• Migranti, dalla Lombardia al Veneto all’Emilia la rivolta dei sindaci del Nord. Zaia : “Rischiamo di avere le tendopoli”

    Aumentano i minori affidati ai Comuni, i primi cittadini sindaci leghisti guidano il fronte degli amministratori che accusano Roma: «Così mettono in ginocchio i bilanci»

    Mentre il governo si prepara per l’approvazione di un provvedimento sul modello dei decreti sicurezza voluti nel 2018 da Matteo Salvini, il tema immigrazione diventa materia di scontro, non solo tra maggioranza e opposizione e tra alleati di governo, ma anche tra Roma e il Nord. Con il fronte dei sindaci - leghisti in testa - che si sente abbandonato. A partire dalla Lombardia dove, mettendo in fila i dati, al 31 luglio 2023 si registrano 16.232 migranti: 2.156 in più rispetto al mese precedente e 5.481 in più rispetto al 31 luglio 2022. Secondo il piano di redistribuzione del Viminale, entro il 15 settembre la quota arriverà a 6.000. La fetta più grande, insomma, per cercare di ripartire gli oltre 50 mila richiedenti asilo. «I comuni sono diventati i centri di costo dell’immigrazione. La politica si ricorda di noi solo quando ci sono le elezioni e ha bisogno di voti. Poi, ci lascia le grane da risolvere». Roberto Di Stefano, sindaco leghista di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, parla di una situazione che «mette in ginocchio i bilanci: siamo costretti a distrarre fondi che potremmo spendere per gli anziani, per i disabili, per occuparci dell’accoglienza agli stranieri». A destare maggiore preoccupazione, spiega ancora Di Stefano, sono minori non accompagnati che vengono assegnati ai comuni direttamente dal Tribunale. «Ho l’impressione che il ruolo dei sindaci non sia capito. Non basta il rimpatrio di qualche centinaio di persone, perché gli arrivi sono molti di più. E il lavoro va fatto a monte: investendo in democrazia nei Paesi da cui queste persone scappano».

    Nella provincia di Brescia, l’insoddisfazione è la medesima: il sindaco di Edolo, Luca Masneri (civico), dalla Valle Camonica ricorda di aver chiesto alla Prefettura «di iniziare a pensare a una exit strategy. Negli anni passati abbiamo avuto anche 200 migranti su una popolazione di 4.400 persone. Ora siamo a 70 e vogliamo arrivare a 40». Marco Togni, primo cittadino leghista di Montichiari (Brescia), non si pone proprio il problema: «Immigrati non ne voglio. Non ho posti in cui accoglierli e quindi non me ne preoccupo. Non posso impedire che strutture private nel mio comune partecipino ai bandi della Prefettura per l’accoglienza ma quando chiedono il mio parere dico sempre che sarebbe meglio non farlo». E in mancanza di strutture in cui ospitarli, Togni ribadisce la sua «indisponibilità a qualsiasi conversione di strutture di proprietà comunale». Anche Sebastian Nicoli, sindaco Pd di Romano di Lombardia, nella bergamasca, ha contestato l’arrivo di una trentina di richiedenti asilo nell’ex hotel La Rocca, struttura privata gestita da una cooperativa: «Ancora una volta affrontiamo un’emergenza calata dall’alto. La Prefettura mi ha avvisato solo informalmente dell’arrivo dei richiedenti asilo. Non mi è stato neanche comunicato il numero esatto».

    In terra lombarda il tema degli alloggi è stato anche materia di scontro tra alleati in giunta regionale: l’assessore alla Casa Paolo Franco (in quota Fdi) era stato costretto a un dietrofront sulla proposta di utilizzare le case popolari non occupate (e pronte all’uso) per allargare la rete dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) come richiesto dal governo. Immediate le proteste da parte della Lega con tanto di precisazione del governatore Attilio Fontana.

    Seconda solo alla Lombardia, l’Emilia-Romagna ha ospitato nei primi sette mesi di quest’anno il 9% dei migranti sbarcati in Italia. Poco meno di 12 mila al 15 luglio, se ne attendono altri 4.000 tra la fine di agosto e settembre. Principalmente maschi, giovani e adulti, provenienti da Costa D’Avorio, Guinea, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Burkina Faso, Siria, Camerun e Mali. I minori non accompagnati sono il 10%, ma rilevante è anche la quota dei nuclei familiari, che il sistema d’accoglienza prevede di tenere uniti. Da mesi, la crisi degli alloggi viene denunciata da prefetti, sindaci, cooperative di settore che reclamano più sostegno da parte di Roma ma anche collaborazione nella ricerca di soluzioni rapide. L’hub di via Mattei a Bologna, per esempio, accoglie da settimane i richiedenti asilo in una tendopoli, non essendoci più camere disponibili. Una soluzione che il sindaco Matteo Lepore (centrosinistra) definisce «non dignitosa» e «preoccupante» , segno che al ministero dell’Interno «non c’è alcuna idea su come gestire l’emergenza». Proprio al Viminale, l’assessore al Welfare del comune di Reggio-Emilia Daniele Marchi (Pd), ha minacciato di portare i molti rifugiati assegnati al suo distretto: «Se il governo va avanti così, carico dei pullman e li porto tutti a dormire al ministero».

    Il Veneto, che dai piani del Viminale dovrebbe accogliere 3.000 migranti entro settembre, arriverà a quota 200 mila, secondo il presidente Luca Zaia: «Di questo passo avremo presto le tendopoli». A Legnago, in provincia di Verona, il sindaco Graziano Lorenzetti ha riposto la fascia tricolore in protesta: «Tornerò a utilizzarla quando lo Stato metterà i sindaci e le forze dell’ordine nelle condizione di poter garantire la sicurezza ai propri cittadini». Il sindaco leghista di Chioggia Mauro Armelao è stato chiaro: «Non disponiamo di strutture pubbliche in cui accogliere i migranti, abbiamo già famiglie in attesa di un alloggio».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/08/18/news/migranti_sindaci_del_nord_in_rivolta-13000355

    #résistance #maires #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Lega #Lombardie #MNA #mineurs_non_accompagnés #Luca_Masneri #Edolo #Roberto_Di_Stefano #Sesto_San_Giovanni #Valle_Camonica #Montichiari #Marco_Togni #Sebastian_Nicoli #Romano_di_Lombardia #Matteo_Lepore #Bologna #hébergement #Reggio-Emilia #Daniele_Marchi #Legnago #Graziano_Lorenzetti #Chioggia #Mauro_Armelao

    C’était 2019... j’avais fait cette #carte publiée sur @visionscarto des "maires qui résistent en Italie". 2023, on en est au même point :
    En Italie, des maires s’opposent à la politique de fermeture des États

    « Quand l’État faillit à ses responsabilités, l’alternative peut-elle provenir des municipalités ? » se demandait Filippo Furri dans le numéro 81 de la revue Vacarme en automne 2017. La réponse est oui. Et pour illustrer son propos, Furri cite en exemple le mouvement des villes-refuge, avec des précurseurs comme Venise. Un mouvement qui se diffuse et se structure.


    https://visionscarto.net/italie-resistances-municipales

  • Berlin: In religiösem Wahn tötete ein Klavierlehrer zwei Menschen
    https://www.berliner-zeitung.de/mensch-metropole/crime/crime-vom-satan-besessen-in-religioesem-wahn-toetete-ein-klavierleh

    05.03.2023 von Katrin Bischof - 1994 brachte Bernhard R. seine Geliebte um und schnitt ihr den Kopf ab. Wenig später rammte er seinem Nachbarn einen Schraubendreher in den Kopf.

    Ich möchte hiermit ausdrücklich betonen, dass es sich bei beiden Taten nicht um bestialische Mordlust handelt, sondern um ein sehr schwer verständliches Erlösungswerk.

    Am Abend des 25. Januar 1994 läuft ein 19-Jähriger gegen 20.45 Uhr über den Rasen des Grazer Platzes in Berlin-Schöneberg. Lange schon ist es dunkel. Der Weg ist eine beliebte Abkürzung zur Bushaltestelle. Im Mondlicht sieht der junge Mann etwas auf dem Rasen liegen. Ein Puppenkopf, denkt er und läuft zunächst vorbei. Doch irgendetwas findet er eigenartig. Er geht zurück und sieht, dass er sich geirrt hat. Er rennt zu seiner Schwester, die die Polizei alarmiert.

    Nach dem Abendessen klingelt bei Christian Schulz das Telefon. Der Ermittler der 3. Mordkommission hat Bereitschaftsdienst. Auf dem Grazer Platz sei ein menschlicher Schädel gefunden worden, wird ihm mitgeteilt. Als Schulz in Schöneberg eintrifft, ist der Platz weiträumig abgesperrt. Auf dem Rasen liegt der abgetrennte Kopf einer erwachsenen Frau. Ein weißes, blutverschmiertes T-Shirt verdeckt ihn etwas. Daneben liegen eine Wollstrumpfhose und ein buntes Handtuch. Alles wirkt wie ausgekippt, denkt Schulz.

    Zwei Fragen müssen Schulz und seine Kollegen zunächst klären: Wer ist die Tote? Und wo ist der Rest der Leiche? Während 500 Beamte mit Leichenspürhunden die Gegend durchkämmen, checken die Ermittler die Vermisstenfälle. Der Kopf der Toten passt zu keiner Anzeige.

    Die Fahnder sind am nächsten Tag kurz davor, mit einem Foto des präparieren Kopfes an die Öffentlichkeit zu gehen, als die Leiterin einer Kita in Schlachtensee unruhig wird. Eine Erzieherin ist nicht zum Dienst erschienen. Auch telefonisch kann sie sie nicht erreichen: Michaela M. ist 30 Jahre alt. Sie gilt als äußerst zuverlässig.

    Kindergärtnerin wurde erwürgt

    Die Kitaleiterin telefoniert mit M’s Schwester. Doch auch sie weiß nicht, warum sich Michaela nicht meldet. Am Vorabend hat auch sie vergebens versucht, sie zu erreichen. Sie weiß aber, dass die Nachbarin einen Schlüssel zur Wohnung hat. Die Kitachefin beschließt, zu ihrer Angestellten nach Hause zu fahren.

    Michaela M. stammt aus einer vermögenden Familie. In der Friedrichsruher Straße in Friedenau, nur etwa einen Kilometer vom Grazer Platz entfernt, bewohnt sie jedoch nur eine kleine Zwei-Zimmer-Wohnung.

    Am Mittag betreten die Kitaleiterin und die Nachbarin die Wohnung von Michaela M. Schon vom Eingang aus sehen sie durch die geöffnete Schlafzimmertür die junge Frau. Sie liegt in ihrem Blut, trägt nur einen Pullover und einen Slip, ihr Kopf fehlt, der Stecker vom Telefon ist gezogen. Um 12.10 Uhr alarmieren sie die Polizei. Wenig später ist auch der Mordermittler Schulz vor Ort.

    Mit diesem Leatherman-Tool-Messer schnitt Bernhard R. seiner Klavierschülerin den Kopf ab.
    Die Obduktion der Leiche ergibt, dass Michaela M. am Abend des 25. Januar erwürgt oder erdrosselt wurde, der Kopf wurde nach ihrem Tod mit einem Messer abgetrennt. Einen Raubmord schließen die Ermittler aus. Die Wohnung ist nicht durchwühlt worden. Die Kriminalisten befragen noch am selben Tag Familienmitglieder, Kollegen und Freundinnen der Toten.

    Fast alle erwähnen einen Klavierlehrer, bei dem Michaela M. Stunden genommen und mit dem sie ein Verhältnis hatte. Er soll verheiratet und Vater zweier Kinder sein. Die Zeugen erzählen, dass Michaela M. die Affäre beendet, der Klavierlehrer aber immer wieder mit Geschenken vor ihrer Tür gestanden habe. Sie nennen auch den Vornamen des Mannes: Bernhard.

    Fast 30 Jahre später sitzt der einstige Mordermittler Christian Schulz in seinem Büro im Landeskriminalamt in der Keithstraße und blättert in den alten Akten des Mordfalls Michaela M. Die Seiten darin sind vergilbt und über die Jahre dünn wie Pergamentpapier geworden.

    Der 58-Jährige ist mittlerweile Erster Kriminalhauptkommissar und Leiter der Operativen Fallanalyse. Acht Jahre lang war er bei der Mordkommission. Den Fall Michaela M. hat er nie vergessen – weil er damals für Schlagzeilen in Berlin gesorgt hatte und auch, weil der Mörder kurz darauf noch einmal zuschlagen sollte. „Zwei Morde in drei Tagen, und dann die Begehungsweise, das ist schon extrem selten“, sagt Schulz.

    Er erinnert sich noch, wie sie damals in den Papieren, die in der Wohnung von Michaela M. lagen, nach dem vollen Namen des Klavierlehrers suchten. „Bernhard war der einzige Ansatzpunkt, den wir in dem Fall erst einmal hatten“, berichtet Schulz. Dann kam heraus, dass der Klavierlehrer im Stadtmagazin Zitty annonciert und auch in der Bibliothek in Steglitz mit einem Aushang für seinen Unterricht geworben hatte. „Über die Anzeigen konnten wir den Mann sehr schnell identifizieren“, so Schulz. Der Klavierlehrer hieß Bernhard R.

    Schon am 27. Januar 1994 klingeln Schulz und sein Kollege gegen zehn Uhr an der Wohnungstür des Klavierlehrers. Bernhard R. ist ein freundlicher, unscheinbarer Mann mit sportlicher Figur. Er wohnt mit seiner Familie in einem Vorderhaus an der Hauptstraße in Schöneberg, ist 33 Jahre alt und bezieht Sozialhilfe. Mit den Klavierstunden verdient er sich etwas dazu. Seine Frau, die auch zu Hause ist, erwartet das dritte Kind. Bernhard R. erklärt sich sofort bereit, als Zeuge mitzukommen.

    Zu diesem Zeitpunkt ahnen die Fahnder nicht, dass der Mörder von Michaela M. nur zwei Stunden zuvor einen weiteren Menschen getötet hat.

    Die Vernehmung des Klavierlehrers beginnt um 10.45 Uhr. Bernhard R. gibt zu, Michaela M. gekannt zu haben. Sie sei seine Schülerin gewesen. Dass er eine Affäre mit der Erzieherin gehabt haben soll, weist er von sich. Im Gegenteil: Er sei es gewesen, der den Unterricht mit ihr beendet habe. Sie habe keine Fortschritte und ihm zudem Avancen gemacht. Bernhard R. erzählt, die junge Frau im Dezember 1993 letztmalig gesehen zu haben.
    Mörder gesteht in der Pizzeria

    Auch ein Alibi kann der Befragte präsentieren: Am Tattag, dem 25. Januar, hatte er ab 14.30 Uhr Unterricht gegeben. Von 17.45 bis 18.45 Uhr machte er Pause, in der er Zigaretten holte. Dann erschien die nächste Schülerin bei ihm: Alexandria M. Nach dem Unterricht fuhr er mit zu ihr nach Hause, um über einen Vertrag zu reden und sich das Klavier der 27-Jährigen anzusehen. Gegen 22.15 Uhr verließ er die Frau.

    Christian Schulz weiß noch, dass er damals mit seinen Kollegen sofort zu Alexandria M. fuhr, um das Alibi von Bernhard R. zu überprüfen. Doch sie trafen die Frau nicht an. „Wir haben ihr eine Vorladung für den nächsten Tag in den Briefkasten geworfen“, erzählt Schulz. Am 28. Januar 1994 sei die Frau auch pünktlich erschienen und habe die Angaben des Klavierlehrers bestätigt. „Das war ein klares Alibi“, sagt der einstige Mordermittler.

    Bis 11.30 Uhr wird die Zeugin im Landeskriminalamt vernommen. Als Alexandria M. die Keithstraße verlässt, überschlagen sich die Ereignisse. Gegen 11.50 Uhr taucht Bernhard R. in der Pizzeria auf, die im Erdgeschoss seines Hauses liegt. Dem Wirt sagt er, dass man keine Angst mehr vor Dieter K., einem tyrannischen Nachbarn, haben müsse. Er habe ihn getötet. Der Wirt alarmiert die Polizei.

    Die Tür zur Wohnung von Dieter K., die im Hinterhaus liegt, ist nur zugezogen und nicht abgeschlossen. Der Polizei gelingt es, sie mit einer Scheckkarte zu öffnen. Im Wohnzimmer liegt die Leiche des 40 Jahre alten Mieters. Der Mörder hat Dieter K. einen Schraubendreher in die Stirn gerammt.

    Noch im Lokal lässt sich der Klavierlehrer widerstandslos festnehmen. Er sagt, er könne auch noch etwas zu Michaela M. sagen. Doch dafür verlangt er, mit einem der Ermittler der Mordkommission zu reden, die bereits am Vortag mit ihm gesprochen haben.

    Christian Schulz fährt sofort zum Polizeiabschnitt. Dort sitzt Bernhard R. in einer Zelle. Durch die Gitterstäbe stellt der Ermittler Schulz zunächst nur wenige Fragen: Wo sind die Sachen, die Bernhard R. bei den Taten trug? Wo ist das Messer, mit dem Michaela M. der Kopf abgeschnitten, wo das Behältnis, in dem der Schädel transportiert wurde? Der Klavierlehrer beantwortet die Fragen – es ist Täterwissen.

    In der Wohnung des Klavierlehrers fand die Polizei Zeitungen, die über die tote Michaela M. berichteten – auch die Berliner Zeitung.Volkmar Otto

    Bernhard R. erzählt, dass er nach dem Mord an Michaela M. den Kopf in einen Rucksack aus der Wohnung der Toten gesteckt habe. Den Rucksack und ein Oberhemd mit Blutflecken finden die Ermittler nach den Angaben des Klavierlehrers in der Nähe einer S-Bahn-Unterführung; einen blutverschmierten Mantel in einem Gebüsch in der Müllerstraße in Wedding.

    Die Kleidung, die er beim Mord an Dieter K. trug, will Bernhard R. im – wie er sagt – „Allesbrenner“ seiner Wohnung vernichtet haben. Die Tatwaffe, ein Leatherman-Tool-Messer, und die goldene Armbanduhr von Dieter K. werden in einem vom Tatverdächtigen beschriebenen Müllcontainer am Heinrich-Lassen-Park entdeckt.

    Vernehmung dauert sieben Stunden

    Bernhard R. erzählt dem Ermittler bei diesem kurzen Besuch auch, dass die Körper von Michaela M. und Dieter K. vom Satan befallen gewesen seien. Er habe sie töten müssen, um ihre Seelen zu befreien. Später am Tag wird der Klavierlehrer zur Vernehmung in die Keithstraße gebracht. Sie beginnt um 17.30 Uhr. Diesmal ist Bernhard R. Beschuldigter.

    „Wir haben den Klavierlehrer in dieser zweiten Vernehmung sieben Stunden lang vernommen“, erinnert sich Christian Schulz heute. Bernhard R. habe erzählt, dass er 1991 zum Islam konvertiert sei. Er gab zu, mit Michaela M. eine Beziehung gehabt zu haben. Auch zum Motiv habe sich der Klavierlehrer geäußert. „Er hat ihr vorgeworfen, für diese Liebe nicht gekämpft zu haben“, sagt der einstige Ermittler. Sie sei zu schwach gewesen.

    Bei der Vernehmung habe Bernhard R. sehr viel geredet und sei immer wieder in seine religiösen Wahnvorstellungen abgeschweift.

    Bernhard R. schildert in der Keithstraße die Morde völlig emotionslos: Demnach fuhr er am späten Nachmittag des 25. Januar 1994 zu Michaela M., die ihn in die Wohnung ließ. Er bat sie, ihn nicht zu verlassen. Doch die 30-Jährige ließ sich darauf nicht ein. Daraufhin wurde dem verstoßenen Liebhaber nach eigenen Worten bewusst, dass aus ihr der Satan spricht. Er betete zu Allah, während er sie erwürgte. Und als er gemerkt habe, dass die Seele nicht aus dem Körper entweichen wollte, trennte er ihr den Kopf mit seinem Messer ab.

    Nach der Tat verhielt sich der Klavierlehrer sehr rational: Er wischte die Wohnung, beseitigte seine Spuren. Beim Schließen der Wohnungstür benutzte er einen Schal, um keine Fingerabdrücke zu hinterlassen. Den Rucksack mit dem Kopf der Toten entleerte er auf dem Grazer Platz – wegen des Stadioneffekts, wie es Bernhard R. nennt. Der Mond habe die Stelle so schön erleuchtet.

    Weiter berichtet der Mörder, wie er noch am selben Abend zu Alexandria M. gefahren sei, seiner Klavierschülerin und Alibizeugin. Er habe ihr erklärt, etwas Schlimmes getan zu haben und sie gebeten, ihm ein Alibi zu geben. Die 27-Jährige versprach es.

    Auch den zweiten Mord erklärt der Klavierlehrer ausführlich: Einen Tag nach dem Tod an Michaela M. habe er geraucht, dabei aus dem Fenster geschaut und in den Wolken ein Schwein und einen Hund erkannt. Nach dem Islam habe er Schwein und Hund töten müssen. Das Schwein sei für ihn Michaela M. gewesen, der Hund sein Nachbar Dieter K., mit dem er schön öfter aneinander geraten sei.

    Am Morgen des 27. Januar 1994 klingelte Bernhard R. bei ihm. In der Wohnung wollte sich Dieter K. eine Zigarette anzünden. Doch Bernhard R. schlug ihm die Zigarette aus dem Mund, weil Rauchen nicht gut für den Körper sei. Als sich der Nachbar nach der Zigarette bückte, trat der Klavierlehrer zu.

    „Ich begab mich in die Position, die man als Fußballer einnimmt, wenn man einen Ball direkt aus der Luft annimmt, um ihn damit aus einer Gefahrensituation weit weg in die gegnerische Hälfte zu befördern“, sagt R. in der Vernehmung über den ersten Tritt gegen den Kopf seines Opfers. Er habe Dieter K. töten müssen, weil der Körper schlecht gewesen sei – nicht die Seele, berichtet Bernhard R.

    Der Klavierlehrer versuchte, den regungslosen Körper mit einem Feuerzeug anzuzünden. Doch dann holte er aus dem Werkzeugkasten seines Nachbarn einen Schraubendreher, rammte ihn an der Nasenwurzel in den Kopf. So wollte er das dritte Auge öffnen, damit die Seele dem satanischen Körper entfliehen konnte. Zwei Stunden später klingelten die Ermittler erstmals an der Wohnungstür des Klavierlehrers.

    „Er war schon sehr cool bei dieser Vernehmung. Wir haben ihm nicht angemerkt, dass er kurz zuvor einen Menschen auf diese furchtbare Art umgebracht hat“, erzählt Schulz. Dann sagt er, dass der Klavierlehrer nach dieser ersten Befragung bei der Mordkommission noch einmal in die Wohnung von Dieter K. gegangen sei, um zu schauen, ob er wirklich tot sei. „Er hatte wohl vor, auch seinem Nachbarn den Kopf abzutrennen, um die Seele zu befreien.

    Ende 1994 wird Bernhard R. der Prozess gemacht. In der Verhandlung sagt der an einer paranoiden Schizophrenie und religiösem Wahn leidende Mann, er habe sich eingebildet, Jesus Christus, der Erlöser, zu sein. „Ich glaubte, ich hatte die Befugnis, zu töten.“ Bekannt wird in dem Verfahren, dass er schon länger Stimmen gehört und 1991 bei seinem damals 17 Monate alten Sohn eine Teufelsaustreibung vorgenommen haben soll.

    7700 Mark Strafe für ein falsches Alibi

    Bernhard R. kommt aufgrund seiner Erkrankung nicht ins Gefängnis, sondern in den Maßregelvollzug für psychisch kranke Straftäter. Alexandria M., die ihm ein falsches Alibi gab, wird wegen versuchter Strafvereitelung zu einer Geldstrafe von 7700 Mark verurteilt. Sie gibt an, aus Mitleid mit der schwangeren Ehefrau von Bernhard R. falsche Angaben gemacht zu haben.

    Im Maßregelvollzug spielt Bernhard R. jeden Tag Klavier. Am zweiten Weihnachtsfeiertag 1998 erhängt er sich an einem Fensterkreuz.

    #Berlin #Schöneberg #Steglitz #Tiergarten #Grazer_Platz #Friedrichsruher_Straße #Hauptstraße #Verbrechen #1993

  • Der Bettlerberuf
    https://fm4.orf.at/stories/2995347

    J’ai du mal à décider si cet article est l’expression du classisme propre à son auteur, un texte satirique ou simplement une manière typiquement autrichienne de voir le monde. En tous les cas il est bien écrit.

    4.12.2019 Eine Kolumne von Todor Ovtcharov

    Dezember ist die beste Geschäftszeit für Mircea. Er entstammt einer Bettlerfamilie und ist stolz darauf.

    Die ganze Welt kennt die „Dreigroschenoper“. In diesem Stück wird das grausame und skrupellose Leben der Unterwelt vorgestellt. Das Stück von Bertolt Brecht und Kurt Weill ist so ein Welterfolg gewesen, weil das jeder kennt oder wenigstens schon mal davon gehört hat. Die Handlung spielt in London, doch es ist allen klar, dass sich die „Dreigroschenoper“ überall und in jeder Epoche abspielen kann. Sie beinhaltet alles: Gangster, korrupte Polizisten, Prostituierte und Bettlerkartelle.
    Wir lesen oft von einer aus Osteuropa stammenden Bettlermafia. Die Bosse der Bettler baden in Geld und die Bettler selbst leben in Elend. Laut einer Umfrage der Zeitschrift „Profil“ unterstützten 67% der österreichischen Bevölkerung ein allgemeines Bettelverbot in den Städten. Die Polizei führt derzeit eine gezielte Aktion gegen Bettler aus. Es soll überprüft werden, ob sie sich rechtmäßig in Österreich aufhalten. Der Wiener Sozialrat Hacker „hätte nichts dagegen“, wenn Bettler nach Osteuropa abgeschoben werden.

    Ich spreche mit Mircea, der vor meinem lokalen Supermarkt bettelt und frage ihn, ob er eine Abschiebung befürchtet. „Alle kennen mich in diesem Grätzl! Der Filialleiter und alle Kunden mögen mich! Warum soll man mich wegschicken, ich bin das Supermarktmaskottchen. Wenn mein Umsatz stimmt, stimmt er auch im Geschäft!“
    Ich frage ihn, ob alles was er verdient für ihn bleibt oder er es an jemanden abgeben muss. Ich erwarte mir nicht, dass er mir die ganze Struktur der Bettlergewerkschaft erklärt, aber würde gerne wissen, ob er zum Betteln gezwungen wurde. „In meiner Familie sind alle Bettler, seit Generationen. Das ist unser Beruf. So wie du Geschichten im Radio erzählst oder der Fleischhauer Steaks schneidet! Mein Beruf wurde mir von meinem Vater weitergegeben, und ihm von seinem Vater.“ Mircea erzählt mir das nicht ohne Stolz.

    Da wir schon in ein Gespräch verwickelt sind, bittet mich Mircea um einen Gefallen. Ich soll ihm helfen, sein Weihnachtsschild vorzubereiten. Ich schreibe auf einen Karton: „Liebe Kundinnen und Kunden, ich wünsche Ihnen und ihrer ganzen Familie Frohe Weihnachten und ein glückliches neues 2020! Ich bin euer Mircea!“
    Er bedankt sich und fragt, ob ich alles ohne Fehler geschrieben habe. Er will nicht, dass sich die Leute über ihn lustig machen. Dezember ist die beste Zeit für sein Geschäft. „Black Friday und Weihnachtsaktion!“, Mircea lächelt mich an. Ein siebentes Weihnachten verbringt er vor diesem Supermarkt. Erst wenn die Zeit der Weihnachtsgüte vorbei ist, wird er Weihnachten feiern und bei seinen vier Kindern sein.

    Mit Akzent: Die unaussprechliche Welt des Todor Ovtcharov. Alle Folgen der Kolumne gibt es hier als Podcast.

    #Autriche #Graz #pauvreté #mendiance

  • Un leone, le stragi, la censura e uno schifezzario

    Quanto fu infame l’Italia in Libia. Stragista 100 anni fa e poi negli anni ’20-30. Ma infame anche nel nuovo secolo l’Italia di Berlusconi-Frattini con i profughi ma – sarà bene non scordarlo – l’accordo per il respingimento fu bipartisan (pochissimi a sinistra votarono contro).

    Il 16 settembre di 81 anni fa viene ammazzato «il leone del deserto»: è una storia che i nostri governanti (di vario colore) ritengono non dovremmo conoscere, dunque io la racconto ogni volta che posso.

    Omar Al Mukhtar ha 63 anni quando, nel 1923, diventa il capo della resistenza anti-italiana in Cirenaica, come allora veniva chiamata la Libia. Una vita da insegnante del Corano e poi gli ultimi anni da eroe e genio militare. Infinitamente superiori per numero (oltre 20 mila contro 2-3mila) e per armamento (aerei e gas tossici massicciamente usati) i fascisti ci misero un decennio per piegare la resistenza libica che dalla sua aveva solo l’appoggio della popolazione e la conoscenza del territorio.
    A vincere fu il generale Rodolfo Graziani, con massacri e campi di concentramento. Fascisti certo. Ma anche il colonialismo di Giolitti fu sanguinario quando nel 1911 (su fortissime pressioni del Banco di Roma, legato a interessi vaticani) aggredì la Libia: repressione scientifica, deportazioni (migliaia tra Favignana, Ustica e Ventotene ma anche tantissimi schiavizzati nelle grandi fabbriche del Nord Italia) e massacri come quello di Sciara Sciat su cui calò la censura. «Tripoli, bel suol d’amore» si cantava: in realtà suolo di orrore. Fra il 1911 e il ’15 la popolazione della Cirenaica passa da 300mila a 120 mila. Allora la sinistra italiana si opponeva al colonialismo. Forse perché una sinistra c’era.
    Un salto avanti nel tempo. Fu dunque Graziani, un criminale di guerra al pari delle Ss, a sconfiggere Omar al Mukhtar. A esempio deportando circa 100mila libici in 13 campi di concentramento: in 40mila vi moriranno. Non erano guerriglieri ma avrebbero potuto dar cibo o rifugio ai nemici dell’Italia.

    Nell’estate del ’31 «il leone del deserto» è con soli 700 uomini, pochi viveri e quasi zero munizioni. L’11 settembre è catturato e dopo un processo-farsa impiccato il 16 settembre. Ha 70 anni e sale al patibolo sereno. «Non ci arrenderemo, la prossima generazione combatterà e poi la successiva e la successiva ancora». Da uomo religioso aggiunge: «da Dio veniamo e a Dio torniamo».
    Di tutto questo sapremmo in Italia zero se non fosse per il coraggio di Angelo Del Boca e di pochi altri storici. Come si sa, il fascismo non ebbe la sua Norimberga. Una serie di amnistie (assai discutibili e comunque applicate in modo scandaloso) poi procedimenti archiviati, documenti nascosti per anni negli “armadi della vergogna” consentirono la libertà sia agli anelli minori di quella catena criminale che fu il fascismo che ai peggiori assassini e ai capi, compresi boia confessi come Rodolfo Graziani o Valerio Borghese.

    Quasi tutti in Italia, compreso Gianfranco Fini, hanno chiesto «scusa» – chi prima e chi molto dopo – agli ebrei per le persecuzioni ma le istituzioni non hanno ricordato e pianto quelli che siamo andati a massacrare in Africa. Anzi passano gli anni e i governi le imprese africane degli italiani – fascisti e non – restano nascoste.

    Nei libri e persino nelle sale cinematografiche.

    La censura – strisciante, mai dichiarata ma netta – colpisce dagli anni ‘80 sino a oggi Il leone del deserto di Moustapha Akkad, un campione d’incasso in molti Paesi. Un filmone tipico di Hollywood, con tutti i pregi e i difetti delle grandi produzioni, con ottimi attori (Anthony Quinn, Oliver Reed, Rod Steiger, Irene Papas, John Gielgud… ) e nessun falso storico anti-italiano; anzi, notò Del Boca, facciamo miglior figura che nella realtà: nel film alcuni italiani si ribellano a Graziani il che purtroppo non accadde (avvenne invece in Etiopia e in Somalia, pochi anni dopo). Quel film non lo si vide e tuttora non si può vedere. Questioni burocratiche pare; no anzi, è “vilipendio”; rettifica “manca il visto”; anzi no “è il distributore che preferisce non farlo girare”; in ogni modo qua e là arriva la Digos a sequestrarlo; passa solo in un paio di festival minori e in qualche cineclub coraggioso.

    Il vero, solo, indubitabile motivo della censura è che Akkad mostra, in modo documentato, gli orrori italiani in Libia. Il «leone» del titolo era appunto Omar Al Muktar, tuttora notissimo nell’Africa intera (in ogni grande città si trova una via a lui intitolata).

    Per riparare a tanta viltà si potrebbe chiedere adesso al nostro ministro della Pubblica istruzione di aprire il prossimo anno scolastico con questo film. Scusate, avevo dimenticato che non abbiamo più una scuola pubblica ma solo macerie dove resistono (questo sì) un po’ di professori, professoresse, studentesse e studenti non asserviti, non rincoglioniti, non domati da manganelli (molti) e carote (poche).

    Da questa estate all’ignoranza, alla rimozione, all’auto-assoluzione si aggiunge uno schifezzario: ad Affile (nel Lazio) c’è un sacrario dedicato al boia Graziani che lì era nato. Il cosiddetto sacrario è una doppia vergogna: per l’omaggio a un criminale ma anche per lo sperpero di soldi pubblici. Vi immaginate cosa succederebbe se in Germania si facesse un monumento a Himmler o a Eichmann? Naturalmente la classe politica italiana non si è accorta – prima, durante la costruzione e dopo – dell’omaggio al massacratore (in Africa ma anche altrove). Ben pochi – Zingaretti, Vincenzo Vita, Touadi, Vendola – hanno preso posizione e/o hanno chjesdyo spiegazioni o interventi del governo che “ovviamente” si è fatto di nebbia. La s-governatrice Polverini, prima di dimettersi, ha stanziato altri 20mila euro per il completamento e la video-sorveglianza dello schifezzario che lei chiama sacrario. Se in Italia quasi tutto tace “in alto” (“in basso no: manifestazioni di protesta ci sono state e, se vi interessa saperne di più, ne racconto sul mio blog) fuori dallo stagno italiano il monumento a Graziani è uno scandalo internazionale.

    Ovviamente il passato si lega sempre al presente e al futuro. Oggi nel Lazio i gruppi neofascisti vengono aiutati dalle istituzioni: Casa Pound ha avuto in regalo (di nuovo denaro pubblico) un bel palazzo dal sindaco Eia-Eia-Ale-danno. E voi credete che sui molti misfatti di Forza Nuova o sui senegalesi uccisi il 13 dicembre 2011 a Firenze si sia davvero indagato? E che qualche istituzione si sia davvero preoccupata dei feriti, uno dei quali rimarrà del tutto paralizzato? E’ pur vero che alcuni magistrati e poliziotti con coraggio indagano sul neo-nazifascismo e sui suoi complici. Ma che peso volete abbiano nei palazzi dell’Italia che non ha trovato i colpevoli di piazza Fontana e delle altre stragi, che censura un serio film anticolonialista e che non manda subito le ruspe ad Affile?

    NOTA CON QUASI SPOT

    Se già sapete cos’è il mensile «Pollicino gnus» (quel «gnus» sarebbe «news» all’emiliana) e conoscete la sovversiva Mag-6 (Mutua auto gestione) di Reggio Emilia mi congratulo. Se no… informatevi. Questo qui sopra è l’editoriale del numero di gennaio 2013 dedicato alla Libia. Visto che sono il direttore ir/responsabile della rivista mi hanno chiesto di introdurlo: ho ripreso discorsi perlopiù già fatti in blog, cercando di attualizzarli. Se andate su www.pollicinognus.ittrovate l’indice di questo numero e indicazioni utili (sugli arretrati, su come abbonarsi, sull’info-shop). Di abbonarvi e di capire come funziona la Mag – una piccola, lunga, vincente storia di un modo diverso per rapportarsi al denaro – lo consiglio davvero. (db)

    https://www.labottegadelbarbieri.org/un-leone-le-stragi-la-censura-e-uno-schifezzario
    #mémoire #fascisme #histoire #Italie #Rodolfo_Graziani #Graziani #colonisation #passé_colonial #Italie_coloniale #colonisation #leone_de_deserto #Omar_Al_Mukhtar #Omar_al-Mokhtar #résistance #Libye #Cyrénaïque #résistance_libyenne #camps_de_concentration #massacres #Giolitti #censure #Sciara_Sciat #déportations #amnistie #Valerio_Borghese #Affile #leone_del_deserto #cinéma

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  • Village’s Tribute Reignites a Debate About Italy’s Fascist Past

    This village in the rolling hills east of Rome is known for its fresh air, olive oil and wine — and its residual appreciation of Benito Mussolini, whose image adorns some wine bottles on prominent display in local bars.

    This month, the town’s fascist sympathies became the subject of intense debate when its mayor unveiled a publicly financed memorial to one of its most controversial former citizens: Rodolfo Graziani, a general under Mussolini who was accused of war crimes at the end of World War II and earned the title of “the Butcher” in two campaigns during Italy’s colonization of North Africa in the 1920s and ’30s.

    The monument, in a style reminiscent of fascist architecture, sits on the town’s highest hill, with the Italian flag flying from the top and inscriptions reading “Honor” and “Homeland.” Inside sits an austere marble bust of General Graziani, surrounded by original copies of the front pages of the newspapers from the day of his death in 1955, a plaque from a street once dedicated to him here and a list of his deeds and honors.

    The dedication elicited harsh criticism from left-wing politicians and commentators in the pages of some Italian newspapers, and has raised deeper questions about whether Italy, which began the war on the side of the Axis powers and ended it with the Allies, has ever fully come to terms with its wartime past.

    In an interview, Ettore Viri, the mayor of Affile, brushed off the criticism. “The head is a donation of a citizen,” he said, glancing proudly at the bust, before quickly acknowledging that he was the citizen. “Actually, I had it in my living room,” he said, adding that he had given large donations of his own money to maintain Mussolini’s grave in northern Italy.

    Yet the mayor’s political opponents are aghast at the town’s honoring General Graziani — and using $160,000 in public money to do so. In a statement released the day before the dedication ceremony, Esterino Montino, a regional leader of the Democratic Party, said, referring to the Nazi leader Hermann Goering: “It’s as if some little village in some German province built a monument to Goering. The fact that such a scandal is planned in a small village outside of Rome does not downgrade the episode to provincial folklore.”

    By and large, however, the memorial appears to have won acceptance in this mostly conservative town of 1,600. More than 100 people attended the dedication, some of them holding flags of far-right extremist groups and wearing black shirts in a nod to Mussolini’s Blackshirt squads, according to several people who attended.

    For some, General Graziani’s crimes from World War II pale in comparison to what he did in Africa earlier, killing hundreds of thousands of people — sometimes with chemical weapons — and wiping out entire communities, especially in Eritrea.

    In the 1930s, General Graziani commanded some of the Italian troops who invaded Ethiopia under the reported slogan “ ‘Il Duce’ will have Ethiopia, with or without the Ethiopians.” He later became the viceroy of Ethiopia, where he earned his second title as butcher — the first came in Libya — for a particularly brutal campaign in reprisal for an attempt on his life.

    After the fall of Mussolini’s government in 1943, General Graziani remained loyal to him and became the minister of war of the Italian Social Republic, a rump government led by Mussolini in the parts of Italy not controlled by the Allies. General Graziani was never prosecuted for any war crimes in Africa, but in 1948 the United Nations War Crimes Commission said there were plausible charges against him and other Italians.

    In 1948, an Italian court in Rome sentenced General Graziani to 19 years in prison for collaborating with the Nazis, but he received a suspended sentence that was later commuted.

    But it was the African campaigns, which went entirely unpunished, that critics say are the greatest stain on his record, and the strongest argument against a memorial. “A monument to somebody who committed crimes against humanity in his fierce repression using gas against young Ethiopians is serious and unacceptable, regardless of where it happens,” Mr. Montino, the left-wing lawmaker, wrote.

    Here in Affile, many regard General Graziani more as a local boy who made good than the perpetrator of some of the most heinous massacres in Mussolini’s bloody colonization campaigns.

    “To me it’s a recognition of our fellow citizen who was the youngest colonel of the Italian Army,” said Alberto Viri, a 65-year-old retiree who lives in Milan but was vacationing on a recent afternoon in his native Affile. “He defended the homeland until the end, as he was loyal to our first allies, the Germans, even after Sept. 8,” Mr. Viri added, referring to the armistice when Italy shifted from the Axis to the Allies.

    Some are more upset by the financing than by the monument itself. “I am not a fascist,” said Aldo Graziani, 72, a retiree (no relation) who joined in the conversation in a local bar. “I am not bothered by the monument to Graziani, per se. I am rather bothered by the fact that they should have built it with their own money, not with public money.”

    Mr. Viri, the retiree, has childhood memories of General Graziani riding around the village on his white horse with a white dog to get the paper at the Viri family’s news kiosk. He remembers how soldiers attending the general’s funeral in 1955 distributed food to hungry local children.

    Some scholars say that Italy’s failure to bring fascist officials to justice has caused a “selective memory” of the fascist era, where visions of the past fall along contemporary political lines.

    “Antifascist culture has remained the privilege of the left, some liberals and Christian Democrats,” said Luca Alessandrini, the director of the Parri Institute in Bologna, referring to the centrist Catholic party that dominated in the postwar era. “The big weakness of Italian history is that these forces have failed to produce an historical judgment on fascism,” he added.

    Much the same is true of the colonial era. Compared with Britain and France, Italy developed colonial aspirations rather late in the game, invading Libya in 1911 and Ethiopia, for the second time, in 1935. (The first Ethiopian invasion, in 1895, failed.) Even today, few Italians are particularly aware of the colonial episodes, which have not been central to national debate.

    “Italy was so poor and destroyed after World War II that nobody really worried about the colonies, and the loss thereof, let alone people’s education on this,” said the historian Giorgio Rochat.

    In Affile, many deny that General Graziani was a fascist tyrant, arguing that he just obeyed his superiors’ orders. But some are outraged by the monument.

    “This has always been a center-right village,” said Donatella Meschini, 52, a teacher who served on the City Council from 2003 to 2008 under the only center-left mayor in Affile in 50 years. “But after this memorial, what can we expect? That they call us up on Saturday to do gymnastics in the main square like the fascist youth used to do?”

    “April 25 has just never arrived here,” Ms. Meschini added, referring to the day of the Allied liberation of Italy in 1945.

    https://www.nytimes.com/2012/08/29/world/europe/village-reignites-debate-over-italys-fascist-past.html

    #Affile #mémoire #fascisme #histoire #Italie #Mussolini #Benito_Mussolini #Rodolfo_Graziani #Graziani #mémorial #colonisation #passé_colonial #Italie_coloniale #colonisation #monument #patria #onore #Ettore_Viri

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    • Flash mob dell’ANPI ad Affile, Pagliarulo: «Il monumento al boia Rodolfo Graziani è un’ ignominia!»

      In occasione dell’84esimo anniversario della strage di Debra Libanos (Etiopia) ordita dal criminale di guerra Rodolfo Graziani. L’intervento del Presidente nazionale ANPI Gianfranco Pagliarulo

      Oggi 28 maggio alle 18 si è svolto ad Affile (Roma) un flash mob promosso dall’ANPI - con la presenza del Presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo e del Presidente dell’ANPI provinciale di Roma Fabrizio De Sanctis - in occasione dell’84esimo anniversario della strage di Debra Libanos (Etiopia).

      Dal 21 al 29 maggio 1937 nel monastero di Debra Libanos furono trucidati monaci, diaconi, pellegrini ortodossi, più di 2.000, per opera degli uomini del generale Pietro Maletti, dietro ordine di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Ad Affile è situato un monumento dedicato proprio a Graziani.

      In un passaggio del suo intervento così si è espresso Pagliarulo: «Siamo qui per denunciare una grande ignominia: un monumento intitolato non al soldato affilano più rappresentativo, come incautamente affermato, ma all’uomo delle carneficine, delle impiccagioni, dei gas letali. Perché questo fu Rodolfo Graziani. E le due parole sulla pietra del monumento, Patria e Onore, suonano come il più grande oltraggio alla Patria e all’Onore. Onore è parola che significa dignità morale e sociale. Quale onore in un uomo che sottomette un altro popolo in un’orgia di sangue? Patria. La nostra patria è l’Italia. La parola Italia è nominata nella Costituzione due sole volte: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, L’Italia ripudia la guerra. Tutto il contrario di un Paese fondato sul razzismo imperiale. Perché, vedete, le stragi di Graziani furono certo l’operato di un criminale di guerra, e non fu certo l’unico. Ma furono anche stragi dello Stato fascista, di una macchina di violenza e di costrizione verso l’altro».

      Era presenta anche una delegazione dell’Associazione della Comunità etiopica di Roma.

      https://www.anpi.it/articoli/2504/flash-mob-dellanpi-ad-affile-pagliarulo-il-monumento-al-boia-rodolfo-graziani-e
      #résistance #flash_mob

    • Nicola Zingaretti: no al monumento per ricordare un criminale di guerra fascista, stragista del colonialismo. #25aprile

      Caro Presidente Nicola Zingaretti,

      mi chiamo Igiaba Scego, sono una scrittrice, figlia di somali e nata in Italia. Sono una della cosiddetta seconda generazione. Una donna che si sente orgogliosamente somala, italiana, romana e mogadisciana.

      Le scrivo perchè l’11 Agosto 2012 ad Affile, un piccolo comune in provincia di Roma, è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani. Il monumento è stato costruito con un finanziamento di 130mila euro erogati della Regione Lazio ed originariamente diretti ad un fondo per il completamento del parco di Radimonte.

      Rodolfo Graziani, come sa, fu tra i più feroci gerarchi che il fascismo abbia mai avuto. Si macchiò di crimini di guerra inenarrabili in Cirenaica ed Etiopia; basta ricordare la strage di diaconi di Debra Libanos e l’uso indiscriminato durante la guerra coloniale del ’36 di gas proibiti dalle convenzioni internazionali.

      Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’imperatore d’Etiopia Hailè Selassié, chiese a gran voce che Rodolfo Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra. La Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra lo collocò naturalmente al primo posto.

      Il monumento a Rodolfo Graziani è quindi un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia, un’offesa per la nostra Costituzione nata dalla lotta antifascista.

      In questi ultimi giorni, i neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni e Beni hanno depositato un’interpellanza affinché il Governo si pronunci sulla questione di Affile.

      Io in qualche modo legandomi alla loro iniziativa chiedo a lei, Presidente Zingaretti un impegno concreto contro questo monumento della vergogna. Non solo parole, ma fatti (demolizione e/o riconversione del monumento) che possano far risplendere un sole di democrazia in questa Italia che si sta avviando a celebrare il 68° anniversario del 25 Aprile.

      Mio nonno è stato interprete di Rodolfo Graziani negli anni ’30. Ha dovuto tradurre quei crimini e io da nipote non ho mai vissuto bene questa eredità. Mio nonno era suddito coloniale, subalterno, costretto a tradurre, suo malgrado, l’orrore. Oggi nel 2013 io, sua nipote, ho un altro destino per fortuna. Per me e per tutt* le chiedo un impegno serio su questa questione cruciale di democrazia.

      _____________________________________________________________

      Dear President Nicola Zingaretti,

      My name is Igiaba Scego, I am a writer, born in Italy, daughter of Somali people.

      I am one of the so-called «second generation». A woman who proudly feel herself both Somali, Italian, Roman.

      I am writing to you because on the 11th of August 2012, in Affile, a small town in the province of Rome, it was inaugurated a monument in honour of the fascist Rodolfo Graziani. The monument was built with a loan of 130 thousand euro from the Lazio region, a fund originally intended to finance the Radimonte park.

      Rodolfo Graziani, as you know, was one of the most ferocious commander that fascism has ever had. He was found guilty of war crimes in Cyrenaica and Ethiopia; the massacre of deacons in Debra Libanos and the use of prohibited gas during the colonial war of ’36 are just two of those massacres that can be mentioned.

      After the end of World War II, the emperor of Ethiopia, Haile Selassie, firmly asked for Rodolfo Graziani to be included in the list of war criminals. The Commission of the United Nations War Crimes placed him at the first place in that list.

      The monument to Rodolfo Graziani is therefore a tragic paradox, a stain on our democracy, an insult to our constitution born from the struggle against fascism.

      In the recent days, the neoparlamentari Kyenge, Ghizzoni and Beni filed an interpellation to address this problem to the Government.

      I am somehow trying to be with them, by asking to you, Mr President Zingaretti, a real commitment against this monument of shame. I am not only asking for words but for a real commitment (demolition and / or conversion of the monument) that can let the sun of democracy to shine again in Italy, approaching the 68th anniversary of the April 25.

      My grandfather had to translate Graziani’s crimes, he was a colonial victim, and had to translate the horror, against his will. Today in 2013, his niece, has another destiny. For me and for all I am asking to you a serious commitment on this crucial issue of democracy.

      https://www.change.org/p/nicola-zingaretti-no-al-monumento-per-ricordare-un-criminale-di-guerra-fasci

      #pétition

  • En France, la presse jeu vidéo perd des points de vie
    https://www.lefigaro.fr/jeux-video/en-france-la-presse-jeu-video-perd-des-points-de-vie-20220710

    Externalisation des contenus, prix du papier, concurrence des influenceurs, manque de perspectives : les médias spécialisés font grise mine malgré la popularité et le chiffre d’affaires croissant du secteur.

    Le paradoxe est cruel. Pendant que le marché du jeu vidéo s’accroît d’année en année à l’international et a dépassé, en termes de chiffre d’affaires, le secteur de la musique et du cinéma, les médias spécialisés ont toujours autant du mal à survivre, tandis que leurs journalistes s’interrogent sur l’avenir.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #audience #influence #tf1 #presse #presse_spécialisée #journalisme #rédaction #marché #tf1 #unify #reword_media #auto_plus #grazia #science_et_vie #gamekult #melty #la_crème_du_gaming #supersoluce #gamelove #webedia #jeuxvideo_com #breakflip #wsc #jérémy_parola #payant #gratuit #publicité #les_numériques #prix_du_papier #papier #canard_pc #jeuxvidéo_fr #clubic #julien_chièze #carole_quintaine #gauthier_andres #gautoz #julie_le_baron #valentin_cébo

  • COLONIALISMO. In Libia la strategia italiana della “terra bruciata”

    Non appena l’impiego operativo dell’aereo come fattore preponderante di superiorità nei conflitti venne teorizzato da #Giulio_Douhet nel 1909, gli italiani divennero i primi a livello mondiale ad utilizzare questa arma bellica durante la Guerra italo-turca della #Campagna_di_Libia.

    ll 1º novembre 1911 il sottotenente #Giulio_Gavotti eseguì da un velivolo in volo il primo bombardamento aereo della storia, volando a bassa quota su un accampamento turco ad #Ain_Zara e lanciando tre bombe a mano.

    Pochi anni dopo entrarono in servizio nuovi aerei, tecnicamente più capaci di svolgere il ruolo offensivo al quale erano stati predisposti e le azioni assunsero l’aspetto di un’inarrestabile escalation militare.

    Tra il mese di aprile e l’agosto del 1917 furono eseguite contro le oasi di Zanzour e Zavia, un centinaio di azioni con il lancio di 1.270 chilogrammi di liquido incendiario e 3.600 chili di bombe.

    Dal 1924 al 1926 gli aerei ebbero l’ordine di alzarsi in volo per bombardare tutto ciò che si muoveva nelle oasi non controllate dalle truppe italiane.

    Dal novembre 1929 alle ultime azioni del maggio 1930, l’aviazione in Cirenaica eseguì, secondo fonti ufficiali, ben 1.605 ore di volo bellico lanciando 43.500 tonnellate di bombe e sparando diecimila colpi di mitragliatrice.

    La strategia aerea e la politica della terra bruciata, spinse migliaia di uomini, donne e bambini terrorizzati a lasciare la Libia, chi verso la Tunisia e l’Algeria, chi in direzione del Ciad o dell’Egitto e i bombardamenti diventarono sempre più violenti, scientifici e sperimentali.

    Cirenaica pacificata, uno dei libri con i quali il generale Graziani volle giustificare la sua azione repressiva e rispondere alle accuse di genocidio, c’è un breve capitolo sul bombardamento di Taizerbo, una delle roccaforti della resistenza anti italiana capeggiata dall’imam Omar el Mukhtar, avvenuto il 31 luglio 1930, sei mesi dopo l’esortazione di Pietro Badoglio all’uso dell’iprite: “Per rappresaglia, ed in considerazione che Taizerbo era diventata la vera base di partenza dei nuclei razziatori il comando di aviazione fu incaricato di riconoscere l’oasi e – se del caso – bombardarla. Dopo un tentativo effettuato il giorno 30 -non riuscito, per quanto gli aeroplani fossero già in vista di Taizerbo, a causa di irregolare funzionamento del motore di un apparecchio, la ricognizione venne eseguita il giorno successivo e brillantemente portata a termine. Quattro apparecchi Ro, al comando del ten.col. Lordi, partirono da Giacolo alle ore 4.30 rientrando alla base alle ore 10.00 dopo aver raggiunto l’obiettivo e constatato la presenza di molte persone nonché un agglomerato di tende. Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnellata di esplosivo e vennero eseguite fotografie della zona. Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asserì che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili, e più grande ancora il panico”.

    Vincenzo Lioy, nel suo libro sul ruolo dell’aviazione in Libia (Gloria senza allori, Associazione Culturale Aeronautica), ha aggiunto un’agghiacciante rapporto firmato dal tenente colonnello dell’Aeronautica Roberto Lordi, comandante dell’aviazione della Cirenaica (rapporto che Graziani inviò al Ministero delle colonie il 17 agosto) nel quale si apprende che i quattro apparecchi Ro erano armati con 24 bombe da 21 chili ad iprite, 12 bombe da 12 chili e da 320 bombe da 2 chili, e che “(…) in una specie di vasta conca s’incontra il gruppo delle oasi di Taizerbo. Le palme, che non sono molto numerose, sono sparpagliate su una vasta zona cespugliosa. Dove le palme sono più fitte si trovano poche casette. In prossimità di queste, piccoli giardini verdi, che in tutta la zona sono abbastanza numerosi; il che fa supporre che le oasi siano abitate da numerosa gente. Fra i vari piccoli agglomerati di case vengono avvistate una decina di tende molto più grandi delle normali e in prossimità di queste numerose persone. Poco bestiame in tutta la conca. II bombardamento venne eseguito in fila indiana passando sull’oasi di Giululat e di el Uadi e poscia sulle tende, con risultato visibilmente efficace”.

    II primo dicembre dello stesso anno il tenente colonnello Lordi inviò a Roma copia delle notizie sugli effetti del bombardamento a gas effettuato quel 31 luglio sulle oasi di Taizerbo “ottenute da interrogatorio di un indigeno ribelle proveniente da Cufra e catturato giorni or sono”.

    È una testimonianza raccapricciante raccolta materialmente dal comandante della Tenenza dei carabinieri reali di el Agheila: “Come da incarico avuto dal signor comandante l’aviazione della Cirenaica, ieri ho interrogato il ribelle Mohammed abu Alì Zueia, di Cufra, circa gli effetti prodotti dal bombardamento a gas effettuato a Taizerbo. II predetto, proveniente da Cufra, arrivò a Taizerbo parecchi giorni dopo il bombardamento, seppe che quali conseguenze immediate vi sono quattro morti. Moltissimi infermi invece vide colpiti dai gas. Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto di piaghe come provocate da forti bruciature. Riesce a specificare che in un primo tempo il corpo dei colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche giorno si rompevano con fuoruscita di liquido incolore. Rimaneva così la carne viva priva di pelle, piagata. Riferisce ancora che un indigeno subì la stessa sorte per aver toccato, parecchi giorni dopo il bombardamento, una bomba inesplosa, e rimasero così piagate non solo le sue mani, ma tutte le altre parti del corpo ove le mani infette si posavano”.

    L’uso dell’iprite, che doveva diventare un preciso sistema di massacro della popolazione civile in Etiopia qualche anno più tardi, fu certamente una scelta sia militare che politica così come i bombardamenti dovevano corrispondere a scelte di colonizzazione ben precise e sistematiche di quella che Gaetano Salvemini, quando ebbe inizio l’avventura coloniale italiana in Libia definì “Un’immensa voragine di sabbia”:

    Benito Mussolini volle che fosse il gerarca Italo Balbo ad occuparsene dopo averlo sollevato dall’incarico di Ministro dell’Aeronautica del Regno d’Italia e inviato in qualità di Governatore nel 1934.

    Balbo dichiarò che avrebbe seguito le gloriose orme dei suoi predecessori e avviò una campagna nazionale che voleva portare due milioni di emigranti sulla Quarta Sponda Italiana del Mediterraneo.

    Ne arrivarono soltanto 31mila, ma furono un numero sufficiente da trincerare dietro un muro militare, costruito nel 1931 in Cirenaica, per contrastare la resistenza delle tribù beduine degli indipendentisti libici.

    Quel muro, il muro italiano di Giarabub, è tuttora presente e in funzione come barriera anti-immigrazione: una doppia linea di recinzione metallica lunga 270 chilometri, larga quattro metri, alta tre, visibilmente malandata ma resa insuperabile da chilometri di matasse di filo spinato che si srotolano dalle regioni a ridosso del porto di Bardia, lungo le sterpaglie desolate della Marmarica, fino a perdersi nel Grande Mare di Sabbia del Deserto Libico.

    Questa grande opera venne commissionata alla Società Italiana Costruzioni e Lavori Pubblici di Roma, che la realizzò in sei mesi, dal 15 aprile al 5 settembre 1931, ad un costo complessivo di circa venti milioni di lire, impegnando nella costruzione 2.500 indigeni sorvegliati da 1.200 soldati e carabinieri, lungo un percorso totalmente privo di strade e di risorse idriche.

    Il reticolato di filo spinato è sostenuto da paletti di ferro con base in calcestruzzo, vigilato dai ruderi fatiscenti di tre ridotte e sei ridottini; lungo il suo percorso vennero costruiti tre campi d’aviazione, una linea telefonica, 270 milioni di paletti di ferro e ventimila quintali di cemento.

    Il compito di sorveglianza e controllo è sempre stato garantito dall’innesco di migliaia di mine antiuomo, ma per un certo periodo fu oggetto di ricognizioni aeree audacemente condotte, oltre che dai piloti dell’Aeronautica Militare, anche e direttamente dal loro capo supremo e Maresciallo dell’Aria Italo Balbo a bordo di veivoli derivati dai trimotori Savoia Marchetti da lui impiegati nelle transvolate atlantiche e che divennero caccia bombardieri siluranti chiamati Sparvieri.

    Nei sei anni che Balbo visse e volò in Libia, lo Sparviero abbatté tutti i record e tutti i primati di volo civile, velocità, trasporto, durata, distanza, poi il salto di qualità e da civile divenne aereo militare: nella versione S.79K, l’impiego operativo di questo modello avvenne con l’intervento italiano nella guerra civile spagnola e il 26 aprile 1937, tre S.M.79 dell’Aviazione Legionaria presero parte al bombardamento della cittadina basca di Guernica, un’incursione aerea compiuta in cooperazione con la Legione Condor nazista, che colpì nottetempo la popolazione civile inerme e ispirò il celeberrimo dipinto di denuncia di Pablo Picasso.

    Sette anni prima era alla guida di grandi imprese di voli transatlantici: il primo nel 1930 da Orbetello a Rio de Janeiro; il secondo tre anni dopo, da Orbetello a Chicago. Questa seconda crociera, organizzata per celebrare il decennale della Regia Aeronautica Militare Italiana nell’ambito dell’Esposizione Universale Century of Progress che si tenne a Chicago tra il 1933 e il 1934, lo aveva coperto di gloria.

    Il governatore dell’Illinois e il sindaco della città di Chicago riservarono ai trasvolatori un’accoglienza trionfale: a Balbo venne intitolata una strada, tutt’oggi esistente, e i Sioux presenti all’Esposizione lo nominarono capo indiano, con il nome di Capo Aquila Volante. Il volo di ritorno proseguì per New York, dove il presidente Roosevelt organizzò, in onore agli equipaggi della flotta di 25 idrotransvolanti italiani, una grande street parade.

    Gli esaltatori delle trasvolate atlantiche non mancano di citare ogni tipo di manifestazione organizzata a Chicago in onore del grande pilota, ma omettono sempre di citare lo striscione che pare recitasse “Balbo, don Minzoni ti saluta” e che commemorava l’onore da lui acquisito come pioniere dello squadrismo fascista.

    Là, in Italia, partendo dalle valli del delta padano, aveva visto portare a compimento grandi opere di bonifiche che strapparono alle acque nuove terre da coltivare e nuove forme di diritti sindacali da reprimere grazie all’”esaltazione della violenza come il metodo più rapido e definitivo per raggiungere il fine rivoluzionario” (Italo Balbo, Diario 1922, Mondadori).

    Sempre là, nella bassa provincia Ferrarese, aveva inaugurato la strategia criminale delle esecuzioni mirate come responsabile diretto, morale e politico dei due omicidi premeditati, da lui considerati ’bastonate di stile’, che significavano frattura del cranio, somministrate al sindacalista Natale Gaiba e al sacerdote don Giovanni Minzoni.

    Natale Gaiba venne assassinato per vendicare l’offesa, compiuta quando il sindacalista argentano era assessore del Comune di Argenta, di aver fatto sequestrare l’ammasso di grano del Molino Moretti, imboscato illegalmente per farne salire il prezzo, venisse strappato ai latifondisti agrari e restituito al popolo che lo aveva prodotto coltivando la terra, ridotto alla fame.

    Don Minzoni, parroco di Argenta, venne assassinato dai fascisti locali: Balbo non volle ammettere che fossero stati individuati e arrestati i colpevoli e intervenne in molti modi, anche con la costante presenza in aula, per condizionare lo svolgimento e il risultato sia delle indagini che del processo penale, garantendo l’impunità del crimine.

    Qui, in Libia, Italo Balbo non riuscì a trovare, nemmeno con la forza, l’acqua sufficiente da donare alla terra di quei pochi coloni veneti e della bassa ferrarese che, sotto l’enfasi propagandistica del regime, lo avevano raggiunto, si erano rimboccati le maniche e si erano illusi di rendere verde il deserto “liberato”.

    Fu sempre qui, in Libia, che italo Balbo, per tragica ironia della sorte o per fatale coincidenza, precipitò realmente in una voragine di sabbia e trovò la morte, colpito dal fuoco amico della artiglieria contraerea italiana nei cieli di Tobruk il 28 giugno 1940. Evidentemente mentre lui seguiva le orme dei grandi colonizzatori italiani, qualcos’altro stava seguendo le sue tracce, poiché la responsabilità storica di quanto avvenuto per sbaglio, come tragico errore e incidente di guerra, venne assunta in prima persona da un capo pezzo del 202 Reggimento di Artiglieria, che ammise di aver sparato raffiche di artiglieria contraerea all’indirizzo del trimotore Savoia Marchetti 79 pilotato dal suo comandante supremo nonché concittadino Italo Balbo, essendo significativamente pure lui, Claudio Marzola, 20enne, un ferrarese purosangue.

    I colpi letali partirono da una delle tre mitragliatrici da 20 mm in dotazione a un Incrociatore Corazzato della Marina Regia che permaneva in rada semiaffondato e a scopo difensivo antiaereo, varato con lo stesso nome del santo patrono della città di Ferrara: San Giorgio.

    https://pagineesteri.it/2021/05/27/africa/colonialismo-in-libia-la-strategia-italiana-della-terra-bruciata
    #colonialisme #Italie #terre_brûlée #colonisation #histoire_coloniale #Italie_coloniale #colonialisme_italien #aviation #Zanzour #Zavia #oasis #bombardement #Cirenaica #Graziani #Rodolfo_Graziani #Taizerbo #iprite #Pietro_Badoglio #Badoglio #Roberto_Lordi #Italo_Balbo #fascisme #Giarabub #Balbo #Legione_Condor #violence #Natale_Gaiba #Giovanni_Minzone #don_Minzoni #Claudio_Marzola

    Un mur construit à l’époque coloniale et encore debout aujourd’hui et utilisé comme barrière anti-migrants :

    Quel muro, il muro italiano di Giarabub, è tuttora presente e in funzione come barriera anti-immigrazione: una doppia linea di recinzione metallica lunga 270 chilometri, larga quattro metri, alta tre, visibilmente malandata ma resa insuperabile da chilometri di matasse di filo spinato che si srotolano dalle regioni a ridosso del porto di Bardia, lungo le sterpaglie desolate della Marmarica, fino a perdersi nel Grande Mare di Sabbia del Deserto Libico.
    Questa grande opera venne commissionata alla Società Italiana Costruzioni e Lavori Pubblici di Roma, che la realizzò in sei mesi, dal 15 aprile al 5 settembre 1931, ad un costo complessivo di circa venti milioni di lire, impegnando nella costruzione 2.500 indigeni sorvegliati da 1.200 soldati e carabinieri, lungo un percorso totalmente privo di strade e di risorse idriche.
    Il reticolato di filo spinato è sostenuto da paletti di ferro con base in calcestruzzo, vigilato dai ruderi fatiscenti di tre ridotte e sei ridottini; lungo il suo percorso vennero costruiti tre campi d’aviazione, una linea telefonica, 270 milioni di paletti di ferro e ventimila quintali di cemento.

    #murs #barrières_frontalières

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    • #Balbo street à #Chicago —> une rue est encore dédiée à #Italo_Balbo :

      Nei sei anni che Balbo visse e volò in Libia, lo Sparviero abbatté tutti i record e tutti i primati di volo civile, velocità, trasporto, durata, distanza, poi il salto di qualità e da civile divenne aereo militare: nella versione S.79K, l’impiego operativo di questo modello avvenne con l’intervento italiano nella guerra civile spagnola e il 26 aprile 1937, tre S.M.79 dell’Aviazione Legionaria presero parte al bombardamento della cittadina basca di Guernica, un’incursione aerea compiuta in cooperazione con la Legione Condor nazista, che colpì nottetempo la popolazione civile inerme e ispirò il celeberrimo dipinto di denuncia di Pablo Picasso.

      Sette anni prima era alla guida di grandi imprese di voli transatlantici: il primo nel 1930 da Orbetello a Rio de Janeiro; il secondo tre anni dopo, da Orbetello a Chicago. Questa seconda crociera, organizzata per celebrare il decennale della Regia Aeronautica Militare Italiana nell’ambito dell’Esposizione Universale Century of Progress che si tenne a Chicago tra il 1933 e il 1934, lo aveva coperto di gloria.

      Il governatore dell’Illinois e il sindaco della città di Chicago riservarono ai trasvolatori un’accoglienza trionfale: a Balbo venne intitolata una strada, tutt’oggi esistente, e i Sioux presenti all’Esposizione lo nominarono capo indiano, con il nome di Capo Aquila Volante. Il volo di ritorno proseguì per New York, dove il presidente Roosevelt organizzò, in onore agli equipaggi della flotta di 25 idrotransvolanti italiani, una grande street parade.


      https://www.openstreetmap.org/search?query=balbo%20street%20chicago#map=17/41.87445/-87.62088

      #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale

      Et un #monument :
      Balbo Monument

      The Balbo Monument consists of a column that is approximately 2,000 years old dating from between 117 and 38 BC and a contemporary stone base. It was taken from an ancient port town outside of Rome by Benito Mussolini and given to the city of Chicago in 1933 to honor the trans-Atlantic flight led by Italo Balbo to the #Century_of_Progress_Worlds_Fair.


      https://en.wikipedia.org/wiki/Balbo_Monument

      #statue

      ping @cede

  • Etiopia, i conti col passato: la strage di Addis Abeba del 1937

    Sono passati 85 anni ma gli eccidi compiuti dagli invasori italiani - quello di Addis Abeba e quello successivo di Debre Libanòs, ai danni di centinaia di monaci cristiano-copti -, sembrano non avere lasciato traccia nella memoria comune italiana, come del resto tutto il nostro passato coloniale. In Etiopia, invece, il 19 febbraio rappresenta il momento del ricordo di una tragedia collettiva

    È il 19 febbraio del 1937, nel calendario etiopico il 12 Yekatit 1929. Addis Abeba è in festa per celebrare davanti al Ghebì imperiale la nascita di Vittorio Emanuele, il figlio del re, del nuovo imperatore d’Etiopia. Otto granate esplodono alle spalle del viceré, il temutissimo Rodolfo Graziani, e provocano la morte di sette persone e circa cinquanta feriti. Sino al 21 febbraio la capitale etiopica sarà messa a ferro e fuoco, causando la morte e il ferimento di migliaia di civili.

    Quella strage, “Il massacro di Addis Abeba” come è stata definita dallo storico Ian Campbell nel suo testo dedicato all’analisi degli eventi avvenuti nel febbraio 1937, rappresenta solo l’inizio di una carneficina che coinvolgerà anche il monastero cristiano-copto di Debre Libanòs. Luogo mistico situato nella regione Oromo, a nord di Addis Abeba, divenne teatro di una storica “vergogna italiana” (per riprendere il sottotitolo del testo di Campbell).

    Paolo Borruso, nel suo testo Debre Libanòs 1937: il più grave crimine di guerra dell’Italia (edito da Laterza nel 2020), ricostruisce le inquietanti vicende che hanno contraddistinto una delle pagine più buie del colonialismo italiano. Il convento di Debre Libanòs era considerato il luogo di ospitalità di alcuni degli attivisti della resistenza etiopica che avevano partecipato all’attentato contro il viceré, anche se dalle ricostruzioni di Borruso emerge che gli attentatori si fossero solo ritirati brevemente presso il monastero.

    La strage, compiuta dalle truppe italiane guidate dal generale Pietro Maletti ai danni dei monaci, si consumò tra il 21 e il 29 maggio 1937, causando la morte di circa 450 monaci. Le spedizioni punitive elaborate dalla mente del generale Graziani (passato alla storia come il “macellaio del Fezzan”, per i metodi feroci utilizzati nella riconquista dell’area libica tra il 1929 e il 1930), sembra facessero parte di un piano ben dettagliato di violenza su vasta scala che aveva lo scopo di esibire la forza delle truppe coloniali italiane e costringere alla resa l’élite etiopica.

    Sono passati 85 anni ma, sia la strage di Addis Abeba, sia il massacro di Debre Libanòs, sembrano non avere lasciato traccia nella memoria comune italiana, come del resto tutto il nostro passato coloniale. Tralasciando le meritorie ricostruzioni storiche di Angelo Del Boca, la storiografia italiana ha poco sottolineato la gravità dei crimini commessi durante l’occupazione italiana dell’Etiopia.

    Nel 2006 alla Camera dei deputati fu presentato un progetto di legge recante il seguente titolo: Istituzione del «Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana». Nel preambolo della proposta di legge si riconosce l’importanza della strage e la si definisce come “giornata simbolo in memoria delle migliaia di civili africani etiopici, eritrei, libici e somali, morti nel corso delle conquiste coloniali”.

    In Etiopia, invece, il 19 febbraio rappresenta il momento di condivisione di una tragedia collettiva. Nel 1955 un obelisco è stato eretto nella capitale per commemorare questa “inutile strage” e da allora, anche durante il governo socialista del Derg, ogni presidente ha reso omaggio alle vittime del colonialismo italiano. Se ancora parzialmente restano sul terreno le vestigia dell’architettura italiana in Etiopia (uno fra tanti il quartiere Incis, oggi Kazanchis), nella nostra memoria non vi sono neppure le macerie.

    https://www.nigrizia.it/notizia/etiopia-i-conti-col-passato-la-strage-di-addis-abeba-del-1937

    #fascisme #Italie #colonialisme #massacre #massacre_d'Addis_Abeba #19_février_1937 #Debre_Libanòs #Ethiopie #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #histoire #passé_colonial #Rodolfo_Graziani #Graziani #Pietro_Maletti #Maletti #macellaio_del_Fezzan #violence #Incis #Kazanchis

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    ajouté à ce fil de discussion:
    #Addis_Ababa_massacre memorial service – in pictures
    https://seenthis.net/messages/671162
    et à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia

      Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858139639
      #crimes_de_guerre #livre

  • KPÖ Graz | Aktuelles | Graz: KPÖ mit Elke Kahr auf Platz 1
    https://www.kpoe-graz.at/graz-kpoe-mit-elke-kahr-auf-platz-1.phtml

    29.92.2021 - Wir haben eine Koalition mit unseren Wählerinnen und Wählern“

    Bei der Gemeinderatswahl am Sonntag erzielte die KPÖ mit Elke Kahr einen großen Erfolg. Das vorläufige Ergebnis (ohne Wahlkarten): KPÖ 15 (10) Mandate, VP 13 (19), Grüne 9 (5), FP 5 (8) SPÖ 4(5), Neos 2 (1).

    Elke Kahr: „Dieses Ergebnis ist überwältigend. Wir können es noch gar nicht fassen. Jetzt wird schon viel über Koalitionen spekuliert, heute können wir aber eines sagen: unsere wichtigste Koalitionspartnerin ist die Grazer Bevölkerung. Ihr sind wir im Wort. Für sie sind wir da. Wir sind in diese Wahl gegangen, mit dem Versprechen, dass Soziales nicht untergeht. Dazu stehen wir. Wir werden uns nicht verbiegen lassen.
    Danken möchte ich allen, die zu diesem Ergebnis beigetragen haben – all meinen Kolleginnen und Kollegen und vor allen, die uns heute das Vertrauen geschenkt haben.“

    Der Erfolg der Grazer KPÖ bei den Gemeinderatswahlen hat auch die Bundes-KPÖ überrascht. „Wir haben mit einem guten Ergebnis gerechnet – aber in dieser Größenordnung und in dieser politischen Tragweite nicht“, so Sprecher Tobias Schweiger gegenüber der Kleinen Zeitung. „Für uns ist klar, dass das nicht nur ein Sieg in Graz war, sondern auch ein starkes Signal für eine starke Linke in ganz Österreich.“

    #Autriche #Graz #communistes #élections

  • The Communist Party Just Won the Elections in Austria’s Second-Biggest City
    https://jacobinmag.com/2021/09/communist-party-of-austria-kpo-graz-election-victory-red-fortress

    La gauche perd aux élections. Ce n’est pas vrai. Le Parti Communiste vient de remporter 29 pourcent des voix à Graz en Aurtriche. Voilà comment ils ont fait.

    In Sunday’s elections in Graz, Austria, the Communist Party romped to victory for the first time in history. Jacobin spoke to one of its winning candidates about how the party built a “red fortress” in the city.

    An interview with Robert Krotzer ; Interview by Adam Baltner

    If the social experiments of “Red Vienna” long associated Austria with the historic high points of social democracy, recent decades have instead seen this Alpine republic become a laboratory for right-wing populism. But in Graz — the country’s second-biggest city after Vienna — there is an alternative to the reactionary trend. In this Sunday’s elections, the Communist Party of Austria (KPÖ) secured an unprecedented victory, winning 29 percent of the vote. With the defeat of the conservative Austrian People’s Party (ÖVP), Communist Elke Kahr is now expected to become mayor.

    The KPÖ’s striking success in this city — at odds with its marginal presence in national politics — owes to years of community engagement rooted in a steadfast class politics. Its progress wouldn’t have been possible without dedicated activists like thirty-four-year-old Robert Krotzer, who was second on the KPÖ list in this election. In 2017, he became the youngest person ever to be elected to the Graz city senate, since then serving as head of the Department of Health and of Caregiving at the Department of Social Services.

    Ahead of Sunday’s vote, Krotzer spoke with Jacobin’s Adam Baltner about how the KPÖ built this unlikely “red fortress.”
    AB

    In Austria’s national elections, the KPÖ normally earns about 1 percent of the vote. In Graz, however — the capital of the state of Styria — the party does considerably better, earning around 20 percent since the early 2000s. Why is the KPÖ so successful in Graz in particular?
    RK

    This has to do with a political orientation going back to the early 1990s — a time of profound crisis for the Communist movement. Back then, one of the mottos of the KPÖ Styria was “A useful party for everyday life and for the grand objectives of the labor movement.” In line with this maxim, the party pursued a highly concrete politics, especially for tenants.

    In particular, [former KPÖ politician and Graz party chair] Ernest Kaltenegger did tremendous work here, establishing for himself a very positive reputation among the population. Kaltenegger was always there to help others and lend an ear to their problems. To this day, people still tell stories about him even fixing things in their apartments. But he also politicized the issue of housing.

    At the beginning of the 1990s, many developers tried to clear entire houses of tenants, sometimes with extremely draconian methods, such as removing windows from building entrances in January, allegedly because they were sending them away to be repaired. In 1991, an emergency tenants’ hotline was established as a first point of contact for people having trouble with their landlords. Legal counseling for “victims of speculators” — as they were then called — was also set up on Kaltenegger’s initiative. Out of this interplay of very concrete help and legal support, the KPÖ was able to make a name for itself.

    A major campaign against high rent prices in public housing followed several years later. At the time, even in public housing, it wasn’t unusual for people to pay up to 55 percent of their income on rent. So the KPÖ introduced a bill in the city council stipulating that no one living in public housing would have to pay more than a third of their income in rent. Like so many other bills from the KPÖ, it was rejected by all the other parties. Subsequently, the KPÖ gathered signatures, particularly in public housing and together with tenants. The party then presented the city council with a “Petition in Accordance with Styrian Popular Law” containing seventeen thousand signatures and reintroduced the bill. This time, it passed unanimously.

    The following election in 1998 marked the KPÖ’s first major breakthrough at the polls with 7.9 percent of the vote. Kaltenegger was given the Department of Housing by the ruling parties, who expected him to fail in this role. But things turned out differently. In fact, he was able to get a fair amount done, such as make sure that each public housing unit had its own toilet and bathroom. And then, in the 2003 election, the party achieved 20.8 percent.

    This all shows that left-wing politics requires endurance and grassroots work. It also shows that parliamentary functionaries can use extra-parliamentary pressure to push things forward that would otherwise not be possible under the given power relations.

    AB You just touched upon not only how the KPÖ has built support in Graz but also how it has influenced city politics from its role as an opposition party. What other examples are there of that?

    RK One of the most enduring achievements of the KPÖ came in 2004 when it blocked the privatization of Graz’s public-housing stock. At the time, the [conservative] ÖVP, the SPÖ [Social Democratic Party of Austria], and indeed all other parties on the city council agreed on privatization. Sadly, around the same time, a “red-red” government in Berlin [a coalition between the Social Democratic Party of Germany and the predecessor to Die Linke] privatized apartments owned by the city.

    Although we were still a small party at the time, we managed to gather more than ten thousand signatures for our petition against privatization, which according to Styrian law is the necessary number for an official referendum organized by the city. At the ballot box, about 96 percent voted against selling off the housing units. To this day, all parties have kept their hands off public housing — the issue of privatization has never resurfaced.

    Even though we’ve never been one of the ruling coalition parties, we’ve held offices in the city executive since 1998. This is because of the proportional representation system, which allocates city senate seats on the basis of the parties’ vote shares. Currently, our party chair, Elke Kahr, leads the Department of Roads and the Department of Transportation Planning, and I am responsible for Health and Caregiving. We’ve had successes in both these areas — in spite of the difficult conditions of the past four and a half years under the right-wing coalition government between the ÖVP and the FPÖ [Freedom Party of Austria, far-right].

    We’ve built new bicycle paths and improved public transportation by expanding the tram network and creating new bus lines. And we’ve introduced the so-called Graz Care Model, according to which care-dependent elders receive allowances from the city so that they can be cared for at home and don’t have to move into nursing homes.

    AB When you were named responsible for Health and Caregiving in 2017, no one was expecting the COVID-19 crisis to hit. How have you been able to use your office to address the crisis at the local level?

    RK The Graz Department of Health is a relatively small but nevertheless important department. In comparison to Vienna, which is both a city and its own state, Graz is only a city. For this reason, unlike our Viennese counterpart, we lack certain responsibilities, such as administering hospital associations. As I took over the department, people in Young People’s Party [youth organization of the conservative ÖVP] circles were saying, “Krotzer’s getting the Department of Health because he can’t do any damage there anyway.” This paints a picture of how seriously the ÖVP takes the issues of health and caregiving. In comparison, they’ve always been of crucial importance to us in the KPÖ.

    Urban health policy with regards to the COVID crisis means, above all, contact tracing, or following and breaking chains of infection. This is, of course, an enormous task for any public health agency. In February 2020, the Graz Office of Epidemiology consisted of exactly two and a half positions. By November 2020, two hundred people were working there.

    However, we haven’t simply fulfilled our administrative duties. Working with migrant and elderly organizations as well as with welfare institutions, we started a telephone chain in March 2020 in order to spread information and to find out what people knew and needed at the time. We then supported them in concrete ways, such as by connecting them with shopping services or providing them with grocery vouchers.

    The national and state governments made numerous promises that they would make rapid antigen tests available to the public, yet in the fall of 2020, we ended up paying for these out of our own pocket and sending them to nursing homes, home health providers, and welfare institutions. In order to bring the vaccine to the population, we also conducted special vaccination campaigns — such as for the sellers of the street newspaper Megafon and in the Graz mosque, in churches, in libraries, and in different parts of the city. All of this is in keeping with our aim to be a useful party for everyday life.

    AB The election coverage was dominated by speculation about which parties will join the governing coalition. In your opinion, what are the decisive issues?

    RK Only very rarely have voters raised the issue of potential coalitions to me. Rather, conversations at information stands tend to be about how people have received help from us in highly concrete ways. And that is absolutely a major bonus that we have as the KPÖ.

    Every year, thousands of people visit Elke [Kahr] and myself in our office hours. There, we see how we can best help them, whether by providing them with legal advice, helping them fill out applications, or giving them direct financial support — KPÖ representatives in the city senate and the Styrian Landtag [parliament] voluntarily donate two-thirds of their salaries to people in need.

    For us, this is definitely not charity. Rather, it is a form of politics oriented around a basic socialist-communist principle that goes back to the Paris Commune. I think it’s hard to speak genuinely empathically with someone who works full time for €1,200 a month, when you earn three, four, five times that much. After all, as Marx said: Being determines consciousness.

    In addition to the failure of [the right-wing governing coalition’s] social policy, I would name rapidly progressing urban sprawl as another one of the major issues. In Graz, construction plans are approved and green spaces given away extremely frivolously because the ÖVP mayor Siegfried Nagl [who resigned this Sunday] is quite friendly toward investors. Many people are massively disturbed by this. Not few have even said to me, because of the building frenzy of the last few years, “My whole life I’ve never voted for any party but the ÖVP, but enough is enough.”

    AB The program of the KPÖ Styria highlights the heritage of Marx, Engels, and Lenin. Because of this open commitment to a radical politics, the conservative ÖVP has been red-baiting you for years — apparently without much success. How do you handle anti-communist smears?

    RK In spring of this year, we issued a press release commemorating the sixtieth anniversary of the first manned space flight. Of course, the first person in space was the Soviet cosmonaut Yuri Gagarin. The ÖVP attempted to trip us up by submitting an urgent motion to the city council demanding parties distance themselves from all totalitarian ideologies, including Soviet Communism. All other parties, including the SPÖ and the Greens, voted in favor of this motion. The ÖVP then expressed outrage over the fact that we refused.

    Our response was ultimately fairly measured. We’ve known the ÖVP long enough to understand what they want to achieve with something like this. Our city councilwoman Elke Heinrichs gave a speech extensively detailing that the KPÖ has always been the leading force of resistance against fascism in Austria and — in contrast to the other parties that have been around since the postwar period — has never had comrades with fascist pasts. In other words, when it comes to questions of distancing, the ÖVP should put its own house in order.

    Of course, there are many aspects of the history of actually existing socialism that we as communists and Marxists have to discuss. But we don’t have to do this at the behest of the ÖVP, and especially through the lens which they view history.

    This anti-communist gambit by the ÖVP was never a topic of discussion at any of our information stands. I think it probably went largely unnoticed by the general population, because quite a few people already have a very concrete connection to the KPÖ — either they know one of us, or they see us on the street, or they know that we’re the reason the tenants’ hotline exists. These things are far more important to people.

    AB So far, the KPÖ’s success in Graz has not been replicated in other cities in Austria. But do you think that a national or even international political movement can be built up through municipal politics?

    RK Naturally, we don’t preach socialism in one city or something like a municipal transition to socialism. But in general, I am convinced that left-wing politics needs to be developed from below. And that means establishing roots in at the level of the municipality, or even the shop floor, and being in constant contact with people. It’s important to engage in areas where you can show concretely that you’re a useful force. And workers’ parties can learn a lot from this kind of engagement.

    In recent decades, the Left may have neglected this insight somewhat. People have thought we have the sophisticated texts, we have the volumes of Marx and Engels and Lenin, and with these we will be able to deal with the world. But only through constant exchange with people can you find out where the real problems are. If you and your comrades want to work together to change and improve people’s conditions, this knowledge is central.

    There are various examples of successful left-wing politics on the municipal or shop-floor level — for example, in Alentejo in Portugal, where there are communities that have been administered by the Portuguese Communist Party since the 1974 Carnation Revolution, or the [Communist-affiliated trade union organization] PAME in Greece.

    An exciting new development is the success of the Workers’ Party of Belgium. On the basis of their long-standing roots in shop-floor organizing, this party managed to become a force in municipal politics before making the big leap onto the national stage in 2019. This achievement is really quite impressive. But it was also developed on a small scale. It certainly wouldn’t have been possible without local roots.

    #Autriche #Graz #communistes #élections

  • Yuval Noah Harari: the world after coronavirus | Free to read | Financial Times

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    https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75

    Humankind is now facing a global crisis. Perhaps the biggest crisis of our generation. The decisions people and governments take in the next few weeks will probably shape the world for years to come. They will shape not just our healthcare systems but also our economy, politics and culture. We must act quickly and decisively. We should also take into account the long-term consequences of our actions. When choosing between alternatives, we should ask ourselves not only how to overcome the immediate threat, but also what kind of world we will inhabit once the storm passes. Yes, the storm will pass, humankind will survive, most of us will still be alive — but we will inhabit a different world.

    Many short-term emergency measures will become a fixture of life. That is the nature of emergencies. They fast-forward historical processes. Decisions that in normal times could take years of deliberation are passed in a matter of hours. Immature and even dangerous technologies are pressed into service, because the risks of doing nothing are bigger. Entire countries serve as guinea-pigs in large-scale social experiments. What happens when everybody works from home and communicates only at a distance? What happens when entire schools and universities go online? In normal times, governments, businesses and educational boards would never agree to conduct such experiments. But these aren’t normal times.

    In this time of crisis, we face two particularly important choices. The first is between totalitarian surveillance and citizen empowerment. The second is between nationalist isolation and global solidarity.
    Under-the-skin surveillance

    In order to stop the epidemic, entire populations need to comply with certain guidelines. There are two main ways of achieving this. One method is for the government to monitor people, and punish those who break the rules. Today, for the first time in human history, technology makes it possible to monitor everyone all the time. Fifty years ago, the KGB couldn’t follow 240m Soviet citizens 24 hours a day, nor could the KGB hope to effectively process all the information gathered. The KGB relied on human agents and analysts, and it just couldn’t place a human agent to follow every citizen. But now governments can rely on ubiquitous sensors and powerful algorithms instead of flesh-and-blood spooks.

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    In their battle against the coronavirus epidemic several governments have already deployed the new surveillance tools. The most notable case is China. By closely monitoring people’s smartphones, making use of hundreds of millions of face-recognising cameras, and obliging people to check and report their body temperature and medical condition, the Chinese authorities can not only quickly identify suspected coronavirus carriers, but also track their movements and identify anyone they came into contact with. A range of mobile apps warn citizens about their proximity to infected patients. ....

    This storm will pass. But the choices we make now could change our lives for years to come
    https://www.ft.com/content/19d90308-6858-11ea-a3c9-1fe6fedcca75
    https://www.ft.com/__origami/service/image/v2/images/raw/http%3A%2F%2Fprod-upp-image-read.ft.com%2F9bc3b02e-6a11-11ea-a6ac-9122541af204?s

    #coronavirus #monde #politique @cdb_77

  • Il mistero della morte di Italo Toni e Graziella De Palo

    Wikiradio del 2/09/2016 - Rai Radio 3
    https://www.raiplayradio.it/audio/2016/08/Il-mistero-della-morte-di-Italo-Toni-e-Graziella-De-Palo---Wikiradio-de

    Il 2 settembre #1980 a Beirut scompaiono i due giornalisti freelance #ItaloToni e #GraziellaDePalo con Emanuele Giordana

    Repertorio

    – frammenti di un’intervista a Renata Capotorti madre di Graziella De Palo tratta da La Storia siamo noi - Mistero di stato. Il caso Toni-De Palo. (2007-2008) - Archivi Rai

    – notizia dell’inaugurazione di due strade intitolate a Graziella De Palo e Italo Toni a Villa Gordiani a Roma - GR1del 2/09/2010 - Archivi Rai

    – frammento dal programma televisivo Stasera G7- Guerra civile in Libano, 1976, reportage di Alberto Michelini

    – estratto dal TG2 del 13 agosto 1976 sulla Linea Verde a Beirut

    – breve ricordo dell’ex parlamentare socialista Falco Accame tratto da La Storia siamo noi - Mistero di stato. Il caso Toni-De Palo. (2007-2008) - Archivi Rai

    – testimonianza di Lya Rosa, all’epoca della scomparsa di Italo Toni e Graziella De Palo, sostenitrice della causa palestinese tratta da La Storia siamo noi - Mistero di stato. Il caso Toni-De Palo. (2007-2008) - Archivi Rai

    – Notizia dell’arresto del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, - Radio radicale, 19/06/1984

    – letture frammenti dai diari di Graziella De Palo e dell’ultimo articolo scritto da Italo Toni per L’Astrolabio nel 1968 dal programma di Radio Radicale Una giornata per non dimenticare dell’11/09/2009

    Brano musicale

    Canzone per Beirut, Eugenio Bennato

    https://www.youtube.com/watch?v=KCRI9MUw9aU

    #podcast #wikiradio #RaiRadio3 #beirut #journalisme #guerre #Liban #OLP #PageNoirItalie

  • Carte à la une : les cartes topographiques ont du style ! — Géoconfluences

    http://geoconfluences.ens-lyon.fr/informations-scientifiques/a-la-une/carte-a-la-une/les-carte-topo-ont-du-style

    Interpréter une #carte_topographique nécessite de savoir décoder les différents signes graphiques qu’elle contient et de pouvoir faire la correspondance avec une réalité spatiale. Cela peut s’avérer être une activité difficile si la codification visuelle utilisée est éloignée de celle que l’utilisateur connaît. Nous proposons d’analyser les choix d’abstraction cartographique effectués par les agences nationales de cartographie afin de comprendre comment la notion de « style » peut s’appliquer aux cartes topographiques.

    #commentaire_de_carte spécialement pour @cdb_77

  • Farmers in the Loneliness of Onion Fields — Information is Beautiful Awards
    https://www.informationisbeautifulawards.com/showcase/1738


    Puisqu’on parle de #shameless_autopromo, eh bien voilà ! On vient de voir une de mes cartes présentée sur le site Information is Beautiful !

    Farmers in the Loneliness of Onion Fields by Agnès Stienne, VisionsCarto

  • Festival du Film dans les Alpes

    Festival du film de montagne d’Autrans - France
    http://www.festival-autrans.com

    Orobie Film Festival - Bergamo - Italie
    http://www.montagnaitalia.com/OFF15.html

    Sestriere Film Festival - Sestriere (TO) - Italie
    http://www.montagnaitalia.com/SESTRIERE%2015.html

    Cervino Cinemountain - Cervinia - Italie
    http://www.cervinocinemountain.it

    Festival della montagna di Cuneo - Italie
    http://www.festivaldellamontagna.it

    Festival du Film des Diablerets - Suisse
    http://www.fifad.ch

    Mountain Film Festival #Domžale
    http://imffd.com

    Bergfilmtagen - #Going - #Autriche
    http://www.bergfilmtage.at

    Mountain film - #Graz - Autriche
    http://www.mountainfilm.com

    Film festival della Lessinia - Bosco Chiesanuova (VR) - Italie
    http://www.ffdl.it

    Livigno Film Festival - Italie
    http://www.europeanfreeridefestival.com/it

    Festival dei Festival Lugano - Suisse
    http://www.festival-dei-festival.ch

    Film Festival St. Anton - Autriche
    http://www.filmfest-stanton.at

    Festival International du Film de Montagne Tegernsee - #Allemagne
    http://www.bergfilm-festival-tegernsee.de

    Festival international du film Aventure et Découverte - Val d’Isere - France
    http://www.festival-aventure-et-decouverte.com

    Trento film festival - Italie
    http://trentofestival.it

    www.alpconv.org
    #cinema #film #alpes #lugano #trento #france #autrans #bergamo #Suisse #italie #montagne #slovenie #livigno #trento @cdb_77