Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta
Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.
Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.
Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.
L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.
Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.
Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.
Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.
C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.
Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.
Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.
Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.
Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.
Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.
►https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-
#traite_d'êtres_humains #Italie #protection #Conseil_de_l'Europe #exploitation #Greta #rapport #agriculture #industrie_textile #hôtelerie #bâtiment #BTS #services_domestiques #restauration #indemnisation #accès_à_la_santé #criminalisation_de_la_migration #Albanie
]]>Crise du logement : face à la pénurie de locations, les dossiers falsifiés deviennent monnaie courante
▻https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/28/crise-du-logement-face-a-la-penurie-de-locations-les-dossiers-falsifies-devi
Dans les zones tendues, là où le fossé entre l’offre et la demande s’est creusé, trafiquer ses fiches de paie est souvent perçu comme le seul moyen de décrocher un appartement. Un phénomène qui touche désormais des personnes disposant d’un #revenu confortable.
La législation interdisant la mise en location des logements les plus mal isolés et énergivores (« passoires thermiques ») et la vague de transformations d’appartements en #meublés_touristiques, alimentée par le succès d’#Airbnb, participent au grippage du marché. Si bien que, en septembre, le site immobilier Particulier à Particulier (PAP) a vu ses offres de locations chuter de 15 % au niveau national (− 17 % en Ile-de-France), tandis que la demande progressait de 17 % (et de 20 % en région parisienne). Les agences Guy Hoquet reçoivent encore aujourd’hui plus de cent appels dans l’heure lorsqu’elles affichent une nouvelle annonce en Ile-de-France.
Chez Guy Hoquet, on expérimente aujourd’hui dans les agences volontaires la solution Vialink, qui, par le biais d’un outil d’intelligence artificielle, permet de vérifier plus d’une centaine de points de contrôle en croisant les bulletins de salaire, l’avis d’imposition, la pièce d’identité ou encore les données publiques disponibles, comme celles de Societe.com. Pour rétablir la confiance entre #locataires et #propriétaires, une start-up d’Etat, dénommée DossierFacile, offre également aux propriétaires une vérification de certaines pièces, notamment l’authentification de l’avis d’imposition. A chaque fois, il s’agit aussi bien de lutter contre les faux dossiers vendus clés en main sur Internet par des escrocs pour quelque 180 euros que de pister les retouches artisanales sur Word ou sur Photoshop.
#logement #pénurie #loyer #agences-immobilières #IDF #Paris #faux_dossiers #falsification #IA
]]>Paris Les bibliothèques sont aussi des refuges
▻https://www.leparisien.fr/paris-75/a-paris-les-bibliotheques-sont-aussi-des-refuges-ici-les-sdf-retrouvent-u
La précarité grandit dans les rues et s’invite dans les rayonnages de la cinquantaine de #médiathèques parisiennes. Celles-ci s’adaptent pour devenir des lieux de solidarité. Des cours de français sont, notamment, proposés dans certaines.
Haroun a gardé son anorak noir sur le dos. Le vent froid qui fait frissonner la capitale est pourtant resté à la porte de la bibliothèque Václav-Havel, à deux pas de la bouillonnante Goutte d’or (XVIII e).
L’après-midi file. D’ici 19 heures, lorsque la bibliothèque fermera ses portes, Haroun reprendra le maigre sac en plastique qui lui sert de valise. Puis ce Soudanais de 24 ans repartira à la recherche d’un abri pour la nuit. Depuis son arrivée à Paris il y a deux mois, ses jours et ses nuits se ressemblent. Haroun vient « tous les jours » dans cette médiathèque municipale installée dans la halle Pajol. « Je me sens bien ici », lâche-t-il timidement, par la voix d’un ami qui assure la traduction.
Comme lui, de plus en plus de personnes #sans-abri ou en grande précarité trouvent refuge dans les 56 #bibliothèques de prêt de la Ville de Paris. Un des rares endroits chauffés où l’on peut « rester toute la journée sans consommer » , glisse une bibliothécaire.
« La porte est ouverte à tous, sans qu’aucune question ne soit posée à l’entrée, abonde Pascal Ferry, directeur de Václav-Havel, qui compte une vingtaine d’agents et environ 100 000 visites par an. Ici, les SDF sont traités comme tout le monde. Ils retrouvent un statut qu’ils ont perdu dehors. »
De nouveaux profils apparaissent. « Il y a un an et demi, nous avons dû faire face à l’arrivée des consommateurs de crack, poursuit Pascal Ferry. Aujourd’hui, nous voyons de plus en plus de #mineurs_isolés. Globalement, la précarité est plus visible. C’est un reflet de qui se passe dans la rue. » Depuis une dizaine d’années, ces structures s’adaptent. Certaines proposent des ateliers de conversation, des cours de français ou des initiations au numérique, des rendez-vous avec des assistants sociaux.
« Réussir à faire cohabiter tous les publics »
À Václav-Havel, les CSP + croisent des #familles_hébergées dans les #hôtels_sociaux, les jeunes migrants qui repartent avec des manuels de langue sous le bras, les ados qui sortent d’une session jeux vidéo dans la salle dédiée ou encore les « SDF habitués » qui viennent lire la presse.
« Les bibliothèques ont beaucoup changé », confirme Boubacar Sy, 60 ans dont plus d’une trentaine comme bibliothécaire. Il y a quelques années, il est devenu « le premier médiateur » du réseau parisien. « Il y en a cinq autres désormais, précise-t-il. L’idée, c’était de répondre à certaines violences physiques ou verbales et de mieux prévenir les conflits. »
« Il faut réussir à faire cohabiter tous ces publics et ces usages, insiste Pascal Ferry. C’est un équilibre fragile et compliqué. » Avec parfois des points de rupture. En 2015, deux ans après l’ouverture de la bibliothèque, un camp de migrants s’est installé sur le parvis. « Elle n’était quasiment plus accessible au reste du public », se souvient une membre de l’équipe. À quelques mètres, la « bulle » de la Chapelle se monte en 2016 pour faire face à toutes ces arrivées. Environ 60 000 migrants défilent sous ce chapiteau, jusqu’à ce que dispositif expérimental d’accueil prenne fin en 2018. Carine Rolland, adjointe (PS) de la maire de #Paris en charge de la culture, rappelle : « Ça a accéléré notre réflexion sur ce qu’est une bibliothèque : un lieu de culture, d’ouverture mais aussi de sociabilité. »
Les bibliothécaires se forment sur le tas à l’accueil de visiteurs parfois en grande détresse. Comme il y a quelques jours, cette famille arrivée sous la pluie battante et pour laquelle « il a fallu trouver une solution d’hébergement en urgence ».
De bonnes âmes aident, comme Jean-Claude, 79 ans, qui donne des cours de français bénévolement. Ce vendredi après-midi, ce graphiste retraité s’est installé dans un coin avec Haroun et trois autres jeunes Soudanais. Václav-Havel est devenu bien plus qu’une bibliothèque pour lui : « C’est ma deuxième maison ! »
]]>Dans les #lagons polynésiens, les #déchets invisibles du temps du nucléaire
En trente ans de présence sur le territoire polynésien puis à la suite de son démantèlement, le #Centre_d’expérimentation_du_Pacifique a produit de très nombreux déchets. Si certains ont été enterrés, d’autres ont été jetés dans le lagon. Les #risques que représentent ces déchets contaminés restent difficile à établir.
Combien de tonnes de déchets gisent au fond des lagons polynésiens ? Difficile à dire. Il existe bien des #chiffres de l’Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs (Andra) : « 3 200 tonnes de déchets radioactifs ont ainsi été immergées dans les eaux territoriales françaises en Polynésie. » Mais prennent-ils réellement en compte l’ensemble des déchets jetés dans l’océan à l’époque des #essais_nucléaires ? Rien n’est moins sûr. Une partie de ces déchets n’ont sans doute pas été comptabilisés car ils n’ont simplement pas été inventoriés.
Entre 1966 et 1996, 193 essais nucléaires ont été menés en #Polynésie, sur les #atolls de #Moruroa et #Fangataufa, dans l’#archipel_des_Tuamotu. Ces tirs aériens dans un premier temps, puis souterrains à partir de 1975, ont généré une très grande quantité de déchets plus ou moins radioactifs, c’est-à-dire qui ont la particularité d’émettre des rayonnements pouvant présenter un risque pour l’homme et l’environnement. Ces déchets sont très hétérogènes, ce sont à la fois les avions qui récupéraient les #poussières_radioactives dans les nuages, des moteurs d’engins, des matières plastiques, des tenues et des chaussures, des déchets inertes (gravats, terre…).
Jeter dans le #lagon : une solution rapide et peu coûteuse
L’immersion des déchets, soit le dépôt sur les #fonds_marins, est, à l’époque, une pratique commune. On parle « d’#océanisation » des déchets. En Polynésie, ces derniers sont ainsi stockés sur plusieurs sites entre les atolls d’#Hao et Moruroa, à partir de 1967. Une fosse de 2 500 mètres de profondeur est d’abord creusée à 8 km de Hao. Selon les chiffres de l’Andra, 310 tonnes de déchets radioactifs conditionnés en fûts de béton et 222 tonnes de #déchets_radioactifs en vrac ont été immergées sur le site nommé #Hôtel. Deux sites (#November et #Oscar) sont utilisés à Moruroa, pour procéder à des immersions de plusieurs tonnes déchets à partir d’hélicoptères et de bateaux.
Mais pourquoi avoir pollué les eaux polynésiennes ? Selon l’Andra, « l’#évacuation en mer a été un moyen de gestion de tout type de déchets. Les déchets radioactifs n’ont pas fait exception à cette règle. Cette solution était considérée à l’époque comme sûre par la communauté scientifique car la dilution et la durée présumée d’isolement apportées par le milieu marin étaient suffisantes ».
En l’absence de filière de gestion, l’océanisation apparaît comme la seule solution. L’éloignement des sites explique aussi ce choix, selon Jean-Marie Collin, directeur de la Campagne ICAN en France (Campagne Internationale pour Abolir les Armes Nucléaires) : « Ramener les déchets jusque dans l’Hexagone était une solution plus coûteuse et plus complexe. Creuser un trou dans le désert en Algérie ou jeter par-dessus bord en Polynésie étaient une alternative bien plus simple », regrette-t-il.
Dans le livre Des bombes en Polynésie, l’historien Renaud Meltz détaille la pratique : « Les militaires tiennent l’inventaire à la Prévert, mois après mois, des quelques tonnes de petits matériels (900 paires de gants, 272 kg ; 883 combinaisons, 618 kg, 200 paires de pataugas 200 kg, etc.) et des milliers de tonnes de gros matériel sont livrés à l’océan. »
En 1972, la Convention de Londres sur la prévention de la pollution des mers interdit l’immersion de déchets fortement radioactifs. Elle entre en vigueur en août 1975. Mais les Français font fie des réglementations internationales. Alors que l’immersion au large des côtes métropolitaines s’arrête en 1969, elle continue en Polynésie jusqu’en 1986.
Des conditionnements sommaires
Mais si ces déchets posent problème c’est aussi parce que leur #conditionnement a souvent été négligé. Pourtant, une procédure impose que « tous les déchets radioactifs doivent être déposés dans des sacs en vinyles soudés ou fermés hermétiquement par bandes adhésives. Ces sacs sont ensuite placés dans des fûts ou autres récipients lestés (ciment ferrailles). »
En théorie, les déchets doivent donc être conditionnés selon leur #radioactivité. Dans les faits, tous ne le sont pas. « Seuls ceux dont la taille permet d’être entreposé dans des fûts profitent d’un conditionnement, les autres restent en vrac. Aussi, une partie des résidus, produits au fond des puits ou les bombes détonnaient n’ont jamais été remontés », écrit le chercheur spécialiste du nucléaire Teva Meyer dans l’ouvrage Des bombes en Polynésie.
En 1970, huit fûts provenant des laboratoires de Mahina sont immergés sans conditionnement, après avoir été percés pour éviter l’éclatement. À partir de mars 1975, cinq avions Vautour utilisées pour traverser les nuages des explosions pour récupérer les poussières radioactives, sont coulés.
En 1982, le rapport de la #mission_Haroun_Tazieff pointe les problèmes liés aux déchets dans le lagon, entraînés par la tempête en mars 1981. En 1988, la #mission_Calypso, dirigé par le commandant Cousteau, indique que Moruroa n’est pas un bon site de #stockage de déchets radioactifs. Ils considèrent qu’« il n’y a aucune raison de croire que si certains critères de confinement semblent nécessaires au stockage des déchets des centrales nucléaires civiles, ils ne soient plus nécessaires pour stocker les déchets des essais nucléaires militaires. » Trop tard, les immersions ont été faites, trop souvent sans protection.
Quels #risques pour la population ?
Aujourd’hui, les déchets datant de l’époque du nucléaire n’ont pas disparu des eaux polynésiennes. Représentent-ils un risque pour les populations ? Selon l’Andra, ces 3 200 tonnes de déchets radioactifs immergés représentent une activité totale inférieure à 0,1 TBq (térabecquerel).
Le département de suivi des centres d’expérimentations nucléaires (DSCEN) en lien avec le Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA) effectue une surveillance radiologique de Moruroa et Fangataufa depuis 1998. « Les #radionucléides d’origine artificielle mesurés dans les échantillons sont présents à des niveaux très faibles et souvent inférieurs ou voisins de la limite de détection des appareils de mesure de la radioactivité. Les concentrations mesurées dans le milieu terrestre et les sédiments marins gardent la trace des essais atmosphériques effectués sur les atolls de Moruroa et Fangataufa. Les niveaux d’activité dans ces compartiments restent stables, voire en légère diminution », note le rapport de 2021 du Ministère des Armées.
« Mais qu’est-ce qu’un faible taux ? », s’interroge Patrice Bouveret, directeur de l’Observatoire des armements. « Un taux est acceptable lorsqu’il est socialement accepté par la population ? Toute radioactivité a un impact sanitaire sur l’humain, le végétal, l’animal, sur la vie en général ».
Selon Patrick Bouisset, directeur du laboratoire d’étude et de suivi de l’environnement à l’IRSN (Institut de radioprotection de sûreté nucléaire), les déchets immergés ne représentent pas de risque particulier puisque la radioactivité s’est « diluée dans l’océan ». Quant aux déchets contenus dans des fûts, même « s’ils vont fuir avec le temps car rien n’est hermétique à l’échelle de quelques siècles », ces pollutions ne seront « pas visibles » considère ce physicien, chargé d’évaluer l’exposition radiologique en Polynésie hors des sites de Moruroa et Fangataufa.
L’#imperméabilité des conditionnements inquiète aussi Bruno Chareyron, ingénieur et directeur du laboratoire de la CRIIRAD (Commission de recherche et d’information indépendantes sur la radioactivité) : « Il est difficile d’anticiper les conséquences de l’immersion des déchets. Ce qui est certain, c’est qu’on aurait dû les conditionner sur des sites capables de garantir le confinement pendant des dizaines et des milliers d’années. Balancer des déchets en mer, sans emballage particulier, comme pour les avions Vautour, ou même en considérant une enveloppe en vinyle, c’est dérisoire pour des éléments à très longue période physique. »
Une étude indépendante pour confirmer l’absence de danger
« Le problème c’est qu’on ne connaît pas la quantité exacte de déchets immergés », pointe Jean-Marie Collin qui regrette que les études concernant la radioactivité soient menées par « des instituts qui appartiennent à l’État ». « D’après les études réalisées, il semblerait qu’il n’y a pas de danger concernant ces déchets immergés. Je suppose donc qu’il n’y a pas de danger. Mais il serait intéressant que des études indépendantes soient menées pour corroborer les études existantes et ainsi assurer la sécurité et rétablir la confiance des Polynésiens ».
Les impacts sanitaires et environnementaux découlant des déchets immergés sont ainsi difficiles à établir. Reste que, Moruroa et Fangataufa demeurent des atolls contaminés, où le plutonium subsiste dans les sols comme en surface. Hao, longtemps considéré comme« la poubelle du CEP » subit aussi d’importantes pollutions aux hydrocarbures.
Durant plus de trente ans, si une partie des déchets ont été océaniser, les autres ont été enterrés ou abandonnés. Radioactifs ou pas, ces déchets portent « la charge symbolique des essais », estime Teva Meyer. « Ils demeurent souillés, voire ‘nucléaires’ pour certains, qui demandent qu’ils soient traités comme tels ».
▻https://outremers360.com/bassin-pacifique-appli/dossier-dans-les-lagons-polynesiens-les-dechets-invisibles-du-temps-du
#pollution #santé #contamination #France
A #Menton, les arrivées de migrants augmentent, les #refoulements aussi
De tous les points de passage entre la France et l’Italie, celui du pont Saint-Louis est sans doute le plus pittoresque. Imaginez une route suspendue à flanc de rocher entre Menton, ville des Alpes-Maritimes, et Grimaldi, la première localité transalpine : d’un côté la montagne, abrupte et creusée de grottes ; de l’autre, un paysage de cultures en terrasses dévalant jusqu’à la côte. Tout en bas, la Méditerranée luit d’un éclat mauve, en ce petit matin d’automne que le soleil n’éclaire pas encore.
Un endroit sublime, donc, et pourtant parfaitement désespérant. Car ce bout de route, encadré par les postes de police des deux pays, accueille chaque jour un ballet tragique de migrants qui passent et repassent, long cortège de malheureux expulsés hors de l’Hexagone. Remis à la police italienne, ils tenteront leur chance une fois, dix fois, vingt fois, jusqu’à pouvoir franchir cette frontière sur laquelle la France a rétabli des contrôles depuis 2015. « A la fin, la plupart d’entre eux finissent par y arriver » , observe Loïc Le Dall, membre de l’antenne locale de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé). Y compris en empruntant les chemins les plus dangereux, comme le toit des trains ou ce sentier vertigineux que l’on appelle ici le « pas de la mort ». Mais dans l’intervalle, ils sont pris dans une étrange partie de ping-pong politico-policier, un casse-tête juridique et humanitaire.
A quoi pense-t-elle, cette femme arrêtée le long du parapet, entre les deux postes-frontières ? Le visage appuyé contre le grillage, elle regarde la mer et au-delà, les lumières de Menton. Près d’elle, deux très jeunes enfants grelottent dans leurs vêtements de coton. Plus loin, son mari monte la pente en tirant une petite valise. Ils sont kurdes, fuyant la Turquie pour des raisons politiques, disent-ils.
Grosses boîtes cubiques
Dans leur groupe, formé au hasard des contacts avec un passeur, il y a une autre famille avec enfants et un adolescent accompagné de sa mère. Poyraz a 17 ans, des écouteurs autour du cou et il tient à préciser quelque chose en esquissant un signe de croix à toute vitesse, le dos tourné pour que ses compagnons ne le voient pas : « Nous sommes orthodoxes,confie-t-il. C’est très difficile pour nous, en Turquie. »
A trois pas de là, deux Nigérians regardent en direction d’un panneau bleu planté sur le bas-côté : « Menton, perle de la France, est heureuse de vous accueillir. » Les bras ballants, ils ont l’air désemparés, perdus. Eux n’ont rien, ni valise, ni téléphone, ni écouteurs et pas l’ombre d’un sac, fût-il en papier – même dans la misère, il y a des hiérarchies. Surtout, comme beaucoup de migrants, ils disposent de très peu de mots pour expliquer leur situation. Le plus âgé réussit à formuler une question, en rassemblant quelques bribes d’anglais : « Pourquoi ne nous laissent-ils pas entrer ? »
« Ils », ce sont les forces de l’ordre françaises qui viennent de les renvoyer vers l’Italie, après les avoir enfermés depuis la veille dans des « espaces de mise à l’abri » – en fait des préfabriqués agglutinés entre la route et la falaise, au droit des bâtiments de police. Les Français retiennent dans ces grosses boîtes cubiques ceux qu’ils n’ont pas eu le temps d’exfiltrer avant la nuit, les locaux de leurs homologues italiens, à 50 mètres de là, étant fermés entre 19 heures et 7 heures. Ces lieux sont « climatisés et pourvus de sanitaires, de la nourriture y est distribuée » , explique Emmanuelle Joubert, directrice départementale de la police aux frontières (PAF). Kadiatou, une Guinéenne de 22 ans rencontrée à Vintimille, y a déjà passé la nuit avec son fils Mohamed, 1 an et demi. « C’était très sale, nuance-t-elle, nous étions serrés les uns contre les autres et dormions par terre. »
Le 29 septembre, plusieurs baraquements ont été ajoutés à ceux qui s’y trouvaient déjà, en prévision d’une recrudescence d’arrivées : sur les 10 000 migrants débarqués dans l’île italienne de Lampedusa, entre le 11 et le 13 septembre, certains devraient atteindre la frontière française ces jours-ci. Entre le 1er janvier et le 21 septembre, la PAF a procédé à 31 844 interpellations, dont 5 259 pour la seule période du 25 août au 21 septembre. D’après la préfecture, ce chiffre, déjà en hausse par rapport à 2022, devrait augmenter avec les afflux attendus en provenance de Lampedusa. Parmi les refoulés, beaucoup sont mineurs et un grand nombre vient d’Afrique subsaharienne.
Mine résignée
Au pont Saint-Louis, aucune demande d’asile n’est jamais enregistrée. Et même si la présence d’un membre de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Opfra) serait nécessaire, « il n’en vient jamais ici », assure un policier en faction.
Pour faire face à cet afflux, il a fallu consolider les dispositifs, notamment depuis le mois de juillet, avec des drones, un avion de la brigade aéronautique de Marseille et des effectifs renforcés. Le 18 septembre, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a annoncé l’envoi de 132 personnes (policiers, gendarmes, militaires des sections « Sentinelle ») afin d’étoffer les « troupes » déjà présentes dans le département. Celles-ci comptent également dans leurs rangs des réservistes de la police qui se relaient pour assurer des contrôles à Menton-Garavan, la première gare en territoire français.
Ces réservistes vont par petits groupes, équipés de gilets pare-balles. Tous les trains en provenance de Vintimille, ville italienne située à 9 kilomètres, sont inspectés. Et de presque tous, les forces de l’ordre font descendre des sans-papiers, repérables à leurs mains vides, à leurs vêtements informes, à leur mine résignée. De là, ils sont conduits au pont Saint-Louis, où la PAF leur remet un refus d’entrée. Sur ces deux pages remplies par la police figurent notamment le nom, la nationalité et une date de naissance.
Parfois, ces indications sont fantaisistes (on les reconnaît parce qu’elles indiquent systématiquement comme date un 1er janvier) : la minorité revendiquée par les passagers, qui n’ont jamais de papiers d’identité sur eux et ne sont pas toujours capables de donner une date de naissance précise, n’a pas été considérée comme réelle par les policiers. Ceux-ci choisissent alors une année de naissance estimative, qui « déminorise » les interpellés. Interrogée à ce propos par Le Monde, Mme Joubert (PAF) répond qu’il s’agit « d’un processus technique interne, le plus précis possible au regard des éléments en notre possession ». Ces procédures, dit-elle, « ont été établies afin de ne pas faire échec aux droits » .
Yacht show de Monaco
Au chapitre « Vos droits », justement, le document propose deux options. Par la première, le requérant demande à bénéficier d’un délai de vingt-quatre heures. Par la seconde, il affirme : « Je veux repartir le plus rapidement possible. »Or, selon l’Anafé, la case correspondant à cette deuxième option est déjà précochée au moment où les expulsés reçoivent le papier. La décision est exécutoire immédiatement. Le 21 septembre, un arrêt de la Cour de justice de l’Union européenne a jugé illégale cette pratique de refoulement instantané aux frontières. Sans rien changer sur le terrain jusqu’ici.
Il arrive aussi, en contravention totale avec le droit français, que des mineurs se voient infliger une obligation de quitter le territoire. Celles que montrent, par exemple, Saad, né au Darfour (Soudan) en juillet 2006 (la date figure sur le document établi par la police), et son copain guinéen, 17 ans également. Tous deux sont assis sur un banc, du côté français, la tête entre les mains, incapables de déchiffrer la sommation qui leur donne quarante-huit heures pour contester devant le tribunal administratif. « Une erreur », plaide la PAF. « Nous avons vu cela plusieurs fois », rétorque l’Anafé.
En cas de doute sur l’âge, un fonctionnaire de l’Aide sociale à l’enfance, structure dépendant du département, doit donner son avis. Ceux qui sont reconnus comme mineurs non accompagnés (les enfants se déplaçant avec des adultes ne bénéficient d’aucune protection particulière) doivent être placés dans des foyers provisoires d’urgence, mais les lits manquent. Le 15 septembre, un hôtel Ibis Budget du centre de Menton a donc été réquisitionné, quoique encore jamais utilisé. Cette décision préfectorale a provoqué la colère d’Yves Juhel, maire (divers droite) de la ville, où les touristes se pressent encore à cette saison. L’édile s’est exprimé sur France 3, le 21 septembre, soit quatre jours avant l’inauguration du Monaco Yacht Show, grand raout dont les participants remplissent les chambres des environs. « Cela ne(…) se fera pas ! Sinon, je serai le premier à être devant l’hôtel pour éviter une telle occupation. (…) Vous n’allez pas faire sortir des gens qui ont payé leur chambre pour en mettre d’autres en situation irrégulière, non ? »
Dans un courrier adressé à Emmanuel Macron, le 20 septembre, Charles-Ange Ginésy, président Les Républicains du département, réclamait, lui, une prise en charge, par l’Etat, de l’accueil et de l’orientation des mineurs non accompagnés, normalement assumée par sa collectivité. Celle-ci, écrit-il, « ne peut être la victime collatérale d’une frontière passoire qui embolise les personnels en charge de l’enfance » .
Distribution de repas sur un terrain vague
En attendant, les personnes refoulées de France s’entassent à Vintimille, avec les primo-arrivants. Ils sont des dizaines sous l’autopont longeant le fleuve Roya, leurs vêtements suspendus aux grillages. « Pour nous laver, il y a la rivière et pour dormir, c’est par terre », racontent, l’air crâne, trois garçons soudanais, arrivés à Lampedusa par la Libye, puis la Tunisie. Ils se disent mineurs mais n’ont pas voulu le déclarer à leur arrivée en Sicile, afin de ne pas être enfermés dans des foyers spécialisés.
Chaque soir, tout près de là, des associations humanitaires et la paroisse San Rocco de Vallecrosia distribuent, à tour de rôle, des repas sur un terrain vague, dans ce quartier de Roverino où une majorité d’habitants a voté pour la Ligue (extrême droite) aux dernières élections municipales. Mardi 3 octobre, ils étaient 200 à faire la queue, soit moitié moins que les 430 du mardi précédent. Cette baisse correspond-elle à un ralentissement des arrivées du sud du pays ? Ou bien au fait que plus de gens sont parvenus à passer entre les mailles du filet ? Nul ne le sait.
« Nous sommes habitués à ces cycles, sans pouvoir les analyser » , constate Alessandra Zunino, « référente » chez Caritas. L’organisation catholique distribue des repas le matin et à midi, mais surtout, elle accueille des femmes et des enfants dans une annexe, le long de la voie ferrée. « Nous nous substituons aux services qui manquent, explique Maurizio Marmo, l’un des responsables locaux. A Vintimille, depuis trois ans, plus aucune structure institutionnelle ne fonctionne pour les migrants. Maintenant, tout de même, nous recevons un appui du ministère de l’intérieur pour les vingt places d’hébergement réservées aux femmes et aux enfants. »
Dans le bâtiment principal, une maison crème aux volets bruns, on se contente de « tendre la main à ceux qui en ont besoin » , poursuit Alessandra Zunino. Quant aux parcours individuels, ils demeurent le plus souvent mystérieux. Même pour le docteur Pedro Casarin, qui soigne des blessures, des bronchites et annonce au moins une grossesse par semaine, sous une tente de Médecins sans frontières. Les gens vont et viennent, restent une heure ou un jour, puis ils repartent aussi soudainement qu’ils étaient arrivés, pour ne jamais revenir. Ils ont bravé le désert, les bandits, les violeurs, la Méditerranée : ce n’est pas une frontière de plus qui va les arrêter.
►https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/07/a-menton-les-arrivees-de-migrants-augmentent-les-refoulements-aussi_6193012_
#frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Alpes_Maritimes #frontières #Alpes #Vintimille #France #Italie #enfermement #interpellations #statistiques #chiffres #militarisation_des_frontières #contrôles_frontaliers #Menton-Garavan #forces_de_l'ordre #réservistes #trains #refus_d'entrée #refoulements_instantanés #OQTF #mineurs #MNA #mineurs_non_accompagnés #hôtel #Ibis #hôtel_Ibis #encampement
]]>🛑 Dans les hôtels du 115, des femmes victimes de chantages sexuels se heurtent à la loi du silence... - Bondy Blog
Sans argent et souvent sans papiers, les femmes mises à l’abri dans les hôtels d’hébergement d’urgence se retrouvent parfois à la merci des propriétaires hôteliers. Leur vulnérabilité empêche nombre d’entre elles de déposer plainte (...)
#115 #femmes #hébergement #hôtels #chantages #agressionssexuelles...
▻https://www.bondyblog.fr/enquete/dans-les-hotels-du-115-des-femmes-victimes-de-chantages-sexuels-se-heurten
Trois syndicalistes CGT hôtellerie jugés pour escroquerie
▻https://france3-regions.francetvinfo.fr/paris-ile-de-france/hauts-de-seine/trois-syndicalistes-cgt-hotellerie-juges-pour-escroquer
Le ministère public a requis huit et cinq mois de prison avec sursis mercredi contre deux syndicalistes de la CGT HPE, Hôtels de prestige et économiques, jugés pour escroquerie, devant le tribunal correctionnel de Nanterre. lls sont accusés d’avoir sollicité des dons auprès des salariés qu’ils défendaient.
À la barre du tribunal de Nanterre mercredi, l’ex-trésorier du syndicat Claude Lévy, son épouse Tiziri K. et un troisième syndicaliste. Les trois prévenus sont accusés d’avoir sollicité des #dons auprès des salariés qu’ils défendaient devant les #prud'hommes. Ils sont soupçonnés de les avoir incités à verser à leur #syndicat 10% des sommes obtenues devant ces juridictions. Au total, 46 personnes se sont constituées parties civiles, ainsi que l’Union départementale CGT Paris et l’Union régionale Île-de-France CGT .
Claude Levy est bien connu dans le monde de l’#hôtellerie en Ile-de-France. Il s’est notamment engagé en 2013 dans la défense de #femmes_de_chambres qui demandaient à être embauchées dans un palace parisien, le #Park_Hyatt Paris-Vendôme ou plus récemment il y a deux ans, au côté d’autres femmes de chambres de l’hôtel #IBIS_Batignoles. Elles exigeaient une amélioration de leurs #salaires.
10 % de dons
Mercredi au tribunal, les trois #syndicalistes ont rejeté en bloc assurant ces 10% des sommes versés par des salariés constituent des "dons juridiques" librement consentis dont le principe a été voté à l’unanimité lors de plusieurs congrès tenus par la CGT.
En juin 2021, a rappelé la présidente, ces transferts représentaient plus de la moitié du capital de la CGT-HPE qui s’élevait à cette date à « un peu plus de 800.000 euros ». Les recherches conduites par les enquêteurs pour évaluer votre rythme de travail devant les instances prud’homales pourraient éventuellement justifier de ce montant", pointe la présidente qui décompte "600 procédures" qui seraient allées jusqu’au jugement.
Une ambiance tendue
Lors d’une audience de plus de dix heures, ponctuée par de nombreux rappels de la présidente dans une ambiance tendue, les prévenus se sont défendus de manière véhémente. "Ce #procès, c’est le procès d’un vilain syndicaliste qui s’est impliqué pendant plus de 70 heures (par semaine, nldr ) pour aider les plus démunis. Qu’on me traite d’exploiteur des opprimés, il y a de quoi péter un plomb !", s’est exclamé M. Lévy. La prévenue Tiziri K. a déclaré être victime d’un "règlement de compte" et n’avoir "contraint personne" à verser une partie des indemnités perçues.
Ils ont mentionné plusieurs attestations versées au dossier, produites par des salariés expliquant avoir versé librement ces sommes à la #CGT-HPE.
Huit mois de #prison_avec_sursis assortis d’une amende de 8.000 euros ont été requis contre l’ex-trésorier du syndicat Claude Lévy. Son épouse Tiziri K. a été visée par des réquisitions de cinq mois d’emprisonnement avec sursis et une #amende de 5.000 euros. Concernant une troisième syndicaliste également mise en cause, soupçonnée de complicité d’#escroquerie, le parquet a déclaré qu’il s’en remettait à la décision de la cour, qui sera rendue le 28 novembre.
Le parquet a également demandé la #privation_de_droits_d'éligibilité pendant cinq ans pour les deux prévenus et de manière non obligatoire, l’interdiction d’exercer toute fonction dans le domaine social pendant cinq ans.
des structures de cette même #CGT qui, dans de nombreux cas, ne donne des infos aux salariés, chômeurs et précaires qui en demandent qu’à la condition qu’ils adhérent juge utile de se porter partie contre des militants syndicaux qui animent des grèves
#bureaucratie_syndicale #justice #luttes_sociales #luttes_syndicales #grève #caisse_de_grève
]]>Après 22 ans, le géant de l’intérim Adecco jugé pour fichage racial
►https://www.streetpress.com/sujet/1695805410-geant-interim-adecco-juge-fichage-racial-discrimination-emba
Adecco et deux ex-responsables vont être jugés le 28 septembre 2023 pour « #fichage_racial » et discrimination à l’embauche. Entre 1997 et 2001, une agence faisait un tri entre ses #intérimaires noirs et non-noirs. Plongée dans un système raciste.
« Je tiens à vous signaler qu’au sein de l’agence #Adecco, […] on procède à un tri ethnique des intérimaires. En effet, les intérimaires sont classés en fonction de leur couleur de peau. Une distinction est faite entre les noirs et les non-noirs. » C’est par ces mots que commence la lettre explosive envoyée par Gérald Roffat le 1er décembre 2000 à l’association SOS Racisme. À l’époque, il est étudiant en licence de ressources humaines à l’université Paris Créteil. Le jeune homme, métisse, vient de faire un stage de six mois dans l’agence Adecco de Montparnasse, dans le 14ème arrondissement de Paris (75). Ce qu’il a vu l’a révolté. « Le pire, c’est que le stagiaire qui m’a expliqué ce que j’allais faire, était noir », se souvient le volubile Gérald Roffat, aujourd’hui âgé de 47 ans. « Les gens autour de moi se racontaient des histoires pour se justifier, mais moi je trouvais ça malsain. Ce courrier est la porte de sortie que j’ai trouvée. »
Ce 28 septembre 2023, après une procédure exceptionnellement longue, les délits racistes dénoncés par le lanceur d’alerte vont finalement être jugés. Le groupe d’#intérim Adecco et deux anciens directeurs de l’agence Paris-Montparnasse ont été renvoyés en correctionnelle le 25 juillet 2021 par la Cour d’appel de Paris pour « fichage à caractère racial » et discrimination à l’embauche. 500 intérimaires du secteur de l’#hôtellerie-restauration en Île-de-France entre 1997 et 2001 en auraient été victimes. Ils sont aujourd’hui quinze à se porter partie civile. StreetPress a eu accès aux documents judiciaires dans lesquels quatorze chargés de recrutement ou de clientèle témoignent de leur participation au fichage.
Les blancs recevaient des appels, les noirs faisaient la queue. Dans sa lettre, l’ex-stagiaire Gérald Roffat déroule : « Pour chaque intérimaire, le chargé de recrutement indique la mention PR1 ou PR2. Il ajoute la mention PR4 quand il s’agit d’une personne de couleur. (…) Lorsqu’un client d’Adecco demande un intérimaire, il peut tout naturellement demander un BBR [pour “bleu blanc rouge”, NDLR] ou un non-PR4. » Résultat : les intérimaires noirs sont servis en dernier et souvent cantonnés à la plonge, loin des regards des clients.
[...]
« On ne voyait pas ce qu’il y avait derrière leur bureau, mais on le sentait », raconte quant à elle Adrienne Djokolo, 59 ans. La Française née en République du Congo avait 31 ans lorsqu’elle a commencé à faire des missions d’intérim pour Adecco en 1995. « On partait très tôt le matin à 7h s’asseoir à l’agence pour attendre une mission. On repartait bredouille s’il n’y avait rien. Il n’y avait que des noirs, des arabes, des indiens… » C’est quand Adrienne arrivait dans les restaurants qu’elle voyait les intérimaires « blancs » d’Adecco. « Ils nous disaient qu’eux n’avaient pas besoin d’aller à l’agence. On les appelait directement chez eux pour les missions », rembobine la grand-mère, aujourd’hui en CDI dans une entreprise de #restauration collective
]]>Les #LRA, zones de non-droit où sont enfermés des #sans-papiers
Dans les locaux de rétention administrative, les droits des sans-papiers retenus sont réduits. Souvent sans avocats, ni même de téléphones, ils ne peuvent défendre leurs droits. Enquête dans l’angle mort de la rétention française.
Commissariat de Choisy-le-Roi (94) – « Ce n’est pas le bon jour », répète le major Breny, en costume-cravate malgré la chaleur. Ce lundi 4 septembre 2023, l’atmosphère est glaciale quand la députée Ersilia Soudais (LFI) demande à visiter le local de #rétention_administrative (LRA) annexé au commissariat de Choisy-le-Roi. Méconnus du grand public, ces #lieux_d’enfermement sont destinés aux personnes étrangères et victimes d’une #décision_d’éloignement. Mais à la différence des #centres_de rétention_administrative (#Cra), elles y sont enfermées pour 48 heures au maximum. « Soit le Cra est plein, soit une décision est prise de les positionner temporairement en LRA », introduit le major.
Le directeur du lieu commence par interdire aux journalistes les photos à l’intérieur. « Ici, nous sommes dans un #commissariat », lance-t-il. À plusieurs reprises, le major Breny nous renvoie vers une « disposition du Ceseda », le code de l’entrée et du séjour des étrangers. Laquelle ? « Regardez sur internet, je ne connais pas le Ceseda par cœur », s’agace-t-il. La disposition a beau être introuvable et l’interdiction illégale, le major n’en démord pas.
Une #opacité qui concorde avec la situation nationale. En 2022, 27 LRA permanents existaient en France pour 154 places. Mais impossible de savoir combien de personnes y passent chaque année car l’administration ne communique aucun chiffre, au contraire des Cra. Entre ignorance des agents et méconnaissance des retenus au sujet de leurs droits qui y sont réduits, les LRA représentent un angle mort de la rétention. Une situation qui inquiète les associations, d’autant que les placements en LRA sont de plus en plus réguliers.
Une ignorance du droit
Le lendemain de la visite au LRA de Choisy-le-Roi, la députée Ersilia Soudais se rend au LRA de Nanterre (92). L’accueil est similaire. Après vingt minutes d’attente, le responsable commence par refuser l’accès aux journalistes. L’élue lui rappelle la procédure, ce qui ne le dissuade pas de vérifier auprès de ses supérieurs. Cinq minutes plus tard, il s’excuse :
« On n’a jamais reçu de visite. »
Ce LRA, situé au rez-de-chaussée de la préfecture, a été créé il y a moins d’un an, en novembre 2022. Selon les agents présents, il est principalement dédié à l’enfermement des personnes « dublinées », qui ont déjà demandé l’asile dans un autre pays de l’Union européenne. Il peut accueillir actuellement six personnes.
À l’intérieur, l’agent tente à nouveau d’encadrer la visite. Il indique à Ersilia Soudais qu’elle ne peut pas discuter avec des retenus. Ce qui est encore une fois illégal. L’élue était en train d’échanger avec le seul prisonnier du LRA, un homme algérien. Débardeur blanc et cigarette à la bouche, il est enfermé depuis deux jours. Il demande un traducteur, mais la discussion est interrompue par la sous-préfète des Hauts-de-Seine, Sophie Guiroy Meunier, descendue de son bureau : « Vous êtes là dans quel cadre ? » À plusieurs reprises, la sous-préfète nous demande à quoi servent nos questions. « Mais vous écrivez un rapport ? » interroge-t-elle. Quarante minutes plus tard, la députée ressort sonnée de ces deux visites. « Ça me donne envie de me rendre dans d’autres LRA d’Île-de-France », déclare-t-elle en partant.
Un accès juridique restreint en LRA
À Nanterre, s’ils veulent appeler l’extérieur, les retenus doivent demander un portable aux agents. Or, le décret du 30 mai 2005 stipule qu’un LRA doit fournir une ligne téléphonique fixe en accès libre, parmi d’autres obligations, pour permettre aux retenus de contacter leurs avocats. Un policier balaye :
« C’est plus simple comme cela. »
La situation est représentative du #flou entretenu dans ces locaux, où l’accompagnement juridique n’est pas obligatoire, contrairement aux Cra. « Les personnes retenues ont un certain nombre de #droits. Mais, en pratique, elles n’ont pas d’informations suffisantes », affirme maître Berdugo, coprésident de l’Association pour le droit des étrangers (ADDE). À Choisy-le-Roi, les cinq retenus parlent très peu français et personne n’a l’air de connaître l’acronyme LRA.
Celui de Choisy-le-Roi a rouvert en février 2022, après une fermeture décidée par une ordonnance administrative, « compte tenu du #traitement_inhumain_et_dégradant infligé aux personnes », a noté l’ADDE. Parmi les points noirs à l’époque : l’obligation de demander aux agents l’autorisation de se rendre aux toilettes. Désormais, des travaux ont été effectués. Trois douches et des WC sont en accès libres, « pour huit places contre douze auparavant », détaille le major Breny. Concernant les retenus, le directeur du LRA assure :
« Ils sont tous contents. Dehors, c’est plus dur. Ici, on s’occupe d’eux. Ils n’ont pas exprimé un mal-être particulier. »
Un manque d’information qui coûte cher
« C’est notre première nuit ici, on espère ne pas être envoyés en centre de rétention. On est tranquille », avance Ahmed, originaire d’Algérie. Mais quand on aborde leur situation juridique, les hommes lèvent les yeux de leur téléphone – qu’ils ont ici le droit de conserver – et s’interrogent. Ali (1), torse nu à cause de la chaleur, demande des renseignements à la députée sur les démarches juridiques qu’il doit entreprendre. « Est-ce que vous avez un avocat ? » lui demande-t-elle. Il répond non de la tête. Idem pour ses camarades. Pourtant, le délai de recours d’une #obligation_de_quitter_le_territoire (#OQTF) est de 48 heures devant le tribunal administratif. D’où la nécessité d’agir vite pour tenter de la faire annuler. « Les retenus sont présentés quatre jours après devant le juge des libertés et de la détention (JLD) et il arrive qu’on apprenne qu’ils n’ont pas contesté l’OQTF », souligne maître Florian Bertaux, avocat au barreau du Val-de-Marne. Il renchérit :
« Il n’y a pas de permanence au tribunal administratif dans notre département, donc pour faire un recours, il faut souvent déjà connaître un avocat. »
Le recours est d’autant plus difficile à faire qu’aucun moyen de télécommunications n’est mis à leur disposition. Impossible donc d’envoyer un mail à son avocat. « Pour transmettre une décision, c’est très compliqué. Ils sont dépendants des services de police », continue maître Berdugo.
Les retenus gaspillent parfois un temps précieux en essayant de joindre les mauvais interlocuteurs. Youssef (1), un père de famille défendu par maître Berdugo, a été placé au LRA de Nanterre fin août 2023. « En guise d’informations, on lui a donné une liasse sur laquelle il était indiqué qu’il pouvait être assisté par diverses associations, alors que c’était faux », raconte son conseil. Parmi les numéros écrits, celui de l’association la Cimade, qui n’intervient pourtant pas dans les LRA. En apprenant cela, Paul Chiron, chargé de soutien et des actions juridiques en rétention à la Cimade, s’étrangle :
« C’est hallucinant. Nous refusons d’être dans les LRA car il n’y a pas de garanties suffisantes afin d’exercer nos missions. »
Heureusement pour Youssef, il connaissait déjà maître Berdugo et avait une procédure en cours à la préfecture. Mais lors de sa comparution devant le JLD, les autres retenus du LRA altoséquanais n’ont pu faire de recours car les 48h de délais de contestation « étaient expirés ».
Des LRA qui disparaissent du jour au lendemain
Les avocats eux-mêmes ont du mal à suivre la situation des LRA. En juillet 2023, maître Berdugo et des confrères avaient tenté de faire fermer le LRA de Nanterre via un référé-liberté. « Lorsqu’on l’a préparé, on nous a indiqué qu’il n’y avait plus personne dans le LRA. Donc on a laissé tomber », raconte-t-il. Maître Berdugo continue :
« La préfecture avait promis de ne plus saisir le juge, donc on pensait que le LRA ne fonctionnait plus. »
Pour ne rien arranger, des #LRA_temporaires sont créés – en plus des permanents – par arrêtés préfectoraux lorsque des étrangers ne peuvent être placés tout de suite dans un Cra, en raison de circonstances particulières. « C’est très peu encadré », souffle Paul Chiron de la Cimade. Ces LRA sont hébergés dans des #hôtels, des #cités_administratives ou encore des #gendarmeries. StreetPress a contacté le directeur général de #Contacts_Hôtel, groupe auquel appartient le #Ashley_Hôtel qui a hébergé un LRA au Mans à partir de mars 2023. « L’hôtelier ne communique pas sur le sujet étant donné qu’il est soumis à une clause de confidentialité », a-t-il répondu. Parfois, les LRA ne durent qu’une seule nuit avant de disparaître et d’effacer le sort des personnes enfermées.
Hors métropole, les LRA ont par exemple donné lieu à des « aberrations juridiques », d’après maître Flor Tercero, partie au mois d’avril à Mayotte. Elle assure que « les arrêtés de publication des LRA apparaissaient une fois qu’ils étaient fermés » et assène :
« C’était l’omerta la plus totale. »
Aucune donnée
Ainsi, personne ne savait où se trouvaient les locaux de rétention ni combien de personnes y avaient été enfermées. « Dans certains LRA, les règlements intérieurs disaient qu’ils étaient faits pour douze personnes, mais dans les arrêtés de création des LRA, il y avait écrit quarante personnes. Une #surpopulation contestable. » Elle mentionne des familles qui tentaient de joindre leurs proches disparus et placés en LRA :
« Elles ont appelé les centres de rétention, mais il n’y avait pas de numéro de téléphone dans les LRA. Elles les ont retrouvés ensuite plus tard aux Comores. »
Ces dérives perdurent car les LRA ne sont que très peu contrôlés. « Nous sommes très peu saisis sur les LRA, et pour ceux qui sont temporaires, c’est souvent trop tard, ils ont fermé. Cette temporalité très brève rend nos visites compliquées », admet Dominique Simonnot, contrôleure générale des lieux de privation de liberté. En sept ans, le CGLPL n’a pu se rendre que dans quatre LRA :
« Notre dernière visite remonte en 2021 à Tourcoing. »
De son côté, la Cimade constate une « flambée » des LRA et estime qu’ils étaient auparavant « bien moins utilisés qu’aujourd’hui notamment avec l’usage détourné qui en est fait depuis les instructions de Gérald Darmanin. » En témoigne un extrait de la circulaire du 3 août 2022, qui a demandé que les capacités des LRA soient augmentées « d’au moins un tiers ». De quoi interroger le chargé de soutien de l’asso Paul Chiron :
« Avec quatre Cra en Ile-de-France, la question des circonstances de temps et de lieu nécessaire à la création d’un LRA, peut difficilement s’entendre. »
La Cimade craint également que les #locaux_de_rétention ne soient utilisés à l’avenir pour enfermer des familles en toute discrétion. « Le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin a affirmé qu’il ne voulait plus d’enfants dans les Cra, mais il n’a rien dit sur les LRA », rappelle Paul Chiron. Contacté, le ministère de l’Intérieur n’a pas été en mesure de fournir à StreetPress des données précises sur le nombre de personnes enfermées dans les LRA. Idem du côté de la préfecture de police. Quant à maître Berdugo, il a lancé un nouveau référé-liberté pour faire fermer le LRA de Nanterre. L’affaire passe ce 18 septembre 2023 devant le tribunal administratif de Cergy.
(1) Les prénoms ont été modifiés.
▻https://www.streetpress.com/sujet/1694682108-lra-non-droit-sans-papiers-etrangers-locaux-retention-admini
]]>“Travailleurs de l’hôtellerie-restauration, il est temps de s’organiser”
▻https://www.frustrationmagazine.fr/travailleurs-restauration
Théo est salarié dans l’hôtellerie-restauration et il a répondu à notre appel à témoignage dans le cadre de notre enquête sur la “pénurie” de personnel dans le secteur. Nous publions avec son accord son texte, révoltant, puissant et mobilisateur. Nous adressons au passage toute notre sympathie et notre soutien aux travailleuses et travailleurs de la […]
]]>RSA : ces départements qui permettent de cumuler l’allocation de la CAF avec un salaire
▻https://www.mercipourlinfo.fr/actualites/aides-et-allocations/rsa-ces-departements-qui-permettent-de-cumuler-lallocation-de-la-caf-
Un contrat permettant aux bénéficiaires du #RSA de cumuler le #salaire d’un #emploi_saisonnier avec leur allocation. C’est l’initiative mise en place depuis plusieurs années par une quinzaine de #départements à travers l’Hexagone. Chargés du versement du revenu de solidarité active (RSA), ces collectivités ont décidé d’adopter cette mesure afin de favoriser l’insertion professionnelle des #allocataires et de pallier le manque de travailleurs #saisonniers.
Le Rhône et la Marne revendiquent ainsi depuis plus de dix ans l’usage de cet instrument pour faciliter le recrutement de saisonniers dans le secteur viticole. Depuis, le dispositif s’est élargi à une quinzaine de départements dont la Gironde qui l’adopté en 2019 ou l’Aude en 2020. D’autres, comme la Somme, la Charente-Maritime ont suivi ce système et l’ont adapté aux besoins de recrutement locaux, notamment dans le #tourisme et l’#hôtellerie. La Côte-d’Or, quant à elle, propose ce type de contrat pour les secteurs de l’#aide_à_la_personne, de la #logistique, du #bâtiment, ou encore l’#entretien_propreté.
Quelles sont les conditions pour bénéficier du cumul RSA/salaire ?
être bénéficiaire du RSA ;
résider dans l’un des départements proposant ce dispositif.
Concernant le contrat de travail en lui-même, celui-ci ne doit pas excéder 300 heures réparties sur une année civile (du 1er janvier au 31 décembre, que ce soit pour un contrat ou plusieurs). Il ne reste ensuite plus qu’à envoyer une demande auprès du Conseil départemental. Celui-ci exige quelques justificatifs (généralement un contrat de travail et les bulletins de salaires perçus lors du contrat).
Le Département se charge ensuite de faire la déclaration auprès de la Caisse d’allocations familiales (#CAF) concernée. D’autres pièces peuvent être réclamées et la procédure varie selon le département concerné. Il est recommandé de consulter les démarches à effectuer sur les sites des conseils départementaux.
Un instrument d’insertion à l’emploi qui tend à se généraliser
La possibilité de pouvoir cumuler RSA et travail saisonnier est largement plébiscitée par les Conseils départementaux et les élus qui y ont recours. L’objectif est de favoriser l’insertion professionnelle et de pérenniser certains emplois dans des secteurs qui peinent à recruter. « On espère voir certains bénéficiaires poursuivre dans ce milieu professionnel et passer par des formations diplômantes », déclarait Sophie Piquemal, vice-présidente à l’urgence sociale au département de la Gironde et conseillère départementale du canton Landes des Graves, dans les colonnes du journal régional Sud-Ouest.
Élisabeth Borne, elle aussi, est favorable à ce type de dispositif. La Première ministre a annoncé le 13 mai à BFMTV, vouloir étendre à l’île de la Réunion la possibilité pour les allocataires du RSA de bénéficier du cumul de la prestation avec un emploi saisonnier. « L’Idée est de favoriser le retour à l’emploi par tous les moyens », a-t-elle déclaré lors de cette conférence de presse.
Le dispositif reste cependant assez méconnu de la population. Ainsi, le département de la Marne a enregistré pour l’année 2019 seulement 340 contrats RSA et saisonniers pour 18 000 allocataires. En Gironde, le bilan s’élève à 281 recrutements pour la période entre juillet 2022 et janvier 2023. Le département a néanmoins étendu le dispositif à l’année pour 140 allocataires du RSA « à la demande du milieu agricole », confirme Sophie Piquemal.
300 heures, au pire, c’est 2400€ net par an à quoi peut éventuellement s’ajouter de tous petits bouts de prime d’activité...
]]>#Orientation des migrants en région : des retours du terrain « de plus en plus inquiétants », faute de places dans l’#hébergement_d’urgence
Des opérateurs craignent que la politique de #désengorgement de l’#Ile-de-France, qui passe par la création de « #sas », des centres d’#accueil_temporaire, n’offre pas de #solution pérenne.
Marie (son prénom a été modifié) est déjà repartie. Cette Angolaise est arrivée à Bordeaux aux alentours de la mi-juin, avec son garçon de 6 ans. Cela faisait trois ans qu’ils étaient logés dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile (#CADA) dans le 12e arrondissement de #Paris.
Courant avril, les gestionnaires de l’établissement ont commencé, selon Marie, à expliquer à certains des occupants – ceux qui avaient été #déboutés de leur demande d’asile ou qui avaient obtenu leur statut de réfugié – qu’ils devaient quitter les lieux, laisser la place à des personnes en cours de procédure. Ils leur ont proposé d’aller en région, à Bordeaux et en banlieue rennaise, dans des #centres_d’accueil temporaires.
Certains ont refusé. Marie, elle, a été « la dernière à [se] décider à partir », sous la « #pression ». On lui avait fait miroiter une scolarisation pour son fils – déjà en CP à Paris – et un hébergement. Elle a vite déchanté. « On a pris mes empreintes à la préfecture et donné un récépissé pour une demande de réexamen de ma demande d’asile alors que je ne souhaitais pas faire cela, explique-t-elle. Je n’ai pas d’éléments nouveaux à apporter et je risque une nouvelle OQTF [obligation de quitter le territoire français]. On m’a expliqué que sans ça, je n’aurais pas le droit à un logement et que le 115 [l’#hébergement_d’urgence] à Bordeaux, c’est pire qu’à Paris, qu’on nous trouve des hébergements pour deux jours seulement. » Marie n’a pas hésité longtemps. Revenue à Paris, elle « squatte » désormais chez une amie. La semaine, elle envoie son fils au centre de loisirs tandis qu’elle fait des ménages au noir dans un hôtel. Tous les jours, elle appelle le 115 pour obtenir un hébergement. En vain.
Cet exemple symbolise les difficultés du gouvernement dans sa politique d’ouverture de « sas ». Ces #centres_d’accueil_temporaire, installés en province, sont censés héberger des migrants qui se trouvent à la rue, dans des #hôtels_sociaux, des #gymnases ou encore dans les centres réservés aux demandeurs d’asile qui sont en cours de procédure.
Approche discrète
Cette politique, commencée début avril pour désengorger l’Ile-de-France – dont les dispositifs sont exsangues et plus coûteux pour le budget de l’Etat –, se veut pourtant innovante. Dix « sas » de cinquante places chacun doivent à terme ouvrir, dans lesquels les personnes transitent trois semaines au plus, avant d’être basculées principalement vers de l’hébergement d’urgence généraliste ou, pour celles qui en relèvent, vers le #dispositif_d’accueil des demandeurs d’asile. Ces « sas » reposent sur le #volontariat et, pour susciter l’adhésion, sont censés « permettre d’accélérer le traitement des situations des personnes dont l’attente se prolonge en Ile-de-France sans perspective réelle à court et moyen termes », défend, dans un courriel adressé au Monde, le ministère du logement.
C’est ce dernier qui pilote désormais la communication autour du dispositif. Au moment du lancement de celui-ci, c’est le ministère de l’intérieur qui en avait présenté les contours. Un changement d’affichage qui n’est pas anodin. Dans un contexte sensible, où plusieurs projets de centres d’accueil pour migrants en région ont suscité des manifestations hostiles, voire violentes de l’extrême droite, les pouvoirs publics optent pour une approche discrète.
Dans les faits, d’après les premiers éléments remontés et portant sur plusieurs centaines de personnes orientées, « 80 % sont des réfugiés statutaires et des demandeurs d’asile », le restant étant constitué de personnes sans-papiers, rapporte Pascal Brice, président de la Fédération des acteurs de la solidarité (FAS), qui chapeaute quelque 870 structures de lutte contre l’exclusion, dont les opérateurs de ces « sas » régionaux. « C’est un travail auprès des #sans-abri, migrants ou pas, ce n’est pas le sujet », martèle-t-on néanmoins au cabinet d’Olivier Klein, le ministre délégué au logement.
« On est en train de planter le dispositif »
Une posture qui agace Pascal Brice. Il dresse un parallèle avec la situation qui a prévalu à Saint-Brevin (Loire-Atlantique), où le maire (divers droite), Yannick Morez, a démissionné en dénonçant l’absence de soutien de l’Etat. L’édile avait été victime de menaces de mort et son domicile incendié dans un contexte de déménagement d’un CADA. « Il faut se donner les moyens politiques de réussir ce dispositif, or l’Etat n’assume pas sa politique d’accueil organisé et maîtrisé. Il fait les choses en catimini », regrette M. Brice. Les remontées du terrain seraient, en outre, « de plus en plus inquiétantes », assure le président de la FAS.
Adoma, l’opérateur d’un « sas » de cinquante places dans le 10e arrondissement de Marseille, considère que ce dernier « joue son rôle ». « Nous en sommes au troisième accueil de bus et ça fonctionne. Nous avons la garantie que les gens ne seront pas remis à la rue », rapporte Emilie Tapin, directrice d’hébergement pour #Adoma dans la cité phocéenne, où ont jusque-là été accueillis une majorité d’hommes afghans en demande d’asile. Mais ailleurs, le manque de places d’hébergement d’urgence vers lesquelles faire basculer les personnes après leur passage en « sas » se dresse comme un sérieux obstacle.
« Notre 115 est saturé et on a déjà des #squats et des #campements », s’inquiète Floriane Varieras, adjointe à la maire écologiste de Strasbourg. Une commune voisine, Geispolsheim, accueille un « sas ». « Sans création de places nouvelles, la tension sur l’hébergement d’urgence est tellement forte qu’on craint que le schéma vertueux qui visait à éviter que les personnes ne reviennent en région parisienne ne craque », signale à son tour la directrice générale de France terre d’asile, Delphine Rouilleault, qui s’occupe d’un « sas » près d’Angers.
Le ministère du logement assure que 3 600 places ont été « sanctuarisées dans le parc d’hébergement d’urgence pour faciliter la fluidité à la sortie des structures d’accueil temporaires ». Ce qui sous-entend que ces orientations se feront à moyens constants.
« On est en train de planter le dispositif, alerte Pascal Brice. Des gens sont orientés vers le 115 depuis les “sas” et remis à la rue au bout de quarante-huit heures. C’est insoutenable. Je me suis rendu dans plusieurs régions et, partout, l’Etat ferme des places d’hébergement d’urgence. Si les conditions perduraient, la FAS devrait à son plus grand regret envisager un retrait de ce dispositif. »
La province ? « Tu ne peux pas bosser là-bas »
Outre la question de l’hébergement, le succès des « sas » devait s’appuyer sur la promesse faite aux personnes d’une étude bienveillante de leur situation administrative. Sans parler franchement de régularisation, le ministère de l’intérieur avait assuré au Monde, en mars, qu’il y aurait des réexamens au regard du #droit_au_séjour. « Il y a un travail de conviction qui n’est pas encore installé », considère à ce stade Mme Rouilleault.
Le Monde a rencontré plusieurs familles ayant refusé une orientation en #province, à l’image de Hawa Diallo, une Malienne de 28 ans, mère de deux filles, dont une âgée de 10 ans et scolarisée dans le 15e arrondissement. « J’ai beaucoup de rendez-vous à Paris, à la préfecture, à la PMI [protection maternelle et infantile], à l’hôpital, justifie-t-elle. Et puis le papa n’a pas de papiers, mais il se débrouille à gauche, à droite avec des petits boulots. »
La province ? « Pour ceux qui sont déboutés de l’asile, ça ne sert à rien. Quand tu n’as pas de papiers, tu ne peux pas bosser là-bas », croit à son tour Brahima Camara. A Paris, cet Ivoirien de 30 ans fait de la livraison à vélo pour la plate-forme #Deliveroo. « Je loue un compte à quelqu’un [qui a des papiers] pour 100 euros par semaine et j’en gagne 300 à 400. C’est chaud, mais c’est mieux que voler. » Sa compagne, Fatoumata Konaté, 28 ans, est enceinte de quatre mois. Les deux Ivoiriens n’ont jamais quitté la région parisienne depuis qu’ils sont arrivés en France, il y a respectivement quatre et deux ans. Ils ont, un temps, été hébergés par le 115 dans divers endroits de l’Essonne. Depuis un an, « on traîne à la rue », confie Fatoumata Konaté. « Parfois, on dort dans des squats, parfois on nous donne des tentes. »
Chaque nuit, rien qu’à Paris, un millier de demandes auprès du 115 restent insatisfaites. Lasses, le 6 juillet, plus d’une centaine de personnes en famille originaires d’Afrique de l’Ouest ont investi deux accueils de jour de la capitale tenus par les associations Aurore et Emmaüs et y ont passé la nuit, faute de solution. « La situation devient intenable, prévient le directeur général d’Emmaüs Solidarité, Lotfi Ouanezar. On ne résoudra rien si on ne change pas de braquet. »
►https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/07/17/orientation-des-migrants-en-region-des-retours-du-terrain-de-plus-en-plus-in
#migrations #asile #réfugiés #France #hébergement #SDF #dispersion
via @karine4
Harcèlement sexuel, brûlures, insultes : les étudiants d’une célèbre école hôtelière en grève depuis trois semaines - La Libre
►https://www.lalibre.be/international/europe/2023/04/18/harcelement-sexuel-brulures-insultes-les-etudiants-dune-celebre-ecole-hoteli
Harcèlement sexuel, propos homophobes, insultes : une promotion entière d’étudiants en management hôtelier de la célèbre école hôtelière Vatel est en grève depuis trois semaines, pour dénoncer « l’inaction de la direction » face au comportement de certains professeurs.
Créé il y a 42 ans par Alain Sebban et son épouse, Vatel qui se présente comme le 1er groupe mondial de l’enseignement du management de l’hôtellerie avec 52 écoles dans 32 pays et un chiffre d’affaires de 90 millions d’euros, se targue de transmettre un « esprit Vatel » alliant « savoir-faire » et « savoir-être » à ses 42.000 diplômés, actifs dans le tourisme et l’hôtellerie.
Mais depuis le 27 mars, la soixantaine d’élèves de troisième année de Bachelor de l’école parisienne sont en grève, refusant d’aller en cours de cuisine, pour dénoncer le comportement de certains professeurs du restaurant d’application ouvert au public, où ils apprennent les métiers de la cuisine et de la salle.
]]>Waldorf Astoria Berlin: Der Chefconcierge zeigt uns das Luxushotel am Bahnhof Zoo
▻https://www.berliner-zeitung.de/stil-individualitaet/waldorf-astoria-berlin-chefconcierge-christoph-hundehege-nimmt-uns-
Ein Bericht über das Hotel, in dem man nicht aufs Klo darf - als Taxifahrer. Da haben sich Kollegen derart daneben benommen, dass die ganze Zunft Kloverbot hat
Da.
▻https://www.openstreetmap.org/node/3683945001
9.4.2023 von Manuel Almeida Vergara - „Meet me at the clock“, sagt der New Yorker – und sein Gegenüber weiß sofort, was damit gemeint ist. Schließlich ist die mit bronzenen Relieffiguren dekorierte Standuhr im Waldorf Astoria, dem 1931 gegründeten Luxushotel, seit Jahrzehnten ein beliebter Treffpunkt. So beliebt, dass „meet me by the clock“ in New York zum geflügelten Wort geworden ist.
„Wir treffen uns an der Uhr“ – diese Aufforderung kennt auch der Berliner, wenngleich sie ihn – ein bisschen weniger glamourös – nolens volens zur Weltzeituhr führt. Dabei hat auch Berlin seit genau zehn Jahren ein Waldorf Astoria. Und auch das Waldorf Astoria Berlin hat eine hübsche Standuhr in der Lobby.
Christoph Hundehege plädiert ohnehin dafür, dass sich Berlinerinnen und Berliner öfter mal in das Fünf-Sterne-Hotel am Bahnhof Zoo verirren sollten. Und zwar nicht nur, um sich bei der Lobby-Uhr zu treffen: Vom Spa über die Bar bis zum Restaurant; von den weltberühmten „Eggs Benedict“ zum Frühstück über ein Stück „Red Velvet Cake“ am Nachmittag bis zum abendlichen Drink in der Hotelbar habe das Haus doch einiges zu bieten, das nicht nur Touristinnen und Touristen gefallen dürfte.
Was in New York, London oder Paris ganz üblich ist – nämlich, auch als Einheimische die Vorzüge der besten Hotels der Stadt zu genießen – sollte sich bei uns genauso durchsetzen, findet Hundehege. Seit der Hoteleröffnung 2013 ist er Chefconcierge des Hauses, seit vergangenem Jahr außerdem Deutschland-Präsident von „Les Clefs d’Or“, einer renommierten weltweiten Concierge-Vereinigung.
Wir treffen Christoph Hundehege im 30. Stock. Er wartet schon in einer großzügigen Ambassador-Suite auf uns, über der nur die noch großzügigere Präsidentensuite liegt. Und auch wenn sein Metier zur Verschwiegenheit verpflichtet: Ein paar Einblicke in seinen Berufsalltag will uns der Chefconcierge doch gewähren.
Herr Hundehege, mir fällt gleich das goldene Emblem auf, das mir von Ihrem Revers entgegenfunkelt. Sieht ganz so aus, als seien Sie hochdekotiert – zumindest in Ihrem Berufsfeld.
Das ist jedenfalls kein Militärabzeichen oder ein Sheriffstern. Wie der Name schon sagt, sind die goldenen Schlüssel das Symbol von „Les Clefs d’Or“, einer internationalen Vereinigung von Hotelconcierges. Weltweit haben wir fast 4000 Mitglieder, 200 davon arbeiten allein in Luxushäusern in Deutschland. Wir nutzen dieses Netzwerk gerne, weil wir unsere Gäste auf ihren Reisen begleiten wollen, auch über ihren Aufenthalt bei uns hinaus. Bevor sie in eine andere Stadt und ein anderes Hotel weiterziehen, telefonieren wir oft mit den Concierges dort, um sie schon mal über besondere Wünsche oder Vorlieben zu informieren. Das machen wir übrigens markenübergreifend.
Da ruft dann also ein Concierge aus dem Waldorf Astoria Berlin beim Four Seasons in Miami oder Kempinski in Istanbul an, um die Leute dort auf ihre Gäste vorzubereiten?
Sicher, wenn es doch dem Genuss unserer Gäste dient! Vielleicht gibt es beim nächsten Reiseziel ja ein tolles Restaurant, das schon mal reserviert werden soll, oder ein Konzert, für das es noch Karten braucht. Oder jemand hat eine Nussallergie, ist Pescetarier oder mag abends gern ein warmes Kirschkernkissen ans Bett. Jeder Hinweis hilft. Also arbeiten wir innerhalb dieser Concierge-Vereinigung wirklich eng zusammen.
Was muss ein Concierge tun, um Mitglied bei „Les Clefs d’Or“ werden zu können?
Theoretisch kann jeder und jede Concierge Teil unserer Vereinigung werden, wenngleich unsere Mitglieder vor allem in den Luxushäusern dieser Welt zu finden sind. Auf jeden Fall müssen sie schon eine bestimmte Anzahl an Jahren in diesem Beruf gearbeitet und auch mindestens zwei Paten innerhalb der Vereinigung haben, die für sie bürgen.
Und was müsste man tun, um wieder rauszufliegen?
Da gibt es bestimmt etwas. Wir haben ja ethische und moralische Vorsätze, an denen wir alle uns orientieren.
Ich stelle mir gerade einen totalen Männerverein vor, ähnlich wie bei den traditionsreichen Butler-Vereinigungen Großbritanniens. Liege ich richtig?
Überhaupt nicht! Ich kenne zwar den genauen prozentualen Anteil nicht, aber in der Hotellerie und Gastronomie sind ja ohnehin sehr viele Frauen tätig und so auch als Concierges. Das war sicherlich mal anders, auch, wenn wir nur ein oder zwei Dekaden zurückblicken. Aber das gleicht sich immer mehr aus, und das ist auch von unbedingter Wichtigkeit. Die Mischung macht’s, und so bin ich sehr froh, dass ich bei uns ein ganz ausgewogenes Team überblicke, das genau zur Hälfte aus Frauen und zur anderen aus Männern besteht.
Eine Prämisse, der Sie sich als Chefconcierge des Waldorf Astoria Berlin und überdies als Präsident von „Les Clefs d’Or“ verschreiben, ist der Grundsatz der Verschwiegenheit. Dabei erleben Sie in ihrem Arbeitsalltag bestimmt einige kuriose Dinge. Fällt es Ihnen schwer, manchmal nicht doch aus dem Nähkästchen zu plaudern?
Das fällt natürlich hin und wieder schwer. Ich würde lügen, wenn ich etwas anderes behauptete. Aber da muss ich – da müssen wir – uns eben kontrollieren, weil wir ja nicht selten mit hochrangigen und berühmten Gästen umgehen, denen wir eine Privatsphäre ermöglichen wollen. Also haben Details und Geschichtchen in Gesprächen außerhalb unseres Hauses nichts verloren.
Glücklicherweise befinden wir uns ja gerade innerhalb Ihres Hauses, also versuche ich es einfach mal: Welche Begegnung mit einem Gast, welcher spezielle Wunsch ist Ihnen in zehn Jahren Waldorf Astoria Berlin besonders im Gedächtnis geblieben?
Da gibt es wirklich viele Momente. Spontan muss ich an eine Situation denken, die sich im Rahmen des Champions-League-Finales zwischen Juventus Turin und FC Barcelona 2015 hier in Berlin abgespielt hat. Wir hatten einen Gast, der sich die ganze Woche auf dieses Finalspiel gefreut hatte. Zweieinhalb Stunden vor Anpfiff hatte er aber noch immer kein Ticket bekommen. Also stand er vor unserem Concierge-Desk mit der Bitte, ihm doch eines zu besorgen. Das war sicherlich ein Wunsch, der bei mir hängengeblieben ist, weil seine Erfüllung so schwierig war. Und um Ihre nächste Frage gleich vorwegzunehmen: Ja, wir konnten ihm sein Ticket besorgen, auch wenn das ein bisschen mehr Anstrengungen gekostet hat als eine einfache Restaurantreservierung.
Dann also eine andere nächste Frage: Wen muss man anrufen, und was muss man sagen, wenn man zwei Stunden vor Anpfiff noch ein Ticket fürs Champions-League-Finale will?
Da wären wir jetzt beim Nähkästchen, das ich lieber geschlossen halte. Wenn ich Ihnen jetzt erzählen würde, wie das funktioniert hat, dann könnte das ja am Ende jeder leisten.
Steigen die Ansprüche eines Gastes parallel zu seiner Bedeutung? Oder anders: Kann sich eine berühmte Persönlichkeit bei Ihnen nochmal ganz andere Dinge wünschen als jemand gänzlich Unbekanntes?
Wir haben grundsätzlich den Anspruch, jeden Gast gleich zu behandeln. Aber natürlich gibt es den einen oder die andere, die vielleicht ein paar mehr Anforderungen mit sich bringt. Wenn Sie zum Beispiel an einen Künstler denken, der gerade eine Welttournee macht und währenddessen in 100 Hotels übernachtet, dann tun wir gut daran, hier das gewünschte Umfeld zu schaffen, damit auf dieser Tour nichts ins Holpern gerät. Aber generell bemühen wir uns, niemanden seiner oder ihrer Popularität wegen zu bevorzugen.
Ist das überhaupt möglich? Sie werden ja auch ganz persönliche Vorlieben haben, Stars, die Sie ganz toll finden und andere, mit denen Sie nichts anfangen können.
Natürlich gibt es zum Beispiel Künstler, die ich persönlich musikalisch oder schauspielerisch besser finde als andere. Oder Staatsbesuche, auf die ich mich mehr freue als auf andere. Aber da muss ich eben ganz die professionelle Distanz wahren. Das wird von unserem Haus erwartet. Stellen Sie sich mal vor, ich würde einen Gast nach Karten für seine nächste Show, einem Autogramm oder einem Selfie fragen. Das wäre undenkbar! Und genauso undenkbar wäre es, dass ich einen Gast mit seinen Wünschen links liegen lasse, nur weil er nicht berühmt ist.
Also darf ich Sie auch als ganz normaler Gast um Champions-League-Tickets bitten?
Sicher, das dürfen Sie. Dafür sind wir letzten Endes da. Es muss ja auch nicht unbedingt das begehrte Fußballticket sein, es können auch Karten für ein Opernstück sein, für das Sie sich kurzfristig entschieden haben, oder einfach nur Tickets für den Zoo. Oder wir helfen Gästen dabei, sich ein Tagesticket von der BVG zu ziehen, einfach, weil sie das vorher noch nie gemacht haben. Alles ist möglich.
Kommt es trotzdem mal vor, dass Sie Ihren Gästen sagen müssen: „Sorry, geht nicht“?
Ich würde lügen, wenn ich sagte, es klappt immer alles völlig problemlos. Letzten Endes geht es darum, für den Gast gute Lösungen zu finden. Wenn es zum Beispiel in der Philharmonie spontan nicht mehr, wie gewünscht, fünf Plätze nebeneinander gibt, dann sorgen wir eben in Absprache mit dem Gast dafür, dass die Gruppe aufgeteilt wird und jeder einen guten Platz findet. Lösungen suchen und Lösungen finden – ich glaube, das beschreibt unsere Aufgabe als Concierges ganz gut.
Interessant, dass Sie bis jetzt nur Beispiele außerhalb Ihres Hauses gewählt haben. Wünsche, die in der Oper, im Konzerthaus oder eben im Fußballstadion erfüllt werden sollen. Spannend wird es doch gerade dann, wenn jemand vor Ort zum Beispiel nicht mit seinem Zimmer einverstanden ist. Man hört ja gelegentlich von Stars, die etwa vorab ihre Suite neu streichen lassen, weil ihnen die Wandfarbe nicht gefällt. Oder sind das nur Hollywood-Mythen?
Nein, das sind keine Fantastereien. So etwas gibt es. Wir haben durchaus Gäste, und das müssen gar keine Hollywoodstars sein, denen das ein oder andere Bild im Hotelzimmer nicht gefällt. Natürlich machen wir auch das dann möglich und tauschen die Kunst aus. Oder es gibt Gäste, die ihr Schlafzimmer durchgehend abgedunkelt haben wollen, sodass kein Tageslicht reinkommt. Auch das machen wir möglich. Wir versuchen, dem Ganzen keine Grenzen zu setzen.
Klingt so, als sei Geduld Ihre wichtigste Eigenschaft. Was muss man noch mitbringen, um Ihren Job machen zu können?
Geduld ist ganz wichtig, das stimmt. Außerdem würde ich sagen, man muss ein übergeordnetes Interesse an vielerlei Dingen mitbringen. Wir wollen unseren Gästen Empfehlungen authentisch geben können, müssen also wissen, wie es in bestimmten Restaurants so schmeckt, welcher Gang besonders zu empfehlen ist. Oder in welchen Galerien und Museen, aber auch in welchen Kiezen es gerade besonders spannend ist. Und weil sich unsere Stadt und ihre Stadtteile ja rasend schnell verändern, gehören zu meinem Beruf auch große Investitionen an privater Zeit. Wir wollen und müssen immer auf dem Laufenden sein. Man kennt das ja aus dem Privaten: Wenn Freunde Sie nach einem Restaurant fragen, dann ist es immer besonders schön, wenn Sie ganz authentisch davon erzählen können, weil Sie selbst schon mal da waren.
Wenn wir über die Veränderungen in unserer Stadt sprechen, muss ich gleich an die Neuentwicklung der City West denken. An den Wunsch, aus der Gegend um den Bahnhof Zoo, wo 2013 auch das Waldorf Astoria eröffnet hat, eine elegante, mondäne Innenstadtlage zu machen. Spielt Ihr Haus bei diesem Vorhaben eine wichtige Rolle?
Ja, das glaube ich durchaus. Ich würde jetzt nicht so weit gehen zu sagen, dass die Eröffnung des Waldorf Astoria Berlin der Schlüssel dazu war, die City West auf diese Weise zu entwickeln. Aber ich würde schon sagen, dass auch unsere Eröffnung dazu geführt hat, dass viele luxuriöse Boutiquen auf den Kurfürstendamm zurückgekommen sind und auch andere entsprechende Bauvorhaben umgesetzt wurden.
Also passt Waldorf Astoria als Marke zu Berlin? Es gibt in der Stadt sicherlich einige Menschen, die das anders sehen.
Berlin muss sich meines Erachtens vor keiner Metropole der Welt verstecken. Ganz im Gegenteil. Wenn ein Waldorf Astoria nach New York oder Amsterdam oder London passt, warum soll es nicht auch nach Berlin passen? Es gehört zu jeder Metropole dazu, dass auch diese Art von Hotellerie betrieben wird. Und die Nachfrage bestärkt uns ja darin. Luxus-Sternehotels funktionieren – auch in Berlin.
Ist es also an der Zeit, dass wir uns endlich von Wowereits Motto „arm, aber sexy“ verabschieden?
Ich glaube, dieser Satz hat in eine gewisse Zeit gepasst. Aber mittlerweile passt er nicht mehr. Wenn Sie sich nur mal anschauen, wie viele erstklassige Restaurants in den vergangenen Jahren und Monaten eröffnet haben! Wenn Sie sich vornehmen würden, jedes dieser Restaurants zu testen, dann wären Sie in zwei Jahren noch nicht damit durch. Dass solche Restaurants und eben Hotels wie unseres in Berlin so gut funktionieren, spricht doch dafür, dass die Klientel da ist.
Nur empfangen Sie in Ihrem Haus ja eher Gäste von außerhalb und eben nicht die Berlinerinnen und Berliner, die vielleicht nach wie vor sexy und arm sind.
Das ist nicht richtig. Uns besuchen auch viele Menschen, die in Berlin leben. Auch wenn das noch nicht in dem Maße geschieht, wie wir uns das wünschen würden. Das ist vielleicht tatsächlich etwas, das sich in Berlin noch nicht so durchgesetzt hat wie etwa in London oder New York: Dort ist es ganz normal, sich abends auch mal in einer Hotelbar oder einem Hotelrestaurant zu treffen, oder das Spa dort zu nutzen. Diese Hemmschwelle, die es in Berlin offenbar immer noch gibt – nämlich an den freundlichen Doormen vorbei in ein Fünf-Sterne-Hotel zu spazieren und die dortigen Angebote zu nutzen – existiert dort nicht. Aber es gibt auch hier in unserem Hotel viele schöne Dinge, die auch Berlinerinnen und Berliner erleben können. Sei es der High Tea in unserer Library im 15. Stock – für mich übrigens der schönste Ort im ganzen Hotel –, ein Tag im Guerlain-Spa oder eine Veranstaltung wie „Champaign & Eggs“ unten im Roca Restaurant.
Gut gemachte Eier spielen im Waldorf Astoria tatsächlich eine übergeordnete Rolle. Im New Yorker Stammhaus wurden „Eggs Benedict“ erfunden, ein Frühstücksklassiker, der mittlerweile überall auf der Welt gegessen wird. Genau wie der „Red Velvet Cake“, der ebenso im Waldorf Astoria New York erfunden wurde. Hinzu kommen viele weitere, teils dramatische Geschichten, die mit dem Hotel verbunden sind. Etwa jene des Gründers John Jacob Astor IV, der 1912 beim Untergang der Titanic ums Leben gekommen war. In Ihrem Haus erinnert daran zum Beispiel ein Treppengeländer, dessen Metalldetails der Partitur des Liedes entsprechen, das als letztes auf dem sinkenden Schiff gespielt wurde. Prägt diese reiche, turbulente Markengeschichte Waldorf Astorias Sie in Ihrer täglichen Arbeit?
Ja, das tut sie. Und das muss sie auch. Alle Häuser, die weltweit zum Portfolio von Waldorf Astoria gehören, müssen das in ihrer DNA tragen und auch zeigen. Die Erwartungen, mit denen Gäste zu uns kommen, sind gerade durch das New Yorker Mutterhaus und seine lange, intensive Geschichte sehr groß. Also muss jede Mitarbeiterin und jeder Mitarbeiter in unserem Haus dazu bereit sein, diese Geschichte weiterzuschreiben. Und ähnlich, wie ich das eben in Bezug auf Berliner Restaurants gesagt habe – nämlich, dass es auf ein authentisches Erzählen aus dem eigenen Erleben heraus ankommt – trifft das auch auf unser Hotel zu. Ich empfehle unseren Kolleginnen und Kollegen immer, wenn sie mal in Amsterdam, Shanghai oder eben New York sind, auch das Waldorf Astoria dort anzuschauen. Einfach, um unsere Marke möglichst gut zu kennen und kommunizieren zu können.
Spielt diese Geschichte der Marke auch für Ihre Gäste eine Rolle?
Auch das. Zudem verbinden viele Gäste ganz eigene, private Geschichten mit Waldorf Astoria. In der Tat haben wir eine sehr große amerikanische Gästeklientel, und es gibt viele, für die unser Name mit Erinnerungen verknüpft ist. Gerade vergangene Woche hatten wir hier noch ein Paar zu Gast, das seinen 50. Hochzeitstag bei uns in Berlin, aber seinen 10. Hochzeitstag schon im Waldorf Astoria in New York gefeiert hatte. Solche Gäste haben noch das, was sie früher in einem unserer Hotels erlebt haben, vor Augen, und kommen mit dieser Erwartungshaltung zu uns. Dafür, dass wir sie dann nicht enttäuschen müssen, arbeiten wir jeden Tag.
Könnten Sie sich überhaupt vorstellen, für ein Hotel zu arbeiten, das nicht auf diesem Niveau angesiedelt ist?
Ich persönlich könnte mir das nicht vorstellen, nein. Und ich hoffe, das ist auch bei allen meinen Kolleginnen und Kollegen so. Letztlich soll es doch das sein, wofür wir tagtäglich hierherkommen: Die Erwartungen unserer Gäste nicht nur zu erfüllen, sondern sie zu übertreffen. Den besten Service zu bieten, ein Auge fürs noch so kleinste Detail beweisen. Ich finde es unheimlich spannend, dass hier kein Tag dem anderen gleicht. Und dass ich auch nach zehn Jahren Waldorf Astoria Berlin noch von Gästen, ihren Wünschen und den damit einhergehenden Herausforderungen überrascht werde.
Waldorf Astoria New York
Das Waldorf Astoria New York, ein im Stile des Art déco entworfenes Wahrzeichen der Stadt, wurde im Jahr 1931 fertiggestellt. Es war aus dem Zusammenschluss zweier Hotels hervorgegangen; eines hatte dem Inverstor William Waldorf Astor, das andere dem Geschäftsmann John Jacob Astor IV gehört. Über die Jahre wurde Waldorf Astoria zu einer der renommiertesten Hotelmarken der Welt, die heute zur Hilton-Gruppe gehört und weltweit Dependancen unterhält.
#Berlin #Charlottenburg #Hardenbergstraße #Hotel #Gastronomie #Arbeit #Luxus
]]>Berlin : le plus gros aquarium cylindrique du monde explose au milieu d’un hôtel, au moins 2 blessés
▻https://www.bfmtv.com/international/europe/allemagne/berlin-le-plus-gros-aquarium-cylindrique-du-monde-explose-au-milieu-d-un-hote
Haut de 25 mètres, l’"AquaDom" du Radisson Collection Hotel s’est fissuré, dans la nuit de jeudi à vendredi, dans le centre de la capitale allemande, déversant près d’un million de litres d’eau. Aucun des 1500 poissons tropicaux n’a survécu.
Installer un aquarium de 1000 tonnes au centre d’un hôtel, franchement, qui aurait pu croire que ça se finirait mal ?
]]>Que prévoit la #France pour les 230 migrants de l’#Ocean_Viking ?
Les migrants arrivés vendredi à #Toulon font l’objet d’un suivi sanitaire, et de contrôles de sécurité, avant d’être entendus par l’#Ofpra dans le cadre d’une #procédure_d’asile à la frontière. Pendant tout ce temps, ils sont maintenus dans une « #zone_d'attente ». Des associations dénoncent ces conditions d’accueil.
Si les 230 migrants sauvés par l’Ocean Viking ont bien débarqué en France, vendredi 11 novembre, dans le port de Toulon (▻http://www.infomigrants.net/fr/post/44677/locean-viking-et-ses-230-migrants-accostent-a-toulon-en-france), ils ne se trouvent « pas techniquement sur le sol français », comme l’a indiqué le ministre de l’Intérieur Gérald Darmanin.
En effet, les autorités françaises ont choisi de les placer dans une « zone d’attente », définie jeudi soir dans la zone portuaire de Toulon et sur un #centre_de_vacances de la #presqu’île de #Giens à #Hyères, où les exilés sont hébergés pour l’occasion. Un « #centre_administratif » dont ils n’ont pas le droit de sortir.
Le maintien des personnes dans ce lieu peut durer 26 jours au maximum d’après la loi française.
« Un système d’#enfermement de #privation_de_liberté et non d’accueil »
Un dispositif dénoncé par plusieurs associations, dont l’Anafé qui défend les étrangers aux frontières. Interrogée par InfoMigrants, sa directrice Laure Palun souligne que c’est « un système d’enfermement de privation de liberté et non d’accueil, qui pose question quant aux conséquences sur des personnes vulnérables ».
Gérad Sadik, responsable national de l’asile à La Cimade, estime, quant à lui, que cette #zone_temporaire est « illégale » car ce dispositif est normalement réservé aux espaces situés sur une frontière, dans les aéroports par exemple.
Une centaine de « #Zones_d'attente_pour_personnes_en_instance » (#ZAPI) existe actuellement en France. Plusieurs associations dont l’Anafé, la Cimade et la Croix-Rouge interviennent dans ces lieux où patientent les étrangers qui ne sont pas autorisés à entrer sur le territoire, pour leur porter une assistance juridique, sanitaire et sociale.
Mais, concernant les migrants de l’Ocean Viking, la Cimade s’inquiète de ne pas avoir accès aux personnes retenues dans la zone d’attente. Gérard Sadik affirme que l’entrée leur a été refusée. Il alerte également sur le fait que les mineurs non accompagnés ne doivent pas être placés dans ces zones d’attente, or 42 jeunes dans ce cas se trouvaient à bord de l’Ocean Viking selon SOS Méditerranée.
Dans cette zone d’attente, les migrants feront l’objet d’un suivi sanitaire, puis de contrôles de sécurité des services de renseignement, avant d’être entendus par l’Office français de protection des réfugiés (Ofpra), qui examine les demandes d’asile et décide ou non d’attribuer le statut de réfugié.
Procédure d’asile à la frontière comme dans les #aéroports
La France, qui veut décider « très rapidement » du sort des migrants de l’Ocean Viking, a choisi d’appliquer la procédure d’asile à la frontière.
Habituellement une demande d’asile française est d’abord enregistrée en préfecture, déposée auprès de l’Ofpra sous forme de dossier puis s’ensuit une convocation à un entretien, et entre trois à six mois mois d’attente avant la réponse.
Mais dans le cas des migrants de l’Ocean Viking, l’Etat a choisi d’appliquer une #procédure_exceptionnelle qui prévoit qu’un agent de la mission asile frontière de l’Ofpra mène un entretien avec ces personnes dans un délai de 48 heures ouvrées afin d’évaluer si la demande d’asile n’est pas « #manifestement_infondée ».
Cela peut poser problème, car cette notion floue et présentée sous une forme alambiquée laisse un large champ aux autorités françaises pour refuser l’entrée d’une personne, soulèvent les associations d’aide aux migrants.
« En théorie, l’examen du caractère manifestement infondé ou non d’une demande d’asile ne devrait consister à vérifier que de façon sommaire si les motifs invoqués par le demandeur correspondent à un besoin de protection », soulignait l’Anafé, interrogée par InfoMigrants début novembre sur cette même procédure très régulièrement appliquée sur l’île de La Réunion. « Il ne devrait s’agir que d’un examen superficiel, et non d’un examen au fond, de la demande d’asile, visant à écarter les personnes qui souhaiteraient venir en France pour un autre motif (tourisme, travail, étude, regroupement familial, etc.) en s’affranchissant de la procédure de délivrance des visas », précisait l’association.
Difficile donc pour des migrants tout juste arrivés après plusieurs semaines d’errance en mer, et parfois la perte de leurs papiers d’identité lors des naufrages, de prouver le fondement de leur demande lors d’un entretien de quelques minutes. D’autres considérations rentrent aussi en ligne de compte lors de ce type d’entretiens, notamment la langue parlée, et la qualité de la traduction effectuée par l’interprète de l’Ofpra.
Pour accélérer encore un peu plus la procédure, « l’Ofpra a prévu de mobiliser dès ce week-end seize agents pouvant réaliser jusqu’à 90 entretiens par jour », a insisté vendredi le directeur général des étrangers (DGEF) au ministère de l’Intérieur, Eric Jalon.
Après avoir mené ces entretiens, l’Ofpra donne un avis au ministère de l’Intérieur qui autorise ou non les migrants interrogés à déposer leur demande d’asile. Dans la plupart des cas, les personnes soumises à ce type de procédure échouent avec un taux de refoulement de 60%, indique l’Anafé.
« Doutes sur le fait que les autorités françaises puissent expulser rapidement »
« Pour les personnes dont la demande d’asile serait manifestement infondée, qui présenteraient un risque sécuritaire, nous mettrons en œuvre (...) les procédures d’#éloignement pour qu’elles regagnent leur pays d’origine », a prévenu Eric Jalon. Le ministère de l’Intérieur affirme également que des contacts ont déjà été pris avec les pays d’origine de ces rescapés.
D’après les informations dont dispose InfoMigrants, les rescapés de l’Ocean Viking sont majoritairement originaires du Bangladesh, d’Érythrée et de Syrie, mais aussi d’Égypte, du Pakistan et du Mali notamment.
« Nous avons des doutes sur le fait que les autorités françaises puissent expulser rapidement », fait savoir Laure Palun, « car il faut que la personne soit détentrice d’un passeport et d’un laissez-passer consulaire ». Or ce document doit être délivré par le pays d’origine et cela prend du temps car certains pays tardent à l’octroyer.
Deux-tiers des personnes ne resteront de toute façon pas en France, puisqu’elles seront relocalisées dans neuf pays, a précisé le ministère, citant l’#Allemagne qui doit en accueillir environ 80, le #Luxembourg, la #Bulgarie, la #Roumanie, la #Croatie, la #Lituanie, #Malte, le #Portugal et l’#Irlande.
Si une personne se voit refuser l’entrée sur le territoire par le ministère de l’Intérieur, un recours juridique est possible. Il s’agit du recours contre le refus d’admission sur le territoire au titre de l’asile à déposer dans un délai de 48 heures à compter de la notification de la décision de refus prise par le ministère de l’Intérieur, explique la Cimade.
▻http://www.infomigrants.net/fr/post/44696/que-prevoit-la-france-pour-les-230-migrants-de-locean-viking
#sauvetage #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #Italie #ports #ports_fermés #frontières #relocalisation #renvois #expulsions
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ajouté à la métaliste autour de la création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
►https://seenthis.net/messages/795053
Firm managing hotels for UK asylum seekers posts bumper profits
Three directors of #Clearsprings_Ready_Homes share dividends of almost £28m, as profits rise sixfold
A company contracted by the UK Home Office to manage hotels and other accommodation for asylum seekers increased its profits more than sixfold last year, with its three directors sharing dividends of almost £28m.
Clearsprings Ready Homes has a 10-year contract to manage asylum seeker accommodation in England and Wales, a mix of hotel accommodation that the #Home_Office says is costing it more than £5m a day, and shared housing.
Clearspringsboosted its profits from £4,419,841 to £28,012,487 to the year ending 31 January 2022, with dividends jumping from £7m to £27,987,262.
It has been reported that the home secretary, Suella Braverman, allowed numbers to increase at Manston, the Home Office’s processing centre in Ramsgate, Kent, instead of moving people to hotels. However, hotel use is still high. Home Office accommodation providers get better terms on their contracts once the asylum seeker population rises above 70,000, as it has been for more than a year.
Asylum seekers in hotels receive just over £1 a day, £8.24 a week, to buy essentials.
Clearsprings’ latest annual accounts provide a buoyant financial forecast for the company in its Home Office contract, which runs until September 2029.
The annual accounts report states: “Demand for accommodation has remained high, contingency including hotels has increased.”
The reportadds that turnover and operating profits were boosted this year by an increase in the number of people seeking asylum. It says: “The number of arrivals per year is expected to continue at a high level for the foreseeable future. Due to the long-term nature of the contract and the pre-agreed rates the price risk is considered minimal.”
Graham O’Neill, the policy manager at the Scottish Refugee Council, condemned the steep rise in profits for #Clearsprings and said public money could be better used.
“The Home Office is effectively passing billions of the Treasury’s monies for asylum accommodation to private bodies with no plan to grip this. Much of this money ends up as bumper profits and dividends for private companies, directors and shareholders.
“By definition this profit is not going where it should: into good social housing in communities, into local services so they may support refugees and local people. It is blindingly obvious that this is neither sustainable nor in the public interest. We need swift high-quality asylum decisions and public monies for public good into communities; not into private profit and dividends. The new PM [Rishi Sunak] needs to grip this as that is the solution.”
Clearsprings and Home Office have been approached for comment.
▻https://www.theguardian.com/uk-news/2022/oct/31/firm-managing-hotels-for-uk-asylum-seekers-posts-bumper-profits
#business #accueil #privatisation #asile #migrations #réfugiés #UK #Angleterre #hôtels #hébergement #dividendes #profit #prix #coût
200 000 postes à pourvoir. Saisonniers : les raisons d’une grande vacance Marie Toulgoat
▻https://www.humanite.fr/social-eco/saisonniers/200-000-postes-pourvoir-saisonniers-les-raisons-d-une-grande-vacance-757735
Alors que l’été a commencé, 200 000 postes resteraient à pourvoir dans les hôtels, restaurants et activités touristiques. La faute à des salaires trop bas, des conditions de travail trop difficiles et à la réforme de l’assurance-chômage, qui poussent les travailleurs vers des emplois sédentaires.
Dans son restaurant de Samoëns (Haute-Savoie), Laurent (1) désespère. La saison estivale est sur le point de débuter, les premiers vacanciers devraient arriver d’ici quelques jours, et le personnel manque toujours à l’appel.
Avec un bar en plus de sa brasserie, il embauche habituellement 23 personnes, dont 17 saisonniers. Cette année, il démarre l’été presque bredouille : il lui manque toujours une poignée de salariés pour accueillir les touristes sereinement. « La clientèle est là, mais nous réfléchissons à fermer une journée par semaine car nous n’arrivons pas à embaucher. C’est un problème », souffle le restaurateur.
Victimes collatérales de la pandémie de Covid
Après une saison 2020 inexistante et une année 2021 marquée par l’incertitude sanitaire, l’été 2022 promet de ne ressembler à aucun autre pour les professionnels du tourisme, de l’hébergement et de la restauration. D’ores et déjà, de nombreux employeurs ont ouvert leur établissement avec un contingent de salariés limité.
Car, depuis l’arrivée du Covid, nombreux sont ceux à avoir enterré leur carrière de saisonnier et à s’être orientés vers un emploi sédentaire. « Ici, beaucoup de personnes ont changé de carrière. Les gens ont du mal à joindre les deux bouts, alors ils sont partis » , explique Léo Genebrier, du comité CGT chômeurs et précaires d’Ardèche.
Selon lui, la réforme de l’assurance-chômage est l’une des grandes responsables de cette grande démission des saisonniers, en réclamant aux demandeurs d’emploi l’équivalent de six mois de labeur au lieu de quatre. Conséquence : de nombreux habitués ont laissé tomber les saisons, persuadés de ne pas pouvoir travailler assez pour recharger des droits sans travail sédentaire.
Ces nouvelles règles, Céline Absil en a fait les frais. Guide touristique avant la pandémie et contrainte à l’inactivité pendant les confinements, elle n’a pas pu régénérer ses droits à l’assurance-chômage et a été radiée l’hiver dernier.
Cet été, dans le sud de l’Ardèche, où elle réside à l’année, trouver un contrat de travail de six mois n’a pas été une tâche aisée. « Après avoir passé l’hiver sans revenus, je voulais vraiment trouver au moins six mois de travail pour recharger mes droits, mais la très grande majorité des contrats sont de trois mois environ. J’ai finalement trouvé un boulot de commis et de plonge pour six mois dans un bistrot, mais j’ai d’abord dû envoyer une quarantaine de CV » , regrette-t-elle.
Elle aussi membre du collectif CGT chômeurs et précaires, elle se rend compte des effets néfastes de la réforme. À l’en croire, ceux qui n’ont pas décidé d’emprunter un nouveau chemin de carrière disparaissent tout bonnement des radars. « Comme ils savent qu’une saison ce n’est pas assez pour recharger des droits et qu’ils ne pourront plus toucher les allocations, ils ne prennent plus la peine de s’inscrire à Pôle emploi » , explique-t-elle.
Mais le véritable nerf de la guerre, ce sont les salaires. L’inflation galopante aidant, les saisonniers ne semblent plus vouloir accepter des emplois si précaires, au traitement frisant le Smic et aux heures supplémentaires non payées, comme cela a été très largement la norme durant des années.
Face à cette demande générale d’une rémunération plus digne, certains employeurs ont sorti le chéquier. « À la sortie du Covid, je rémunérais un plongeur 1 500 euros net, aujourd’hui je propose 1 700 euros net, logement compris. Je ne peux pas faire plus, sinon il faudra répercuter sur les consommations », assure Laurent, restaurateur haut-savoyard.
Ras-le-bol généralisé
Pourtant, ces petits coups de pouce restent des initiatives personnelles de la part des employeurs. Au niveau de la branche hôtellerie et restauration, l’histoire est tout autre. En janvier, le patronat a concédé à l’issue de négociations des revalorisations de salaires de 16 % en moyenne. À y regarder de plus près, pourtant, la majorité des saisonniers ne sont pas gagnants. Les premiers niveaux de la grille n’ont eu le droit qu’à une augmentation d’environ 60 euros par mois, déjà aujourd’hui complètement absorbée par la hausse des prix.

Les saisonniers qui ne travaillent pas dans la restauration, eux, officient pour la plupart sans la moindre revalorisation de leurs revenus. L’année dernière, Vincent en a fait l’expérience. Alors âgé de 20 ans et sans diplôme, il a trouvé un emploi dans une colonie de vacances en Ardèche. Un coup de cœur pour celui qui s’est découvert une passion pour l’animation, mais d’importants sacrifices en termes de rémunération et de conditions de travail. Pendant deux semaines, le jeune homme a travaillé de 7 heures du matin – avant le lever des petits vacanciers – jusqu’à tard dans la nuit, le temps que les longues réunions entre animateurs se terminent, une fois les enfants couchés.
Des journées pouvant atteindre parfois 20 heures pour un salaire de misère : 900 euros net pour les deux semaines. « Comme j’ai signé un contrat jeune et que je n’avais pas de diplôme, il n’y a aucune heure sur mon bulletin de salaire, alors que j’ai travaillé plus de 150 heures. Tout ça ne comptera donc ni pour le chômage, ni pour la retraite, ni pour la formation que j’essaye d’intégrer et qui demande qu’on puisse justifier de 200 heures de travail en animation », se désole Vincent. Cet été, loin des galères de la colonie, le jeune homme a trouvé un emploi dans un centre de loisirs. Le salaire est loin d’être mirobolant, mais la journée de travail se termine lorsque les parents viennent chercher leur progéniture le soir, pointe-t-il.
Cet été, plus que jamais, les employeurs devront donc composer avec le ras-le-bol des salariés pour leur conditions de travail au rabais et proposer un accueil satisfaisant s’ils veulent réussir à embaucher. Céline Absil, elle, est tombée sur un patron prêt à faire l’effort.
Dans son bistrot ardéchois, il a constitué deux équipes, l’une pour le service du midi et l’autre pour le service du soir, supprimant ainsi les heures de coupure du milieu de la journée. « Mon employeur s’est rendu compte que c’était un gros frein et que ça épuisait les équipes. J’ai donc été embauchée pour des journées de 10 à 16 heures » , explique-t-elle.
Dans le Var, Pascal Marchand, saisonnier depuis vingt-cinq ans, a fait du logement fourni la condition sine qua non de son recrutement. « Je ne signe pas sinon. Je viens du nord de la France, je ne peux pas venir travailler dans le Sud si je n’ai nulle part où me loger » , explique le second de cuisine.
Un secteur entier au pied du mur
Pour l’Union des métiers et des industries de l’hôtellerie (Umih), organisation patronale, c’est bien sur les logements qu’il faut insister pour renouer avec l’emploi saisonnier. Car si dans les campings et hôtels, les salariés peuvent être logés sur place gratuitement, ce n’est pas le cas dans la restauration, et beaucoup refusent de signer un contrat sans la garantie d’un habitat confortable. « On commence à voir de bonnes pratiques se mettre en place. À Carnac, un camping a été racheté par la mairie pour y loger les salariés, c’est une bonne chose. À Dunkerque, une chambre de commerce a été réhabilitée. Mais il faudrait une réforme globale du logement pour que cet aspect ne soit plus un frein à l’emploi » , suggère Thierry Grégoire, président de l’Umih saisonniers.
Avec environ 200 000 postes de saisonniers qui pourraient ne pas être pourvus cet été, l’organisation patronale a d’ailleurs décidé de se tourner vers des candidats outre-Méditerranée. L’Umih envisage en effet de recruter de jeunes salariés tunisiens. Il n’est toutefois pas question de dumping social, assure Thierry Grégoire. « Ce sont des jeunes qualifiés qui souhaitent venir en France pour parfaire leur expérience, avec un contrat de travail de cinq mois au maximum. Ils ont vocation à retourner dans leur pays par la suite » , explique-t-il.
Dans tous les cas, le secteur entier semble être au pied du mur. Pour mener à bien les saisons touristiques tout en se passant des rustines de dernière minute, les employeurs devront se retrousser les manches et enfin renouer avec l’attractivité de leurs métiers.
(1) Le prénom a été modifié.
Droit du travail. Un maximum de revendications
Si les emplois saisonniers ont leurs spécificités, le Code du travail ne leur réserve pas de dérogations. Ces postes ne concernent donc que les travaux appelés à se répéter chaque année à des dates à peu près fixes, du fait du rythme saisonnier ou de modes de vie. Exit les surcroîts d’activité et les secteurs non indexés au Code du travail. Les contrats saisonniers relèvent des CDD classiques.
Mais le droit du travail ne règle pas toutes les difficultés. Voilà pourquoi la CGT, la CFDT et FO revendiquent le versement de la prime de précarité à chaque fin de CDD, afin d’éviter la précarité des travailleurs, ainsi que l’abrogation de la réforme de l’assurance-chômage qui impose de travailler au moins six mois pour ouvrir des droits. L’accès au logement, à la formation, la lutte contre le travail non déclaré et le droit à reconduction des contrats d’une année sur l’autre font aussi partie des demandes des organisations syndicales.
#travailleuses #travailleurs #saisonniers #salariés #droit_du_travail #hôtels #restaurants #tourisme #assurance-chômage #CDD #CDI #précarité
]]>Covid-19 patients under home quarantine to wear tracking wristbands from July 15, Hong Kong health minister says; city logs 2,863 infections | South China Morning Post
▻https://www.scmp.com/news/hong-kong/health-environment/article/3184846/coronavirus-hong-kong-covid-19-app-update-will
Covid-19 patients under home quarantine to wear tracking wristbands from July 15, Hong Kong health minister says; city logs 2,863 infections
Health chief Professor Lo Chung-mau also says government is studying to turn part of seven-day hotel quarantine into home isolation. Lo earlier unveiled plans for online bookings for Covid tests for travellers heading to mainland China.All Covid-19 patients under home quarantine will be required to wear tracking wristbands starting from Friday, Hong Kong’s health minister has announced, while revealing the government is preparing for a worst-case scenario as infection numbers rebound.The new plans came as the city recorded 2,863 cases, including 252 imported ones. Seven additional deaths were reported. Hong Kong’s overall coronavirus tally stands at 1,273,663 infections, with 9,419 related fatalities.Secretary of Health Professor Lo Chung-mau also said the government was studying to turn part of the seven-day hotel quarantine for arrivals from overseas into home isolation, to be conducted in a closed-loop arrangement.Lo announced the measures hours after he unveiled plans to allow online bookings for Covid-19 tests for travellers heading to mainland China via the Shenzhen Bay Port and expand the screening quota, apologising for long queues after people earlier swamped the border crossing.To tackle a backlog of nucleic acid tests at the border checkpoint, Lo said a booking system would be able to process 400 people per hour, with a peak of 500. He said the maximum daily capacity for tests would be raised to 2,500 from 1,300 with the company conducting them more than doubling screening machines from 23 to 47.“On Sunday morning, within three hours, about 1,200 people were crossing at the same time, so this created long queues,” Lo said. Shenzhen Bay Port, one of just two land passenger crossings that remain open amid the pandemic, was packed with crowds over the weekend after the Guangdong provincial city boosted the number of quarantine hotel rooms by 700 to 2,000 a day and added more spots for those in need.Earlier in the day, Lo shed some light on planned updates to the “Leave Home Safe” app, saying the aim was to enforce quarantine orders for those at home, adding that currently there was no way to ensure infected residents could not visit high-risk locations such as restaurants, hospitals and care homes.
Lo, who first revealed officials were considering adjusting the “Leave Home Safe” app to require real-name registration a day earlier, stressed authorities were primarily considering a red health code for those who were found to be positive in nucleic acid tests, while real-name registration would make it easier to quarantine those infected.He also said a yellow health code, for example, could be used for overseas arrivals who were quarantining at home, as potentially they could be infected with Covid-19.
“These are people who shouldn’t enter high-risk locations but can go to work point to point,” he said. Macau closes the Grand Lisboa, the first casino shuttered in the Covid-19 pandemicThe mainland uses a three-colour system, which indicates a person’s Covid-19 status via QR codes.
The mainland’s health code app is used to track and contain patients by providing central authorities with user data such as locations, times and personal interactions.The QR codes generated follow a traffic-light system, with the colours affecting where residents can go and how they are treated: a green code declares a resident has not been exposed to any potential cases or risky areas, while yellow and red codes mean they are of higher risk.In December last year, Hong Kong launched a health code system which is built into the “Leave Home Safe” app and compatible with the mainland’s for people who travel across the border.The new health secretary on Monday addressed concerns that the planned updates would allow people’s movements to be traced, saying their main purpose was to identify high-risk individuals and not “track” them down.Some technology experts noted the “Leave Home Safe” app already contained certain personal details such as vaccine records, which included the user’ name and Hong Kong identity card number.While Lo did not give any more details about the planned update, he said the government was now looking at how to define which cases fell under red, yellow or green codes.‘Faster, daily Covid PCR tests could replace Hong Kong hotel quarantine’
9 Jul 2022 He also did not give a timetable for the change, but said authorities hoped to bring them in as soon as possible, with the government already looking at how to make the updates. University of Hong Kong microbiologist Dr Ho Pak-leung told the same programme the government’s goals of minimising infected people’s mobility could theoretically be achieved by suspending their vaccine pass, as it was needed to enter any high-risk venues and operators were required to scan it.
He also said he believed contact tracing should not be the city’s main concern right now. That was because of the large number of infections and a relatively high percentage of cases of unknown origin in the community.
#Covid-19#migrant#migration#hongkong#chine#zerocovid#depistage#passevaccinal#QRCode#hotel#quarantaine#casimporte#testPCR#vaccination#mobilite#frontiere
]]>Hong Kong residents crossing border at Shenzhen Bay Port can soon book Covid-19 tests online as eager travellers throng checkpoint | South China Morning Post
▻https://www.scmp.com/news/hong-kong/article/3184784/hong-kong-residents-crossing-border-shenzhen-bay-port-can-soon-book
Hong Kong residents crossing border at Shenzhen Bay Port can soon book Covid-19 tests online as eager travellers throng checkpoint.New system is aimed at easing crowding at the crossing point as travellers head to mainland China. Traffic has intensified after the Shenzhen government increased quota of quarantine hotel rooms
Hong Kong is set to allow travellers heading to mainland China through Shenzhen Bay Port to book Covid-19 tests online as residents continue to swamp the checkpoint and ignore the government’s advice to delay trips over the border.Shenzhen authorities also announced on Sunday a new measure to crack down on scalping of quarantine hotel rooms by allocating them through drawing lots following discussions with the Hong Kong government.Shenzhen Bay Port, one of just two land passenger crossings that remain open amid the pandemic, has been packed with crowds in the morning over the weekend after the Guangdong provincial city boosted the number of quarantine hotel rooms by 700 to 2,000 a day and added additional spots for those in need.
As seen during a Post visit on Sunday, queues snaked outside the checkpoint as hundreds of travellers from Hong Kong waited to undergo the required nucleic acid test before crossing.Planning to visit his relatives on the mainland, Yuen said the Shenzhen government should have made more quarantine hotel rooms available.The 2,000 a day is definitely not enough,” he said. “Residents need to go to Shenzhen. But the issue of quarantine hotel rooms should be addressed first. I was lucky to lock in my booking early on.”Alan Wong, a 49-year-old construction company manager, was unable to book a quarantine hotel room in Shenzhen and his company paid a scalper 2,300 yuan (US$293) to secure a reservation one week in advance.
Wong said that while it was fairer to use the quota system, the chances of failing to get a hotel room created too many uncertainties for people who needed to do business.“It’s just like waiting for the results of the Mark Six or a Home Ownership Scheme ballot. You’ll never know until the last minute,” Wong said.Secretary for Health Dr Lo Chung-mau visited the checkpoint in the afternoon. Earlier in the day, Lo explained in a TV interview that quarantine-free travel with the mainland remained unfeasible at the moment, as allowing it would require a significant change to the nation’s anti-pandemic policies. Lo added that Hong Kong residents needed to follow the mainland’s requirements when travelling there.
‘Faster, daily Covid PCR tests could replace Hong Kong hotel quarantine’
9 Jul 2022
A Hong Kong government spokesman said travellers would need to wait for about three hours to receive their Covid-19 test result at the control point and urged them to cross the boundary in the afternoon to avoid the morning rush.Under the coming booking arrangement, which is expected to be ready in a week, travellers must obtain a spot at a Shenzhen quarantine hotel and reserve a time for the Covid-19 test at the border crossing on the day of departure.Hongkongers hoping to travel across the border previously needed to book a room at a quarantine hotel through a government website on a first-come, first-served basis. But to combat the scalping, the Shenzhen government would allocate rooms to travellers by drawing lots, taking into consideration supply and demand, as well as the travel history of the applicant, authorities said. A traveller can only make one booking for the same date and results will be announced at 8pm daily.Society for Community Organisation deputy director Sze Lai-shan said: “The problem now is not much about online booking or queuing at the control point, but more about insufficient hotel rooms for quarantine on the Shenzhen side.
“The online booking thing is a crowd management measure. It does not mean more people can go to the mainland unless the Shenzhen side makes more quarantine hotel rooms available to meet demand.”Legislator Edward Leung Hei, of the Beijing-friendly Democratic Alliance for the Betterment and Progress of Hong Kong, urged the government to increase shuttle bus services for the Hong Kong-Zhuhai-Macau Bridge to allow more visitors to enter the mainland using that access point.
#Covid-19#migrant#migration#hongkong#chine#shenzen#frontiere#circulationtransfrontalière#quarantaine#hotel#sante
]]>Booking.com fait des tarifs... spéciaux #réfugiés_ukrainiens...
Ici l’exemple à #Lipari (#îles_éoliennes), en #Italie... là où, je pense, aucun #réfugié n’a jamais mis pied...
#booking #tarif_spécial #hôtel #catégorisation #asile #migrations #réfugiés
–—
ajouté à ce fil de discussion sur les discours et pratiques #pro-réfugiés_ukrainiens...
►https://seenthis.net/messages/950929
qui est lui-même ajouté à la métaliste sur les formes de racisme qui ont émergé avec la guerre en Ukraine :
►https://seenthis.net/messages/951232
Hotel Sarajevo
▻https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Hotel-Sarajevo-218359
Nel trentennale dell’inizio dell’assedio di Sarajevo è uscito il docu-film «Hotel Sarajevo» della regista Barbara Cupisti. Il titolo prende spunto dall’albergo Holiday Inn, costruito per le olimpiadi invernali del 1984 e durante la guerra diventato base dei giornalisti internazionali. Prima televisiva il prossimo 29 maggio su Rai
]]>Boris Johnson annonce avoir signé un accord avec Kigali pour envoyer des demandeurs d’asile au #Rwanda
Ce projet, susceptible de s’appliquer à toutes les personnes entrées illégalement sur le territoire, a suscité des réactions scandalisées des organisations de défense des droits humains.
Le premier ministre britannique, Boris Johnson, a décidé de durcir la politique migratoire du Royaume-Uni, en prenant une décision pour le moins controversée. Le Royaume-Uni a annoncé, jeudi 14 avril, avoir pour projet d’envoyer au Rwanda des demandeurs d’asile arrivés illégalement, espérant ainsi dissuader les traversées clandestines de la Manche, qui sont en pleine augmentation.
Ce projet, susceptible de s’appliquer à toutes les personnes entrées illégalement sur le territoire, d’où qu’elles viennent (Iran, Syrie, Erythrée…), a suscité des réactions scandalisées. Des organisations de défense des droits humains ont dénoncé son « inhumanité ». L’opposition a jugé que le premier ministre tentait de détourner l’attention après l’amende qu’il a reçue pour une fête d’anniversaire en plein confinement. Le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) a, de son côté, fait part de « sa forte opposition » :
« Les personnes fuyant la guerre, les conflits et les persécutions méritent compassion et empathie. Elles ne devraient pas être échangées comme des marchandises et transférées à l’étranger pour être traitées. »
Un projet chiffré à 144 millions d’euros
Alors que M. Johnson avait promis de contrôler l’immigration, un des sujets-clés dans la campagne du Brexit, le nombre de traversées illégales de la Manche a triplé en 2021, année marquée notamment par la mort de vingt-sept personnes dans un naufrage à la fin de novembre. Londres reproche régulièrement à Paris de ne pas en faire assez pour empêcher les traversées.
« A partir d’aujourd’hui (…), toute personne entrant illégalement au Royaume-Uni ainsi que celles qui sont arrivées illégalement depuis le 1er janvier pourront désormais être transférées au Rwanda », a annoncé le dirigeant conservateur dans un discours dans le Kent (sud-est de l’Angleterre). Le Rwanda pourra accueillir « des dizaines de milliers de personnes dans les années à venir », a-t-il ajouté, décrivant ce pays d’Afrique de l’Est comme l’un des « plus sûrs du monde, mondialement reconnu pour son bilan d’accueil et d’intégration des migrants ».
En vertu de l’accord annoncé jeudi, Londres financera dans un premier temps le dispositif à hauteur de 144 millions d’euros. Le gouvernement rwandais a précisé qu’il proposerait la possibilité « de s’installer de manière permanente au Rwanda [à ces personnes si elles] le souhaitent ».
Désireux de regagner en popularité avant des élections locales le mois prochain, M. Johnson et son gouvernement cherchent depuis des mois à conclure des accords avec des pays tiers où envoyer les clandestins en attendant de traiter leur dossier.
Le contrôle de la Manche confié à la marine
« Notre compassion est peut-être infinie, mais notre capacité à aider des gens ne l’est pas », a déclaré M. Johnson, qui anticipe des recours en justice contre le dispositif. « Ceux qui essaient de couper la file d’attente ou d’abuser de notre système n’auront pas de voie automatique pour s’installer dans notre pays mais seront renvoyés de manière rapide et humaine dans un pays tiers sûr ou leur pays d’origine », a-t-il ajouté.
Les migrants arrivant au Royaume-Uni ne seront plus hébergés dans des hôtels, mais dans des centres d’accueil, à l’image de ceux qui existent en Grèce, avec un premier centre « ouvrant bientôt », a annoncé M. Johnson.
Dans le cadre de ce plan, qui vient compléter une vaste loi sur l’immigration actuellement au Parlement et déjà critiqué par l’Organisation des Nations unies (ONU), le gouvernement confie dès jeudi le contrôle des traversées illégales de la Manche à la marine, équipée de matériel supplémentaire. En revanche, il a renoncé à son projet de repousser les embarcations entrant dans les eaux britanniques, mesure décriée côté français.
Les ONG scandalisées
En envoyant des demandeurs d’asile à plus de 6 000 kilomètres du Royaume-Uni, Londres veut décourager les candidats à l’immigration, toujours plus nombreux : 28 500 personnes ont effectué ces périlleuses traversées en 2021, contre 8 466 en 2020, selon des chiffres du ministère de l’intérieur.
Amnesty International a critiqué « une idée scandaleusement mal conçue » qui « fera souffrir tout en gaspillant d’énormes sommes d’argent public », soulignant aussi le « bilan lamentable en matière de droits humains » du Rwanda.
Daniel Sohege, directeur de l’organisation de défense des droits humains Stand For All, a déclaré à l’Agence France-Presse que l’initiative du gouvernement était « inhumaine, irréalisable et très coûteuse », recommandant plutôt d’ouvrir des voies d’entrée au Royaume-Uni « plus sûres » car celles qui existent sont « très limitées ».
▻https://www.lemonde.fr/international/article/2022/04/14/londres-a-signe-un-accord-avec-kigali-pour-envoyer-des-demandeurs-d-asile-au
#Angleterre #UK #asile #migrations #réfugiés
#offshore_asylum_processing
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ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
►https://seenthis.net/messages/900122
et ajouté à la métaliste sur la mise en place de l’#externalisation des #procédures_d'asile au #Rwanda par l’#Angleterre (2022) :
►https://seenthis.net/messages/900122
Kapitalismus statt Kollektiv
▻https://www.nd-aktuell.de/artikel/1163033.wombat-s-city-hostel-in-berlin-kapitalismus-statt-kollektiv.html
15.4.202 von Christian Lelek - Das ehemalige »Wombat’s«-Hostel in Berlin soll Teil einer globalen Kette werden - die einstige Belegschaft wollte es genossenschaftlich betreiben.
Nach fast drei Jahren Leerstand soll sich bald wieder etwas tun im ehemaligen »Wombat’s«-Hostel in Berlin-Mitte. Von außen wirkt es, als sei in der Alten Schönhauser Straße 2 die Tür der ehemaligen Filiale der kleinen Hostel-Kette gerade erst ins Schloss gefallen. Zur Erinnerung: Im August 2019 entschied sich die damalige Geschäftsführung, den Standort in Berlin zu schließen - trotz profitablen Betriebs.
Mutmaßlicher Grund: Die Beschäftigten hatten in der elfjährigen Geschichte des Hostels einen Betriebsrat installiert und erfolgreich wiedergewählt sowie das Management dazu gebracht, den Branchentarifvertrag des Hotel- und Gaststättengewerbes anzuwenden. Erfolge, die die verbreitete These der Unorganisierbarkeit von meist jungen Hostel-Belegschaften, die die Arbeit nur als eine Episode sehen, widerlegten. Gekämpft wurde beiderseits mit harten Bandagen und es war klar, dass die Arbeiter*innen nicht aufgehört hätten, den Hostelbetrieb nach ihren Interessen zu gestalten. Immer öfter fanden sich Geschäftsführung und gewerkschaftlich Aktive vor Gericht wieder. Auf Dauer war dies dem Unternehmen offenbar sowohl finanziell wie auch nervlich zu herausfordernd. Und es war wohl auch nicht notwendig, da »Wombat’s« im europäischen Ausland eine Handvoll weiterer gut laufender Standorte betrieb.
Den Beschäftigten erschien die Schließung damals als von langer Hand geplant. Gegenüber »nd« berichten die Gewerkschaftsaktivist*innen Ruth Kreuzer und Raphael Kamps, dass ab Anfang 2019 nur noch befristete Arbeitsverträge ausgestellt worden waren. Ende März des Jahres informierte das Management die Belegschaft erstmals über die anstehende Schließung zum Ende August 2019. Es folgten wiederholt rechtliche Auseinandersetzungen und öffentliche Kundgebungen gegen die Schließung. Der Betriebsrat konnte für die Belegschaft immerhin einige Abfindungen rausschlagen.
Hinter den Kulissen wechselten einen knappen Monat vor der Schließung Anfang August die Geschäftsführung und der Sitz der Wombat’s Berlin GmbH. Der neue Sitz an einem Gewerbestandort in Charlottenburg ist zugleich der des größten europäischen Unternehmens für Büroimmobilien und mit Liegenschaften im Wert von 25 Milliarden Euro dem drittgrößten Immobilienunternehmen Europas überhaupt. Die in Luxemburg registrierte Aktiengesellschaft Aroundtown SA ist zudem seit November 2019 über zwei zypriotische Anschriften kleinster und größter Gesellschafter der Wombat’s Berlin GmbH. Mit dieser Übernahme gelangte auch die Immobilie in Mitte zu Aroundtown. Der Gründer und Inhaber der Wombat’s Holding, Sascha Dimitriewicz, bestätigt auf Nachfrage von »nd« den 2019 erfolgten Verkauf der Liegenschaft.
Aroundtown wiederum, Hauptsponsor des aufstrebenden Berliner Fußball-Bundesligisten 1. FC Union, hat in der Vergangenheit unter anderem durch seine undurchsichtige Firmenstruktur mit 400 Tochtergesellschaften allein in Berlin, Verflechtungen nach Zypern und dem steuervermeidenden Geschäftsmodell der sogenannten Share Deals einiges an Kritik auf sich gezogen.
Am ehemaligen »Wombat’s« Standort findet sich heute ein Briefkasten mit der Aufschrift »Selina«. Im Café »Tinman«, seit 2017 einziger weiterer Mieter in der Alten Schönhauser Straße 2, heißt es, dass über »Selina« seit der Schließung geredet werde, sich seitdem aber nichts merklich getan habe. In der Hotelbranche kursierten seit 2019 Informationen, denen zufolge der globale Hotelkonzern Selina Holding für das gleiche Jahr zwei Hotels in Berlin eröffnen würde - darunter eines an der Torstraße 34.
»Selina« ist einer der neuen Sterne der Branche. Seit der Eröffnung des ersten Hotels in Panama 2014 wurden weltweit 90 Filialen eingeweiht, wofür 350 Millionen Dollar an Investorengeldern akquiriert worden sind. Noch in dieser Jahreshälfte will das Unternehmen über den Kauf durch ein Mantelunternehmen, das die Form einer Aktiengesellschaft hat, an der New Yorker Börse gelistet sein. »Selina« wirbt mit einem erwarteten positiven Geschäftsergebnis vor Steuern, Zinsen und sonstigen Abschreibungen ab 2023 und einem prognostizierten Umsatz von 1,2 Milliarden Dollar für 2025. Zum Vergleich: die »Wombat’s«-Hostel-Kette erwartet für 2022 einen Umsatz von 16,5 Millionen Euro.
Das Geschäftskonzept ist relativ simpel. Da sich die klassische Hotellerie und Backpackerbranche nicht ausreichend auf die geänderten Bedürfnisse der heutigen Kundschaft eingerichtet hat, sollen Immobilienunternehmen unrentabel gewordene Standorte aufkaufen. Sie sollen auch 90 Prozent der Modernisierungskosten tragen. »Selina« will so möglichst schnell in die vermutete Marktlücke vorstoßen, in der sich auch bereits etablierte Konzerne tummeln wie die vor allem durch die »Ibis«-Kette bekannte französische Accor-Gruppe. Es geht um die im schönsten Marketingsprech als »Millenials, Generation Z & Remote Workers« bezeichneten Gruppen der derzeit bis 40-Jährigen sowie derjenigen, die für die Arbeit nur einen Laptop und einen Internetzugang brauchen, und nicht in einem Büro tätig sind. Weltweit wird ein jährliches Umsatzpotenzial von 350 Milliarden Euro prognostiziert. Statt Arbeits- und Übernachtungsplätzen soll ihnen ein kuratiertes Erlebnis inklusive Wellness, gastronomischen Highlights, Lokalkolorit, Partys und einem Gemeinschaftsgefühl verkauft werden. Eine Geschäftsbeziehung unter dem Mäntelchen von Freude und Freundschaft also.
Spätestens im Herbst soll die ehemalige »Wombat’s«-Filiale in Mitte Teil dieses weltweiten Netzwerks für die einst als »digitale Nomaden« bezeichnete Zielgruppe sein, erklärt »Selina«-Mitbegründer Saurabh Chawla auf »nd«-Anfrage. Das »Selina Hotel Mitte and CoLive« soll demnach das Flagschiff in der Hauptstadt inklusive eigenem Radiosender, Ausstellungen, Co-Working Space, veganer Küche und lateinamerikanischen Cocktails auf der Dachterrasse werden. Und noch ein interessantes Detail verrät Chawla: Den Verkauf der Wombat’s Berlin GmbH an Aroundtown habe »Selina« entsprechend diesem Geschäftsmodell eingefädelt. Die dann über drei Jahre verzögerten Wiedereröffnungspläne begründet Chawla mit den wirtschaftlichen Auswirkungen der Corona-Pandemie.
Die ehemaligen »Wombat’s«-Aktivist*innen Ruth Kreuzer und Raphael Kamps halten das nur für einen Teil der Wahrheit. »Das Haus war völlig marode. Am Ende stand der Keller unter Wasser, was die Bausubstanz angegriffen hatte«, berichten sie. Ständig seien Rohre geplatzt. »Das Haus hat man 2008 richtig billig hochgezogen, wohl mit viel Pfusch am Bau«, vermuten sie. Eine Eröffnung bereits im Herbst scheint ihnen angesichts der baulichen Probleme daher überambitioniert. An einen Ausstieg von »Selina« aus dem Projekt glauben sie allerdings auch nicht.
Es hätte auch ganz anders kommen können, meinen sie. »Die Belegschaft hatte eine Vision und einen Plan, was man mit dem Raum hätte machen können«, sagen die Aktivist*innen. In dem damaligen Kampf hatten sie an die Politik, an Mitglieder des Deutschen Gewerkschaftsbundes und weitere Akteure appelliert, sich für die Übernahme des Betriebs durch die Belegschaft stark zu machen und damit die gewerkschaftlich erkämpften Standards gegenüber Unternehmertum und Kapital abzusichern. Aber am Ende sei ihnen eigentlich auch klar gewesen, dass diese Forderung nach Enteignung von privatwirtschaftlichen Unternehmen zugunsten einer kleinen engagierten Belegschaft als utopisch verhallen musste.
#Berlin #Mitte #Alte_Schönhauser_Straße #Streik#Arbeit #Hotellerie #Tourismus #Immobilien
]]>Roumanie : pénurie de main-d’œuvre, les travailleurs asiatiques à la rescousse
Quatre millions de Roumains ont émigré à l’étranger depuis l’intégration à l’UE en 2007 et les entreprises peinent à recruter. La solution ? Faire venir des travailleurs d’Asie. Dans la région de #Cluj-Napoca, ils viennent du #Sri_Lanka et du #Vietnam pour travailler dans l’#hôtellerie ou l’#industrie. Reportage.
« Nous sommes partis à cause de la chute de l’activité touristique. Il y avait eu les attentats en 2018, puis avec la pandémie de covid-19, c’est devenu encore plus difficile », raconte Ravindu Wanigathunga. Le jeune homme de 26 ans originaire du Sri Lanka, est aujourd’hui chef pâtissier dans un complexe hôtelier de Cluj-Napoca. « Ici, je gagne un peu plus que chez moi et le coût de la vie n’est pas trop élevé. Si j’étais parti en Europe de l’Ouest, je gagnerais plus, mais le coût de la vie serait très élevé, voilà pourquoi j’ai préféré la Roumanie. » Ravindu est arrivé en Transylvanie il y a quelques mois. « Je me suis trouvé une bonne place, les gens sont corrects, mais le Sri Lanka me manque. »
Comme lui, ils sont des dizaines de milliers à être venus de pays asiatiques – Sri Lanka, mais aussi #Népal, Vietnam, #Philippines, #Bangladesh, #Inde et #Pakistan – pour travailler en Roumanie. Depuis 2007 et l’intégration européenne, le pays a vu quatre millions de ses habitants partir vers les pays de de l’Ouest et du Nord chercher une vie meilleure. Aujourd’hui, selon le ministère roumain du Travail, on compte 480 000 #emplois_vacants et 200 000 demandeurs d’emploi. La solution : faire venir des travailleurs étrangers non européens. Depuis un an, la Roumanie a quadruplé le quota des visas travail pour les travailleurs étrangers hors UE : fixé à 25 000 début 2021, il est passé à 50 000 en juillet 2021, puis à 100 000 début 2022. Principalement à destination du secteur du bâtiment et de l’hôtellerie-restauration.
Un tremplin vers l’Europe de l’Ouest ?
Ils sont quinze Sri-lankais à travailler avec Rovindu dans le complexe hôtelier de Cluj-Napoca. Shen BasNayake, 24 ans, est moins nostalgique de son pays natal, probablement parce qu’il n’est arrivé qu’il y a deux mois et demi et que sa mère, Renuka, est aussi en Roumanie. Arrivée il y a trois ans, celle-ci travaille comme femme de chambre. C’est en Roumanie que Shen et Renuka ont vu la neige pour la première fois.
Leur collègue Salindu a 29 ans et dix années d’expérience dans une chaîne hôtelière internationale à Tangalle, dans son île natale. Le fait que la Roumanie soit un État membre de l’UE était un argument suffisant pour qu’il accepte l’offre, dans un contexte de déclin de l’activité touristique au Sri Lanka. Gamimi Gulathunga, 57 ans, est le vétéran du groupe. Il n’en est pas à sa première expérience à l’étranger, lui qui a déjà travaillé à Dubaï et en Arabie Saoudite. Mais son cœur est « toujours au Sri Lanka », assure-t-il.
Janith Kalpa considère cette expérience de travail en Roumanie comme un potentiel tremplin vers un pays d’Europe de l’Ouest. Du moins, ce jeune serveur l’espère. De toute façon, la Roumanie est membre de l’UE, donc « sur le CV, ça ne fera pas de mal », estime-t-il. Il a également travaillé à Dubaï, mais il préfère les clients roumains. « Les gens ici sont polis, ils nous demandent d’où nous venons, comment nous allons. Le pourboire est plus généreux aussi. » Et puis, il dit qu’il aime les femmes roumaines et raconte qu’un ancien employé sri lankais a même fondé une famille ici. Pourquoi pas lui ?
“Je ne trouvais tout simplement personne à embaucher, aussi je me suis tourné vers une agence à Bucarest et j’ai choisi cette option.”
« Je ne trouvais tout simplement personne à embaucher, aussi je me suis tourné vers une agence à Bucarest et j’ai choisi cette option », confie Eugen Tușa, le propriétaire du complexe hôtelier de Cluj Napoca. « Je leur ai préparé un logement, je sais que je peux compter sur eux. On a des gens qui sont là depuis trois ans, certains sont partis, d’autres sont venus, mais dans l’ensemble, je suis satisfait. » « Ils sont très responsables, souriants et les clients apprécient ça », ajoute Teona Tușa. « Avec les Roumains, on s’est parfois heurté à un manque de sérieux ou à des exigences diverses, mais même quand on les remplissait, ce n’était quand même pas bien. »
Les quinze travailleurs sri-lankais de cet hôtel ne représentent qu’une petite fraction du contingent de travailleurs asiatiques installés dans la région de Cluj-Napoca. L’une des entreprises qui en compte le plus est le fabricant italien d’appareils électroménagers De’Longhi, implanté dans la zone industrielle de Jucu, à 20 kilomètres de Cluj-Napoca, là où se trouvait l’usine Nokia jusqu’à sa fermeture en 2011. Sur les 3000 employés de l’usine italienne, 330 sont Sri-lankais.
Trente Sri-lankais avaient d’abord été embauchés, qui en ont ensuite recommandé 300 autres. « Nous les avons embauchés et cela s’est avéré réussi, car les gens étaient reconnaissants et l’absentéisme et le pourcentage de départs parmi eux étaient extrêmement faibles », explique Florina Cicortaș, directrice des ressources humaines de l’entreprise. En récompense de ces bonnes recommandations, les employés de la première phase ont reçu des primes. L’entreprise a des coûts supplémentaires car elle fournit aussi les logements, mais ces coûts sont compensés par le fait que l’absentéisme et le pourcentage de départ sont faibles, relativise la DRH.
“On travaille pour pouvoir envoyer de l’argent à la famille au pays, pour les enfants, ma femme et mes parents.”
Il y a quatre ans, c’était les Vietnamiens qui représentaient le principal contingent de travailleurs non européens en Roumanie. Sur la centaine d’employés de l’entreprise de fabrication d’armoires métalliques d’Adrian Kun, elle aussi établie dans la zone industrielle de Cluj-Napoca, ils représentent même la majorité des travailleurs. « Je n’arrivais et n’arrive toujours pas à trouver des travailleurs ici, donc nous avons contacté une agence de recrutement directement au Vietnam, nos représentants s’y sont rendus et nous avons fait la sélection », explique Adrian Kun.
De manière informelle, les travailleurs roumains de l’entreprise se disent parfois mécontents du fait que les travailleurs étrangers sont logés et nourris gratuitement, voire qu’ils gagneraient plus qu’eux. Mais s’ils bénéficient effectivement d’un logement inclus dans leur contrat de travail, dans des espaces aménagés à proximité de l’usine, « les travailleurs étrangers ne sont pas avantagés par rapport aux Roumains », se défend le chef d’entreprise. Un travailleur vietnamien gagnerait environ 500 euros – 2 à 3 fois plus que dans son pays d’origine – alors qu’un Roumain se voit offrir 800 euros. Mais même avec ce salaire, Adrian Kun a du mal à attirer les travailleurs roumains.
Minh Van, 41 ans, travaille dans l’entreprise depuis trois ans. Il est contrôleur qualité. Il n’est pas rentré chez lui depuis tout ce temps et n’a pu pris des vacances qu’à l’automne dernier. « J’avais un salaire assez bas au Vietnam, aujourd’hui j’ai un bon revenu. On travaille pour pouvoir envoyer de l’argent à la famille au pays, pour les enfants, ma femme et mes parents », explique-t-il. Entre-temps, il est devenu un intermédiaire pour faire venir de nouveaux travailleurs du Vietnam, afin de remplacer ceux qui terminent leur contrat et souhaitent retourner dans leur pays natal.
“La pénurie de main-d’oeuvre en Roumanie est telle que pour beaucoup d’employeurs, il n’y a pas d’alternative.”
Recourir à des travailleurs étrangers présente des difficultés en termes de démarches administratives – qui prennent du temps avant de rendre l’embauche possible – et de communication entre collègues, mais aussi parce que beaucoup n’ont pas de qualification dans le domaine dans lequel ils viennent travailler, il faut donc les former. « Mais la pénurie de main-d’oeuvre en Roumanie est telle que pour beaucoup d’employeurs, il n’y a pas d’alternative », reconnaît Augustin Feneșan, président de l’Association des employeurs et artisans de Cluj.
Encore faut-il que les quotas de visa travail établis par le gouvernement le leur permettent. Pour l’instant, la législation du travail donne la priorité aux Roumains et aux travailleurs de l’UE et de nombreux employeurs n’obtiennent pas l’autorisation d’aller chercher des travailleurs dans les pays asiatiques. Mais la récente et forte augmentation des #quotas de #visa travail par les autorités roumaines laissent entrevoir une arrivée de plus en plus massives de travailleurs étrangers en Roumanie.
▻https://www.courrierdesbalkans.fr/Penurie-de-main-d-oeuvre-en-Roumanie-les-travailleurs-asiatiques-
#travailleurs_étrangers #main_d'oeuvre #pénurie #travail #main-d’œuvre_étrangère
]]>Green quarantine? Hong Kong hotels under pressure to recycle plastics thrown out by guests spending weeks in Covid-19 isolation | South China Morning Post
▻https://www.scmp.com/news/hong-kong/health-environment/article/3159356/green-quarantine-hong-kong-hotels-under-pressure
Green quarantine? Hong Kong hotels under pressure to recycle plastics thrown out by guests spending weeks in Covid-19 isolation. Experts caution against recycling items from rooms of quarantined guests, citing Covid-19 risk NGO Green Earth estimates hotels have used at least 100 million plastic items during pandemic
Hong Kong’s green groups are alarmed by the large amount of plastic tossed out by hotels where arrivals undergo compulsory quarantine during the Covid-19 pandemic.They want authorities, hotels and even quarantined guests themselves to cut the use of plastic water bottles, disposable utensils, tableware and toiletries, and try to do more to recycle.But some medical experts cautioned against sending items from quarantine hotel rooms into the community, citing the risk of spreading the coronavirus.
Green Earth, a charity that has focused on plastic waste since 2016, estimated that at least 100 million such items had been used at quarantine hotels since the pandemic began last year.Hahn Chu Hon-keung, a director of the group, said that assuming all 86,282 travellers quarantined so far had spent 14 days in a hotel, at least 120,000 water bottles and 13 million plastic items such as food containers and cutlery were used every month. Some in fact stayed 21 days.Chu, who underwent quarantine himself last month, said he emailed his hotel before arriving to ask it not to place bottled water in his room. He also requested reusable cutlery for his stay.
The Dorsett Tsuen Wan Hotel, where Chu stayed for 14 days, told the Post the amount of plastic items given to quarantine guests was so large that it had introduced reusable cutlery.It provided bottled water unless guests said they did not want it, and there were kettles for guests to use in their rooms.
The Amber Foundation, a charity which has collected unused hotel toiletries and airline kits for distribution to street sleepers, women in shelters and others, urged quarantined hotel guests to donate unused, sealed items.
How to use Hong Kong’s ‘Leave Home Safe’ app to enter mainland China and Macau quarantine free. Chairwoman Elizabeth Thomson said it used to repackage the donations into toiletry kits for men and women. Since the pandemic, these donations have surged.“We used to put together about 5,000 toiletry kits every year, but in the last month alone, we distributed more than 1,000 kits,” she said.Thomson said quarantined hotel guests could save unused items to recycle rather than leave them behind to be thrown away when they checked out.She said it would help if the Department of Health explained whether everything from the guests’ rooms had to be thrown out or if sealed toiletries such as liquid soap and shampoo could be given away.If there was nothing wrong with the items, the hotels could work with NGOs to recycle them and cut wastage, she added.
“If we try counting the number of plastic waste [items] in a quarantine hotel, it would be horrifying,” Thomson said.
#Covid-19#migrant#migration#sante#hongkong#sante#quarantaine#hotel#chine#macau#frontiere#circulation
]]>#Amsterdam: l’Hôtel Mokum est mort, vive l’Hôtel Mokum
▻https://fr.squat.net/2021/11/30/amsterdam-lhotel-mokum-est-mort-vive-lhotel-mokum
Chers ami-es, Commençons par un mot de remerciement. Le soutien et la solidarité que nous avons reçus au cours des six dernières semaines, mais surtout ce week-end, ont été extraordinaires. Samedi, nous avons été expulsé-es par la brutalité policière et une démonstration de force. Nous en reparlerons plus tard, mais pour l’instant, de la tendresse […]
#ADEV #Amsterdam_Danst_Ergens_Voor #expulsion #gentrification #Hôtel_Marnix #Hôtel_Mokum #Marnixstraat_382 #Pak_Mokum_Terug_! #Pays-Bas
]]>Coronavirus: Hong Kong adds 1,500 quarantine rooms ahead of Christmas holidays as 5 more hotels join approved list | South China Morning Post
▻https://www.scmp.com/news/hong-kong/health-environment/article/3152831/hong-kong-add-estimated-2000-quarantine-hotel
Coronavirus: Hong Kong adds 1,500 quarantine rooms ahead of Christmas holidays as 5 more hotels join approved list
Hong Kong officials have added five hotels to the government’s approved list of coronavirus quarantine facilities, ramping up room supply by 15 per cent ahead of an expected rush of inbound travellers over the Christmas holiday season.The administration revealed on Tuesday that a total of 40 designated quarantine hotels would provide about 11,500 rooms between December 1 and February 28, a period also covering Lunar New Year.
Hong Kong’s expansion of the quarantine facilities from the current level of 10,000 rooms emerged as the city confirmed two new coronavirus cases carrying the L452R mutant strain on Tuesday – both imported – taking the overall tally of infections to 12,301, with 213 related deaths.The two cases involved a 51-year-old man from the United Kingdom and a three-year-old from Mongolia. Fewer than 10 preliminary-positive infections were recorded. The 36 hotels currently approved to serve as quarantine hotels – a list that is updated every three months – were booked at 84 per cent capacity from September to November, according to the Food and Health Bureau. The net increase in the number of designated hotels for the coming round is four after it was previously announced that Sheraton Hong Kong Hotel and Towers in Tsim Sha Tsui would stop running quarantine services on November 9. Michael Li Hon-shing, executive director of the Federation of Hong Kong Hotel Owners, earlier on Tuesday predicted that the government would introduce another 2,000 quarantine rooms, as he said the industry was readying for a busy time in the coming months. He noted that while the government had typically chosen mid-range and budget hotels priced between HK$600 (US$77) and HK$800 per night, adding some five-star accommodation to the mix could help meet demand among returning travellers for a higher level of service and more comfortable rooms.“I think the demand for that is not that huge, but it must have its own market,” he said. “I believe the market for rooms priced at about HK$1,000 is larger.”Last month, the Hong Kong government sent letters to about 2,000 hotels and guesthouses holding relevant licences to encourage them to join the designated hotel scheme in a bid to meet customer demand, driven by residents returning to their home city.Li said hotels considering joining the scheme had to weigh their own strategies, including whether they preferred to focus on longer-term tenants or the burgeoning “staycation” market.“They may worry that future customers could be concerned that they had been a quarantine hotel before … But they may also hope to boost the occupancy rate by becoming a quarantine facility. It’s up to the hotels’ business strategy,” he said.
Hong Kong has imposed one of the world’s strictest policies for inbound travellers, requiring those from countries deemed high-risk – a list that includes Britain, the United States and Thailand – to complete up to three weeks of compulsory hotel quarantine.The limited supply of government-approved hotels had left thousands of travellers to the city scrambling to book rooms and rearrange flights in recent months. Meanwhile, foreign domestic helpers, who mainly come to the city from the Philippines or Indonesia, have just two options – the 409-room Silka Hotel Tsuen Wan or the government-run Penny’s Bay quarantine facility, which has 1,000 slots.
Every room at both properties was snapped up within minutes of becoming available, as employers and employment agencies rushed to reserve slots for their workers.According to government figures, the city had a total of 315 licensed hotel properties supplying 87,318 rooms as of August.
#Covid-19#migration#migrant#hongkong#sante#vaccination#quarantaine#hotel#frontiere#circulation
]]>#Amsterdam : Reprenons Mokum ! L’hôtel Marnix squatté pendant #ADEV
▻https://fr.squat.net/2021/10/16/amsterdam-reprenons-mokum-lhotel-marnix-squatte-pendant-adev
Lors de la #manifestation ADEV (Amsterdam Danst Ergens Voor) du 16 octobre 2021, l’ancien #Hôtel_Marnix a été squatté sur la #Marnixstraat_382. Déclaration du groupe d’action Pak Mokum Terug : Amsterdam est en crise. Le logement est inabordable. Les personnes à faibles et moyens revenus sont chassées de la ville. Il n’y a pas de […]
#Accord_sur_les_Espaces_Libres #Amsterdam_Danst_Ergens_Voor #gentrification #Hôtel_Mokum #ouverture #Pak_Mokum_Terug_ ! #Pays-Bas
]]>Pour atteindre le « zéro Covid », Hongkong impose une quarantaine éprouvante aux résidents revenant sur l’île
▻https://www.lemonde.fr/international/article/2021/10/13/pour-atteindre-le-zero-covid-hongkong-impose-une-quarantaine-eprouvante-aux-
Pour atteindre le « zéro Covid », Hongkong impose une quarantaine éprouvante aux résidents revenant sur l’île. Longtemps considéré comme l’un des plus libres de la planète, le territoire est en train de se couper du reste du monde.
Depuis fin août, les résidents de Hongkong qui rentrent de France, du Royaume-Uni, des Etats-Unis ainsi que de vingt-trois autres pays ne sont admis dans la région administrative spéciale de Chine qu’au terme de vingt et un jours d’une quarantaine éprouvante tant pour leur santé morale et physique que pour celle de leurs finances. Le voyageur doit en effet rester enfermé dans une chambre d’hôtel – l’un des trente-cinq « DQH » (« hôtels conçus pour quarantaine ») habilités par le gouvernement – sans la moindre sortie à l’air libre autorisée. Le nombre de personnes qui souhaitent rentrer à Hongkong étant bien supérieur à l’offre disponible, les délais s’allongent, les prix grimpent. Certains hôtels, surtout bas de gamme, abusent de ce filon en proposant des chambres non seulement minuscules mais aussi sales, voire insalubres. Au cours de ce séjour, le voyageur (nécessairement vacciné et ayant déjà été testé au moins deux fois au cours des quarante-huit heures qui précèdent son arrivée à l’hôtel) doit se soumettre à six tests obligatoires, qui ont lieu avec des précautions qui semblent dignes d’un laboratoire de haute sécurité. Pour les gens qui voyagent seuls, ces visites leur offrent néanmoins les seuls contacts humains de tout leur séjour, même si ces intervenants aux allures de cosmonaute ont la réputation d’être peu causants. Même la livraison des plateaux-repas est organisée de sorte à éviter toute interaction entre le personnel et les personnes placées en quarantaine. Certains hôtels exigent que ces derniers attendent deux minutes avant d’ouvrir leur porte pour laisser au personnel le temps de quitter l’étage. Une porte ouverte trop tôt ou trop longtemps, un pied posé dans le couloir ont provoqué des sanctions. « Sortir de la chambre sera considéré comme une violation des règles de quarantaine et donc un délit, passible de peines allant jusqu’à six mois de prison et 25 000 dollars de Hongkong [environ 2 800 euros] d’amende », précise le site du gouvernement.Dans la plupart des hôtels, il est en outre impossible d’ouvrir la fenêtre, ce qui accentue le sentiment de claustrophobie, les migraines, les réactions aux moisissures… « Entre la valse des plateaux-repas et l’air conditionné non-stop, on sort de là aussi pâteux et vaseux que d’un mauvais voyage en avion, qui aurait duré vingt et un jours », témoigne un jeune homme en quarantaine qui n’avait pas les moyens de s’offrir un hôtel de bon standing.Surfant sur cette niche, des entreprises se sont créées pour livrer tapis de course et vélos d’intérieur, alors que les tutos et les groupes d’entraide en tout genre sont apparus en ligne pour aider à passer cette épreuve. On y apprend l’importance de structurer ses journées, mais aussi comment élaborer un minibowling avec la réserve de bouteilles d’eau livrées en début de séjour et une orange, ou comment faire sa lessive dans la bouilloire électrique… Pour soulager leurs clients captifs, certains hôtels subventionnent une « Happy hour » sur Zoom le vendredi soir.
La rigueur extrême dont use le gouvernement pour gérer la situation se répercute sur les compagnies aériennes, qui peuvent être suspendues pendant plusieurs semaines si elles importent un certain nombre de cas parmi leurs passagers. Par conséquent, les contrôles à l’embarquement sont devenus particulièrement tatillons. Certains passagers ont été laissés sur le tarmac pour un prénom mal orthographié, un test PCR ayant dépassé de quelques minutes le délai de soixante-douze heures ou faute d’avoir pu fournir la preuve (traduite en anglais) de la certification ISO du laboratoire qui avait réalisé leur test… Récemment, à la suite du test positif d’une hôtesse de l’air arrivée de Los Angeles, tout l’équipage du vol a été mis en quarantaine pour trois semaines dans le centre de quarantaine du gouvernement, Penny Bay. La menace d’être envoyé à Penny Bay pèse d’ailleurs désormais comme une épée de Damoclès sur n’importe quel citoyen de Hongkong. Car le gouvernement peut décider, ou non, d’isoler certains cas contacts…Le gouvernement justifie cette approche radicale par son ambition de « zéro Covid », en ligne avec le régime de Pékin mais en contraste avec la quasi-totalité des pays développés.Vendredi 8 octobre, un employé de l’aéroport a été testé positif, alors que Hongkong n’avait pas enregistré un seul nouveau cas de Covid-19 depuis cinquante et un jours. Depuis la première apparition du virus à Hongkong en janvier 2020, sur les 12 251 qu’a connus l’île, seuls 213 ont entraîné le décès des patients, pour 7,3 millions d’habitants.Ces mesures ne sont justifiées par aucune étude scientifique et dénoncées par plusieurs médecins. La chambre de commerce européenne de Hongkong a, en outre, à plusieurs reprises, averti des effets dévastateurs de cette quarantaine sur l’économie locale et sur l’image de Hongkong. Son président, Frederik Gollob, a déclaré, début octobre, qu’à cause de ces mesures, de nombreuses entreprises européennes envisageaient à présent de quitter Hongkong.Des exemptions sont toutefois prévues par la loi, notamment pour certains hommes d’affaires de haut niveau et pour les diplomates. L’apparition de l’actrice australienne Nicole Kidman, en train de faire du shopping à Central mi-août, deux jours après son arrivée à Hongkong pour le tournage d’une série, a fait scandale.
A Canton, de l’autre côté de la frontière chinoise, c’est un « centre international de santé », un camp de quarantaine de la taille de quarante-six terrains de foot et d’une capacité de 5 000 chambres qui devrait remplacer d’ici peu les quarantaines obligatoires à l’hôtel. Et les Hongkongais redoutent que leur gouvernement, de plus en plus soucieux de faire comme la Chine, ne reprenne l’idée.
#Covid-19#migrant#migration#hongkong#chine#sante#santementale#quarantaine#test#resident#retour#santepublique#zerocovid#frontiere#hotel#economie#exemption
]]>« Il va falloir se rendre compte que les gens ne sont plus corvéables à merci » : dans l’hôtellerie-restauration, les départs de salariés se multiplient
Entre février 2020 et février 2021, le secteur, déjà sous tension, a perdu 237 000 employés. La crise sanitaire a fini par accentuer le malaise de professionnels peu reconnus.
COLCANOPAOù sont-ils passés ? Cuisiniers, serveurs, réceptionnistes, gouvernantes manquent à l’appel dans l’hôtellerie-restauration. Dans une note publiée mardi 28 septembre, la Dares a fait les comptes : en un an, entre février 2020 et février 2021, les effectifs du secteur sont ainsi passés de 1,309 million d’employés à 1,072 million, précise le service statistique du ministère du travail. Soit un solde de 237 00 employés « disparus », résultant de la différence entre 213 000 nouveaux entrants et 450 000 sortants. La Dares précise que ces derniers temps, plus de 400 000 employés majoritairement jeunes arrivaient chaque année dans ces métiers tandis qu’environ 370 000 personnes abandonnaient.
Interrogés par Le Monde, ceux qui ont rendu leur tablier ont spontanément répondu à une autre question : « Pourquoi suis-je parti ? » « La passion vous porte un temps mais les contraintes finissent par prendre le dessus », a dit l’une. « Il va falloir se rendre compte que les gens ne sont plus corvéables à merci ! », a dit une autre. Issus d’établissements divers, ils témoignent à l’unisson des raisons qui les ont poussés à abandonner ce qu’ils qualifient souvent de « métier passion ».
Vingt ans de métier et payée 88 centimes au-dessus du SMIC
Fabienne l’aura exercé vingt-quatre ans (la plupart des personnes interrogées ont requis l’anonymat). Diplômée d’un BTS, elle a été réceptionniste, employée polyvalente, puis assistante gouvernante. Un poste en CDI dans un 5-étoiles dont elle a démissionné en juillet. A un mécontentement latent s’est ajoutée une réouverture post-Covid-19 compliquée.
Dans l’hôtellerie, la reprise s’est parfois faite en équipe réduite, une partie restant au chômage partiel. « Ils ont privilégié la rentabilité à la qualité. Or, moi j’ai fait le choix d’un 5-étoiles par souci du détail », déplore Fabienne. « On nous a demandé beaucoup de polyvalence pour reprendre avec le minimum de personnel, raconte Malik, 24 ans, ancien réceptionniste dans un 4-étoiles à Paris. Cette période-là nous a tous un peu pourris. »
« Les clients, c’était comme une Cocotte-Minute dont le couvercle a sauté. On faisait face à des colères injustifiées, raconte encore Bénédicte, 36 ans, ancienne chef de brigade en réception dans une chaîne hôtelière. De plus en plus, les gens s’adressent à nous comme à des machines devant délivrer une prestation. » « Et tout ça pour quoi ? », s’est interrogée Fabienne. « Je veux bien rendre service mais c’est donnant-donnant. Or, il n’y a aucune reconnaissance du travail. Et ce n’est pas que des “mercis”, ça passe par du salaire ! »
Embauchée en 2012, elle n’a jamais été augmentée. Sur la grille de la convention collective, qui compte cinq niveaux de trois échelons, elle était niveau 3, troisième échelon : payée 11,13 euros brut de l’heure. Soit 88 centimes au-dessus du smic malgré vingt ans de métier et jusqu’à vingt personnes à superviser. L’écart se réduira encore vendredi 1er octobre, quand le smic, indexé sur l’inflation, sera revalorisé à 10,48 euros : elle n’aurait alors gagné que 65 centimes de l’heure de plus qu’au salaire minimum.
« Management de la terreur »
« Notre convention collective date du Moyen Age », peste Jeff Fabre, 24 ans, ancien réceptionniste dans un hôtel parisien. De 1997 en réalité. Employeurs et salariés s’accordent sur le fait qu’elle doit être dépoussiérée. D’abord, la grille de classification. En 2010, les partenaires sociaux s’étaient engagés à ce que le premier échelon soit toujours 1 % au-dessus du smic. Il est aujourd’hui bien en dessous. Le 1er octobre, les cinq premiers échelons seront même sous le minimum légal. Dans ce cas, les salariés touchent le smic. Une part croissante se tasse donc au salaire minimum (44 %, selon l’économiste Mathieu Plane, de l’Observatoire français des conjonctures économiques) ou quelques centimes au-dessus, ce qui annihile toute progression.
Ce déséquilibre croissant entre exigences de flexibilité et montant des salaires a motivé beaucoup de départs. La crise a été un détonateur
« Là où je travaille, nous avons perdu un tiers des effectifs et beaucoup de cadres : chef de cuisine, gouvernante, chef barman… C’est une terrible perte de compétence pour un hôtel 4 étoiles. Mais un niveau 4 à 11,30 euros de l’heure, ce n’est pas attirant pour les salariés qualifiés », détaille Arnaud Chemain, secrétaire fédéral CGT pour l’hôtellerie-restauration.
Pour Jeff Fabre, le déclic est venu juste avant la crise. « On subissait un management de la terreur, des changements de planning du jour au lendemain. Mais, en retour, rien ! Le soir de Noël 2019, je me suis dit : “Mais qu’est-ce que je fous là ? A bosser pour des clopinettes, sans majoration du travail du dimanche ni des jours fériés, avec une amplitude horaire énorme, alors que d’autres sont payés pareil pour faire 8 heures-17 heures ?” » Laurianne Pereira était serveuse. « Je finissais parfois à 1 heure du matin, je reprenais de 9 heures à 16 heures et recommençais à 18 heures. On te dit bien que c’est un métier où on ne compte pas ses heures. Mais tout ça pour 1 400 euros net ? »
Représentants des employeurs indignés
Ce déséquilibre croissant entre exigences de flexibilité et montant des salaires a motivé beaucoup de départs. La crise a été un détonateur. « Cela fait des années que j’entends des collègues dire “je vais arrêter”, ce n’était que des paroles en l’air. Cette fois, ils sont passés à l’acte », raconte Bénédicte.
Jusqu’à peu, Xavier, 50 ans, était directeur de restaurant : « On m’embauche pour monter une équipe. » Cet été fut celui de trop. « Il y a vingt ans, le patron était souvent le chef de cuisine. On parlait menu, service, clientèle… Aujourd’hui, je n’ai plus affaire à des restaurateurs mais à des businessmen. On parle marge, coût RH[ressources humaines], rentabilité. Ils sont parfois propriétaires de quinze restaurants, c’est donc que ça marche ! Mais sur quoi on marge ? Pas sur les charges. Sur la matière première ? On ne peut pas descendre au-delà d’un certain point. Donc, le dernier levier, c’est sur les RH. »
Il rappelle que les salariés sont parfois partiellement payés au noir – ce qu’on nomme le « travail au gris ». « Quand ils ont touché le chômage partiel sur le salaire déclaré, ils ont vu la différence ! » Et évoque l’échec de la baisse de la TVA décidée en 2009 dans la restauration, censée permettre des revalorisations. Une étude de l’Institut des politiques publiques a montré que les gains avaient été majoritairement captés par les patrons.
Sans nier les difficultés, les représentants des employeurs s’indignent de ce portrait de « nouveaux esclavagistes du XXIe siècle » que l’on fait d’eux. « Nos entreprises ce n’est pas le bagne ! Il y a des mauvais partout, mais il ne faut pas stigmatiser toute la profession. Moi, dans les Alpilles, je paye bien au-dessus de la grille ! », insiste Emmanuel Achard, président de la commission sociale du Groupement national des indépendants.
Bientôt la fin du « quoi qu’il en coûte »
Ces dernières semaines, alors que sonne la fin du « quoi qu’il en coûte » pour ce secteur très soutenu pendant la crise, le premier ministre, Jean Castex, le ministre de l’économie, Bruno Le Maire, et la ministre du travail, Elisabeth Borne, l’appellent à régler d’urgence son manque d’attractivité.
Mme Borne a même convoqué les partenaires sociaux le 17 septembre. Une « mise en scène » que le patronat n’a guère appréciée. « On n’a pas besoin qu’on nous fasse la leçon, on est conscient de ce qu’on a à faire. Notre calendrier nous appartient », assène Thierry Grégoire, président de la commission sociale de l’Union des métiers et des industries de l’hôtellerie. Il prévoit d’aboutir d’ici au 15 décembre sur la revalorisation de la grille. « On part sur une moyenne de 6 % à 7 % d’augmentation », précise-t-il. Les syndicats attendent plus. « Si on veut que le salarié voit la différence, il faut plutôt augmenter de 10 points », insiste Stéphanie Dayan, secrétaire nationale de la CFDT-Services.
Lundi 27 septembre, Emmanuel Macron a exaucé un vœu du patronat en annonçant la défiscalisation des pourboires payés en carte bancaire. « On ne demande pas la mendicité », a rétorqué la CGT dans un communiqué. « Ce qu’on veut ce n’est pas des pourboires mais des augmentations de salaires », martèle Arnaud Chemain.
Un second volet de négociation, d’ici fin mars 2022, doit élargir la discussion. « Il faut faire accepter à nos chefs d’entreprise un meilleur partage de la valeur, acte Thierry Grégoire. Je ne suis pas indisposé à discuter d’un treizième mois, d’intéressement… Mais majorer la rémunération le dimanche, c’est non ! » « Il faut aussi avancer sur les conditions de travail, la coupure en milieu de journée, le travail du week-end…, rappelle Stéphanie Dayan. Peut-être sacraliser un week-end par mois ? »
Changement de vie
Dans leur restaurant triplement étoilé à La Rochelle, Christopher Coutanceau et Nicolas Brossard ferment déjà deux jours par semaine. Ils sont aussi propriétaires de deux autres établissements. Avant même la pandémie, ils avaient instauré une septième semaine de congés payés pour compenser les heures supplémentaires. Malgré cela, ils ont vu partir 10 % de leur centaine d’employés. « La question du maintien de nos équipes on se la pose depuis dix ans, mais le phénomène s’est accentué avec la crise, témoigne Nicolas Brossard. Comment faire ? Les clients sont-ils prêts à entendre qu’il faut réduire les amplitudes horaires ? Lorsqu’ils déjeunent à 14 heures, il faut les servir jusqu’à 17 heures, ce qui oblige les employés à enchaîner avec le service du soir. »
Ancien chef de réception, Cédric Barbereux, 40 ans, est devenu facteur : « Même paye mais beaucoup moins de pression ! »
« Ceux qui sont partis sont aussi allés chercher des plannings plus carrés ! », opine Stéphanie Dayan. « Le Covid a rappelé aux salariés qu’ils avaient une famille », ajoute Arnaud Chemain. Ancien chef de cuisine, Johann Timores, 51 ans est devenu ouvrier en usine à Niort : « Je gagne 100 euros de moins, mais je ne travaille plus les soirs ni les week-ends. C’est bien mieux en termes de mode de vie. » Selon la Dares, un tiers des salariés partis ont rejoint un autre secteur (commerce, distribution, logistique…). Les autres se sont inscrits à Pôle emploi ou ont amorcé un changement de vie : retraite, création d’entreprise ou formation professionnelle.
Laurianne Pereira suit ainsi une formation de commerciale dans l’automobile. Jeff Fabre travaille dans un cabinet dentaire : « Je gagne autant qu’un chef de réception avec des horaires de bureau, week-ends et jours fériés ! » Fabienne est formatrice professionnelle pour adulte : « J’ai un meilleur salaire horaire, j’emmène mes enfants à l’école, j’ai des vacances en août et à Noël et je peux télétravailler deux jours par semaine. C’est tout bénef ! »
Ancien chef de réception, Cédric Barbereux, 40 ans, est devenu facteur : « Même paye mais beaucoup moins de pression ! » Bénédicte prépare les concours de la fonction publique territoriale : « La période du Covid nous a permis de sortir la tête du guidon et de construire un autre projet. »_Fabienne renchérit : « Le Covid a révélé à beaucoup d’employés qu’ils pouvaient faire autre chose, aux patrons d’ouvrir les yeux. »_
▻https://www.lemonde.fr/economie/article/2021/09/29/dans-l-hotellerie-restauration-le-covid-a-revele-a-beaucoup-d-employes-qu-il
Décidément ça les fume que des salariés usent de leur mobilité plutôt que de la subir. Pour en parler on prend ce qu’on trouve : à part une serveuse, c’est restos étoilés, hôtels chics, chef de brigade, chef de réception, directeurs. Le prisme luxe et salariés à responsabilité. L’angle mort du Monde ressemble souvent à celui d’un semi-remorque qu’aurait ni rétros ni caméras et radars de détection, et un pare-brise tout riquiqui.
#travail #salaire #restauration #hôtellerie #conditions_de_travail #management
]]>Coronavirus Hong Kong: 800 quarantine rooms for domestic helpers gone within minutes of becoming available | South China Morning Post
▻https://www.scmp.com/news/hong-kong/health-environment/article/3148646/hong-kong-coronavirus-800-quarantine-rooms
A Hong Kong quarantine facility offering 800 places for the swelling number of foreign domestic workers headed back to the city was fully booked within minutes of its online reservation system opening on Tuesday morning.Users were allowed to start waiting 45 minutes before the bookings opened for the spots dedicated to inbound workers – mainly arrivals from the Philippines and Indonesia – at the government’s Penny’s Bay quarantine facility.
Separately, the city’s “Come2HK” scheme, a quarantine-free travel arrangement for non-Hong Kong residents arriving from Guangdong and Macau, is slated to start on Wednesday. The scheme’s designated online booking system, offering 2,000 slots a day, will open every Wednesday for the next 2½ weeks, with reservations offered on a first come, first served basis.Also from Wednesday, arrivals to the city holding Covid-19 vaccination records issued outside Hong Kong will be able to receive a QR code showing proof of inoculation for local use, such as when entering certain bars and restaurants. Inbound air travellers will be issued the QR code along with their compulsory quarantine order, with the arrangement set to be extended to land arrivals from September 28.New arrivals who are already in Hong Kong can apply for the codes online or at designated post offices. The QR codes, which allow users to present their vaccination record in an electronic format, can be stored on the government’s “Leave Home Safe” app.
Under the revised rule, participants in groups of no more than four will no longer need to stay at least 1.5 metres apart, as long as all staff are vaccinated and everyone is masked. Trainers, however, will need to remain in a fixed location at least 1.5 metres from anyone else.The rush on the Penny’s Bay booking system, which was offering reservations beginning on September 20, began at 9am, with online queues forming even earlier. By 9.30am, a Post reporter was unable to access the system at all.“The centre only accepts bookings until October 19 and was fully booked within five minutes,” said Cheung Kit-man, chairman of Hong Kong Employment Agencies Association. He estimated that about 300 employers were unable to book a slot and would have to try again when more became available.
For those unable to secure accommodation in the latest round, bookings will open on September 17 at 9am for reservations starting on October 20, according to a government update.
“It’s first come, first served. The faster you move, the higher your chances of securing a room,” Chan said. “If you spent even just two minutes longer to double-check the passport details of the domestic helper, you would’ve been too late to book a slot.”The speed at which bookings filled up has frustrated some families in urgent need of help. A first-time mother, who gave her name as Mrs Li, was reduced to tears after failing to book a quarantine room on Tuesday.Li had hired a helper from the Philippines in January this year to care for her newborn son, but ran into delays with flight suspensions and vaccine documentation.The secondary school teacher said the system returned an error message after her application was submitted, compounding her frustration.“I was in tears when I realised the application couldn’t go through quickly enough,” she said, adding the stress of the whole process had worsened her postpartum depression.Li said neither she nor her husband could afford to take more time off work. She was willing to pay more for a helper, “but there are simply no more domestic helpers left in Hong Kong that I could find to hire”. Foreign domestic workers in Hong Kong are paid a minimum wage of HK$4,630 (US$595) per month.Secretary for Labour and Welfare Law Chi-kwong on Saturday said about 50 quarantine rooms at the facility would be released on a daily basis, estimating that all slots would be filled within 16 days.Even after a reservation has been successfully submitted online, the application does not necessarily guarantee the room, according to a notice on the system.
The Labour Department must then process the applications to verify the travel documents and vaccination record of the helper.The entire process can take up to three to four days, with a phone call from the department to confirm the reservation. A 21-day quarantine stay at the government-run facility, including three meals per day, costs HK$10,080 (US$1,295).But as the facility does not have Wi-fi, helpers have been told to bring their own mobile phone and charger, along with a functioning SIM card, so they can communicate with health authorities.The government announced on Friday that the Lantau Island facility would begin operating as quarantine accommodation for fully vaccinated foreign domestic workers following complaints that the more expensive 409-room Silka Tsuen Wan hotel had been fully booked. Bookings at the Silka, which charges HK$800 per night, were all snapped up within 24 hours of its reservation system opening. Before Tuesday, it was the sole quarantine option for incoming workers after the government’s decision to begin recognising vaccination records from the Philippines and Indonesia.
#Covid-19#migrant#migration#hongkong#philippines#indonesie#sante#travailleurmigrant#domestique#quarantaine#retour#vaccination#hotel
]]>La santé des britanniques va s’améliorer !
Les menaces de pénuries de certains produits se succèdent au Royaume-Uni. Après les milkshakes dans certains fast-foods, c’est la célèbre boisson américaine qui risque de faire défaut auprès des consommateurs britanniques aujourd’hui. A l’instar d’autres secteurs, la société Coca-Cola Europacific Partners (CCEP) rencontre de gros défis logistiques, imputables tant au Brexit qu’à la pandémie de Covid.
Pénurie de canettes
C’est tout d’abord une pénurie de canettes liée aux difficultés d’approvisionnement en matières premières qui explique la situation, a concédé la firme américaine, alors que de nombreux Britanniques se plaignent de ne plus trouver leurs produits Coca-Cola préférés au magasin. Outre ces problèmes d’approvisionnement, il y a aussi le manque de main-d’œuvre originaire de l’Union Européenne. Le personnel de livraison et les chauffeurs routiers sont singulièrement difficiles à trouver.
L’association de transporteurs RHA (Road Haulage Association) estime le besoin actuel à environ 100.000 chauffeurs de camions. Une pénurie inédite de routiers qui menace pour de longs mois les livraisons, y compris dans les supermarchés.
Embaucher des chauffeurs européens : mission impossible
« Beaucoup de chauffeurs des pays de l’Est sont rentrés en fin d’année dernière pour voir comment le Brexit allait se passer. Certains ne sont pas revenus », se lamente Rob Hollyman à l’AFP. Le patron du transporteur « North West Cargo » a d’ailleurs perdu une douzaine de travailleurs pour cette raison.
Par ailleurs, embaucher des chauffeurs européens semble désormais mission impossible. Les nouvelles règles migratoires post-Brexit réservant les visas de travail aux plus qualifiés, ce qui exclut les chauffeurs poids lourds. Aujourd’hui, la RHA demande ainsi que la profession soit reconnue comme en pénurie, pour faciliter le recours à des chauffeurs étrangers. D’autres représentants sectoriels et chefs d’entreprise font également pression sur le gouvernement pour qu’il amende certaines réglementations.
Car les difficultés d’entrée des travailleurs européens sur le marché britannique impactent aussi d’autres secteurs, notamment logistiques. Ces travailleurs constituent en effet le gros de ses effectifs, les Britanniques boudant ces métiers aux longues heures de travail et aux salaires peu attractifs. Idem pour le secteur de l’Horeca, observe Morten Petersen, consultant en politique européenne, ayant longtemps travaillé pour la chambre de commerce britannique en Belgique.
Il donne cet exemple : « Si vous avez séjourné à Londres l’an dernier, vous n’avez probablement vu aucun Anglais travaillant dans votre hôtel, mais des personnes issues d’autres pays européens ou extra-européens, occupées dans les réceptions, les restaurants, etc. Et bien ceci n’est plus la réalité aujourd’hui ». . . . . . . . .
#esclavage #travail #capitalisme #esclaves #exploitation #logistique #hôtellerie #distribution #restauration #brexit #pandémie
Hundreds of Afghan refugees housed in hotels ‘at risk of missing vital health and education services’
Charities concerned about level of support provided to families in hotels.
Hundreds of Afghan refugees who have arrived in the UK in recent months are being forced to live in hotels and are at risk of missing out on vital health and education services, charities have warned.
(#paywall)
▻https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/afghan-hotels-families-home-office-uk-b1905889.html
#hôtels #asile #migrations #réfugiés #UK #Angleterre #réfugiés_afghans
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ajouté à la métaliste #migrations et #tourisme :
►https://seenthis.net/messages/770799
et plus précisément ici :
▻https://seenthis.net/messages/770799#message987328
Les « hôtels hospitaliers » se généralisent pour améliorer la prise en charge du patient Marie-Cécile Renault
▻https://www.lefigaro.fr/social/les-hotels-hospitaliers-se-generalisent-pour-ameliorer-la-prise-en-charge-d
Ces structures évitent aux malades de longs transports, libèrent des lits à l’hôpital et font faire des économies.
Les « hôtels hospitaliers », expérimentés de 2017 à fin 2020, qui permettent à certains patients de bénéficier d’une chambre à proximité de l’hôpital, pourront désormais être généralisés à tous les établissements de soins, publics comme privés, selon un décret et un arrêté publiés jeudi au Journal officiel.
Le développement des hôtels hospitaliers s’inscrit dans le virage ambulatoire. Ces structures s’adressent aux patients n’ayant pas besoin de surveillance ou de soins médicaux particuliers, mais qui nécessitent un hébergement de court terme en amont ou en aval d’une hospitalisation. L’objectif est à la fois d’optimiser les soins pour les patients, de leur éviter des transports, mais aussi de faire de la place à l’hôpital en libérant des lits, et de réaliser des économies pour la Sécurité sociale.
« Nous ne remplaçons pas l’hôpital par des hôtels ; il ne s’agit pas de faire moins d’hôpital. C’est un dispositif qui améliore la qualité de la prise en charge pour certains patients et permet de . . . . . .
La suite payante
#privatisation #hôtel #hôtellerie #destruction de l’ #hôpital #France #travail #psychiatrie #en_vedette #médecine #hôpitaux #santé #Fondation_Hopale
]]>150 ans d’immigration italienne à Lausanne
Longtemps pays d’émigration en raison d’une #pauvreté endémique, la Suisse voit son solde migratoire s’inverser dès le début du 20e siècle.
Dès 1946, la croissance requiert une #main-d’œuvre considérable dans les secteurs de la #construction, de l’#hôtellerie - #restauration, du #commerce et de l’#industrie. En un quart de siècle, jusqu’à la crise de 1973, des millions d’Italien·ne·s contribuent à l’éclatante #prospérité de la Suisse.
Confronté·e·s à la #xénophobie d’une partie de la population, endurant les sévères conditions d’existence que leur impose le statut de #saisonnier, ils·elles vont pour autant laisser des traces d’une importance majeure.
Au-delà des clichés, l’#italianità se répand et imprime durablement sa marque dans toutes les couches de la société via l’#alimentation, la #musique, le #cinéma, les #sociabilités, le #sport, le #patrimoine, la #langue….
C’est l’histoire passionnante de cette présence à Lausanne ‑ rythmée par les précieux récits de nombreux témoins ‑ qui est dévoilée ici.
▻https://www.lausanne.ch/vie-pratique/culture/musees/mhl/expositions/Losanna-Svizzera.html
#exposition #Lausanne #musée #migrations #immigration #Suisse #migrants_italiens #Italie #immigrés_italiens #saisonniers #italianité
]]>Les premiers Afghans arrivent à Paris : « Ces gens étaient de par leurs professions et prises de position menacés par les Taliban »
Tous seront placés en quarantaine dans des #hôtels des Hauts-de-Seine, en région parisienne. « Dans un deuxième temps, ils seront dirigés vers des structures d’accueil pérennes », affirme Didier Leschi. De là, leur parcours administratif de demande d’asile débutera. « Ils devront suivre la procédure habituelle, quoiqu’accélérée : passer devant le Guichet unique [s’enregistrer à la préfecture, NDLR] puis devant l’Ofpra ». Ils auront également droit à l’allocation pour demandeurs d’asile (ADA).
►https://www.infomigrants.net/fr/post/34424/les-premiers-afghans-arrivent-a-paris-ces-gens-etaient-de-par-leurs-pr
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Afghan boy, 5, who died in Sheffield hotel fall named as Mohammed Munib Majeedi
Ministers facing serious questions after boy falls from ninth floor of city’s #Metropolitan_hotel.
Ministers are facing serious questions after a five-year-old boy whose family had recently fled the Taliban fell to his death from a ninth-floor hotel window in Sheffield.
On Thursday night, South Yorkshire police named the boy as Mohammed Munib Majeedi.
His family is understood to have arrived in Britain in recent weeks and was among a number of Afghan refugees temporarily housed at the £33-a-night Metropolitan hotel.
One hotel resident, who was an interpreter for the British in Afghanistan, said Mohammed’s father had worked at the UK embassy in Kabul. He said he heard the boy’s mother scream “my son, my son” after the child fell from the open window at about 2.30pm on Wednesday.
The Refugee Council called for the Home Office to launch an immediate investigation into the incident and whether any safeguarding assessments were carried out.
The Home Office had been told about safety concerns at the hotel, the Guardian has learned, leading to questions about why the government placed families from Afghanistan there despite the concerns local officials raised.
The Guardian has been told that the hotel was used for a short time last year as temporary accommodation for asylum seekers, but several families from Afghanistan have been placed in the hotel in recent weeks under the Home Office’s scheme to rescue those fleeing the Taliban.
Concerns had been raised previously about the safety of the hotel and its windows, which can open very wide. One guest wrote on the hotel’s Facebook page in 2019 that the windows “opened so wide I was scared my children would fall out”. She added: “Please don’t stay at this dangerous hotel.”
The budget hotel, which is being used to accommodate Afghan refugees who assisted the British authorities in their own country, was described as “absolutely disgusting”, “grimy” and “dirty” in online reviews as recently as last month.
A Home Office spokesperson said: “We are extremely saddened by the tragic death of a child at a hotel in Sheffield. The police are providing support to the family while the investigation continues and we cannot comment further at this time.”
The former interpreter for the British in Afghanistan said: “I was in my room. I heard a sound, like I heard the body fall. His mother was in the room with him. She was screaming: ‘My son, my son.’
“When I came here [outside] I saw the ambulance and police.”
He said the family came to the UK three or four weeks ago, landing at Birmingham airport and then staying in Manchester during Covid quarantine. The family, including the parents, three boys and two girls, moved to the hotel in Sheffield three or four days ago, and the father was regarded as “the new guy” among Afghans staying there, he said.
The interpreter added: “If the dad is working for the Americans or the English, then their lives are in danger in Afghanistan. They came here to save their lives, they came for a new life here.”
He said in his own room the windows only opened a few inches. The eight to 10 Afghan families staying at the hotel were being moved to another hotel on Thursday afternoon, he said.
On Thursday night, South Yorkshire police named Mohammed and said in a statement: “His family have now formally identified him and they are being supported by our family liaison officers. We would ask that their privacy is respected at this time. Officers are appealing for anyone with information relating to the incident to come forward.”
Dan Jarvis, the mayor of the Sheffield city region, who served for the British army in Afghanistan, said he was “desperately saddened at the appalling news”. He added: “My thoughts and deepest condolences are with his family, who will be experiencing an unimaginable pain at present.”
Terry Fox, Leader of Sheffield city council, said: “I am absolutely heartbroken that a young boy has lost his life in this way. My deepest thoughts are with the family of little Mohammed, I can’t begin to imagine what they are going through. As a council we have been at the hotel to offer assistance and, in partnership with the police, will support the family in any way we possibly can. While details are still emerging and the police continue to investigate, it’s not appropriate for me to comment further, except to say that this is an incredibly sad time.”
Enver Solomon, the chief executive of the Refugee Council, said: “This a terrible tragedy and our thoughts are with the family who have gone through so much trauma and suffering to reach the UK.
“It is vital the Home Office carry out an urgent investigation into what has happened so steps can be taken to quickly learn lessons. We don’t know the details of the incident but it is imperative that families who come from Afghanistan are given all the support they need and housed in appropriate accommodation. They are vulnerable and often very traumatised. There should always be safeguarding assessments carried out so steps are taken to ensure nobody, especially children, is put at risk.
“We know from our work the quality of hotel accommodation is variable and there have been cases when the welfare and needs of people seeking safety in our country have been overlooked. We hope this wasn’t the case on this occasion.”
Tourists who had booked to stay in the hotel earlier this month had complained online that their bookings were suddenly cancelled. One traveller said they were told by a receptionist on 4 August that the hotel was closing in order to accommodate refugees.
#OYO_Rooms, which owns the Metropolitan hotel, has been approached for comment.
▻https://www.theguardian.com/world/2021/aug/19/five-year-old-afghan-refugee-falls-to-death-from-sheffield-hotel?CMP=Sh
#hotel #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #UK #Angleterre
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voir aussi la métaliste sur #tourisme et migrations :
►https://seenthis.net/messages/770799
Albania, Kosovo say ready to temporarily house Afghan refugees
Albania and Kosovohave accepted a U.S. request to temporarily take in Afghan refugees seeking visas to enter the United States, the country two countries said on Sunday.
In Tirana, Prime Minister Edi Rama Rama said U.S. President Joe Biden’s administration had asked fellow NATO member Albania to assess whether it could serve as a transit country for a number of Afghan refugees whose final destination is the United States.
“We will not say ’No’, not just because our great allies ask us to, but because we are Albania,” Rama said on Facebook.
Sources had told Reuters that Biden’s administration had held discussions with such countries as Kosovo and Albania about protecting U.S.-affiliated Afghans from Taliban reprisals until they completed the process of approval of their U.S. visas.
In Kosovo, President Vjosa Osmani said the government had been in contact with the U.S. authorities about housing Afghan refugees since mid-July.
“Without any hesitation and ... conditioning I gave my consent to that humanitarian operation,” Osmani said on her Facebook account.
Osmani said Afghan refugees would be vetted by the U.S. security authorities, and added they would stay in Kosovo until their documentation for U.S. immigration visas was arranged.
Hundreds of U.S. troops are still stationed in Kosovo as peacekeepers more than two decades after the 1998-99 war with the then-Yugoslav security forces.
▻https://www.reuters.com/world/albania-ready-temporarily-house-afghan-refugees-pm-rama-says-2021-08-15
#Albanie #Kosovo #réfugiés_afghans #anti-chambre #asile #migrations #réfugiés #réinstallation #dans_l'attente_d'un_visa (qui probablement n’arrivera pas?) #externalisation #USA #Etats-Unis #transit
Kurdish refugee sues Australian government for alleged unlawful imprisonment in #Melbourne hotels
Mostafa ‘Moz’ Azimitabar seeks damages for detention over 14 months in case that could carry implications for hundreds of asylum seekers
▻https://www.theguardian.com/australia-news/2021/jul/30/kurdish-refugee-sues-australian-government-for-alleged-unlawful-impriso
Ajouté à la métaliste sur #migrations et #tourisme :
►https://seenthis.net/messages/770799
#hôtel #Australie #détention