• Il cotone “sporco e insostenibile” di #Zara ed #H&M e la distruzione del #Cerrado

    La Ong inglese #Earthsight ha condotto un’inchiesta per un anno lungo la filiera di questa fibra tessile: i due marchi della fast fashion avrebbero immesso sul mercato 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nella savana tropicale che copre un terzo del Brasile. “Il sistema di filiera ‘etica’ su cui si basano questi colossi è fondamentalmente difettoso”

    Se negli ultimi anni avete acquistato vestiti di cotone, asciugamani o lenzuola di H&M o Zara “probabilmente sono macchiati del saccheggio del Cerrado”, un’area ricchissima di biodiversità che copre quasi un quarto della superficie del Brasile. Sam Lawson, direttore della Ong britannica Earthsight, non usa mezzi termini per commentare l’esito dell’inchiesta “Fashion crimes. The European retail giants linked to dirty Brazilian cotton”, pubblicata l’11 aprile, che analizza la lunga e insostenibile filiera di questa fibra dalla produzione (in Brasile) alla lavorazione (in Paesi come Indonesia e Bangladesh), fino alla commercializzazione in Europa (Italia compresa) dove, secondo le stime di Earthsight, i due brand avrebbero messo in commercio prodotti realizzati con 800mila tonnellate di cotone coltivato su terreni disboscati illegalmente nel Cerrado.

    Ma andiamo con ordine. L’inchiesta di Earthsigh prende le mosse proprio dal grande Paese latinoamericano che, negli ultimi dieci anni, ha guadagnato crescente importanza nel mercato globale del cotone, di cui oggi è il secondo esportatore mondiale “e si prevede che entro il 2030 supererà gli Stati Uniti”. Il cuore di questa produzione si concentra in uno degli ecosistemi più fragili e preziosi del mondo: il Cerrado, una grande savana tropicale che ospita una delle più importanti aree di biodiversità al mondo, dove vivono oltre seimila specie di alberi così come centinaia di rettili, mammiferi, anfibi e uccelli.

    La sopravvivenza di questo inestimabile patrimonio è minacciata dalla deforestazione illegale che nel 2023 ha raggiunto livelli record, con un aumento del 43% rispetto al 2022. “Circa la metà della vegetazione nativa del Cerrado è già andata perduta, soprattutto per far posto all’espansione dell’agrobusiness”, evidenzia il report. Milioni di litri d’acqua vengono prelevati regolarmente dai fiumi e dalle falde per irrigare i campi di cotone, la cui coltivazione richiede l’utilizzo di 600 milioni di litri di pesticidi ogni anno.

    L’inchiesta di Earthsight analizza in particolare il ruolo di due dei principali produttori di cotone brasiliani: il gruppo Horita e SLC Agrícola che controllano enormi aziende e centinaia di migliaia di ettari di terreno. “Nel 2014 l’agenzia ambientale dello Stato di Bahia ha rilevato 25mila ettari deforestati illegalmente nelle aziende agricole di Horita a Estrondo -si legge nel report-. Nel 2020 la stessa agenzia ha dichiarato di non essere riuscita a trovare i permessi per altri 11.700 ettari deforestati dall’azienda tra il 2010 e il 2018”. Tra il 2010 e il 2019 l’azienda è stata multata complessivamente più di venti volte, per un totale di 4,5 milioni di dollari, per violazioni ambientali.

    https://i0.wp.com/altreconomia.it/app/uploads/2024/04/7.-Cerrado-accumulated-deforestation-1987-2022.png

    Altrettanto gravi, le denunce rivolte a SLC Agrícola: tre aziende, tutte coltivate a cotone, hanno cancellato per sempre 40mila ettari di Cerrado nativo negli ultimi 12 anni. E, sebbene l’azienda abbia adottato una politica “zero deforestazione” nel 2021, è accusata di aver distrutto altri 1.356 ettari di vegetazione nel 2022. Accuse che hanno spinto il fondo pensionistico pubblico della Norvegia a ritirare i propri investimenti nella società brasiliana.

    Al termine di un lavoro d’inchiesta di un anno -durante il quale hanno analizzato migliaia di registri di spedizione, relazioni aziendali, elenchi di fornitori e siti web– i ricercatori di Earthsight hanno ricostruito la filiera che porta il cotone coltivato illegalmente nel Cerrado nei negozi di Zara ed H&M e poi negli armadi di milioni di persone. I ricercatori hanno identificato otto produttori di abbigliamento asiatici che utilizzano il cotone Horita e SLC e che allo stesso tempo forniscono alle due società di fast fashion milioni di capi di cotone finiti. Tra questi figura l’indonesiana PT Kahatex “il più grande acquirente di cotone contaminato Horita e SLC che abbiamo trovato”. H&M è il secondo cliente dell’azienda indonesiana, da cui ha acquistato milioni di paia di calzini, pantaloncini e pantaloni che sono poi stati messi in vendita nei negozi del gruppo negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in Francia, in Polonia, in Irlanda, in Italia.

    Il cotone sporco del Cerrado è finito anche negli stabilimenti di Jamuna Group, uno dei maggiori conglomerati industriali del Bangladesh: “Nei negozi Zara in Europa, fino ad agosto 2023, sono stati venduti per 235 milioni di euro jeans e altri capi in denim confezionati da Jamuna, circa 21.500 paia al giorno -si legge nel report-. Inditex importa i capi prodotti da Jamuna in Spagna e nei Paesi Bassi, da dove li distribuisce ai suoi negozi Zara, Bershka e Pull&Bear in tutta Europa”. Complessivamente, secondo le stime che i ricercatori hanno elaborato consultando i registri delle spedizioni il Gruppo Horita e SLC Agrícola hanno esportato direttamente almeno 816mila tonnellate di cotone da Bahia verso i mercati esteri tra il 2014 e il 2023. Una quantità di materia prima sufficiente a produrre dieci milioni di capi d’abbigliamento e prodotti per la casa tra lenzuola, tovaglie e tende.

    Ma come è stato possibile, si sono chiesti i ricercatori, che le catene di approvvigionamento dei due marchi di moda siano state “contaminate” da cotone brasiliano legato a deforestazione e land grabbing? “Parte della risposta sta nel fatto che le loro politiche etiche sono piene di falle. Ma soprattutto, il sistema di filiera etica su cui si basano è fondamentalmente difettoso”.

    Il riferimento è al fatto che, nel tentativo di presentarsi come sostenibili e responsabili, i due brand si sono affidati a un sistema di certificazione denominato Better Cotton (BC). “Il cotone che abbiamo collegato agli abusi ambientali a Bahia ne riportava il marchio di qualità. Questo non dovrebbe sorprendere dal momento che Better Cotton è stata ripetutamente accusata di greenwashing e criticata per non aver garantito la piena tracciabilità delle catene di approvvigionamento”, scrivono i ricercatori di Earthsight nel rapporto. Evidenziando come, sebbene dal primo marzo 2024 le regole di BC siano state aggiornate, rimangano comunque una serie di criticità e di punti deboli. A partire dal fatto che il cotone proveniente da terreni disboscati illegalmente prima del 2020 venga ancora certificato.

    “È ormai molto chiaro che i crimini legati ai beni che consumiamo devono essere affrontati attraverso la regolamentazione, non attraverso le scelte dei consumatori -conclude Sam Lawson, direttore di Earthsignt-. Ciò significa che i legislatori dei Paesi consumatori dovrebbero mettere in atto leggi forti con un’applicazione rigorosa. Nel frattempo, gli acquirenti dovrebbero pensarci due volte prima di acquistare il prossimo capo di abbigliamento in cotone”.

    https://altreconomia.it/il-cotone-sporco-e-insostenibile-di-zara-ed-hm-e-la-distruzione-del-cer
    #industrie_textile #coton #mode #déforestation #Brésil #rapport #chiffres #statistiques #SLC_Agrícola #Horita #SLC #fast-fashion #land_grabbing #accaparement_de_terres #Better_Cotton #greenwashing #green-washing

    • Fashion Crimes: The European Retail Giants Linked to Dirty Brazilian Cotton


      Key Findings:

      - The world’s largest fashion brands, H&M and Zara, use cotton linked to land grabbing, illegal deforestation, violence, human rights violations and corruption in Brazil.
      - The cotton is grown by two of Brazil’s largest agribusinesses – SLC Agrícola and the Horita Group – in western Bahia state, a part of the precious Cerrado biome, which has been heavily deforested in recent decades to make way for industrial-scale agriculture.
      - Unlike in the Amazon, deforestation in the Cerrado is getting worse. The biome is home to five per cent of the world’s species. Many face extinction due to habitat loss if current deforestation trends are not reversed.
      - For centuries, traditional communities have lived in harmony with nature. These communities have seen their lands stolen and suffered attacks by greedy agribusinesses serving global cotton markets.
      - The tainted cotton in H&M and Zara’s supply chains is certified as ethical by the world’s largest cotton certification scheme, Better Cotton, which has failed to detect the illegalities committed by SLC and Horita. Better Cotton’s deep flaws will not be addressed by a recent update to its standards.
      - Failure by the fashion sector to monitor and ensure sustainability and legality in its cotton supply chains means governments in wealthy consumer markets must regulate them. Once in place, rules must be strictly enforced.

      https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes

  • La #LDH et #Utopia_56 portent plainte pour #complicité de #crimes_contre_l'humanité et complicité de #torture contre le n°3 de la liste RN

    #Fabrice_Leggeri est visé par une plainte pour complicité de crimes contre l’humanité et complicité de torture, révèlent franceinfo et Le Monde, mardi.

    La Ligue des Droits de l’Homme et Utopia 56 ont déposé, mardi 23 avril, une plainte à Paris pour complicité de crimes contre l’humanité et complicité de torture contre Fabrice Leggeri, le n°3 de la liste RN pour les élections européennes, révèlent franceinfo et Le Monde.

    De 2015 et 2022, Fabrice Leggeri a occupé le poste de directeur exécutif de Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes. Dans cette plainte, il lui est reproché d’avoir activement facilité des refoulements illégaux en mer de bateaux de migrants dans le cadre de ses fonctions.

    Interception de bateaux de migrants et obstacle à l’intervention d’ONG

    Les deux associations estiment que, lorsqu’il était à la tête de Frontex, Fabrice Leggeri a permis l’interception de bateaux de migrants par les #garde-côtes_libyens, à la fois en faisant obstacle à l’intervention d’ONG présentes en mer, mais aussi en livrant aux garde-côtes libyens les coordonnées GPS ou les photos aériennes de ces embarcations. Les Nations unies avaient pourtant établi que ces migrants, qui cherchaient à traverser la Méditerranée, étaient exposés en #Libye aux risques de violences physiques et sexuelles, de détention arbitraire, de torture et d’esclavage.

    La Convention de Genève de 1951, relative au statut des réfugiés et à leur droit d’asile, stipule qu’en mer, lorsque des personnes sont en danger, le principe doit toujours être celui de l’assistance et de l’aide. Les règles de l’ONU et de l’Union européenne imposent les mêmes usages.

    La LDH et Utopia 56 accusent également Fabrice Leggeri d’avoir facilité le #refoulement de bateaux de migrants de la #Grèce vers la #Turquie, en refusant, dit la plainte, de relayer leurs signaux de détresse. La plainte lui reproche aussi d’avoir dissimulé ces opérations, en ne les mentionnant pas dans les rapports de l’agence Frontex, et enfin d’avoir fait obstacle à la saisine de l’officier des droits fondamentaux en charge du contrôle des opérations de Frontex.

    Pour rédiger cette plainte, la LDH et Utopia 56 s’appuient notamment sur un rapport de l’Office européen de lutte anti-fraude, qui a précisément mis au jour des pratiques illégales et a mis en cause le rôle de Fabrice Leggeri, dont il était par ailleurs souligné le dirigisme à son poste de numéro 1 de Frontex. Les conclusions de ce rapport avaient contraint Fabrice Leggeri à la démission en 2022. Moins de deux ans plus tard, en février dernier, celui qui a été formé à l’ENA et a fait toute sa carrière dans la haute fonction publique a annoncé rejoindre la liste du Rassemblement national, conduite par Jordan Bardella, pour les élections européennes du 9 juin prochain.
    Des « allégations totalement incorrectes »

    Fabrice Leggeri, contacté par franceinfo, estime que « ces allégations » "sont totalement incorrectes". Il y voit « des manœuvres totalement politiciennes pour [le] discréditer et discréditer la liste du RN lors des élections européennes ». ⁠"Lorsque j’étais directeur de Frontex de 2015 à 2022, l’agence européenne a sauvé plus de 350 000 migrants en mer en conformité avec le droit international de la mer", ajoute le candidat RN. Il indique que « des plaintes pour diffamation sont déjà en préparation contre plusieurs membres de LFI qui ont publiquement proféré ce genre d’accusations totalement infondées ». Sur son compte X, mardi, il ajoute que « le RN est le seul rempart contre le terrorisme intellectuel que l’extrême-gauche et ses ONG font peser sur la France et sur l’Europe pour démanteler l’idée même d’un contrôle des frontières ».

    « La qualification de complicité de crime contre l’humanité est une qualification criminelle et grave, mais ce qui est plus grave, c’est de laisser mourir des dizaines de milliers d’hommes, de femmes et d’enfants en Méditerranée, c’est de favoriser leur transfert forcé vers des centres d’esclavage en Libye », estime Emmanuel Daoud, l’avocat de la Ligue des Droits de l’Homme. « À partir du moment où ils sont dans des bateaux, on ne doit pas les refouler, on doit les accueillir et on doit les sauver. Monsieur Leggeri l’a oublié et il devra en répondre », conclut-il.

    La plainte de 53 pages avec constitution de partie civile concernant Fabrice Leggeri a été déposée ce mardi après-midi au doyen des juges d’instruction du tribunal judiciaire de Paris. Une ONG allemande, le Centre européen pour les Droits constitutionnels et Humains, avait demandé il y a deux ans à la Cour pénale internationale à La Haye d’ouvrir une enquête sur le rôle de plusieurs hauts fonctionnaires, dont Fabrice Leggeri, dans ces refoulements de bateaux de migrants entre 2018 et 2021.

    https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/justice-proces/info-franceinfo-europeennes-la-ldh-et-utopia-56-portent-plainte-pour-co

    #plainte #justice #migrations #réfugiés #frontières

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    voir aussi :
    Revealed : The #OLAF report on Frontex
    https://seenthis.net/messages/976360

    • Fabrice Leggeri, numéro trois du RN aux européennes, visé par une plainte pour complicité de crime contre l’humanité

      Deux associations reprochent au directeur de Frontex de 2015 à 2022 d’avoir participé au refoulement d’embarcations de migrants par les autorités grecques vers la Turquie ainsi qu’à des interceptions par les garde-côtes libyens d’embarcations de migrants.

      Le numéro trois sur la liste Rassemblement national (RN) aux élections européennes de juin, Fabrice Leggeri, est visé par une plainte pour complicité de crime contre l’humanité et complicité de crime de torture. D’après nos informations, la Ligue des droits de l’homme (LDH) et l’association de défense des migrants Utopia 56 ont déposé plainte, mardi 23 avril, avec constitution de partie civile auprès du doyen des juges d’instruction du tribunal judiciaire de Paris.

      Cette action en justice vise celui qui est aujourd’hui un candidat du RN au Parlement européen et qui fut directeur de l’agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, de 2015 à 2022. Les plaignants reprochent à l’ex-haut fonctionnaire – aujourd’hui placé en disponibilité du ministère de l’intérieur, son administration d’origine – d’avoir participé, soit en les facilitant, soit en les couvrant, au refoulement d’embarcations de migrants par les autorités grecques vers la Turquie ainsi qu’à des interceptions par les garde-côtes libyens d’embarcations de migrants qui tentaient de rejoindre l’Italie.

      Ces faits ont « facilité la commission des crimes contre l’humanité et des crimes de torture à l’encontre des migrants, par les autorités grecques et libyennes », estime l’avocat Emmanuel Daoud, qui défend les associations. Sollicité, Fabrice Leggeri dénonce quant à lui « des allégations incorrectes » relevant de « manœuvres politiciennes » dans le but de « discréditer la liste du RN ».

      Les mouvements migratoires irréguliers à travers la Méditerranée nourrissent, depuis une décennie, une crise politique au sein de l’Union européenne (UE). En 2015, année record, plus d’un million de migrants ont rejoint le Vieux Continent par la mer. Pour renforcer les contrôles à ses frontières extérieures, les Vingt-Sept ont considérablement augmenté les moyens de l’agence Frontex au fil des ans, dont le budget est passé de 143 millions d’euros à 845 millions d’euros, entre 2015 et 2023.

      (#paywall)
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/04/23/fabrice-leggeri-numero-3-du-rn-aux-europeennes-vise-par-une-plainte-pour-com

    • la Convention de Genève de 1951 stipule que « lorsque des personnes sont en danger, le principe doit toujours être celui de l’assistance et de l’aide », ainsi que les règles de l’ONU et de l’UE. Ces pratiques « relèvent de crimes contre l’humanité », note Utopia 56 sur son site internet, rappelant par ailleurs qu’en « dix ans, plus de 29 500 femmes, hommes et enfants sont morts en Méditerranée », dont « 16 272 » morts ou disparus sous la direction de Fabrice Leggeri, entre 2015 et 2022.

      30k en 10 ans, dont 16k pour lui en 7-8 ans, ça laisse 14k morts en 2-3 ans pour son prédécesseur ? Qui le bat donc haut la main, mais n’est pas attaqué ?

  • Yanis Varoufakis: „Wir sind verantwortlich für die Niederlage der Linken“
    https://www.fr.de/politik/yanis-varoufakis-interview-niederlage-linke-deutschland-israel-ukraine-krieg-isra

    4.4.2024, von: Baha Kirlidokme -Der ehemalige griechische Finanzminister Yanis Varoufakis spricht über das Ende der Sozialdemokratie, den Zustand der EU und Frieden in der Welt.

    Herr Varoufakis, wir befinden uns in einer Zeit der großen Unordnung. Auf zahlreiche Krisen findet scheinbar niemand Antworten. Auch die politische Linke tut sich schwer, mit ihren Lösungsansätzen zu überzeugen. Woran liegt das?

    Erlauben Sie mir zu sagen, dass das Problem meiner Meinung nach darin besteht, dass die Leute keine Ideen mehr hören wollen. Nicht nur die Ideen der Linken. Die Rechte ist erfolgreich, weil die Menschen wütend sind – und die Rechten profitieren immer von der Wut der Menschen. Wir haben also eine Niederlage der Politik, nicht nur eine Niederlage der Linken. Die Linke ist sowieso völlig besiegt. Den Rechten geht es gut, weil die Menschen auf ihre Ideen hören. Niemand glaubt mehr an die Politiker. Auch nur sehr wenige AfD-Wähler glauben an die AfD. Viele von ihnen möchten das politische Establishment ärgern.

    Das ist auch in den USA zu beobachten. Die meisten Menschen, die für Trump gestimmt haben, glauben nicht an Trump. Sie wissen, dass er ein Lügner ist. Er ist ein Sexist. Er gibt vor, Christ zu sein, ist es aber nicht. Er gibt vor, schwulenfeindlich zu sein, ist es aber nicht. Aber seine Wähler:innen dachten sich „Okay, wie kann ich den Clintons, den Obamas, den Bushs, dem Establishment ans Bein pinkeln?“

    Welche Zusammenhänge spielen hier zusammen?

    Ich erinnere mich an den Zusammenbruch von Lehman Brothers im Jahr 2008. Ich habe die ganze Sache kommen sehen. Nicht weil ich schlau bin, sondern weil es schon einmal passiert ist. Dieser Moment war wie 1929. Die Weltordnung brach zusammen. Das war nicht nur eine Krise des Kapitalismus, es war eine Katastrophe des Kapitalismus. Wir hatten auch 1981 eine Rezession, oder 1991. Aber was geschah nach 1929? Sparpolitik und der Versuch, die Verluste der Banker auf die Schultern der Arbeiterklasse abzuwälzen. Dazu kam eine Spaltung der Linken, zwischen den Sozialdemokraten, den Kommunisten und anderen. Wer hat profitiert? Die Faschisten. Ich habe ein Buch darüber geschrieben, lange bevor es passierte.

    Nicht weil ich prophetisch bin, sondern weil man, wenn man einen Film einmal gesehen hat und dann einen neuen Film mit demselben Anfang sieht, wissen sollte, wohin es geht. Wir hatten 2015 mit Syriza die Gelegenheit in Griechenland, diesen Kreislauf zu durchbrechen. Dort war das Auge des Sturms. Was, wenn wir Erfolg gehabt hätten? Dann wäre Podemos anders gewesen. In Frankreich wäre es anders gelaufen. Aber wir sind mit Syriza gescheitert, wir sind verantwortlich für die Niederlage der Linken in ganz Europa.

    Viele linke oder vermeintlich linke Parteien werden derzeit wirtschaftsliberaler. Syriza hat einen Kapitalisten als Parteichef, die Labour Party hat sich von Corbyns Linksruck verabschiedet. Für manche wird die deutsche Linkspartei immer sozialdemokratischer und die SPD immer rechter. Das gab es schon in den 1990er Jahren und frühen 2000ern, Stichwort Schröder-Blair-Papier. Warum lernen diese Parteien nicht aus der Geschichte?

    Sie lernen aus zwei Gründen nicht aus der Geschichte. Erstens, weil Parteien keine Menschen sind. Sie sind Organisationen mit Macht. Wenn man in einer Welt lebt, in der die Macht sehr geballt ist, ist es für Parteien einfach, von der Agenda der Wenigen, der Oligarchie, infiziert zu werden. Und wenn man jemanden wie mich oder Jeremy Corbyn hat, die gegen die Vertreter der Oligarchie in der eigenen Partei aufstehen, können letztere nur ein Ziel haben, nämlich uns zu stürzen. Sie ziehen den rechten Flügel dem linken Flügel vor. Und wie man sieht hat das ziemlich gut funktioniert.
    Zur Person

    Yanis Varoufakis (63) ist griechischer Ökonom und ehemaliger Politiker. Während der Finanzkrise Griechenlands war er von Januar bis Juni 2015 Finanzminister. Aufgrund seines Widerstands gegen die Troika bekam er besonders in Deutschland Aufmerksamkeit.

    Im Jahr 2016 gründete Varoufakis die paneuropäische Bewegung DiEM25. Mit ihrer Partei MERA25 zog er 2019 ins griechische Parlament ein. Beim deutschen Ableger der Partei war er Spitzenkandidat für die EU-Wahl. Auch dieses Jahr tritt MERA25 an. kbi

    Und der zweite Grund?

    Der geht viel tiefer: Die Sozialdemokratie ist am Ende. Grund ist die Art und Weise, wie sich der Kapitalismus entwickelt hat. Als Willy Brandt regierte, oder Harold Wilson zur selben Zeit in Großbritannien, oder Bruno Kreisky in Österreich, war ihre Aufgabe, sich mit den Vertretern des industriellen Kapitals und den Gewerkschaften an einen großen Tisch zu setzen und einen Deal zu machen. Ein Teil des Mehrwerts wird an die Arbeiter:innen gehen, ein weiterer Teil geht an mich, an den Staat, um den Sozialstaat zu finanzieren. Das war die Sozialdemokratie und sie hat sogar ganz gut funktioniert.

    Dann, nach 1971, kam das Ende von der Bretton-Woods-Währungsordnung, und die Entfesselung des Finanzkapitals, die Macht wanderte vom industriellen Wirtschaftszweig zum Finanzzweig. Die Sozialdemokraten in Form von Blair und Schröder machten jetzt also Deals mit den Bankern, statt mit Industrie und Gewerkschaften. Das bedeutete, dass man die Finanzwirtschaft in Ruhe ließ und sagte, macht, was ihr wollt, es gibt keine Vorschriften. Im Gegenzug gebt ihr uns einen Teil eures Supergewinns, um Krankenhäuser zu finanzieren.

    Genau das hat Schröder getan. Genau das hat Blair getan. Doch dann brach das Bankensystem zusammen. Und die Sozialdemokraten verstanden nicht, was passiert war. Sie verfügten nicht über die analytischen Fähigkeiten, um zu verstehen, dass es ihre Schuld war. Außerdem hatten sie nicht die moralische Autorität, um den Bankern zu sagen: Ihr seid raus. Denn diese Banker finanzierten nicht nur die Krankenhäuser, sondern auch ihre Karrieren.

    Geht Sahra Wagenknecht deshalb mit ihrer Partei BSW einen anderen Weg? Auf der einen Seite gibt es klassische marxistische Werte...

    Nicht marxistisch, nein.

    Sagen wir also links.

    Eher altmodisch sozialdemokratisch liberal.

    Die BSW präsentiert sich als Kontrast zu anderen Parteien und betonen, sie würden Dialog und Frieden hochhalten. Das bewerten viele erst einmal als links.

    Als Linker bin ich davon nicht beeindruckt.

    Die Kombination aus Fokus auf den Mittelstand und rechten Ansichten, etwa wenn es um Migration geht, scheint aber zu funktionieren. Warum?

    Weil sie rechtslastig ist.

    Ist das nicht zu einfach?

    Weil es Nationalismus ist. Der sozialistische Nationalismus war nie eine gute Antwort auf den Nationalsozialismus.
    Yanis Varoufakis hat „die Hoffnung verloren“ - „ich habe große Angst um Europas Zukunft“

    Lassen Sie uns über Austerität sprechen. Wir haben gesehen, was Deutschland in Südeuropa mit einer knallharten Sparpolitik angerichtet hat. Mit dem Festhalten an der Schwarzen Null sagen viele Ökonom:innen, dass Deutschland sich das nun selbst antut.

    Austerität ist eine deutsche Theorie und Politik. Sie ist, historisch gesehen, eine sozialdemokratische. Und ich erinnere mich, dass Steinbrück damals als Finanzminister sagte, er müsste als Demokrat Sparmaßnahmen durchsetzen. Doch auf diese Weise lässt sich kein finanzieller Spielraum für die Politik schaffen. Aus makroökonomischer Sicht ist das falsch und unzutreffend. Austerität hat noch nie funktioniert und wird auch nie funktionieren. Eher lernen Schweine fliegen.

    Nun hat Ihre paneuropäische Partei MERA25 genug Unterschriften gesammelt, um bei der EU-Wahl anzutreten. Deshalb der Blick auf die politischen Mechanismen der EU: Könnte ein ökonomisch schwächeres Deutschland, auch wenn das der deutschen Bevölkerung nicht zu wünschen ist, das EU-Parlament, den Rat und die Kommission nicht sogar demokratisieren? Deutschlands Machtposition kommt eben auch durch seine Wirtschaftskraft.

    Nein. Ich habe die Hoffnung verloren. Als ich in der Regierung war, gab es in Europa ein Nord-Süd-Gefälle. Jetzt gibt es zusätzlich ein Ost-West-Gefälle. Sehen Sie, die Eurokrise war eine fantastische Gelegenheit für uns alle auf dem Weg zu einer politischen Union. Wir haben diese Gelegenheit aber nicht genutzt. Stattdessen haben wir einen Prozess der Zersplitterung in Gang gesetzt und dieser erlaubt niemals eine Demokratisierung. Jeder macht sein eigenes Ding.

    Der Binnenmarkt ist bereits verschwunden. Schon jetzt werden die Regeln für staatliche Beihilfen in vollem Umfang verletzt. Und dann gibt es noch die reichen Länder wie Deutschland, die Geld vernichten, Subventionen, die gegen die Regeln des Binnenmarktes verstoßen, gegen staatliche Beihilfen, dem Länder wie Portugal in gewisser Weise gefolgt sind. Das führt nicht zu einer Demokratisierung. Ich hoffe, ich liege falsch, aber ich habe große Angst um Europas Zukunft.

    Es regen sich auch Zeichen von Widerstand. In Deutschland demonstrieren immer noch tausende Menschen gegen rechte Politik. Mit dabei auch CDU und die Regierungsparteien, die aufgrund ihrer Politik für den Rechtsruck mitverantwortlich gemacht werden. Wie beurteilen Sie das?

    Die Regierungsparteien haben den Rechtsruck geschaffen. Ich erinnere mich, dass ich Schäuble damals gesagt habe: „Ich weiß, dass ihr uns nicht mögt, weil wir Linke sind. Aber wir sind Demokrat:innen und wir sind Europäer:innen. Wenn ihr uns zerquetscht, habt ihr es mit anti-europäischen Rechten zu tun.“ Er sah mich an, als ob ich ihn veräppeln wollte. Aber genau das ist eingetroffen. Die Geschichte der 30er Jahre wiederholt sich.

    Aber eine Bemerkung zu diesen Demonstrationen gegen Rechts: Ich bin froh, dass die Menschen sofort auf die Straße gegangen sind, als sie hörten, dass es ein geheimes Treffen gab zwischen der AfD und den anderen Mistkerlen … äh … Gruppen, in dem die Beseitigung von Bürgern mit Migrationshintergrund geplant wurde. Aber wie kann ein Teil von den Demonstrierenden gleichzeitig die ethnische Säuberung durch Israel unterstützen? Hier werden die Einheimischen deportiert, aus dem Land Palästina.

    Viele Deutsche würden dem nicht zustimmen.

    Die Palästinenser:innen sind Einheimische. Sie sind nicht erst vor 20 Jahren gekommen und haben sich ihren Pass geholt. Viele Deutsche wissen das gar nicht? Ich glaube nicht, dass sie nicht wissen, dass die Palästinenser:innen seit tausend Jahren dort sind. Und jetzt werden sie von Siedler:innen vertrieben, die aus New Jersey stammen.

    Varoufakis steht für seine Aussage, er verurteile weder die Hamas, noch israelische Siedler oder Benjamin Netanjahu, sondern Europäer:innen als Verantwortliche für den Nahostkonflikt (FR berichtete) in der Kritik. Auch in diesem Interview verwendet er kontrovers diskutierte Begriffe.

    Der Internationale Gerichtshof in Den Haag hat nach einer Klage Südafrikas festgestellt, dass er Anzeichen für einen mögichen Genozid beziehungsweise ethnische Säuberungen in Gaza sieht. Diese Ansicht wird nicht allgemein geteilt. Die israelische Regierung sieht darin eine antisemitische Haltung.

    Die Bezeichnung von Israels Ungleichbehandlung palästinensischer Menschen als „Apartheid“ ist umstritten und bezieht sich auf ungleiche Rechtssysteme vor allem im Westjordanland.

    Die Formulierung „from the river to the sea, Palestine will be free“ zu deutsch „vom Fluss bis zum Meer, Palästina wird frei sein“ wird mit Vernichtungserzählungen der Hamas in Verbindung gebracht. Die Parole gilt seit dem Hamasangriff vom 7. Oktober in manchen Orten als strafbar. Schon in den in den 1960ern wurde sie von der Partei „Palästinensische Befreiungsorganisation“ verwendet.

    Mit der Parole drücken manche einen Exklusiv-Anspruch der palästinensischen Menschen auf das Gebiet aus, aber auch auf einen gemeinsamen Staat für Israelis und Palästinenser:innen, welcher durch das Völkerrecht gedeckt wäre. Die rechts- konservative Likud-Partei des israelischen Ministerpräsidenten Benjamin Netanjahu lehnte sich im Wahlkampf von 1977 an diese Formulierung an, als Unterstreichung eines Großisraels, das sich vom Jordan bis hin zum Mittelmeer erstreckt. FR

    Wie könnte eine Lösung für den Krieg gegen Gaza aussehen?

    Wie wäre es mit der Beendigung der Apartheid? Ich war 1978 Mitglied des African National Congress. Wer hat die Apartheid in Südafrika beendet? Die internationale Gemeinschaft. Als einige von uns in London gegen die Apartheid demonstrierten, wurden wir von der Polizei verprügelt. Wir hatten einen Premierminister, der behauptete, Mandela sei ein Terrorist. Was wir damals gegen die Apartheid in Südafrika gemacht haben, war Boykott, Desinvestition und Sanktionierung.

    Das müssen wir auch gegen Israel betreiben. Die internationale Gemeinschaft kann den Israelis und Palästinenser:innen nicht sagen, wie ihr Staat aussehen soll. Das ist deren Aufgabe. Aber es ist unsere Aufgabe, für Gleichberechtigung einzutreten. Vom Fluss bis zum Meer. Ob es dann ein Staat ist, zwei Staaten, sechs oder ein halber Staat, werden die Menschen dort entscheiden müssen.
    Ein Dialog zwischen Kriegstreibern und Waffenhändlern - Varoufakis wirbt für Friedensbemühungen

    Im Februar haben Sie in München gegen die Sicherheitskonferenz protestiert. Am selben Wochenende haben Sie gesagt, dass der Dialog in der Außenpolitik nicht abreißen darf. Nun fanden zum Krieg gegen Gaza Dialoge auf der Konferenz statt, wenn auch hinter verschlossenen Türen.

    Erinnern Sie sich an die Scorsese-Filme über die Mafia in New York? Sie treffen sich, sie geben ihre Waffen am Eingang ab, sie sitzen alle an einem Tisch, essen Pasta und unterhalten sich. Das ist ein Dialog. Aber ein Dialog unter Mafiosi. So sieht es auch auf der Münchener Sicherheitskonferenz aus. Es ist ein Dialog zwischen Kriegstreibern und Waffenhändlern. Und ich bin nicht daran interessiert, denen zuzuhören, wie sie versuchen, ihren Begriff der Sicherheit zu verkaufen, nachdem sie die Kriege erst verursacht haben. Genau wie die Mafia.

    Die Mafia schafft eine Bedrohung und bietet den Menschen dann ihren Schutz an. So wie die Nato. Die Nato hat Europa nichts zu bieten außer wirtschaftlichem Niedergang, geopolitischer Bedeutungslosigkeit und Unterordnung unter den Vereinigten Staaten und ihrer endlosen Kriege.

    Für einige Länder ist die Nato die einzige Möglichkeit, sich geschützt zu fühlen.

    Nun, ich habe meinen Genoss:innen in Polen und Litauen Folgendes gesagt: Ich verstehe, dass ihr unter den Stiefeln der russischen Soldaten, der sowjetischen Soldaten, gelebt habt. Aber wer hat Putin geschaffen? Putin ist eine Schöpfung des Westens. Ohne die Verelendung und Verarmung Russlands durch den Westen wäre Russland nach 1991 nicht zusammengebrochen. Und die russische politische Klasse unter Jelzin hatte kein Interesse mehr an einem Rüstungswettlauf mit dem Westen. Sie war dem Westen gegenüber völlig offen. Putin selbst hat in den ersten Monaten seiner Präsidentschaft vorgeschlagen, dass Russland der Nato beitritt.

    Und was macht die Nato? Sie sagt Nein und fängt an, zunehmend expansionistisch zu werden. Das gibt jemandem wie Putin die perfekte Gelegenheit, Alarmbereitschaft und Militarismus zu propagieren, aufzurüsten und dann eine Bedrohung für Polen und Litauen darzustellen. Die Nato hat die Bedrohung geschaffen, die sie nachts um den Schlaf bringt. Und sie wird diese Bedrohung nicht beseitigen. Denn es liegt im Interesse derjenigen, die hinter der Nato stehen, diese Bedrohung auf dem höchsten Niveau zu halten. Wenn sie aber Putin so sehr hassen wie ich, wissen Sie, was sie tun sollten? Schließen Sie mit ihm ein Abkommen über den Frieden in der Ukraine.

    Wie würde das aussehen?

    Putin erklärt sich bereit, seine Truppen bis hinter die Grenzen vom 22. Februar 2022 zurückzuziehen. Zurück zurzeit vor dieser Invasion. Gleichzeitig gibt es ein internationales Abkommen, das die Unabhängigkeit und Souveränität der Ukraine gewährleistet und Putin verspricht, dass die Ukraine nicht der Nato beitreten wird. Man muss dafür China als Garant dabei haben. Man braucht die Europäische Union. Und die Vereinigten Staaten, denn natürlich kann man Putin nicht trauen. Putin braucht etwas, um sich in Russland als Sieger zu präsentieren. So könnte er sagen: Ich bin einmarschiert und habe die Zusage bekommen, dass die Ukraine nicht Teil der Nato wird. Der Donbass ist allerdings kompliziert. Ich habe dort Menschen getroffen, die sich als Ukrainer:innen sehen und Menschen, die sich als Russ:innen sehen. In den 1970er- und 80er-Jahren war das in Nordirland ähnlich.

    Es schien unmöglich, dass sich Protestant:innen und Katholik:innen einigten. Am Ende gab es das Karfreitagsabkommen. Das könnte für den Donbass eine Blaupause sein. Das System ist sehr umständlich und schafft Probleme, aber es funktioniert. Das ist eine gute Alternative zu Krieg oder ethnischer Säuberung. Unter diesen Bedingungen sollten die Ukrainer:innen in einem Referendum abstimmen, ob sie der EU beitreten wollen. Die Frage nach der Zugehörigkeit der Krim soll über die kommenden 500 Jahre in den Vereinten Nationen erörtert werden. Das wäre doch die pragmatischste Lösung, oder?

    Zumindest in der Theorie klingt das so. Aber woran scheitert der Dialog?

    Ich denke, die Antwort ist ganz einfach: Washington will das nicht. Wenn jemand zu mir sagt, aber Putin würde dem nicht zustimmen. Wissen Sie, was ich sagen würde? Haben Sie es ihm schon vorgeschlagen? Was haben Sie zu verlieren? Ich kann nicht garantieren, dass Putin dem zustimmen würde. Ich weiß es nicht. Aber ich sehe es als Pflicht an, es zu probieren. Und wenn er ablehnt, können wir wieder an das Reißbrett gehen.

    #Grèce #Europe #gauche

  • The Hellenic Data Protection Authority fines the Ministry of Migration and Asylum for the “Centaurus” and “Hyperion” systems with the largest penalty ever imposed to a Greek public body

    Two years ago, in February 2022, Homo Digitalis had filed (https://homodigitalis.gr/en/posts/10874) a complaint against the Ministry of Immigration and Asylum for the “#Centaurus” and “#Hyperion” systems deployed in the reception and accommodation facilities for asylum seekers, in cooperation with the civil society organizations Hellenic League for Human Rights and HIAS Greece, as well as the academic Niovi Vavoula.

    Today, the Hellenic Data Protection Authority identified significant GDPR violations in this case by the Ministry of Immigration and Asylum and decided to impose a fine of €175.000 euro – the highest ever imposed against a public body in the country.

    The detailed analysis of the GDPR highlights the significant shortcomings that the Ministry of Immigration and Asylum had fallen into in the context of preparing a comprehensive and coherent Data Protection Impact Assessment, and demonstrates the significant violations of the GDPR that have been identified and relate to a large number of subjects who have a real hardship in being able to exercise their rights.

    Despite the fact that the DPA remains understaffed, with a reduced budget, facing even the the risk of eviction from its premises, it manages to fulfil its mission and maintain citizens’ trust in the Independent Authorities. It remains to be seen how long the DPA will last if the state does not stand by its side.

    Of course, nothing ends here. A high fine does not in itself mean anything. The Ministry of Immigration and Asylum must comply within 3 months with its obligations. However, the decision gives us the strength to continue our actions in the field of border protection in order to protect the rights of vulnerable social groups who are targeted by highly intrusive technologies.

    You can read our press release here: https://homodigitalis.gr/wp-content/uploads/2024/04/PressRelease_%CE%97omoDigitalis_Fine-175.000-euro_Hellenic_Data_Protec

    You can read Decision 13/2024 on the Authority’s website here: https://www.dpa.gr/el/enimerwtiko/prakseisArxis/aytepaggelti-ereyna-gia-tin-anaptyxi-kai-egkatastasi-ton-programmaton

    https://homodigitalis.gr/en/posts/132195

    #Grèce #surveillance #migrations #réfugiés #justice #amende #RGDP #données #protection_des_données #camps_de_réfugiés #technologie

    • Griechenland soll Strafe für Überwachung in Grenzcamps zahlen

      Wie weit darf die EU bei der Überwachung von Asylsuchenden an ihren Grenzen gehen? Griechenland testet das in neuen Lagern auf den Ägäischen Inseln. Nun hat die griechische Datenschutzbehörde dafür eine Strafe verhängt. Bürgerrechtler:innen hoffen auf eine Entscheidung mit Signalwirkung.

      Doppelter „Nato-Sicherheitszaun“ mit Stacheldraht. Kameras, die selbst den Basketballplatz und die Gemeinschaftsräume rund um die Uhr im Blick haben. Drohnen sorgen für Überwachung aus der Luft. Das Lager auf Samos, das die griechische Regierung 2021 mit viel Getöse eröffnet hat, gleicht eher einem Gefängnis als einer Erstaufnahme für Asylsuchende, die gerade in Europa gelandet sind.

      Das Überwachungssystem, das in diesem und vier weiteren Lagern auf den griechischen Inseln für „Sicherheit“ sorgen soll, heißt Centaurus. Die Bilder aus den Sicherheitskameras und Drohnen laufen in einem Kontrollzentrum im Ministerium in Athen zusammen. Bei besonderen Situationen sollen auch Polizeibehörden oder die Feuerwehr direkten Zugang zu den Aufnahmen bekommen. Mit dem System Hyperion wird der Zugang zum Lager kontrolliert: biometrischen Eingangstore, die sich nur mit Fingerabdrücken öffnen lassen.

      Für den Einsatz dieser Technologien ohne vorherige Grundrechtsprüfung hat das Ministerium nun eine Strafe kassiert. Die griechische Datenschutzaufsicht sieht einen Verstoß gegen Datenschutzgesetze in der EU (DSGVO). In einem lang erwarteten Beschluss belegte sie vergangene Woche das Ministerium für Migration und Asyl mit einem Bußgeld von 175.000 Euro.
      Erst eingesetzt, dann Folgen abgeschätzt

      Zwei konkrete Punkte führten laut Datenschutzbehörde zu der Entscheidung: Das Ministerium hat es versäumt, rechtzeitig eine Datenschutz-Folgenabschätzung zu erstellen. Gemeint ist damit eine Bewertung, welche Auswirkungen der Einsatz der Überwachung auf die Grundrechte der betroffenen Personen hat. Es geht um die Asylsuchenden, die in den Lagern festgehalten werden, aber auch Angestellte, Mitarbeitende von NGOs oder Gäste, die das Lager betreten.

      Eine solche Abschätzung hätte bereits vor der Anschaffung und dem Einsatz der Technologien vollständig vorliegen müssen, schreibt die Aufsichtsbehörde in ihrer Entscheidung. Stattdessen ist sie bis heute unvollständig: Ein Verstoß gegen die Artikel 25 und 35 der Datenschutzgrundverordnung, für die die Behörde eine Geldbuße in Höhe von 100.000 Euro verhängt.

      Zusätzlich wirft die Behörde dem Ministerium Intransparenz vor. Dokumente hätten beispielsweise verwirrende und widersprüchliche Angaben enthalten. Verträge mit den Unternehmen, die die Überwachungssysteme betreiben, hätte das Ministerium mit Verweis auf Geheimhaltung gar nicht herausgegeben, und damit auch keine Details zu den Bedingungen, zu denen die Daten verarbeitet werden. Wie diese Systeme mit anderen Datenbanken etwa zur Strafverfolgung verknüpft sind, ob also Aufnahmen und biometrische Daten auch bei der Polizei landen könnten, das wollte das Ministerium ebenfalls nicht mitteilen. Dafür verhängte die Aufsichtsbehörde weitere 75.000 Euro Strafe.
      Ministerium: Systeme noch in der Testphase

      Das Ministerium rechtfertigt sich: Centaurus und Hyperion seien noch nicht vollständig in Betrieb, man befinde sich noch in der Testphase. Die Aufsichtsbehörde habe nicht bedacht, dass „die Verarbeitung personenbezogener Daten nicht bewertet werden konnte, bevor die Systeme in Betrieb genommen wurden“. Hinzu kämen Pflichten zur Geheimhaltung, die sich aus den Verträgen mit den Unternehmen hinter den beiden Systemen ergeben.

      Die Behörde hat das nicht durchgehen lassen: Rein rechtlich mache es keinen Unterschied, ob ein System noch getestet wird oder im Regelbetrieb sei, schriebt sie in ihrer Entscheidung. Die Abschätzung hätte weit vorher, nämlich bereits bei Abschluss der Verträge, vorliegen müssen. Noch dazu würden diese Verstöße eine große Zahl an Menschen betreffen, die sich in einer besonders schutzlosen Lage befänden.

      Abschalten muss das Ministerium die Überwachungssysteme allerdings nicht, sie bleiben in Betrieb. Es muss lediglich binnen drei Monaten den Forderungen nachkommen und fehlende Unterlagen liefern. Das Ministerium kündigt an, die Entscheidung rechtlich überprüfen und möglicherweise anfechten zu wollen.
      Geheimhaltungspflicht keine Ausrede

      „Die Entscheidung ist sehr wichtig, weil sie einen sehr hohen Standard dafür setzt, wann und wie eine Datenschutz-Folgenabschätzung erfolgreich durchgeführt werden muss, sogar vor der Auftragsvergabe“, sagt Eleftherios Helioudakis. Er ist Anwalt bei der griechischen Organisation Homo Digitalis und beschäftigt sich mit den Auswirkungen von Technologien auf Menschenrechte. Eine Beschwerde von Homo Digitalis und weiteren Vereinen aus dem Jahr 2022 hatte die Untersuchung angestoßen.

      Helioudakis sagt, die Entscheidung mache deutlich, dass mangelnde Kommunikation mit der Datenschutzbehörde zu hohen Geldstrafen führen kann. Außerdem sei nun klar: Das Ministerium kann Vertragsklauseln zum Datenschutz nicht aus Gründen der Geheimhaltung vor der Datenschutzbehörde verbergen, denn für deren Untersuchungen ist die Geheimhaltungspflicht aufgehoben – wie es die DSGVO vorsieht. Das Urteil der Behörde beziehe sich zudem erst mal nur auf die Mängel bei der Einführung der Systeme, so der Bürgerrechtler. Es könnten also neue Fälle bei der Datenschutzbehörde anhängig gemacht werden.

      Die Sanktionen sind laut der Hilfsorganisation Hias die höchsten, die die Datenschutzbehörde je gegen den griechischen Staat verhängt hat. In der Summe fallen die Strafzahlungen allerdings gering aus. Sind die Datenschutzregeln der EU wirklich das geeignete Instrument, um die Rechte von Asylsuchenden zu schützen? Eleftherios Helioudakis sagt ja. „Die gesetzlichen Bestimmungen der Datenschutz-Grundverordnung sind Instrumente, mit denen wir die Bestimmungen zum Schutz personenbezogener Daten praktisch durchsetzen können.“ Es gebe keine richtigen und falschen Ansätze. „Wir können die uns zur Verfügung stehenden juristischen Instrumente nutzen, um unsere Strategie zu bündeln und uns gegen übergriffige Praktiken zu wehren.“

      Die Lager auf den Ägäischen Inseln werden vollständig von der EU finanziert und gelten als „Modell“. Nach ihrem Vorbild plant die EU in den kommenden Jahren weitere Lager an ihren Außengrenzen zu errichten. Die Entscheidung der griechischen Datenschutzaufsicht wird von der Kommission vermutlich mit Interesse verfolgt. Sie macht deutlich, unter welchen Voraussetzungen Überwachungstechnologien in diesen Camps eingesetzt werden können.

      https://netzpolitik.org/2024/panopticon-fuer-gefluechtete-griechenland-soll-strafe-fuer-ueberwachung

  • Plastic experts say recycling is a scam. Should we even do it anymore?

    Evidence shows fossil fuel companies pushed recycling instead of addressing our growing plastic problem

    When the #Center_for_Climate_Integrity released its report (https://climateintegrity.org/plastics-fraud) about plastic recycling, one might have expected the environmentalist non-profit to encourage the practice. Anyone raised in the late-20th and early-21st century knows that the term “recycle” is often synonymous with “environmentalist causes.”

    Yet the title of Center for Climate Integrity’s report — “The Fraud of Plastic Recycling” — reveals a very different point-of-view. What if plastic recycling in fact does little to help the environment, and instead serves the interests of the same Big Oil interest groups destroying Earth’s ecosystems?

    “Through new and existing research, ’The Fraud of Plastic Recycling’ shows how Big Oil and the plastics industry have deceptively promoted recycling as a solution to plastic waste management for more than 50 years, despite their long-standing knowledge that plastic recycling is not technically or economically viable at scale,” the authors of the report proclaim. “Now it’s time for accountability.”

    The Center for Climate Integrity is not alone in characterizing plastic recycling as a false crusade. Erica Cirino, communications manager at the Plastic Pollution Coalition and author of “Thicker Than Water: The Quest for Solutions to the Plastic Crisis,” pointed to data that clearly shows we do very little recycling anyway, despite the overwhelming emphasis on it.

    “In 2017, scientists estimated that just 9% of the 6.3 billion metric tons of plastics produced from about the 1950s (when plastics were first mass produced) up to 2015 had been recycled,” Cirino told Salon. “Plastic recycling rates vary widely from region to region around the world. In the U.S., plastic recycling rates are currently below 6 percent.”

    Yet even those numbers are deceptive, Cirino warned, as they incorrectly imply that at least the plastic which does get “recycled” is handled in ways that help the environment. “Unfortunately, it doesn’t matter where or how you set out your plastic for recycling collection, whether at the end of your driveway, at your local recycling center, or in a municipal recycling bin: Most plastic items collected as recycling are not actually recycled,” Cirino explained. “Surprisingly, plastic is not designed to be recycled — despite industries and governments telling the public that we should recycle plastic.”

    Instead the plastics that people think get “recycled” are often instead shipped from the Global North to the Global South, with waste haulers often dumping and openly burning plastic without regard to environmental laws, Cirino explained. People who live near the sites where these things happen face a lifetime of health risks, to say nothing of living in a degraded environment.

    “People who earn incomes by picking wastes make the least from cheap plastics, and because of constant exposure to plastics in their line of work face elevated risks of cancers, infectious diseases (which cling to plastics), respiratory problems and other serious health issues.” Even the plastics that do get reused somehow are less “recycled” than “downcycled,” as “manufacturers mix in a large portion of freshly made plastic or toxic additives to melted down plastic waste to restore some of its desirable properties.”

    If you want to understand why the general public mistakenly believes that plastic pollution significantly helps the environment, one must look at the same fossil fuel companies that caused the problem.

    “Many people in the Baby Boomer Generation and Generation X remember the ’crying Indian ad’ that was published in the 1970s,” Melissa Valliant, communications director for the nonprofit Beyond Plastics, told Salon by email. “It was an iconic ad of the time, created by Keep America Beautiful — a corporate front created in 1953 by powerful generators of plastic waste, like PepsiCo and Coca-Cola. This was really the start of a decades-long streak of multi-million dollar ad campaigns leveraged by the plastics industry to convince consumers that if they just were a little better at putting the right plastic in the right bin, the plastic pollution problem would disappear.”

    Simply put, the same companies that created the plastic pollution crisis are motivated to keep the public from believing that their product needs to be phased out. By claiming to care about the environment while presenting a false solution to the problem of plastic pollution — one that, conveniently, removes the onus of responsibility from the companies themselves — plastic manufacturers have been able to have their cake and eat it too.

    “The continued promotion of recycling, which is a proven failure, distracts from the real solutions,” John Hocevar, Greenpeace USA Oceans Campaign Director, told Salon by email. “Most people agree that we can no longer afford to produce trillions of items packaged in a material that will last for generations and that we will only use for a few minutes or seconds before being discarded. Plastic bottles and bags don’t typically get turned into bottles and bags, but the myth that they will is one of the biggest barriers to real solutions.”

    Indeed, a compelling question arises from the fact that the crusade to recycle plastic is more corporate propaganda than true Earth-saving measure: Should we recycle plastic at all?

    “No,” Cirino told Salon. “Even if plastic recycling rates were higher, recycling alone could never come close to solving the serious and wide-ranging health, justice, socio-economic, and environmental crises caused by industries’ continued plastic production and plastic pollution, which go hand in hand.” Cirino argued that, given how plastic production has grown exponentially and its pollution problems have likewise worsened, emphasizing recycling over meaningful solutions is at best irresponsible.

    “It’s clear recycling is not enough to solve the plastic pollution crisis,” Cirino concluded. “The fossil fuel industry, governments, and corporations really need to turn off the plastic tap, and the UN Plastics Treaty could be an opportunity to do so on a global level—if member states can come together and form a treaty with real ambition. Ultimately, our world must decide what it values: money or life.”

    Erin Simon, the vice president and head of plastic waste and business at the World Wildlife Fund (WWF), offered a different perspective.

    “Everyone has a role to play – and that includes the average consumer as well,” Simon wrote to Salon. “But individuals are often limited in what they can contribute because recycling infrastructure and availability is different in every community. For those who can recycle, they should understand what can and can’t go in their recycling bin by contacting their local waste manager. For those who currently can’t recycle at home or work, they should advocate for better access to recycling services by contacting local community leaders and local government officials. In addition to recycling, shifting to reusable products is another way for individuals to reduce personal waste.”

    Simon also advocates for multinational approaches, writing to Salon that the upcoming fourth (of five) negotiating session for a United Nations Global Treaty to End Plastic Pollution has promise.

    “A Global Treaty is a once-in-a-generation opportunity for governments, businesses, and communities to secure a future free from plastic pollution,” Simon explained. “As we approach the next round of negotiations in April 2024 in Canada, WWF will be advocating to ensure the final draft of the treaty is globally binding for all Member states, and provides a clear path to ban, phase out or reduce problematic single-use plastics. WWF is also calling for the treaty to include defined requirements for product design and innovation in plastic waste management systems, while also providing policies and incentives that allow businesses to transition to more sustainable and innovative options.”

    Hocevar also praised the Global Plastics Treaty as a possible solution to the pollution crisis.

    “The Global Plastics Treaty being negotiated right now is a huge opportunity to finally solve the plastics crisis,” Hocevar told Salon. “We need President Biden to ensure that the U.S. deals with the root cause and works to reduce plastic production and use. Without dramatically reducing plastic production, it will be impossible to end plastic pollution.”

    Chelsea Linsley, a staff attorney at the Center for Climate Integrity and one of the report co-authors, perhaps summed it up best.

    “The best and most effective solution to the plastic waste crisis is to reduce the amount of plastic produced in the first place, especially for unnecessary single-use plastics,” Linsley wrote to Salon. “The Break Free from Plastic Pollution Act is an example of legislation that could implement real solutions, such as reducing and banning non-recyclable or easily replaced single-use plastics and establishing programs to support reuse and refill efforts. However, for such measures to be successful, the plastics industry must not be allowed to perpetuate the myth that recycling is an equally effective solution.”

    https://www.salon.com/2024/02/23/plastic-experts-say-recycling-is-a-scam-should-we-even-do-it-anymore

    #recyclage #plastique #greenwashing #green-washing #rapport #arnaque #escroquerie
    via @freakonometrics

  • How Hollywood writers triumphed over AI – and why it matters | US writers’ strike 2023 | The Guardian
    https://www.theguardian.com/culture/2023/oct/01/hollywood-writers-strike-artificial-intelligence
    https://i.guim.co.uk/img/media/689771a4945d1c8d8a88bf3f3d759512c6110153/0_221_5292_3175/master/5292.jpg?width=1200&height=630&quality=85&auto=format&fit=crop&overlay-ali

    Hollywood writers scored a major victory this week in the battle over artificial intelligence with a new contract featuring strong guardrails in how the technology can be used in film and television projects.

    With terms of AI use finally agreed, some writers are breathing easier – for now – and experts say the guidelines could offer a model for workers in Hollywood and other industries. The writers’ contract does not outlaw the use of AI tools in the writing process, but it sets up guardrails to make sure the new technology stays in the control of workers, rather than being used by their bosses to replace them.

    The new rules guard against several scenarios that writers had feared, comedian Adam Conover, a member of the WGA negotiating committee, told the Guardian. One such scenario was studios being allowed to generate a full script using AI tools, and then demanding that human writer complete the writing process.

    Under the new terms, studios “cannot use AI to write scripts or to edit scripts that have already been written by a writer”, Conover says. The contract also prevents studios from treating AI-generated content as “source material”, like a novel or a stage play, that screenwriters could be assigned to adapt for a lower fee and less credit than a fully original script.

    For instance, if the studios were allowed to use chatGPT to generate a 100,000-word novel and then ask writers to adapt it, “That would be an easy loophole for them to reduce the wages of screenwriters,” Conover said. “We’re not allowing that.” If writers adapt output from large language models, it will still be considered an original screenplay, he said.

    Simon Johnson, an economist at MIT who studies technological transformation, called the new terms a “fantastic win for writers”, and said that it would likely result in “better quality work and a stronger industry for longer”.

    #Intelligence_artificielle #Scénaristes #Hollywood #Grève

  • Soutien des #personnels de l’#Enseignement_supérieur à la #grève dans l’éducation de #Seine-Saint-Denis | Le Club
    https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/260324/soutien-des-personnels-de-l-enseignement-superieur-la-greve-dans-l-e

    Soutien des personnels de l’Enseignement supérieur à la grève dans l’éducation de Seine-Saint-Denis
    Depuis cinq semaines, les personnels de l’#Éducation_nationale de Seine-Saint-Denis (93) sont en grève, dans le cadre d’un mouvement intersyndical et appuyés par les parents d’élèves, notamment pour obtenir un plan d’urgence pour les établissements scolaires de leur département. Un #collectif de personnels de l’enseignement supérieur leur apporte un « soutien sans réserve ».

  • #Mines au #Maroc : la sinistre réalité du « #cobalt responsable »
    https://reporterre.net/Mines-au-Maroc-la-sinistre-realite-du-cobalt-responsable
    #amazigh

    À 120 kilomètres au sud de #Ouarzazate, bordée par les collines de l’Anti-Atlas, immensité aride où paissent de maigres chèvres, la route sert autant aux charrettes de foin tirées par des ânes qu’à la course des camions chargés de cobalt qui transitent vers #Marrakech.

    Debout, en casquettes et en tongs, ils sont un petit groupe à attendre le minibus pour aller prendre leur poste. Âgés de 20 à 40 ans, Osmane [], Idir [] et les autres sont mineurs de fond, employés en sous-traitance dans la mine de #Bou-Azzer, filiale de Managem, grande #entreprise_minière du pays et propriété de la famille royale #marocaine.

    En langue #tamazight, ils décrivent le boulot. Huit heures par jour, à 300 voire 500 mètres de fond, 20 minutes de pause à midi. Dans les galeries, ils poussent des wagons de #minerai d’une tonne sur 1 à 2 kilomètres. Pour abattre le gisement, ils posent des explosifs à la main et, munis d’un marteau-piqueur pesant 25 kg, forent la #roche dans un nuage de poussière.

    [...]

    ##grève Torture et #prison ferme
    Omar Oubouhou, syndicaliste à Ouarzazate et membre de l’AMDH, raconte : « J’ai été arrêté en 2012 après un #sit-in devant l’administration de la mine, emprisonné pendant douze jours et torturé à la gendarmerie avec quatre camarades. J’ai été envoyé à l’hôpital de Ouarzazate où le médecin a refusé de me donner un certificat. L’avocat a demandé une contre-visite, mais ce sont des médecins accompagnés du commissaire qui l’ont faite. » Au tribunal, où il a comparu avec ses blessures, Omar Oubouhou a reçu six mois de prison ferme pour « entrave au #travail ».

    Selon Hamid Majdi qui relate ces événements dans son livre paru en 2021 [3], la Managem a fait pression au plus haut niveau pour se débarrasser du syndicat. « En 2013, raconte-t-il, la direction nationale de la CDT nous a lâchés : du jour au lendemain, nous avons été démis de nos fonctions et nos bureaux d’Agdez et de Ouarzazate ont été fermés. »

    Hamid a compris pourquoi le jour d’une entrevue avec le Premier ministre : « Il a fait une gaffe et mentionné un accord conclu entre le gouvernement et le secrétariat général de la CDT ! Le gouvernement et la Managem avaient corrompu notre direction syndicale pour qu’elle se débarrasse du syndicat de Bou-Azzer. »

  • Au moins 22 migrants, dont sept enfants, se noient en mer Égée - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55851/au-moins-22-migrants-dont-sept-enfants-se-noient-en-mer-egee

    Au moins 22 migrants, dont sept enfants, se noient en mer Égée
    Par La rédaction Publié le : 15/03/2024
    Au moins 22 personnes, dont sept enfants, ont péri dans un naufrage au large d’une île turque, ce vendredi 15 mars, en tentant de rejoindre la Grèce pour entrer en Europe. Seules quatre personnes ont survécu, selon le bilan des autorités, qui demeure encore provisoire. Ils espéraient rejoindre la Grèce pour mettre un pied sur le sol européen. Vendredi 15 décembre, le naufrage d’un canot pneumatique en mer Égée, au large des côtes nord-ouest de la Turquie, a fait au moins 22 victimes selon les autorités turques.
    « Les corps sans vie de 22 personnes dont sept enfants ont été retrouvés » a indiqué le gouvernorat de la province de Cannakkale dans un communiqué ce vendredi après-midi. Leurs nationalités ne sont pas encore connues.
    Le canot a chaviré au large de l’île turque de Gökçeada, à une cinquantaine de kilomètres de l’île grecque de Limnos, selon la communication du gouvernorat. Le drame se serait déroulé dans la nuit de jeudi à vendredi, relate l’agence de presse turque Anadolu.
    Quatre survivants Des garde-côtes ont été dépêchés sur place pour tenter de secourir d’autres personnes. Deux hélicoptères, un drone et un avion survolent la zone, ont précisé les autorités locales dans leur communiqué. Pas moins de 18 bateaux de secours et 502 agents sont mobilisés pour cette opération.
    Le nombre connu de victimes reste donc, pour le moment, provisoire. Une précédente communication officielle faisait état de 16 morts, avant que ce bilan ne s’alourdisse à 22 au fil de la journée. Au moins quatre personnes ont survécu au naufrage, ont précisé les autorités. Deux de ces survivants ont pu atteindre, à la nage, une plage située plus au nord, raconte l’agence de presse Anadolu. De là, ils ont pu lancer l’alerte et déclencher l’opération de secours. Deux autres survivants ont pu être secourus par les garde-côtes turcs. Toujours selon l’agence de presse, des ambulances ont été envoyées dans un port voisin, afin d’acheminer les corps repêchés vers les morgues des hôpitaux.
    Augmentation des arrivées sur les îles grecques depuis la Turquie, et des refoulements Début mars, le Conseil européen pour les réfugiés et les exilés (ECRE) s’inquiétait de l’augmentation des arrivées de migrants sur les îles grecques depuis la Turquie. Les garde-côtes turcs ont indiqué pour leur part avoir secouru ou intercepté, depuis le début de cette semaine, plusieurs centaines de migrants tentant la traversée vers la Grèce. La présence d’enfants a souvent été constatée. En novembre, au moins cinq personnes sont mortes noyées après le naufrage de leur embarcation, au large de la province turque d’Izmir. Un mois avant, le 17 octobre, un homme et une femme avaient déjà péri dans deux naufrages en mer Égée : l’un au large de Lesbos, l’autre près des côtes de Samos, plus au sud.
    L’ONG Aegean Boat Report (ABR) a produit un rapport d’observation hebdomadaire pour la semaine du 4 mars, recensant pas moins de 49 tentatives de départ par bateaux, pour 1 492 personnes, depuis la côte turque vers les îles grecques. Seuls dix de ces bateaux ont atteint leur destination. Tous les autres ont été soit interceptés par les garde-côtes turcs, soit refoulés par les garde-côtes grecs.
    Pushbacks
    L’organisation note ainsi l’"augmentation des refoulements en mer par les autorités grecques", y compris par « l’utilisation illégale » de radeaux de sauvetage. Ainsi, au cours de la seule semaine du 4 mars, l’ONG constate que « 105 personnes ont été laissées à la dérive, impuissantes, dans cinq radeaux de sauvetage en mer Égée ».
    Selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), 3 105 migrants sont morts ou portés disparu en Méditerranée en 2023. C’est le plus lourd bilan de l’institution depuis 2017. Rien que depuis janvier, 360 migrants sont décédés ou portés disparus, recense encore l’OIM. Le 13 mars, l’équipage de l’Ocean Viking, navire de SOS Méditerranée, a secouru 25 survivants qui se trouvaient à bord d’un canot pneumatique dans lequel 60 personnes sont mortes. Leurs corps ont été jetés à la mer, au large de la Libye, ont témoigné les rescapés.

    #Covid-19#migration#grece#mediterranee#libye#traversee#mortalite#sante#refoulement##OIM#ONG#ECRE#turquie

  • #Ikea, le seigneur des forêts

    Derrière son image familiale et écolo, le géant du meuble suédois, plus gros consommateur de bois au monde, révèle des pratiques bien peu scrupuleuses. Une investigation édifiante sur cette firme à l’appétit démesuré.

    C’est une des enseignes préférées des consommateurs, qui équipe depuis des générations cuisines, salons et chambres d’enfants du monde entier. Depuis sa création en 1943 par le visionnaire mais controversé Ingvar Kamprad, et au fil des innovations – meubles en kit, vente par correspondance, magasins en self-service… –, la petite entreprise a connu une croissance fulgurante, et a accompagné l’entrée de la Suède dans l’ère de la consommation de masse. Aujourd’hui, ce fleuron commercial, qui participe pleinement au rayonnement du pays à l’international, est devenu un mastodonte en expansion continue. Les chiffres donnent le tournis : 422 magasins dans cinquante pays ; près d’un milliard de clients ; 2 000 nouveaux articles au catalogue par an… et un exemplaire de son produit phare, la bibliothèque Billy, vendu toutes les cinq secondes. Mais le modèle Ikea a un coût. Pour poursuivre son développement exponentiel et vendre toujours plus de meubles à bas prix, le géant suédois dévore chaque année 20 millions de mètres cubes de bois, soit 1 % des réserves mondiales de ce matériau… Et si la firme vante un approvisionnement responsable et une gestion durable des forêts, la réalité derrière le discours se révèle autrement plus trouble.

    Greenwashing
    Pendant plus d’un an, les journalistes d’investigation Xavier Deleu (Épidémies, l’empreinte de l’homme) et Marianne Kerfriden ont remonté la chaîne de production d’Ikea aux quatre coins du globe. Des dernières forêts boréales suédoises aux plantations brésiliennes en passant par la campagne néo-zélandaise et les grands espaces de Pologne ou de Roumanie, le documentaire dévoile les liens entre la multinationale de l’ameublement et l’exploitation intensive et incontrôlée du bois. Il révèle comment la marque au logo jaune et bleu, souvent via des fournisseurs ou sous-traitants peu scrupuleux, contribue à la destruction de la biodiversité à travers la planète et alimente le trafic de bois. Comme en Roumanie, où Ikea possède 50 000 hectares de forêts, et où des activistes se mobilisent au péril de leur vie contre une mafia du bois endémique. Derrière la réussite de l’une des firmes les plus populaires au monde, cette enquête inédite éclaire l’incroyable expansion d’un prédateur discret devenu un champion du greenwashing.

    https://www.arte.tv/fr/videos/112297-000-A/ikea-le-seigneur-des-forets
    #film #film_documentaire #documentaire #enquête
    #greenwashing #green-washing #bois #multinationale #meubles #Pologne #Mazovie #Mardom_House #pins #Ingvar_Kamprad #délocalisation #société_de_consommation #consumérisme #résistance #justice #Fondation_Forêt_et_citoyens #Marta_Jagusztyn #Basses-Carpates #Carpates #coupes_abusives #exploitation #exploitation_forestière #consommation_de_masse #collection #fast-furniture #catalogue #mode #marketing #neuro-marketing #manipulation #sous-traitance #chaîne_d'approvisionnement #Sibérie #Russie #Ukraine #Roumanie #accaparement_de_terres #Agent_Green #trafic_de_bois #privatisation #Gabriel_Paun #pillage #érosion_du_sol #image #prix #impact_environnemental #FSC #certification #norme #identité_suédoise #modèle_suédois #nation_branding #Estonie #Lettonie #Lituanie #lobby #mafia_forestière #coupes_rases #Suède #monoculture #sylviculture #Sami #peuples_autochtones #plantation #extrême_droite #Brésil #Parcel_Reflorestadora #Artemobili #code_de_conduite #justice #responsabilité #abattage #Nouvelle-Zélande #neutralité_carbone #compensation_carbone #maori #crédits-carbone #colonisation

    • #fsc_watch

      This site has been developed by a group of people, FSC supporters and members among them, who are very concerned about the constant and serious erosion of the FSC’s reliability and thus credibility. The group includes Simon Counsell, one of the Founder Members of the FSC; Hermann Edelmann, working for a long term FSC member organisation; and Chris Lang, who has looked critically at several FSC certifications in Thailand, Laos, Brazil, USA, New Zealand, South Africa and Uganda – finding serious problems in each case.

      As with many other activists working on forests worldwide, we share the frustration that whilst the structural problems within the FSC system have been known for many years, the formal mechanisms of governance and control, including the elected Board, the General Assembly, and the Complaints Procedures have been highly ineffective in addressing these problems. The possibility of reforming – and thus ‘saving’ – the FSC through these mechanisms is, we feel, declining, as power within the FSC is increasingly captured by vested commercial interest.

      We feel that unless drastic action is taken, the FSC is doomed to failure. Part of the problem, in our analysis, is that too few FSC members are aware of the many profound problems within the organisation. The FSC Secretariat continues to pour out ‘good news stories’ about its ‘successes’, without acknowledging, for example, the numerous complaints against certificates and certifiers, the cancellation of certificates that should never have been awarded in the first place, the calls for FSC to cease certifying where there is no local agreement to do so, the walk-outs of FSC members from national processes because of their disillusionment with the role of the economic chamber, etc. etc. etc.

      There has been no honest evaluation of what is working and what is not what working in the FSC, and no open forum for discussing these issues. This website is an attempt to redress this imbalance. The site will also help people who are normally excluded from the FSC’s processes to express their views and concerns about the FSC’s activities.

      Please share your thoughts or information. Feel free to comment on our postings or send us any information that you consider valuable for the site.

      UPDATE (25 March 2010): A couple of people have requested that we explain why we are focussing on FSC rather than PEFC. Shortly after starting FSC-Watch we posted an article titled: FSC vs PEFC: Holy cows vs the Emperor’s new clothes. As this is somewhat buried in the archives, it’s reproduced in full here (if you want to discuss this, please click on the link to go to the original post):
      FSC vs PEFC: Holy cows vs the Emperor’s new clothes

      One of the reasons I am involved in this website is that I believe that many people are aware of serious problems with FSC, but don’t discuss them publicly because the alternative to FSC is even worse. The alternative, in this case is PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes) and all the other certification schemes (Cerflor, Certflor, the Australian Forestry Standard, the Malaysian Timber Certification Council and so on). One person has suggested that we should set up PEFC-Watch, in order “to be even-handed”.

      The trouble with this argument is that PEFC et al have no credibility. No NGOs, people’s organisations or indigenous peoples’ organisations were involved in setting them up. Why bother spending our time monitoring something that amounts to little more than a rubber stamp? I can just see the headlines: “Rubber stamp PEFC scheme rubber stamps another controversial logging operation!” Shock, horror. The Emperor is stark bollock naked, and it’s not just some little boy pointing this out – it’s plain for all to see, isn’t it?

      One way of countering all these other schemes would be to point out that FSC is better. But, if there are serious problems with FSC – which there are, and if we can see them, so can anyone else who cares to look – then the argument starts to look very shaky.

      FSC standards aren’t bad (apart from Principle 10, which really isn’t much use to anyone except the pulp and paper industry). They say lots of things we’d probably want forest management standards to say. The trouble is that the standards are not being applied in practice. Sure, campaign against PEFC, but if FSC becomes a Holy Cow which is immune to criticism (not least because all the criticism takes place behind closed doors), then we can hardly present it as an alternative, can we?…”

      By the way, anyone who thinks that PEFC and FSC are in opposition should read this interview with Heiko Liedeker (FSC’s Executive Director) and Ben Gunneberg (PEFC’s General Secretary). In particular this bit (I thought at first it must be a mix up between FSC and PEFC, or Liedeker and Gunneberg):

      Question: As a follow-up question, Heiko Liedeker, from your perspective, is there room ultimately for programs like the Australian Forestry Standard, Certfor and others to operate under the FSC umbrella?

      Heiko Liedeker: Absolutely. FSC was a scheme that was set-up to provide mutual recognition between national standard-setting initiatives. Every national initiative sets its standard. Some of them are called FSC working groups, some of them are called something else. In the UK they are called UKWAS. We’ve been in dialogue with Edwardo Morales at Certfor Chile. They are some of the FSC requirements listed for endorsement, we certainly entered into discussion. We’ve been in discussion with the Australian Forestry Standard and other standard-setting initiatives. What FSC does not do is, it has one global scheme for recognizing certification. So we do not, and that’s one of the many differences between FSC and PEFC, we do not require the development of a certification program as such. A standard-setting program is sufficient to participate in the network.

      https://fsc-watch.com

    • Complicit in destruction: new investigation reveals IKEA’s role in the decimation of Romania’s forests

      IKEA claims to be people and planet positive, yet it is complicit in the degradation and destruction of Romania’s forests. A new report by Agent Green and Bruno Manser Fonds documents this destruction and presents clear requests to the furniture giant.

      A new investigative report (https://www.bmf.ch/upload/Kampagnen/Ikea/AG_BMF_report_IKEA_web_EN.pdf) by Agent Green and Bruno Manser Fonds shows a consistent pattern of destructive logging in IKEA-linked forests in Romania, with massive consequences for nature and climate. The findings are based on an analysis of official documents and field investigations of nine forest areas in Romania. Seven of them are owned by the IKEA-related company Ingka Investments and two are public forests supplying factories that produce for IKEA. The analysis uncovers over 50 suspected law violations and bad forest management practices. Biodiversity rich forest areas cut to the ground, intensive commercial logging conducted in ecologically sensitive or even old-growth forests without environmental assessments, dozens of meters deep tractor roads cutting through the forest are just a few of the issues documented.

      Most of the visited forests are fully or partially overlapping with EU protected areas. Some of these forests were strictly protected or under low-intensity logging before Ingka took over. Now they are all managed to maximize wood extraction, with no regard to forest habitats and their vital role for species. Only 1.04% of the total Ingka property in Romania are under a strict protection regime and 8.24% under partial protection. This is totally insufficient to meet EU goals. The EU biodiversity strategy requires the protection of a minimum of 30% of EU land area, from which 10% need to be strictly protected. One key goal is to strictly protect all remaining primary and old-growth forests in the EU.

      At the press conference in Bucharest Gabriel Păun, President of Agent Green, stated: “IKEA/Ingka seem to manage their forests like agricultural crops. Letting trees grow old is not in their culture. Removing entire forests in a short period of time is a matter of urgency for IKEA, the tree hunter. The entity disregards both the written laws and the unwritten ways of nature. IKEA does not practice what they preach regardless of whether it is the European Union nature directives, Romanian national legislation, or the FSC forest certification standard. But as a company with revenues of billions of Euros and Romania’s largest private forest owner, IKEA / Ingka should be an example of best practice.”

      Ines Gavrilut, Eastern Europe Campaigner at the Bruno Manser Fonds, added: “It is high time that IKEA started to apply its declared sustainability goals. IKEA could do so much good if it really wanted to set a good example as a forest owner, administrator, and large wood consumer in Romania and beyond. Needs could also be covered without resorting to destructive logging, without converting natural forests into plantations – but this requires tackling difficult issues such as the core of IKEA’s business model of “fast furniture”. Wood products should not be for fast consumption but should be made to last for decades.”

      Agent Green and Bruno Manser Fonds urge IKEA and the Ingka Group to get a grip on their forest operations in Romania to better control logging companies, not to source wood from national or natural parks, to effectively increase protection and apply forestry close to nature in own forests, to ensure full traceability and transparency of the IKEA supply chain, and allow independent forest oversight by civil society and investigative journalists.

      In August 2021, Agent Green published its first report documenting destruction in IKEA-linked forests in Romania. In May 2023, Agent Green and Bruno Manser Fonds sent an open letter of concern to the Ingka Group and IKEA Switzerland. BMF also started a petition demanding IKEA to stop deforestation in Romania’s protected forest areas and other high conservation value forests.

      The ARTE documentary IKEA, the tree hunter brilliantly tells the story of the real cost of IKEA furniture, the uncontrolled exploitation of wood and human labour.

      https://bmf.ch/en/news/neue-untersuchung-belegt-ikeas-beteiligung-an-der-waldzerstorung-in-rumanien-256

      #rapport

  • Gilets de sauvetage

    « Les îles les plus à l’est leur offrent quelques heures de répit dans leur longue marche.
    Chaque île est un point de fuite pour qui, chez lui, n’a plus de perspectives.
    Installés dans la torpeur de l’été, que ferons-nous pour eux ? »

    https://www.cambourakis.com/tout/bd/gilets-de-sauvetage
    #Chio #Chios #Grèce #îles #Mer_Egée #Massacre_de_Chio #histoire #hospitalité #tourisme #migrations #asile #réfugiés
    #BD #bande_dessinée #livre

  • Corps en grève

    Le bidonville de Feyzin est menacé de fermeture.
    Vingt-sept travailleurs tunisiens entament une grève de la faim afin d’obtenir la régularisation de leurs papiers.
    Durant les vingt jours que durera la grève, immigrés et Français lutteront ensemble, jusqu’au bout.

    La France « découvre » alors l’existence des bidonvilles, véritables #taudis dans lesquels vivent près de 800 000 travailleurs étrangers.
    Une histoire qui fait indéniablement échos à l’actualité : les bidonvilles, « jungles » et campements de fortune perdurent et les droits humains restent bafoués.

    https://steinkis.com/livres/corps-en-greve/corps-en-greve.html
    #BD #bande_dessinée #livre
    #France #travailleurs_immigrés #bidonville #logement #Lyon #Feyzin #sans-papiers #migrations #circulaire_Fontanet #régularisation #immigrés_tunisiens #bidonville_de_Feyzin #luttes #histoire #résistance #grève_de_la_faim #travail #exploitation

  • SAINTE SOLINE, AUTOPSIE D’UN CARNAGE

    Le 25 mars 2023, une #manifestation organisée par des mouvements de défense de l’environnement à #Sainte-Soline (#Deux-Sèvres) contre les #megabassines pompant l’#eau des #nappes_phréatiques pour l’#agriculture_intensive débouche sur de véritables scènes de guerre. Avec près de 240 manifestants blessés, c’est l’une des plus sanglantes répressions de civils organisée en France depuis le 17 octobre 1961 (Voir en fin d’article le documentaire de Clarisse Feletin et Maïlys Khider).

    https://www.off-investigation.fr/sainte-solineautopsie-dun-carnage
    Vidéo :
    https://video.off-investigation.fr/w/9610c6e9-b18f-46b3-930c-ad0d839b0b17

    #scène_de_guerre #vidéo #répression

    #Sainte_Soline #carnage #méga-bassines #documentaire #film_documentaire #violences_policières #violence #Gérald_Darmanin #résistance #militarisation #confédération_paysanne #nasse
    #off_investigation #cortège #maintien_de_l'ordre #gaz_lacrymogènes #impuissance #chaos #blessés #blessures #soins #élus #grenades #LBD #quads #chaîne_d'élus #confusion #médic #SAMU #LDH #Serge_Duteuil-Graziani #secours #enquête #zone_rouge #zone_d'exclusion #urgence_vitale #ambulances #évacuation #plainte #justice #responsabilité #terrain_de_guerre #désinformation #démonstration_de_force #récit #contre-récit #mensonge #vérité #lutte #Etat #traumatisme #bassines_non_merci #condamnations #Soulèvements_de_la_Terre #plainte

    à partir de 1h 02’26 :

    Hélène Assekour, manifestante :

    « Moi ce que je voudrais par rapport à Sainte-Soline c’est qu’il y ait un peu de justice. Je ne crois pas du tout que ça va se faire dans les tribunaux, mais au moins de pouvoir un peu établir la vérité et que notre récit à nous puisse être entendu, qu’il puisse exister. Et qu’il puisse même, au fil des années, devenir le récit qui est celui de la vérité de ce qui s’est passé à Sainte-Soline ».

    • question « un peu de vérité », il y avait aussi des parlementaires en écharpe, sur place, gazé.es et menacé.es par les quads-à-LBD comme le reste du troupeau alors qu’ils protégeaient les blessés étendus au sol ; personne n’a fait de rapport ?

      Il y a eu une commission d’enquête parlementaire aussi, je crois, qui a mollement auditionné Gérald ; pas de rapport ?

  • How children visualise cities of today and tomorrow

    How do children see urban inequalities and the transformation of cities? What would they change in their neighbourhoods? What kind of cities do they wish for? periferiasdibujadas is an ongoing project that works collaboratively with other groups to createspaces for children in different places across Europe to research, narrate and intervenein their urban contexts. The children’s images explore issues affecting cities today,such as access to housing, racism, gentrification and the impact of tourism, and showtheir visions for more liveable and just cities.

    https://padlet.com/periferiasdibujadas/how-children-visualise-cities-of-today-and-tomorrow-vjw8kyzgxbka5io0
    #enfants #enfance #villes #cartographie #cartoexperiment #cartographie_sensible #cartographie_participative #quartiers #periferiasdibujadas #tourisme #racisme #gentrification #habitat #Albayzín #Grenade #Espagne

    ping @reka

  • Sur les traces des « retournés volontaires » de Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/01/immigration-sur-les-traces-des-retournes-volontaires-de-georgie_6219437_3224

    Sur les traces des « retournés volontaires » de Géorgie, ces déboutés du droit d’asile qui ont dû renoncer à la France dans la douleur
    Par Julia Pascual (Tbilissi, envoyée spéciale)
    C’est un bloc d’immeubles parmi les centaines qui composent le paysage de Roustavi, une ancienne ville industrielle du sud-est de la Géorgie. Dans ce pays du Caucase où vivent 3,7 millions d’habitants, les cités ouvrières ont poussé pendant l’ère soviétique, et Roustavi a pris son essor autour d’un combinat métallurgique alimenté par l’acier azerbaïdjanais. Depuis, l’URSS s’est disloquée et les usines ont fermé. Voilà une dizaine d’années, attirés par un parc immobilier plus abordable que celui de la capitale, Tbilissi, Davit Gamkhuashvili et Nana Chkhitunidze sont devenus propriétaires d’un des appartements de la ville, au septième et dernier étage d’un immeuble que le temps n’a pas flatté. Le parpaing des façades se délabre, des tiges de fer oxydé crèvent le béton des escaliers et l’ascenseur se hisse aux étages dans un drôle de fracas métallique.
    Fin septembre 2023, Davit, 47 ans, et Nana, 46 ans, sont revenus ici après dix mois passés à Béthune, dans le Pas-de-Calais. Ils ont retrouvé leur trois-pièces propret et modeste, où ils cohabitent avec leur fils et leur fille adultes, leur gendre et leur petite-fille. Le couple de Géorgiens avait nourri l’espoir d’obtenir en France les soins que Davit, atteint d’un diabète sévère, ne trouvait pas dans son pays. Migrer, c’était sa seule option après qu’il a été amputé d’un orteil. Il souffrait d’un ulcère au pied et son médecin géorgien « ne proposait rien d’autre que couper et couper encore », se souvient-il.
    Pour venir en France et laisser à leurs enfants un peu d’argent, sa femme et lui ont vendu leur voiture et un terrain qu’ils possédaient à la campagne. Dans le Pas-de-Calais, le couple a été hébergé dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (CADA), et Davit a pu se faire soigner. Mais l’isolement social, la barrière de la langue, le sentiment d’être des « mendiants » leur ont donné le « mal du pays ». Déboutés de leur demande d’asile, Davit et Nana se sont retrouvés en situation irrégulière et ont été priés de partir. Las, ils ont renoncé à la France dans la douleur. A Roustavi, Nana replonge avec un soupçon de nostalgie dans le souvenir des amitiés qu’elle a nouées avec des bénévoles du CADA, des plats géorgiens qu’elle leur a fait découvrir, comme le khatchapouri, un pain farci au fromage, de la petite fête qui avait été organisée pour leur départ.
    Dans le français rudimentaire qu’elle s’est efforcée d’acquérir, Nana répétait « stop », « fini », « stress » alors que nous la rencontrions, dans les couloirs de l’aéroport de Roissy-Charles-de-Gaulle, le jour de son vol retour vers la Géorgie. Ce matin de septembre 2023, ils étaient une cinquantaine, comme elle, à devoir embarquer pour Tbilissi dans le cadre d’un retour volontaire aidé, un dispositif adressé aux étrangers en situation irrégulière et mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration (OFII). Il a l’avantage d’être beaucoup moins onéreux que les retours forcés, qui mobilisent des moyens importants, de l’interpellation des personnes à leur expulsion, en passant par leur placement en rétention et la phase éventuelle de contentieux juridique. En 2023, plus de 6 830 personnes ont souscrit à des retours volontaires aidés, toutes nationalités confondues. Avec plus de 1 600 retours aidés, les Géorgiens ont été les premiers bénéficiaires du programme.
    Juste avant d’embarquer, au milieu des touristes et des voyageurs d’affaires du terminal 2 de Roissy, Nana et Davit avaient reçu chacun, des agents de l’OFII, une petite enveloppe contenant 300 euros. Leurs billets d’avion avaient également été pris en charge. Pour encourager les départs, la France propose aussi aux personnes volontaires une aide sociale, le financement d’une formation ou encore une aide à la création d’entreprise, plafonnée à 3 000 euros en Géorgie. Avec 605 aides accordées en 2023, les Géorgiens sont, là aussi, les premiers récipiendaires de ce programme de réinsertion économique.Nana Chkhitunidze a obtenu la prise en charge d’une formation en cuisine, qu’elle suit aujourd’hui avec enthousiasme après ses heures de ménage. A son retour à Roustavi, elle a dû retrouver un emploi pour entretenir sa famille. Elle gagne aujourd’hui 600 laris (210 euros) par mois. Pas de quoi payer les consultations chez le diabétologue ni chez le cardiologue que les médecins français ont recommandées à Davit. Diminué physiquement, Davit Gamkhuashvili ne peut plus travailler dans le bâtiment. Il est fier de rappeler qu’il a, par le passé, rénové plusieurs églises du pays, dont la grande cathédrale de la Sainte-Trinité, à Tbilissi. Mais, depuis son amputation, ce n’est désormais plus envisageable. Il se pique trois fois par jour à l’insuline et veille à ce que l’ulcère au pied ne reprenne pas. Il lui reste des boîtes d’antalgiques prescrits en France. Ici, ils ne sont pas pris en charge. L’OFII lui a financé vingt séances de kinésithérapie, à hauteur de 2 100 laris.
    (...) Grâce à l’aide de l’OFII, Nini Jibladze a suivi une formation en manucure, un secteur porteur dans son pays. Elle a même pu s’acheter quelques équipements, comme un sèche-ongles et un stérilisateur, mais, plutôt que de lancer son affaire, elle a dû parer à l’urgence et accepter un poste de commerciale pour une société de vente de chocolats, payé 1 000 laris par mois. Khvtiso Beridze, lui, se plaint de ses douleurs au bras, résultat de deux accidents anciens qui ont abîmé ses nerfs. En France, il a été opéré deux fois, mais il faudrait qu’il subisse une nouvelle intervention. « J’ai peur de me faire opérer ici, reconnaît-il. Et je n’ai pas les moyens de me payer la rééducation à 40 laris la séance. » Anastasia, elle, doit continuer d’être suivie, mais trouver un angiologue ou un radiologue pédiatrique pour réaliser une IRM à 700 laris relève de la gageure. En outre, la famille a encore une dette de plus de 6 000 euros à rembourser, contractée pour financer son départ en France, à l’automne 2021. (...) Sa mère, Irma, avec laquelle le couple cohabite, compte les devancer. Elle s’y prépare sans états d’âme. « Dans notre immeuble, toutes les femmes ont migré, assure cette célibataire de 52 ans. Si quelqu’un en Géorgie se nourrit et s’habille correctement, c’est qu’il a quelqu’un à l’étranger qui lui envoie de l’argent. » Elle-même a déjà travaillé à Samsun, en Turquie, il y a quinze ans. « Je partais trois mois faire la plonge ou le ménage et je revenais, se souvient-elle. Ça valait le coup. A l’époque, on avait 100 dollars avec 120 livres turques. Aujourd’hui, ce n’est plus intéressant, il faut 3 000 livres turques pour 100 dollars. » Si Irma repart, ce sera en Grèce. Elle y a des amies qui promettent de l’aider à trouver un travail d’aide à domicile ou de femme de ménage pour au moins 1 000 euros par mois. « Ça pourra payer les dettes et les études des enfants », calcule la grand-mère.
    Depuis l’effondrement du bloc soviétique, la migration géorgienne vers l’Europe n’a cessé de croître. « C’est un phénomène très commun, qui a connu un pic avec la libéralisation des visas en 2017 », souligne Sanja Celebic Lukovac, cheffe de mission à Tbilissi de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), une agence onusienne. Cette « libéralisation » autorise les Géorgiens à circuler comme touristes dans l’espace Schengen pendant quatre-vingt-dix jours sans visa. « La Grèce accueille probablement la plus importante diaspora, mais de nombreux Géorgiens sont aussi allés en France, en Italie, en Allemagne, en Suisse ou en Espagne, guidés surtout par des opportunités d’emploi », poursuit Sanja Celebic Lukovac.D’abord très temporaire et individuelle, la migration est devenue plus durable et familiale. Les besoins médicaux sont, en outre, souvent au cœur du projet de mobilité. En France, en 2023, les Géorgiens ont ainsi représenté 7 % des demandes de titres de séjour pour étranger malade (dont un tiers pour des cancers). Parfois, ces besoins sont dissimulés derrière des demandes d’asile, l’un des rares moyens, si ce n’est le seul, de faire durer un séjour en règle, le temps de l’instruction du dossier.
    En 2022, selon Eurostat, plus de 28 000 Géorgiens ont déposé une demande d’asile en Europe, dont près de 10 000 en France. Cela reste faible, en comparaison avec la population du continent ou avec le volume total des demandes d’asile enregistrées dans l’Union européenne, qui a dépassé 955 000 requêtes la même année. Mais, l’octroi d’une protection internationale aux Géorgiens étant très rare – environ 4 % des demandes d’asile géorgiennes en Europe connaissent une issue positive –, cette migration ne manque pas d’alimenter un discours politique virulent. Emmanuel Macron a dénoncé plusieurs fois le « détournement du droit d’asile », des propos qui visent notamment les flux en provenance de Géorgie. Les pouvoirs publics ont tenté de les réduire, au travers de textes de loi ou de mesures réglementaires. Ainsi, la loi « immigration » de 2018 a permis l’expulsion des déboutés de l’asile provenant de pays d’origine « sûrs », nonobstant un éventuel recours.
    En mai 2019, le ministre de l’intérieur de l’époque, Christophe Castaner, s’était déplacé à Tbilissi pour fustiger l’« anomalie » de la demande d’asile géorgienne et la « dette médicale » générée par ceux « qui viennent se faire soigner en France », alors même que l’état du système de soins en Géorgie « ne justifie pas cette venue ». Fin 2019, la lutte contre le « tourisme médical » avait encore occupé une place importante dans le débat sur l’immigration organisé au Parlement par Edouard Philippe, alors premier ministre. Il avait débouché sur une série de mesures imposant notamment un délai de carence de trois mois pour accéder à la protection maladie pour les demandeurs d’asile et la limitation de la durée de cette protection à six mois pour ceux qui sont déboutés de leur demande.
    « On identifie un ensemble de raisons qui incitent les gens à investir dans la migration, analyse Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM. L’absence ou le manque d’accès aux traitements, le manque de confiance dans les soins et leur coût. » En Géorgie, où l’espérance de vie moyenne n’atteint pas 74 ans et où 15,6 % de la population vit sous le seuil de pauvreté, le système de soins pâtit notamment d’une faible prise en charge du handicap et des médicaments, ce qui expose les ménages à un risque d’appauvrissement. (...)
    Une étude réalisée en 2019 par le cabinet Evalua pour l’OFII, sur un échantillon de près de 400 bénéficiaires d’aide à la création d’entreprise dans quatorze pays, dont la Géorgie mais aussi la Côte d’Ivoire ou le Mali, montrait que, trois ans après avoir quitté la France, 82 % des « retournés » ayant bénéficié de l’aide – qui peut atteindre 6 300 euros dans certains endroits – se trouvaient toujours dans leur pays. En outre, 51 % des projets financés étaient encore actifs. Zhaneta Gagiladze aime « beaucoup » son métier de coiffeuse. Elle mène sa vie avec énergie et ambition. C’est d’ailleurs pour cela qu’elle veut repartir. Seule et en Israël, cette fois, où elle espère pouvoir gagner 4 000 dollars par mois comme femme de ménage. A deux reprises déjà, en 2023, elle a tenté de s’y rendre. Mais, à chaque fois, elle a été refoulée à l’aéroport de Tel-Aviv. Elle attend désormais d’avoir économisé suffisamment pour pouvoir s’acquitter des 6 000 dollars qui lui garantiront d’entrer sur le territoire, avant d’y demeurer clandestinement.Elle a du mal à comprendre qu’Israël ne donne pas de visa malgré ses besoins de main-d’œuvre. « Mon projet est juste d’y travailler deux ans, pour gagner de quoi acheter un appartement ici », dit-elle. Elle rêve aussi « d’aider [sa] fille à accomplir son rêve de retourner étudier en France », un pays qu’elle associe à une vie meilleure. « En France, elle a même été suivie par un psychologue, alors que, depuis notre retour, elle a fait une dépression », confie Zhaneta, qui répète à quel point elle est « reconnaissante » vis-à-vis de la France. A Lyon, elle a croisé des compatriotes miraculés. L’un a pu être guéri d’un cancer en Géorgie. Un autre, atteint d’une cirrhose et à qui l’on ne donnait pas un mois à vivre, a pu bénéficier d’une greffe de foie.
    Mais il y a aussi les déçus. Comme Natela Shamoyan, 58 ans, hébergée par le 115 en banlieue parisienne de 2019 à 2022 avec sa fille lourdement handicapée, pour qu’on lui dise finalement la même chose que dans son pays : il n’y a pas de traitement qui guérisse la maladie de Charcot. Grâce à l’argent de l’OFII, à son retour en Géorgie, elle a relancé dans son garage, et avec son fils de 35 ans, une petite activité de fabrication de tapis de voiture.
    Giorgi Maraneli garde néanmoins un bon souvenir de la France. Son fils avait pu être soulagé et la prise en charge était gratuite et de qualité. Aujourd’hui, il a l’impression d’être revenu à la case départ. Les projets financés dans le cadre des retours aidés ne fournissent souvent que des revenus d’appoint. Sanja Celebic Lukovac, de l’OIM, a constaté qu’avec le temps les « retournés » d’Europe reçoivent de moins en moins d’aide pour leur réinsertion. « Cela signifie qu’il y a de plus en plus de gens dans le besoin », prévient-elle.
    En France, un arrêté ministériel d’octobre 2023 a resserré les critères d’éligibilité aux retours aidés, prévoyant une dégressivité de l’aide dans le temps à partir de la notification de l’OQTF. Mécaniquement, sur les premières semaines de 2024, les demandes de Géorgiens auprès de l’OFII ont baissé, car ils sont moins nombreux à pouvoir y prétendre. S’il avait obtenu des papiers, Giorgi Maraneli avait un poste de palefrenier qui lui était destiné dans une écurie près de Bailleul. Régulièrement, sur Facebook, il prend des nouvelles des bénévoles qui avaient adouci son quotidien et avec lesquels sa famille s’est liée d’amitié. Eux lui disent que la situation en France ne s’améliore pas, évoquent la loi « immigration » promulguée le 26 janvier. Avec franchise, Giorgi leur écrit qu’il veut revenir

    #Covid-19#migration#migrant#france#georgie#grece#israel#turquie#sante#soin#OFII#CADA#OQTF

  • Delayed appeal trial of the Moria 4 set for 4 March 2024

    PRESS RELEASE , 6 February 2024, Mytilini, Lesvos

    On Monday 4 March 2024, R.F.M., S.M.H, S.A.M.S. and H.W., four of the six Afghan defendants who were accused and convicted for the fires that destroyed Moria refugee camp in September 2020, will appear before the Mixed-Jury Court of Appeals of the North Aegean in Lesvos, to challenge their conviction, represented in part by lawyers of the Legal Centre Lesvos. This appeal trial was originally scheduled to take place a year ago on 6 March 2023, but was postponed, without the ability to make any significant objection and arguments for their case.

    On 13 June 2021, at the first instance trial the four had been convicted of “arson with danger to human life” by the Mixed Jury Court of Chios in an unfair trial that disregarded the basic procedural and substantive safeguards. Indicatively: 1) Under the pretext of COVID-19 measures, lawyers – trial observers of international organisations, a lawyer-representative of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), journalists of the domestic and international press, as well as the public were excluded from the courtroom. 2) None of the essential documents of the trial was translated into a language that the defendants could understand, and as a result they could not understand the charges against them. Further, during the trial, the interpretation provided to them by the court was inadequate. 3) Their conviction was based solely on the testimony of a witness who did not appear in court and who could not be cross examined. All four were sentenced to 10 years in prison, with no mitigating circumstances accepted. For three and a half years now, the four young men have been imprisoned in Greece. More details about the first instance trial can be found in an earlier post by the defence lawyers, which was released following the trial.

    As a reminder, the fires that destroyed Moria camp in September 2020 came four and a half years after the EU-Turkey “Deal” turned the Aegean islands into prison islands for those forced to cross the border from Turkey, and Moria camp became the notorious symbol of the EU’s migration policies. Rather than recognising the destruction of Moria camp as an inevitable consequence of the “hotspot approach” and of the clear mismanagement of a camp with a lack of infrastructure that posed deadly dangers to residents, in particular during the COVID-19 pandemic; the Greek state arrested six young Afghan teenagers, namely, the “Moria 6”, and presented them as the sole criminally responsible for the fires.

    Following their arrest, the case of the Moria 6 was separated, as two of the accused were registered as minors at the time of their arrest and were tried in a Court for Minors, and the other four were tried as adults. The two who were arrested as minors are also represented by the Legal Centre Lesvos, and saw their conviction confirmed on appeal in June 2022, and in the Supreme Court in October 2023.

    As Legal Centre Lesvos, we hope that, despite the complete disregard to basic principles of justice at the first instance trial, the defendants will finally be able to present again the exculpatory evidence they had presented at their first court after almost three years, and that all four will finally be acquitted and released from prison.

    We welcome your presence at the court on 4 March 2024 to observe and follow the trial and ensure that the four defendants are supported.

    Press Contacts

    Vicky Aggelidou, vicky@legalcentrelesvos.org

    Lorraine Leete, lorraine@legalcentrelesvos.org

    https://legalcentrelesvos.org/2024/02/06/delayed-appeal-trial-of-the-moria-4-set-for-4-march-2024
    #justice #Moria #Grèce #Lesbos #procès #incendie #feu #réfugiés #migrations

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    et la métaliste sur les incendies dans des #camps_de_réfugiés :
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  • Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

    #traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie

  • #Ikea, le seigneur des forêts - Regarder le #documentaire complet | #ARTE
    https://www.arte.tv/fr/videos/112297-000-A/ikea-le-seigneur-des-forets
    #disclose

    Derrière son image familiale et écolo, le #géant_du_meuble #suédois, plus gros consommateur de bois au monde, révèle des pratiques bien peu scrupuleuses. Une investigation édifiante sur cette firme à l’appétit démesuré.

    C’est une des #enseignes préférées des consommateurs, qui équipe depuis des générations cuisines, salons et chambres d’enfants du monde entier. Depuis sa création en 1943 par le visionnaire mais controversé Ingvar #Kamprad, et au fil des innovations – #meubles en #kit, vente par correspondance, magasins en self-service… –, la petite entreprise a connu une croissance fulgurante, et a accompagné l’entrée de la Suède dans l’ère de la consommation de masse. Aujourd’hui, ce fleuron commercial, qui participe pleinement au rayonnement du pays à l’international, est devenu un mastodonte en expansion continue. Les chiffres donnent le tournis : 422 magasins dans cinquante pays ; près d’un milliard de clients ; 2 000 nouveaux articles au catalogue par an… et un exemplaire de son produit phare, la bibliothèque Billy, vendu toutes les cinq secondes. Mais le modèle Ikea a un coût. Pour poursuivre son développement exponentiel et vendre toujours plus de meubles à bas prix, le géant suédois dévore chaque année 20 millions de mètres cubes de bois, soit 1 % des réserves mondiales de ce matériau… Et si la firme vante un approvisionnement responsable et une gestion durable des forêts, la réalité derrière le discours se révèle autrement plus trouble.
     
    #Greenwashing
    Pendant plus d’un an, les journalistes d’investigation Xavier Deleu (Épidémies, l’empreinte de l’homme) et Marianne Kerfriden ont remonté la chaîne de production d’Ikea aux quatre coins du globe. Des dernières forêts boréales suédoises aux plantations brésiliennes en passant par la campagne néo-zélandaise et les grands espaces de Pologne ou de Roumanie, le documentaire dévoile les liens entre la multinationale de l’ameublement et l’exploitation intensive et incontrôlée du bois. Il révèle comment la marque au logo jaune et bleu, souvent via des fournisseurs ou sous-traitants peu scrupuleux, contribue à la destruction de la biodiversité à travers la planète et alimente le trafic de bois. Comme en Roumanie, où Ikea possède 50 000 hectares de forêts, et où des activistes se mobilisent au péril de leur vie contre une mafia du bois endémique. Derrière la réussite de l’une des firmes les plus populaires au monde, cette enquête inédite éclaire l’incroyable expansion d’un prédateur discret devenu un champion du greenwashing.

    #FSC #certification #labels

  • Quand un président d’université insulte la démocratie
    https://academia.hypotheses.org/54945

    Les 28, 29 et 30 novembre 2023, le personnel et les usager·es de l’Université Grenoble Alpes votaient pour renouveler leurs conseils centraux (Conseil d’administration, Commission recherche et Commission formation et vie universitaire du Conseil Académique). Le 11 janvier 2024, Yassine … Continuer la lecture →

    #Actualités_/_News #Démocratie_universitaire #Gouvernance_de_l'ESR #élections_universitaires #recours_administratif #Université_Grenoble_Alpes #Yassine_Lakhnech

  • Consultation sur les ZAER dans chaque commune
    https://viapl.fr/consultation-sur-les-zaer

    A noter que chaque commune a également la possibilité de déterminer des zones d’exclusion et ce point est extrêmement important.

    Il faut bien comprendre que :

    – Définir des zones témoigne d’une volonté politique d’implanter des énergies renouvelables sur une partie de son territoire plutôt qu’une autre, sans toutefois empêcher des projets de s’implanter en dehors.
    – Définir des zones va flécher d’une certaine manière les actions des promoteurs en énergies renouvelables. Les zones classées favorables laissent présager une bonne acceptabilité locale et vont les attirer. A l’inverse, les zones d’exclusions vont les repousser sans, pour autant, que ce soit, un barrage absolu mais un promoteur qui viserait une zone d’exclusion prendrait tout de même un sacré risque.

    En conclusion, il est très important de participer aux consultations qui se déroulent sur votre territoire pour éclairer vos élus sur les différents enjeux. Bien souvent, les communes pensent aux zones favorables mais oublient d’inclure des zones d’exclusion qui peuvent pourtant protéger efficacement une commune.

    Avons-nous bien compris ce qui se passe actuellement avec les ZAER ? En tous cas, je suis frappé que pour la première fois depuis longtemps, on donne compétence aux conseils municipaux au dépends des communautés de communes. Sur le papier, je trouve que c’est plutôt une bonne nouvelle, mais sur le terrain, j’observe que bien des petites communes ont perdu l’habitude d’être souveraines et s’en remettent facilement à l’échelon d’au-dessus et obéissent sans bosser les dossiers et réfléchir aux tenants et aboutissants. Dans mon coin, on part à mon avis sur 10 à 20ha d’agrivoltaïque par commune rurale dans 10 ans.

    #zaer #accelerationENR #croissancevertecata #agrivoltaique #greenwashing

    • Enfin, dernier point, en ce qui concerne les délais, rien n’oblige les mairies à répondre pour le 31 décembre 2023. Certains maires justifient une certaine précipitation avec cet argument mais la ministre de la transition écologique a écrit très précisément dans un courrier adressé aux maires le 29 juin 2023 la chose suivante :

      « Vos communes auront jusqu’au 31 décembre 2023 pour réaliser la remontée des zones à l’état. Je tiens toutefois à préciser qu’il ne s’agit pas d’une date butoir et que j’ai bien conscience que certaines communes seront plus en avance que d’autres dans cet exercice. »

  • Egyptians accused in Pylos shipwreck case deny smuggling, blame Greece

    Months after the tragic disaster that killed hundreds at sea, nine accused men languishing in prison insist they are innocent.

    “Whoever asks me why you are in prison, I answer that I don’t know,” said the 21-year-old Egyptian. “We’re children, we’re terrified. We are told that we will be sentenced to 400 or 1,000 years in prison. Every time they say that, we die.”

    He is among nine Egyptians in pre-trial detention and charged with criminal responsibility for a shipwreck off the town of Pylos last year, which led to the deaths of hundreds of people trying to reach Europe.

    The group is being charged under Greek law with forming a criminal organisation, facilitating illegal entry and causing a shipwreck.

    They are the only people being held over the shipwreck.

    However, Al Jazeera, in partnership with Omnia TV and the Efimerida ton Syntakton newspaper, can reveal that all nine accused claim they were not among the smugglers who organised or profited from the journey.

    They say they were simply passengers who survived and allege that the Greek Coast Guard caused the overpacked boat to capsize.

    Speaking via telephone from detention, they told Al Jazeera and its partners that the Greek prosecution did not accurately take their testimonies and that they pressured them to sign documents they did not understand with violence or under threats of violence.

    Two separate survivors also said the nine accused were not guilty and pinned blame on the national Hellenic Coast Guard.

    Fearing reprisals for speaking out against the Greek state, all 11 sources asked Al Jazeera to conceal their identities and use pseudonyms for this article.

    The nine accused, who include fathers, workers and students, said they paid between 140,000 to 150,000 Egyptian pounds ($4,500 to $4,900) to a smuggler or an associate to board the doomed boat.

    “I am telling you, I am someone who paid 140,000 Egyptian pounds,” said Magdy*, another of the accused. “If I am the guy who put these people on the boat, I’ll have like seven, eight, or nine thousand euros. Twenty thousand euros. Why on earth would I board a boat like this?”

    In 2022, a smuggler told The Guardian that he charges Egyptians about 120,000 Egyptian pounds ($3,900). Recent reporting has found that those travelling from Syria often pay about 6,000 euros (about $6,500) for such a journey.

    The two other survivors, both Syrians, said they paid money to people but not the accused Egyptians. The nine being held were not involved in smuggling, they said.

    “No. They weren’t to blame for anything,” said Ahmed*.

    On that fateful day last year, June 14, the Adriana, overloaded with an estimated 700-750 people, including Egyptians, Syrians, Pakistanis, Afghans and Palestinians – among them children – capsized. The derelict blue fishing trawler had departed from Libya five days earlier.

    Only 84 bodies were recovered and 104 on board were rescued, meaning hundreds died in one of the worst-recorded refugee boat disasters on the Mediterranean.

    Rights groups, activists and some survivors allege that Greek Coast Guard officials failed in their duties to save lives at sea.

    Ahmed said he saw the nine accused during the chaos as the ship looked ready to capsize, and passengers began to panic and run about.

    “They were just directing people when our ship started to tilt. They were shouting for people to steady the ship,” he said.

    Seven of the accused maintain that they saw a Coast Guard patrol boat tie a rope to the fishing trawler. The Greek officials pulled once, then twice, causing the boat to flip over into the Mediterranean, they say.

    “I saw the Greek boat had tethered a thick blue rope, one rope, to the middle of the boat,” said Fathy*, another of the accused men. “They pulled, the boat leaned sideways, they saw it was leaning, they kept going, so the boat was turned upside down.”

    “Greece – a Greek boat, towed us and capsized us – and killed our brothers and friends and now I look at myself and I’m in prison.”

    Two of the accused stated they were in the hold and did not understand what had happened until after disaster struck, when they were on board the Greek Coast Guard boat.

    The two Syrian survivors told Al Jazeera they witnessed the Greek Coast Guard tug the fishing trawler.

    “They had nothing to do with the boat sinking. That’s obvious,” said Mohammad*, of the Egyptians being held.

    “You have to be logical. It was a big boat and wouldn’t have sunk if no one had intervened. The engine was broken but it could have stayed afloat. The Greek Coast Guard is truly responsible for the sinking.”

    The Hellenic Coast Guard denied the allegations, saying it has “absolute respect for human life and human rights”.

    “However, in cooperation with the legal authorities and other relevant bodies, appropriate control mechanisms shall be put in place where necessary,” its statement to Al Jazeera read.

    Initially, the coast guard did not refer to any rope-related incident in its official statements and its spokesman Nikos Alexiou denied the rope reports.

    However, Alexiou later said that the two boats were “tied with ropes to prevent them from drifting” in a statement that came amid growing accounts from survivors.

    An ongoing inquiry in the naval court of Kalamata aims to determine whether the Hellenic Coast Guard performed search and rescue properly.

    A recent Frontex incident report of the Pylos shipwreck found that “it appears that the Greek authorities failed to timely declare a search and rescue and to deploy a sufficient number of appropriate assets in time to rescue the migrants”.

    The start date of the trial for the nine accused men has not been set, although according to Greek law, it should begin within 18 months from when they were first detained. If the men are found guilty, they could face decades in prison.

    ‘After I signed, he hit me’

    The nine men say they provided their testimonies at the Kalamata police station the day after the shipwreck under duress. They were pressured to sign documents in Greek that they could not understand, they said.

    Two said that police officers and translators present during the interrogation beat or kicked them.

    Saber* said he was given papers in Greek and expressed that he did not want to sign them.

    “[The interpreter] told me that he would sign next to my signature. As if nothing happened,” he said. “After I signed, he hit me.”

    Saber* said he saw the police kick another one of the accused in the chest.

    The Hellenic Police did not respond to requests for comment on these allegations.

    Greece has long been accused by rights groups of unfairly accusing innocent people of smuggling – and sentencing them.

    Dimitris Choulis, a lawyer on the defence who has spent years working on similar cases with the Samos Human Rights Legal Project, sees this episode as another example of the “criminalisation of refugees”.

    “We see the same patterns and the same unwillingness from the authorities to actually investigate what happened,” Choulis told Al Jazeera.

    A 2021 report by the German charity Border Monitoring found at least 48 cases on the islands of Chios and Lesbos alone of people serving prison time, saying they “did not profit in any way from the smuggling business”.

    Choulis said that smuggling trials used to last just 20 minutes and result in sentences of 50 years in prison.

    This is in keeping with reports from watchdog groups such as Borderline-Europe that smuggling trials in Greece are rushed and “issued on the basis of limited and questionable evidence”.

    The Lesbos Legal Center, which is also working on the defence of the nine Egyptians, bemoaned a severe lack of evidence, saying the investigation file is based “almost exclusively” on a handful of testimonies taken in “questionable circumstances”.

    Additionally, Al Jazeera has reviewed leaked documents from the court case, including a complaint filed by the defendant’s lawyers that an expert report from a marine engineer and a naval mechanical engineer – ordered as a part of the investigation – used minimal evidence: three photographs, two videos, and one email. The report did not account for the overturning and sinking of the ship, the complaint alleged.

    The defence further questioned the impartiality of the appointed experts and stated that procedures regarding how the defendants should be notified of this expert report were not followed.

    Al Jazeera reviewed the response; the Kalamata Public Prosecutor dismissed the complaint, arguing that a further expert report would be redundant and that the procedures were in fact followed correctly.

    “I firmly believe that the Hellenic Coast Guard caused the shipwreck,” said Choulis. “And the Hellenic Coast Guard conducted all of the pre-investigation of this case, and they ordered the marine engineer to do the analysis. I guess it’s clear the problem here.”

    Four of the accused men said they handed water to people sitting next to them.

    Choulis explained that in previous trafficking cases, giving people water has qualified as smuggling.

    “We have seen the authorities charging people, and in Pylos the same, for acts like providing water, distributing food, having a phone, taking videos, looking at the GPS, contacting the authorities, trapping a rope to tow their boat to be rescued etc.”

    Gamal* cannot understand how handing someone water is considered smuggling.

    “Of course, if you have a bottle of water in your hand and someone next to you is dying of thirst, won’t you give them water?” he said from prison. “No. Here, this is considered human trafficking.”

    https://www.aljazeera.com/news/2024/2/12/egyptians-accused-of-pylos-shipwreck-deny-smuggling-charges-blame-greece

    #Pylos #naufrage #asile #migrations #réfugiés #Grèce #scafisti #Méditerranée #criminalisation_de_la_migration

  • Les nouvelles grenades du maintien de l’ordre - POLITIS
    https://www.politis.fr/articles/2024/02/eclats-et-traumatismes-sonores-les-nouvelles-grenades-du-maintien-de-lordre

    Début novembre, Politis dévoilait en exclusivité le résultat de la dernière commande de grenades de l’État, pour plus de 78 millions d’euros, la plus importante depuis plus de dix ans. En y regardant de plus près, plusieurs de ces grenades de maintien de l’ordre sont encore inconnues.Au milieu de cet achat, on trouve des « grenades à main à effet sonore », le lot n°7. Apparues en 2022, ces armes, classées comme « matériel de guerre », produisent un très fort effet assourdissant. Deux entreprises vont se les partager, et c’est Rivolier qui en remporte la plus grande partie. L’entreprise importe des armes de maintien de l’ordre via sa branche « sécurité-défense ». Mais aucune information n’est disponible sur cette arme.

    • « C’est un modèle de chez Condor », révèle à Politis une source policière. Une information confirmée par des documents techniques que nous avons pu nous procurer auprès de forces de l’ordre. Il s’agit de la #grenade_GL-307. Sous ce nom, on retrouve bien une « grenade à effet sonore ». Sur la fiche technique du fabricant brésilien, le descriptif parle de lui-même. « La grenade à effet sonore GL-307 a été conçue pour produire un effet de souffle bruyant et un aveuglement intense dans les opérations de contrôle des émeutes. » Avec un pictogramme « Ne pas ramasser » inscrit dessus, elle explose au bout de 2,5 secondes.

      Les grenades assourdissantes engendrent « un risque de traumatisme majeur » selon un spécialiste, consulté par Politis. (DR.)

      « À ce niveau, les dommages sur l’audition sont irréversibles »

      Son niveau sonore atteint des records dans l’arsenal français. Avec, jusqu’à 165 décibels à 10 mètres, elle surpasse le modèle actuel qui monte déjà à 160 dB. D’après BruitParif, l’observatoire du bruit en Île-de-France, « le seuil de douleur pour les oreilles est atteint à 120 décibels. À ce niveau, les dommages sur l’audition sont irréversibles. » Selon la documentation de Condor, à une distance de 2 mètres, l’intensité de la grenade de maintien de l’ordre atteint 175 dB.

      À titre de comparaison, même si l’envergure est différente, l’explosion de l’usine chimique d’AZF en septembre 2001 à Toulouse a provoqué un pic sonore inférieur. Estimée à 170 dB, l’explosion a provoqué de graves séquelles auditives pour les victimes (...)

      Avec cet achat de plus de 78 millions d’euros, le gouvernement s’équipe de douze grenades de maintien de l’ordre différentes. Quatre fumigènes, quatre lacrymogènes, trois assourdissantes et une assourdissante et lacrymogène. Plusieurs projettent des fragments pouvant gravement blesser. De quoi faire face à tout type de contestation.

      Maintien de l’ordre : de nouveaux lance-grenades de 40 mm
      https://www.politis.fr/articles/2023/12/maintien-de-lordre-de-nouveaux-lance-grenades-de-40-mm

      Contrairement aux multicoups actuels qui disposent d’un barillet, ce nouveau modèle disposera de deux canons à la place. Depuis plusieurs années, les CRS qui utilisent les lanceurs six coups à barillets se plaignent de dysfonctionnements à répétition tels que l’enrayement régulier de l’arme. Testé depuis plus d’un an, ce nouveau type de lanceurs à double canon était surnommé, à ses débuts, « LGBT » pour « lance-grenades bi-tubes ». D’après l’appel d’offres, il sera accompagné de gilets permettant « d’emporter et d’utiliser rapidement une dotation de 20 grenades complètes ».

      [...]
      Ces dernières années, les commandes de matériel de maintien de l’ordre ont explosé. Depuis l’élection d’Emmanuel Macron en 2017, ce sont environ 380 millions d’euros qui ont été dépensés, en comptant les commandes en cours, comme celle du lance-grenades à double canon. Dans ces achats, on retrouve des armes, mais aussi les blindés de la gendarmerie Centaure, des fourgons aménagés pour le maintien de l’ordre et avec d’autres équipements. En mai 2023, une commande pour des boucliers et casques a également été lancée pour 40 millions d’euros.

      #maintien_de_l’ordre #police #armes_de_la_police #grenades_assourdissantes #lance-grenades

  • Existe-t-il un « devoir de travailler », comme l’a suggéré Gabriel Attal ?
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/02/15/existe-t-il-un-devoir-de-travailler-comme-l-a-suggere-gabriel-attal_6216756_


    Le premier ministre, Gabriel Attal, en déplacement à Villejuif, dans la banlieue sud de Paris, le 14 février 2024. EMMANUEL DUNAND / AFP

    Invoqué par le premier ministre au sujet de la grève des contrôleurs de la SNCF, le principe d’un « devoir de travailler » figure bien dans le Préambule de la Constitution de 1946. Il n’en demeure pas moins un concept juridiquement « flou », rappelle la maître de conférences en droit social, Bérénice Bauduin, dans un entretien au « Monde ».
    Propos recueillis par Louise Vallée

    Quarante-huit heures avant le mouvement de grève des contrôleurs de la SNCF prévu ce week-end, le premier ministre Gabriel Attal a opposé mercredi 14 février le droit de grève à un devoir de travailler. « Les Français (…) savent que la grève est un droit, mais je crois qu’ils savent aussi que travailler est un devoir », a lancé le premier ministre, interrogé sur le mouvement qui devrait perturber la circulation des trains en plein week-end de vacances scolaires.

    Les deux principes que M. Attal semble opposer sont extraits du Préambule de la Constitution de 1946. L’alinéa 5 affirme que « chacun a le devoir de travailler et le droit d’obtenir un emploi » tandis que le septième précise que « le droit de grève s’exerce dans le cadre des lois qui le réglementent ». Quelle est la portée juridique de ces deux principes ? Sont-ils vraiment opposables ? Pour Bérénice Bauduin, maître de conférences en droit social à l’université Paris-I-Panthéon-Sorbonne, il serait « hypocrite » de mettre ainsi en regard deux principes qui n’ont pas la même valeur dans la jurisprudence constitutionnelle, où le « devoir de travailler » ne figure pas.

    Sommes-nous tous soumis à un « devoir de travailler » ?

    Le devoir de travailler est une notion très large ; on peut y mettre un peu ce qu’on veut car elle n’a pas été réellement définie juridiquement. Surtout, elle n’a jamais fait l’objet d’une décision de jurisprudence par le Conseil constitutionnel. C’est-à-dire que ses membres n’ont jamais eu à se prononcer sur une loi qui viendrait se confronter à ce principe. L’idée même d’un devoir de travailler est gênante car, dans le droit français, on ne peut pas obliger quelqu’un à travailler. On ne peut pas empêcher un salarié de démissionner, c’est un droit protégé. Même le principe de réquisition, qui peut s’appliquer dans certaines circonstances, est très encadré. Cela va aussi à l’encontre de certains principes internationaux, comme le travail forcé qui est interdit par l’organisation internationale du travail.

    Si le « devoir de travailler » a pu être opposé au droit de grève dans certains discours politiques, d’un point de vue juridique, le Conseil constitutionnel refuse de se saisir de notions qui sont trop floues, et pour lesquelles il n’est pas en mesure de déterminer ce qu’a été la volonté du constituant. Le devoir de travailler a peut-être été pensé en 1946 comme un devoir moral. Mais il est difficile d’établir que la volonté des constituants était d’en faire une obligation imposable aux citoyens.

    Un principe qui figure dans le Préambule de la Constitution peut donc ne pas avoir de réelle valeur juridique ?

    Le Préambule de la Constitution de 1946, dont sont issus le principe du « droit de grève » comme celui du « devoir de travailler » a été écrit sous la IVe République, au sortir de la seconde guerre mondiale. A l’époque, c’est un texte principalement symbolique qui vise à garantir une République avec plus de droits sociaux, pour compléter la Déclaration des droits de l’homme qui se concentre plutôt sur les droits civils, et éviter une nouvelle exploitation politique de la misère, comme celle qui avait conduit le nazisme au pouvoir. Mais le texte n’avait pas été pensé par ses rédacteurs comme pouvant avoir une valeur juridique contraignante.
    Ce n’est que depuis une décision de juillet 1971 que le Conseil constitutionnel s’est reconnu compétent pour contrôler la conformité des lois aux droits et libertés fondamentales garantis par la Constitution. Tous les principes qui figurent dans le préambule de 1946 n’ont toutefois pas été activés de la même manière dans la jurisprudence.

    Peut-on dans ce cas opposer droit de grève et devoir de travailler, comme semble le faire Gabriel Attal ?

    On peut être tentés de les opposer dans certains discours, mais cette opposition est de l’ordre du sophisme. Sur le droit de grève, le Conseil constitutionnel a été amené à plusieurs reprises à se prononcer sur des lois qui avaient pour objectif d’encadrer ce droit, comme l’instauration d’un préavis obligatoire, ou la loi relative à la continuité du service public. Pour limiter le droit de grève, il faut justifier d’un objectif proportionné, de même valeur constitutionnelle.
    Ce n’est pas le cas pour le devoir de travailler. Même dans une décision comme celle de décembre 2022 sur l’application de la loi relative à l’assurance-chômage, le Conseil constitutionnel ne s’appuie pas sur le « devoir de travailler » mais y invoque plutôt un « objectif d’intérêt public » ou une incitation des travailleurs à retourner à l’emploi.

    Il y a donc quelque chose d’assez hypocrite à utiliser, comme s’ils avaient la même valeur, le droit de grève, protégé en tant que tel par des décisions du Conseil constitutionnel, et le devoir de travailler qui, juridiquement, est inexistant. Par ailleurs, la grève n’est pas une méconnaissance du devoir de travailler. On ne fait pas grève dans le but de ne pas travailler, mais bien pour obtenir la satisfaction de revendications professionnelles.

    #Préambule_de_la_Constitution #Devoir #devoir_de_travailler #travail #grève #droit_de_grève #chômage

  • Grève à Ubisoft : les délégués du STJV répondent à nos questions - Actu - Gamekult
    https://www.gamekult.com/actualite/greve-a-ubisoft-les-delegues-du-stjv-repondent-a-nos-questions-3050857641.

    Il ne vous aura pas échappé que, depuis la fin de la pandémie, l’industrie vidéoludique est en souffrance, avec une nette accélération depuis mi-2023. Licenciements à gogo, salaires médiocres, contrats précaires... Pour répondre à ces préoccupations, les travailleurs se tournent de plus en plus vers les syndicats, dont le STJV, qui a beaucoup de pain sur la planche ces dernières semaines (nous vous relayions le bras de fer chez Don’t Nod hier). Le syndicat appelle à la grève chez Ubisoft demain 14 février et tiendra des piquets à Paris, Annecy et Montpellier devant les studios. Nous avons discuté avec des représentants syndicaux du STJV pour mieux comprendre leurs revendications.

    #jeux_vidéo #jeu_vidéo #ubisoft #ressources_humaines #stjv #grève