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  • Il ruolo dell’#Unhcr nei centri in Albania, tra le “lettere” con il governo e le vittime di tratta

    Non c’è alcun protocollo siglato dal ministero dell’Interno ma uno scambio epistolare, ottenuto da Altreconomia, in cui si definisce l’intervento che l’Agenzia Onu per i rifugiati dovrebbe svolgere nelle contestate strutture per migranti di #Shëngjin e #Gjadër. “Era doverosa la nostra presenza”, spiega Chiara Cardoletti dell’Unhcr. Resta però il punto estremamente critico delle persone “vulnerabili”

    Nessun protocollo, solo uno “scambio di lettere”. La presenza del personale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei centri per migranti di Shëngjin e Gjadër in Albania si basa su una semplice dichiarazione di intenti “in assenza di una formale stipula d’accordo”.

    Scrive così il ministero dell’Interno rispondendo alla richiesta di Altreconomia di poter visionare la documentazione relativa al ruolo che l’Unhcr rivestirà nell’ambito dell’accordo tra Roma e Tirana.

    “Non è stato siglato un protocollo perché l’Unhcr non fa parte dell’accordo Italia-Albania -spiega ad Altreconomia Chiara Cardoletti, Rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino dell’agenzia Onu per i rifugiati-. Dopo aver ricevuto chiarimenti su alcuni aspetti del Protocollo anche in sede parlamentare, alla luce di incontri durante i quali il governo ha ribadito la forte volontà che questo sia in linea con il diritto e gli standard internazionali, si è ritenuto più opportuno procedere con uno scambio di lettere con il ministero dell’Interno per definire le nostre funzioni”.

    Proprio a firma di Cardoletti è la lettera inviata il 7 agosto al ministero dell’Interno e ottenuta da Altreconomia. L’Unhcr esprime “gratitudine per l’invito esteso dal Governo italiano” che permette di “contribuire alla protezione delle persone coinvolte nell’attuazione del Protocollo”. Osserva in apertura che qualsiasi accordo tra Stati relativo alle persone soccorse o intercettate al mare “deve essere conforme al diritto internazionale dei rifugiati, ai diritti umani nonché agli standard di protezione”.

    Molti giuristi ritengono che lo stesso protocollo violi il diritto internazionale ma Cardoletti, a nostra specifica richiesta, ha risposto che “molto dipenderà da come questo protocollo verrà implementato e proprio per questo consideriamo importante il nostro ruolo di monitoraggio”.

    Che cosa farà l’Unhcr? Nelle lettere si indica attività di monitoraggio e di counselling attraverso personale qualificato dell’Agenzia che sarà presente sia sulla “nave hub” che trasferirà i migranti verso il territorio albanese così come nei centri di Shëngjin e Gjadër in Albania “e in qualsiasi altra località che possa diventare rilevante nell’attuazione del Protocollo in questione”. Non è chiaro, in questa frase, a quale struttura si riferisca l’Alto commissariato.

    Il governo italiano, dal canto suo, dovrà condividere regolarmente “tutte le informazioni pertinenti” inclusi “i dati statistici relativi all’attuazione del Protocollo”. L’intervento è previsto per un periodo di tre mesi dalla data in cui questo diventerà operativo e l’Unhcr si riserva il diritto “a sua completa discrezione, di ritirarsi da questa intesa in qualsiasi momento” in caso diventi necessario “per motivi operativi, gestionali o di altra natura”.

    L’Alto commissariato fornirà a Roma “osservazioni e raccomandazioni” che contribuiranno “ove necessario” a promuovere l’adesione al diritto internazionale e agli standard pertinenti” nell’attuazione del Protocollo.

    La risposta da Roma non si fa attendere. E il 12 agosto la prefetta Laura Lega, a capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, sottolinea che la presenza di Unhcr “costituirà un sicuro valore aggiunto per l’attuazione del Protocollo” che si pone come obiettivo quello di sviluppare “un innovativo modello di gestione dei flussi migratori nel pieno rispetto del diritto e degli standard internazionali”.

    A proposito di tali garanzie c’è un altro punto delicato. Come raccontato da Altreconomia è prevista infatti la possibilità di trasferire anche i cosiddetti “vulnerabili” -citati tra l’altro anche dall’Unhcr nella sua lettera- viste le attività garantite dalla Medihospes Albania Srl proprio per questa tipologia di persone.

    “Abbiamo ricevuto garanzie e rassicurazione su questo punto di vista e il Protocollo prevede, in ogni modo che le persone vulnerabili siano portate in Italia”, sottolinea Cardoletti che però specifica che non sarà compito dell’Unhcr “identificare le vulnerabilità che spetta ai soggetti attuatori del protocollo, quindi alle autorità”, aggiungendo che l’Agenzia sarà pronta “a intervenire se le necessità o i diritti dei vulnerabili non saranno garantiti”.

    Questo è un punto molto scivoloso, fa notare Maria Grazia Giammarinaro, già magistrata e Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani dal 2014 al 2020. “Non comprendo la posizione dell’Unhcr sulle persone vulnerabili -spiega ad Altreconomia-. Identificare le condizioni che garantiscono il diritto d’asilo implica inevitabilmente esaminare anche le vulnerabilità. D’altra parte, proprio in Italia, l’Agenzia ha avuto un ruolo di primo piano nella costruzione e implementazione di Linee guida che facilitassero l’identificazione e il referral delle vittime di tratta durante le procedure di asilo. E l’essere vittima di tratta, secondo la giurisprudenza di molti tribunali, è a sua volta un presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato”.

    In risposta a un accesso dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione in seno al Viminale ha provato a chiarire chi si occuperà dei vulnerabili, specificando nuovamente che i minori non verranno trasferiti in Albania (dove però sono presenti, secondo i documenti di Medihospes, dei fasciatoi) chiarendo che a bordo della nave sarà svolta un’attività di pre-screening coordinata da funzionari della polizia, “coadiuvato da personale specializzato per gli aspetti sanitari e la mediazione linguistico-culturale”.

    Una volta arrivati in Albania, invece, interverranno “diversi attori” per identificare quei casi in cui “una vulnerabilità emergesse successivamente presso le strutture site in Albania, il migrante verrà trasferito sul territorio italiano”.

    Oltre all’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute, ci sarà l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti che a fine luglio ha aggiudicato una gara da oltre due milioni di euro per l’affidamento di un “servizio medico ed infermieristico presso l’istituto detentivo di Gjadër” alla Croce Bianca Srl, con sede a Roma.

    E infine il Dipartimento indica il personale dell’ente gestore “per la ricerca attiva di vulnerabilità sanitarie che dovessero verificarsi durante la permanenza” o in “collaborazione con psicologi e altri specialisti” per l’emersione di violenza e tratta. Su questo punto, però, non è chiaro come si procederà. L’ufficio del Viminale cita il “Vademecum per la rilevazione, il referral e la presa in carico delle persone portatrici di vulnerabilità”.

    Questo documento, siglato nel giugno 2023, prevede con riferimento alle vittime di tratta (la cui identificazione è spesso complicata perché vivono la “paura” delle minacce subite dai trafficanti) che laddove è presente l’Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni) sia suo compito svolgere la prima intervista alla potenziale vittima, come succede ad esempio sulle coste siciliane. Laddove però l’Oim non c’è, come nel caso albanese, “la prima intervista può essere condotta dal personale che ha momentaneamente in carico la potenziale vittima in coordinamento con le associazioni anti-tratta a cui è possibile fare una segnalazione attraverso l’utilizzo di materiale informativo”.

    Il documento cita il Numero verde, un dispositivo attivo giorno e notte a cui è possibile segnalare i casi. “Nessuno ci ha contattato per informarci o chiedere supporto su questo”, spiega però Gianfranco Della Valle, referente del numero del numero verde nazionale antitratta.

    Così come nessuno ha contattato il Dipartimento per le pari opportunità, titolare dei progetti per le vittime di tratta. Non solo: il numero verde non funziona se la chiamata arriva dall’estero. “Qualunque vademecum si voglia utilizzare c’è un problema alla radice -riprende Giammarinaro-. Per identificare le vulnerabilità, e soprattutto le vittime di tratta, sono necessari vari colloqui con operatori sociali qualificati, è necessario costruire un rapporto di fiducia che porti alla condivisione del proprio vissuto di sfruttamento. Questo certamente non può avvenire in mare dopo il salvataggio e men che meno una volta arrivati in Albania, data l’approssimazione metodologica con la quale il problema viene affrontato e l’incertezza sui soggetti che se ne faranno carico. Penso che sarà quasi impossibile identificare una vittima di tratta nel contesto di questo Protocollo”.

    Per Cardoletti di Unhcr “la fase di identificazione e screening sarà decisiva, soprattutto a bordo delle navi” e risulta “evidente l’importanza del ruolo di monitoraggio dell’Agenzia che permetterà di verificare il rispetto effettivo dei diritti dei soggetti a cui si applica il Protocollo”.

    La linea che separa il monitoraggio all’avallo del protocollo è però molto sottile. A inizio settembre il sottosegretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni ha detto a La Stampa che in Libia e Tunisia “la politica migratoria avviene in un quadro di politiche internazionali con il controllo di organizzazioni come Unhcr e Oim. I diritti umani sono quindi garantiti”. Molteni nega l’evidenza, raccontata, recentemente da un duro reportage del Guardian che documenta stupri e uccisioni. Chissà se in Albania basterà citare le lettere con l’Unhcr per rassicurare in merito al rispetto dei diritti.

    https://altreconomia.it/il-ruolo-dellunhcr-nei-centri-in-albania-tra-le-lettere-con-il-governo-
    #HCR #Albanie #migrations #réfugiés
    #Shengjin e #Gjader #Italie #externalisation #accord

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Le HCR va surveiller l’accord Italie-Albanie pour garantir « le respect du droit d’asile » - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/59239/le-hcr-va-surveiller-laccord-italiealbanie-pour-garantir-le-respect-du

    Le HCR va surveiller l’accord Italie-Albanie pour garantir « le respect du droit d’asile »
    Par La rédaction Publié le : 20/08/2024
    Le Haut-Commissariat de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a annoncé qu’il allait surveiller la mise en place de l’accord entre l’Italie et l’Albanie pendant trois mois. L’agence onusienne souhaite ainsi « préserver les droits et la dignité des personnes », notamment le respect du droit d’asile.
    L’inquiétude du HCR concernant l’accord en l’Italie et l’Albanie n’est pas nouvelle. Il avait déjà émis des réserves quant à ce projet d’externalisation des demandes d’asile et avait aussi réclamé des éclaircissements aux autorités italiennes. Ainsi, afin de préserver le droit d’asile des personnes qui seront concernées par ce processus, l’agence onusienne a annoncé qu’elle mènerait une mission de surveillance durant trois mois.
    « Sur la base d’un échange de lettres avec le ministère italien de l’Intérieur, l’Agence des Nations unies pour les Réfugiés assumera donc un rôle de surveillance et de conseil auprès des personnes afin de garantir le respect du droit d’asile », a déclaré le HCR dans un communiqué, rappelant que l’agence onusienne n’avait pas participé à la négociation et à l’élaboration de l’accord.
    Durant ces trois mois, le HCR « cherchera à améliorer la protection des demandeurs d’asile et des réfugiés en identifiant et en signalant aux autorités compétentes toute incohérence avec le droit international et les droits de l’homme et des réfugiés », ajoute le communiqué. Un rapport découlera de cette mission de surveillance.
    La mission du HCR devrait débuter dès l’ouverture des centres d’accueil en Albanie prévue en novembre. Le gouvernement italien avait promis d’ouvrir ces infrastructures en mai dernier mais des travaux ont perturbé l’agenda.Au total, deux bâtiments doivent être construits : un premier sera dédié à l’hébergement des demandeurs d’asile en attente du traitement de leur dossier. Un second, construit juste à côté, servira de centre de détention pour les exilés amenés à être expulsés. Les migrants y seront transférés après un premier passage par le « hotspot » du port de Shengjin, à 20 km de là. C’est dans cette structure, également financée et gérée par Rome, que les exilés seront enregistrés après leur débarquement.
    Les infrastructures seront gérées par l’Italie et pourront accueillir jusqu’à 3 000 exilés à la fois, secourus par les autorités italiennes - garde-côtes, Marine, Garde financière - en mer Méditerranée.
    La construction et le fonctionnement des centres, évalués entre 650 et 750 millions d’euros, sont financés à 100% par Rome, sur cinq ans. Les autorités italiennes seront chargées du maintien de l’ordre dans les centres, la police albanaise en étant responsable à l’extérieur et au cours du transport des migrants d’une zone à une autre.
    Depuis son annonce, cet accord est vivement critiqué. « Il s’agit d’un accord de refoulement, une pratique interdite par les normes européennes et internationales et pour laquelle l’Italie a déjà été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme », avait réagi la chercheuse Elisa de Pieri d’Amnesty International, évoquant un accord « illégal, irréalisable et [qui] doit être annulé ». De son côté, l’ONG allemande de sauvetage en mer Méditerranée, Sea-Watch, avait évoqué « une manœuvre inhumaine et populiste sans fondement juridique ». « Cette dernière décision de l’Italie s’inscrit dans une tendance inquiétante qui porte atteinte à ce droit », avait insisté Imogen Sudbery, la directrice de l’ONG International Rescue Committee (IRC) en Europe

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#hcr#externalisation#asile#droit#protection#sante

  • Out of sight, out of mind : EU planning to offshore asylum applications ?

    In a letter sent to EU heads of state last month, European Commission president #Ursula_von_der_Leyen named 2024 “a landmark year for EU migration and asylum policy,” but noted that the agreement on new legislation “is not the end.” She went on to refer to the possibility of “tackling asylum applications further from the EU external border,” describing it as an idea “which will certainly deserve our attention.”

    “Safe havens”

    The idea of offshoring asylum applications has come in and out of vogue in Europe over the last two decades. In the early 2000s, a number of states wanted camps established in Albania and Ukraine, with the Blair government’s “safe haven” proposals providing an inspiration to other governments in the EU.

    The idea has come back with a bang in the last few years, with the UK attempting to deport asylum-seekers to Rwanda (a plan now shelved), and EU governments noting their approval for similar schemes.

    Austria plays a key role in the externalisation of border and migration controls to the Balkans, and the country’s interior minister has called on the EU to introduce “asylum procedures in safe third countries,” referring to “a model that Denmark and Great Britain are also following.” Denmark adopted their own Rwanda plan, but that was suspended last year.

    “Innovative strategies”

    Now the idea has made it to the top of the EU’s political pyramid.

    “Many Member States are looking at innovative strategies to prevent irregular migration by tackling asylum applications further from the EU external border,” says von der Leyen’s letter (pdf).

    “There are ongoing reflections on ideas which will certainly deserve our attention when our next institutional cycle is under way,” it continues, suggesting that the intention is to get working on plans quickly from September onwards.

    The news comes just as almost 100 organisations, including Statewatch, have published a statement calling on EU institutions and member states to uphold the right to asylum in Europe, underlining that attempts to outsource asylum processing have caused “immeasurable human suffering and rights violations.”

    Von der Leyen goes on to indicate that the offshoring of asylum applications may be tacked onto existing migration control initiatives: “Building on experience with the emergency transit mechanisms or the 1:1, we can work upstream on migratory routes and ways of developing these models further.”

    The phrase “the 1:1” refers to the intended human trading scheme introduced by the 2016 EU-Turkey deal: “For every Syrian being returned to Turkey from Greek islands, another Syrian will be resettled from Turkey to the EU.” In a seven-year period, up to May 2023, fewer than 40,000 people were resettled under the scheme, while tens of thousands of people remained trapped in Greek camps awaiting their intended removal to Turkey.

    The current Commission president, who is soon likely to be elected for a second five-year term, goes on to say that the EU can “draw on the route-based approach being developed by UNHCR and IOM,” allowing the EU to “support the setting up of functioning national asylum systems in partner countries while strengthening our cooperation on returns to countries of origin.” In short: someone else should take care of the problem.

    These efforts will be bolstered by the new Asylum Procedure Regulation, says the letter, with the Commission considering “how to better work in synergy with future designated safe third countries.”

    “Hybrid attacks”

    The letter closes with a consideration of the use of so-called “hybrid attacks” by the EU’s geopolitical enemies.

    “When I was in Lappeenranta [in Finland] in April, it was clear that Russia’s actions at the border with Finland, or those of Belarus at the border with Poland, Latvia and Lithuania, are hybrid attacks aimed at undermining the security of our external borders, as well as that of the border regions and our citizens,” von der Leyen writes.

    The Commission president goes on to suggest that more legislation may be forthcoming on the topic, further reinforcing the security approach to migration, despite the EU having only just approved rules on the issue, where the term used is “instrumentalisation of migrants.”

    “We will therefore need to continue reflecting on strengthening the EU’s legal framework to provide for an appropriate response not only from a migration but also from a security perspective in line with the Treaties,” says the letter.

    The need for new legislation is also hinted at in the “strategic agenda” adopted by the European Council at the end of June, the same meeting to which von der Leyen’s letter was addressed.

    That document states the European Council’s intention to “find joint solutions to the security threat of instrumentalised migration.”

    As for the people targeted by all these initiatives, they are barely mentioned in the letter – but von der Leyen notes that the Commission is “conscious of the need… to enable durable solutions to be found for the migrants themselves.”

    It might be remarked, however, that “solutions” will likely only be considered “durable” to the EU if they are outside its territory.

    https://www.statewatch.org/news/2024/july/out-of-sight-out-of-mind-eu-planning-to-offshore-asylum-applications
    #lettre #migrations #asile #réfugiés #externalisation #frontières #safe_havens #ports_sûrs #Tony_Blair #Albanie #Rwanda #pays_tiers #pays_tiers_sûrs #Autriche #Balkans #route_des_Balkans #Danemark #innovations #accord_UE-Turquie #1:1 #IOM #OIM #HCR #hybrid_attacks #attaques_hybrides #géopolitique #Russie #Biélorussie #frontières_extérieures #instrumentalisation #menaces_sécuritaires

  • A Chypre, des migrants tentant leur chance vers le sud de l’île se retrouvent coincés dans la « ligne verte »
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/07/07/a-chypre-des-migrants-tentant-leur-chance-vers-le-sud-de-l-ile-se-retrouvent

    A Chypre, des migrants tentant leur chance vers le sud de l’île se retrouvent coincés dans la « ligne verte »
    Par Nicolas Bourcier (Nicosie - envoyé spécial)
    Une simple barrière, un casque bleu d’origine britannique devant son véhicule climatisé et une demi-douzaine de tentes éparpillées là, tapies à l’abri dérisoire des arbres, sous un soleil de feu à dix minutes à peine du centre de Nicosie. Ils sont quatorze migrants demandeurs d’asile à se retrouver bloqués, depuis la mi-mai, dans cette zone tampon des Nations unies qui serpente sur 180 kilomètres de long et divise d’est en ouest l’île de Chypre, entre la République de Chypre au sud, membre de l’Union européenne (UE) depuis 2004, et la République turque de Chypre du Nord, reconnue uniquement par la Turquie.
    Deux policiers et des voitures de patrouille font respecter l’interdiction d’approcher. Au loin, de petits groupes de personnes sont assis autour de tables, tuant le temps. Hommes, femmes et enfants, ils sont soudanais, syriens, iraniens et camerounais, selon les informations fournies par l’antenne locale du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) qui, par la voix de sa porte-parole, Emilia Strovolidou, se dit « extrêmement inquiet pour leur sécurité » et du caractère « inédit de la situation ».
    De fait, à moins d’une demi-heure de là, plus à l’ouest, de l’autre côté de la capitale chypriote, près de la petite localité d’Akaki, la même scène se répète à l’identique : onze migrants, tous syriens cette fois, se retrouvent eux aussi empêchés de sortir de la zone depuis plus d’un mois par la police chypriote. « Jamais autant de demandeurs d’asile n’ont été ainsi interceptés et repoussés dans cette zone tampon, souligne la responsable. C’est même la première fois que la police chypriote grecque arrête ainsi des groupes de personnes venant à pied du Nord en tentant de passer par une voie irrégulière au sud. »
    Des migrants avaient déjà été piégés dans la zone tampon au cours des années précédentes, mais pas en si grand nombre. En 2021, la police avait repoussé deux Camerounais qui étaient ainsi restés coincés dans cette zone, connue sous le nom de « ligne verte », pendant sept mois jusqu’à ce qu’ils soient transférés en Italie après une visite du pape François à Chypre. Peu après, la police avait empêché un Turc d’origine kurde de passer au sud avant d’obtenir l’autorisation de s’enregistrer dans un camp de transit de l’île.
    Selon Emilia Strovolidou, « l’imbroglio dans lequel sont pris, aujourd’hui, ces groupes de personnes procède des mesures supplémentaires mises en place récemment par le gouvernement pour dissuader toute demande de droit d’asile ». A la mi-avril, le président conservateur, Nikos Christodoulides, à la tête du pays depuis février 2023, a déclaré que son administration gelait le traitement des demandes d’asile des Syriens sur une période de vingt et un mois, soulignant un contexte de forte augmentation des arrivées en provenance du Liban depuis début 2024.
    Près de 2 500 migrants sans papiers ont atteint le pays par la mer au cours du premier trimestre, contre 78 pour la même période en 2023, selon le HCR. Cinquante et une embarcations ont été recensées par les gardes-côtes et les ONG durant cette période.
    Ce gel des procédures d’asile a laissé dans l’incertitude plus de quatorze mille Syriens, dont beaucoup attendent une réponse à leur demande d’asile depuis souvent plus d’un an. Sur l’ensemble de ces dernières années, les dossiers non traités par les services chypriotes, largement débordés, se sont accumulés : 24 725 demandes étaient toujours pendantes en mai, tandis que 5 545 requérants attendaient une décision en appel.
    A Chypre, les demandeurs d’asile ont droit à de la nourriture et à un abri. Au bout de neuf mois, une autorisation de travail leur est accordée dans certains secteurs sous tension. Selon les sources, ils représenteraient aujourd’hui un peu moins de 6 % du million d’habitants de la République de Chypre, le deuxième plus haut taux de demandeurs d’asile de l’UE par rapport à sa population, juste derrière l’Autriche.
    Durant le mois de juin, les autorités ont également envoyé davantage de navires pour patrouiller dans la zone située entre Chypre et le Liban. Lors d’une visite à Beyrouth début mai, Ursula von der Leyen, la présidente de la Commission européenne, accompagnée par M. Christodoulides, a d’ailleurs promis une aide d’un milliard d’euros, pour soutenir l’économie libanaise et lutter contre l’immigration.« Toutes ces actions ont singulièrement contribué à freiner les arrivées à Chypre par la route maritime », observe un diplomate européen en poste à Nicosie. Aucune embarcation n’a accosté dans le Sud récemment. Autant de facteurs qui semblent avoir entraîné une recrudescence d’activités à travers cette « ligne verte », poussant les autorités chypriotes à déployer davantage de gardes-frontières le long de la zone tampon.
    Si les deux groupes de migrants actuellement bloqués décident de retourner en République turque de Chypre du Nord, ils risquent l’expulsion. Les autorités nord-chypriotes, non reconnues par la communauté internationale, ne disposent d’aucune infrastructure juridique pour accorder l’asile. Et s’ils venaient à franchir la zone tampon au sud, ils commettraient, en l’état, un délit d’intrusion, une infraction qui conduirait, là aussi, à leur expulsion.
    Devant cet imbroglio, le président Christodoulides, a affirmé, le 4 juin, que les autorités chypriotes fourniraient une aide humanitaire aux migrants se trouvant dans la zone tampon, mais qu’elles ne leur permettraient pas d’entrer dans le pays, afin d’éviter tout précédent : « Nous n’autoriserons pas la création d’une nouvelle route pour l’immigration clandestine », a-t-il martelé.L’affaire est remontée à Bruxelles, jusqu’à la Commission européenne qui a déclaré suivre « la situation de près et être en contact avec les autorités chypriotes, ainsi qu’avec le Haut-Commissariat des Nations unies aux droits de l’homme à Chypre ». Un de ses porte-parole a même cru bon de devoir rappeler que « la possibilité pour toute personne de demander une protection internationale sur le territoire d’un Etat membre, y compris à sa frontière ou dans une zone de transit, est établie dans le droit de l’UE ». Soit l’obligation pour les Etats d’assurer l’accès à une procédure de protection internationale.
    Pour l’heure, les vingt-cinq migrants reçoivent nourriture, eau, vêtements et équipements de base par l’intermédiaire de la Force des Nations unies chargée du maintien de la paix à Chypre, avec le soutien du HCR. « Leurs conditions sont précaires, ils sont exposés à des températures extrêmes dépassant les 40 degrés comme ces derniers jours. Cette situation exige une action urgente », insiste Mme Strovolidou. Déjà en 2021, les autorités chypriotes, inquiètes de la porosité de la « ligne verte », avaient déployé plusieurs dizaines de kilomètres de barbelés dans les champs autour de Nicosie. Le gouvernement avait justifié cette mesure par l’afflux, alors de plus en plus important, de migrants par le nord, et mécontenté, par là même, les agriculteurs locaux et les formations politiques du Nord et du Sud en faveur d’un rapprochement entre les deux parties de l’île.

    #Covid-19#migrant#migration#chypre#migrationirreguliere#liban#sante#HCR#asile#protection#UE

  • Les routes migratoires d’Afrique plus mortelles que la Méditerranée
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/07/05/les-routes-migratoires-d-afrique-plus-mortelles-que-la-mediterranee_6247151_

    Les routes migratoires d’Afrique plus mortelles que la Méditerranée
    Violences, viols, abandons dans le désert, trafic d’organes, enlèvements, meurtres : au moins 800 décès de migrants et réfugiés ont été recensés sur le continent depuis le début de l’année. Un chiffre sous-estimé, prévient l’ONU.
    Le Monde avec AFP
    Plus de risques de mourir, d’être victimes de terribles violences physiques et sexuelles ou d’enlèvement : les routes qui mènent les migrants du Sahara aux rives nord-africaines de la Méditerranée sont plus dangereuses et plus empruntées que jamais, souligne l’Organisation des Nations unies, vendredi 5 juillet. Un nouveau rapport au titre choc, « Dans ce périple, on s’en fiche de savoir si tu vis ou si tu meurs », estime que « deux fois plus de gens meurent » sur ces routes terrestres que sur la route maritime de la Méditerranée centrale qui mène à l’Europe, où près de 800 décès ont déjà été recensés depuis le début de l’année.
    Même si les auteurs reconnaissent les limites de leurs statistiques concernant les routes terrestres, faute de données suffisantes, cela fait des milliers de morts chaque année. « Chaque personne qui a traversé le Sahara va vous parler de cadavres aperçus, de corps jetés », explique Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) pour la Méditerranée occidentale et centrale, lors d’un point de presse à Genève.
    « Tous ceux qui ont traversé le Sahara peuvent vous parler de personnes qu’ils connaissent qui sont mortes dans le désert », insiste-t-il, abandonnés dans le désert par les passeurs, victimes d’accidents ou simplement malades et jetés du pick-up. Faute de structures d’aide adéquate, de véritable système de recherche et d’assistance, ils sont en général condamnés à mourir.
    Ce nouveau rapport, qui se fonde sur des entretiens avec plus trente mille migrants ou réfugiés conduits entre 2020 et 2023, a été réalisé conjointement par le HCR, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et le Centre mixte des migrations pour permettre de porter une assistance plus efficace, de mieux informer les responsables politiques et d’apporter des réponses à la situation.
    Malgré les dangers, les gens fuient plus nombreux, en partie à cause « de la détérioration de la situation dans leur pays d’origine et dans les pays d’accueil – notamment l’irruption de nouveaux conflits au Sahel et au Soudan, l’impact dévastateur du changement climatique et des situations d’urgence nouvelles ou qui existent de longue date dans l’est et la Corne de l’Afrique », souligne un communiqué de l’ONU. D’autres raisons de partir sont « le racisme et la xénophobie affectant les réfugiés et les migrants », notamment subsahariens au Maghreb.
    Là encore, les statistiques précises manquent, mais des données du HCR montrent par exemple un triplement du nombre d’arrivées en Tunisie entre 2020 et 2023.« Il ne s’agit pas d’encourager les gens à se lancer dans ce voyage dangereux, mais de trouver des solutions de protection pour faire face aux abus et aux violations dont ils sont victimes », a expliqué Vincent Cochetel, à l’adresse de certains responsables politiques européens qui ont fait de la lutte contre l’immigration leur message principal. Le responsable du HCR a rappelé que la très grande majorité de ces migrants et réfugiés ne cherchait pas à aller en Europe.
    Pour des raisons éthiques – les sondeurs sont dans l’incapacité d’apporter une aide concrète aux personnes interrogées –, les questions portaient sur la perception du risque plutôt que sur une expérience vécue. Le risque principal, cité par 38 % des personnes interrogées pour ce rapport, a trait aux violences physiques. Le risque de mourir est cité par 14 % et les violences sexuelles sont évoquées par 15 % des personnes interrogées. M. Cochetel note aussi les enlèvements, qui sont mentionnés par 18 % des sondés.
    Il estime aussi à plusieurs « centaines » le nombre de victimes de trafic d’organes. Il y a ceux qui vendent par exemple un rein pour survivre, mais aussi ceux qui sont victimes d’un vol. « La plupart du temps les gens sont drogués, l’organe est prélevé sans leur consentement et ils se réveillent avec un rein en moins », a raconté M. Cochetel, en rappelant qu’il s’agissait d’une pratique ancienne et connue. Dans certains pays, il y a même de la publicité pour encourager à vendre un organe, souligne-t-il.Le rapport permet aussi de révéler que les trafiquants, les passeurs, ne sont pas forcément perçus comme les principaux responsables des violences aux yeux des personnes interrogées, qui évoquent souvent des gangs, mais aussi des membres des forces de l’ordre ou des « acteurs non étatiques » comme des groupes rebelles ou djihadistes.

    #Covid-19#migrant#migration#OIM#HCR#routemigratoire#mortalite#morbidite#sante#trafic#afrique

  • Le nombre de déplacements forcés dans le monde atteint des « niveaux historiques »
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/06/13/le-nombre-de-deplacements-forces-dans-le-monde-atteint-des-niveaux-historiqu

    Le nombre de déplacements forcés dans le monde atteint des « niveaux historiques »
    Par Camille Tavitian
    Le nombre de personnes déplacées de force dans le monde continue d’augmenter, suivant une tendance à la hausse depuis plus d’une décennie. Selon le rapport annuel du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) rendu public le 13 juin, le monde compte, début 2024, plus de 120 millions de personnes déracinées, qui ont fui la persécution, la violence ou des conflits. Il s’agit là de « niveaux historiques » qui reflètent « la naissance de nouveaux conflits, la mutation de certaines situations existantes, ainsi que l’incapacité à résoudre des crises persistantes », alerte le HCR. Une majorité de ces personnes demeurent dans leur pays, mais le HCR dénombre 43,4 millions de réfugiés.
    « Affirmer qu’il s’agit d’une invasion, de personnes mal intentionnées qui viennent voler vos emplois, menacer vos valeurs, votre sécurité, et qu’elles doivent donc partir, que nous devons construire des barrières ne résout pas le problème », a dénoncé le chef du HCR, Filippo Grandi, dans un entretien à l’AFP.Alors que les élections européennes marquent la montée des formations politiques d’extrême droite, hostiles à l’immigration, M. Grandi estime que ces mesures ne font qu’aggraver la situation car elle favorise l’immigration irrégulière, plus « difficile à gérer ».
    Il relativise les mouvements migratoires en direction du continent européen et rappelle, à titre d’exemple, que le Tchad a accueilli 600 000 Soudanais en 2023, « soit dix fois plus » que le nombre de personnes arrivées en Europe par la mer depuis le début de l’année. Le HCR sonne d’ailleurs l’alarme sur la situation au Soudan, décrite comme « l’une des plus importantes crises humanitaires et de déplacement au monde ». Depuis avril 2023, plus de 7,1 millions de nouveaux déplacements ont été enregistrés, auxquels s’ajoutent 1,9 million de déplacements au-delà des frontières du pays.
    L’année écoulée a aussi été marquée par des millions de déplacements à l’intérieur des frontières de la République démocratique du Congo et de la Birmanie, en raison de violents combats, de même que par l’aggravation de la situation au Proche-Orient. L’Office des Nations unies pour les réfugiés palestiniens (UNRWA) estime que, entre octobre et décembre 2023, 1,7 million d’habitants, soit plus de 75 % de la population, de la bande de Gaza ont été contraints de se déplacer dans l’enclave « en raison de violences dévastatrices » dues à la guerre qu’y mène Israël depuis l’attaque du Hamas sur son sol en octobre 2023.
    Par ailleurs, le HCR souligne la persistance de situations difficiles comme en Afghanistan, où l’instabilité politique et la famine continuent de pousser des centaines de milliers de personnes à quitter leur lieu de vie. Au total, un peu plus de 6,4 millions d’Afghans sont déracinés, la plupart vivent dans les pays voisins tels que l’Iran et le Pakistan, ce qui fait d’eux, aujourd’hui, la plus importante population de réfugiés, juste devant les Syriens (6,4 millions de réfugiés), les Vénézuéliens (6,1 millions) et les Ukrainiens (6 millions).
    Si l’Allemagne est le quatrième pays qui accueille le plus de réfugiés (2,6 millions), la plupart des exilés se rendent dans des pays de leur voisinage immédiat tels que l’Iran, la Turquie, la Colombie ou le Pakistan, une situation sur laquelle le HCR alerte : « Les pays à faible revenu ont continué d’accueillir une part disproportionnée des personnes déplacées dans le monde, souligne le rapport. Ces pays représentent 9 % de la population mondiale et seulement 0,5 % du PIB mondial, mais ils ont accueilli 16 % des réfugiés. »
    L’agence onusienne rappelle par ailleurs que le réchauffement climatique constitue une menace dans l’accélération du phénomène de déplacements forcés. Ainsi, en Somalie, en plus de l’insécurité persistante qui a déplacé à l’intérieur du pays 1,3 million de personnes, 1 million de réfugiés supplémentaires ont été déracinées du fait des conditions météorologiques extrêmes, « avec des inondations soudaines en avril 2023 », après une période de sécheresse prolongée.
    Le HCR s’inquiète enfin de la baisse de 22 % du nombre de réfugiés ayant pu retourner chez eux en 2023. La majorité d’entre elles sont des Ukrainiens ou des Sud-Soudanais. « La plupart des retours spontanés ont eu lieu dans des contextes qui ne sont pas entièrement propices au retour dans la sécurité et la dignité, et ils peuvent ne pas être durables ».

    #Covid-19#migrant#migration#HCR#refugie#deplace#crise#climat#insecurite#sante

  • Selon le Rwanda, « le HCR ment » au sujet de l’accord migratoire passé avec le Royaume-Uni
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/06/13/selon-le-rwanda-le-hcr-ment-au-sujet-de-l-accord-migratoire-passe-avec-le-ro

    Selon le Rwanda, « le HCR ment » au sujet de l’accord migratoire passé avec le Royaume-Uni
    Le Monde avec AFP
    Kigali a accusé le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) de « mensonge », mercredi 12 juin, après que l’instance a affirmé que les demandeurs d’asile expulsés du Royaume-Uni vers le Rwanda pourraient être relocalisés ailleurs et subir des persécutions. Lundi, des avocats du HCR avaient affirmé devant un tribunal londonien que des personnes visées par le projet controversé d’expulsion vers le Rwanda risquaient d’être ensuite envoyées dans un autre pays où elles pourraient subir des violences ou des persécutions.
    « Le HCR ment », a commenté dans un communiqué le gouvernement rwandais, accusant l’agence d’« une série d’allégations totalement infondées » contre Kigali. « L’organisation semble vouloir présenter de fausses allégations aux tribunaux britanniques concernant la façon dont le Rwanda traite les demandeurs d’asile », a-t-il poursuivi. L’audience qui s’est tenue lundi est la dernière en date d’une série de recours juridiques visant à faire annuler cette initiative du gouvernement britannique, décriée par les défenseurs des demandeurs d’asile. L’ONU et le Conseil de l’Europe l’ont aussi appelé à abandonner son projet.
    « Le HCR a toujours clairement fait part de sa préoccupation concernant le risque sérieux que fait peser sur les réfugiés “l’externalisation” [des demandes d’asile], y compris le refoulement, et estime que le partenariat (…) entre le Royaume-Uni et le Rwanda transfère la responsabilité des décisions en matière d’asile et de protection des réfugiés », a réagi l’instance onusienne dans un communiqué, sans plus de détails. Selon la loi adoptée le 23 avril par le Parlement britannique, des migrants arrivés illégalement au Royaume-Uni peuvent être expulsés vers le Rwanda, où leur demande d’asile sera étudiée, sans possibilité pour eux de retourner au Royaume-Uni quel qu’en soit le résultat. Les premiers vols ont été annoncés pour le mois de juillet, et de premiers migrants ont été arrêtés au début de mai. Mais l’avenir de ce projet controversé est incertain depuis que le premier ministre conservateur, Rishi Sunak, a annoncé des élections législatives pour le 4 juillet. Des dizaines de migrants qui avaient été placés en détention par les autorités britanniques pour être expulsés vers le Rwanda ont été remis en liberté, a annoncé mercredi leur cabinet d’avocats.

    #Covid-19#migrant#migration#royaumeuni#rwanda#HCR#droit#asile#payssur#detention#expulsion#sante#refugie#protection

  • Comment l’argent de l’UE permet aux pays du Maghreb d’expulser des migrants en plein désert
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/21/comment-l-argent-de-l-union-europeenne-permet-aux-pays-du-maghreb-de-refoule

    Comment l’argent de l’UE permet aux pays du Maghreb d’expulser des migrants en plein désert
    Par Nissim Gasteli (Tunis, correspondance), Maud Jullien (Lighthouse Reports), Andrei Popoviciu (Lighthouse Reports) et Tomas Statius (Lighthouse Reports)
    s des droits humains et avec le renfort de moyens européens.
    A Rabat, au Maroc, Lamine (toutes les personnes citées par un prénom ont requis l’anonymat), un jeune Guinéen, a été arrêté six fois par la police, en 2023, avant d’être renvoyé sans ménagement à l’autre bout du pays. En Mauritanie, Bella et Idiatou, également guinéennes, ont été abandonnées en plein désert après avoir été interpellées, puis incarcérées. Leur crime ? Avoir pris la mer pour tenter de rejoindre l’Espagne. En Tunisie, François, un Camerounais, s’est orienté comme il a pu après que les forces de sécurité l’ont lâché, au beau milieu des montagnes, près de la frontière avec l’Algérie. C’était la troisième fois qu’il était déporté en l’espace de quelques mois.
    Ces trois récits de personnes migrantes se ressemblent. Ils se déroulent pourtant dans trois Etats différents du nord de l’Afrique. Trois pays distincts qui ont en commun d’être les étapes ultimes des principales routes migratoires vers l’Europe : celle de la Méditerranée centrale, qui relie les côtes tunisiennes à l’île italienne de Lampedusa ; celle de la Méditerranée occidentale, qui part du Maghreb vers l’Espagne ou encore la route dite « Atlantique », qui quitte les rivages du Sénégal et du Sahara occidental pour rejoindre les îles Canaries.
    Pour cette raison, le Maroc, la Tunisie et la Mauritanie ont aussi en commun de faire l’objet de nombreuses attentions de l’Union européenne (UE) dans la mise en place de sa politique de lutte contre l’immigration irrégulière. Alors que la question migratoire crispe les opinions publiques et divise les Etats membres sur fond de montée de l’extrême droite dans de nombreux pays, l’Europe mobilise d’importants moyens pour éviter que les Subsahariens candidats à l’exil ne parviennent jusqu’à la mer. Au risque que l’aide apportée aux gouvernements du Maghreb participe à des violations répétées des droits humains.
    Depuis 2015, les trois Etats ont perçu plus de 400 millions d’euros pour la gestion de leurs frontières, rien que par l’entremise du fonds fiduciaire d’urgence (FFU), lancé par l’UE lors du sommet sur la migration de La Valette, capitale de Malte. Une somme à laquelle s’ajoutent des aides accordées directement par certains Etats membres ou relevant d’autres programmes. En juillet 2023, l’UE a encore signé un accord avec la Tunisie, qui inclut une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière. Peu de temps avant, le 19 juin, le ministre de l’intérieur français, Gérald Darmanin, en déplacement à Tunis, s’était engagé à verser plus de 25 millions d’euros à Tunis pour renforcer le contrôle migratoire. Plus récemment, le 8 février, la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, annonçait de Nouakchott la signature d’un soutien financier pour 210 millions d’euros à destination de la Mauritanie, dont une partie serait allouée à la « gestion des migrations ».
    A travers quelles pratiques ? Au terme de près d’un an d’enquête, Le Monde, le média à but non lucratif Lighthouse Reports et sept médias internationaux partenaires ont pu documenter pour la première fois le recours à des arrestations massives et à des expulsions collectives dans ces trois Etats. Au Maroc, en 2023, près de 59 000 migrants auraient été interpellés sur le territoire par les forces de sécurité, d’après un décompte officiel. Une partie d’entre eux ont été déportés vers le sud et vers l’intérieur du pays comme à Agadir, Khouribga, Errachidia, Béni Mellal. En Mauritanie, plusieurs bus rejoignent chaque semaine les étendues arides de la frontière avec le Mali et y abandonnent des groupes de migrants sans ressources. En Tunisie, ce sont onze renvois collectifs vers les frontières libyenne et algérienne, organisés par les forces de sécurité entre juillet 2023 et mai 2024, que nous avons pu documenter grâce à des témoignages, des enregistrements audio et vidéo. Une pratique aux conséquences dramatiques : au moins 29 personnes auraient péri dans le désert libyen, selon un rapport de la mission d’appui des Nations unies en Libye, paru en avril.
    Des migrants subsahariens abandonnés par la police tunisienne sans eau ni abri, dans le désert, non loin de la ville frontalière libyenne d’Al-Assah, le 16 juillet 2023.
    Interrogé sur le cas tunisien, en marge du discours sur l’état de l’Union devant le Parlement européen, le 15 septembre, le vice-président de la Commission européenne, le Grec Margaritis Schinas, assurait : « [Ces pratiques] ne se déroulent pas sous notre surveillance, et ne font pas partie de nos accords. L’argent européen ne finance pas ce genre de tactiques. » Notre enquête démontre le contraire.
    En Tunisie, des pick-up Nissan utilisés par la police pour arrêter les migrants correspondent à des modèles livrés par l’Italie et l’Allemagne entre 2017 et 2023. Au Maroc, les forces auxiliaires de sécurité, à l’origine de nombreuses arrestations, reçoivent une partie de l’enveloppe de 65 millions d’euros alloués par l’UE au royaume chérifien, entre 2017 et 2024, pour le contrôle de la frontière. En Mauritanie, les Vingt-Sept financent, dans les deux principales villes du pays et pour une enveloppe de 500 000 euros, la reconstruction de deux centres de rétention. Ceux-là mêmes où des migrants sont enfermés avant d’être envoyés dans le désert, acheminés dans des pick-up Toyota Hilux en tout point similaires à ceux livrés par l’Espagne en 2019. Des exemples, parmi d’autres, qui démontrent que ces opérations, contraires à la Convention européenne des droits de l’homme, bénéficient du soutien financier de l’UE et de ses Etats membres.
    Lamine, 25 ans, connaît les rues de Rabat comme sa poche. Le jeune homme, natif de Conakry, est arrivé au Maroc en 2017 « pour suivre une formation » de cuisine, relate-t-il lorsque nous le rencontrons, en octobre 2023, dans le quartier de Takaddoum, devenu le lieu de passage ou d’installation des migrants. Le jeune homme est enregistré auprès du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) comme demandeur d’asile, ce qui est censé le protéger d’une expulsion.
    Au fil des années, Lamine s’est habitué aux « rafles » quotidiennes par les forces auxiliaires de sécurité marocaines visant des migrants comme lui. A Takaddoum, nombreux sont ceux qui assurent avoir été témoins de l’une de ces arrestations de ressortissants subsahariens. « Tous les Blacks savent que s’ils sortent entre 10 et 20 heures, ils risquent de se faire embarquer », ajoute Mafa Camara, président de l’Association d’appuis aux migrants mineurs non accompagnés. Une affirmation « sans fondement », selon le ministère de l’intérieur marocain. Sollicité, le HCR confirme qu’« il arrive parfois que les réfugiés et les demandeurs d’asile soient arrêtés ». La suite est également connue : les personnes sont amenées dans des bâtiments administratifs faisant office de centres de rétention, avant d’être transférées dans un commissariat de la ville où des bus viennent les récupérer. Elles sont alors déportées, le plus souvent dans des zones reculées ou désertiques. Ce harcèlement serait un des maillons essentiels de la stratégie du royaume pour lutter contre l’immigration irrégulière. « Le but est bien sûr de rendre la vie des migrants difficile, soutient un consultant requérant l’anonymat. Si l’on vous emmène dans le Sahara deux fois, la troisième, vous voulez rentrer chez vous. » L’homme, qui a participé au Maroc à plusieurs projets de développement financés par l’UE, soutient que les autorités marocaines agissent de la sorte pour justifier les nombreux financements européens qu’elles reçoivent, dont 234 millions d’euros uniquement du FFU. « La relocalisation des migrants vers d’autres villes est prévue par la législation nationale. Elle permet de les soustraire aux réseaux de trafic et aux zones dangereuses », oppose, de son côté, le ministère de l’intérieur marocain.
    Début 2023, Rabat soutenait avoir empêché plus de 75 000 départs vers l’Europe, dont 59 000 sur son territoire et 16 000 en mer. En 2023, Lamine, lui, a été arrêté à six reprises avant d’être envoyé à l’autre bout du pays.
    Pendant plusieurs jours, nous avons suivi et filmé les minivans des forces auxiliaires qui sillonnent les rues de Rabat. Des témoignages, des vidéos et des enregistrements audio réunis par ailleurs attestent de l’ampleur du phénomène de harcèlement des migrants de Tanger à Fès, de Nador à Laayoune. Au cours de notre enquête, nous avons pu identifier deux types de véhicules utilisés pour ces opérations, achetés grâce à des financements européens. Comme ces utilitaires Fiat Doblo, visibles sur une vidéo d’arrestation de migrants, diffusée en mai 2021 à la télévision marocaine, identiques à ceux d’un lot acheté à partir de 2019 grâce au FFU. Ou ces 4 × 4 Toyota Land Cruiser, utilisés lors d’arrestations dont les images ont été diffusées sur les réseaux sociaux, et qui correspondent aux modèles achetés par l’Espagne, puis par l’Europe dans le cadre du FFU.
    Au Maroc, les forces auxiliaires de sécurité, à l’origine de nombreuses arrestations, filmées à Rabat, le 19 octobre 2023.
    Au Maroc, les forces auxiliaires de sécurité, à l’origine de nombreuses arrestations, filmées à Rabat, le 19 octobre 2023.
    Lors de ces arrestations collectives, le mode opératoire est toujours identique : deux minivans blancs stationnent dans un quartier fréquenté par des migrants, tandis que plusieurs agents en civil se mêlent à la foule. Ils contrôlent, puis appréhendent les migrants, avant de les faire monter dans les véhicules. Une vingtaine de personnes, que nous avons interrogées, assurent avoir été témoins ou victimes de violences policières lors de ces arrestations.
    Le 19 octobre 2023 à l’occasion d’une opération que nous avons documentée, un bus des forces auxiliaires a pris la direction de Khouribga, une bourgade à 200 kilomètres au sud de Rabat. En pleine nuit, les officiers ont déposé une dizaine de jeunes hommes à l’entrée de la petite ville. Ces derniers ont ensuite marché vers la gare routière, avant de rejoindre un petit groupe de migrants, eux-mêmes déportés quelques jours plus tôt. Parmi eux, Aliou, un Guinéen de 27 ans, affirme avoir été déplacé de la sorte « près de 60 fois » depuis son arrivée au Maroc, en 2020.

    C’est une valse incessante qui se joue ce 25 janvier, en fin de matinée, devant le commissariat du quartier de Ksar, à Nouakchott. Des véhicules vont et viennent. A l’intérieur de l’un d’eux – un minibus blanc –, une dizaine de migrants, le visage hagard. A l’arrière d’un camion de chantier bleu, une cinquantaine d’exilés se cramponnent pour ne pas basculer par-dessus bord. Tous ont été arrêtés par la police mauritanienne. Chaque jour, ils sont des centaines à découvrir l’intérieur décrépi de ces petits baraquements ocre. Cette étape ne dure que quelques jours au plus. « Il y a plusieurs bus par semaine qui partent vers le Mali », confirme un visiteur du commissariat faisant office de centre de rétention.
    Sur ces images filmées en Mauritanie, en caméra cachée, plus d’une dizaine de migrants sont sur le point d’être déposés devant le centre de rétention de Ksar, à Nouakchott, avant d’être déportés loin de la ville, le 25 janvier 2024.
    Sur ces images filmées en Mauritanie, en caméra cachée, plus d’une dizaine de migrants sont sur le point d’être déposés devant le centre de rétention de Ksar, à Nouakchott, avant d’être déportés loin de la ville, le 25 janvier 2024. Certains migrants ont été appréhendés dans les rues de Nouakchott. « Le bus des policiers se promène dans les quartiers où vivent les migrants, comme le Cinquième [un quartier à l’ouest de Nouakchott], témoigne Sady, un Malien arrivé en Mauritanie en 2019. Les policiers entrent dans les boutiques. Ils demandent aux gens : “Tu es étranger ?” Puis ils les emmènent. A chaque fois, j’ai vu des gens se faire frapper, maltraiter. On vit avec la crainte de ces refoulements. »
    « Les éventuelles interpellations concernant les étrangers en situation irrégulière se font conformément aux conventions, lois et règlements en vigueur, sans arbitraire ni ciblage de zones ou de quartiers spécifiques », assure le porte-parole du gouvernement mauritanien, Nani Ould Chrougha. Bella et Idiatou ont, quant à elles, été interceptées en mer par des gardes-côtes, lors d’une tentative de traversée en direction des îles Canaries, confettis d’îles espagnoles à plusieurs centaines de kilomètres des côtes africaines. Le traitement qui leur a été réservé est le même que pour les autres migrants, alors qu’elles bénéficiaient d’un titre de séjour mauritanien : une expulsion manu militari vers les frontières sud du pays. « Des expulsions vers le Sénégal et le Mali, sur des bases raciales, ont eu lieu entre 1989 et 1991, souligne Hassan Ould Moctar, spécialiste des questions migratoires. Mais les demandes répétées de l’Union européenne en matière migratoire ont réactivé cette dynamique. »Pour Bella et Idiatou comme pour Sady, la destination finale est Gogui, à la frontière malienne, une zone désertique à plus de 1 000 kilomètres de Nouakchott. « Ils nous ont jetés hors du bus, puis ils nous ont poussés vers la frontière. Ils nous ont chassés comme des animaux et ils sont partis », raconte, révoltée, Idiatou, quand nous la rencontrons au Sénégal, où elle a trouvé refuge. Ce récit, neuf migrants au total l’ont confié au Monde. Sady, qui vivait à Nouakchott grâce à des petits boulots, a été repoussé deux fois. Selon un document interne du HCR, que Le Monde a consulté, plus de 300 personnes dénombrées par le Haut-Commissariat ont fait l’objet du même traitement en 2023. La majorité d’entre elles assurent avoir été victimes de violations des droits humains. Sollicité, un porte-parole du HCR confirme avoir « reçu des rapports faisant état de cas de refoulement vers le Mali » et « plaider auprès des autorités mauritaniennes pour mettre fin à de telles pratiques ». « Les migrants en situation irrégulière sont reconduits aux postes-frontières officiels de leur pays de provenance », se défend le porte-parole du gouvernement mauritanien, selon lequel le procédé est conforme à la loi et réalisé en assurant une « prise en charge totale – nourriture, soins de santé, transport ». La Mauritanie est depuis quinze ans l’un des verrous des routes migratoires qui mènent en Espagne. D’après notre décompte, sans inclure l’argent promis début 2024, plus de 80 millions d’euros ont été investis par l’UE dans le pays depuis 2015, destinés surtout au renforcement des frontières, à la formation des effectifs de police ou encore à l’achat de véhicules. Les groupes d’action rapide-surveillance et intervention (GAR-SI), des unités d’élite financées par l’UE dans plusieurs pays du Sahel à travers le FFU, ont également fait partie du dispositif. En 2019, ils ont ainsi livré à la police mauritanienne 79 personnes appréhendées sur le territoire, d’après un document interne de l’UE. Un rapport non public de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), daté de février 2022, mentionne qu’une bonne partie de leurs effectifs – plus de 200 hommes – a été déployée à Gogui pour des missions de « surveillance frontalière ».
    En outre, plusieurs véhicules utilisés pour assurer les expulsions de Nouakchott vers le sud du pays correspondent à des modèles livrés par des Etats membres. Comme ces pick-up Toyota Hilux fournis par l’Espagne, « pour la surveillance du territoire ou la lutte contre l’immigration irrégulière ». Depuis 2006 et en vertu d’un accord bilatéral de réadmission de migrants entre les deux pays, une cinquantaine de policiers espagnols sont déployés en permanence à Nouakchott et à Nouadhibou, les deux principales villes du pays. Des moyens techniques, dont des bateaux, sont également mis à disposition. En 2023, près de 3 700 interceptions en mer ont ainsi été réalisées par des patrouilles conjointes, d’après un décompte du ministère de l’intérieur espagnol, consulté par Le Monde. Plusieurs sources policières et un visiteur des centres de rétention mauritaniens attestent de la présence fréquente de policiers ibériques à l’intérieur. Bella et Idiatou assurent avoir été prises en photo par ces derniers au commissariat de Nouakchott. Interrogée sur ce point, l’agence espagnole Fiiapp, principal opérateur de ces projets de coopération policière, a nié la présence d’agents dans le centre de rétention. Les autorités mauritaniennes, quant à elles, ont confirmé l’existence d’« échange d’informations dans le domaine de la lutte contre l’immigration clandestine », mais « dans le respect de la vie privée des personnes et de la protection de leurs données personnelles ». Selon un autre document du HCR, daté de janvier 2023, des migrants rapportent que les Espagnols ont participé aux raids les visant. « Parfois, ils essayaient même d’expulser des gens qu’on avait identifiés comme réfugiés », se souvient un salarié de l’agence, que nous avons interrogé. « Notre équipe de policiers sur le terrain n’est pas au courant de telles pratiques », assure la Fiiapp. Quand le ministère de l’intérieur espagnol se borne à répondre que ses effectifs travaillent « dans le respect des droits de l’homme, et en accord avec la législation nationale et internationale ».
    Un matin de novembre 2023, dans la ville tunisienne de Sfax, Moussa, un demandeur d’asile camerounais de 39 ans, et son cousin sortent d’un bureau de poste lorsqu’ils sont interpellés par les autorités. En quelques heures, les deux hommes se retrouvent à la frontière libyenne, remis aux mains d’une milice, puis enfermés dans l’un des centres de détention pour migrants du pays. Pendant plusieurs mois, ils subissent des violences quotidiennes.
    Selon la Mission d’appui des Nations unies en Libye (Manul), près de 9 000 personnes ont été « interceptées » depuis l’été 2023 par les autorités de Tripoli, à la frontière tunisienne. Dans une note interne que nous avons consultée, la Manul déplore des « expulsions collectives » et des « retours forcés sans procédure », exposant les migrants à de « graves violations et abus des droits humains, avec des cas confirmés d’exécution extrajudiciaire, de disparition, de traite, de torture, de mauvais traitement, d’extorsion et de travail forcé ». « Ils repartent d’où ils viennent, car ils causent des problèmes », justifie, sous le couvert de l’anonymat, un agent de la garde nationale. Sollicité, le ministère des affaires étrangères tunisien réfute les accusations d’« expulsion de migrants d’origine subsaharienne vers des zones désertiques », les qualifiant d’« allégations tendancieuses ».
    Dès le 7 juillet 2023, Frontex, l’agence européenne de garde-frontières, est pourtant informée – selon un rapport interne dont nous avons pris connaissance – de ces « opérations » consistant à « conduire des groupes de ressortissants subsahariens jusqu’à la frontière [de la Tunisie] avec la Libye et l’Algérie, en vue de leur refoulement ». Frontex ajoute que ces opérations sont surnommées sur les réseaux sociaux « ménage de blacks ». Une source européenne anonyme, au fait du dossier, veut croire qu’« aucune ressource provenant de l’UE n’a contribué à ce processus [d’expulsion] », mais reconnaît toutefois qu’il est « très difficile de tracer une limite, car [l’UE soutient] les forces de sécurité ».
    Utilisation de ressources européennes
    Depuis une dizaine d’années, de fait, l’UE participe au renforcement de l’appareil sécuritaire tunisien, d’abord à des fins de lutte contre le terrorisme, puis contre l’immigration irrégulière. Jusqu’en 2023, elle a investi plus de 144 millions d’euros dans la « gestion des frontières », auxquels s’ajoutent les aides directes des Etats membres, permettant l’achat d’équipements comme ​​des navires, des caméras thermiques, des radars de navigation… Près de 3 400 agents de la garde nationale tunisienne ont par ailleurs reçu des formations de la part de la police fédérale allemande entre 2015 et août 2023 ; et deux centres d’entraînement ont été financés par l’Autriche, le Danemark et les Pays-Bas, à hauteur de 8,5 millions d’euros.
    L’enquête du Monde et de ses partenaires montre que certaines de ces ressources ont directement été utilisées lors d’expulsions. Ainsi, Moussa a formellement identifié l’un des véhicules dans lequel il a été déporté vers la Libye : un pick-up Navara N-Connecta blanc du constructeur Nissan – modèle analogue aux 100 véhicules offerts à la Tunisie par l’Italie, en 2022 pour « lutter contre l’immigration irrégulière et la criminalité organisée ». A Sfax, en Tunisie, ces véhicules utilisés par la police lors d’une arrestation collective sont du même modèle que ceux fournis par l’Italie en 2022, comme le montre un document nos équipes se sont procuré.
    En 2017, le gouvernement allemand avait, lui aussi, offert à la Tunisie 37 Nissan Navara, en plus d’autres équipements, dans le cadre d’une aide à la « sécurisation des frontières ». Deux vidéos publiées sur les réseaux sociaux, et que nous avons vérifiées, montrent également l’implication des mêmes véhicules dans les opérations d’arrestation et d’expulsion menées par les autorités tunisiennes dans la ville de Sfax. Contacté, le ministère de l’intérieur allemand s’est dit attaché « à ce que les équipements remis dans le cadre de la coopération bilatérale soient utilisés exclusivement aux fins prévues », tout en estimant que les véhicules décrits par notre enquête sont « très répandus en Afrique ». Les autorités italiennes n’ont pas répondu à nos sollicitations.
    En dépit de la situation, largement relayée par la presse, de centaines de migrants repoussés dans les zones frontalières du pays, l’UE a signé, le 16 juillet 2023, un mémorandum d’entente avec la Tunisie, devenue le premier point de départ des migrants vers le continent. Un accord érigé en « modèle » par Mme von der Leyen. La médiatrice européenne, Emily O’Reilly, a toutefois ouvert une enquête sur ce mémorandum : « Le financement de l’UE (…) ne doit pas soutenir les actions ou mesures susceptibles d’entraîner des violations des droits de l’homme dans les pays partenaires », a rappelé Mme O’Reilly à Mme von der Leyen, dans une lettre rendue publique le 13 septembre 2023.
    « Les Etats européens ne veulent pas avoir les mains sales. Ils sous-traitent donc à des Etats tiers des violations des droits de l’homme, estime, pour sa part, Marie-Laure Basilien-Gainche, professeure de droit public à l’université Jean-Moulin-Lyon-III. Mais, du point de vue du droit, ils pourraient être tenus pour responsables. » La Commission européenne nous informe par la voix d’un porte-parole que « l’UE attend de ses partenaires qu’ils remplissent leurs obligations internationales, y compris le droit au non-refoulement » et que « tous les contrats de l’UE contiennent des clauses relatives aux droits de l’homme permettant à la Commission d’ajuster leur mise en œuvre si nécessaire ». Or, des documents que nous nous sommes procurés attestent de la connaissance que les instances de l’UE ont de ces arrestations et de ces déportations collectives. Une décision de la Commission européenne, de décembre 2019, à propos des financements de l’UE au Maroc, fait par exemple référence à une « vaste campagne de répression » contre des migrants subsahariens, se traduisant par des arrestations et des expulsions « illégales » dans des zones reculées. Dans un rapport finalisé en 2019, la Cour des comptes européenne s’inquiétait, déjà, de l’opacité avec laquelle les fonds attribués par les Vingt-Sept aux autorités marocaines étaient utilisés, ainsi que du manque de « procédures de contrôle ».
    En Mauritanie, plusieurs officiels du HCR, de l’OIM ou des forces de police espagnoles confient avoir connaissance de la pratique d’expulsion en plein désert. Des éléments repris dans un rapport et une recommandation du Parlement européen datés de novembre 2023 et janvier 2024. Alors que le déploiement de Frontex en Mauritanie est en cours de discussion, l’agence rappelait, en 2018, dans un guide de formation à l’analyse de risques, destiné aux Etats africains partenaires dans la lutte contre l’immigration irrégulière, que la « charte africaine des droits de l’homme et des peuples interdit les arrestations ou détentions arbitraires ». En dépit de cette attention, Frontex a ouvert une cellule de partage de renseignement à Nouakchott, dès l’automne 2022, et procédé à la formation de plusieurs policiers. Parmi eux se trouvent plusieurs agents en poste au centre de rétention de Nouakchott. Celui-là même par lequel transitent chaque jour des migrants victimes de déportation collective.

    #Covid-19#migrant#migrant#UE#tunie#maroc#mauritanie#espagne#frontex#oim#hcr#droit#sante#refoulement#violence#migrationirreguliere#politiquemigratoire#routemigratoire

  • Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/10/le-pacte-migratoire-europeen-sitot-vote-sitot-conteste_6232420_3232.html

    Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    Philippe Jacqué, Bruxelles, bureau européen
    Mardi 14 mai, le conseil des ministres de l’économie de l’Union européenne (UE) doit ratifier le pacte sur la migration et l’asile. Un mois après le vote du Parlement européen, les Etats valideront cette dizaine de textes qui doivent permettre d’harmoniser la gestion de l’arrivée des migrants aux frontières du continent. Après huit ans de négociations, l’UE disposera enfin de règles communes en matière d’enregistrement et de filtrage des demandeurs d’asile, le plus souvent à la frontière dans des centres fermés, et de leur retour dans leur pays d’origine s’ils n’obtiennent pas le statut de réfugié.
    Un système de solidarité entre les Vingt-Sept sera également organisé pour alléger la tâche des pays en première ligne comme l’Italie, l’Espagne, la Grèce, Malte et Chypre. En parallèle, la Commission européenne a multiplié les accords avec les pays du pourtour méditerranéen, comme la Tunisie, l’Egypte et dernièrement le Liban, pour qu’ils contrôlent mieux les départs de migrants, en échange de soutiens financiers.
    Le « pacte migratoire » et ces accords doivent permettre de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe. En 2023, quelque 380 000 personnes sont arrivées sur les côtes européennes, le nombre le plus élevé depuis la crise des réfugiés syriens, en 2015. Plus d’un million de personnes étaient alors arrivées sur le continent.Des chercheurs, organisations non gouvernementales et groupes politiques de gauche critiquent cette politique qui renforce l’« Europe forteresse », sans offrir pour autant assez de voies d’accès légales et sûres, qu’il s’agisse de visas d’étude, de travail, voire de visas humanitaires. Ils critiquent une approche de la question migratoire centrée sur le thème des entrées irrégulières, présentées comme une « menace » pour le continent.
    Alors que l’Europe a su accueillir près de 6 millions d’Ukrainiens, une partie du personnel politique se crispe à propos de 380 000 migrants irréguliers. Un nombre qui, rapporté aux 450 millions de citoyens européens, est nettement moins élevé qu’aux Etats-Unis (335 millions d’habitants), où 3,2 millions d’irréguliers sont arrivés en 2023. Tout débat rationnel, prenant en compte le savoir-faire européen en matière d’intégration ou l’importance démographique et économique de l’immigration, semble balayé pendant la campagne des élections européennes, qui se tiendront du 6 au 9 juin.
    Dans ce contexte électoral, le « pacte migratoire », sitôt adopté, est à la fois contesté comme trop répressif par la gauche et comme trop restrictif par la droite qui prône un nouveau durcissement. L’extrême droite n’hésite pas à demander un refoulement systématique des migrants qui tentent d’atteindre les côtes européennes, une pratique non seulement inhumaine, mais illégale. En Allemagne, le parti AfD est allé jusqu’à évoquer l’idée de « remigration », qui prévoit même d’expulser des citoyens allemands issus de l’immigration. Un concept qu’ils affirment ne plus soutenir.
    A droite, d’autres partis veulent chasser sur les terres de l’extrême droite. C’est le cas du premier parti du Parlement européen et qui devrait le rester, le Parti populaire européen (PPE, dont est membre Les Républicains), et sa tête de liste, Ursula von der Leyen, l’actuelle présidente de la Commission. Dans son manifeste électoral, le PPE propose d’externaliser vers des pays tiers dits « sûrs » le traitement des dossiers des demandeurs d’asile arrivés irrégulièrement.
    Débat intense
    L’un des modèles ultimes est la « loi sur la sûreté du Rwanda » qu’a adoptée en avril le Royaume-Uni. Londres a passé un accord avec Kigali pour lui envoyer, contre financements, des demandeurs d’asile arrivés sur ses côtes. Si le système d’asile rwandais leur accorde le statut de réfugiés, ils pourront y rester. Sinon, ils pourraient être renvoyés vers leur pays d’origine selon les règles rwandaises.
    Une telle politique est illégale au regard de la réglementation européenne actuelle. Pour renvoyer une personne dans un pays tiers, il faut que ce pays soit jugé « sûr » – c’est-à-dire qu’il respecte certaines normes en matière de droits humains – et justifier un lien, par exemple familial, entre cette personne et ce pays tiers. Un verrou juridique qui empêche la mise en place de tout système d’externalisation généralisé au niveau européen. Les groupes libéraux, sociaux-démocrates, écologistes rejettent cette idée poussée par le PPE.
    Néanmoins, au niveau des Etats, le débat est intense. Plusieurs pays, dont le Danemark, dirigé par la sociale-démocrate Mette Frederiksen, déploient d’importants efforts diplomatiques pour promouvoir des « projets innovants » de gestion de la migration. Deux tiers des Etats membres, dont le Danemark, la République tchèque, l’Autriche ou l’Italie, préparent une lettre à destination de la prochaine Commission afin d’explorer toutes les options de partenariats, voire d’externalisation, respectant les droits et les conventions actuels.
    Le modèle imaginé par l’Italie avec l’Albanie est particulièrement mis en avant. En 2023, Rome a passé un accord avec Tirana pour y rediriger les migrants sauvés par la marine italienne en Méditerranée. Alors que les ONG de défense des droits humains ont appelé la Commission à dénoncer ce projet, cette dernière n’en a rien fait, car Rome affirme que le droit applicable dans le camp d’accueil des migrants installé en Albanie sera italien, et que toute la procédure sera menée par l’Italie. Rome serait donc dans les clous du droit international. La controverse ne fait que commencer. En 2023, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés a marqué son opposition à toute externalisation en matière d’asile : « Celles-ci peuvent déclencher un effet domino et conduire à une érosion progressive de la protection internationale des réfugiés. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pactemigratoire#albanie#liban#rawanda#droit#remigration#refoulement#externationalisation#refugie#HCR#sante

  • A Copenhague, une conférence sur les partenariats pour l’immigration
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

    A Copenhague, une conférence sur les partenariats pour l’immigration
    Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.
    Par Anne-Françoise Hivert (Malmö (Suède),
    En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.
    Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.
    Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.
    Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».
    L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.
    Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.
    Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

    #Covid-19#migration#migrant#UE#asile#paystiers#migrationlegale#ecpnomie#developpement#inegalite#HCR#EUROPOL#OIM#maindoeuvre#immigration#retour#sante

  • Le HCR se dit « très préoccupé par l’augmentation des morts » dans la Manche - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56668/le-hcr-se-dit-tres-preoccupe-par-laugmentation-des-morts-dans-la-manch

    Actualités Le HCR se dit « très préoccupé par l’augmentation des morts » dans la Manche
    Par RFI Publié le : 25/04/2024
    Paolo Artini, le représentant en France du Haut-commissariat des Nations Unies pour les réfugiés, est de retour de Calais, dans le nord du pays, où le HCR a mené une étude pour mieux connaître la situation des réfugiés et migrants sur place. L’agence onusienne estime que la situation des exilés est particulièrement préoccupante, alors qu’un nouveau naufrage a fait cinq morts en début de semaine dans la Manche. Au total depuis le début de l’année, au moins 15 ont perdu la vie en tentant de traverser la Manche, contre 12 sur l’ensemble de 2023.

    #Covid19#migrant#migration#france#royaumeuni#manche#traversee#mortalite#sante#hcr#calais#migrationirreguliere

  • L’ONU crée un fonds pour aider les réfugiés face aux risques liés au changement climatique
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/04/24/l-onu-cree-un-fonds-pour-aider-les-refugies-face-aux-risques-lies-au-changem

    L’ONU crée un fonds pour aider les réfugiés face aux risques liés au changement climatique
    Le Monde avec AFP
    L’objectif est de lever 100 millions de dollars (environ 93 millions d’euros) d’ici à fin 2025. L’ONU a inauguré, mercredi 24 avril, un fonds pour soutenir les réfugiés et les personnes déplacées à l’intérieur de leur pays face aux chocs climatiques. « Le Fonds de résilience climatique lancé aujourd’hui rassemble tous les travaux de l’agence de l’ONU pour les réfugiés (HCR) sur le climat, y compris le Fonds de protection environnementale des réfugiés » créé en 2021, a expliqué une porte-parole du HCR, Olga Sarrado Mur, ajoutant que ce dernier avait recueilli pour environ cinq millions de dollars d’engagements.
    Selon le HCR, ce nouveau fonds financera les initiatives destinées à protéger les communautés les plus menacées « en leur donnant les moyens non seulement de se préparer aux risques liés au changement climatique, mais aussi d’y faire face et de les surmonter ». « Les effets du changement climatique sont de plus en plus dévastateurs, exacerbant les conflits, réduisant à néant les moyens de subsistance et, en fin de compte, provoquant des déplacements de population », a souligné le chef du HCR, Filippo Grandi, dans un communiqué.
    Dans ce texte, le HCR rappelle que son travail de renforcement de la résilience face au changement climatique fait déjà partie de ses activités de protection et d’aide apportée à plus de 114 millions de personnes dans le monde. En 2022, plus de 70 % des réfugiés et des demandeurs d’asile provenaient de pays très exposés au changement climatique. « Parmi les pays qui se sont montrés les plus généreux dans l’accueil des réfugiés, nombreux sont ceux qui sont également les plus affectés par les effets du changement climatique », a rappelé M. Grandi. Mais « les financements alloués à la lutte contre les effets du changement climatique ne bénéficient pas aux personnes déplacées de force, ni aux communautés qui les accueillent ».
    Le fonds vise à promouvoir l’inclusion des réfugiés dans les politiques climatiques prises à l’échelle nationale et locale. Les contributions visent aussi à élargir la portée et l’impact de l’action climatique du HCR, permettant à cette agence et à ses partenaires de s’engager dans des projets liés à la question climatique dans des pays où elle répond déjà à des situations de déplacement forcé liées à des conflits majeurs, comme au Bangladesh, au Tchad, en Ethiopie, au Kenya et au Mozambique.
    Il doit permettre de mettre à disposition des ressources durables sur le plan environnemental dans les zones de déplacement, en fournissant davantage d’énergie propre, par exemple, pour faire fonctionner les infrastructures d’approvisionnement en eau, les écoles et les services de santé utilisés par les réfugiés et les populations qui les accueillent. Il permettra aussi de construire des abris adaptés aux changements climatiques et veillera à réduire l’impact des réponses humanitaires sur l’environnement.

    #Covid19#migrant#migration#HCR#refugie#climat#crise#deplacementforce#sante

  • Expulsions en hausse à Chypre : plus de 3 300 migrants renvoyés depuis janvier - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56479/expulsions-en-hausse-a-chypre--plus-de-3-300-migrants-renvoyes-depuis-

    Expulsions en hausse à Chypre : plus de 3 300 migrants renvoyés depuis janvier
    Par Julia Dumont Publié le : 18/04/2024
    Les autorités chypriotes ont annoncé avoir expulsé plus de 3 300 étrangers du pays au cours des quatre premiers mois de 2024. Une augmentation qui illustre la volonté du gouvernement « débordé » par les arrivées de concentrer ses moyens sur les renvois dans les pays d’origine, plutôt que sur l’accueil.
    C’est un nombre qui reflète la volonté du gouvernement chypriote de réduire le nombre de demandeurs d’asile dans le pays. Au cours des quatre premiers mois de 2024, 3 337 migrants ont été expulsés de Chypre. Un nombre supérieur à la même période en 2023, où 2 348 expulsions avaient été enregistrées.Ces renvois, qui incluent des expulsions forcées, des retours volontaires et des relocalisations, concernent généralement les Maghrébins, les Africains subsahariens, les Bangladais et les Égyptiens. Pour rappel, les renvois contraints ne concernent pas les Syriens ou les Afghans, nombreux à Chypre, mais inexpulsables en raison de la situation politique de ces États.
    Une politique d’éloignement assumée à l’heure où Chypre fait face à une hausse considérable d’arrivées de Syriens sur son sol. Plus de 1 000 personnes ont débarqué sur des bateaux en provenance du Liban depuis le début du mois d’avril, dans un contexte d’aggravation des tensions au Moyen-Orient. Face à l’explosion des arrivées, Nicosie a annoncé suspendre le traitement des demandeurs d’asile syriens.
    Pour lutter contre les arrivées illégales sur son sol, Chypre mise, depuis plusieurs mois, sur son partenariat avec Frontex, l’agence européenne de surveillance des frontières. Le pays propose aussi une incitation financière aux migrants pour pousser les exilés à accepter un retour « volontaire » vers leur pays. Un bureau entier dédié à ces départs consentis : The Civil Registry and Migration Department (CRMD). C’est cette structure qui fournit à chaque exilé un billet d’avion retour, et la somme promise pour les faire partir. Le montant varie selon le pays d’origine : les Égyptiens, Marocains, Tunisiens, Algériens, Bangladais et Indiens touchent 1 000 euros. Les personnes en partance pour la Gambie, le Nigéria, le Sénégal, la RDC et le Cameroun, 1 500."Ici, les agents de la police de l’immigration nous proposent de nous donner 1 500 euros [...] pour qu’on parte", expliquait Steve à InfoMigrants, en juin dernier. Ce Camerounais de 23 ans est détenu dans le centre de détention Mennogia, au sud de l’île, en vue de son expulsion. « Moi, je viens de Douala, au Cameroun, mais je ne peux pas rentrer dans mon pays. J’ai un problème familial », détaillait le demandeur d’asile.
    En trois ans, le pays a multiplié les outils favorisant les renvois forcés. Depuis novembre 2020, un arrêté d’expulsion est automatiquement prononcé lors d’un rejet de la demande d’asile, même si le recours en justice est encore possible. Et ce, alors même que le taux de rejet à Chypre est considérable : en 2022, il s’élevait à 93 % pour 22 182 demandes, d’après une étude du Cyprus Refugee Council.
    Sur l’ensemble de l’année 2023, ce sont 12 750 migrants au total qui ont été rapatriés dans leur pays d’origine, principalement au Nigeria, en RDC et au Cameroun, selon les chiffres du ministère de l’Intérieur chypriote. Ils étaient 7 500 en 2022 et un peu plus de 2 000 en 2021. Ces chiffres placent l’île méditerranéenne au premier rang des pays de l’UE en terme d’expulsions, proportionnellement au nombre de demandeurs d’asile sur son territoire, a annoncé le ministère de l’Intérieur en octobre dernier. Pour de nombreux candidats à l’exil, Chypre constitue une des portes d’entrée de l’Union européenne. D’après le Haut-commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR), fin septembre 2023, 26 995 demandeurs d’asile étaient en attente d’une réponse auprès du service de l’Asile, dont un tiers ayant déposé leur dossier cette même année. Fin 2022, un peu plus de 29 000 demandes étaient en attente, et quelque 13 000 en 2021.Les autorités se disent « débordées » et incapable de gérer autant de dossiers. L’accueil pèche : attente interminable d’un rendez-vous d’asile, absence d’hébergements dédiés, allocations versées au compte-goutte… Le quotidien de la majorité des exilés s’apparente parfois à un cauchemar.
    Chypre s’est aussi doté en 2021 d’un centre de rétention pour demandeurs d’asile déboutés à Limnes, dans le sud de l’île. En août dernier, le gouvernement a annoncé d’importants travaux d’agrandissement afin d’accélérer encore le retour des exilés dans leur pays d’origine. D’ici 24 mois, la structure, cofinancée par l’UE et la République de Chypre, comptera 1 000 places. Pour le ministre de l’Intérieur Constantinos Ioannou, « l’absence » jusqu’ici sur le territoire « d’un tel lieu constitue un obstacle à la réalisation de retours systématiques ».

    #Covid-19#migrant#migration#chypre#asile#retour#expulsion#rapatriement#HCR#FRONTEX#UE#sante#centrederetention

  • David Yambio, le « survivant » sud-soudanais qui alerte sur le sort des migrants en Libye
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/04/18/david-yambio-le-survivant-sud-soudanais-qui-alerte-sur-le-sort-des-migrants-

    David Yambio, le « survivant » sud-soudanais qui alerte sur le sort des migrants en Libye
    Par Nissim Gasteli (Modène, Italie, envoyé spécial)
    Le soleil illumine les rues de Rome en ce jour de juin 2023. David Yambio, élégamment vêtu d’un costume et d’une cravate, se présente devant le palais Montecitorio, siège de la Chambre des députés, où il est convié par des parlementaires pour témoigner des souffrances des exilés coincés en Libye. Devant l’auditoire, le Sud-Soudanais de 26 ans, devenu le porte-parole de ceux restés de l’autre côté de la Méditerranée, décrit « les conditions cauchemardesques, l’esclavage, les traitements inhumains et la torture » pratiqués dans les centres de détention pour migrants. Une conséquence, dit-il, d’un « mécanisme créé par les autorités européennes et par le gouvernement italien », en référence aux formations, financements et dons d’équipements octroyés par Bruxelles et Rome aux autorités de Tripoli.
    L’Union européenne (UE) a ainsi consacré près de 700 millions d’euros, entre 2015 et 2022, pour lutter contre les migrations en provenance de Libye. La première ministre italienne Giorgia Meloni a pour sa part effectué, mercredi 17 avril, son quatrième voyage en Tunisie en moins d’un an, centré une fois de plus sur la lutte contre l’immigration clandestine. La valeur du témoignage de David Yambio est d’autant plus grande qu’il a lui-même connu l’expérience libyenne, dont il se décrit comme « un survivant ». En quatre années dans ce pays, il a été fait prisonnier dix-sept fois et intercepté quatre fois en mer par les groupes armés qui jouent le rôle de garde-côte. Il en connait les centres de détention officiels et officieux, les différentes milices impliquées dans les violences contre les candidats à la migration et les noms de certains bourreaux.
    Réfugié en Italie depuis juin 2022, le militant, cofondateur à Tripoli de Refugees in Libya – l’une des premières organisations communautaires de défense des droits des réfugiés –, s’est donné pour mission de dénoncer le soutien européen aux autorités libyennes et d’alerter sur les conséquences de l’externalisation des frontières, processus par lequel Bruxelles délègue aux Etats d’Afrique du Nord le contrôle migratoire en échange d’une aide économique. David Yambio interpelle régulièrement les figures du pouvoir, comme Antonio Tajani, le ministre italien des affaires étrangères, interrogé dans les rues de Rome sur les conséquences du renouvellement de l’accord migratoire italo-libyen en février 2023. Il participe par ailleurs à des conférences ou des actions devant les lieux comme le Parlement européen, à Bruxelles, ou le siège d’institutions des Nations unies, à Genève. Son engagement lui a valu d’être reçu au Vatican par le pape François, sensible à la condition des migrants.
    David Yambio est de toutes les batailles. Pour le rencontrer, il a fallu aller jusque dans sa commune en périphérie de Modène, dans le nord de l’Italie, où il est installé. Lundi 18 mars, drapé d’un caban noir, il nous accueille dans un café du centre-ville, où il commande un jus d’orange avec l’aisance d’un habitué. Où qu’il soit, chez lui comme en voyage, il maintient un lien permanent avec la Libye. Il est en contact régulier avec ses « camarades » de Refugees in Libya restés sur place, qui le tiennent informé de l’évolution de la situation. Son numéro circule aussi auprès d’inconnus qui souhaitent alerter sur les violences qu’ils subissent. Parfois, il reçoit des appels directement depuis des centres de détention, ravivant des souvenirs douloureux.
    « Le seul souhait que j’avais lorsque j’étais détenu, c’était d’entendre la voix de quelqu’un de l’extérieur, se remémore-t-il. Pas forcément pour aider immédiatement, mais pour que quelqu’un sache. » Lorsqu’elles ne sont pas compromettantes pour ses sources, il partage les informations qu’il a collectées sur les réseaux sociaux et renseigne volontiers militants, journalistes et chercheurs.
    Les raisons de son engagement pourraient se trouver dans son enfance passée dans des camps de réfugiés en République démocratique du Congo (RDC) et en Centrafrique, dans un deuxième exil, après son retour dans son pays natal, le Soudan du Sud, pour échapper à la conscription en 2016 ou peut-être dans les sévices qu’il a subis en Libye à partir de 2018. (...)
    Ses premières actions ont lieu dans le quartier de Gargaresh, dans l’ouest de Tripoli, où il parvient à tisser quelques liens de solidarité avec ses voisins libyens. Mais la nuit du 1er octobre 2021, un raid brutal des forces de l’ordre sur des habitations de migrants fait au moins un mort et quinze blessés, selon le bilan d’Amnesty International, et balaye cet équilibre précaire. Des centaines de survivants fuient et affluent devant le siège local du Haut-Commissariat aux réfugiés (HCR) dans l’espoir d’obtenir un peu d’aide.« Le lendemain, le HCR a commencé à distribuer des kits d’urgence aux gens et aux enfants, mais cela ne suffisait pas et le personnel ne voulait pas que nous restions là, se souvient David Yambio. C’est à ce moment-là que j’ai compris que nous devions faire quelque chose. »
    Les jours suivants, de plus en plus de personnes convergent devant le HCR. Le groupe s’agrandit et s’organise. Un comité est chargé de défendre le campement contre les milices, un autre s’occupe de la médiation entre les onze nationalités présentes. Des assemblées générales sont organisées et le jeune militant, polyglotte, se révèle alors comme l’un des leaders de la communauté. Bientôt, le mouvement émet des revendications et les diffuse sur les réseaux sociaux. L’organisation Refugees in Libya est née.
    Ses succès sont multiples : dans les semaines qui suivent, ses représentants sont reçus par les dirigeants du HCR, puis par le directeur de l’autorité libyenne anti-immigration, Mohammed Al-Khoja. Ils obtiennent la libération de plusieurs prisonniers des centres de détention et la reprise du programme d’évacuation des réfugiés et demandeurs d’asile les plus vulnérables vers des pays tiers. Le mouvement de protestation durera plus de cent jours et rassemblera plus de 4 000 participants, d’après les organisateurs.
    Si David Yambio a fini par rejoindre l’Italie, de nombreux protestataires sont encore en Libye, soumis au bon vouloir des différentes autorités locales. Pour les soutenir, il a décidé de continuer son combat car, dit-il, « tant qu’il y aura de la violence, il y aura ce fort besoin de solidarité ».

    #Covid-19#migrant#migration#italie#libye#soudan#exil#refugie#HCR#sante#RDCvulnerabilite#politiquemigratoire

  • L’Egypte, une voie sans issue pour les exilés soudanais
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/04/15/l-egypte-une-voie-sans-issue-pour-les-exiles-soudanais_6228011_3212.html

    L’Egypte, une voie sans issue pour les exilés soudanais
    Par Eliott Brachet (Le Caire, correspondance)
    Des milliers d’étrangers s’engouffrent dans l’imposant bâtiment du département général des passeports, de l’immigration et de la nationalité du quartier d’El-Abbassiya, au Caire. Chaque jour, dès 8 heures du matin, les entrailles de l’immigration égyptienne, véritable labyrinthe administratif sous la tutelle du ministère de l’intérieur, s’ouvrent : à l’entrée, de longues rangées de chaises sont alignées sous un préau, dans la section réservée aux Soudanais.
    Devant les Syriens, les Yéménites et les Libyens, ils forment désormais la plus grande communauté d’exilés en Egypte. Depuis le déclenchement de la guerre au Soudan, le 15 avril 2023, selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), plus de 460 000 personnes ont trouvé refuge dans le pays voisin où étaient déjà installés de longue date 4 millions de leurs compatriotes.
    Dans le centre d’El-Abbassiya, officiers de police et agents de renseignement les orientent sans ménagement vers les guichets. « Depuis des semaines, je reviens tous les deux jours pour obtenir mon permis de résidence. Chaque fois ça bloque, il faut sans cesse fournir des papiers supplémentaires. C’est une humiliation », s’indigne Hamza (tous les prénoms ont été changés pour des raisons de sécurité), un banquier de 40 ans, qui a quitté Khartoum, la capitale du Soudan, en août, après avoir été passé à tabac pendant cinq jours dans une geôle tenue par des miliciens des Forces de soutien rapide (FSR).
    Dans le dédale de l’administration égyptienne, les délais d’obtention d’une autorisation de séjour sont extrêmement longs et, la plupart du temps, les précieux sésames sont délivrés pour de courtes périodes. « Ils sont valides six mois. Mais les gens les reçoivent souvent au bout de quatre mois, ce qui ne leur laisse plus que deux mois pour être là de façon légale avant de déposer une nouvelle demande. C’est un parcours du combattant », déplore Sheima Taj El-Sir, une avocate soudanaise.
    Dans le sillage de la guerre au Soudan mitoyen, avec ses 1 300 kilomètres de frontière commune, l’Egypte a durci les conditions d’entrée sur son territoire. En juin 2023, les autorités ont mis fin à l’exemption de visa dont bénéficiaient auparavant les femmes, les enfants de moins de 16 ans et les hommes de plus de 50 ans, suspendant de facto les accords bilatéraux, The Four Freedoms Agreement, signés en 2004 et censés faciliter la circulation des personnes.Puis, au mois d’août, Le Caire a instauré des règles plus sévères pour l’obtention d’un permis de résidence, exigeant un dépôt en dollars à la banque et imposant aux migrants arrivés illégalement une taxe de 1 000 dollars (940 euros) pour se régulariser. « Des mesures qui ne font qu’accroître l’illégalité », poursuit Sheima Taj El-Sir.
    De plus en plus de Soudanais optent pour les routes clandestines pour entrer en Egypte. (...) Moyennant 300 dollars par personne, ils ont franchi illégalement la frontière entre le Soudan et son voisin du Nord. Un trajet périlleux de deux jours à travers le désert de Nubie, avec pour seuls vivres une bouteille d’eau et quelques dattes. Le périple ne s’est pas arrêté là. Ceux qui pénètrent illégalement sur le sol égyptien doivent parcourir près de 1 000 kilomètres depuis la frontière pour s’enregistrer dans les deux seuls bureaux dont dispose le HCR en Egypte, le premier dans la banlieue du Caire, et le second à Alexandrie.
    Sans carte de demandeur d’asile délivrée par l’agence onusienne, les exilés se trouvent sous la menace permanente d’une arrestation. « Sur la route entre Assouan et Le Caire, il y a de nombreux contrôles, la police fouille les véhicules », poursuit Ahmed.Les coups de filet se sont multipliés depuis le mois de décembre, notamment après l’afflux de Soudanais fuyant la prise de la ville de Wad Madani (centre est du pays) par les FSR. Selon l’ONG Refugees Platform in Egypt, de nombreux migrants soudanais arrêtés par les gardes-frontières sont emprisonnés arbitrairement dans des centres de détention informels. Coupés du monde extérieur, ils se voient refuser toute assistance juridique et sont empêchés de déposer une demande d’asile via le HCR.
    Si ces abus sont difficiles à quantifier, le nombre de détentions arbitraires et d’expulsions forcées atteindrait plusieurs milliers depuis le mois de janvier, selon les informations du Monde. Pour sortir de détention, certains sont forcés de signer des déclarations de « retour volontaire » et doivent payer eux-mêmes les frais de rapatriement. « Ces arrestations, détentions et expulsions sont illégales au regard du droit international et constituent une violation de la convention de Genève et des traités internationaux dont le pays hôte est signataire. Il existe une clause de non-refoulement vers un pays en guerre », détaille Amira Ahmed, professeure à l’université américaine du Caire.
    Selon cette chercheuse sur les questions migratoires, l’accord signé en mars avec la Commission européenne, qui a versé aux autorités égyptiennes plus de 7 milliards d’euros en échange d’une plus grande surveillance des frontières, risque de donner lieu à une politique migratoire encore plus répressive, aggravant le sort des migrants et des réfugiés en Egypte.Aux barrières juridiques et administratives s’ajoute une rhétorique xénophobe de plus en plus virulente. Sur les plateaux télé et les réseaux sociaux, les campagnes de dénigrement se multiplient envers les Soudanais, devenus les boucs émissaires de la grave crise économique que traverse leur pays d’accueil. A travers la capitale égyptienne, les contrôles au faciès et les descentes de police sont de plus en plus fréquents.
    Dans immense ville du Six-Octobre sortie du désert à l’ouest du Caire, trente-trois familles soudanaises ont été expulsées manu militari de leur appartement, fin mars, au prétexte qu’elles ne pouvaient pas présenter de contrat de location en bonne et due forme. « Ils étaient déjà venus deux mois plus tôt. En pleine nuit, ils avaient défoncé la porte à coups de pied. On paie pourtant bien le loyer ! C’est de l’intimidation », s’indigne Nour, qui étudiait le droit à Khartoum avant que sa maison soit bombardée par un drone.
    Depuis, des familles entières sont contraintes de vivre dans la rue. Des femmes allaitent leurs enfants assises sur un canapé à même le trottoir. Des sacs de vêtements sont entassés ici et là sur un bout de tapis. « Il y a une seule latrine pour plus de soixante-dix personnes. Nous n’avons même pas une tente pour nous abriter. Nous sommes fauchés », poursuit la jeune femme de 27 ans, déplorant que les enfants ne puissent pas aller à l’école à cause du coût exorbitant de l’éducation pour les non-Egyptiens. « Ils font tout pour nous rendre la vie insupportable ici, tout pour qu’on rebrousse chemin », déplore Mohammed, un avocat soudanais de 28 ans, qui vit désormais sur le trottoir. Arrivé clandestinement le 9 janvier, il a tenté de s’enregistrer au HCR. « On a attendu deux jours sans résultat. Puis, au téléphone, ils nous ont donné un rendez-vous dans huit mois », se désole-t-il. En attendant, il vit dans cette impasse, courant le risque d’être arrêté, voire déporté à tout moment. « Nous n’avons pas d’avenir ici. Nous voulons tous rentrer chez nous. Mais au-delà des combats au Soudan, ce qui nous attend de l’autre côté de la frontière c’est la faim », conclut-il.

    #Covid-19#migrant#migration#egypte#soudan#libye#syrie#refugie#hcr#yemen#exil#frontiere#politiquemigratoire#sante

  • Chypre s’inquiète des arrivées de migrants syriens depuis le Liban - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56252/chypre-sinquiete-des-arrivees-de-migrants-syriens-depuis-le-liban

    Chypre s’inquiète des arrivées de migrants syriens depuis le Liban
    Par RFI Publié le : 05/04/2024
    C’est l’une des portes de l’Europe en Méditerranée : l’île de Chypre, qui s’inquiète de l’arrivée de plus en plus de migrants. Il s’agit de Syriens fuyant la guerre, la plupart passeraient désormais par le Liban. Nicosie a accusé le gouvernement libanais de participer à ces entrées sur son territoire. Chypre détient actuellement le deuxième plus haut taux de demandeurs d’asile de l’Union européenne par rapport à sa population. Cela fait plusieurs mois que Nikos Christo-Doulides voit arriver de plus en plus de migrants syriens sur ses côtes. Ces derniers jours, 350 personnes en 48 heures, un record.
    Le président chypriote a une explication : selon lui, le Liban, à 160 kilomètres de là, encouragerait les traversées clandestines.
    "Le nombre de migrants syriens en provenance du Liban n’a fait qu’augmenter ces dernières semaines, ce qui est extrêmement préoccupant, raconte Nikos Christo-Doulides. Je comprends parfaitement les défis que le Liban doit affronter, mais exporter des migrants vers Chypre ne devrait pas être la réponse et ne peut pas être accepté. »
    Le Liban est le premier pays d’accueil des réfugiés syriens, ils seraient entre 800 000 et 1,5 million sur son sol. Mais la terrible crise économique dans le pays pousse les exilés à partir.
    De l’autre côté, à Chypre, le gouvernement n’hésite pas à renvoyer directement les migrants syriens vers le Liban. En août, le Haut-commissariat aux réfugiés de l’ONU s’en inquiétait déjà, craignant le retour de ces personnes en Syrie où elles risquent les persécutions et la torture.

    #Covid-19#migrant#migration#chypre#syrie#liban#HCR#UE#asile#sante

  • Niger : afflux « de grande ampleur » de réfugiés du Nigeria, arrivés dans la région frontalière de Maradi - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56144/niger--afflux-de-grande-ampleur-de-refugies-du-nigeria-arrives-dans-la

    Migrants route migratoire Camps de migrants/réfugiés violences
    Par RFI Publié le : 01/04/2024
    Au Niger, il y a moins d’une semaine, plus de 1 400 Nigérians, fuyant les violences de bandes armées, sont arrivés dans plusieurs villages de la région de Maradi, à la frontière avec le Nigeria, selon les chiffres des Nations unies. Ce déplacement de population, le premier mouvement d’ampleur depuis le début de l’année, fait augmenter les besoins d’aide d’urgence dans la zone. La majorité sont des femmes et des enfants : 1 400 personnes ont ainsi afflué vers trois localités de la région de Maradi, au Niger, en fin de semaine dernière, poussées par des violences entre bandes armées et groupes d’auto-défense qui se sont déroulées, quelques jours plus tôt dans la commune d’Isa, dans l’État de Sokoto, au Nigeria. Les populations ont été sommées de quitter les lieux dans les 72 heures.
    Sur place, au Niger, plusieurs organisations sont à pied d’œuvre pour leur venir en aide. Parmi ces organisations, figure le Conseil norvégien pour les réfugiés. Selon Christelle Huré, responsable plaidoyer au bureau Afrique de l’ouest et centrale, ces personnes ont tout laissé derrière elles : « Pas de biens, pas de nourriture et pas de papiers d’identité. En termes de besoins, il y a bien entendu tout ce qui est nourriture, mais des besoins aussi en termes d’abri, en matière de santé et en matière d’accès à l’eau. Les nouveaux déplacements posent aussi des défis importants en termes de gestion des ressources pour les communautés qui sont déjà sur place et qui sont déjà très pauvres ».
    En plus de l’aide d’urgence, les réfugiés doivent être relocalisés, plus loin de la zone frontalière, pour des raisons de sécurité. « C’est un mouvement de grande ampleur mais ce n’est pas le premier afflux de réfugiés. Par conséquent, le Haut-commissariat aux réfugiés (HCR) est déjà organisé pour relocaliser ces personnes, notamment dans le village de Chadakori. Il les relocalise dans des zones jugées plus sécurisées et où ils peuvent aussi avoir davantage accès à l’aide », ajoute Christelle Huré. Le mois dernier, le HCR recensait plus de 62 000 réfugiés nigérians dans la région de Maradi.

    #Covid-19#migrant#migration#nigeria#niger#refugie#frontiere#HCR#maradi#crise#violence#sante

  • #Métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    –—

    ajouté à la métaliste sur les tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers (https://seenthis.net/messages/731749), mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers :
    https://seenthis.net/messages/900122

    #migrations #externalisation

  • Irlande : une « situation d’urgence » pour les demandeurs d’asile, alerte le HCR - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/55220/irlande--une-situation-durgence-pour-les-demandeurs-dasile-alerte-le-h

    Irlande : une « situation d’urgence » pour les demandeurs d’asile, alerte le HCR, Par Maïa Courtois Publié le : 15/02/2024
    Dans un rapport paru cette semaine, le Haut commissariat pour les réfugiés des Nations Unies étrille la politique d’accueil irlandaise. Il appelle le gouvernement à des « mesures extraordinaires » contre le manque grandissant de solutions d’hébergements pour les demandeurs d’asile. Ceux-ci font face, dans le même temps, à un taux de protection de plus en plus faible.
    Près de 600 demandeurs d’asile se sont vu refuser le statut de réfugié par l’Irlande en janvier 2024, d’après les dernières statistiques du ministère de la Justice irlandais. C’est deux fois plus qu’en janvier 2023, souligne The Irish Times, lorsque 261 personnes avaient essuyé un refus. En 2022, le chiffre était encore plus bas, avec 14 refus seulement. Le nombre de demandes a certes augmenté, d’une année à l’autre. Mais cela n’explique que partiellement le phénomène. Il suffit de regarder le taux de refus : celui-ci était de près de 60 % pour toute l’année 2023, sur 5 000 demandes traitées. Tandis qu’en 2022, ce taux de refus n’était que de 18 %, sur 875 demandes traitées. Cette tendance risque de se poursuivre : le gouvernement a annoncé, en début d’année, de nouvelles restrictions sur les demandes d’asile. L’Algérie et le Botswana vont être ajoutés à la liste des « pays sûrs ». Et ce, à l’occasion d’une réforme plus large à venir visant à accélérer les délais de traitement des demandes d’asile, rappelle The Irish Times.
    Cette semaine, le Haut commissariat pour les réfugiés de l’ONU (UNHCR) a épinglé dans un rapport la politique d’accueil irlandaise. L’agence onusienne demande au gouvernement irlandais d’accueillir « immédiatement » les primo-arrivants en s’assurant qu’ils « ne se retrouvent pas dans une situation de sans-abri ou de dénuement ».
    Ce jeudi 15 février, le HCR est auditionné à ce sujet par le Comité des droits économiques, sociaux et culturels des Nations Unies. Cette instance va examiner la politique irlandaise au regard de ses obligations internationales, et émettra à son tour des recommandations.Le sans-abrisme devient en effet un enjeu majeur. Depuis le 4 décembre 2023, le gouvernement a cessé de proposer un hébergement à tous les nouveaux demandeurs d’asile, pourtant bel et bien éligibles à une mise à l’abri, rappelle la RTE, la radio-télévision publique irlandaise. Les premiers pénalisés sont les hommes seuls, sans vulnérabilité particulière. Pourtant, ces hommes seuls constituent la majorité des arrivants. Dans son dernier rapport hebdomadaire, le Service international d’hébergement et de protection enregistre 35 % d’hommes seuls, sur les 326 arrivées lors de la semaine du 5 au 11 février. Un ratio peu ou prou identique à celui de la semaine précédente. Première nationalité de ces arrivants : le Nigeria.Si le HCR salue la priorité donnée aux enfants, femmes et personnes vulnérables, il se dit « profondément préoccupé par le fait que les hommes célibataires se retrouvent sans logement ». Avant de souligner : « Donner la priorité aux candidats les plus vulnérables ne peut justifier le refus des droits humains fondamentaux, tels qu’un abri adéquat, à d’autres candidats ».
    Pour justifier ses restrictions en matière de mise à l’abri, le gouvernement irlandais a mis en avant le manque d’hébergements disponibles. « Malgré des efforts intensifs pour trouver un hébergement d’urgence, le Ministère n’est actuellement pas en mesure de fournir un hébergement à tous les demandeurs de protection internationale en raison de la grave pénurie », indique ainsi le gouvernement.
    Les dernières statistiques officielles indiquent que sur les 1275 demandeurs d’asile qui se sont présentés depuis le 4 décembre pour un hébergement, seuls 144 se sont vus offrir une mise à l’abri.
    Le HCR reconnaît que le pays est confronté à des « défis importants pour garantir un logement convenable aux nouveaux arrivants », mais il rappelle « l’obligation morale et légale de répondre aux besoins fondamentaux des personnes qui viennent en Irlande ».
    Pour l’agence onusienne, il s’agit d’une « situation d’urgence qui exige que le gouvernement prenne des mesures extraordinaires pour garantir qu’il puisse répondre à ces besoins humanitaires fondamentaux ».Au-delà du sans-abrisme, le HCR s’inquiète du fait que « la majorité des demandeurs, soit plus de 17 000, sont hébergés dans des centres d’urgence à travers l’Irlande » alors que ces centres « ne sont pas soumis à des inspections indépendantes ». Le centre Mosney, par exemple, accueille près des centaines de demandeurs d’asile à une trentaine de kilomètres de Dublin, est régulièrement critiqué par les ONG.
    Ce type d’hébergement, les « distribution centers », sont qualifiés de « système odieux » par l’ONG Movement of Asylum Seekers in Ireland (Mouvement des demandeurs d’asile en Irlande, MASI). Les demandeurs d’asile y sont soumis à certaines restrictions comme un couvre-feu ou l’impossibilité de cuisiner par eux-mêmes. Les ONG décrivent aussi les difficultés à être accompagnés vers la recherche d’emploi ou la formation, notamment linguistique, rappelle dans un décryptage le journal University Observer. Ce système d’hébergement, conçu pour l’urgence, est en théorie limité à six mois. En pratique, des nombreux migrants y restent plusieurs années. Depuis un an, l’Irlande est également confrontée à une montée de l’extrême droite. Des rassemblements et manifestations anti-migrants, jusque là rares, se multiplient sur le territoire. Il y a un an, le 7 février 2023, à Dublin, plus de 2 000 personnes sont descendues dans la rue sous le slogan : « L’Irlande est pleine à craquer ».

    #Covid-19#migrant#migration#irlande#nigeria#HCR#asile#sante#hebergement

  • L’Egypte construit une zone de sécurité dans le Sinaï en prévision d’un éventuel afflux de réfugiés depuis Gaza
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/02/17/l-egypte-construit-une-zone-de-securite-dans-le-sinai-en-prevision-d-un-even

    L’Egypte construit une zone de sécurité dans le Sinaï en prévision d’un éventuel afflux de réfugiés depuis Gaza
    Par Hélène Sallon (Beyrouth, correspondante)
    Dans le Sinaï égyptien, le long de la frontière avec la bande de Gaza, entre les terminaux de Rafah et de Kerem Shalom, des engins de chantier aplanissent le sol d’une étroite bande de terre. Des images satellites, analysées par l’agence Associated Press vendredi 16 février, montrent que des travaux sont en cours dans ce périmètre. Des grues et des camions y sont visibles. Des barrières de béton ont été dressées pour ceinturer cette zone d’environ 20 kilomètres carrés.
    Selon l’ONG Sinai Foundation for Human Rights, qui a révélé l’existence de ce chantier le 12 février, l’endroit est destiné à accueillir des réfugiés palestiniens, dans l’éventualité où l’Egypte devrait faire face à un exode massif depuis Gaza. Des entrepreneurs locaux ont dit à l’ONG avoir été chargés des travaux par l’entreprise Sons of Sinai, propriété de l’homme d’affaires Ibrahim El-Argani, proche de l’armée égyptienne. Il est prévu que des murs de 7 mètres de haut soient construits, sous la supervision du génie militaire, et sous forte présence sécuritaire.Des sources égyptiennes ont confirmé, sous couvert de l’anonymat, au Wall Street Journal l’aménagement d’une zone de sécurité, pouvant accueillir jusqu’à 100 000 personnes. Une source égyptienne indique au Monde que la peur de faire face à un afflux de déplacés en cas d’offensive israélienne sur la ville de Rafah explique cette décision. Le chef des services de communication de l’Etat, Diaa Rashwan, a toutefois nié l’existence d’un tel projet. Il a rappelé que l’Egypte s’oppose à tout déplacement forcé de Gazaouis sur son territoire du fait de la guerre entre Israël et le Hamas dans l’enclave palestinienne.
    Ce scénario pourrait cependant se matérialiser si le premier ministre israélien, Benyamin Nétanyahou, mettait à exécution sa menace, agitée depuis le 7 février, de lancer une offensive sur Rafah, qui est devenue le dernier refuge de plus d’1,4 million de Gazaouis. « La décision de lancer l’offensive sur Rafah n’a pas été prise. Nétanyahou souhaite en faire un moyen de pression dans les négociations de trêve avec le Hamas. Mais s’il n’y a pas d’accord, il sera difficile pour les Israéliens d’éviter une offensive », estime Laure Foucher, spécialiste du Moyen-Orient à la Fondation de recherche stratégique (FRS).
    Le Caire et Washington exhortent Israël à renoncer à cette opération, invoquant des « conséquences humanitaires dévastatrices ». Ils exigent qu’un plan d’évacuation des déplacés de Rafah vers le nord de l’enclave soit mis sur pied. Vendredi, le ministre de la défense israélien, Yoav Gallant, a assuré qu’« Israël n’a pas l’intention d’évacuer des civils palestiniens vers l’Egypte », ni de mettre en danger l’accord de paix signé en 1978 avec Le Caire. L’armée israélienne n’a toutefois pas dévoilé de plan pour la prise en charge des civils palestiniens dans le nord de l’enclave, qu’elle a réduit à l’état de ruines. (...)
    La perspective d’un déplacement des Palestiniens dans le Sinaï suscite des inquiétudes. « En cas d’afflux massif, cette zone pourrait rapidement ressembler à un camp de concentration. Et, il n’y a aucune garantie qu’ils pourront revenir à Gaza », déplore l’expert palestinien. Les Palestiniens craignent qu’Israël ne cherche à provoquer une seconde Nakba (« catastrophe »), le nom donné à l’exode forcé de 700 000 Palestiniens, lors de la création d’Israël en 1948. Des réfugiés qui n’ont jamais pu rentrer sur leurs terres.
    « Une nouvelle crise des réfugiés signerait l’arrêt de mort d’un futur processus de paix », a alerté Filippo Grandi, le directeur de l’agence des Nations unies en charge des réfugiés (HCR), dans un entretien à la BBC vendredi. Le chef du HCR a appelé à « éviter à tout prix » un exode des Palestiniens vers l’Egypte, estimant qu’une fois sortis de Gaza, les réfugiés ne pourraient plus y retourner. Le HCR et l’UNRWA, l’agence des Nations unies chargée des déplacés palestiniens, disent ne pas être impliqués dans des préparatifs pour l’accueil de réfugiés palestiniens dans le Sinaï.

    #Covid-19#migrant#migration#gaza#israel#sinai#refugie#guerre#palestine#nakba#sante#camp#HCR#UNRWA

  • L’#UNRWA a été créé parce que l’état sioniste et ses appuis avaient refusé que les réfugiés palestiniens soient pris en charge par l’ « Agence des Nations Unies pour les #réfugiés » (#HCR).

    In waging war on the UN refugee agency, the West is openly siding with Israeli genocide
    https://www.jonathan-cook.net/blog/2024-01-30/war-un-refugee-israel-genocide

    UNRWA is separate from the UN’s main refugee agency, the UNHCR, and deals only with Palestinian refugees. Although Israel does not want you to know it, the reason for there being two UN refugee agencies is because Israel and its western backers insisted on the division back in 1948. Why? Because Israel was afraid of the Palestinians falling under the responsibility of the UNHCR’s forerunner, the International Refugee Organisation. The IRO was established in the immediate wake of the Second World War in large part to cope with the millions of European Jews fleeing Nazi atrocities.

    Israel did not want the two cases treated as comparable, because it was pushing hard for Jewish refugees to be settled on lands from which it had just expelled Palestinians. Part of the IRO’s mission was to seek the repatriation of European Jews. Israel was worried that very principle might be used both to deny it the Jews it wanted to colonise Palestinian land and to force it to allow the Palestinian refugees to return to their former homes. So in a real sense, UNRWA is Israel’s creature: it was set up to keep the Palestinians a case apart, an anomaly.

    Nonetheless, things did not go exactly to plan for Israel. Given its refusal to allow the refugees to return, and the reluctance of neighbouring Arab states to be complict in Israel’s original act of ethnic cleansing, the Palestinian population in UNRWA’s refugee camps ballooned.

  • L’effet domino de la politique migratoire de l’UE au Sahel - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54008/leffet-domino-de-la-politique-migratoire-de-lue-au-sahel

    L’effet domino de la politique migratoire de l’UE au Sahel
    Par Ana P. Santos Publié le : 21/12/2023
    Le pouvoir militaire au Niger a récemment abrogé une loi censée lutter contre le trafic de migrants. La décision met à mal la stratégie de l’Union européenne à confier les politiques de contrôle migratoire aux pays d’origine.Les putschistes au pouvoir au Niger ont abrogé au mois de novembre une loi anti-passeurs de 2015. Les militaires ont également annulé les condamnations antérieures prononcées en vertu de cette loi. La loi contre le trafic de migrants criminalisait le transport de migrants depuis la ville d’Agadez, au centre-nord du Niger, vers la Libye et l’Algérie, deux points de départ courants pour les migrants subsahariens cherchant à atteindre l’Europe. Cette loi bénéficiait du soutien de l’Union européenne (UE) à travers le Fonds fiduciaire d’urgence pour l’Afrique (FFUE) doté de 5 milliards d’euros. Sa suppression est le dernier épisode en date dans la dégradation des relations diplomatiques déjà limitées entre le Niger et l’UE.
    « En révoquant la loi de 2015, la junte militaire réitère la fin de la coopération avec l’UE, y compris en matière de migration, qui était cruciale pour la stratégie migratoire de l’UE », explique à InfoMigrants Alia Fakhry, chercheuse associée au Conseil allemand pour les relations étrangères (GCFR). Entre 2014 et 2020, plus d’un milliard d’euros du FFUE sont allés au Niger. Pendant que Bruxelles regrette l’abrogation de la loi anti-passeurs, une partie de la population locale semble bien accueillir la fin de la criminalisation.
    « Si nous voyons des migrants, nous les transportons », a déclaré à France 24 Sidi Mamadou, 42 ans, ancien passeur et militant pour l’immigration légale.
    Selon Alia Fakhry, « les contrebandiers étaient perçus comme des transporteurs qui faisaient passer des marchandises et des personnes à travers les frontières. Des convois militaires accompagnaient les convois des passeurs pour des raisons de sécurité, mais l’armée touchait également des pots de vin auprès des passeurs. D’une certaine manière, jusqu’en 2015, le trafic de migrants était approuvé par l’État. Il était en partie contrôlé par des acteurs militaires et générait des revenus ». Depuis, la loi anti-passeurs était notamment critiquée pour ses conséquences négatives sur les personnes qui bénéficiaient directement ou indirectement de la présence de migrants au Niger.
    La région d’Agadez était, jusqu’en 2015, une importante plaque tournante de ce transit. Migrants, commerçants et travailleurs saisonniers faisaient vivre l’économie. En 2015, « les passeurs, mais aussi les commerçants, les vendeurs de nourriture et ceux qui hébergeaient (des migrants) ont soudainement perdu leur emploi », explique Alia Fakhry. La décision de la junte militaire laisse ainsi entrevoir un possible retour à la situation d’avant 2015.
    L’inefficacité des politiques migratoires restrictives « L’obsession (de l’UE) pour l’immigration est bien connue », assure Yéra Dembele, présidente de la Fédération Euro-Africaine de Solidarité (FEASO), un groupe de réflexion sur la migration basé à Paris. Au cours des dernières décennies, l’Europe s’est détournée de sa politique migratoire d’après-guerre, qui visait à attirer la main-d’œuvre immigrée dont elle avait cruellement besoin pour se reconstruire après la Seconde Guerre mondiale. Ces dernières années, l’UE a décidé de renforcer les contrôles aux frontières terrestres et maritimes afin d’empêcher l’immigration irrégulière.
    Selon Yéra Dembele, « lorsque l’on observe l’évolution des flux au cours de ces différentes phases, on se rend compte que le durcissement des politiques n’a eu pratiquement aucun effet, si ce n’est d’augmenter le nombre de migrants noyés en mer ». Yéra Dembele en veut aussi aux politiques migratoires et de développement dans les pays d’origine, notamment en Afrique, qui s’alignent sur les pays d’accueil « sans réelle volonté politique de satisfaire les besoins qui poussent les jeunes à émigrer au péril de leur vie ».
    Des analystes estiment qu’il est trop tôt pour prédire à quel point le nouveau pouvoir au Niger va influencer la dynamique migratoire régionale. La chercheuse Alia Fakhry estime néanmoins que l’érosion du partenariat avec le Niger pourrait pousser l’UE à mettre en place des coopérations similaires avec d’autres pays africains dans la région, comme cela est déjà le cas avec la Tunisie et la Libye. « L’UE continue de consolider sa stratégie en matière de migration. L’accord conclu avec la Tunisie cet été (l’accord est au stade d’un mémorandum d’entente, ndlr) est une illustration de ce que nous pouvons décrire comme un effet domino. Avec la chute du Niger, un domino est tombé. L’UE cherche donc à consolider d’autres partenariats », affirme Alia Fakhry."Avec la fin de la coopération avec le Niger, il y a une leçon importante à tirer pour les Européens : en poursuivant une stratégie migratoire qui repose trop sur la coopération avec des partenaires de bonne volonté, les Européens deviennent la proie des sautes d’humeur et des changements de régime", ajoute-t-elle. Depuis 2020, sept coups d’État ont eu lieu en Afrique, dont cinq dans des pays situés dans la région du Sahel : au Burkina Faso, en Guinée, au Tchad, au Mali et enfin, dernier en date, au Niger, en juillet dernier. Les prises de pouvoir par les militaires s’inscrivent dans un environnement d’insécurité politique, de pauvreté et de terrorisme dans le Sahel.
    Les données de l’agence européenne de gestion des frontières Frontex indiquent que cette année a connu la plus forte augmentation depuis 2009 du nombre de passages irréguliers le long de la route de l’Afrique de l’Ouest, qui relie les pays de la sous-région aux îles Canaries en Espagne.Les traversées de l’océan Atlantique se font depuis le Maroc, le Sahara occidental, la Mauritanie, le Sénégal et la Gambie, des pays et régions qui sont dans le prolongement du Sahel. L’UE et le Royaume-Uni ne réagissent souvent que ponctuellement en créant de nouvelles formes de contrôle aux frontières dans les pays d’origine. Toutefois, les experts et les défenseurs des droits de l’homme affirment que les politiques migratoires, qui sont principalement élaborées d’un point de vue européen, ne tiennent pas compte de la nature des mouvements en Afrique, qui sont influencés par l’histoire à la fois culturelle et coloniale. « Lorsque nous entendons parler de migration, nous pensons qu’il s’agit de quitter l’Afrique pour aller ailleurs, en Europe par exemple. Mais ce dont on parle rarement, c’est que les déplacements en Afrique se font principalement d’un pays africain voisin à l’autre, et ce depuis des siècles », rappelle Makmid Kamara, militant et chercheur sur les droits de l’homme. « Les frontières ont été mises en place par les puissances coloniales pour diviser les territoires qu’elles avaient conquis et, en ce sens, elles sont artificielles. Pour de nombreux Africains, le fait de se déplacer d’un pays voisin à un autre ne constitue pas un franchissement de frontière », constate Makmid Kamara.Selon lui, « ce que nous voyons de plus en plus, c’est comment l’instabilité politique récurrente déplace les gens et transforme les routes utilisées pour les mouvements économiques en voies de refuge ».Le Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR) estime qu’environ 3,7 millions de personnes ont été déplacées à l’intérieur du Sahel et que plus d’un demi-million de réfugiés et de demandeurs d’asile cherchent une protection dans les pays voisins. Les régions du Centre-Nord au Burkina Faso accueillent le plus grand nombre de personnes déplacées et affichent les niveaux d’insécurité alimentaire les plus élevés.

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  • Libye : 1 500 migrants vont être évacués vers l’Italie - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54164/libye--1-500-migrants-vont-etre-evacues-vers-litalie

    Plus de 90 migrants ont été évacués de Libye vers l’Italie le 25 novembre 2022, par un vol humanitaire. Crédit : HCR
    Par La rédaction Publié le : 28/12/2023
    Un corridor humanitaire a été acté entre Rome et Tripoli pour assurer l’évacuation de 1 500 personnes de la Libye vers l’Italie. Les transferts, qui s’étaleront sur trois ans, visent en priorité les femmes, enfants et personnes vulnérables. Mille cinq cents migrants demandeurs d’une protection internationale vont pouvoir être évacués de Libye vers l’Italie. Un protocole d’accord entre Rome et Tripoli actant ces évacuations a été signé le 20 décembre, annonce le Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR). Les transferts s’étaleront sur trois ans.
    L’ouverture de ce corridor humanitaire engage la coopération des ministères de l’Intérieur et des Affaires étrangères des deux pays, du HCR, mais aussi des organisations civiles comme l’ONG Arci, et religieuses comme la Communauté de Sant’Egidio et la Fédération des Églises évangéliques.
    Les transferts s’adressent aux personnes contraintes de fuir « en raison de la guerre et de la violence et qui se trouvent temporairement en Libye », décrit le HCR dans son communiqué du 20 décembre. Quels profils seront prioritaires ? En premier lieu, « des enfants, des femmes victimes de trafic, des personnes qui ont survécu à la violence et à la torture et des personnes dans des conditions de santé graves », qui seront identifiées par les différents acteurs engagés dans le protocole. Une fois en Italie, sur les 1 500 personnes évacuées, 600 seront intégrées au système italien d’accueil et d’intégration (SAI), financées par le ministère de l’Intérieur, détaille l’agence de Nations Unies.
    La majorité, soit 900 personnes, sera quant à elle prise en charge par des associations « selon le modèle du corridor humanitaire et réparties sur tout le territoire national » souligne le communiqué. Des quotas ont déjà été déterminés par le protocole : la Communauté de Sant ’Egidio accueillera 400 exilés, l’Arci 300, et la Fédération des Églises évangéliques, 200. Le dernier protocole de ce type avait été signé en 2021. Il faisait lui-même suite à un précédent accord, acté en 2017. En six ans, le HCR comptabilise ainsi près de 1 400 réfugiés et demandeurs d’asile évacués ou réinstallés de Libye vers l’Italie, « grâce à des mécanismes d’évacuation ou via des couloirs humanitaires ».
    D’autres corridors humanitaires ont été mis en place par l’Italie, au-delà de la Libye. Ainsi, selon la Communauté de Sant’Egidio, plus de 5 000 demandeurs d’asile de Libye, du Liban et du Pakistan sont arrivés en Italie depuis le lancement de ces couloirs en 2016. Un mécanisme encore largement insuffisant selon Médecins sans frontières. Dans un rapport publié en juin 2022, intitulé « Out of Libya », l’ONG soulignait que « les rares voies de sortie légale vers des pays sûrs mises en place par le HCR et l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) sont très lentes et restrictives. (...) L’accès à ce service est quasiment inexistant en dehors de Tripoli et dans les centres de détention et le nombre de places dans les pays de destination est très limité ».
    En outre, les autorités libyennes imposent aussi des restrictions. Elles « ne nous autorisent pas à inclure dans nos programmes plus que les neuf nationalités qu’ils considèrent comme ’vulnérables’ », déplorait MSF. Ainsi, seuls les ressortissants palestiniens, yéménites, syriens, somaliens, érythréens ou soudanais ont une chance d’embarquer un jour dans les avions humanitaires ou de réinstallation", dénonçait par exemple à l’été 2022 Djamal Zamoum, alors chef de mission adjoint du HCR en Libye, auprès d’InfoMigrants.
    Néanmoins, l’agence des Nations Unies « procède, à titre exceptionnel, à l’enregistrement d’un nombre très limité de réfugiés d’autres nationalités lorsqu’il s’avère que ceux-ci sont extrêmement vulnérables et exposés à des risques de violations accrus », nuançait Caroline Gluck, porte-parole du HCR en Libye. Pour autant, les évacuations restent « une mesure salvatrice et un signe important de solidarité et d’humanité (...) Nous devons continuer à travailler ensemble pour élargir les voies sûres, y compris la réinstallation, permettant aux réfugiés de reconstruire leur vie dans la sécurité et la dignité », soutient Chiara Cardoletti, représentante du HCR pour l’Italie, à propos du nouvel accord signé le 20 décembre. Le HCR estime qu’en cette fin d’année 2023, « plus de 2,4 millions de réfugiés » dans le monde seraient prioritaires pour une réinstallation. Soit une « augmentation de 36 % par rapport aux exigences de 2022 », note l’agence.

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  • Libye : au moins 61 migrants présumés morts dans un naufrage
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/12/16/libye-au-moins-61-migrants-presumes-morts-dans-un-naufrage_6206211_3210.html

    Libye : au moins 61 migrants présumés morts dans un naufrage
    Au moins 61 migrants sont portés disparus et présumés morts après le naufrage de leur embarcation de fortune au large de la Libye, a rapporté à l’Agence France-Presse (AFP) le bureau de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) en Libye. « Un grand nombre de migrants, environ 61, sont présumés avoir péri à cause de fortes vagues », ayant submergé leur embarcation « partie de Zouara, dans le nord-ouest de la Libye avec 86 migrants à son bord », selon la même source.
    Il s’agit en majorité de ressortissants du Nigeria, de Gambie et d’autres pays d’Afrique, et parmi les victimes « figurent des enfants et des femmes », a-t-on ajouté. Au total, 25 personnes ont pu être sauvées et ont été transférées vers un centre de détention libyen à Tariq Al Sekka, près de Tripoli. « Une équipe OIM a pu apporter un soutien médical et ils sont tous en bonne santé », selon la même source.« Plus de 2 250 personnes ont perdu la vie en Méditerranée centrale cette année », a déploré sur X Flavio Di Giacomo, porte-parole de l’OIM pour la Méditerranée, en faisant état du lourd bilan de cet énième naufrage. « Ce chiffre dramatique démontre que malheureusement on ne fait pas suffisamment pour sauver les vies en mer », a-t-il ajouté.
    La Libye et la Tunisie sont les deux principaux points de départs en Méditerranée centrale pour les migrants qui tentent de gagner l’Europe en débarquant clandestinement sur les côtes italiennes.
    Selon les derniers chiffres du HCR (Haut commissariat aux Réfugiés de l’ONU) au 10 décembre, plus de 153 000 migrants sont arrivés en Italie cette année, en provenance de Tunisie et de Libye.

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  • La France augmente d’un tiers sa contribution à l’agence de l’ONU pour les réfugiés
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/12/13/la-france-augmente-d-un-tiers-sa-contribution-a-l-agence-de-l-onu-pour-les-r

    La France augmente d’un tiers sa contribution à l’agence de l’ONU pour les réfugiés
    Le Monde avec AFP
    La France va augmenter d’un tiers cette année sa contribution au Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) pour la porter à 120 millions d’euros, a rapporté la cheffe de la diplomatie française, Catherine Colonna, à Genève. La France « s’efforcera de la maintenir à ce niveau en 2024 », a-t-elle déclaré à l’ouverture du Forum de l’ONU sur les réfugiés, que la France coparraine avec la Colombie, le Japon, la Jordanie et l’Ouganda. « La France continuera donc à soutenir le HCR, et elle a décidé de tripler, en trois ans, sa contribution financière, comme elle s’y était engagée », a insisté la ministre française.En 2022, cette contribution était de 91,6 millions d’euros, et d’environ 30 millions d’euros il y a trois ans, selon des chiffres du ministère. A l’ouverture du forum, le haut-commissaire de l’ONU pour les réfugiés, Filippo Grandi, avait rappelé que son agence avait encore besoin de 400 millions de dollars (371 millions d’euros) d’ici la fin de l’année.
    (...) Alors que les crises et les conflits se multiplient, plus de 114 millions de personnes étaient déplacées à la fin septembre dans le monde, un nombre record, selon le HCR. La population mondiale de réfugiés a doublé au cours des sept dernières années, atteignant 36,4 millions de personnes à la mi-2023, un autre record. Cela représente une augmentation de 3 % par rapport à la fin de 2022.
    « Alors que s’achève la COP28 avec un consensus appelant à une sortie des énergies fossiles, afin de permettre d’arriver au “net zéro” en 2050 comme c’est indispensable – ambition qu’il va maintenant falloir concrétiser –, je tiens aussi à rappeler que le dérèglement climatique a des conséquences très lourdes sur les mouvements migratoires », a développé Mme Colonna.
    Elle a par ailleurs appelé la communauté internationale « à lutter résolument contre les réseaux criminels » et « à nous mobiliser davantage collectivement pour éliminer la traite des êtres humains par des poursuites judiciaires, par des sanctions sévères et par le tarissement des financements de ces trafics ». La ministre a également appelé à « soutenir les pays limitrophes des zones de conflit armé, qui sont les premiers pays d’accueil ». Et « nous devons contribuer à alléger la pression qui s’exerce sur les pays d’accueil », a-t-elle dit. La ministre française a expliqué que la France « accueille 3 000 réfugiés par an dans le cadre du programme de réinstallation du HCR, et [qu’]elle maintiendra cet engagement en 2024 et 2025 ». Le programme de réinstallation du HCR permet aux réfugiés ayant trouvé refuge dans un premier pays de s’installer dans un autre pays qui a accepté de leur assurer une protection internationale et, à terme, une résidence permanente.
    Catherine Colonna a également annoncé que la France « s’engage à réinstaller en France [par le biais du] dispositif “Femmes en danger” des femmes réfugiées isolées et particulièrement vulnérables, notamment les victimes de violences, d’exploitation ou de traite des êtres humains ».

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