 2013, pochi mesi dopo il “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto” di Pierluigi Bersani. Da noi la sinistra pareggiava con un Berlusconi terminale; sull’altra sponda dell’Adriatico, invece, Edi l’artista, Edi il socialista, l’ex sindaco di Tirana che aveva colorato i palazzi, archiviava per sempre la stagione di Sali Berisha. Voltava pagina. “Come sono avanti questi albanesi”, è il qualunquismo mezzo di sinistra e mezzo di disprezzo che da allora dedichiamo ai nostri vicini. E su questa carenza di conoscenza, da più di un decennio, periodicamente, Edi Rama lucra politica. Non lo vediamo perché per vederlo bisogna considerare l’Albania uno stato. E invece per noi l’Albania è un luogo dell’immaginario, e i sogni non sono portatori di interessi. Non lo vediamo, perché la fiction italo-albanese è utile a mascherare la povertà della nostra politica estera.

      L’ultimo gioco di prestigio Rama lo ha regalato lunedì scorso a Palazzo Chigi, questa volta il complice non è stato l’«amico Renzi» (2014), né l’«amico Di Maio» (2021), siccome siamo nel 2023 è stata «l’amica Giorgia Meloni». Non sono certo che commentare il memorandum (https://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2023/11/08/1699429572-Protocollo-Italia-Albania-.pdf?x19465) firmato dai due governi sia utile, non solo perché è evidentemente poco praticabile sul piano pratico e giuridico, ma perché seguo da diversi anni le relazioni tra Italia e Albania e non credo più alle parole che si dicono le due diplomazie. A chi non avesse seguito, basti sapere che nel corso della conferenza stampa (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-incontra-il-primo-ministro-della-repubblica-d-albania/24178), la Presidente del Consiglio ha dichiarato che l’Albania “concederà all’Italia alcune zone del suo territorio” (sic!), sulle quali l’Italia potrà realizzare “a proprie spese e sotto la propria giurisdizione” due strutture “per la gestione dei migranti illegali”. Per l’esattezza il governo ipotizza di portare in Albania tremila persone al mese, che dovrebbero rimanere in questi centri durante la domanda di asilo, negata la quale il richiedente verrebbe allontanato dal territorio albanese (non si capisce per andare dove, se si rimpatria dall’Italia o dall’Albania). Flusso complessivo annuale stimato: 36.000 persone. Come alla fine delle pubblicità dei farmaci, Meloni in chiusura ha messo le avvertenze – “Il protocollo disegna la cornice politica, all’accordo dovranno seguire i provvedimenti normativi conseguenti” – e ha fornito una vaga data di inizio progetto: primavera 2024. Tradotto: questo accordo non esiste, è pura propaganda.

      Nulla di nuovo sotto il sole italo-albanese. Qualcosa di simile era già avvenuto nel 2018, quando la crisi della nave Diciotti bloccata da Salvini nel porto di Catania venne “risolta” dai media manager del governo albanese, che promise su twitter l’accoglienza di 20 migranti, venendo immediatamente ripreso dall’account della Farnesina, e quindi da tutte le agenzie stampa. Anche allora i ministri Salvini e Di Maio (il governo era gialloverde) enfatizzarono la condotta del piccolo paese balcanico “più europeo e più solidale degli stati membri”: a sinistra ci si cullò nel sogno di un paese povero ma ospitale, a destra ci si vantò dei frutti dell’intransigenza del ministro degli Interni, che con il suo “no” aveva imposto una redistribuzione, peraltro a un paese che con il suo gesto ripagava finalmente l’accoglienza degli italiani (come se la Lega Nord degli anni Novanta fosse stata accogliente verso gli albanesi). Giorni di dichiarazioni allucinanti e vuote, perché nessun asilante della Diciotti arrivò mai in Albania (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Nessun-asilante-della-Diciotti-e-mai-arrivato-in-Albania-192453), né alcuna autorità si pose mai il problema che ciò accadesse, essendo illegale il trasferimento di un migrante giunto in Ue in uno stato terzo, fuori dal sistema di asilo europeo.

      Ed è proprio qui che la sparata di Meloni supera quella di Salvini: perché per evitare l’obiezione dell’illegalità di un trasferimento forzato fuori dall’Ue, a questo giro si dice che il porto di Shëngjin e le sue strutture saranno “territorio italiano”, e che da quel territorio i migranti dislocati in Albania potranno chiedere asilo all’Italia. Ammesso e non concesso che sia possibile trasportare i migranti intercettati, poniamo, al largo della Sicilia in un porto a 700 km di mare delle rotte del Mediterraneo centrale (non certo l’approdo più vicino imposto dalle Convenzioni internazionali sul soccorso in mare), davvero non si capisce come sia possibile realizzare una Italia extraterritoriale, capace di organizzare un’accoglienza rispettosa del diritto internazionale fuori dai propri confini. Ma sto contravvenendo al buon proposito di non commentare un memorandum che non diventerà mai operativo. Torniamo alla politica, e in particolare alla politica albanese. Perché, ciclicamente, Edi Rama si occupa delle nostre questioni migratorie?

      Per lo stesso motivo per cui nel 2020 sceneggiò di inviare una squadra di infermieri in Lombardia per aiutare le nostre terapie intensive intasate dal Covid-19 (https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Dare-un-senso-alla-solidarieta-del-governo-albanese-200768): il video sulla pista dell’aeroporto di Tirana (https://www.youtube.com/watch?v=XYtgeZjtIko

      ), con i poveri medici già inscafandrati è degno della Corea del Nord (per la cronaca, si trattava di ragazzi inesperti, come emerse negli ospedali del bresciano dove vennero dislocati, sostanzialmente per apprendere le tecniche di contrasto al virus, nel momento in cui la pandemia divampava anche in Albania). Nel 2018, come nel 2020 come nel 2023, per Edi Rama l’obiettivo è sempre uno solo: entrare nel flusso narrativo delle vicende europee, accreditarsi tra i partner come leader d’area e dipingere presso le opinioni pubbliche l’Albania come membro di fatto dell’Unione europea. Cose che aiutano a far dimenticare che su ogni singolo dossier dei negoziati di adesione il suo paese arranca.

      La conferenza stampa di Rama e Meloni non ha raccontato l’avvenimento di un fatto diplomatico. È essa stessa il fatto diplomatico. Dinanzi agli italiani, Rama ha offerto a Meloni la possibilità di fingere che l’Italia abbia una politica estera assertiva (una funzione che lo stato albanese ha svolto altre volte nella storia d’Italia), dinanzi agli europei, Meloni ha offerto a Rama ciò che tutti i governi italiani garantiscono a prescindere dal colore politico: il certificato di europeità. “Non solo l’Albania si conferma una nazione amica dell’Italia – ha dichiarato la Presidente – ma anche una nazione amica dell’Unione europea. Nonostante sia solo un paese candidato si comporta già come un paese membro dell’Unione”. Insomma, da dieci anni il copione è lo stesso, ma i nostri governi cambiano ed ereditano il discorso dal precedente, mentre Rama resta e continua ad affinare la sua interpretazione: “Preferisco far riposare il traduttore”, dice prima di sfoderare il suo italiano, con lo sguardo umile di chi vorrebbe fare di più. E poi va dritto al cuore, dritto sul senso di colpa della sinistra, dritto sul complesso di superiorità della destra: “Non avremmo fatto questo accordo con nessuno stato Ue. Il debito che abbiamo con l’Italia non si paga, ma se l’Italia chiama l’Albania c’è. Se ci sono domande bene, se non ci sono firmiamo e andiamo in vita dopo aver fatto il nostro dovere”.

      Da dieci anni, Edi Rama governa il suo paese con i media stranieri e il consenso che miete all’estero, da Bruxelles ad Ankara (perché esiste anche un copione “orientalista” consolidato, ma questa è un’altra storia: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Albania-candidata-all-Europa-o-provincia-ottomana-195112). Oggi in Albania manca una opposizione credibile, sia a livello nazionale che municipale, principalmente perché opporsi non conviene. La criminalità organizzata è scesa a patti con questo nuovo, singolo, potere. La corruzione non dilaga, è endemica, l’unico metodo possibile. Le riforme richieste dall’Ue arrancano, gli albanesi emigrano in massa: senza barconi, ma chiedendo asilo in nord Europa, come gli eritrei della Diciotti.

      Per tutti questi motivi Edi (che è cresciuto a Rai e Mediaset e conosce il potere ipnotico che l’estero esercita sulla periferia albanese e che il ricordo della migrazione albanese esercita su di noi) ogni tanto un giretto in Italia se lo fa. E proprio per questi motivi, proprio perché l’Albania reale, nonostante la nostra cooperazione e le nostre politiche, oggi è un paese così, noi abbiamo bisogno di un’Albania che ci racconti quanto siamo stati bravi. Che ci confermi che stiamo raccogliendo i frutti dell’accoglienza seminata trenta anni fa. Che ci rassicuri sul fatto che sappiamo stare nel Mediterraneo, e che sul Mare Nostrum disponiamo di tavoli e relazioni che ci consentono di farci ascoltare in Europa. Questa volta, forse, l’hanno sparata troppo grossa. La ricorrente bugia italo-albanese è un’impostura morale che interessa a poche persone, ma sta oltrepassando le soglie della sostenibilità. Il risveglio rischia di essere molto brusco.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Ancora-lui-ancora-Edi-228139

    • Albania Agrees to Host Centres Processing Migrants to Italy

      Albanian Prime Minister Edi Rama has signed an agreement in Rome pledging to host centers that will process the claims of thousands of migrants rescued by Italy at sea.

      Italian Prime Minister Giorgia Meloni and her Albanian counterpart, Edi Rama, on Monday in Rome signed an important memorandum of understanding under which Albania has agreed to host centres managing thousands of would-be migrants to Italy rescued at sea.

      “Mass illegal immigration is a phenomenon that no EU state can deal with alone, and collaboration between EU states and non-EU states, for now, is fundamental,” Meloni said.

      “The memorandum has three main goals”, she explained; to combat people smuggling and illegal migration, and to welcome only those that have rights to international protection.

      Under the deal, Italy will set up two centres in Albania, which Meloni said in the end might handle “a total annual flow of 36,000 people”.

      Jurisdiction over the centres will be Italian.

      “Albania will grant some areas of territory”, where Italy will create “two structures” for the management of illegal migrants: “they will initially be able to accommodate up to 3,000 people who will remain there for the time needed to process asylum applications and, possibly, for the purposes of repatriation,” said Meloni, Italy’s ANSA news agency reported.

      One centre will be at the northwestern Albanian port of Shëngjin, which will handle disembarkation and identification procedures and where Italy will set up a first reception and screening centre.

      In Gjader, also in north-western Albania, it will set up a second, pre-removal centre, CPR, structure for subsequent procedures, ANSA added.

      The deal does not apply to immigrants arriving on Italian territory but to those rescued in the Mediterranean by Italian official ships – not those rescued by NGOs. It does not apply to minors, pregnant women and vulnerable persons.

      Albania will collaborate on the external surveillance of the centres. A series of protocols will follow that outline the framework. The plan is to make the centres operational in the spring of 2024, Meloni said.

      Since Meloni’s far-right government came into power, one of its priorities has been to reduce the number of people arriving illegally in Italy through the Central Mediterranean or Western Balkan migration routes.

      This goal explains Italy’s renewed political interest in the Balkans. Several top Italian political figures, including Meloni herself and Foreign Minister Antonio Tajani, have been regularly meeting counterparts in Slovenia, Croatia and Albania in the last months. A central point of these meetings has been migration.

      Data published by the Italian Department of Public Safety show that the number of irregular arrivals in Italy in 2023 until November 1, 2023, was 145,314, a 165-per-cent increase compared to 2021, and 64 per cent higher than 2022.

      Albania’s Rama said Albania could not reach a similar agreement with any other country in the EU, citing the unique connections between Albania and Italy and Italians and Albanians.

      Sa far, Albania has had limited capacities to host migrants, most of whom use it as transit country to reach EU countries.

      Rama added that Albania owes the Italian people a debt for “what they did to us from the first day that we arrived on the shores of [Italy] to find support and to imagine and have a better life”.

      After the fall of communism of Albania in 1991, many Albanians fled to Italy’s southern coasts by boat. According to data published in 2021 by the Italian National Institute of Statistic, 230,000 Albanian citizens have acquired Italian citizenship since 1991.

      https://balkaninsight.com/2023/11/06/albania-agrees-to-host-centres-processing-migrants-to-italy

    • Italy-Albania agreement adds to worrying European trend towards externalising asylum procedures

      “The Memorandum of Understanding (MoU) between Italy and Albania on disembarkation and the processing of asylum applications, concluded last week, raises several human rights concerns and adds to a worrying European trend towards the externalisation of asylum responsibilities,” said today the Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović.

      “The MoU raises a range of important questions on the impact that its implementation would have for the human rights of refugees, asylum seekers and migrants. These relate, among others, to timely disembarkation, impact on search and rescue operations, fairness of asylum procedures, identification of vulnerable persons, the possibility of automatic detention without an adequate judicial review, detention conditions, access to legal aid, and effective remedies. The MoU creates an ad hoc extra-territorial asylum regime characterised by many legal ambiguities. In practice, the lack of legal certainty will likely undermine crucial human rights safeguards and accountability for violations, resulting in differential treatment between those whose asylum applications will be examined in Albania and those for whom this will happen in Italy.

      The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalising asylum as a potential ‘quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees, asylum seekers and migrants. However, externalisation measures significantly increase the risk of exposing refugees, asylum seekers and migrants to human rights violations. The shifting of responsibility across borders by some states also incentivises others to do the same, which risks creating a domino effect that could undermine the European and global system of international protection.

      Ensuring that asylum can be claimed and assessed on member states’ own territories remains a cornerstone of a well-functioning, human rights compliant system that provides protection to those who need it. It is therefore important that member states continue to focus their energy on improving the efficiency and effectiveness of their domestic asylum and reception systems, and that they do not allow the ongoing discussion about externalisation to divert much-needed resources and attention away from this. Similarly, it is crucial that member states ensure that international co-operation efforts prioritise the creation of safe and legal pathways that allow individuals to seek protection in Europe without resorting to dangerous and irregular migration routes.”

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/id/261934338

    • German Chancellor Scholz to examine Italy-Albania asylum deal

      The German leader has signalled an openness to study Italy’s recent agreement to hold asylum seekers in centers in Albania. The deal has raised human rights concerns, including from the Council of Europe.

      German Chancellor Scholz has said he will look “closely” at Italy’s plans to establish centers in Albania to hold migrants. Speaking on the sidelines of the congress of European Socialists in the Spanish city of Malaga, he noted that Albania is a candidate for EU membership and that challenges like migration needed to be addressed on a European level, reported Reuters.

      “Bear in mind that Albania will quite soon, in our view, be a member of the EU, implying that we are talking about the question of how can we jointly solve challenges and problems within the European family,” Scholz told reporters on Saturday (November 11).

      The Memorandum of Understanding between the Italian and Albanian governments, announced last week, will see tens of thousands of migrants who were rescued in the Mediterranean housed in closed centers in Albania while authorities assess their asylum requests.

      “Such deals, that have been eyed there, are possible, and we will all look at that very closely,” Scholz stated during the briefing, according to Reuters.

      He emphasized that a clear European course in migration policy was needed “to correct things that have not been right in the past (and) to establish a solidarity mechanism so that not each country on its own has to try and master the challenges alone.”
      ’It becomes less attractive for them to pay big money to smugglers’

      If the Italy-Albania deal is implemented, it would be the first time that such an idea would actually be put in place, Ruud Koopmans, a professor for migration studies and advisor to the German Federal Office for Migration and Refugees, BAMF, told DW in an interview. He referred to unsuccessful attempts by Denmark and the UK to try something similar in Rwanda.

      From a legal perspective, the Italy-Albania deal could become problematic if people who are rescued on Italian territory instead of in international waters are sent to Albania, Koopmans noted. “When people from the Sahara come to Italy and are then sent to Albania, there is no prior connection to Albania. This could be legally problematic.”

      Koopmans said that it could also become difficult to send people back who are rejected. “…(T)his is not easy in practice, as home countries often do not cooperate and documents are missing. This is a problem that Albania will also face. But if people know that they will have to wait in Albania if they are rejected, it becomes less attractive for them to pay big money to smugglers,” he said.

      Discussions on finding solutions to increasing asylum numbers are gaining momentum, Koopmans said. “More and more countries are looking for solutions. Denmark, Austria, the Netherlands and Germany are having discussions along these lines.” Deals like the Italy-Albania agreement could present an opportunity for countries neighboring the EU, in that they could help their efforts to join the bloc, he added.

      Deal could undermine human rights safeguards, Mijatović

      Italy’s deal has raised concerns among Italy’s opposition as well as rights groups who see it as an attack on the right to asylum. The NGO Emergency said that the deal is “in reality, ...a way to block migrants from arriving on Italian soil – and therefore European soil – to ask for asylum, as required by European and international law. (This is) yet another attack on asylum rights and the provisions of Article 10 of our Constitution.”

      Concerns were also expressed by Council of Europe Commissioner for Human Rights, Dunja Mijatović. She warned that the deal’s legal ambiguities could undermine human rights safeguards and accountability. “The MoU is indicative of a wider drive by Council of Europe member states to pursue various models of externalizing asylum as a potential ’quick fix’ to the complex challenges posed by the arrival of refugees,” she said in a press release on November 13.

      Mijatović urged member states to focus on improving domestic asylum and reception systems and to prioritize safe and legal pathways for protection in Europe.

      Germany announces streamlined asylum process

      The chancellor’s remarks in Malaga came on the heels of an agreement with Germany’s 16 states on a tougher migration policy and increased funding for refugee hosting capacities.

      Faced with an increase in the number of asylum cases filed in Germany, estimated to reach 300,000 this year, the government has announced it will accelerate procedures.

      At all BAMF offices, the procedure for registering asylum seekers now includes photographing and fingerprinting, allowing for immediate data checks to rule out potential multiple identities. The system allows other agencies involved in the asylum process to access biometric data as well, according to BAMF. Arabic names will be transferred into the Latin alphabet to prevent differences in spelling and other mix-ups.

      Furthermore, mobile phone searches will only be conducted on a case-by-case basis, BAMF said, and queries to the Schengen Information System (SIS) will be reduced: if the last SIS search was within 14 days, an additional inquiry is waived.

      A spokesperson from BAMF said that these specific measures would make procedures more efficient, while maintaining high-security standards. The asylum procedure is meant to last 6.7 months on average. However, when considering negative decisions, administrative court proceedings take on average 21.8 months in the first instance, the spokesperson noted.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53194/german-chancellor-scholz-to-examine-italyalbania-asylum-deal

    • Accordo Italia-Albania, ASGI: è incostituzionale non sottoporlo al Parlamento

      La Costituzione italiana prevede che la ratifica di trattati internazionali spetti al Presidente della Repubblica, previa, quando occorra, l’autorizzazione con legge del Parlamento (art. 87, Cost.).

      Tutti i tipi di trattati internazionali costituiscono una delle fonti del diritto internazionale, la cui efficacia nell’ambito nazionale deriva da un ordine di esecuzione dato per effetto della loro ratifica che fa sorgere l’obbligo internazionale della loro attuazione interna.

      Come ha ricordato il Ministero degli affari esteri nella sua circolare n. 2/2021 del 30 luglio 2021 “quale che sia la loro denominazione formale (trattati, accordi, convenzioni, memorandum, etc.), i trattati internazionali possono essere conclusi tramite documenti a firma congiunta, scambi di note, scambi di lettere o altre modalità, essendo riconosciuto dal diritto internazionale il principio della libertà delle forme.”

      Gli atti per i quali l’art. 80 Cost. prescrive la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica sono i «trattati che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

      La dottrina giuridica afferma che si tratti di una forma di controllo democratico della politica estera e di compartecipazione delle Camere al potere estero del Governo. Anche per tale rilevanza politica complessiva l’art. 72, comma 4 Cost. prescrive che i disegni di legge per la ratifica siano esaminati sempre con procedura legislativa ordinaria.

      Inoltre, è bene ricordare che, in generale, qualsiasi norma non costituzionale deve essere interpretata sempre in modo conforme alla Costituzione, sicché anche questo Protocollo deve essere interpretato in modo conforme all’art. 80 Cost.

      Secondo il Governo, tuttavia, il Protocollo italo-albanese in materia di gestione delle migrazioni non deve essere sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica, perché sarebbe l’attuazione del Trattato di amicizia e collaborazione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, con scambio di lettere esplicativo dell’articolo 19, fatto a Roma il 13 ottobre 1995, ratificato e reso esecutivo sulla base della legge 21 maggio 1998, n. 170.

      Tesi giuridicamente infondata, perché l’art. 19 del Trattato del 1995 prevede soltanto che Italia ed Albania “concordano nell’attribuire una importanza, prioritaria ad una stretta ed incisiva collaborazione tra i due Paesi per regolare, nel rispetto della legislazione vigente, i flussi migratori” e che “riconoscono la necessità di controllare i flussi migratori anche attraverso lo sviluppo della cooperazione fra i competenti organi della Repubblica Italiana e della Repubblica di Albania e di concludere a tal fine un accordo organico che regoli anche l’accesso dei cittadini dei due Paesi al mercato del lavoro stagionale, conformemente alla legislazione vigente”.

      Dunque, nel Trattato del 1995 Italia e Albania si sono accordate per concludere successivi protocolli in materia migratoria soltanto per l’ipotesi prevista nell’art. 19 comma 2 e cioè per regolare l’immigrazione albanese in Italia (che infatti è stata poi regolata con due successivi accordi firmati in forma semplificata nel 1997 e nel 2008), mentre le norme che si riferiscono genericamente alla regolazione e al controllo dei flussi migratori alludono a materie del tutto vaghe e suscettibili delle più diverse applicazioni, future e incerte.

      Pertanto, la mera indicazione che si tratti di un Protocollo sulla “cooperazione in materia migratoria” e il richiamo a due precedenti trattati e accordi non possono certo essere lo strumento per eludere l’obbligo derivante dall’art. 80 Cost. per il Governo di presentare alle Camere un apposito disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo e della futura intesa di attuazione.

      Il Protocollo appena firmato prevede disposizioni molto dettagliate che riguardano proprio i casi in cui l’art. 80 Cost. esige la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica, perché:

      – comportano oneri alle finanze, sia perché il Protocollo pone espressamente a carico dell’Italia specifici oneri finanziari, per l’allestimento delle strutture (art. 4, comma 5), per l’erogazione di servizi sanitari (art. 4, comma 9), per la realizzazione delle strutture necessarie al personale albanese addetto alla sicurezza esterna dei centri (art. 5., comma 2), per la riconduzione nei centri da parte delle autorità albanesi di eventuali migranti usciti illegalmente dai centri (art. 6, comma 6) e per l’impiego dei mezzi e delle unità albanesi (art. 8, comma 3) e per eventuali risarcimenti del danno (art. 12, comma 2), cioè per la realizzazione e gestione dei centri, per il relativo personale, per il trasporto da e per l’Albania degli stranieri trattenuti e per la loro assistenza anche sanitaria (a cui dovrà aggiungersi anche la copertura degli oneri connessi al gratuito patrocinio per le spese di difesa degli stranieri, per quelle di interpretariato e per quelle sullo svolgimento dell’attività delle commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale e dei giudici che convalideranno il trattenimento e che giudicheranno sugli eventuali ricorsi), sia perché il Protocollo prevede specifici contributi, iniziali (16,5 milioni di euro) e una successiva garanzia di 100 milioni di euro, che devono essere erogati dall’Italia all’Albania i cui importi e scadenze sono specificati in un apposito allegato al Protocollo stesso;

      - comportano modificazioni di leggi, perché il Protocolloper essere effettivamente attuato non soltanto prevede espressamente un’intesa successiva (che, dunque, dovrà essere sottoposta alle Camere congiuntamente al Protocollo), ma prevede norme che comportano operazioni amministrative e giudiziarie concernenti stranieri giunti in Italia e che saranno svolte in Albania, cioè norme non previste dalle attuali leggi italiane. Questo significa che il protocollo, per essere attuato, esige implicitamente la modificazione di tante norme legislative vigenti in Italia, che regolano la condizione giuridica degli stranieri che giungono in Italia e che presentano in Italia una domanda per fruire del diritto di asilo nel territorio della Repubblica italiana (e la condizione giuridica dello straniero e le condizioni per il diritto di asilo sono materie coperte da riserva di legge ai sensi dell’art. 10, commi 2 e 3 Cost.). Infatti, in base alle disposizioni del protocollo costoro potranno essere soccorsi da navi italiane, e dunque in territorio italiano, e da qui trasportati poi in Albania per essere sottoposti in territorio albanese a misure restrittive alla libertà personale (e i casi e i modi dei provvedimenti restrittivi della libertà personale sono materie coperte da riserva assoluta di legge e da riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 CEDU); tali restrizioni avverranno mediante provvedimenti disposti e attuati in Albania da autorità italiane in modi che saranno, in tutto o in parte, diversi da quelli già previsti dalle vigenti norme legislative italiane (p. es. occorrerà indicare quale sarà l’autorità di pubblica sicurezza competente dal punto di vista geografico ad adottare i provvedimenti amministrativi di espulsione e i provvedimenti di trattenimento, occorrerà individuare la commissione territoriale competente ad esaminare eventuali domande di protezione internazionale, occorrerà dare una nuova applicazione al concetto di “accompagnamento immediato alla frontiera” di persone che in realtà sono già fuori del territorio italiano, occorrerà stabilire modi e garanzie per interpreti, difensori e stranieri durante lo svolgimento in Albania dei colloqui con le autorità di pubblica sicurezza e con i giudici, occorrerà disciplinare i procedimenti di trasporto degli stranieri da e per i centri albanesi);

      – comportano regolamenti giudiziari che riguardano la giurisdizione italiana, sia relativamente alla sua estensione territoriale e personale (inclusa la regolamentazione di eventuali contenziosi sulla responsabilità civile di ciò che accadrà in Albania che saranno espressamente di competenza dei giudici italiani), sia con riguardo alla effettuazione da parte dei giudici italiani nei centri albanesi dei giudizi di convalida dei trattenimenti e degli eventuali giudizi sui ricorsi contro le eventuali decisioni di diniego e di inammissibilità delle domande di protezione internazionale (occorrerà disciplinare la competenza territoriale del giudice che dovrà giudicare in Albania e le modalità delle notificazioni e dello svolgimento dei giudizi);

      - hanno natura politica, poiché le disposizioni del Protocollo impegnano durevolmente la politica estera italiana, avendo una durata di cinque anni ed essendo state negoziate e stipulate personalmente e pubblicamente dai capi dei Governi dei due Stati e non già da Ministri o da meri funzionari ministeriali, e poiché le premesse del Protocollo espressamente lo motivano con la “comunanza di interessi e di aspirazioni” tra i due Stati e dei due Stati alla prevenzione dei flussi migratori illeciti e della tratta degli esseri umani, e a promuovere la crescente collaborazione bilaterale tra Italia ed Albania “anche nella prospettiva dell’adesione della Repubblica di Albania all’UE”, che è l’evidente interesse principale di tutte le azioni di politica estera del governo albanese. La grande ed evidente politicità dell’accordo è confermata dalle dichiarazioni pubbliche fatte dalla Presidente del Consiglio dei ministri al momento della firma del protocollo davanti al Primo ministro albanese: il Protocollo è stato definito «importantissimo […] che arricchisce un’amicizia storica [e] una cooperazione profonda» tra i due Stati, la «cornice politica e giuridica» della collaborazione tra Italia e Albania e «un accordo di respiro europeo».

      Inoltre, il Protocollo ha per oggetto misure che attengono alle materie della sicurezza e della difesa nazionale. L’attuazione delle disposizioni previste dal Protocollo comporta il trasporto verso l’Albania di stranieri mediante mezzi delle competenti autorità italiane, il che avverrà in modi sostanzialmente forzati, mediante aerei o navi delle Forze armate italiane, le quali hanno già basi in Albania e alle quali il Governo con l’art. 21 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124 ha affidato la realizzazione dei centri di permanenza per il rimpatrio, dei punti di crisi e dei centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo, trattandosi di materie che lo stesso articolo del citato decreto-legge attribuisce espressamente alla materia della difesa e della sicurezza la realizzazione.

      Proprio su queste materie la legge n. 25/1997 (e oggi l’art. 10, comma 1, lett. a) del codice dell’ordinamento militare, emanato con d. lgs. n. 66/2010) ha previsto che tutte le deliberazioni del Governo in materia di sicurezza e di difesa debbano essere sempre approvate dal Parlamento. Ciò comporta che dal 1997 sono sottoposti all’esame delle Camere mediante leggi di autorizzazione alla ratifica anche tutti i tipi di accordi internazionali in materia di sicurezza e di difesa.

      *

      È dunque indispensabile l’esame parlamentare del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica di questo protocollo e della sua futura intesa di attuazione e delle norme nazionali che daranno esecuzione nell’ordinamento italiano a questi accordi.

      Va ricordato, infine che:

      – la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica non necessariamente deve essere di iniziativa del Governo (la Costituzione non lo prescrive), sicché, come è già accaduto in alcune altre occasioni, in mancanza di una presentazione di un disegno di legge del Governo essa può essere presentata nelle Camere anche da singoli parlamentari;

      – L’Assemblea di ogni Camera ha il potere di presentare alla Corte costituzionale ricorso per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato.

      In ogni caso qualora questo Protocollo non sia sottoposto a legge di autorizzazione alla ratifica in conformità con l’art. 80 Cost. non potrà mai essere eseguito, né potrà essere considerato vincolante per l’ordinamento italiano, quale obbligo internazionale ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.

      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento

    • Nell’intesa Italia-Albania, la continuità deve preoccuparci quanto la novità

      L’accordo spinge la pratica di esternalizzare le frontiere verso direzioni preoccupanti. Dubbi sulla sua effettiva applicabilità

      A più di una settimana dall’annuncio dell’accordo tra Italia e Albania in materia di “gestione dei flussi migratori”, la mossa del governo italiano ha attirato diverse critiche in ambienti giuridici e militanti per le sue implicazioni in termini di diritti umani e di rispetto della legislazione italiana ed europea in materia di asilo.

      Nella consueta propaganda del governo, l’accordo (reso noto soltanto a operazione conclusa) è stato presentato come un successo diplomatico, un accordo “storico” e “innovativo”. Di fronte alle preoccupazioni sollevate da varie voci, la Presidente del Consiglio non è entrata nel merito, limitandosi a dichiararsi “fiera” di questa azione pionieristica, che “può diventare un modello per altre nazioni di collaborazione tra Paesi Ue e extra Ue” 1.

      Il protocollo prevede l’istituzione di due centri (paradossalmente definiti da alcuni media “di accoglienza”) in territorio albanese, ma sottoposti alla giurisdizione italiana: uno per le procedure di identificazione e gestione delle domande di asilo, l’altro per i rimpatri, sul “modello” dei CPR. È previsto un termine di 28 giorni per valutare le domande di ogni richiedente: una velocizzazione dei tempi che sicuramente andrebbe a discapito dell’accuratezza delle raccolte delle prove e delle valutazioni. Per quanto riguarda il “modello” del centro per i rimpatri, è ormai noto quanto gli abusi fisici e psicologici verso i detenuti siano frequenti, e quante morti evitabili sono state causate da questo sistema.

      I dubbi sulla legittimità e le possibili conseguenze dell’accordo sono tanti e fondati. E nonostante alcune affermazioni di approvazione da parte di politici europei per l’esperimento “interessante”, diversi giuristi esperti di migrazioni e diritto d’asilo hanno espresso le loro riserve sull’intesa. Una dichiarazione di ASGI sottolinea le ragioni per cui la mancata approvazione parlamentare di un accordo come questo non può ritenersi legittima. L’intesa prevede infatti disposizioni su alcune materie (finanziarie, scelte di politica estera, modifiche all’ordinamento giuridico) di cui dovrebbe necessariamente rispondere la rappresentanza democratica 2. Nel merito dei contenuti si è ampiamente espresso Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e attivista, descrivendo l’accordo come “privo di basi legali”.

      Un primo elemento di illegittimità è il trasferimento delle persone soccorse dalle navi italiane in territorio extra-europeo. Non si conoscono poi le attribuzioni delle competenze sulle procedure, le modalità dei rimpatri, i criteri per l’attribuzione delle caratteristiche di “vulnerabilità” che impedirebbero il trasferimento di alcune persone tratte in salvo da navi italiane verso l’Albania.

      Critiche sono arrivate anche da alcune organizzazioni non governative. Emergency ha descritto l’accordo come l’ennesimo attacco al diritto di asilo 3. La non appartenenza dell’Albania all’UE significa l’impossibilità di applicare la legge europea all’azione delle autorità albanesi. Inoltre, per i tempi sbrigativi con cui le persone richiedenti asilo sarebbero valutate, potrebbe non esserci spazio per il diritto al ricorso contro la decisione di rifiuto della domanda. In modo analogo, Amnesty International ha condannato l’accordo come “illegale e impraticabile” 4.

      Sia nelle presentazioni istituzionali sia nelle critiche, si è parlato di questo accordo soprattutto in termini di novità, di rottura con il quadro giuridico esistente. Ma è bene anche enfatizzare anche gli aspetti di continuità di questa scelta politica con il passato. Un’opinione autorevole arriva dal Consiglio d’Europa, che nelle parole della Commissaria per i diritti umani Dunja Mijatović esprime la sua preoccupazione per la tendenza crescente in Europa ad esternalizzare le frontiere e le procedure di asilo.

      La dichiarazione mette a punto una serie di fattori ambigui e problematici dell’accordo: “le tempistiche degli sbarchi, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità automatica di detenzione senza un adeguato controllo giudiziario, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e a rimedi effettivi […]. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente comprometterà le garanzie fondamentali per i diritti umani e la responsabilità per le violazioni, determinando un trattamento differenziato tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia” 5.

      E sebbene tutte le ambiguità e anomalie implicite nel trattato potrebbero comportarne il fallimento o addirittura l’inapplicabilità, il protocollo d’intesa non fa che aggravare la preoccupante tendenza a esternalizzare le frontiere, ormai consolidata.

      E non è chiaramente una prerogativa esclusiva del governo attuale e delle forze politiche che lo sostengono. Infatti, il memorandum si inserisce perfettamente nel solco di altri accordi, più o meno opachi, che i nostri governi – ma anche altri governi europei e la stessa Unione – sottoscrivono da anni con paesi extra UE. Allora, forse, vale la pena di riflettere su quanto siamo disposti ad accettare, di volta in volta, di sacrificare un pezzo in più dei diritti delle persone in movimento, in una posta al ribasso che ha normalizzato sistemi che producono morte, sfruttamento e torture come inevitabili conseguenze della sacralità dei confini.

      Questa tendenza a esternalizzare tramite accordi con paesi terzi è indice di scarsa democraticità.

      Innanzitutto perché uno strumento come un protocollo d’intesa, o Memorandum of Understanding, è per sua natura “flessibile”. La preferenza sempre più marcata per questo tipo di accordo da parte del governo italiano – si pensi al memorandum con la Libia nel 2017 e con la Tunisia nel 2020 – risponde alle logiche emergenziali con cui sono ormai quasi esclusivamente trattate le questioni legate alle migrazioni.

      Se questo è un vantaggio dal punto di vista del governo, è evidente che la mancanza di controllo sui suoi contenuti e sulla sua eventuale applicazione rappresenta un problema: un memorandum non è legalmente vincolante per le due parti, non è necessariamente sottoposto a ratifiche parlamentare e può essere mantenuto riservato.

      Se si vuole parlare la lingua degli “interessi strategici”, troppo spesso l’unica con cui le istituzioni governative si approcciano alle politiche migratorie, è però una mossa rischiosa e in alcuni casi poco lungimirante. Un paese terzo a cui vengono attribuite determinate prerogative nel controllo dei confini non è un semplice ricettore passivo di politiche neocoloniali. Benché sia evidente che i rapporti di potere sono sbilanciati in favore della controparte europea, è vero anche che accordi di questo tipo hanno dato la possibilità ad alcuni governi di esercitare forme di pressione e influenza. Pressioni che, ovviamente, sono sempre andate a scapito dei diritti delle persone in movimento, usate come merce di scambio per ottenere dei vantaggi. Controlli più serrati si alternano a periodi di “rilascio controllato” dei/delle migranti, a seconda di ciò che il governo appaltante ritiene in quel momento più funzionale ai propri bisogni. È quello che accade ad esempio con Libia, Turchia, Marocco, Tunisia.

      È in questi termini che emerge ancora la continuità con le politiche migratorie degli ultimi decenni. Esternalizzare le frontiere e le procedure permette di sorvolare più di quanto non sia possibile in Italia sulle incombenze giuridiche e burocratiche del sistema di asilo. Ma soprattutto, rende meno visibili le immancabili violazioni associate al sistema di controllo delle migrazioni. Con la creazione di spazi sotto la giurisdizione italiana in un territorio di uno stato terzo, resta da chiarire come sarebbero valutate le responsabilità in caso di carenze gravi nelle strutture, che sono già state riscontrate in moltissime altre strutture europee, e non: sovraffollamento, mancanza di servizi adeguati per i richiedenti, incuria, abusi fisici, somministrazione di psicofarmaci contro la volontà dei soggetti interessati. A chi sarebbe affidata poi la repressione di eventuali rivolte o fughe da parte delle persone detenute?

      Esternalizzare le frontiere ha quindi uno scopo pratico molto preciso: allontanare dal territorio europeo la conoscenza delle sofferenze e degli atti di ribellione delle persone sottoposte al regime delle frontiere, prevenire azioni di monitoraggio e pressioni sul rispetto dei loro diritti da parte della società civile, far svolgere ad altri il lavoro sporco che per cui le istituzioni governative e le forze di polizia europee potrebbero dover essere chiamate a rispondere.

      Sottolineare gli elementi che renderebbero questo accordo illegale e inapplicabile è necessario per prevenire situazioni difficilmente riparabili con gli strumenti a disposizione della legge. Ma potrebbe non bastare: l’esperienza ci ha mostrato come accordi e decreti contrari ad alcuni principi costituzionali e del diritto di asilo abbiano comunque trovato applicazione, soprattutto quando questa è affidata in parte ad autorità di paesi terzi. È fondamentale quindi contestare alle sue radici una gestione emergenziale delle migrazioni, che passa per il solo sistema di asilo senza prevedere canali di ingresso regolari, e che mira a prevenire l’arrivo nel territorio europeo del maggior numero di persone possibile.

      Tweet di Giorgia Meloni: https://twitter.com/GiorgiaMeloni/status/1723027124246708620
      https://www.asgi.it/notizie/accordo-italia-albania-asgi-illegittimo-parlamento
      https://www.emergency.it/comunicati-stampa/laccordo-italia-albania-e-lennesimo-attacco-al-diritto-di-asilo-e-sottende
      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2023/11/italy-plan-to-offshore-refugees-and-migrants-in-albania-illegal-and-unworka
      https://www.coe.int/hr/web/commissioner/-/italy-albania-agreement-adds-to-worrying-european-trend-towards-externalising-a

      https://www.meltingpot.org/2023/11/nellintesa-italia-albania-la-continuita-deve-preoccuparci-quanto-la-novi

    • Tavolo Asilo e Immigrazione: appello al Parlamento perché non ratifichi il Protocollo Italia-Albania

      L’accordo getta le basi per la violazione del principio di non respingimento e per l’attuazione di pratiche di detenzione illegittima: alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, senza una chiara base legale e nessuna garanzia del diritto di difesa e a un ricorso effettivo

      Il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede che il Protocollo Italia-Albania venga revocato dal Governo e fa fin da ora un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera sull’intesa.

      L’accordo firmato con il governo albanese, violando gli obblighi costituzionali e internazionali del nostro Paese, si pone, come quello con la Tunisia, l’obiettivo di esternalizzare le frontiere e il diritto d’asilo.

      L’accordo Italia-Albania, così come delineato, comporta infatti il rischio di gravi violazioni dei diritti umani. Il testo dell’intesa non chiarisce se i centri da realizzarsi in Albania saranno destinati alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale e in particolare alle procedure di frontiera o al rimpatrio, ma alle persone condotte nei centri sarebbe impedito di uscire, subendo di fatto un regime di detenzione automatica e prolungata, senza una chiara base legale. Anche la possibilità di controllo giurisdizionale sembra compromessa, così come il diritto di difesa e a un ricorso effettivo. L’Accordo non chiarisce infatti la competenza a convalidare il trattenimento delle persone, né che cosa accadrà alle persone che hanno chiesto protezione internazionale che non ottengano risposta entro i 28 giorni previsti dalla procedura accelerata.

      Infine, desta preoccupazione la mancanza nel Protocollo di qualsiasi riferimento alle persone maggiormente vulnerabili, minori, donne, famiglie, vittime di tortura, e di come queste sarebbero salvaguardate dall’applicazione dell’accordo, così come era stato invece annunciato nei giorni scorsi.

      Per questi motivi le Organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione ne hanno chiesto oggi la revoca da parte del Governo durante una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il Segretario di +Europa Riccardo Magi, il senatore Graziano Delrio, Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, oltre ai deputati Matteo Mauri, Giuseppe Provenzano e Alfonso Colucci.

      Le associazioni hanno inoltre lanciato un appello al Parlamento perché voti contro il disegno di legge di ratifica preannunciato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante le odierne comunicazioni alla Camera.

      Per il Tavolo Asilo e Immigrazione

      A Buon Diritto, ACAT, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Casa dei Diritti Sociali, Centro Astalli, CGIL, CIES, CNCA, Commissione Migranti e GPIC Missionari Comboniani Italia, DRC Italia, Emergency, Europasilo, Fondazione Migrantes, Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Intersos, Medici del Mondo, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, Società Italiana Medicina delle Migrazioni, UIL, UNIRE

      Aderiscono inoltre

      AOI, Mediterranea Saving Humans, Open Arms, Rivolti ai Balcani, Sea Watch e Sos Mediterranée Italia

      https://www.asgi.it/primo-piano/tavolo-asilo-e-immigrazione-appello-al-parlamento-perche-non-ratifichi-il-proto

    • Italy: Parliament to ratify Albania deal to process asylum seekers

      Both of Italy’s houses of parliament will be given the chance to ratify the country’s new deal to process asylum seekers in Albania. The motion was approved after a debate in the lower house on Tuesday.

      Italy’s Foreign Minister Antonio Tajani spoke to Italy’s lower house on Tuesday (November 21), explaining the Italy-Albania deal to process asylum seekers in more detail, and promising that the deal would be presented as a DDL (proposal of a law) and that both houses would have the chance to ratify it before it proceeds.

      In his long speech to the lower house, Tajani reminded parliamentarians that other similar deals with countries like Libya had not been subject to the same ratification process. Originally the Italian government said that the Italy-Albania deal didn’t need to be either, since it was not a treaty and only treaties needed to be ratified by parliament.

      However, in what the opposition has dubbed a “complete U-turn,” two weeks after the Italy-Albania deal was signed, Tajani has announced that it would be presented as a subject for debate by parliamentarians. The government hopes that the debates and ratification process will be “as quick as possible,” since the deal is meant to begin in just a few months, by spring 2024.
      Deal ’is just one additional instrument’ to manage migration

      Fighting the traffickers is “an absolute priority” for the Italian government, said Tajani during his speech to parliament. Referring to the death of a two-year-old girl during a rescue operation on Monday (November 20), Tajani said “we won’t and shouldn’t get used to these kinds of tragedies that are unfolding along our coasts.”

      He proposes that the Italy-Albania deal is just “one additional instrument” to help Italy manage migration. Tajani said that Italy has worked hard to make migration a central tenet of EU debate, and says that Italy and other members of the bloc are all working hard to “stop irregular migration, fight traffickers and strengthen the external borders of the EU.”

      Although Tajani admitted that the deal was “no panacea”, he said that Italy had “deep and historic ties with Albania” and already had joint teams to stop the trade in drugs and migrants. For the benefit of the parliament, Tajani outlined once again that the deal would be entirely paid for by Italy and was expected to cost €16.5 million initially. This would cover the two centers, one at the port and one about 30 kilometers away.

      The initial center at the port will be where people are registered and fingerprinted. They will then be moved to the reception center, where they will have their asylum requests examined. Anyone whose request is refused would be repatriated from there.
      Not comparable to UK-Rwanda deal, says Tajani

      This is no offshoring deal, said Tajani, disputing the accusations that it was “Italy’s Guantanamo” or anything like the UK-Rwanda deal. The centers will be entirely staffed by Italian personnel, be managed under Italian law, and they will come under the jurisdiction of the Italian courts, said Tajani.

      Italy’s foreign minister underlined that “no vulnerable people, women or children” would be sent to these centers. It will be exclusively to process the asylum requests of non-vulnerable migrants from safe countries, explained Tajani, or those who have already had one claim refused, or people waiting for repatriation.

      There will never be more than 3,000 people in the centers at any one time, promised Tajani. Italy will pay Albania for police patrols outside the centers and for any hospital visits that are required. Tajani also assured parliamentarians that all rights to healthcare and safety would be respected and that the only asylum seekers brought to Albania would be by Italian official boats. NGO rescue ships would not be disembarking people in Albania.
      Keeping it within the ’European family’

      Tajani said that the European Commission had already confirmed that the agreement did not violate EU law, since, as Tajani explained quoting EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson, the processing will follow Italian law which is fully in line with European law.

      Several MPs in the debate, including Minister Tajani referenced the fact that the German chancellor had said they would be following the agreement closely and thinking about similar models for their country. According to Tajani, the German Chancellor Olaf Scholz said that since Albania will soon be part of the European family, referring to Albania’s European accession process, processing asylum seekers in Albania was about “solving challenges within Europe” and not offshoring.

      Scholz, speaking in Malaga recently, said that the whole bloc was looking to “reduce irregular migration” and said he thought there should be more deals struck like the EU-Turkey 2016 deal, to help Europe manage migration.

      Increasing the legal pathways to Italy

      Nearing the conclusion of his speech, Tajani underlined that any exceptions to adhering to the rule of international law would be straight out “impossible”. Using the Albania agreement as a model, Tajani said the Italian government was seeking to conclude or extend similar deals with other friendly countries, transit countries and countries of origin.

      Tajani promised that the Italian government would also increase the number of legal pathways into Italy. He said in parliament that the new work permits for migrant workers had already been increased to about 150,000 per year from this year to 2025, compared to 82,000 in 2022.

      At the end of the debate in parliament, a majority of 189 to 126 voted to allow the proposal to continue its passage and be put forward as an official proposal of law (DDL), to be examined and ratified by both houses.
      Critics call deal ’illegitimate’ and ask for it to be revoked

      However, the law was not without its critics. During the debate, Riccardo Magi from the Più Europa (More Europe) party said that the deal “did nothing but increase uncertainty and would take away the fundamental right to personal liberty” of people who may be detained under the deal. He added that he didn’t believe that even the ministers proposing the deal believed it would really be doable.”

      On November 20, Amnesty International and 35 other NGOs, which together form the TAI (Tavalo Asilo e Immigrazione – a forum for the discussion of asylum and immigration) have also criticized the deal, calling it “illegitimate” and saying it should be “revoked.”

      The TAI held a press conference on Tuesday (November 21) where they reiterated that in their opinions, the deal violated international obligations and laws. They said that just like the deal with Tunisia, it was an attempt to “externalize the borders and the right to asylum.”

      According to a press release from the TAI, the Italian migration system is “in chaos and continuously violates the law and the rights of welcome and asylum” that under international law they are forced to offer. TAI accuses the Italian government of “making sure it implements practices in the field which just produce emergencies and discomfort.”

      The TAI says that the Italy-Albania deal “risks seriously violating human rights.” They say that once those people are on an Italian boat, they come under Italian jurisdiction, so they can’t then be transferred to another state to have their asylum requests examined.

      The deal, says TAI, goes against the principle of non-refoulement, whereby a person cannot be sent back to a land where they could knowingly be put in danger. The deal also allows for people to be detained illegitimately, claims TAI.

      https://www.infomigrants.net/en/post/53392/italy-parliament-to-ratify-albania-deal-to-process-asylum-seekers

    • In Pictures: Sites Where Refugees Will be Hosted In Albania

      BIRN has taken a look at the sites in Albania where a reception centre and a refugee camp will be built in accordance with the controversial agreement reached between the Albanian and Italian governments.

      The agreement was opposed both in Italy and Albania and one of the biggest critics that it received is related to Albania’s capacities to receive 3000 migrants in a month.

      According to the protocol that has been published, a reception centre for migrants will be built inside the Port of Shengjin, in the Lezha area of northern Albania, which will process and register migrants rescued at sea by Italy.

      A second site, which will serve as a refugee camp, will be built in Gjader, a village where a former military air base was built in the 1970s during the communist era.

      Italy’s plan to build migrant centres in Albania has been criticised in both countries, where activists and human rights lawyers have questioned Albania’s capacities to handle the arrangements.

      While the deal has been criticised by human rights experts, lawyers and civil society groups in Italy, in Albania many see it as Prime Minister Edi Rama’s personal initiative, since it was not discussed previously in public.

      The deal allows Italy to set up facilities on Albanian territory for migrants it has rescued at sea, which will accommodate up to 3,000 people at any one time.

      The agreement, which BIRN has seen, although without its annexes, states: “In the event that, for any reason, the [migrant’s] right to stay in the facilities cease to exist”, Italy must immediately transfer these persons out of Albanian territory.

      “Italy will use the port of Shengjin and the Gjader area to establish, at its own expense, two entry and temporary reception facilities for immigrants rescued at sea, capable of accommodating up to 3,000 people, or 39,000 a year, to expedite the processing of asylum applications or potential repatriation”, the text of the protocol notes, adding that jurisdiction over the centres will be Italian.

      “In Shengjin, Italy will handle disembarkation and identification procedures and establish a first reception and screening centre; in Gjader, it will create a model Cpr facility for subsequent procedures. Albania will collaborate with its police forces, for security and surveillance,” it adds.

      https://balkaninsight.com/2023/11/22/in-pictures-sites-where-refugees-will-be-hosted-in-albania
      #photographie #localisation

    • L’intesa con Tirana costerà oltre mezzo miliardo. 142 milioni di euro solo nel 2024

      «Oltre 142 milioni di euro nel 2024, quasi 645 nei cinque anni di validità (prorogabili). È quanto costerà ai contribuenti italiani l’intesa tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama per rinchiudere nei centri di trattenimento in Albania i migranti soccorsi in alto mare dalle navi italiane. Soldi che l’esecutivo è andato a cercare raschiando il fondo del barile degli accantonamenti di quattordici ministeri.»

      https://ilmanifesto.it/tagli-a-universita-e-agricoltura-per-fare-i-centri-in-albania
      #coût

    • The 2023 Italy-Albania protocol on extraterritorial migration management

      In November 2023, the Italian government concluded a Memorandum of Understanding (MoU), or Protocol, with the Albanian authorities envisaging extraterritorial migration and asylum management, including detention and asylum processing, in Albania. This Report examines the Protocol in light of EU, regional and international legal standards, and the main responses that it has attracted so far. It concludes that the MoU can be understood as a nationalistic and unilateral arrangement that, while not involving the EU, covers policy areas falling within the scope of European law. The MoU runs contrary to EU constitutive principles enshrined in the Treaties, including the EU Charter of Fundamental Rights, as well as international law. It should be regarded as a non-model in migration and asylum policies as it is affected by far-reaching illegality and unfeasibility grounds undermining both its rationale and implementation.

      https://www.ceps.eu/ceps-publications/the-2023-italy-albania-protocol-on-extraterritorial-migration-management
      #extra-territorialité #droit_international #droits_fondamentaux

    • Nouvel avatar de l’externalisation : l’accord Italie-Albanie

      Il y a 20 ans, Plein Droit s’inquiétait des projets européens d’installation, dans des pays non membres de l’Union européenne (UE), de « centres de transit » où seraient enfermées, le temps d’instruire leur demande d’asile, les personnes étrangères ayant franchi illégalement les frontières de l’Union. Évoquant un « cauchemar », l’édito dénonçait l’intention des États membres « de se dégager des responsabilités que la Convention de Genève sur les réfugiés fait peser sur eux », ajoutant : « On devine au prix de quelles pressions, économiques ou non, ces pays accepteront ou se feront imposer ces camps de transit, […] on imagine sans mal l’insécurité à laquelle les demandeurs d’asile seront confrontés, les chantages auxquels ils pourront être soumis de la part des pays condamnés par l’Europe à les accueillir à sa place [1] ».

      Si, depuis, l’externalisation de l’asile a été déclinée de multiples façons [2], le projet de #camps_de_détention situés hors de l’UE, mais juridiquement contrôlés par un État membre, ne s’est jamais concrétisé. Sans doute à cause des #obstacles_juridiques que poserait un tel montage, notamment au regard du respect des droits fondamentaux. Mais aussi parce qu’il suppose de trouver où les implanter : jusqu’ici, les tentatives pour convaincre des pays voisins de se prêter au jeu ont échoué. Lorsqu’en 2018 le Conseil européen a exploré la possibilité de créer, hors du territoire européen, des « #centres_régionaux_de_débarquement » pour y placer des boat people interceptés en Méditerranée, il s’est heurté au refus catégorique des États nord-africains et de l’Union africaine [3].

      Aujourd’hui, le #cauchemar est à nos portes. À la veille de l’adoption du Pacte européen qui entend accélérer la procédure frontalière d’examen des demandes d’asile et renforcer la « dimension externe » de la politique migratoire de l’UE, l’Italie a conclu le 6 novembre, avec l’Albanie, un accord visant à y délocaliser l’accueil de migrants secourus en mer et l’examen des demandes d’asile. Il paraît que c’est au cours de ses vacances en Albanie, l’été dernier, que la cheffe du gouvernement italien Giorgia Meloni a posé les bases de cette « pièce importante » de sa stratégie de lutte contre les flux migratoires. Elle y a trouvé l’oreille attentive de son homologue albanais, Edi Rama, prêt à mettre « gratuitement » à la disposition de l’Italie deux zones au nord du pays pour qu’elle y construise les centres sous administration italienne où seront détenus des migrants interceptés en mer par des navires italiens. Le premier, dans une ville côtière, pour y procéder aux premiers soins, aux opérations d’identification, et instruire les demandes d’asile ; le second, sur une base militaire, pour organiser le #rapatriement des personnes qui ne demandent pas l’asile ou ne seront pas reconnues éligibles à une protection. Aux demandeurs d’asile placés dans ces centres qualifiés d’« extraterritoriaux » serait appliquée la procédure accélérée que la loi italienne prévoit pour les requêtes formées à la frontière. Seuls ceux qui obtiendraient une protection seraient admis au séjour en Italie, les autres devant être expulsés.

      L’accord ne pourra cependant entrer en vigueur avant que la Haute Cour albanaise ne se soit prononcée sur sa #constitutionnalité : les membres de l’opposition qui l’ont saisie contestent cette forme de « vente d’un morceau du territoire albanais » qui conduirait, selon un député du parti Più Europa, à la création d’« une sorte de #Guantanamo italien, en dehors de toute norme internationale, en dehors de l’UE [4] ».

      Là n’est pas le seul problème que soulève l’accord, même si Georgia Meloni aimerait que celui-ci devienne « un modèle à suivre ». Un « modèle » qui suscite les réserves du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), à aucun moment « informé ni consulté », et que dénonce la Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe. Relevant ses « #ambiguïtés_juridiques », celle-ci liste les multiples questions que l’accord soulève en matière d’équité des procédures d’asile, d’identification des personnes vulnérables et des mineurs, de risque de détention automatique sans contrôle juridictionnel, de conditions de détention, d’accès à l’assistance juridique et de recours effectif... Et met en garde contre le recours croissant à l’externalisation, qui pourrait « créer un effet domino susceptible de saper le système européen et mondial de protection internationale [5] ». De leur côté, plusieurs ONG ont déjà mis en évidence l’incompatibilité de l’accord avec la législation européenne – à laquelle l’Italie est tenue de se conformer – en matière d’asile et d’éloignement [6].

      Les institutions de l’UE semblent moins inquiètes. Pas de réaction du côté des gouvernements, sans doute soulagés de voir l’Italie traiter seule le problème des arrivées d’exilé·es sur ses côtes plutôt que d’être rappelés à une « solidarité européenne » à laquelle ils préfèrent se dérober. Quant à la Commission européenne, elle s’est empressée de préciser que « le droit européen n’est pas applicable en dehors du territoire de l’UE » mais que, « étant donné l’appartenance de l’Italie à l’Union et l’adoption obligatoire d’une législation commune, les règles qui s’appliqueront dans les centres albanais seront effectivement de nature européenne et imiteront le cadre qui s’applique sur le sol italien [7] ». Nous voilà rassurés.

      https://www.gisti.org/spip.php?article7170

    • Protocole d’accord Italie/Albanie sur les migrations : une coopération transfrontière contraire au droit international

      La chambre des députés italienne et la Cour suprême albanaise ont approuvé le protocole d’accord sur les migrations conclu en novembre 2023, respectivement les 24 et 29 janvier 2024. Le réseau Migreurop dénonce des manœuvres qui s’inscrivent dans la continuité des politiques de l’Union européenne (UE) et de ses États membres pour externaliser le traitement de la demande de protection internationale.

      Le 6 novembre 2023, l’Italie a conclu un « accord » avec l’Albanie en vue de délocaliser le traitement de la demande d’asile de certain·e·s ressortissant·e·s étranger·ère·s de l’autre côté de ses frontières [1]. Ce protocole, rendu public le 7 novembre, s’appliquerait aux personnes interceptées ou secourues en mer par les autorités italiennes, qui pourraient être débarquées dans les villes côtières albanaises de Shëngjin et de Gjader. Les personnes reconnues « vulnérables » ne seraient pas concernées par cet accord.

      Celui-ci prévoit, d’ici le printemps 2024, la construction de deux camps [2] financés par l’Italie : l’un destiné à l’évaluation de la demande d’asile, l’autre aux « éventuels rapatriements » [3] (autrement dit, aux expulsions). Alors que le Parlement italien n’a pas été sollicité au moment de la conclusion de l’accord [4], ces structures relèveraient pourtant exclusivement de la juridiction italienne. Contre une compensation financière et une avancée dans le processus d’adhésion à l’UE, l’Albanie aurait donné son accord pour « accueillir » 3 000 personnes par mois sur son territoire et assurer une part active dans les activités de sécurité et de surveillance via ses forces de police [5]. Fortement inspiré par le concept australien de « Pacific solution » [6], ce mécanisme placerait les deux camps sous autorité italienne, avec du personnel italien, en vertu d’un statut d’extraterritorialité.

      Certaines institutions européennes se sont dans un premier temps contentées d’appeler au respect du droit national et international. La Commissaire européenne en charge des affaires intérieures a déclaré, une semaine après que l’accord a été rendu public : « L’évaluation préliminaire de notre service juridique est qu’il ne s’agit pas d’une violation de la législation de l’UE, mais que cela est hors de la législation de l’UE » [7]. Une formulation particulièrement ambiguë, qui n’a pas été éclaircie quand elle a ajouté : « l’Italie se conforme à la législation européenne, ce qui signifie que les règles sont les mêmes. Mais d’un point de vue juridique, il ne s’agit pas de la législation européenne, mais de la législation italienne (qui) suit la législation européenne ».

      La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe, a quant à elle rappelé que « la possibilité de déposer une demande d’asile et de la faire examiner sur le territoire des États membres reste une composante indispensable d’un système fiable et respectueux des droits humains », ajoutant que « Le protocole d’accord crée un régime d’asile extraterritorial ad hoc, caractérisé par de nombreuses ambiguïtés juridiques » [8].

      S’il a l’allure d’un accord bilatéral, cet accord s’inscrit dans la continuité de l’externalisation des politiques d’asile menée par les États européens depuis le début des années 2000, se projetant plus ou moins loin des frontières européennes (du Maroc au Rwanda en passant par la Turquie, notamment). De nombreux pays sont en effet tenus de coopérer avec l’UE et ses États membres dans le domaine de l’immigration et de l’asile en échange d’avantages en matière commerciale, de politique étrangère ou d’aide au développement.

      Dans le cas présent, l’Italie, au nom d’un prétendu « partage des responsabilités », pioche dans la mallette à outils à disposition des États pour externaliser le traitement de la demande d’asile. L’Albanie ayant obtenu en 2014 le statut de pays candidat à l’adhésion à l’Union européenne, cette coopération transfrontière représenterait un gage de sa bonne volonté, se donnant ainsi l’image d’être le partenaire-clé des pays européens dans la mise en œuvre de leurs politiques de sélection et de filtrage des personnes étrangères aux frontières extérieures [9]. Cette stratégie utilitariste, mobilisant les personnes en migration comme levier de négociation politique, a déjà été mise en œuvre par le passé à de maintes reprises, et le réseau Migreurop a solidement étayé les effets délétères de tels accords sur les droits des personnes migrantes [10].

      Au-delà de l’opacité et du secret qui a entouré sa conclusion, ce protocole d’accord pose de nombreuses questions :

      Alors même que l’accord ne s’appliquerait pas aux personnes considérées vulnérables, ne peut-on estimer que les personnes rescapées sont de facto vulnérables ? Que le déplacement dans ces centres albanais de personnes rescapées en mer constitue de facto une action qui vulnérabilise ces personnes ?

      Quid du principe de non-refoulement ? En envoyant des personnes en dehors de son territoire, le temps du traitement de la demande d’asile, l’Italie risque de contrevenir au principe de non-refoulement, pourtant énoncé à l’article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, qui interdit le retour des réfugiés et des demandeurs d’asile vers des pays où ils risquent d’être persécutés [11].

      En pratique, sa mise en œuvre impactera les droits des personnes selon les conditions du débarquement (qui ne sera donc pas le lieu sûr le plus proche comme le prévoit la réglementation internationale) : qu’en sera-t-il du respect de la procédure de demande d’asile, de l’identification de la vulnérabilité, de l’accès à une assistance juridique ? Elle impactera aussi, ensuite, les conditions dans lesquelles les personnes seront détenues, à l’image de ce qui s’est passé dans les hotspots en Grèce, dans lesquels les personnes étaient prisonnières de camps à ciel ouvert [12].

      Qui sera responsable en cas de violations des droits au sein de ces camps ? Quel droit s’appliquera, le droit italien ou le droit albanais ? Comment pourra être garantie l’effectivité des droits dans un territoire localisé à distance de la juridiction responsable, loin des regards ?

      Selon les termes de cet accord, ni les personnes débarquées par les bateaux d’ONG, ni les personnes arrivées de manière autonome ne devraient être concernées. Comment savoir si les autorités italiennes n’élargiront pas cette procédure à tou·te·s les demandeur·euse·s d’asile ? L’accord ne risque-t-il pas, en outre, de mettre en difficulté les conditions dans lesquelles s’effectueront les opérations de recherche et sauvetage des personnes en détresse en mer ? Le tri entre les personnes reconnues vulnérables et les autres se fera-t-il sur le bateau ou en Albanie ?

      Pour les personnes expulsées, le seront-elles depuis l’Italie ou depuis l’Albanie ? De sérieux doutes se posent au regard des déclarations du Premier ministre albanais affirmant qu’elles incomberaient aux autorités italiennes (alors qu’initialement cette tâche devait être effectuée par l’Albanie).

      La détention aurait lieu durant la procédure frontalière et en vue du retour, mais quid des personnes libérées en Albanie : seront-elles renvoyées vers l’Italie ou un autre État ?

      Cet accord tombe-t-il sous le coup du droit européen ou non ? La Commissaire aux affaires intérieures a laissé planer un doute sur la nature européenne des règles qui s’y appliqueraient. La Commissaire aux droits de l’Homme du Conseil de l’Europe a quant à elle pointé du doigt le risque d’un effet domino « susceptible de saper le système européen » si d’autres États décident eux-aussi de transférer leur responsabilité au-delà des frontières européennes [13].

      Les règles édictées dans l’accord politique sur le pacte européen adoptées le 20 décembre 2023 devront-elles s’appliquer sur le territoire albanais car sous juridiction italienne et donc européenne ?

      Et pour finir, se pose la question du coût exorbitant de ces déplacements de populations, mais aussi celui de l’accord négocié avec l’Albanie pour disposer d’une partie de son territoire national, et du fonctionnement-même de ces camps.

      Pour toutes ces raisons, le réseau Migreurop dénonce un protocole d’accord qui n’aurait jamais dû voir le jour. Et à supposer que le gouvernement italien s’obstine dans cette direction, cela ne peut se faire sans que le droit européen et la protection des droits des personnes soient mis en œuvre et respectés. À commencer par celui de demander l’asile dans de bonnes conditions.

      Les mécanismes d’externalisation à l’œuvre – qui se généralisent – violent le droit international avec la complicité des autorités nationales et la complaisance de certaines institutions européennes. Il est urgent de refuser ce contournement incessant du droit qui, loin des regards, s’inscrit dans la stratégie mortifère de mise à distance des personnes étrangères.

      https://migreurop.org/article3230

  • Une France bouclée John R. MacArthur - Le Devoir

    Pour ne pas dire plus, la France traverse une crise politique et culturelle de grande ampleur. La réforme des retraites, la mort de Nahel Merzouk, abattu par un policier, la violence qui en a résulté dans la rue, la violence rhétorique qui émane des rangs de l’Assemblée nationale — tout signale une inversion des « valeurs républicaines » vantées par les politiciens de toutes allégeances. La beauté philosophique de la France — incarnée par le concept essentiel de la fraternité — cède le pas à une laideur d’esprit qui se traduit par une métaphorique défiguration du corps politique et du contrat social.

    Bizarrement, le monde extérieur agit comme si de rien n’était. Les touristes étrangers continuent d’inonder les lieux iconiques de l’Hexagone, et en si grand nombre que le gouvernement a lancé un programme pour réguler le « surtourisme ». Nulle part ce surtourisme n’est-il plus mis plus en évidence qu’au pied de la tour Eiffel ; nulle part le déclin de l’idéal républicain à la française n’est-il plus frappant.

    Comment ça ? Le pourrissement de la République n’est-il pas surtout démontré par l’inégalité des banlieues comme celle de « Nahel M. », par l’isolement des pauvres immigrants arabes et africains, ainsi que les petites gens démunis des villes et villages oubliés qui ont créé le mouvement des gilets jaunes ? D’une part, oui. Cette France que ni les touristes ni Emmanuel Macron ne connaissent est une tumeur attisée par l’indifférence des élites.

    Cependant, la belle France, celle des Lumières, donne toujours le meilleur d’elle-même quand elle exsude son assurance, c’est-à-dire une authentique croyance sans peur — en la liberté, en l’égalité et en la fraternité. La tour Eiffel est le symbole parfait de cette confiance populaire — brillante ingénierie ouverte sur le monde érigée pour l’Exposition dite universelle de 1889 —, un phare dédié dans une certaine mesure à la liberté d’imaginer et de réfléchir. Aujourd’hui, cette magnifique structure est enfermée derrière un hideux mur de verre pare-balles afin de protéger les visiteurs contre le « terrorisme ».

    Depuis l’aboutissement de ce projet sécuritaire, le parcours aléatoire et aisé sous la tour — à mon avis aussi le meilleur poste d’observation pour l’apprécier — est interdit. Pour ne serait-ce qu’accéder à l’esplanade, il faut se plier à un contrôle de sécurité (bien que son accès reste gratuit). Pire encore peut-être, ce bouclage a ruiné la promenade agréable qui faisait partie intégrante du charme du Champ-de-Mars.


    En pleine pandémie, la société de préservation SOS Paris a expliqué les dégâts collatéraux de cette décision : « Pendant que les Parisiens étaient cruellement privés d’espaces verts [… ], d’importants travaux de terrassement avaient lieu dans les allées latérales de la tour Eiffel. Les millions de visiteurs doivent désormais s’entasser pour franchir les sas de sécurité, comme dans un aéroport. Ceux-ci ont été intégrés au grand mur de verre et de métal qui emprisonne et enlaidit depuis deux ans la vieille dame ainsi que les deux charmants jardins à l’anglaise, réduits à des zones de file d’attente. Ces allées n’ayant pas été conçues pour résister à une telle fréquentation, il a donc fallu… les bétonner. »

    Voisin à mi-temps de la vieille dame, je peux témoigner de l’effet esthétiquement ravageur de sa sécurisation sur elle. Faire le tour de la tour vous oblige à percer des phalanges de touristes et de vendeurs à la sauvette, tous pressés et confinés pour obéir aux forces de l’ordre. Déjà, l’image d’une France suffoquée, fermée et craintive est déprimante. Mais est-ce que ce vandalisme d’espace public est même une mesure de sécurité efficace ? Conçu à la suite des attentats terroristes de novembre 2015, dont celui du Bataclan, cet aménagement a été pensé par la préfecture de police et la mairie, qui ont voulu, selon Le Parisien, « renforcer » le site contre d’éventuels attentats et tueries de masse.

    Dans un premier temps, j’étais plutôt d’accord avec le sénateur Eugene McCarthy, qui estimait qu’entourer la Maison-Blanche d’une clôture pour empêcher l’approche d’assassins servait d’encouragement aux fous les plus ambitieux. En 1968, année d’extraordinaire violence en Amérique, McCarthy déclara que, s’il était élu président, il démantèlerait la clôture. Sans défi lancé à leur ingéniosité, les tueurs aspirants perdraient tout intérêt, assurait-il. Même teintée d’ironie, son idée était, au fond, sérieuse. 

    Comme l’a remarqué le journaliste Russell Baker en 1995, McCarthy avait compris que trop de sécurité s’avérait finalement autodestructeur, le rêve d’une sécurité absolue n’étant en effet rien de plus qu’un… rêve. Ce qu’Oussama ben Laden a illustré le 11 septembre 2001 (ainsi que les assassins de Charlie Hebdo, 14 ans plus tard), c’est que l’imprévu et l’audace ont toujours un avantage contre la technologie, même la plus haute, de même que contre la surveillance, même la plus attentive.

    Le nouvel édifice de protection de la tour Eiffel dessiné par l’architecte Dietmar Feichtinger se veut transparent — il l’est, littéralement —, mais c’est également un leurre. On n’a qu’à penser à la tentative d’assassinat contre le maire de L’Haÿ-les-Roses durant les récentes émeutes pour démasquer les experts en sécurité trop sûrs d’eux. Là-bas, une voiture-bélier en feu lancée par des « terroristes » a défoncé le portail du domicile du maire. Les auteurs ont ensuite incendié la voiture familiale avec l’intention, presque réussie, de mettre le feu à la maison et d’en tuer ses habitants.

    Je suis tout à fait favorable à la prudence civique. En revanche, j’appuie le grand Russell Baker quand il dit ceci : « Chaque renforcement de ce qu’on appelle la sécurité augmente le risque qu’un autre morceau de liberté soit sacrifié pour en payer le prix. » Ainsi qu’un morceau de l’âme nationale, pourrait-on ajouter.

    John R. MacArthur est éditeur de Harper’s Magazine. Sa chronique revient au début de chaque mois.

    #France #macron #émmanuel_macron #néolibéralisme #capitalisme #idéologie #sécurité #crise #GJ #gilets_jaunes #nahel #retraites #laideur #défiguration #vandalisme #Paris #PS #anne_hidalgo

    Source : https://www.ledevoir.com/opinion/chroniques/795804/chronique-une-france-bouclee

  • Des « gilets jaunes » belges s’en prennent à des enseignes sponsors des JO de Paris La Libre
    Dans la nuit de mardi à mercredi, des « gilets jaunes » ont attaqué symboliquement plusieurs grandes enseignes en Wallonie, affirment-ils. Les principaux sponsors des JO de Paris étaient visés.

    https://www.lalibre.be/resizer/rHPbtdrbZaAOEgYv8k6ncX9N37c=/768x512/filters:format(jpeg):focal(251x197:261x187)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/ipmgroup/Z2OH55UGYFCXHDKOSR2XUTPHZY.jpg

    Le Carrefour de Jambes (Namur) a notamment été tagué. Selon les responsables de l’action, celle-ci se voulait solidaire avec celles de leurs homologues français dans le cadre de la réforme des retraites dans l’Hexagone.

    Les « gilets jaunes » de Namur affirment s’en être pris à « des dizaines » de magasins Carrefour et Decathlon, à Jambes, Wavre, Liège et Dinant. Sur celui de Jambes, où l’action a pu être constatée par Belga, un tag « Pas de retraites, pas de JO » a été peint sur la devanture. « Nous nous joignons à l’appel de nos camarades français qui veulent mener toutes les actions possibles contre des grosses sociétés, telles que Alibaba, Toyota, Allianz ou Coca-Cola qui engraissent leurs actionnaires sur le dos des travailleurs. Elles font leur publicité en finançant les JO 2024 », ont déclaré les militants. Ils entendent également démontrer leur solidarité avec leurs homologues français qui luttent contre la réforme des retraites, qui repousse de 62 à 64 ans l’âge légal de départ à la pension.

    #jo #jeux_olympiques #sponsors #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #retraite #retraites

    Source : https://www.lalibre.be/belgique/societe/2023/05/17/des-gilets-jaunes-belges-sen-prennent-a-des-enseignes-sponsors-des-jo-de-par

  • Répression du mouvement social : entre homme de main et garde-chiourme. Régis de Castelnau - Vu du Droit

    Emmanuel Macron n’avait aucune expérience politique avant qu’il soit propulsé à l’Élysée en 2017 grâce à une opération concoctée par la haute fonction publique d’État, probablement aujourd’hui une des plus corrompues d’Occident. Il ne possède aucune culture démocratique et considère tout désaccord avec ses orientations et ses décisions comme une injure personnelle. Son narcissisme pathologique fait le reste. Comme le dit Frédéric Lordon, concernant la conduite de son projet de réforme des retraites, il a commis toutes les erreurs possibles, en général sous forme de provocations insupportables. Mettant l’énorme majorité du peuple français dans un état de rage dirigée contre sa personne. La seule solution qu’il envisage pour en sortir, est celle qu’il avait mise en œuvre au moment de la crise des gilets jaunes : une répression policière et judiciaire de masse que l’on n’avait pas vue depuis la guerre d’Algérie. Il a bénéficié pour cela de l’appui des forces de police chargée du maintien de l’ordre qui n’eurent aucune hésitation à utiliser une violence débridée, mais aussi de celui de la magistrature. Qui a non seulement condamné à tour de bras, mais refusé méthodiquement de sanctionner les débordements et les violences policières, alors que c’est une de ses missions essentielles.

    Répression policière et judiciaire du mouvement social, deuxième saison.
    Le couple Darmanin/Dupond Moretti a donc remplacé celui qui avait officié pour les gilets jaunes à savoir Castaner/Belloubet. Auquel avait été adjoint le chevènementiste Didier Lallement de sinistre mémoire, officiant comme préfet de police de Paris. On a su très vite l’absence de scrupules de Darmanin pour conduire les répressions voulues par son patron, mais il est clair que la catastrophe du Stade de France nous a montré qu’un homme de main ne faisait difficilement un véritable Ministre de l’intérieur.

    Éric Dupond Moretti, ancien avocat médiatique batteur d’estrade, a été choisi par Emmanuel Macron pour occuper un des postes les plus importants de la République, celui de Garde des Sceaux. Ce représentant de la société du spectacle, et d’ailleurs probablement choisi sur ce critère, nous avait habitué entre deux grossièretés, à la plus grande docilité vis-à-vis du locataire de l’Élysée. Il vient de nous indiquer clairement l’idée qu’il se faisait de sa mission : celle d’un garde-chiourme. En adressant aux parquets de notre pays, une « dépêche » contenant les consignes les plus fermes pour une répression implacable à l’égard de ses couches populaires qui osent user de leur droit constitutionnel de manifestation contre la politique voulue par son patron. Dans cette « dépêche » adressée aux procureurs généraux et aux procureurs de la République, le garde des Sceaux a demandé « une réponse pénale systématique et rapide » à l’encontre des manifestants violents interpellés en marge des rassemblements contre la réforme des retraites pour « troubles graves à l’ordre public, atteintes aux personnes et aux biens et actes d’intimidation et menaces contre les élus » . Inspiré par le précédent de la crise des Gilets jaunes, qui avaient vu la mise en place d’une répression pénale de masse sans précédent depuis la guerre d’Algérie, accompagné de la protection offerte aux débordements de violence policière, Éric Dupond Moretti escompte probablement briser ainsi le mouvement social qui s’oppose à Emmanuel Macron et à ses projets impopulaires.

    Le problème est que la « gauche », qui était restée un bon moment à distance des Gilets jaunes, soutient cette fois-ci ce mouvement. Et grâce aux réseaux sociaux, où les vidéos de brutalités en tout genre font florès, la violente répression voulue par le couple Darmanin / Dupond Moretti se donne à voir. Cahin-caha, les médias nationaux sont obligés de suivre. La presse internationale, quant à elle, ne va pas par quatre chemins et dénonce la violence d’un État qualifié de brutal et sans complexe. https://frontpopulaire.fr/politique/contents/retraites-lautoritarisme-d-emmanuel-macron-vu-dailleurs_tco_20707919

    On parle de rafles illégales couvertes par les parquets, qui nassent les manifestants pour les mettre sans raison en garde à vue et les empêcher de manifester. Infractions commises par des agents publics qui sont autant de séquestrations arbitraires réprimées par le code pénal. On parle de groupes de policiers à la violence débridée, chargeant et gazant également à tort et à travers en se livrant sous l’œil des caméras à des brutalités sidérantes sur des manifestants pacifiques, quand il ne s’agit pas de simples passants. On parle de l’épisode effarant du groupe de policiers-nervis proférant à des personnes interpellées, des menaces de mort, comme le démontre l’enregistrement récupéré par le média Loopsider https://twitter.com/Mediavenir/status/1639308428853264384 . Les observateurs objectifs savent à quoi s’en tenir. Encouragée par le pouvoir à utiliser une violence débridée, protégée par une justice refusant de la contrôler et de la sanctionner, une partie de la police française s’est transformée en une milice qui par la violence et l’intimidation porte gravement atteinte à la liberté constitutionnelle de manifestation.

    La reconnaissance du bout des lèvres, à la fois par le pouvoir et les médias qui le servent, de l’existence de cette violence nous offre à nouveau le spectacle de la soumission de certains journalistes qui ne sont finalement que des militants du macronisme. Plusieurs sortes d’arguments ont été avancés. Tout d’abord que très « rares (!) » , ces violences policières n’étaient que la réponse aux « effroyables » violences des manifestants, et ensuite que la police n’utilisait à cette occasion que la « violence légitime » dont l’État est dépositaire. C’est tout simplement une manipulation : les  « violences des manifestants » abondamment et systématiquement filmées et photographiées par la presse du pouvoir ont été celles de groupuscules provocateurs parfaitement identifiés et utilisés pour justifier la « riposte » policière. Ensuite, on nous a servi la rengaine de la l_ égitimité juridique  de la violence policière, les forces de l’ordre usant d’un « droit républicain » _ de frapper, d’amputer, d’éborgner et de détenir. Il ne s’agit ni plus ni moins que d’un dévoiement complet du principe de légitimité dans toutes ses définitions.

    Le « monopole de la violence légitime », qu’est-ce que c’est ?
    Comment, dans ces conditions, comprendre l’utilisation par les amis du pouvoir du concept de « violence légitime » dont disposerait la police, pour répondre à l’émotion de l’opinion publique devant les exactions policières qui se déroulent et dont l’évidence a fini par s’imposer ? C’est tout simplement un abus de langage avançant l’idée d’une « autorisation juridique » donnée aux forces de l’ordre de violenter les corps dans l’intérêt de l’État. Il y a d’abord une impropriété des termes puisqu’il s’agit en fait de ce que Max Weber appelait « le monopole de la violence » que seul l’État sur un territoire donné est autorisé à utiliser. Cette violence qui se caractérise par le « pouvoir sur les corps » est déléguée à la police, à l’armée et à ce qui est essentiel, à la Justice. Pour deux raisons : d’abord, c’est celle-ci qui punit les délinquants et qui si nécessaire les prive de leur liberté et enferme leur corps entre quatre murs (et auparavant pouvait le couper en deux). Mais elle doit aussi, et c’est absolument essentiel, exercer son contrôle sur l’utilisation de la violence par les agents armés de l’État.

    Il est important de rappeler que pour que cette violence dont l’État a le monopole soit « légitime » deux conditions indispensables doivent être réunies : d’abord, que son usage en soit défini et réglementé par la Loi. En nature, en intensité, et en proportionnalité, pour que ceux qui vont en disposer sachent les limites de leurs pouvoirs et les risques de sanctions qu’ils encourent. Il faut qu’ensuite, le caractère légal et régulier de cet usage soit contrôlé par le juge. La première condition est réalisée : user de la violence physique dite « légitime » par les forces de l’ordre est strictement encadré et le Code pénal prévoit une répression spécifique pour les agents publics titulaires par délégation de l’État du pouvoir sur les corps. Si l’auteur d’une violence illégale (parce qu’excessive et non proportionnelle) commise à l’égard de ses concitoyens est un agent public, c’est une circonstance aggravante et elle devra être plus sévèrement punie que celle commise par un simple citoyen. Citons à ce titre l’exemple des violences volontaires par personne dépositaire de l’autorité publique prévues et réprimées par les articles 222-7 et suivants du code pénal https://www.legifrance.gouv.fr/codes/id/LEGISCTA000006181751 . Une lecture, même rapide, montre bien que les violences volontaires, comme le fait d’éborgner en visant la tête avec un LBD ou un lance-grenade, sont des crimes relevant de la cour d’assises !

    Cette situation juridique et institutionnelle est fondamentale dans la mesure où l’État doit pouvoir conserver la totale maîtrise de l’usage qui est fait de ses pouvoirs par son personnel armé.

    Sans le contrôle de la Justice, toute violence d’État est illégitime
    L’absence de la deuxième condition, celle du contrôle juridictionnel, prive le « monopole de la violence » dont dispose l’État de sa légitimité juridique et démocratique. Car force est de constater que si la loi a bien créé les outils légaux d’encadrement, la défaillance quasi totale de la justice française dans l’accomplissement de cette mission de contrôle a complètement déréglé le dispositif républicain et démocratique. Pour une raison très simple : ceux dont c’est la mission de contrôler l’utilisation par les forces de police de la violence légitime de l’État, ce sont les magistrats du service public de la justice. Ce sont eux qui sont chargés de notre protection face à ces débordements. Or, ils ne l’assurent pas.

    La responsabilité du pouvoir exécutif et surtout d’Emmanuel Macron est évidemment lourdement engagée, puisqu’il a laissé faire, quand il n’a pas directement organisé ce scandale, mais celle de la Justice est première.

    L’utilisation par Emmanuel Macron de l’expression de « forces de sécurité intérieure » pour désigner policiers et gendarmes caractérise un glissement sémantique à la fois troublant et inquiétant. Les « forces de sécurité extérieures et intérieures » , ce sont les forces armées. Gendarmes et policiers sont des forces de l’ordre. Doit malheureusement constater qu’aujourd’hui, les conditions institutionnelles et juridiques indispensables à l’usage du « monopole de l’État sur la violence » ne sont plus réunies. Ce qui veut dire que de ce point de vue,  notre pays a basculé dans une forme d’arbitraire , tout simplement. Un pouvoir minoritaire a décidé de ne plus respecter les libertés démocratiques fondamentales pour traiter un mouvement social profond. Il a pour cela donné carte blanche à une police dont une partie est dévoyée. Et demander à sa justice de la laisser opérer. (J’ai décrit tout ceci dans mon ouvrage « Une justice politique », j’y renvoie encore une fois).
    Lorsque le quotidien anglais  Financial Times  du 25 mars écrit : « la France a le régime qui, dans les pays développés, s’approche le plus d’une dictature autocratique » , il a raison.
    Et c’est grave.

    Régis de Castelnau
    Source ; https://www.vududroit.com/2023/03/repression-du-mouvement-social-entre-homme-de-main-et-garde-chiourme

    #bourgeoisie #émmanuel_macron #violences #démocratie #répression #police #magistrature #darmanin #dupond_moretti #didier_lallement #garde-chiourme #gj #gilets_jaunes #rafles #médias #mouvement_social #gendarmerie #police

  • Bruxelles au ralenti, Charleroi à l’arrêt Rtbf
    https://www.rtbf.be/article/mobilite-bruxelles-au-ralenti-charleroi-a-l-arret-10934515
     
    Depuis 6h45, on sent que le trafic est plus dense et plus ralenti sur le ring de Bruxelles et sur les axes vers Bruxelles.

    La police organise des barrages filtrants. Le trafic se fait au compte-goutte vers le centre de Bruxelles (particulièrement dans l’échangeur de Woluwé-St-Etienne).

    Ralentissements sur les axes vers Bruxelles :
    E40 depuis Kortenberg (Liège)
    E40 depuis Ternat (Gand)
    A12 depuis Machelen (Anvers) 
    E411 depuis Jesus Eik
     
    Situation sur le ring de Bruxelles :
    + 50 min entre Grimbergen et Woluwe Saint-Etienne vers Waterloo
    + 20 min à hauteur de Halle jusqu’à Forêt vers Grand-Bigard

    A hauteur de Hoeilaart vers Léonard : la police bloque l’accès vers la E411 sur le ring en venant de Waterloo ( + 10 min)
     
    TEC Charleroi : pas de bus ce lundi
    En raison d’un mouvement de grève spontané organisé par la CGSLB dans les différents dépôts du TEC de la région de Charleroi, le réseau est à l’arrêt ce 14 février 2022. Aucun bus ni métro ne roule.
     
    Situation sur les routes en Wallonie :
    Accident E19 à Mons : files depuis Jemappes vers Bruxelles.

    #Solidarité #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #Peuple #Réseaux_sociaux #aveuglement

    • « Convoi de la liberté » : des milliers de véhicules convergent vers Jérusalem

      Des milliers de voitures et camions ont convergé lundi vers Jérusalem depuis plusieurs villes israéliennes pour manifester contre les restrictions sanitaires liées à la pandémie de coronavirus, imitant des convois apparus au Canada et ayant essaimé dans plusieurs pays.

      Depuis Eilat (sud) et Tibériade (nord), des automobilistes ont pris la route vers Jérusalem, drapeaux israéliens flottant aux fenêtres et affiches appelant à la « Liberté » collées sur des capots de voitures.


      Photo d’illustration : La police contrôles des automobilistes sur un barrage improvisé sur la route 1 autour de Jérusalem, le 7 avril 2020. (Nati Shohat/Flash90)

      Ce convoi, qui avait pour destination le Parlement dans le centre de Jérusalem, a provoqué d’importants embouteillages sur fond d’un concert de klaxons, ont constaté des journalistes de l’AFP qui ont vu des milliers de voitures paralyser la ville.

      La suite : https://fr.timesofisrael.com/un-convoi-de-la-liberte-anti-vax-bloque-la-principale-autoroute-ve
      #Israel

  • Les manifestants ont reculé, mais le pont Ambassador demeure fermé
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861765/convoi-camionneurs-blocage-pont-malgre-injonction

    Douze heures après le début de l’intervention policière pour rouvrir le pont Ambassador qui relie Windsor à Détroit, des manifestants déterminés refusent toujours de quitter les lieux. La circulation n’a donc pas encore repris sur ce lien transfrontalier crucial pour l’économie canadienne et américaine.

    Des policiers locaux, appuyés par ceux de la Gendarmerie royale du Canada et de la Police provinciale de l’Ontario, sont arrivés samedi matin au rassemblement pour faire respecter l’injonction accordée la veille par la Cour supérieure de la province.

    Ils étaient accompagnés de véhicules de l’escouade tactique et d’autobus pour transporter les protestataires en cas d’arrestation.

    En fin de soirée, la police de Windsor a annoncé sur son compte Twitter une première arrestation en lien avec la manifestation, celle d’un homme de 27 ans. Elle affirme qu’elle interviendra “lorsque nécessaire pour assurer la sécurité du public, maintenir la paix et l’ordre”.

    Les forces de l’ordre sont parvenues à faire reculer les manifestants pour libérer une intersection importante et ont sécurisé leur avancée en installant des murets de ciment sur la chaussée en fin d’après-midi.

    Pendant une partie de l’après-midi, les policiers ont formé un long cordon pour empêcher les manifestants de regagner du terrain. En soirée, toutefois, beaucoup d’agents qui étaient toujours sur place étaient dans leur véhicule, alors que les manifestants affrontaient le froid.

    Des appuis pour les manifestants
    Devant l’ultimatum lancé par la police et le risque d’être arrêtés ou de voir leurs véhicules remorqués, certains manifestants avaient accepté de s’en aller en matinée, mais de nombreux sympathisants ont afflué vers le lieu de la manifestation en cours de journée.


    Parmi eux se trouvaient des curieux et même des familles avec des enfants, une situation que le maire Drew Dilkens a déplorée.

    “C’est décourageant pour moi de voir des parents amener leurs enfants ici comme si c’était une sorte de spectacle auquel ils veulent que leurs enfants participent”, a-t-il déclaré. “C’est une affaire très sérieuse, qui s’est retrouvée devant les tribunaux.”

    “L’objectif est de maintenir la paix, de mettre fin aux manifestations et de faire ça avec un recours minimal à la force”, observe le professeur Christian Leuprecht, du Collège militaire royal du Canada, au sujet du déroulement de la journée.

    “Il est important que cette stratégie réussisse, ajoute-t-il, parce que, sinon, ça va renforcer les manifestants à Ottawa et ailleurs.”

    Le mouvement de protestation a eu des échos jusqu’à Cornwall, dans l’Est ontarien, où des tracteurs ont envahi le port https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861809/ontario-cornwall-port-manifestants . Selon les autorités, le pont international Seaway, qui relie le Canada aux États-Unis, est demeuré ouvert

    Pierre-Yves Bourduas, ancien sous-commissaire de la GRC, constate que les gens ont le temps de s’organiser, parce que l’intervention policière se déroule très lentement.

    “La différence entre Ottawa et Windsor, affirme-t-il, c’est qu’à Windsor, la plupart des gens sont locaux. Donc ils se connaissent, ils communiquent ensemble. ”

    Il faudra malgré tout que le blocage se termine. “Gérer une foule, c’est une chose, mais il faut aussi faire respecter l’injonction et il doit y avoir des conséquences pour ceux qui ne la respectent pas, conclut-il. Les forces de l’ordre ne peuvent pas rester debout, comme ça, pendant des jours.”

    Persistants malgré l’injonction
    Vendredi, un juge de la Cour supérieure de l’Ontario a accordé une injonction interlocutoire à trois associations canadiennes liées à l’industrie automobile pour mettre fin au blocage qui dure depuis lundi.

    Elles ont obtenu cette injonction de 10 jours en faisant valoir que l’industrie automobile, tant en Ontario qu’au Michigan, dépend entièrement de l’accès au pont Ambassador pour le transit de pièces et de véhicules. Le juge avait donné jusqu’à 19 h vendredi aux manifestants pour quitter les lieux.

    Malgré tout, des manifestants se sont dits déterminés à aller jusqu’au bout. “Je vais rester jusqu’aux arrestations”, a confié un des camionneurs à CBC News.

    Le maire de Windsor, Drew Dilkens, a expliqué que son objectif consiste à faire fuir les manifestants volontairement, “mais s’ils refusent de partir, des mesures devront être prises pour les déloger”, a-t-il dit.


    Mises en garde de Trudeau et de Ford
    La veille, tant à Ottawa qu’à Toronto, le ton était plus ferme. Le premier ministre Justine Trudeau a averti les protestataires que “les conséquences” de leur action vont “s’aggraver”.

    Il a expliqué que les policiers allaient intervenir d’une manière progressive et de plus en plus robuste.

    En Ontario, le premier ministre Doug Ford a décrété l’état d’urgence. La province a adopté des décrets et durcit les amendes. “Ce n’est plus une simple manifestation”, a dit M. Ford.

    “Le pont Ambassador à Windsor, c’est 700 millions de dollars en échanges commerciaux chaque jour”, a-t-il ajouté en se défendant d’avoir tardé à agir.

    Les contrevenants s’exposent à des amendes qui pourront atteindre 100 000 $ et à des peines d’emprisonnement pouvant aller jusqu’à un an.

    • Vu depuis le canada : À Paris, des « convois de la liberté » manifestent Léo Mouren - Agence France-Presse et Isabelle Tourné - Agence France-Presse
      https://www.ledevoir.com/monde/europe/673773/a-paris-des-convois-de-la-liberte-manifestent

      Certains sont allés jusqu’aux Champs-Élysées perturber la circulation, d’autres ont défilé dans les manifestations autorisées, mais les participants aux convois anti-passeport sanitaire, partis de toute la France, n’ont pas bloqué Paris comme ils le voulaient.

      Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a indiqué samedi soir dans un tweet que 337 personnes avaient été verbalisées et 54 interpellées par les forces de l’ordre à Paris.


      Parmi elles, une figure emblématique du mouvement anti-système des « Gilets jaunes » Jérôme Rodrigues, en tant qu’organisateur d’une manifestation interdite par le préfet de police de Paris, selon une source policière.

      Rassemblement hétéroclite d’opposants au président Emmanuel Macron, au passeport sanitaire et de « Gilets jaunes », ceux qui se font appeler « convois de la liberté » se sont constitués sur le modèle de la mobilisation qui paralyse Ottawa.

      « Quelque chose d’extraordinaire »
      « Depuis trois ans que je manifeste, on n’a jamais vu une solidarité comme cette nuit. On a perdu la liberté, on a perdu l’égalité, heureusement qu’on a encore la fraternité », a affirmé un homme de 70 ans venu de Normandie refusant de s’identifier et manifestant contre le passeport sanitaire mais aussi pour « le pouvoir d’achat ».

      « Je suis là pour défendre nos libertés », dit François, ne donnant que son prénom, 35 ans, venu du Mans (ouest) et travaillant dans un laboratoire de recherche. « Je ne veux pas de ce monde-là pour mes enfants ».

      Voitures, camping-cars et camionnettes sont partis de Nice (sud), Lille ou Vimy (nord), Strasbourg (est), ou encore Châteaubourg (ouest) pour rejoindre la capitale à vitesse réduite sur des routes secondaires.

      « Il y a eu quelque chose d’extraordinaire sur la route […] Des gens nous ont fait des signes, on a même vu un maire avec son écharpe nous faire de grands signes. Une ambiance de folie ! », a témoigné auprès de l’AFP Jean-Pierre Outrequin, 65 ans, venu de Perpignan (sud), finalement arrivé sur les Champs-Élysées.

      Vers 14 h 00 (8 h 00 heure de l’Est), plus d’une centaine de véhicules ont rejoint les Champs-Élysées, des automobilistes, certains désormais à pied, agitant des drapeaux ou scandant « liberté ».

      La situation s’est ensuite tendue : la place de l’Arc de Triomphe puis l’avenue ont été évacuées par les forces de l’ordre à coups de gaz lacrymogènes.
      « Le droit d’être là »
      « En Europe on a créé la liberté de circulation et on se fait contrôler par les CRS (police anti-émeutes), on n’a pas le droit d’être là, de porter un drapeau », a déclaré à l’AFP Daniel Bravo, manifestant de 61 ans.

      Un convoi de 300 véhicules a été stoppé sur l’autoroute A4, venue de l’Est parisien, et les forces de l’ordre ont verbalisé des véhicules selon la préfecture de police, comme elles l’avaient fait plus tôt dans la journée porte de Saint-Cloud (ouest de Paris).

      Autre convoi qui n’a pas atteint Paris, environ 400 véhicules étaient stationnés à la mi-journée dans la forêt de Fontainebleau (est de Paris), selon une source policière. Un millier d’opposants au passeport vaccinal y ont pique-niqué dans une ambiance bon enfant.

      Les mobilisations autorisées contre les mesures sanitaires ont rassemblé 32 100 manifestants en France, dont près de 7600 à Paris, selon le ministère de l’Intérieur. Des chiffres qui ne comprennent pas l’opération autoproclamée « convois de la liberté », qui était interdite.

      « Le droit de manifester et d’avoir une opinion sont un droit constitutionnellement garanti dans notre République et dans notre démocratie. Le droit de bloquer les autres ou d’empêcher d’aller et venir ne l’est pas », a estimé le premier ministre Jean Castex.

      À deux mois de l’élection présidentielle, le gouvernement français affirme envisager pour fin mars ou début avril la levée du passeport vaccinal et compte supprimer dès le 28 février l’obligation de porter un masque dans les lieux où le passeport sanitaire est exigé.

      Quelque 7500 membres des forces de l’ordre sont mobilisés par la préfecture de police de Paris depuis vendredi jusqu’à lundi, les convois anti-passeport sanitaire ayant prévu de gagner Bruxelles lundi.

      #Solidarité #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #Peuple #Réseaux_sociaux #aveuglement

    • COMMUNIQUÉ OFFICIEL DU CONVOI POUR LA LIBERTÉ BELGIQUE
      https://www.kairospresse.be/communique-officiel-du-convoi-pour-la-liberte-belgique

      . . . . .
      Tous les pays d’Europe sont invités à se rassembler à Bruxelles le 14 février 2022, chacun à bord de son véhicule ou à pieds (camion, voiture, moto, vélo, etc.).
      Quelles sont les revendications ?
      • Fin permanente de toutes les mesures et législations liberticides. Notamment la loi pandémie, le port du masque, le covid safe ticket, le décret « pandémie » wallon, etc.
      • Commissions d’enquêtes indépendantes au sujet de : la crise sanitaire, la gestion financière, l’établissement des mesures, la gestion vaccinale et ses coûts.
      • Reconnaissance du caractère expérimental des injections.
      • Droit inaliénable au secret médical et protection des données personnelles.
      • Transparence sur les effets secondaires des injections.
      • Droit à une réelle démocratie participative.
      • Liberté de déplacement de tous les citoyens.
      • Droit de décider les mesures à prendre pour notre santé.
      • Accès aux soins pour toute la population, sans exception.
      • Respect de la liberté d’expression et de la liberté de toute la presse.
      • Respect de la dignité humaine.
      • Droit d’exercer son métier et de vivre dignement de ses revenus pour tous, sans exception.
      • Garantie du respect des droits de l’enfant et préservation de son épanouissement.
      • Accès à la culture et l’enseignement pour tous, sans conditions.

      Depuis plusieurs années, les collectifs de citoyens, parents/enfants, soignants, pompiers, médico-sociaux, mais aussi les forces de l’ordre ou les militaires sont ignorés, et ce malgré des rassemblements pacifiques nombreux à travers toute l’Europe, parfois plusieurs fois par semaine.

      La qualité de vie des citoyens européens diminue fortement de par la situation financière de l’union européenne et les dettes publiques et bancaires appauvrissent les peuples depuis de nombreuses années.

      Quelle que soit la voie choisie pour dénoncer ceci, toute tentative est systématiquement décrédibilisée et balayée d’un revers de main.
      . . . . . .

    • « Camions de la liberté », « Gilets Jaunes »… A Paris, l’inquiétante « coïncidence » d’un retour des violences à quelques jours de la candidature Macron Richard Werly - letemps.ch
      https://www.letemps.ch/monde/camions-liberte-gilets-jaunes-paris-linquietante-coincidence-dun-retour-viol

      Depuis plusieurs semaines, les manifestations n’avaient pas dégénéré en affrontements violents à Paris. A quelques jours de l’annonce de la candidature d’Emmanuel Macron, le retour des incidents ne présage rien de bon

      C’est sans doute une coïncidence. Une déflagration spontanée pour faire écho aux « camions de la liberté » du lointain Canada. Et pourtant : comment ne pas trouver étonnant que les rues de Paris s’embrasent à nouveau ce samedi, après des semaines de calme relatif et de manifestations pacifiques, alors que l’annonce officielle de la candidature d’Emmanuel Macron à sa propre succession est sans doute une question de jours ?

      Des citadelles assiégées
      Difficile de ne pas faire ce lien en remontant les Champs-Elysées, où le spectacle d’affrontements violents entre la police et des groupes de manifestants, en plein défilé touristique quasi-printanier, a fait remonter à la surface les images terribles de novembre-décembre 2018 https://www.lepoint.fr/societe/en-images-gilets-jaunes-l-escalade-de-la-violence-01-12-2018-2275792_23.php . Ce samedi, la place de l’Etoile et l’Arc de Triomphe ceinturés par la police antiémeute ressemblaient à des citadelles assiégées. Idem pour le palais présidentiel de l’Elysée devant lequel il n’était plus possible de circuler, barricadé derrière une haie de véhicules policiers…

      C’est sans doute une coïncidence, mais elle pourrait bien avoir un impact sérieux sur la campagne si ces images redeviennent ordinaires et si la nuit donnait lieu, ce week-end, au spectacle de voitures incendiées à l’image de ce qui se passa la fameuse nuit du 1er décembre 2018. Le spectacle de véhicules saccagés et renversés sur l’avenue Kléber et sur les Champs Elysées avait alors été diffusé dans le monde entier ; le spectacle d’une France en plein chaos, même si ces violences étaient en réalité circonscrites à ce périmètre parisien.

      La mécanique de ces journées-là est en tout cas encore en place : même spectacle de groupes de policiers à moto traquant les émeutiers, même foule de jeunes armés de téléphones portables, sortant parfois de leurs sacs à dos des masques à gaz pour se protéger des lacrymogènes, et n’hésitant pas à se saisir de matériel de construction abandonné sur le bitume pour provoquer les policiers.

      S’il s’agit d’un épisode sans lendemain, pas trop de problèmes sauf une image touristique française https://lexpansion.lexpress.fr/actualite-economique/les-gilets-jaunes-auraient-fait-stagner-le-tourisme-a-paris_2095. de nouveau dégradée en cette fin d’hiver ensoleillée. Si la violence se réinstalle dans certaines rues emblématiques de Paris en revanche, qui peut prédire l’impact sur les urnes, au fur et à mesure de la retransmission en continu des images d’échauffourées et d’émeutes…

      Changer la donne
      Un candidat, en tout cas, avait anticipé cette bouffée de violence qui survient au moment où le gouvernement va un peu plus relâcher la bride sanitaire le 16 février. Dans sa déclaration de candidature du 30 novembre 2021, mimant l’appel du 18 juin 1940 du Général de Gaulle, Eric Zemmour avait ponctué son discours d’images prouvant selon lui le basculement de la France dans l’insécurité. L’utilisation de certaines prises de vues sans permission lui vaut d’ailleurs d’être poursuivi en justice.

      Autre coïncidence : Eric Zemmour est le seul candidat ayant bénéficié du ralliement de quelques figures des « Gilets Jaunes » dont la bretonne Jacline Mouraud. A l’évidence en tout cas, cette bouffée de violence parisienne rend encore plus compliquée la première grande prestation publique de la candidate de droite Valérie Pécresse, attendue dimanche au Zénith de Paris pour son premier grand meeting de campagne. Déjà accusée de trop emprunter le discours anxiogène et sécuritaire de l’ex-polémiste, déjà rejoint par certains cadres du parti Les Républicains (LR), la présidente de la région Ile de France se retrouve le dos au mur : la sécurité s’est invitée ce samedi comme son thème dominant et obligé.

      C’est sans doute une coïncidence, mais l’aggravation du climat social et sécuritaire en France à deux mois du premier tour de la présidentielle peut, tous les observateurs le savent, changer la donne électorale. La colère diffuse dans le pays qui entoure la personnalité d’Emmanuel Macron est évidemment un terreau fertile. Même s’il demeure le mieux placé des candidats dans les sondages, avec prés de 25% des intentions de vote au premier tour. Nettement en tête, environ 60% des personnes interrogées jugent néanmoins le président français « autoritaire » et « arrogant », un avis renforcé par ses propos sur les non-vaccinés. Ils étaient près de 80% à répondre ainsi en 2018, en pleine crise des « Gilets Jaunes ».

      Les faits sont là, en 2022 : dans un pays toujours incandescent, les braises de la violence peuvent toujours rallumer un incendie politique.
      #emmanuel_macron #violences #france #gouvernement_macron #gilets_jaunes #politique #travail #réformes_antisociales décidées par l’ #union_européenne #police

  • Nouvelle-Zélande : le campement anti pass sanitaire prend de l’ampleur devant le Parlement

    La foule de manifestants anti-vaccin a gonflé vendredi devant le parlement néo-zélandais au lendemain de violents affrontements avec la police, qui a échoué à disperser le rassemblement.

    L’ambiance était festive vendredi dans le campement de fortune surnommé le « Camp de la liberté » par ses occupants, avec de la musique et des danses, face à une police qui surveillait de loin.


    AFP or licensors

    Arrestation de 122 personnes
    Ces scènes contrastent fortement avec celles de jeudi, lorsque les forces de l’ordre avaient essayé d’évacuer les manifestants, arrêtant 122 personnes et faisant usage de gaz poivré.

    La police de Wellington s’est prévalue, avec cette tactique de non-intervention, d’une « approche mesurée », soulignant la présence d’enfants dans la foule.


    AFP or licensors

    La suite : https://www.rtbf.be/article/nouvelle-zelande-le-campement-anti-vaccin-prend-de-l-ampleur-devant-le-parlemen

    #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #Peuple #Réseaux_sociaux #aveuglement

    • [Nouvelle Zélande] : Face à l’immobilité des manifestants, les forces de l’ordre ont changé de tactique ce week-end, en utilisant une méthode pour le moins inhabituelle. Des haut-parleurs ont ainsi été installés, diffusant des tubes entêtants en boucle, et ce à volume maximal, pour tenter d’irriter les contestataires. Les chansons « Macarena » ou « Copacabana » sont jouées en boucle, mais aussi le titre « Baby Shark », véritable carton chez les jeunes enfants. La chanson de la Reine des Neiges, « Let it Go », fait également partie de la sélection musicale « irritante », tout comme le tube « You’re beautiful » de James Blunt. Des tuyaux d’arrosage ont également été déployés pour mouiller les tentes et les effets personnels des manifestants, créant des flaques de boues sur la parcelle de gazon réquisitionnée par les protestataires. Pas de quoi refroidir les manifestants pour autant. Ce lundi, ils étaient encore des centaines devant le Parlement, relate la BBC.

      https://www.dhnet.be/actu/monde/baby-shark-liberee-delivree-ou-macarena-en-boucle-comment-la-police-neo-zeland

  • D’ex-agents de la GRC (Gendarmerie Royale du Canada) et d’ex-militaires parmi les organisateurs du convoi, selon des experts
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861166/manifestation-camionneurs-ottawa-grc-militaires-organisateurs

    Parmi les personnes impliquées dans l’organisation de la manifestation des camionneurs à Ottawa se trouvent d’anciens agents de la Gendarmerie royale du Canada (GRC) et d’anciens militaires, soutiennent des experts.

    Depuis près de deux semaines, des manifestants opposés à la vaccination obligatoire contre la COVID-19 et leurs gros camions se sont installés dans le centre-ville d’Ottawa et dans plusieurs secteurs de la ville.


    Des camions sur un terrain de stationnement. Un point de ravitaillement a été installé sur le stationnement du stade de baseball d’Ottawa, sur le chemin Coventry. - Photo : Radio-Canada / Raphael Tremblay

    Bien que la police ait tenté de couper l’approvisionnement de ceux qui sont stationnés près de la colline du Parlement, les manifestants semblent garder le dessus sur les forces de l’ordre.

    Un succès que des experts attribuent en partie à une connaissance approfondie des forces de l’ordre et des tactiques militaires parmi certains organisateurs du convoi.


    La manifestation des camionneurs se poursuit à Ottawa. - Photo : Radio-Canada / Christian Milette

    Le groupe Police on Guard, qui s’est formé pendant la pandémie, a appuyé le convoi de camionneurs. Sur son site Internet, il rend publics les noms de plus de 150 policiers, pour la plupart à la retraite, qui s’opposent aux mesures d’urgence imposées par le gouvernement, telles que la vaccination obligatoire. Plus de 50 anciens soldats des Forces armées canadiennes sont également nommés sur son site.

    L’organisation dit être "présente sur le terrain" à Ottawa et a ajouté des vidéos YouTube de ses membres qui participent à la manifestation.

    L’équipe des organisateurs de la manifestation, qu’ils ont baptisée le "Convoi de la liberté", comprend notamment :

    – Daniel Bulford, un ancien agent de la Gendarmerie royale du CanadaGRC qui faisait partie du service de sécurité du premier ministre et qui a démissionné, l’année dernière, après avoir refusé de se faire vacciner. Il est le chef de la sécurité du convoi.

    – Tom Quiggin, un ancien officier du renseignement militaire qui a également travaillé avec la Gendarmerie royale du CanadaGRC et qui était considéré comme l’un des meilleurs experts de la lutte contre le terrorisme au pays.

    – Tom Marazzo, un ancien officier militaire qui, selon son profil LinkedIn, a servi dans les Forces armées canadiennes pendant 25 ans et travaille maintenant comme développeur de logiciels indépendant.

    Des relations étroites avec la police, selon les organisateurs
    Les organisateurs de la manifestation refusent les entrevues, à moins que celles-ci ne soient menées par des journalistes considérés comme favorables à leur cause, et le diffuseur public a été exclu de leurs points de presse.

    Dans une vidéo publiée lors de l’une de ces conférences de presse diffusées sur les réseaux sociaux, Tom Quiggin évalue la réponse politique et policière, qu’il appelle "l’opposition", au mouvement d’Ottawa.

    "Je dirais que l’opposition, à ce stade-ci, n’a pas vraiment de stratégie. Ils se sont juste donné un petit objectif et veulent que les rues soient dégagées, mais ils n’ont aucune idée de ce qu’ils veulent faire pour y parvenir", a-t-il déclaré.

    Pendant son mandat à la Gendarmerie royale du CanadaGRC, M. Quiggin a été membre de l’Équipe intégrée de la sécurité nationale (EISN), créée pour contrecarrer les menaces terroristes après le 11 septembre. Au sein de l’Équipe intégrée de la sécurité nationaleEISN, il a travaillé aux côtés de hauts fonctionnaires du Service canadien du renseignement de sécurité (SCRS), le service d’espionnage du Canada, de l’Agence des services frontaliers du Canada (ASFC) et des forces de police municipales.

    Dans la même vidéo, il revient sur les barrages actuels au passage frontalier à Coutts https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1860887/assouplissements-convoi-alberta-frontiere-americaine , en Alberta, et aux manifestations parallèles qui se sont déroulées à Toronto https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1860041/camionneurs-manifestation-queens-park-covid , à Québec https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1860138/manifestation-police-camionneurs-quebec-convoi-mesures-sanitaires et à Sarnia.

    "Je pense que nous allons voir les gens commencer à aller voir le gouvernement pour lui dire de régler la situation. Et s’ils ne le font pas, cela voudra dire que nous avons le pouvoir de fermer boutique", a lancé M. Quiggin.


    Des manifestants en discussion avec des policiers lors de la manifestation des camionneurs à Ottawa - Photo : Radio-Canada / Michael Charles Cole

    Dans la même vidéo, M. Bulford se vante auprès des journalistes sélectionnés de sa relation étroite avec la Gendarmerie royale du CanadaGRC, les Services de protection parlementaire, la police d’Ottawa et la police de Gatineau. Il exhorte les manifestants à rester "pacifiques" et à fraterniser avec les officiers en patrouille.

    "[La police] sait que ce groupe est là pour les gens, et je tiens à dire aux autres policiers, quand je les vois, qu’il faut qu’ils sachent que dans mon esprit et dans mon cœur, je le fais aussi pour eux", explique M. Bulford.

    La police n’a pas commenté les conversations qu’elle aurait pu avoir avec MM. Quiggin ou Bulford.

    Une formation militaire, policière ou survivaliste, selon un expert
    Professeur de criminologie à l’Université d’Ottawa, Michael Kempa affirme que l’expertise policière et militaire du convoi se reflète dans la coordination de son occupation du centre-ville.

    "Ils ont ce genre de formation militaire ou policière ou au moins survivaliste. Regardez à quel point ce qu’ils ont mis en place comme campement au centre-ville est sophistiqué", explique M. Kempa, qui étudie la police à travers le Canada. "Cela ressemble à une opération militaire."

    À titre d’exemple, M. Kempa mentionne les tentes et les structures en bois utilisées pour les cuisines et la chaîne d’approvisionnement qui a vu le jour dans toute la ville pour nourrir les gens et manifester.


    Des images de la manifestation des camionneurs à Ottawa le 9 février 2022 - Photo : Radio-Canada / Alexis Tremblay

    Le professeur estime que la police a commis une "grave erreur" en permettant aux camions de se rendre aux abords de la colline du Parlement.

    La police a qualifié ces camions lourds d’armes potentielles, mais ce sont également des outils essentiels pour transporter du matériel, comme des « deux-par-quatre » pour construire des abris, du bois de chauffage et des barils pour garder les manifestants au chaud et des réservoirs de propane pour les barbecues.

    Au centre-ville, des voitures et des camions dont les pneus ont été enlevés bloquent les rues. Pour M. Kempa, le stationnement de ces véhicules n’est pas aléatoire, mais plutôt stratégique dans la mesure où ils peuvent empêcher les infiltrations policières.


    Au centre-ville d’Ottawa, des voitures et des camions dont les pneus ont été enlevés bloquent les rues. Photo : Radio-Canada / Alexis Tremblay

    Les résidents ont remarqué que des manifestants se relayaient pour monter dans les cabines de camions en marche afin de faire retentir des klaxons. Ce son a été entendu à toute heure, jusqu’à ce qu’une injonction du tribunal, plus tôt cette semaine, force les manifestants à une pause temporaire.

    La police d’Ottawa affirme qu’il y a actuellement plus de 400 camions stationnés au centre-ville et qu’ils ne peuvent les déplacer, car les remorqueurs qui travaillent habituellement avec la Ville refusent d’aider. La présence de familles avec des enfants au sein du convoi rend les choses encore plus difficiles.

    "Ce ne sont pas des manifestants ordinaires", dit M. Kempa.

    Intervention au camp de Coventry
    Le meilleur exemple de la coordination qui règne au sein de la manifestation se trouve peut-être au camp mis en place par les manifestants à seulement six kilomètres à l’est de la colline du Parlement, près du stade de baseball, sur le chemin Coventry.

    Le propriétaire de l’équipe de baseball Titan, Regan Katz, explique que c’est la Ville qui lui a demandé d’utiliser ce terrain pour stationner temporairement certains camions afin de réduire la congestion dans le centre-ville. Au départ, la police lui a précisé n’avoir besoin du terrain que le temps d’un week-end. Mais finalement, les camionneurs ne sont jamais partis.


    BBQ, bois de chauffage et propane près des campements des camionneurs au site Coventry - Photo : Radio-Canada / Raphael Tremblay

    Au lieu de ça, ils se sont créé un véritable centre d’approvisionnement.

    Au camp de Coventry, plusieurs tentes ont été installées, deux semi-remorques servent à stocker de la nourriture et on trouve des rangées de toilettes chimiques.

    Lorsque les cargaisons de diesel, d’essence et de propane arrivaient, les bénévoles transféraient le carburant dans des centaines de bidons rouges et jaunes transportés vers le centre-ville pour être distribués aux camionneurs afin qu’ils puissent continuer de faire tourner leurs véhicules.


    L’intérieur de l’un des deux semi-remorques remplis de nourriture au camp des manifestants du chemin Coventry, à Ottawa, le 6 février 2022 - Photo : Radio-Canada / Judy Trinh

    Avec des températures qui peuvent parfois chuter jusqu’à -30 °C à Ottawa, au moins trois saunas ont été transportés au camp, par camion, afin que les manifestants puissent rester au chaud.

    Dimanche soir, alors que les manifestants se rassemblaient pour le dîner, des dizaines d’agents, dont certains portaient des fusils antiémeute capables de lancer des projectiles en caoutchouc et des gaz lacrymogènes, ont fait une descente dans le camp. Afin de tenter de couper la voie d’approvisionnement des manifestants, la police dit avoir saisi 3700 litres de carburant et deux véhicules dont un réservoir de diesel.


    Avec l’aide de la Police provinciale de l’Ontario, la police d’Ottawa a fait une descente dans le camp des manifestants sur le chemin Coventry le 6 février. Photo : Radio-Canada / Judy Trinh

    Mais quelques heures seulement après cette intervention, les manifestants rassuraient leurs partisans.

    "Les gens sont toujours de bonne humeur. Les dons sont toujours là. Le carburant est toujours là et il arrivera toujours aux camionneurs", a lancé l’un d’eux, Terence Rowland-Dow, dans une vidéo en direct sur Facebook.

    Le lendemain de la descente de police, les manifestants ont continué à livrer du carburant aux camionneurs du centre-ville, tout en menant une opération coordonnée pour épuiser les ressources policières. Les manifestants ont tiré des wagons remplis de bidons devant les policiers qui se contentaient de les observer.

    Le chef adjoint de la police d’Ottawa, Steve Bell, a expliqué que les manifestants "remplissaient d’eau des contenants afin de distraire les agents… et de contrecarrer nos efforts". Un officier a été entouré alors qu’il tentait de confisquer du carburant, selon M. Bell.

    La police a "sous-estimé" les manifestants
    Professeur à l’Université Queen’s, Amarnath Amarasingam, qui étudie la radicalisation et l’extrémisme, a regardé la diffusion en direct sur Facebook après l’intervention policière. Il dit avoir été impressionné par le niveau de coordination observé. Selon lui, la police a mal évalué la détermination des manifestants du convoi.

    "Si quelqu’un avait prêté attention au contenu diffusé en ligne qui a mené à ce convoi, il ne l’aurait pas sous-estimé."

    M. Amarasingam souligne que les manifestants ont constamment exprimé leurs intentions sur les réseaux sociaux. Il pense que la police a d’abord voulu les apaiser, anticipant que ceux-ci se livreraient à des violences.

    Au lieu de ça, les manifestants ont enfreint de nombreux règlements comme d’uriner, de déféquer et de boire de l’alcool sur la voie publique, ainsi que de refuser de porter le masque. Mais la plupart de leurs actions n’ont pas franchi la ligne des infractions pénales, entraînant de simples amendes, mais pas de peines de prison.


    Jusqu’ici, les actions des manifestants n’ont pas franchi la ligne des infractions pénales. - Photo : Radio-Canada / Brigitte Bureau

    "L’approche [de la police] était : vont-ils prendre d’assaut le gouvernement ? Vont-ils faire quelque chose d’extrêmement violent ? Je ne pense pas que, depuis le début, cela ait été nécessairement leur objectif", analyse M. Amarasingam. "Ils voulaient surtout paralyser la ville."

    Il estime que le convoi a les moyens de poursuivre son opération indéfiniment. Depuis que GoFundMe a annulé leur première collecte de fonds, leur objectif est désormais de collecter 16 millions de dollars américains sur la plateforme chrétienne de financement participatif GiveSendGo et ils sont arrivés à plus de la moitié de leur objectif.

    À moins d’un effondrement interne de l’organisation, M. Amarasingam redoute que tout cela se termine dans la violence.

    "Soit il y a des arrestations massives et de la violence dans les rues, soit la violence dans les rues entraîne des arrestations massives et potentiellement une intervention militaire", prévoit-il.

    #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes #Peuple #Réseaux_sociaux #aveuglement

    • Le 911 inondé de faux appels d’urgence : « totalement inadmissible » dit la police d’#Ottawa

      Le service d’urgence de la Ville d’Ottawa était submergé d’appels jeudi matin pour des motifs non urgents.

      Le service d’urgence de la Ville d’Ottawa était submergé d’appels jeudi matin pour des motifs non urgents.

      L’exaspération est forte au sein de la police d’Ottawa, devant cette tactique qui vise à distraire ses effectifs. La police écrit que "cela met des vies en danger, et c’est totalement inadmissible."
      . . . . .
      Réunion de la ville d’Ottawa piratée
      Un pirate informatique a réussi jeudi matin à s’immiscer dans le réseau informatique de la Ville d’Ottawa.

      Lors d’une réunion du Comité de l’urbanisme, les participants à la rencontre ont soudainement vu apparaître sur l’écran un message sur fond noir affirmant que la police d’Ottawa "avait échoué".

      La réunion a été aussitôt interrompue pendant une vingtaine de minutes, le temps de sécuriser le réseau.
      . . . . .

      La suite : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861255/ligne-911-tactique-camionneurs-police-ottawa-manifestation

    • L’aéroport international d’Ottawa ciblé par les manifestants
      https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861200/aeroport-ottawa-manifestation-camionneurs

      Jeudi matin, peu après 8 h, des véhicules ont perturbé la circulation à l’aéroport en faisant des tours devant le terminal.

      Un groupe de personnes protestant contre les règles sanitaires au Canada a ralenti la circulation à destination et en provenance du principal aéroport d’Ottawa, jeudi matin.

      Vers 8 h, les caméras de circulation ont montré un groupe de véhicules se dirigeant vers l’aéroport.


      Des véhicules ont ralenti l’accès à l’aéroport international d’Ottawa jeudi matin. - Photo : Radio-Canada / Raphael Tremblay

      Une diffusion en direct du compte de Pat King, une voix influente parmi la foule opposée à la vaccination obligatoire, a montré des véhicules encerclant la zone réservée aux arrivées et aux départs de l’aéroport international d’Ottawa.

      Plus de 50 vols étaient prévus à l’arrivée ou au départ d’Ottawa pour jeudi matin.

      Dans un communiqué, Krista Kealey, vice-présidente, communications et affaires publiques de l’aéroport international d’Ottawa, a confirmé qu’il y avait de « 60 à 70 camions légers qui circulent sur les voies d’accès pour les arrivées et les départs de l’aéroport international d’Ottawa pour essayer de perturber les opérations ».

      « La circulation à l’aéroport est déjà très limitée en raison de la pandémie ; les répercussions sont donc minimes jusqu’à présent », a-t-elle toutefois ajouté. « Nous sommes très déçus que les manifestants aient choisi de perturber une industrie qui a déjà été décimée par la pandémie. »

      Le groupe de véhicules a fini par quitter les lieux vers 10 h.
      Sur Twitter, le ministre des Transports du Canada, Omar Alghabra, a condamné ce geste.

      Aux occupants de l’aéroport d’Ottawa : ce genre de comportement est inacceptable. Il est temps de rentrer chez vous !
      — Omar Alghabra (@OmarAlghabra) February 10, 2022 _

      Le Parti conservateur a lui aussi demandé aux manifestants de lever leurs barrages.

      C’est le quatorzième jour que des manifestations perturbent Ottawa.

    • Les Z’élites canadiennes, dans leur volonté d’empoisonner la vie de la population du pays, ont oublié qu’il y avait des compétences chez celles et ceux qu’ils méprisent. Les retraités de la police et de l’armée, entre autres.

      On n’est jamais trahis que par les siens.

      Il faut dire que ces Z’élites canadiennes et leur marionnette sociétale, julien trudeau le déchiré en fuite, ont imposé des règles de vie incompréhensibles et insupportables.

      Mal leur en a pris.

      Les usines commencent à s’arrêter au Canada.
      Au USA certainement aussi.

      Zéro stock, juste à temps, transport routier . . .
      Fragile tout ça, surtout quand des fous sont au pouvoir.

  • Coutts : les camionneurs insatisfaits des assouplissements annoncés La Presse canadienne
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1860887/assouplissements-convoi-alberta-frontiere-americaine

    Le passeport vaccinal de l’Alberta a disparu, mais les manifestants promettent de rester longtemps sur l’autoroute menant au principal poste frontalier américain de la province.

    Ceux qui croyaient que l’annonce, mardi, par le premier ministre Jason Kenney d’abolir la mesure de santé publique à minuit et de supprimer la plupart des autres règles en Alberta d’ici le 1 er mars mettrait fin à la manifestation près de Coutts, en Alberta, ont rapidement été détrompés.


    Blocage de Coutts. Les manifestants ont commencé un blocage à Coutts à la fin du mois dernier en solidarité avec des événements similaires à Ottawa et dans tout le pays pour protester contre la vaccination obligatoire contre la COVID-19 et les mesures de santé publique dans leur ensemble. Photo : Radio-Canada / Nassima Way

    “Nous sommes ici pour la vue d’ensemble. Cela a commencé avec la frontière, cela a commencé avec Trudeau, et d’ici à ce que Trudeau bouge, nous ne bougerons pas”, lance John Vanreeuwyk, un exploitant de parc d’engraissement de Coaldale, en Alberta.

    John Vanreeuwyk est satisfait des mesures prises par Jason Kenney, mais il est en colère que les gens doivent toujours porter un masque.

    “Dans l’ensemble, c’est décevant. Oui, il y a eu du bon qui en est ressorti, mais même pas 10 %.”

    Les manifestants ont ouvert les voies de l’autoroute 4 par intermittence. La GRC a déclaré mardi soir que les voies étaient de nouveau fermées en raison de la manifestation.

    Les personnes impliquées dans la manifestation se tenaient autour de barils en feu pour se réchauffer. Des dizaines de camions, de remorques et de voitures bordaient les deux côtés de l’autoroute. Une génératrice fournissait de l’électricité, et le moral était au beau fixe.

    "Il y a des gars ici qui ont tout perdu à cause de [ces règles] et ils n’abandonnent pas, ils sont prêts à tenir bon et à continuer jusqu’à ce que ce soit fait", ajoute John Vanreeuwyk.

    "Plus les politiciens poussent fort, plus cela va prendre de l’ampleur."

    Blocage à Coutts
    Les manifestants ont commencé un blocus à Coutts à la fin du mois dernier en solidarité avec des événements similaires à Ottawa et dans tout le pays pour protester contre la vaccination obligatoire contre la COVID-19 et les mesures de santé publique dans leur ensemble.

    La situation a bloqué les voyageurs et les camionneurs transfrontaliers, compromis des millions de dollars en commerce et entravé l’accès aux biens de base et aux services médicaux pour les résidents de la région.

    Un nombre croissant de personnes ont continué à se rassembler à un poste de contrôle de la police au nord du village.

    Garrett Buchanan a passé 10 heures dans son camion depuis High Prairie, dans le nord de l’Alberta, pour se joindre à la manifestation.

    "C’est une bonne cause, tout le monde veut seulement aider. Les gens apportent du carburant, de la nourriture, tout cela gratuitement, et d’autres choses pour aider la cause. C’est un très bon mouvement", dit-il.

    Il ajoute qu’il restera sur place jusqu’à ce que les demandes des manifestants soient satisfaites.

    "Oui, jusqu’à ce que [les règles] soient abandonnées, et si les manifestants peuvent travailler pour faire sortir [Justin Trudeau], je resterai plus longtemps pour cela aussi."

    Environ 50 camions sont toujours au poste frontalier de Coutts.

    Le maire de Coutts, Jim Willett, avait espéré que le gouvernement provincial irait plus loin dans son annonce et ne s’attend pas à ce que les choses reviennent à la normale dans un avenir proche.

    "Je suis un peu inquiet de ce que sera leur réaction", dit-il.

    "Conserver l’obligation du port du masque jusqu’au 1 er mars ne rendra personne heureux non plus. Personne dans le groupe de protestation ou dans les régions rurales de l’Alberta ne sera probablement content de cela."

    Jim Willett continuera à rencontrer les camionneurs et espère que les échanges resteront polis.

    Un texte de Bill Graveland, La Presse canadienne

    #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes

    • Alberta : un premier ministre vulnérable, pressé d’apaiser les mécontents

      Le premier ministre albertain Jason Kenney a annoncé mardi un calendrier de déconfinement d’un mois, commençant par l’élimination immédiate du passeport vaccinal. Si les réactions sont mitigées à cette annonce, des experts politiques croient que l’empressement du gouvernement Kenney s’explique par l’idéologie de sa base électorale et sa propre survie politique.


      Jason Kenney enlève son masque tout juste avant une conférence de presse. Jason Kenney a annoncé la fin de toutes les mesures sanitaires d’ici un mois en Alberta, y compris le port du masque. (archives) Photo : La Presse canadienne / Jeff McIntosh

      Contrairement aux plans de levée des restrictions sanitaires précédents, celui présenté mardi soir ne s’appuie sur aucune cible chiffrée. Le premier ministre évaluera plutôt la « tendance générale » des hospitalisations, qui demeurent pour l’instant élevées.

      Le premier ministre affirme qu’il faut « apprendre à vivre avec le virus » et que le passeport vaccinal « n’a plus d’utilité », puisque les taux de vaccination stagnent depuis décembre.
      . . . . . . .
      La suite : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861063/jason-kenney-levee-restrictions-rapide-base-ideologie
      #Canada

    • Le maintien du passeport vaccinal au Québec soulève des questions Louis Gagné
      https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1861072/reactions-maintien-passeport-vaccinal-commerces-quebec-calendrier-d

      Des commerçants s’expliquent mal la décision du gouvernement Legault de maintenir jusqu’à nouvel ordre l’utilisation du passeport vaccinal. Ils aimeraient que le Québec emboîte le pas à l’Alberta et la Saskatchewan et relègue aux oubliettes le recours à cette mesure sanitaire qui n’a pas fini de diviser.

      Diminution de l’achalandage, baisse des revenus, impact sur la qualité des services offerts, comportement agressif de certains clients : les commerçants ne manquent pas de raisons pour réclamer la fin du passeport vaccinal.

      La quincaillerie Lauremat, de Sept-Îles, a vu sa clientèle diminuer de 30 % depuis qu’elle a implanté la vérification du passeport vaccinal à l’entrée du bâtiment.


      Au Québec, le passeport vaccinal demeure obligatoire dans les commerces ayant une superficie supérieure à 1500 mètres carrés, à l’exception des épiceries et des pharmacies. Photo : Radio-Canada

      Son directeur, Dominique Larouche, explique que des clients ont déserté les lieux au profit d’établissements de taille plus modeste où le passeport vaccinal n’est pas requis.

      Rappelons que depuis le 24 janvier, le passeport est exigé dans les commerces ayant une superficie supérieure à 1500 mètres carrés. Les épiceries et les pharmacies sont toutefois exemptées.

      Superficie réduite
      En apprenant mardi que le passeport vaccinal était maintenu au Québec, Dominique Larouche a décidé de condamner 20 % de la superficie de sa quincaillerie afin de ne plus avoir à appliquer la mesure sanitaire.

      "J’ai réduit ma superficie de vente en bloquant quelques allées [...] On est dans les normes puis tout le monde est en sécurité", assure-t-il.


      Dominique Larouche a condamné 20 % de la superficie de sa quincaillerie pour ne plus avoir à exiger à ses clients la présentation de leur passeport vaccinal. Photo : Radio-Canada

      Au centre de jardinage Floralies Jouvence, à Québec, l’obligation de valider le statut vaccinal des clients représente d’abord et avant tout un "défi opérationnel", en particulier dans un contexte de pénurie de main-d’œuvre.

      Une fleuriste pour "scanner"
      Le copropriétaire Jean-Paul Daoust mentionne que les employés qu’il doit affecter à la vérification des passeports ne sont pas en mesure de venir prêter main-forte à leurs collègues sur le plancher.

      "La Saint-Valentin s’en vient lundi. Si je suis obligé de mettre une de mes fleuristes au passeport vaccinal pour "scanner", bien elle ne peut pas aider les clients à faire des bouquets pendant ce temps-là. Donc, le service à la clientèle est un peu ralenti", déplore M. Daoust.


      Jean-Paul Daoust affirme que la vérification du passeport vaccinal représente un « défi opérationnel » important. Photo : Radio-Canada

      Le défi sera encore plus grand au printemps, lorsque l’achalandage de la jardinerie sera à son plus fort.

      « Il va y avoir au moins 10 personnes en même temps qui vont "scanner" les passeports. C’est ce qu’on prévoit. »
      — Une citation de Jean-Paul Daoust, copropriétaire, Floralies Jouvence

      MM. Larouche et Daoust racontent avoir eu à composer avec le mécontentement de certains clients, qui leur reprochent d’imposer le passeport vaccinal à l’entrée de leur commerce.

      "On est surpris de l’attitude, des fois, de certaines personnes qui disent : "je ne viendrai plus chez vous parce que vous demandez le passeport vaccinal." Nous, on ne fait qu’appliquer la loi", fait valoir Jean-Paul Daoust.

      "Écœurantite" *
      Dominique Larouche parle pour sa part d’une "écœurantite" et d’un "ras-le-bol" généralisés qu’expriment autant les non-vaccinés que des clients ayant reçu deux ou trois doses de vaccin contre la COVID-19.

      Parfois, le mécontentement et l’impatience virent au vandalisme et à l’agression physique.

      "On a constaté des enseignes brisées, des employés qui ont été poussés, frappés dans plusieurs cas [et] des appareils qui ont été cassés [notamment] des cellulaires appartenant à des employés", rapporte le président du Conseil canadien du commerce de détail pour le Québec, Michel Rochette.

      Au-delà des incivilités, les commerçants se plaignent du manque de prévisibilité entourant l’éventuelle levée du passeport sanitaire.

      "Ce qu’on souhaite, c’est comprendre ce dont le gouvernement a besoin pour changer d’idée. Est-ce le taux de vaccination qui [doit] augmenter ? Il est déjà très élevé. Est-ce le nombre d’hospitalisations ? On n’a aucun détail", déplore M. Rochette.

      Il craint que le maintien du passeport vaccinal, sans date prévisible de retrait, augmente encore plus la pression sur les commerçants et la tension dans les files d’attente.

      Avec des informations de Pierre-Alexandre Bolduc

      #boycott

  • Les convois de camionneurs canadiens inspirent une mobilisation internationale
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1860814/rassemblements-protestation-manifestations-anti-mesures-sanitaires

    Les manifestants anti-mesures sanitaires au Canada sont devenus les nouveaux héros des conservateurs et des opposants aux restrictions qui appellent à amplifier la mobilisation, de New York à la Nouvelle-Zélande.

    Inspirés par les camionneurs canadiens, à New York, plusieurs centaines d’employés municipaux ont manifesté lundi contre la décision de la Ville de limoger à partir de vendredi ceux qui refusaient la vaccination contre la COVID-19. Ils dénonçaient “la tyrannie médicale et la vaccination obligatoire”, arborant un grand drapeau du Canada.

    La veille, une centaine de chauffeurs routiers avaient manifesté dans l’Alaska contre la vaccination obligatoire, en soutien à leurs collègues de l’autre côté de la frontière.

    Initié fin janvier par les camionneurs canadiens qui dénonçaient l’obligation vaccinale pour traverser la frontière avec les États-Unis, le “convoi de la liberté” s’est rapidement transformé en protestation contre les mesures sanitaires dans leur ensemble au Canada et, pour certains manifestants, contre le gouvernement de Justin Trudeau.

    Partis de Vancouver, des centaines de camions bloquent depuis plus d’une semaine le centre de la capitale canadienne, Ottawa, où le maire a décrété l’état d’urgence pour faire face au blocus.

    Trump rêve de voir les camionneurs débarquer à Washington
    La mobilisation a reçu le soutien des responsables conservateurs américains, du sénateur du Texas Ted Cruz qualifiant les protestataires de “héros” et de “patriotes” à l’ex-président Donald Trump en passant par le fantasque milliardaire Elon Musk.

    Des appels ont aussi été lancés pour étendre la mobilisation à la capitale fédérale américaine.

    “Le convoi de la liberté pourrait venir à Washington avec les camionneurs américains qui veulent protester contre la politique ridicule de Joe Biden sur la COVID-19”, a affirmé M. Trump.

    En France, le mouvement s’inscrit dans la lignée des « gilets jaunes »
    La vague de protestation a fait tache d’huile dans le monde entier, alimentée et appuyée par les courants populistes qui dénoncent des entraves liberticides, édictées par les élites au pouvoir.

    En France, une page Facebook, également baptisée “Convoi de la liberté” https://www.facebook.com/groups/1361647004300199 et suivie par plus de 275 000 personnes, appelle les opposants aux mesures sanitaires très restrictives mises en place par le gouvernement à rallier Paris dimanche, pour faire le siège de la capitale.

    Contrairement au Canada, cette mobilisation n’émane pas des chauffeurs routiers.

    Le mouvement s’inscrit dans la lignée des “gilets jaunes”, qui, avant la pandémie, dénonçaient la précarité et exprimaient le sentiment de ras-le-bol d’une partie de la population face au coût de la vie.

    Dans leur viseur encore une fois : la politique du président Emmanuel Macron avec l’occupation de la voie publique comme mode d’action.

    La contestation a été relancée par les anti-vaccins et les opposants à la parole publique et politique dans la gestion de la crise.

    L’un des organisateurs du convoi français, Rémi Monde, qualifie le mouvement canadien de “très inspirant”.

    Sur Facebook, il a dénoncé pêle-mêle “les restrictions, le [passeport] sanitaire, l’augmentation du prix de l’énergie, le coût de la vie et le recul [de l’âge] du départ à la retraite”, des revendications qui rappellent celles des “gilets jaunes”.

    Il a aussi dénoncé les tentatives de récupération par des responsables politiques, notamment d’extrême droite, soulignant que la mobilisation était “apolitique”.

    D’autres groupes sur les réseaux sociaux ont également appelé à la mobilisation à Bruxelles, siège de l’Union européenne.

    Le parlement néo-zélandais assiégé
    Le mouvement a essaimé jusqu’en Nouvelle-Zélande où un convoi de camions et de caravanes motorisées a bloqué mardi le quartier du Parlement dans la capitale Wellington pour protester contre les mesures sanitaires en place, parmi les plus draconiennes du monde.

    Des centaines de véhicules, sur lesquels étaient affichés des messages tels que “rendez-nous notre liberté” et “la coercition n’est pas un consentement”, se sont garés dans les rues proches du Parlement. Plusieurs manifestants portaient des drapeaux canadiens en soutien aux routiers d’Ottawa.

    Selon Stu Main, un habitant de Wellington, les manifestants estimaient que leurs inquiétudes concernant le recul de leurs droits n’étaient pas entendues par le gouvernement.

    La première ministre Jacinda Ardern a souligné que la majorité des Néo-Zélandais soutenaient le programme de vaccination du gouvernement, comme la vaccination obligatoire pour certaines professions et l’entrée en vigueur d’un passeport sanitaire.

    #manifestations #Convoi_de_la_liberté #Peuple #Liberté #Solidarité #manifestation #pass_sanitaire #Freedom_Convoy_2022 #crise #Camions #gilets_jaunes #gj #giletsjaunes

  • Le #Danemark veut envoyer 300 #détenus_étrangers au #Kosovo
    (... encore le Danemark...)

    La ministre kosovare de la justice a confirmé jeudi l’accord qui prévoit de confier à une prison de son pays des prisonniers étrangers, condamnés au Danemark et susceptibles d’être expulsés après avoir purgé leur peine.

    Le Danemark a franchi, mercredi 15 décembre, une nouvelle étape dans sa gestion des étrangers. Le ministre de la justice, Nick Haekkerup, a annoncé que le pays nordique prévoit de louer 300 places de prison au Kosovo, pour y interner les citoyens étrangers, condamnés au Danemark, et qui doivent être expulsés vers leur pays d’origine après avoir purgé leur peine. Le 3 juin déjà, le gouvernement dirigé par les sociaux-démocrates, avait fait adopter une loi lui permettant de sous-traiter l’accueil des demandeurs d’asile et des réfugiés à un pays tiers.

    L’accord sur les détenus étrangers a été confirmé, jeudi 16 décembre, par la ministre kosovare de la justice, Albulena Haxhiu. Il s’agit d’une première pour ce petit et très pauvre pays des Balkans, dirigé depuis le début de 2021 par le parti de gauche nationaliste Autodétermination !, proche du parti socialiste européen, et qui rêve d’adhésion à l’Union européenne.

    Une lettre d’intention entre les deux gouvernements devrait être signée, lundi 20 décembre, à Pristina. Un traité sera ensuite soumis à l’approbation des deux tiers du Parlement. Mme Haxhiu a révélé que les prisonniers danois seraient enfermés dans le centre de détention de Gjilan, à l’est du pays, et assuré qu’il n’y aurait pas de terroristes, ni de prisonniers à « à haut risque » parmi eux. Selon elle, ce projet d’externalisation « est la reconnaissance du Kosovo et de ses institutions comme un pays sérieux ».
    « Une prison danoise dans un autre pays »

    A Copenhague, le ministre de la justice a fait savoir que les négociations avec Pristina avaient débuté il y a un an. Le dispositif a été présenté dans le cadre d’un accord entre les sociaux-démocrates, les conservateurs, le Parti du peuple danois et le Parti socialiste du peuple, pour réformer le système pénitentiaire. L’objectif est d’augmenter la capacité des prisons danoises pour pouvoir accueillir un millier de détenus supplémentaires.

    Parallèlement à l’ouverture de nouvelles cellules dans les établissements existant, le gouvernement compte donc libérer 300 places en se débarrassant des détenus d’origine étrangère, condamnés à l’expulsion une fois leur peine purgée. Ils étaient 368 en 2020. « Il faut s’imaginer que c’est une prison danoise. Elle se situe juste dans un autre pays », a expliqué M. Haekkerup, précisant que l’équipe dirigeant le centre de Gjilan serait danoise.

    A Pristina, Mme Haxhiu a confirmé : « Les lois en vigueur au Danemark s’appliqueront, la gestion sera danoise, mais les agents pénitentiaires seront de la République du Kosovo. Le bien-être et la sécurité [des détenus] seront sous leur entière responsabilité. »

    Avec ce dispositif, le gouvernement danois veut « envoyer un signal clair que les étrangers condamnés à l’expulsion doivent quitter le Danemark ». Au ministère de la justice, on précise toutefois que si les détenus, une fois leur peine purgée, refusent d’être expulsés dans leur pays d’origine et que Copenhague ne peut les y forcer faute d’accord avec ces pays, alors ils seront renvoyés au Danemark, pour être placés en centre de rétention.

    En échange de ses services, le Kosovo devrait obtenir 210 millions d’euros sur dix ans : « Cette compensation bénéficiera grandement aux institutions judiciaires, ainsi qu’au Service correctionnel du Kosovo, ce qui augmentera la qualité et l’infrastructure globale de ce service », a salué le gouvernement dans un communiqué. Le Danemark, de son côté, a indiqué qu’il allait aussi verser une aide de 6 millions d’euros par an au petit pays, au titre de la transition écologique.
    De nombreux problèmes juridiques

    Comme pour l’externalisation de l’asile, ce projet pose de nombreux problèmes juridiques. Le gouvernement danois a précisé que les détenus ayant une famille seraient les derniers envoyés au Kosovo, car ils doivent pouvoir « avoir des contacts avec leurs enfants ». Une aide financière au transport sera mise en place pour les proches.

    Directrice de l’Institut des droits de l’homme à Copenhague, Louise Holck parle d’une « décision controversée du point de vue des droits de l’homme », car le Danemark, rappelle-t-elle, « ne peut pas exporter ses responsabilités légales » et devra faire en sorte que les droits des prisonniers soient respectés. Professeure de droit à l’université du sud Danemark, Linda Kjær Minke estime qu’il faudra modifier la loi, ne serait-ce que « pour imposer un transfert aux détenus qui refuseraient ».

    Entre 2015 et 2018, la Norvège avait sous-traité l’emprisonnement de prisonniers aux Pays-Bas. Dans un rapport publié en 2016, le médiateur de la justice avait constaté que les autorités norvégiennes « n’avaient pas réussi à garantir une protection adéquate contre la torture et les traitements inhumains ou dégradants ». Jamais aucun pays européen n’a transféré des prisonniers aussi loin (plus de 2 000 km), et le Danemark devrait faire face aux mêmes problèmes que la Norvège, estime Linda Kjær Minke :« Même si la direction est danoise, les employés auront été formés différemment, avec peut-être d’autres façons d’utiliser la force. »

    Ces mises en garde ne semblent pas affecter le gouvernement danois, qui multiplie les décisions très critiquées, comme celle de retirer leur titre de séjour aux réfugiés syriens. Le but est de décourager au maximum les demandeurs d’asile de rejoindre le pays. La gauche et les associations d’aide aux migrants dénoncent une « politique des symboles ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/12/16/le-danemark-veut-envoyer-300-detenus-etrangers-au-kosovo_6106356_3210.html#x

    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #pays-tiers #rétention #détention_administrative #détention #étrangers_criminels #criminels_étrangers #expulsion #renvoi #accord #Gjilan #prison #emprisonnement #compensation_financière #aide_financière #transition_écologique #étrangers

    ping @karine4 @isskein

    • Danimarca-Kosovo: detenuti in cambio di soldi per tutela ambientale

      Da Pristina e Copenhagen arriva una notizia sconcertante. Il ministro della Giustizia del Kosovo Albulena Haxhiu ha annunciato che a breve arriveranno nel paese 300 detenuti, attualmente nelle carceri danesi e cittadini di paesi non UE, per scontare la loro pena in Kosovo. In cambio Pristina otterrà 210 milioni di euro di finanziamenti a favore dell’energia verde.

      L’accordo fa parte di una serie di misure annunciate in settimana dalle autorità danesi per alleviare il sistema carcerario del paese per far fronte ad anni di esodo del personale e al più alto numero di detenuti dagli anni ’50.

      I detenuti dovrebbero scontare le loro pene in un penitenziario di Gjilan. “I detenuti che saranno trasferiti in questo istituto non saranno ad alto rischio", ha chiarito Haxhiu in una dichiarazione.

      L’accordo deve passare ora dall’approvazione del parlamento di Pristina.

      In molti, in Danimarca e all’estero, si sono detti preoccupati per la salvaguardia dei diritti dei detenuti. Un rapporto del 2020 del Dipartimento di Stato americano ha evidenziato i problemi nelle prigioni e nei centri di detenzione del Kosovo, tra cui violenza tra i prigionieri, corruzione, esposizione a opinioni religiose o politiche radicali, mancanza di cure mediche e a volte violenza da parte del personale.

      Perplessità rimandate al mittente dal ministro della Giustizia danese Nick Hekkerup che si è dichiarato convinto che l’invio di detenuti in Kosovo sarà in linea con le norme a salvaguardia dei diritti umani a livello internazionale. «I detenuti deportati potranno ancora ricevere visite, anche se, naturalmente, sarà difficile», ha chiosato.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Danimarca-Kosovo-detenuti-in-cambio-di-soldi-per-tutela-ambientale

    • Le Kosovo prêt à louer ses prisons au Danemark

      Le Kosovo veut louer 300 cellules de prison pendant dix ans au Danemark, en échange de 210 millions d’euros. Le pays scandinave prévoit d’y « délocaliser » des détenus étrangers avant leur potentielle expulsion définitive dans leur pays d’origine. Un projet qui piétine les libertés fondamentales.

      Le Kosovo s’apprête à signer lundi 20 décembre un accord de principe avec le Danemark pour lui louer 300 cellules de prison. Le Danemark prévoit donc de déporter à plus de 2000 km de ses frontières 300 détenus étrangers qui viendront purger la fin de leur peine au Kosovo avant d’être expulsés vers leur pays d’origine, si les procédures d’extradition le permettent. Mais ce n’est pas encore fait : une fois l’accord signé, il devra encore être ratifié par les parlements respectifs des deux pays, à la majorité des deux tiers.

      Montant de la rente de cette « location » : 210 millions d’euros pour Pristina. L’argent « sera consacré aux investissements, notamment dans les énergies renouvelables », a précisé Albulena Haxhiu, la ministre de la Justice du Kosovo, qui a tenté de déminer le terrain. « Ce ne seront pas des détenus à haut risque ou des condamnés pour terrorisme, ni des cas psychiatriques. Les institutions judiciaires bénéficieront de la compensation financière, cela aidera à améliorer la qualité et les infrastructures du Service correctionnel. »

      « Il faut s’imaginer que cela sera une prison danoise. Elle sera juste dans un autre pays », a expliqué de son côté son homologue danois, Nick Haekkerup. Mais pourquoi l’un des plus riches pays européens aurait-il besoin d’« externaliser » la prise en charge de ses détenus ? Le Danemark dit avoir besoin de 1000 places de prison supplémentaires. Pour cela, il va créer de nouvelles cellules dans les prisons existantes, et en libérer d’autres en se débarrassant de détenus étrangers. Il s’agit surtout d’envoyer un message de fermeté aux réfugiés qui souhaitent rejoindre le pays scandinave.

      Les Danois ont commencé à préparer le terrain en octobre 2020, avec une visite du système carcéral kosovar. Ils ont « évalué positivement le traitement de nos prisonniers et nos capacités », s’était alors félicité le ministère de la Justice du Kosovo. Les 300 détenus resteront soumis aux lois danoises, mais les gardiens de prison seront bien kosovars. Ce projet d’externalisation carcérale est « la reconnaissance du Kosovo comme un pays sérieux », s’est félicitée Albulena Haxhiu.

      “Le Kosovo se transforme en un lieu de détention pour les migrants indésirables. Pour un peu d’argent, notre gouvernement renforce le sentiment anti-réfugiés qui s’accroit en Europe.”

      Mais pour le Conseil de la défense des droits de l’homme (KMLDNJ), qui surveille les conditions de détention dans les prisons kosovares, cet accord « légalise la discrimination des détenus ». « Tout d’abord, vendre sa souveraineté à un autre État pour dix ans et 210 millions d’euros est un acte de violation de cette souveraineté. De plus, les conditions et le traitement de ces détenus qui viendront du Danemark seront incomparablement meilleurs des autres 1600 à 1800 détenus du Kosovo », estime l’ONG. « Les propriétés de l’État ne doivent pas être traitées comme des infrastructures privées à louer », ajoute Besa Kabashi-Ramaj, experte en questions sécuritaires.

      Cet accord a en effet surpris beaucoup d’observateurs locaux et internationaux, et ce d’autant plus que le Kosovo est actuellement gouverné par le parti de gauche souverainiste Vetëvendosje. « Le Kosovo se transforme en un lieu de détention pour les migrants indésirables. Pour un peu d’argent, notre gouvernement renforce le sentiment anti-réfugiés qui s’accroît en Europe », déplore Visar Ymeri, directeur de l’Institut pour les politiques sociales Musine Kokalari. « Aussi, quand la ministre de la Justice affirme que le Kosovo a assez de prisons mais pas assez de prisonniers, elle participe à une politique de remplacement du besoin de justice par un besoin d’emprisonnement. »

      Selon le Rapport mondial des prisons, établi par l’Université de Londres, le Kosovo avait 1642 détenus en 2020, soit un taux d’occupation de 97%. Le ministère de la Justice du Kosovo n’a, semble-t-il, pas la même façon de calculer l’espace carcéral : « Nous avons actuellement 700-800 places libres. Vu qu’au maximum nous aurons 300 détenus du Danemark, il restera encore des places libres », a même fait savoir Alban Muriqi, du ministère de la Justice.

      Le Kosovo a onze centre de détention : cinq centres de détention provisoire, une prison haute sécurité, une prison pour femmes, un centre d’éducation pour les mineurs et trois autres prisons. C’est au centre de détention à #Gjilan / #Gnjilane, dans l’est du Kosovo, que seraient louées les cellules au Danemark.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Kosovo-Prisonniers-Danemark

    • La Danimarca e le prigioni off-shore

      Sono immigrati incarcerati in Danimarca. Dal 2023 rischiano di scontare la propria pena in un peniteniario di Gjilian, in Kosovo. Un approfondimento sullo sconcertante accordo del dicembre scorso tra Copenhagen e Pristina

      Sebbene Danimarca e Kosovo abbiano avuto poco a che fare l’uno con l’altro, alla fine di dicembre si sono ritrovati insieme nei titoli dei giornali di tutto il mondo. Ad attirare l’attenzione della Danimarca sono state le quasi 800 celle vuote del Kosovo. I titoli dei giornali erano di questo tipo: «La Danimarca spedisce i propri prigionieri in Kosovo».

      Ci si riferiva ad un accordo firmato il 21 dicembre 2021 per inviare - in un centro di detenzione nei pressi di Gjilan, 50 chilometri a sud-est di Pristina - 300 persone incarcerate in Danimarca. Le autorità danesi hanno specificato che i 300 detenuti saranno esclusivamente cittadini di paesi terzi destinati ad essere deportati dalla Danimarca alla fine della loro pena.

      In cambio, il Kosovo dovrebbe ricevere 200 milioni di euro, suddivisi su di un periodo di 10 anni. I fondi sono stati vincolati a progetti nel campo dell’energia verde e delle riforme dello stato di diritto. Il ministro della Giustizia del Kosovo Albulena Haxhiu ha definito questi investimenti «fondamentali» e il ministro della Giustizia danese Nick Hækkerup ha affermato che «entrambi i paesi con questo accordo avranno dei vantaggi».

      L’idea di gestire una colonia penale per conto di un paese dell’UE ha messo molti kosovari a disagio, e nonostante la fiducia espressa dal governo danese, l’accordo ha ricevuto pesanti critiche anche in Danimarca. Ma cosa sta succedendo alla Danimarca e al suo sistema carcerario da spingerla a spedire i propri detenuti in uno dei paesi più poveri d’Europa?
      Problemi in paradiso?

      La Danimarca e i suoi vicini nordici sono rinomati per l’alta qualità della vita, gli eccellenti sistemi educativi e le generose disposizioni di assistenza sociale. Di conseguenza, può sorprendere che il sistema carcerario danese abbia qualche cosa che non va.

      Secondo Peter Vedel Kessing, ricercatore dell’Istituto Danese per i Diritti Umani (DIHR), non c’è da stupirsi, il sistema carcerario infatti «non è una priorità in molti stati. Tendono a non dare la priorità alla costruzione di prigioni. Vogliono spendere i soldi per qualcos’altro». E in Danimarca “hanno prigioni molto vecchie".

      Alla fine del 2020 il servizio danese per i penitenziari e la libertà vigilata (Kriminalforsogen) ha riferito che il sistema carcerario aveva la capacità di contenere 4.073 prigionieri. In media, c’erano però 4.085 detenuti ad occupare le celle nel 2020, facendole risultare leggermente sovraffollate.

      Un rapporto del gennaio 2020 dell’Annual Penal Statistics (SPACE) del Consiglio d’Europa sottolinea che la Danimarca aveva 4.140 detenuti mentre possedeva capacità per 4.035. I funzionari penitenziari hanno trovato lo spazio in più riducendo le aree comuni e dedicate ai servizi di base. Secondo un rapporto DIHR del novembre 2021, «diverse prigioni hanno chiuso sale comuni o aule per avere un numero sufficiente di celle». Il rapporto menziona anche la trasformazione di palestre, sale per le visite e uffici in celle di prigione.

      In Danimarca, ogni detenuto dovrebbe avere una cella propria. Ma nelle prigioni come quella di Nykøbing, una città a 130 chilometri a sud di Copenaghen, ci sono ora due detenuti per cella, secondo un rapporto del “Danish Prison and Probation Service”.

      Il rapporto includeva una previsione per il 2022: si aspettano di superare del 7,9% i posti a disposizione. Sia il Kriminalforsogen che l’importante media danese Jyllands Posten hanno stimato una possibile carenza di 1.000 posti entro il 2025, se non si trovano soluzioni strutturali.

      Ora, invece di erodere ulteriormente gli spazi comuni, si pensa di inviare i detenuti a 2000 chilometri di distanza. Tra le molte cose, sono stati tanti i danesi a far notare che l’accordo viola i diritti di visita dei detenuti: diventerà molto più difficile per le famiglie e gli amici dei detenuti presentarsi all’orario di visita nel Kosovo orientale.

      «Se improvvisamente ti trovi a dover andare in Kosovo per trovare tuo padre… non sarà possibile per la stragrande maggioranza delle famiglie dei detenuti. Ad esempio, un bambino di 3 anni, non è che può andare in Kosovo quando vuole e, naturalmente, il detenuto non potrà venire a trovare il bambino», sottolinea Mette Grith Stage, un avvocato che rappresenta molti imputati che si battono contro la deportazione, al quotidiano danese Politiken. «Questo significa di fatto che i deportati perdono il contatto con la loro famiglia».

      Per coprire la spesa prevista di 200 milioni di euro in un decennio, il governo danese ha recentemente annunciato che intende aumentare le tasse sulla tv. L’annuncio ha causato reazioni amare. In un’udienza parlamentare all’inizio di febbraio, il direttore delle comunicazioni dell’organizzazione Danish Media Distributors, Ib Konrad Jensen, ha dichiarato: «È un’ottima idea scrivere in fondo alla bolletta [della televisione]: ’Ecco il vostro pagamento al servizio carcerario del Kosovo’».
      Aiuto!

      Non solo c’è una carenza di spazio nel sistema penale, ma la Danimarca ha anche difficoltà nell’assumere abbastanza guardie carcerarie ed è da questo punto di vista gravemente sotto organico negli ultimi anni.

      Un rapporto del 2020 del Consiglio d’Europa mostra che l’Albania ha una proporzione di guardie carcerarie per prigionieri più alta della Danimarca. Il confronto è stato portato alla luce dai media danesi per cercare di enfatizzare la scarsa qualità delle prigioni danesi: guarda come siamo messi male, anche l’Albania sta facendo meglio di noi.

      I funzionari penitenziari si sono opposti a questo tipo di parallelismo. «L’Albania è certamente un paese eccellente», ha dichiarato Bo Yde Sørensen, presidente della Federazione delle prigioni danesi, in un articolo del quotidiano Berlingske, «ma di solito non è uno con il quale paragoniamo le nostre istituzioni sociali vitali».

      Anche altri media danesi hanno fatto paragoni denigratori con i paesi balcanici per evidenziare i problemi del proprio sistema carcerario. Nel penitenziario di Nyborg, situato sull’isola di Funen, la testata danese V2 ha riferito che la qualità del lavoro è più scadente di quella della Bulgaria, affermando che «in media, un agente penitenziario nella prigione di Nyborg gestisce 2,8 detenuti», mentre «in confronto, la media è 2,4 in una prigione media in Bulgaria».

      La diffusa scarsa opinione tra i media danesi delle condizioni dei penitenziari nei Balcani mette chiaramente in discussione le assicurazioni che il governo danese ha dato nel garantire che i propri prigionieri a Gjilan troveranno le condizioni a cui hanno diritto per la legge danese.

      Ma come è chiaro, anche in Danimarca il sistema penitenziario ha problemi a rispettare queste stesse condizioni. Nel penitenziario di Vestre, a Copenhagen, i detenuti sono chiusi nelle loro celle durante la notte perché non ci sono abbastanza guardie per sorvegliarli durante la guardia notturna. I detenuti in Danimarca avrebbero diritto al contrario di avere un alto grado di libertà di movimento all’interno della struttura carceraria, anche durante la notte.

      «Non è un segreto che il servizio penitenziario e di libertà vigilata danese si trova in una situazione molto difficile. Ci sono più detenuti e meno guardie carcerarie che mai, e questo crea sfide e mette molta pressione», afferma Sørensen in una intervista per Berlingske.

      Un comunicato stampa emesso dal Fængselsforbundet - servizio penitenziario danese - mostra i bisogno in termini chiari: «Prendiamo il 2015 come esempio. A quel tempo c’erano 2.500 agenti per 3.400 prigionieri. Cioè 1,4 detenuti per agente. Ora il rapporto è di due a uno. Duemila agenti per 4.200 detenuti».

      In risposta ai problemi di personale, le prigioni danesi sono ricorse al chiudere a chiave le celle. «Il modo per evitare la violenza e per avere una migliore atmosfera nei penitenziari», commenta Kessing, ricercatore del DIHR, è quello di «creare relazioni tra l’istituzione penitenziaria, i detenuti e il personale della prigione». «Ma a causa della diminuzione del numero di guardie, non si ha più il tempo di sviluppare relazioni», chiosa.
      La risposta? Il Kosovo

      Per superare queste sfide, la Danimarca sembra aver preso esempio dalla vicina Norvegia, che ha affrontato problemi simili nel 2015. Quell’anno la Norvegia ha inviato 242 detenuti nei Paesi Bassi per risolvere i problemi di sovraccarico dei penitenziari. Ma nel 2018 il governo norvegese ha deciso di non rinnovare l’accordo di fronte a lamentele relative a riabilitazione e giurisdizione.

      Ora la Danimarca ha gettato gli occhi - come recinto per i propri detenuti - non sui Paesi Bassi ma su uno dei paesi più poveri d’Europa.

      «Il loro futuro non è in Danimarca, e quindi non dovrebbero nemmeno scontare la loro pena qui», ha dichiarato il ministro della Giustizia Nick Hækkerup, dando conferma di una crescente retorica anti-immigrazione in Danimarca.

      Quando i detenuti cominceranno ad arrivare a Gjilan nel 2023, la prigione sarà gestita dalle autorità danesi, causando una potenziale confusione su quale giurisdizione applicare: problema simile era sorto tra Norvegia e Paesi Bassi.

      Mette Grith Stage, come anche altri avvocati danesi, hanno espresso preoccupazione per questo accordo e si sono detti scettici sul fatto che le leggi penali danesi saranno applicate appieno nel sistema carcerario del Kosovo.

      In un’intervista con DR, l’emittente pubblica danese, il ministro della Giustizia Hækkerup ha però ribattuto: «Il penitenziario sarà gestito da una direzione danese che deve formare i dipendenti locali, per questo sono certo che le prigioni saranno all’altezza delle leggi e degli standard danesi. Deve essere visto come un pezzo del sistema carcerario danese che si sposta in Kosovo».

      Le dichiarazioni delle autorità danesi durante tutta la vicenda hanno spesso citato la loro «presenza significativa» in Kosovo. Tuttavia la Danimarca è l’unico paese scandinavo a non avere un’ambasciata a Pristina. L’ambasciata danese a Vienna, che supervisiona gli affari nei Balcani, ha esternalizzato il lavoro a uno studio legale nella capitale del Kosovo.

      A seguito degli obblighi NATO della Danimarca, un totale di 10.000 componenti delle proprie truppe hanno servito nella KFOR dal 1999 ad oggi. Attualmente sono 30 i militari danesi in Kosovo. Nel 2008 la Danimarca fu uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo.

      Anche se le autorità danesi affermano di considerare il Kosovo alla pari, il semplice fatto che la Danimarca stia assumendo la gestione di una delle prigioni del Kosovo potrebbe legittimamente essere visto come una minaccia alla sovranità di quest’ultimo. Quando i prigionieri norvegesi vennero mandati nei Paesi Bassi, il penitenziario continuò ad essere sotto autorità olandese.

      Ma al di là delle preoccupazioni sulla giurisdizione, gli standard delle prigioni, i diritti di visita e i costi, ci sono questioni morali più grandi. Il popolo danese vuole veramente che a proprio nome vengano gestite strutture carcerarie offshore per i suoi immigrati incarcerati? E il popolo del Kosovo vuole essere una colonia penale dei paesi più ricchi? I governi della Danimarca e del Kosovo dicono di sì, ma cosa dice la gente?

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/La-Danimarca-e-le-prigioni-off-shore-215757

  • #gilets_jaunes Un mouvement de protestation a bloqué l’A30
    http://www.lessentiel.lu/fr/news/grande_region/story/un-mouvement-de-protestation-a-bloque-l-a30-27368438

    MONT-SAINT-MARTIN - Des individus ont allumé un feu de palette et ont tagué un panneau routier, au début de l’autoroute A30, en direction de Metz.

    La circulation routière sur l’autoroute A30 a été bloquée ce mercredi, vers 21h, par un mouvement de protestation, au niveau de Mont-Saint-Martin, en direction de Metz, a constaté un journaliste de L’essentiel sur place. Une longue file de voitures et de camions s’est formée.

    Des individus - une trentaine de personnes selon le Républicain Lorrain - ont mis le feu à des palettes et ont tagué un panneau au nom des gilets jaunes. La police était présente sur les lieux pour procéder à des contrôles. Des pompiers se sont également déplacés pour éteindre le feu.

    L’A30 a pu être rouverte à la circulation vers 21h15.

    #gj #giletsjaunes #gilet_jaune

  • # Paris : Agression de La députée de l’Hérault, Coralie Dubost, vol d’une rolex
    https://www.ladepeche.fr/2021/10/20/la-deputee-coralie-dubost-ex-compagne-dolivier-veran-violemment-agressee-a

    Coralie Dubost, députée LREM de la 3e circonscription de l’Hérault, a été agressée à Paris ce mardi 19 octobre au soir, comme le rapporte la chaîne d’information en continu CNEWS https://www.cnews.fr/france/2021-10-20/paris-la-deputee-coralie-dubost-agressee-et-depouillee-avec-son-compagnon-1140 ce mercredi. Il s’agirait d’un acte « crapuleux », précise la chaîne, qui ajoute que plusieurs objets du conjoint de la parlementaire lui auraient été dérobés, comme une montre de marque Rolex, ainsi que son portefeuille.

    L’ancienne compagne du ministre de la Santé, Olivier Véran, sortait du restaurant avec son compagnon, quand ils se seraient fait attaquer par « trois ou quatre individus », alors que les deux victimes étaient sur le chemin du retour vers chez elle. Le sac à main de Coralie Dubost et l’ensemble de ses autres effets personnels lui auraient également été dérobés, d’après nos confrères de Midi Libre https://www.midilibre.fr/2021/10/20/herault-la-deputee-coralie-dubost-victime-dune-violente-agression-avec-son . Le montant total du préjudice s’élèverait à plusieurs milliers d’euros.

    Fort heureusement, les deux victimes n’ont pas eu à être hospitalisées. La députée était même présente ce mercredi à l’Assemblée Nationale, où elle a tenu ses engagements après avoir été examinée par le médecin de l’Assemblée, précise Midi Libre.

    Une enquête a été ouverte pour vol avec violence en réunion.

    #rolex #Députée #EnMarche #agression #violence #Hérault

  • Les « #gilets_jaunes » du rond-point de Poitiers-Sud toujours là contre « les injustices » - Page 1 | Mediapart
    https://www.mediapart.fr/journal/france/090920/les-gilets-jaunes-du-rond-point-de-poitiers-sud-toujours-la-contre-les-inj

    Les voilà de retour pour dire que le poids du monde doit être égalitairement partagé. Le Tour arrive ce mercredi dans la capitale régionale, terme de l’étape 11. Le samedi précédent, ils étaient donc 17 réclamant un autre horizon : « Pour l’augmentation du Smic. Pour le rétablissement de l’ISF. »

    Celui qu’ils ont sous les yeux, si familier qu’ils ont fini par l’occulter, appartient à l’une des familles les plus riches de France, les Mulliez, propriétaire des enseignes Auchan, Flunch, Boulanger, Leroy Merlin. Le prix du litre de gazole chez Auchan est à 1,18 euro.

    #gj

  • Un #gilet_jaune relaxé et libéré après 4 mois de prison ferme à cause de « mensonges » de la BAC
    http://www.profession-gendarme.com/un-gilet-jaune-relaxe-et-libere-apres-4-mois-de-prison-ferme-a-

    Il n’y a pas longtemps, on m’a demandé dans un commentaire un exemple de gilets jaunes qui auraient été condamné arbitrairement. J’ai fait une réponse laconique en me demandant intérieurement si on vivait sur la même planète…

    Dans cet exemple, la LDH (la Ligue des Droits de l’Homme) a apporté son témoignage et soutien au gilet jaune Sullivan arrêté arbitrairement à Montpellier lors d’une manifestation, pour violence sur les FDO. Si ce témoignage n’a pas été retenu par le juge lors de la comparution immédiate, comparution immédiate qui est une véritable fumisterie de justice (arbitraire), tout a changé en appel où le juge a (enfin) écouté les témoins. Les policiers de la BAC, sont revenus sur leur première déposition et ont ainsi avoué avoir menti.

    #gj #police_voyou #violence_policière

  • Convoqués pour avoir soutenu #Christophe_Dettinger : « C’est presque de la police politique », dénonce leur avocate
    https://www.europe1.fr/societe/convoques-pour-avoir-soutenu-dettinger-cest-presque-de-la-police-politique-d

    En janvier, ils ont participé à la cagnotte Leetchi en soutien à l’ex-boxeur Christophe Dettinger. Aujourd’hui, ils sont convoqués par la police pour témoigner. Des centaines de donateurs ont reçu des emails de la Brigade de répression de la délinquance astucieuse (BRDA), un mois après l’ouverture d’une enquête pour « abus de confiance ». « On va sonder les cœurs et les esprits pour savoir pourquoi les gens ont donné. C’est presque de la police politique ou de la police des pensées », dénonce sur Europe 1 Me Laurence Léger, avocate du couple Dettinger, mais aussi de l’homme qui avait lancé cette cagnotte et de certains donateurs.

    #gj #gilets_jaunes #harcèlement_judiciaire

  • Les #Gilets_Jaunes face à une justice d’exception

    https://www.franceinter.fr/emissions/comme-un-bruit-qui-court/comme-un-bruit-qui-court-15-juin-2019

    Superbe émission, je recommande chaudement

    Depuis le début du mouvement, près de 2 000 Gilets Jaunes ont été condamnés par la justice et 40% d’entre eux ont écopés de peines de prison ferme. Une sévérité inédite pour des prévenus au casier bien souvent vierge.
    Manifestation Gilet Jaune à Besançon, Bourgogne Franche-Comté.
    Manifestation Gilet Jaune à Besançon, Bourgogne Franche-Comté. © Radio France / Sylvain Prégaldiny

    Qu’elle soit policière, judiciaire ou administrative, la répression qui touche le mouvement des Gilets Jaunes est d’une ampleur inédite. Moins visible que les violences policières, le traitement judiciaire réservé à ceux qui se sont retrouvés, bien souvent pour la première fois, devant les tribunaux marque une volonté affichée de « faire des exemples ».

    Car si les magistrats sont indépendants, les consignes de fermeté du gouvernement ont largement été suivies : 40% des Gilets jaunes déférés devant la justice, la plupart du temps au cours de procédures expéditives de comparutions immédiates, ont écopés de peines de prison ferme (soit 800 personnes, selon les chiffres du parquet communiqués fin mars 2019), et 313 mandats de dépôts ont été prononcés, pour des peines qui, selon les dispositions prévues par le Code pénal, seraient normalement aménagées. Ce qui conduit le Syndicat des Avocats de France (SAF) à dénoncer une justice d’exception, devenue le bras armé du maintien de l’ordre.

    À Besançon, Frédéric Vuillaume et sa famille ont subi un véritable acharnement, multipliant gardes à vue, perquisition, contrôle judiciaire et prison ferme. Militant de longue date, Fréderic est l’un des piliers de la contestation à Besançon et participe au mouvement des Gilets jaunes depuis le début. Jamais il n’avait connu une telle répression auparavant.

    #gj #répression #violence_policière

  • Marche des mutilés : « Le LBD40 est devenu une arme de terreur politique » | Raphaël Goument et NnoMan
    https://reporterre.net/Marche-des-mutiles-Le-LBD40-est-devenu-une-arme-de-terreur-politique

    Plus de 2.400 blessés, une femme tuée, 23 éborgnés, 5 amputés : le mouvement des Gilets jaunes a été réprimé avec une terrible violence. Dimanche 2 juin, des centaines de personnes ont manifesté à l’appel du collectif des Mutilés, afin de rendre ces crimes visibles. Source : Reporterre

  • Plus de 350 blessés dans les manifs nantaises et un #rapport qui étrille les forces de l’ordre

    La ville de Nantes est réputée pour être un haut lieu de la contestation sociale. Sans surprise, les manifestations des Gilets jaunes y ont donc été nombreuses et importantes. Et la #répression_policière violente. En témoignent les bilans établis par les équipes de street medics au fil des actes. Mediacités les a décortiqués et les chiffres sont effarants.


    https://www.mediacites.fr/nantes/enquete-nantes/2019/05/27/plus-de-350-blesses-dans-les-manifs-nantaises-et-un-rapport-qui-etrille-l
    #Gilets_jaunes #GJ #Nantes #violences_policières #maintien_de_l'ordre
    #bilan

  • Cambrésis : Pourquoi, six mois plus tard, ces Gilets jaunes sont toujours là

    https://www.lavoixdunord.fr/583932/article/2019-05-17/pourquoi-six-mois-plus-tard-ces-gilets-jaunes-sont-toujours-la

    Le 17 novembre sonnait le coup d’envoi du mouvement des Gilets jaunes. Qui aurait cru que six mois plus tard, ils seraient encore là, occupant les ronds-points, organisant des manifestations ? Pas eux, en tout cas. Ils nous racontent pourquoi ils ont décidé de rejoindre la mobilisation… et de ne pas la quitter.

    #gilets_jaunes #gj

  • Nantes. Stéphane Perrier : « Là, je m’interroge vraiment sur ce tir de LBD »
    13.05.2019 - Presse Océan
    https://www.presseocean.fr/actualite/nantes-stephane-perrier-la-je-m-interroge-vraiment-sur-ce-tir-de-lbd-13-

    Samedi, lors de la manifestation des Gilets Jaunes à Nantes, un journaliste de CNews a reçu une balle de défense (LBD) dans le bas-ventre. Le petit groupe dont il faisait partie était pourtant isolé du reste du cortège.

    Figure du journalisme nantais, Stéphane Perrier couvre les conflits sociaux depuis une vingtaine d’années pour TF1, CNews ou Télénantes. Pour la deuxième fois, il a été victime d’un tir de LBD (NDLR : lanceur de balle de défense). « Nous étions près d’une aubette de bus sur le Cours des 50-Otages que je connais par cœur, pas loin de la rue d’Orléans. Nous devions être cinq, dont deux agents de surveillance qui assurent notre protection depuis quelques mois, un collègue et deux « street medics » », raconte le cameraman pigiste.

    "Nous étions isolés"

    « Un peu plus loin, il y avait la manif des Gilets Jaunes et la Bac que l’on apercevait de l’autre côté. On entamait notre deuxième tour sur le cours. Nous étions isolés et vraiment en sécurité totale, au point d’avoir enlevé nos lunettes et le casque. Nous marchions tranquillement quand j’ai reçu le tir dans le bas-ventre ». Intense douleur. Stéphane s’écroule. « J’ai bien vu la Bac traverser le cours et aller vers le Bouffay », témoigne Mickael Chaillou, son collègue journaliste de CNews. « Ensuite, c’est parti en live, ça hurlait et je vois Stéphane au sol. Il est resté à terre de longues minutes avec les street medics ».

    "Ma ceinture a amorti le choc"

    Les gardes du corps des deux journalistes de CNews font alors « la tortue pour nous protéger. Un cordon de CRS est venu voir ce qui se passait, ce qui a entraîné des jets de bouteilles vers eux et donc vers nous qui étions derrière. On se retrouve dans le brouillard ». Les deux agents de sécurité éloignent alors le blessé de la cohue et des gaz piquants et se réfugient chez un vendeur de kebab. Une vingtaine de minutes plus tard, Stéphane Perrier sera sur pied. « J’ai voulu reprendre le boulot dans la foulée ». Mais la caméra, tombée à terre, ne répond plus. « La chance était quand même là car j’avais mis une ceinture de contention pour un mal de dos. Elle a amorti le choc."

    #violences_policières

  • Visionscarto poursuit la publication de la série "Sous un #gilet_jaune, il y a..." : avec un (2) deuxième portrait, celui de Brigitte.

    Ces portraits montrent le mouvement des Gilets jaunes dans toute sa "multiformité" et surtout dans toute son "humanité".

    https://visionscarto.net/sous-un-gilet-jaune-brigitte

    « Bien qu’issue d’une famille « bourgeoise », toute jeune, j’ai très vite été rebelle, en révolte contre l’autorité et l’ordre soi-disant « établi » ! Révoltée par l’injustice, le racisme, les idées d’extrême droite, je commence à militer, en dehors de toute structure, pour l’Espagne républicaine en 1977. « España, mañana, será republicana » et me voilà à coudre, avec ma grand-mère, un immense drapeau républicain espagnol (rouge, jaune et violet) pour orner la salle du meeting que nous organisions ! Ma première action ! Puis s’enchaînent le soutien au peuple palestinien, le soutien aux peuples en lutte… »

  • Visionscarto commence aujourd’hui une série sur les Gilets jaunes, dans une approche immensément humaine.

    Il s’agit d’une série de portraits, simples et touchants, d’êtres humaines et humains qui racontent les raisons pour lesquelles elles et ils ont ressenti la nécessité de descendre dans la rue et de se lever pour plus de dignité et de justice sociale.

    Ces portraits nous invitent à penser autrement le mouvement des gilets jaunes, dans toute sa multiplicité, je dirai presque dans toute sa "multiformité"

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    Sous un gilet jaune, il y a...

    https://visionscarto.net/sous-un-gilet-jaune-il-y-a-1

    Aujourd’hui : Sandrine

    « une mère de famille, un technicien de surface, une prof, un retraité, une infirmière, un chômeur, une gérante, un chauffagiste, une universitaire, un précaire... des personnes politisées ou non, mais qui découvrent ensemble la force et le bonheur de la parole et de l’action concertée.
    Pour une petite radioscopie de cette France qui se réveille, voici une série de portraits sans retouche de quelques-unes et quelques-uns d’entre elles et eux. »

    #gilets_jaune #gj #portraits