• Nell’ex fabbrica di penicillina, un #ghetto di Roma

      Oggi viene presentata la seconda edizione di “Fuori campo”, il rapporto di Medici Senza Frontiere sulla marginalità, secondo il quale “sono almeno 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”. Una cinquantina gli insediamenti mappati dall’organizzazione in tutta Italia, 3500 le persone che vivono in occupazioni, baracche e “ghetti” nella sola Roma. Open Migration è entrata dentro il “gran ghetto” della capitale: un’ex fabbrica di penicillina in cui le condizioni di vita sono estreme.

      Appena finisce di spaccare le cassette della frutta e il legname di recupero, Alecu Romel entra nella casa in cui vive con la moglie Maria. Nella stanza d’ingresso, una luce fioca illumina il fornello, collegato ad una bombola a gas. A destra, in un locale spoglio, la coppia tiene una bicicletta e dei passeggini, riadattati per raccogliere ferrivecchi e oggetti abbandonati per strada. Sulla sinistra, una porta rossa separa dalla zona notte: una camera con due letti, la televisione e stampe colorate appese alle pareti.

      “Viviamo in questo appartamento da cinque anni e cerchiamo di tenerlo sempre in ordine”, dice Maria. A cedere loro lo spazio, un altro cittadino della Romania, che dentro la Ex-Penicillina, una delle più grandi aree industriali dismesse di Roma, si era inventato un angolo di intimità arredando alcuni dei locali più piccoli, che un tempo erano probabilmente uffici. In cinque anni di vita fra i capannoni scrostati, Alecu e Maria hanno visto cambiare l’insediamento. “Prima eravamo più rumeni e ci sono state anche famiglie italiane”, continua la donna, “mentre adesso gli abitanti sono cresciuti, e quasi tutti sono africani”.

      Oggi, come allora, il sogno di ricongiungersi con i due figli, affidati ai nonni in Romania, appare lontano: “questo non è un posto per bambini, ci sono topi e sporcizia, non ci si sente sicuri, ma almeno quei pochi soldi che guadagnamo ci permettono di mantenerli a casa, di fargli fare una vita migliore della nostra”, conclude Maria, la voce rassegnata.
      Fra i capannoni del “grande ghetto”

      Sempre più sogni si infrangono dietro la facciata del complesso, che costeggia via Tiburtina, una delle arterie più trafficate della città. Qui i cantieri per il raddoppio della carreggiata vanno avanti da anni: “finite ‘sti lavori!! più che una consolare sembra una via Crucis” è l’urlo che i cittadini hanno affidato ai cartelli affissi sui muri. Siamo all’altezza della periferia operaia di San Basilio, oggi nota alle cronache anche come base per lo spaccio di stupefacenti.

      Rifugiati e richiedenti asilo, arrivati in Italia negli ultimi anni e usciti dal sistema d’accoglienza, hanno infatti trovato qui un riparo precario, aprendo un nuovo capitolo nella storia del complesso, un tempo orgoglio dell’industria italiana. Aperta come Leo – Industrie Chimiche Farmaceutiche Roma, la Ex-Penicillina è stata la prima fabbrica italiana a produrre antibiotici. Una storia complessa, intrecciata ai piani di investimento del secondo dopoguerra, supportati dagli Usa, e alle speculazioni edilizie che avrebbero cambiato il volto della capitale.

      All’inaugurazione dell’impianto, nel 1950, fu invitato lo stesso sir Alexander Fleming, scopritore della penicillina. Un graffito, nello scheletro esterno della struttura, lo ritrae pensieroso: “ti ricordi quando eravamo i più grandi?”, recita la scritta. Il quotidiano “L’Unità” aveva dedicato un paginone all’evento, col titolo “la più grande fabbrica di penicillina d’Europa inaugurata a Roma”. Dagli oltre 1300 operai degli anni Sessanta, si passò però presto a poche centinaia, fino all’abbandono totale dell’attività, alla fine degli anni Novanta. Un altro sogno, quello di una cordata di imprenditori, che volevano demolirla per fare spazio a un maxi-albergo di alta categoria, si infranse di fronte ai costi per lo smaltimento di rifiuti chimici e amianto, tuttora presenti nell’area.

      “Questo posto lo chiamano il grande ghetto”, ci dice Ahmad Al Rousan, coordinatore per Medici senza frontiere dell’intervento nei campi informali, mentre entriamo dentro uno degli stabilimenti con una torcia, perché qui manca tutto, anche l’elettricità. Camminiamo tra spazzatura, escrementi e resti della vecchia fabbrica: ampolle, fiale, scatole di medicinali su cui c’è ancora la bolla di accompagnamento. “C’è un posto qui vicino, il piccolo ghetto, qui ci sono circa 500 persone, lì 150”, aggiunge. “Non solo chiamano questi luoghi ghetti, ma chi ci vive si sente anche ghettizzato”.

      In questa area industriale abbandonata ci sono persone che arrivano da diverse parti del mondo: nord Africa, Sub Sahara, Pakistan, Afghanistan, Romania, e c’è anche un italiano. La maggior parte sono titolari di protezione internazionale, altri in attesa di essere ascoltati dalla commissione territoriale che dovrà decidere sulla richiesta d’asilo, altri ancora hanno il permesso di soggiorno scaduto. Tutti sono fuori dall’accoglienza per qualche motivo.
      Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      Come denuncia “Fuori campo”, l’ultimo rapporto di Medici Senza Frontiere, in tutta Italia ci sono almeno 10 mila persone in questa condizione, alloggiate in insediamenti informali con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche. Nella capitale la maggior parte si concentra proprio qui, nella zona est, tra la Tiburtina e la Casilina, passando per Tor Cervara. Edifici abbandonati, ex fabbriche e capannoni, sono diventati la casa di centinaia tra migranti e rifugiati. Che ci vivono da invisibili in condizioni disumane, senza acqua, luce e gas, spesso a ridosso di discariche abusive.

      Da novembre 2017, l’Ong ha avviato un intervento con un’unità mobile composta da un medico, uno psicologo e un mediatore culturale, e da qualche settimana il camper è arrivato anche all’ex Leo. Quella di Msf è l’unica presenza esterna negli spazi dell’occupazione: gli operatori vengono qui una volta alla settimana, dal primo pomeriggio alla sera, per portare assistenza medica e psicologica agli abitanti. Un piccolo gazebo allestito nella parte esterna degli edifici fa da ambulatorio, la sala d’attesa è, invece, lo spazio antistante, un tavolino da campeggio, qualche sedia pieghevole e una lampada. Per chi abita qui questo momento è diventato un rito, c’è chi viene per la prima volta, chi torna per un controllo, chi viene solo per chiacchierare.

      Un ragazzo si avvicina con aria timida: “they rescued me”, ci dice, raccontando di aver riconosciuto il logo di Msf sul gazebo, lo stesso visto sulla pettorina delle persone che lo avevano soccorso nel mezzo del Mediterraneo, nel 2016. Ora, due anni dopo l’approdo in Italia, è sbarcato anche lui all’ex fabbrica della penicillina. Entra e inizia la sua prima visita: lamenta mal di testa frequenti. La dottoressa misura la pressione e compila una scheda.

      “I problemi di salute qui sono legati soprattutto alle condizioni di vita: non ci sono servizi igienici e c’è solo una presa d’acqua fredda, per centinaia di persone”, spiega Al Rousan. La patologia più comune, aggiunge “è quella respiratoria dovuta al freddo o all’aria che respirano; l’unico modo che hanno per scaldarsi è accendere il fuoco, con tutti i rischi connessi: qualche giorno fa abbiamo assistito una persona completamente ustionata, in modo grave. Ha aspettato il nostro arrivo, non ha voluto andare a farsi vedere in un ospedale”. Di incendi qui ce ne sono stati diversi, come rivelano i muri anneriti di interi spazi. L’ultimo, a fine gennaio 2018, ha richiesto l’intervento dei vigili del fuoco, dopo l’esplosione di una bombola del gas. Quando cala la sera, le luci dei fuochi accesi e le fiammelle delle candele spezzano il buio totale degli edifici.

      “Questo è un posto estremo, dove l’esclusione è totale”, sottolinea Al Rousan. Dopo aver subito vari traumi nel viaggio e poi in Libia, trovarsi in questa condizione significa vedere infranto il sogno di potersi integrare, di costruirsi una nuova vita. Lavoro da tanti anni in situazioni simili, ma non ho mai visto una cosa del genere. E non pensavo potesse esserci un posto così a Roma”.
      La normalità dell’esclusione

      La fabbrica è occupata da diversi anni, e come in tutti gli insediamenti informali, gli abitanti hanno ricostruito una parvenza di normalità. Lamin, che viene dal Gambia, gestisce un piccolo market all’ingresso di uno dei capannoni principali. I prodotti li acquista al mercato di piazza Vittorio, dove si trovano i cibi di tutto il mondo. Qui vende aranciata, farina, zucchero, fagioli, candele e i dadi marca Jumbo, indispensabili – ci dice – per preparare qualsiasi piatto africano.

      Ha poco più di vent’anni e prima di arrivare qui viveva a via Vannina, in un altro stabile occupato, poco lontano. Nel violento sgombero del giugno 2017, è volato giù dalle scale e ancora, dice, “ho dolori frequenti alle ossa”. La fabbrica è diventata la sua nuova casa.

      Victor, 23 anni, è arrivato invece all’ex Penicillina dopo un periodo trascorso in un centro di accoglienza a Lecce, mentre era in corso la sua domanda d’asilo. Ottenuto lo status di rifugiato ha deciso di spostarsi a Roma per cercare lavoro, ma non parla neanche una parola di italiano. Il suo sogno è fare il giornalista. Nel suo paese, la Nigeria, ha studiato Comunicazione: “sono grato al governo italiano per quanto ha fatto per me”, dice, “ma non pensavo che una volta arrivato in Italia mi sarei trovato in questa situazione: quando sono arrivato a Roma ho vissuto un periodo alla stazione Termini. Faceva freddo e la temperatura di notte arrivava quasi allo zero. Un connazionale mi ha parlato di questo posto, mi ha detto che qui almeno potevo farmi una doccia. Invece, una volta arrivato ho scoperto che c’era solo una fontanella per l’acqua”. Come tutti, spera di andarsene presto. “Questo luogo cambia le persone, rallenta ogni aspirazione e io, invece, il mio sogno lo vorrei realizzare”, ci dice con uno sguardo vivace.

      Nel reticolo di capannoni, corridoi e cortili, ci sono altri piccoli bar e negozi: l’ultimo è stato aperto pochi giorni fa. Sulla facciata troneggia la bandiera giallorossa della squadra di calcio della Roma. Raffigura la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: qui è quasi un paradosso, quell’immagine simbolo di mamma Roma, patria dell’accoglienza.


      http://openmigration.org/analisi/nellex-fabbrica-di-penicillina-il-grande-ghetto-di-roma
      #Rome

    • Il sistema di accoglienza italiano verso il default organizzativo e morale

      Sono pubblicate da tempo le relazioni della Commissione di inchiesta della Camera dei deputati sui Centri per stranieri. Relazioni che censuravano l’utilizzo degli Hotspot come strutture detentive e chiedevano la chiusura del mega CARA di Mineo. Ma il governo e le prefetture non hanno svolto quel lavoro di pulizia con la estromissione del marcio che risultava largamente diffuso da nord e sud. Una operazione che sarebbe stata doverosa per difendere i tanti operatori e gestori dell’accoglienza che fanno il proprio dovere e che avrebbe permesso di rintuzzare uno degli argomenti elettorali più in voga nella propaganda politica delle destre, appunto gli sprechi e gli abusi verificati da tutti ormai all’interno dei centri di accoglienza, soprattutto in quelli appaltati direttamente dalle prefetture, i Centri di accoglienza straordinaria (CAS), la parte più consistente del sistema di accoglienza italiano.

      https://www.a-dif.org/2018/02/27/il-sistema-di-accoglienza-italiano-verso-il-default-organizzativo-e-morale

    • Ventimiglia. Prima della neve. Un report del gruppo di medici volontari del 27 febbraio scorso tratto dal blog Parole sul Confine

      Sabato 27 febbraio è stata una giornata di lavoro intenso sotto al ponte di via Tenda.

      Avremmo fatto almeno 40 visite.

      Rispetto alla scorsa estate ci sono più persone che vivono sotto al ponte del cavalcavia lungo al fiume, con un numero senza precedenti di donne e bambini anche molto piccoli.

      L’insediamento sembra sempre più stabile, con baracche costruite con pezzi di legno e teli di plastica. Le persone che vivono lì sono prevalentemente eritree e sudanesi. Al momento, tutte le donne sole e le madri sono eritree.

      Le persone che abbiamo visitato erano giovanissime. Tantissime affette da scabbia. Spesso con sovra-infezioni molto importanti. Grazie alla nostra disponibilità di farmaci e grazie alle scorte di indumenti stivati presso l’infopoint Eufemia abbiamo potuto somministrare il trattamento anti scabbia a molte persone, dopo esserci assicurati che avessero compreso come eseguire correttamente tutta la procedura.

      http://www.meltingpot.org/local/cache-vignettes/L440xH294/parole-sul-confine-tende-ponte-roia-3ad5b.png?1520066845
      http://www.meltingpot.org/Ventimiglia-Prima-della-neve.html
      #froid #hiver

    • Purgatory on the Riviera

      Ventimiglia is idyllic. It sits just across the Italian border from the French Riviera. The piercingly blue waters of the Mediterranean churn against its rocky beaches, and its buildings, painted in earthy pastels, back up against the foothills of the Alps. On Fridays, the normally quiet streets are bustling with French tourists who cross the border by car, train, and bicycle to shop in its famous markets where artisans and farmers sell clothes, leather items, fresh produce, truffles, cheeses and decadent pastries. Families with young children and elderly couples stroll along the streets and sit at sidewalk cafes or eat in one of the many restaurants along the shore.


      https://www.irinnews.org/special-report/2017/12/04/purgatory-riviera

    • Ex Penicillina. Dall’evacuazione alla bonifica: 4 mosse per uscire dal ghetto

      La proposta degli abitanti per evitare lo sgombero coatto, più volte annunciato dal ministro Salvini. All’interno circa 200 persone, tra cui alcuni italiani. “Va data a tutti un’alternativa e la fabbrica bonificata e riconsegnata alla città”


      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/606113/Ex-Penicillina-Dall-evacuazione-alla-bonifica-4-mosse-per-uscire-da

    • Nell’ex fabbrica di penicillina, un ghetto di Roma

      Oggi viene presentata la seconda edizione di “Fuori campo”, il rapporto di Medici Senza Frontiere sulla marginalità, secondo il quale “sono almeno 10.000 le persone escluse dall’accoglienza, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche”. Una cinquantina gli insediamenti mappati dall’organizzazione in tutta Italia, 3500 le persone che vivono in occupazioni, baracche e “ghetti” nella sola Roma. Open Migration è entrata dentro il “gran ghetto” della capitale: un’ex fabbrica di penicillina in cui le condizioni di vita sono estreme.

      Appena finisce di spaccare le cassette della frutta e il legname di recupero, Alecu Romel entra nella casa in cui vive con la moglie Maria. Nella stanza d’ingresso, una luce fioca illumina il fornello, collegato ad una bombola a gas. A destra, in un locale spoglio, la coppia tiene una bicicletta e dei passeggini, riadattati per raccogliere ferrivecchi e oggetti abbandonati per strada. Sulla sinistra, una porta rossa separa dalla zona notte: una camera con due letti, la televisione e stampe colorate appese alle pareti.

      “Viviamo in questo appartamento da cinque anni e cerchiamo di tenerlo sempre in ordine”, dice Maria. A cedere loro lo spazio, un altro cittadino della Romania, che dentro la Ex-Penicillina, una delle più grandi aree industriali dismesse di Roma, si era inventato un angolo di intimità arredando alcuni dei locali più piccoli, che un tempo erano probabilmente uffici. In cinque anni di vita fra i capannoni scrostati, Alecu e Maria hanno visto cambiare l’insediamento. “Prima eravamo più rumeni e ci sono state anche famiglie italiane”, continua la donna, “mentre adesso gli abitanti sono cresciuti, e quasi tutti sono africani”.

      Oggi, come allora, il sogno di ricongiungersi con i due figli, affidati ai nonni in Romania, appare lontano: “questo non è un posto per bambini, ci sono topi e sporcizia, non ci si sente sicuri, ma almeno quei pochi soldi che guadagnamo ci permettono di mantenerli a casa, di fargli fare una vita migliore della nostra”, conclude Maria, la voce rassegnata.
      Fra i capannoni del “grande ghetto”

      Sempre più sogni si infrangono dietro la facciata del complesso, che costeggia via Tiburtina, una delle arterie più trafficate della città. Qui i cantieri per il raddoppio della carreggiata vanno avanti da anni: “finite ‘sti lavori!! più che una consolare sembra una via Crucis” è l’urlo che i cittadini hanno affidato ai cartelli affissi sui muri. Siamo all’altezza della periferia operaia di San Basilio, oggi nota alle cronache anche come base per lo spaccio di stupefacenti.

      Rifugiati e richiedenti asilo, arrivati in Italia negli ultimi anni e usciti dal sistema d’accoglienza, hanno infatti trovato qui un riparo precario, aprendo un nuovo capitolo nella storia del complesso, un tempo orgoglio dell’industria italiana. Aperta come Leo – Industrie Chimiche Farmaceutiche Roma, la Ex-Penicillina è stata la prima fabbrica italiana a produrre antibiotici. Una storia complessa, intrecciata ai piani di investimento del secondo dopoguerra, supportati dagli Usa, e alle speculazioni edilizie che avrebbero cambiato il volto della capitale.

      All’inaugurazione dell’impianto, nel 1950, fu invitato lo stesso sir Alexander Fleming, scopritore della penicillina. Un graffito, nello scheletro esterno della struttura, lo ritrae pensieroso: “ti ricordi quando eravamo i più grandi?”, recita la scritta. Il quotidiano “L’Unità” aveva dedicato un paginone all’evento, col titolo “la più grande fabbrica di penicillina d’Europa inaugurata a Roma”. Dagli oltre 1300 operai degli anni Sessanta, si passò però presto a poche centinaia, fino all’abbandono totale dell’attività, alla fine degli anni Novanta. Un altro sogno, quello di una cordata di imprenditori, che volevano demolirla per fare spazio a un maxi-albergo di alta categoria, si infranse di fronte ai costi per lo smaltimento di rifiuti chimici e amianto, tuttora presenti nell’area.

      “Questo posto lo chiamano il grande ghetto”, ci dice Ahmad Al Rousan, coordinatore per Medici senza frontiere dell’intervento nei campi informali, mentre entriamo dentro uno degli stabilimenti con una torcia, perché qui manca tutto, anche l’elettricità. Camminiamo tra spazzatura, escrementi e resti della vecchia fabbrica: ampolle, fiale, scatole di medicinali su cui c’è ancora la bolla di accompagnamento. “C’è un posto qui vicino, il piccolo ghetto, qui ci sono circa 500 persone, lì 150”, aggiunge. “Non solo chiamano questi luoghi ghetti, ma chi ci vive si sente anche ghettizzato”.

      In questa area industriale abbandonata ci sono persone che arrivano da diverse parti del mondo: nord Africa, Sub Sahara, Pakistan, Afghanistan, Romania, e c’è anche un italiano. La maggior parte sono titolari di protezione internazionale, altri in attesa di essere ascoltati dalla commissione territoriale che dovrà decidere sulla richiesta d’asilo, altri ancora hanno il permesso di soggiorno scaduto. Tutti sono fuori dall’accoglienza per qualche motivo.
      Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      Come denuncia “Fuori campo”, l’ultimo rapporto di Medici Senza Frontiere, in tutta Italia ci sono almeno 10 mila persone in questa condizione, alloggiate in insediamenti informali con limitato o nessun accesso ai beni essenziali e alle cure mediche. Nella capitale la maggior parte si concentra proprio qui, nella zona est, tra la Tiburtina e la Casilina, passando per Tor Cervara. Edifici abbandonati, ex fabbriche e capannoni, sono diventati la casa di centinaia tra migranti e rifugiati. Che ci vivono da invisibili in condizioni disumane, senza acqua, luce e gas, spesso a ridosso di discariche abusive.

      Da novembre 2017, l’Ong ha avviato un intervento con un’unità mobile composta da un medico, uno psicologo e un mediatore culturale, e da qualche settimana il camper è arrivato anche all’ex Leo. Quella di Msf è l’unica presenza esterna negli spazi dell’occupazione: gli operatori vengono qui una volta alla settimana, dal primo pomeriggio alla sera, per portare assistenza medica e psicologica agli abitanti. Un piccolo gazebo allestito nella parte esterna degli edifici fa da ambulatorio, la sala d’attesa è, invece, lo spazio antistante, un tavolino da campeggio, qualche sedia pieghevole e una lampada. Per chi abita qui questo momento è diventato un rito, c’è chi viene per la prima volta, chi torna per un controllo, chi viene solo per chiacchierare.

      Un ragazzo si avvicina con aria timida: “they rescued me”, ci dice, raccontando di aver riconosciuto il logo di Msf sul gazebo, lo stesso visto sulla pettorina delle persone che lo avevano soccorso nel mezzo del Mediterraneo, nel 2016. Ora, due anni dopo l’approdo in Italia, è sbarcato anche lui all’ex fabbrica della penicillina. Entra e inizia la sua prima visita: lamenta mal di testa frequenti. La dottoressa misura la pressione e compila una scheda.

      “I problemi di salute qui sono legati soprattutto alle condizioni di vita: non ci sono servizi igienici e c’è solo una presa d’acqua fredda, per centinaia di persone”, spiega Al Rousan. La patologia più comune, aggiunge “è quella respiratoria dovuta al freddo o all’aria che respirano; l’unico modo che hanno per scaldarsi è accendere il fuoco, con tutti i rischi connessi: qualche giorno fa abbiamo assistito una persona completamente ustionata, in modo grave. Ha aspettato il nostro arrivo, non ha voluto andare a farsi vedere in un ospedale”. Di incendi qui ce ne sono stati diversi, come rivelano i muri anneriti di interi spazi. L’ultimo, a fine gennaio 2018, ha richiesto l’intervento dei vigili del fuoco, dopo l’esplosione di una bombola del gas. Quando cala la sera, le luci dei fuochi accesi e le fiammelle delle candele spezzano il buio totale degli edifici.

      “Questo è un posto estremo, dove l’esclusione è totale”, sottolinea Al Rousan. Dopo aver subito vari traumi nel viaggio e poi in Libia, trovarsi in questa condizione significa vedere infranto il sogno di potersi integrare, di costruirsi una nuova vita. Lavoro da tanti anni in situazioni simili, ma non ho mai visto una cosa del genere. E non pensavo potesse esserci un posto così a Roma”.
      La normalità dell’esclusione

      La fabbrica è occupata da diversi anni, e come in tutti gli insediamenti informali, gli abitanti hanno ricostruito una parvenza di normalità. Lamin, che viene dal Gambia, gestisce un piccolo market all’ingresso di uno dei capannoni principali. I prodotti li acquista al mercato di piazza Vittorio, dove si trovano i cibi di tutto il mondo. Qui vende aranciata, farina, zucchero, fagioli, candele e i dadi marca Jumbo, indispensabili – ci dice – per preparare qualsiasi piatto africano.

      Ha poco più di vent’anni e prima di arrivare qui viveva a via Vannina, in un altro stabile occupato, poco lontano. Nel violento sgombero del giugno 2017, è volato giù dalle scale e ancora, dice, “ho dolori frequenti alle ossa”. La fabbrica è diventata la sua nuova casa.

      Victor, 23 anni, è arrivato invece all’ex Penicillina dopo un periodo trascorso in un centro di accoglienza a Lecce, mentre era in corso la sua domanda d’asilo. Ottenuto lo status di rifugiato ha deciso di spostarsi a Roma per cercare lavoro, ma non parla neanche una parola di italiano. Il suo sogno è fare il giornalista. Nel suo paese, la Nigeria, ha studiato Comunicazione: “sono grato al governo italiano per quanto ha fatto per me”, dice, “ma non pensavo che una volta arrivato in Italia mi sarei trovato in questa situazione: quando sono arrivato a Roma ho vissuto un periodo alla stazione Termini. Faceva freddo e la temperatura di notte arrivava quasi allo zero. Un connazionale mi ha parlato di questo posto, mi ha detto che qui almeno potevo farmi una doccia. Invece, una volta arrivato ho scoperto che c’era solo una fontanella per l’acqua”. Come tutti, spera di andarsene presto. “Questo luogo cambia le persone, rallenta ogni aspirazione e io, invece, il mio sogno lo vorrei realizzare”, ci dice con uno sguardo vivace.

      Nel reticolo di capannoni, corridoi e cortili, ci sono altri piccoli bar e negozi: l’ultimo è stato aperto pochi giorni fa. Sulla facciata troneggia la bandiera giallorossa della squadra di calcio della Roma. Raffigura la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo: qui è quasi un paradosso, quell’immagine simbolo di mamma Roma, patria dell’accoglienza.

      https://openmigration.org/analisi/nellex-fabbrica-di-penicillina-il-grande-ghetto-di-roma

  • Paris : Situation toujours critique pour les #adolescents migrants arrivant seuls

    Des procédures défectueuses les privent de services essentiels.
    À Paris, les autorités de protection de l’enfance ont recours à des procédures défectueuses qui aboutissent à des refus arbitraires de reconnaissance du statut de mineur à des enfants migrants non accompagnés, privant nombre d’entre eux d’une assistance dont ils ont désespérément besoin.

    A l’instar de la situation décrite dans son rapport en juillet 2018, Human Rights Watch a constaté que les autorités procèdent toujours à des évaluations sommaires de l’âge des jeunes migrants pour déterminer leur éligibilité à des services, enfreignant les normes internationales et la réglementation française. Des enfants sont ainsi privés des services essentiels auxquels ils ont droit, comme l’accès à l’hébergement, à l’éducation et à la santé. En conséquence, beaucoup d’entre eux sont forcés de dormir dans la rue.

    « Des enfants migrants non accompagnés arrivés à Paris sont à la rue en raison de procédures injustes », selon Bénédicte Jeannerod, directrice France de Human Rights Watch. « Les autorités de protection de l’enfance devraient s’assurer qu’aucun enfant n’est en danger à cause de procédures d’évaluation de leur âge bâclées et arbitraires. »

    Des responsables des autorités en charge de la protection de l’enfance à Paris ont affirmé avoir déjà pris des mesures pour régler ces problèmes, alors même que Human Rights Watch évoquait ces préoccupations dans son rapport de juillet. Mais des entretiens avec des enfants s’étant présentés pour faire évaluer leur âge en août et septembre 2018, ainsi qu’un examen des documents qui leur ont été remis indiquent que peu de choses ont changé.

    Selon la réglementation française, les autorités sont censées suivre une procédure d’évaluation de l’âge étendue et pluridisciplinaire, ce qui implique normalement des entretiens de plusieurs heures.

    Par exemple, un jeune Afghan de seize ans a confié à Human Rights Watch que les autorités avaient conclu qu’il n’était pas un enfant après lui avoir parlé pendant vingt minutes, le jour de son arrivée à Paris. De même, une association humanitaire ayant suivi une centaine de jeunes cherchant à être formellement reconnus en tant qu’enfants, a constaté que 60 % d’entre eux avaient été soumis à un entretien d’évaluation sommaire d’une vingtaine de minutes seulement.

    Selon la loi française, les enfants migrants non accompagnés ont droit à un hébergement, à l’éducation et à d’autres services sociaux. Cependant, ils doivent pour cela être officiellement reconnus mineurs par les autorités. Les différences significatives en matière d’accès aux services et de statut légal accordé aux enfants migrants, en vertu du Code de l’action sociale et des familles, par rapport aux adultes migrants, peuvent inciter des jeunes adultes à donner de fausses informations sur leur âge. Si les autorités ont de sérieux doutes quant à l’âge d’une personne affirmant avoir moins de 18 ans, elles peuvent prendre des mesures adéquates pour déterminer son âge, à condition qu’elles le fassent dans le respect des normes en vigueur garantissant le respect de leurs droits et de leur dignité.

    La réglementation permet également aux enfants non accompagnés de bénéficier d’un accueil provisoire d’urgence d’une durée de cinq jours, et parfois plus, avant leur entretien. Les travailleurs humanitaires insistent sur l’importance de laisser aux enfants non accompagnés le temps de récupérer après leur voyage, avant de passer les entretiens d’évaluation de l’âge. Sophie Laurant, Coordinatrice du programme Mineurs non Accompagnés de Médecins du Monde, a expliqué à Human Rights Watch qu’un temps de répit lorsque l’enfant arrive dans la ville est impérativement nécessaire à la bonne conduite de l’évaluation.

    Mais dans de nombreux cas, les autorités interviewent les enfants non accompagnés dès leur arrivée au DEMIE (Dispositif d’évaluation des mineurs isolés étrangers), impliquant que ces derniers aient à répondre à des questions détaillées sans comprendre le but de l’entretien. Certains enfants ont confié à Human Rights Watch qu’ils venaient juste d’arriver à Paris, qu’ils n’avaient pas pu dormir, se doucher ni changer de vêtements avant leur entretien « J’étais vraiment fatigué. Je ne me souviens même pas de ce qu’ils m’ont demandé ni de ce que je leur ai dit », a dit un jeune de seize ans au sujet de son entretien, qui a eu lieu mi-septembre.

    Les autorités continuent de se baser sur des motifs non-valables pour conclure qu’une personne est adulte. Les jeunes se voient souvent refuser le statut de mineur s’ils n’ont pas de documents d’identité. Le fait d’avoir travaillé dans le pays d’origine ou pendant le parcours migratoire vers l’Europe est également souvent invoqué comme motif d’une décision négative, alors que de nombreux enfants à travers le monde travaillent. Les autorités de protection de l’enfances se sont aussi fréquemment basées sur des critères subjectifs comme la « posture d’ensemble » ou le comportement.

    Notre enquête montre de légères améliorations dans les procédures des autorités de protection de l’enfance au cours des trois derniers mois. Un seul des enfants que nous avons interviewés en août et en septembre a été refusé à l’entrée de la structure, alors que c’était une pratique courante plus tôt dans l’année. Pour autant, des organisations humanitaires nous ont indiqué avoir eu d’autres cas d’enfants ainsi rejetés et ce, début septembre.

    Autre amélioration, tous les enfants interviewés, sauf un, ont reçu une lettre de la Direction de l’action sociale, de l’enfance et de la santé (DASES) indiquant les motifs du refus de reconnaissance de leur minorité. Une notification écrite permet aux jeunes migrants de déposer un recours contre cette décision devant le juge des enfants.

    Un recours prend plusieurs mois voire plus, durant lesquels les jeunes migrants ne peuvent avoir accès ni aux services de protection de l’enfance, ni aux hébergements d’urgence pour migrants adultes. Certains reçoivent de l’aide d’associations et de réseaux bénévoles. Mais beaucoup vivent dans la rue, où ils sont exposés à de nombreux risques, notamment l’exploitation et le travail illégal ou dangereux. « Dans la rue, on voit des enfants vendre du hashish ou d’autres drogues – ils n’ont rien à manger », nous a dit un jeune Guinéen de quinze ans. « Tu es obligé de prendre des risques ».

    Pendant toute la durée de leur recours contre une évaluation négative de l’âge, les enfants non accompagnés n’ont pas non plus accès à la scolarité ou à l’apprentissage auxquels ils auraient pu prétendre en tant qu’enfant.

    Les autorités de protection de l’enfance de Paris devraient veiller à ce que tous les enfants migrants non accompagnés bénéficient de l’évaluation complète et pluridisciplinaire à laquelle ils ont droit en vertu de la réglementation française, a déclaré Human Rights Watch. Les autorités chargées de la protection de l’enfance devraient également veiller à ce que les enfants non accompagnés bénéficient d’un hébergement d’urgence et d’informations préalables adéquates sur l’objet de l’évaluation, afin de leur permettre de se remettre de leur voyage, de se préparer et de participer efficacement à l’évaluation. Les jeunes devraient bénéficier d’un hébergement en attendant que leur recours soit examiné.

    « Les autorités de protection de l’enfance de Paris ont entamé le processus pour remplir leurs obligations au titre de la réglementation française et des normes internationales », a déclaré Bénédicte Jeannerod. « Elles doivent d’urgence mettre en place de nouvelles mesures pour s’assurer que les procédures d’évaluation de l’âge soient conformes à ces normes. »

    Dans un rapport publié en juillet sur la base d’une enquête effectuée entre février et juin 2018, Human Rights Watch a documenté le caractère arbitraire et défectueux des procédures d’évaluation de l’âge d’enfants migrants non accompagnés cherchant à faire reconnaître leur statut d’enfant par les services de protection de l’enfance à Paris. Human Rights Watch a poursuivi son enquête en août et septembre pour examiner les mesures que les autorités disent avoir prises pour mettre fin aux graves manquements identifiés dans le rapport de juillet.

    Human Rights Watch s’est entretenu avec 19 adolescents migrants à Paris se présentant comme étant des enfants de moins de 18 ans. Ce total comprend ceux s’étant présentés au Dispositif d’évaluation des mineurs isolés étrangers de Paris (DEMIE) entre le 4 juillet et le 20 septembre pour faire évaluer leur âge. Human Rights Watch s’est également entretenu avec des travailleurs humanitaires et des avocats travaillant avec des jeunes migrants, et a examiné 21 lettres de refus émises par la Direction de l’action sociale, de l’enfance et de la santé (DASES).

    Entretiens sommaires et défectueux

    Des enfants qui se sont rendus au DEMIE au mois d’août et septembre affirment avoir été évalués lors d’entretiens d’une durée allant de deux à vingt minutes, exception faite d’un enfant interrogé pendant plus d’une heure.

    Les témoignages concordants de deux organisations humanitaires suggèrent qu’un grand nombre d’enfants qui se rendent au DEMIE font l’objet d’une courte entrevue d’environ vingt minutes, qui semble presque toujours se terminer par un refus verbal et des instructions de revenir le lendemain pour récupérer la décision écrite. Chaque semaine, quelques enfants reçoivent un rendez-vous pour un entretien complet.

    Certains jeunes continuent d’être refoulés sommairement à la porte sans être interviewés (la pratique dite du « refus de guichet »). Un jeune Guinéen de seize ans a affirmé à Human Rights Watch le 20 septembre que la personne à l’accueil l’avait sommairement rejeté à la porte ce matin-là. « Ils m’ont dit qu’ils m’avaient déjà vu (...) et moins d’une minute plus tard, j’ai dû partir », a-t-il dit, ajoutant qu’il ne s’était jamais rendu au DEMIE auparavant. Deux associations humanitaires ont décrit des cas similaires, quoiqu’en moins grand nombre qu’au premier semestre 2018.

    Les autorités en charge de la protection de l’enfance sont autorisées à refuser sommairement l’accès aux personnes qui ont manifestement plus de 18 ans. Lorsque Human Rights Watch a rencontré un responsable de la Croix-Rouge française, l’association en charge des évaluations de l’âge à Paris dans le cadre d’une délégation du département, il a affirmé, à titre d’exemple, qu’une personne qui semblait avoir la quarantaine serait renvoyée sans entretien. Or, aucun des jeunes à qui Human Rights Watch a parlé et affirmant s’être vu refuser un entretien ne semblait avoir clairement plus de 18 ans aux yeux des chercheurs de Human Rights Watch.

    La réglementation française stipule que les entretiens doivent être conduits de manière « empreinte de neutralité et de bienveillance », et les normes internationales exigent un environnement « sûr » et un traitement « équitable », d’une manière qui tienne compte de l’âge, du sexe, de la maturité psychologique et de l’état émotionnel des enfants.

    L’enquête menée entre février et juin 2018 a fait ressortir que les autorités ne respectaient pas pleinement ces normes, et les témoignages de jeunes interrogés en août et septembre indiquent que ces problèmes persistent. Dans un récit emblématique, un Ivoirien de seize ans a déclaré le 29 août que son entrevue deux semaines plus tôt l’avait mis mal à l’aise, l’empêchant de raconter son histoire : « Je me suis senti gêné. Il [l’évaluateur] ne me mettait pas à l’aise. Je vois bien qu’ils sont méchants, pas sympas avec moi. »

    Le personnel ne mène pas toujours les entretiens dans une langue que les enfants non accompagnés comprennent. Médecins Sans Frontières a eu plusieurs cas de ce genre, comme celui d’un garçon éthiopien évalué en anglais, alors qu’il n’avait pas été en mesure de communiquer dans cette langue les détails de ses antécédents au personnel de Médecins Sans Frontières.

    Accès adéquat à un hébergement temporaire

    La réglementation française exige que les autorités fournissent un accueil provisoire d’urgence de cinq jours pendant qu’elles évaluent la situation de l’enfant. La plupart des jeunes interrogés ont pourtant été évalués dès leur présentation au dispositif et n’ont pas eu le temps de se reposer, alors même que beaucoup venaient d’arriver à Paris après des semaines ou des mois de parcours migratoire.

    Au lieu de cela, de nombreux enfants migrants non accompagnés n’ont accès qu’à une nuit d’hébergement, et seulement après leur entretien. Seuls deux enfants interviewés ont dit avoir bénéficié d’une mise à l’abri provisoire avant leur entretien, l’un pendant une semaine et demie, l’autre pendant deux semaines.

    L’association qui a recueilli une centaine de témoignages de jeunes qui se sont rendus au DEMIE en août et en septembre a estimé sur cette base « [qu’] environ 60 % sont évalués immédiatement puis mis à l’hôtel une seule nuit avant de recevoir leur lettre de refus le lendemain et [qu’]environ 40 % sont mis à l’abri quelques nuits avant d’être évalués plus longuement, en moyenne dix nuits en ce moment. »

    Le temps de repos et de récupération avant d’être évalué est crucial pour une évaluation précise de l’âge. Comme l’a expliqué Sophie Laurant, Coordinatrice du programme Mineurs non Accompagnés de Médecins du Monde : « Compte tenu de leur profil, de leur histoire, de leur état [de santé] à leur arrivée en France, un temps de répit est impérativement nécessaire et un accès aux soins somatiques et psychiques requis sans délai. Un jeune ne peut correctement être évalué que s’il n’est plus en état de souffrance (traumatisme physique, errance psychique, sidération, syndrome de stress post traumatique, etc.), s’il comprend ce qu’il se passe, pourquoi l’évaluateur pose telle ou telle question. »

    Selon Médecins Sans Frontières, qui a accueilli 129 enfants dans son Centre pour enfants migrants non accompagnés entre le 1er juillet et le 31 août, ces enfants sont physiquement et psychologiquement épuisés lorsqu’ils arrivent, après des voyages très difficiles, quel que soit leur itinéraire.

    Motifs de refus arbitraires

    Dans une évolution positive par rapport à une pratique en cours début 2018, les jeunes reçoivent maintenant régulièrement des notifications écrites de refus de leur minorité. Pour autant, les lettres de refus délivrées en juillet, août et septembre que Human Rights Watch a pu examiner continuent de se baser sur des motifs qui semblent à la fois subjectifs et arbitraires.

    Les lettres utilisent des arguments génériques, souvent rédigés dans des termes identiques, avec peu ou pas de références aux antécédents individuels de l’enfant ou à d’autres détails de l’entretien. La DASES a fourni la plupart de ces lettres de refus dès le lendemain de l’entretien.

    L’absence de documents d’identité, ou le fait que ceux présentés « ne peuvent être directement rattachés » à l’enfant évalué, continuent d’être invoqués comme des motifs de rejet, alors même que de nombreuses personnes quittent leur domicile sans leurs papiers d’identité ou les perdent en route, et que les actes de naissance ne comportent pas de photo. L’un des enfants que nous avons interviewés en août a expliqué : « La personne m’a dit directement ‘on ne peut rien faire pour toi’ car je n’ai pas d’extrait de naissance. On m’a dit de revenir le lendemain pour récupérer le papier de refus. »

    Le fait d’avoir travaillé avant ou pendant le parcours migratoire, ou de voyager seul, continue d’être vu comme un signe de maturité, et donc de majorité, alors que de nombreux enfants à travers le monde voyagent seuls ou travaillent, comme Human Rights Watch l’a documenté dans de nombreux pays du monde. Dix-huit des 21 lettres consultées évoquent le fait d’avoir voyagé seul, d’avoir travaillé ou été autonome pendant le parcours migratoire, ou d’avoir financé seul le voyage comme des signes que la personne n’est pas un enfant.

    Par exemple, la lettre remise à un jeune Camerounais disant avoir 17 ans indique refuser de reconnaître sa minorité au motif que « l’autonomie dont [il a] fait preuve durant [son] parcours migratoire – en travaillant pour le financer – n’est pas compatible avec l’âge qu’[il déclare] ».

    Comme l’avait déjà souligné Human Rights Watch dans son rapport de juillet, si un enfant livre un récit jugé trop détaillé de sa vie et communique bien, cela peut être une cause de rejet car perçu comme un signe de maturité. À l’inverse, le manque de précisions ou de cohérence est invoqué comme un motif de rejet.

    Par exemple, la lettre d’un jeune Sénégalais de quinze ans explique que « [son] récit est relaté de manière non spontanée » et que « [son] parcours migratoire est insuffisamment détaillé et manque de précisions ».

    Ces exigences semblent excessives pour des adolescents arrivant tout juste d’un périple migratoire long, éprouvant et parfois traumatisant, vivant souvent à la rue, et devant passer un entretien stressant. Cette exigence de précision et de cohérence semble aussi contradictoire avec la courte durée des entretiens, ne permettant pas un récit détaillé.

    Un autre motif de rejet fréquent est le fait que les « connaissances scolaires [de l’individu évalué] ne correspondent pas au parcours décrit et sont en net décalage avec celles d’un adolescent de l’âge [déclaré] », ou considèrent que le jeune fait preuve de « capacités de raisonnement et d’élaboration » ou d’« un mode de communication mature ». Des évaluations brèves et ponctuelles ne permettent pas de saisir les multiples facteurs pouvant expliquer qu’une personne peut paraître plus éloquente, avoir plus d’assurance, ou généralement paraître avoir davantage de connaissances que d’autres enfants du même âge ayant des expériences de vie différentes.

    Seize des 21 lettres de refus examinées s’appuient sur la « posture d’ensemble » du jeune pour lui refuser la minorité. Ce critère subjectif ne s’appuie sur aucun instrument validé permettant d’évaluer l’âge par le biais du comportement.

    Le Délégué national de la Croix-Rouge « Enfants et Familles » a admis lors de son entrevue avec Human Rights Watch fin mai 2018 que les agents de la Croix-Rouge qui mènent les évaluations à Paris ne disposaient en effet pas d’outil d’évaluation reconnu pour évaluer l’âge sur la base de l’attitude et du comportement. Au lieu de cela, les évaluateurs semblent se fier à des jugements subjectifs pour déterminer arbitrairement qui est un enfant et qui ne l’est pas. Ces décisions ont des conséquences immédiates et à long terme pour les enfants migrants non accompagnés.

    La réglementation française et les normes internationales exigent que l’évaluation de l’âge se fasse dans un cadre qui tienne compte des facteurs psychologiques, développementaux et culturels, et que les évaluations soient effectuées avec compétence et sensibilité. Les procédures utilisées devraient accorder le bénéfice du doute « de sorte que s’il existe une possibilité que l’individu soit un enfant, il devrait être traité comme tel ».

    Délais de recours

    Un enfant qui a été évalué majeur peut saisir le juge des enfants, mais les recours peuvent prendre des mois. Ladji, un jeune Ivoirien de quatorze ans, a expliqué avoir été refusé par la DASES en décembre 2017, mais ne toujours pas avoir reçu la décision du juge en septembre.

    Les délais augmentent pendant l’été, selon les avocats, parce que les vacances d’été ralentissent l’activité du tribunal pour enfants, de sorte que les juges convoquent moins d’enfants pour examiner leurs recours.

    Enfants à la rue

    L’une des conséquences des procédures d’évaluation de l’âge défectueuses est que de nombreux enfants sont livrés à eux-mêmes. À moins que des citoyens ne les accueillent, ils vivent à la rue.

    Sébastien D. dormait à la rue depuis que sa demande avait été refusée le 1er août. Au moment où Human Rights Watch s’est entretenu avec lui, cela faisait 17 jours qu’il dormait sur une place à Paris. « Depuis que j’ai été rejeté par le DEMIE, je dors à la rue, Place de la République. […] Pour dormir, tu cherches un angle, tu mets un carton. Si tu trouves un ancien gentil, il te donne une couverture. Car la nuit, il peut faire très froid. », nous a-t-il expliqué.

    Mamadou, un Malien de seize ans, nous a expliqué : « Le DEMIE m’a donné un papier m’expliquant d’appeler le 115 [le numéro d’urgence que les adultes en France peuvent appeler pour trouver un hébergement provisoire] pour avoir un endroit où dormir. J’ai appelé le 115, mais ils m’ont dit qu’ils ne pouvaient pas me prendre parce que je suis mineur. Je ne vais tout de même pas dire que je suis majeur juste pour ne pas dormir à la rue ! »

    Alioune, un Sénégalais de seize ans, dormait dans un parc depuis trois semaines au moment où Human Rights Watch s’est entretenu avec lui au mois d’août. Les autorités avaient rejeté sa demande de minorité deux mois plus tôt et il attendait toujours la réponse quant à son recours devant le juge.

    La solidarité et la générosité des citoyens acceptant d’héberger les enfants non accompagnés sont louables mais ne peuvent constituer une solution durable. L’aide de particuliers est trop incertaine et variable, et tributaire à la fois du nombre de citoyens se proposant comme hébergeurs et du nombre d’enfants non accompagnés arrivant sur le territoire français. Des associations humanitaires ont expliqué à Human Rights Watch que de nombreux enfants se sont retrouvés à la rue car beaucoup d’hébergeurs sont partis en vacances pendant l’été.

    https://www.hrw.org/fr/news/2018/10/05/paris-situation-toujours-critique-pour-les-adolescents-migrants-arrivant-seuls
    #France #MNA #mineurs_non_accompagnés #âge #mineurs #asile #migrations #réfugiés #hébergement #logement #SDF #sans-abri

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  • As homeless camp grows, #Minneapolis leaders search for a solution

    A large homeless camp has formed outside Minneapolis inhabited mostly by Native Americans. The city has responded by tending to people within the camp and planning a temporary shelter site rather than displacing them.

    When a disturbed woman pulled a knife on Denise Deer earlier this month, she quickly herded her children into their tent. A nearby man stepped in and the woman was arrested, and within minutes, 8-year-old Shilo and 4-year-old Koda were back outside sitting on a sidewalk, playing with a train set and gobbling treats delivered by volunteers.

    The sprawling homeless encampment just south of downtown Minneapolis isn’t where Ms. Deer wanted her family of six to be, but with nowhere else to go after her mother-in-law wouldn’t take them in, she sighed: “It’s a place.”

    City leaders have been reluctant to break up what’s believed to be the largest homeless camp ever seen in Minneapolis, where the forbidding climate has typically discouraged large encampments seen elsewhere. But two deaths in recent weeks and concern about disease, drugs, and the coming winter have ratcheted up pressure for a solution.

    “Housing is a right,” Mayor Jacob Frey said. “We’re going to continue working as hard as we can to make sure the people in our city are guaranteed that right.”

    As many as 300 people have congregated in the camp that took root this summer beside an urban freeway. When The Associated Press visited earlier this month, colorful tents and a few teepees were lined up in rows, sometimes inches apart and three tents deep. Bicycles, coolers, or small toys were near some tents, and some people had strung up laundry to air out.

    Most of the residents are Native American. The encampment – called the “Wall of Forgotten Natives” because it sits against a highway sound wall – is in a part of the city with a large concentration of American Indians and organizations that help them. Some have noted the tents stand on what was once Dakota land.

    “They came to an area, a geography that has long been identified as a part of the Native community. A lot of the camp residents feel at home, they feel safer,” said Robert Lilligren, vice chairman of the Metropolitan Urban Indian Directors.

    The encampment illuminates some problems that face American Indians in Minneapolis. They make up 1.1 percent of Hennepin County’s residents, but 16 percent of unsheltered homeless people, according to an April count. It’s also a community being hit harder by opioids – with Native Americans five times more likely to die from an overdose than whites, according to state health department data.

    One end of the camp appeared to be geared toward families, while adults – some of whom were visibly high – were on the other end. In the middle, a group called Natives Against Heroin was operating a tent where volunteers handed out bottles of water, food, and clothing. The group also gives addicts clean needles and sharps containers, and volunteers carry naloxone to treat overdoses.

    “People are respectful,” said group founder James Cross. “But sometimes an addict will be coming off a high.... We have to deescalate. Not hurt them, just escort them off. And say ’Hey, this is a family setting. This is a community. We’ve got kids, elders. We’ve got to make it safe.’”

    With dozens of people living within inches of each other, health officials also fear an outbreak of infectious diseases like hepatitis A. Medical professionals have started administering vaccines. In recent weeks, one woman died when she didn’t have an asthma inhaler, and one man died from a drug overdose.

    For now, service agencies have set up areas for camp residents to get medical care, antibiotics, hygiene kits, or other supplies. There’s a station advertising free HIV testing, a place to apply for housing, and temporary showers. Portable restrooms and hand-sanitizing stations have also been put up.

    But city officials know that’s not sustainable, especially as winter approaches. At an emergency meeting on Sept. 26, the City Council approved a plan to use land that’s primarily owned by the Red Lake Nation as the site for a “navigation center,” which will include temporary shelters and services.

    Because buildings need to be demolished, that site might not be ready until early December, concerning at least one council member. But Sam Strong of the Red Lake Nation said it’s possible the process could be expedited. Once camp residents are safe for the winter, finding more stable, long-term housing will be the goal. Several families have already been moved to shelters.

    Bear La Ronge Jr. moved to the encampment after he got full custody of his three kids and realized they couldn’t live along the railroad tracks where he’d been staying. Over several weeks, he watched the tent city grow, and wishes the drug users would be removed.

    “This place is so incorporated with drugs, needles laying everywhere,” Mr. La Ronge said. He pointed to a cardboard box outside his tent that contained toys. “I wake up every morning and look in my toy box and there’s five open needles in there because people walk by and just drop their needles in my kids’ toys. So I need to go somewhere else.”

    Angela Brown has been homeless for years. She moved to the tent city with her 4-month-old daughter, Raylynn, when it seemed to be her last option.

    “I’d rather be getting a house. I don’t like being dirty, waking up sweaty,” Ms. Brown said as she cradled her daughter.

    She said she did laundry at the camp and took showers, and living there was OK. But she was worried about her daughter, especially with winter coming.

    https://www.csmonitor.com/USA/2018/0927/As-homeless-camp-grows-Minneapolis-leaders-search-for-a-solution?cmpid=TW
    #peuples_autochtones #camps #USA #Etats-Unis #SDF #sans-abri #logement #hébergement

  • Il decreto immigrazione cancellerà lo Sprar, «sistema modello» di accoglienza

    Le scelte del governo: stretta su rifugiati e nuove cittadinanze. Vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri. Permessi umanitari cancellati. Hotspot chiusi per 30 giorni anche i richiedenti asilo.

    Permessi umanitari cancellati. Stretta su rifugiati e nuove cittadinanze. Vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri. Possibilità di chiudere negli hotspot per 30 giorni anche i richiedenti asilo. Trattenimento massimo nei centri prolungato da 90 a 180 giorni. E poi addio alla rete Sprar. I 17 articoli e 4 capi dell’ultima bozza del decreto migranti, che il governo si prepara a varare, promettono di ridisegnare il volto del «pianeta immigrazione». Soprattutto sul fronte accoglienza, abrogando di fatto un modello, quello dello Sprar, che coinvolge oggi oltre 400 comuni ed è considerato un modello in Europa.

    A denunciarlo è l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): «Cancellare l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona appare come uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni, destinato in caso di attuazione a produrre enormi conseguenze negative in tutta Italia, tanto nelle grandi città che nei piccoli centri, al Nord come al Sud».

    Ventitremila migranti accolti. «Lo Sprar - spiega a Repubblica Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi - è un sistema di accoglienza e protezione sia dei richiedenti asilo che dei titolari di protezione internazionale e umanitaria nato nel lontano 2002 con le modifiche al testo unico immigrazione della cosiddetta Bossi-Fini. Nei sedici anni della sua esistenza lo Sprar si è enormemente rafforzato passando da alcune decine di comuni coinvolti e meno di duemila posti di accoglienza nel 2002, ai circa ventitremila posti attuali con coinvolgimento di oltre 400 comuni».

    Un modello in Europa. «In ragione dei suoi successi nel gestire l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in modo ordinato con capacità di coinvolgimento dei territori, lo Sprar è sempre stato considerato da tutti i governi di qualunque colore politico il fiore all’occhiello del sistema italiano, da presentare in Europa in tutti gli incontri istituzionali, anche per attenuare agli occhi degli interlocutori, le gravi carenze generali dell’Italia nella gestione dei migranti».

    Il ruolo centrale dei comuni. «Il presupposto giuridico su cui si fonda lo Sprar è tanto chiaro quanto aderente al nostro impianto costituzionale: nella gestione degli arrivi e dell’accoglienza dei migranti allo Stato spettano gli aspetti che richiedono una gestione unitaria (salvataggio, arrivi e prima accoglienza, piano di distribuzione, definizione di standard uniformi), ma una volta che il migrante ha formalizzato la sua domanda di asilo la gestione effettiva dei servizi di accoglienza, protezione sociale, orientamento legale e integrazione non spetta più allo Stato, che non ha le competenze e l’articolazione amministrativa per farlo in modo adeguato, ma va assicurata (con finanziamenti statali) dalle amministrazioni locali, alle quali spettano in generale tutte le funzioni amministrative in materia di servizi socio-assistenziali nei confronti tanto della popolazione italiana che di quella straniera».
    Il business dei grandi centri. «Lo Sprar (gestito oggi da Comuni di centrosinistra come di centrodestra) ha assicurato ovunque una gestione dell’accoglienza concertata con i territori, con numeri contenuti e assenza di grandi concentrazioni, secondo il principio dell’accoglienza diffusa, di buona qualità e orientata ad inserire quanto prima il richiedente asilo nel tessuto sociale. Inoltre lo Sprar ha assicurato un ferreo controllo della spesa pubblica grazie a una struttura amministrativa centrale di coordinamento e all’applicazione del principio della rendicontazione in base alla quale non sono ammessi margini di guadagno per gli enti (associazioni e cooperative) che gestiscono i servizi loro affidati. Invece, da oltre un decennio, il parallelo sistema di accoglienza a diretta gestione statale-prefettizia, salvo isolati casi virtuosi, sprofonda nel caos producendo un’accoglienza di bassa o persino bassissima qualità con costi elevati, scarsi controlli e profonde infiltrazioni della malavita organizzata che ha ben fiutato il potenziale business rappresentato dalla gestione delle grandi strutture (come caserme dismesse, ex aeroporti militari) al riparo dai fastidiosi controlli sulla spesa e sulla qualità presenti nello Sprar».

    La fine dello Sprar. «Cancellare l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona appare come uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni. Che ne sarà di quelle piccole e funzionanti strutture di accoglienza già esistenti e delle migliaia di operatori sociali, quasi tutti giovani, che con professionalità, lavorano nello Sprar? Qualcuno potrebbe furbescamente sostenere che in fondo lo Sprar non verrebbe interamente abrogato ma trasformato in un sistema di accoglienza dei soli rifugiati e non più anche dei richiedenti asilo i quali rimarrebbero confinati nei centri governativi. È una spiegazione falsa, che omette di dire che proprio la sua caratteristica di sistema unico di accoglienza sia dei richiedenti che dei rifugiati dentro un’unica logica di gestione territoriale è ciò che ha reso lo Sprar un sistema efficiente e razionale. Senza questa unità non rimane più nulla».

    https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2018/09/21/news/migrazioni-206997314/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.4-T1
    #sprar (fin de -) #réfugiés #accueil #migrations #asile #Italie #hébergement #hotspot #décret #détention_administrative #rétention #protection_humanitaire #politique_d'asile #hotspots #it_has_begun #decreto_Salvini

    via @isskein

    • Publié sur la page FB de Filippo Furri :

      « Mi permetto di riprendere il commento della splendida Rosanna Marcato che è stata uno degli attori fondamentali di un percorso di sviluppo e crescita di un modello di accoglienza innovativo, che è alle fondamenta del mio lungo lavoro di ricerca sulla nozione di CITTà RIFUGIO : le città, le comunità locali, dove può realizzarsi la solidarietà concreta e reciproca, sono e devono rimanere luoghi di resistenza ai poteri fascisti che si diffondono dovunque, alla paranoia identitaria costruita a tavolino e iniettata nei cervelli e negli spiriti di spettatori impauriti e paranoici. lo SPRAR nasceva da forme di azione sperimentale «dal basso» e solidale (antifascista, antirazzista), che i governi autoritari e fascisti detestano e combattono.

      «L 11 settembre 2001 Venezia tra le prime città italiane ha dato il via ad un sistema di accoglienza (pna) che si è poi trasformato nello SPRAR. Era il frutto di esperienze di accoglienza, di saperi professionali e della volontà di costruire un sistema di accoglienza territoriale stabile e moderno. Un servizio sociale a tutti gli effetti con regole certe e rendicontazioni esatte e controllabili. Molte delle regole, degli strumenti e delle metodologie di lavoro che ancora funzionano furono elaborati da questa città e dal servizio che dirigevo. 27 anni di lavoro buttati nel cesso. Siate maledetti voi e anche quelli di prima che ci hanno ficcato in questa situazione di merda»

    • Immigrazione, Andrea Maestri: “Nel decreto Salvini tradisce il contratto di governo”

      Andrea Maestri critica il decreto Immigrazione: “Fino a oggi lo Sprar rappresentava un modello pubblico e trasparente nella gestione delle risorse. Chi adesso non rientra nel sistema Sprar non sparisce magicamente dal territorio. E quindi finirà nei Centri d’accoglienza straordinari, i Cas, che sono tutti privati”.

      Dopo aver licenziato l’atteso Dl Immigrazione, il ministro degli Interni Matteo Salvini, a proposito del futuro degli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e del ridimensionamento di questi centri in favore dei Cas, ha dichiarato: «Il rischio è inesistente, anche qui viene messo ordine in un sistema. Da quando sono ministro abbiamo ridotto di circa 20 mila unità le presenze in tutti questi tipi di strutture. Coloro che sono nel giusto come amministratori locali e come profughi non hanno nulla a che temere da questo provvedimento». In conferenza stampa il ministro degli Interni ha spiegato che il sistema Sprar continua a sopravvivere «limitatamente ai casi di protezione internazionale e dei minori non accompagnati». Ma stanno davvero così le cose? Ne abbiamo parlato con Andrea Maestri, della segreteria nazionale di Possibile.

      Nel contratto di governo si parlava di una diminuzione della capacità d’azione dei privati nella gestione dell’accoglienza. Con questo decreto la promessa non è stata mantenuta.

      Assolutamente no. Credo che qualunque osservatore attento non possa che gridare allo scandalo per questo gravissimo inadempimento, nei confronti soprattutto dei cittadini che hanno creduto nella buona fede di chi ha firmato il contratto di governo. Secondo quel contratto sembrava si volesse puntare sul modello pubblico e diffuso. E’ in corso al contrario una privatizzazione hard del sistema dell’accoglienza. Fino a oggi lo Sprar, anche se in modo minoritario, coinvolgendo gli enti locali, rappresentava un modello pubblico e trasparente nella gestione delle risorse, che venivano rendicontate. Nel momento in cui diventa uno strumento ulteriormente residuale, perché si rivolge solo a coloro che hanno già ottenuto la protezione internazionale – si parla appunto solo dei ‘titolari’, non più di richiedenti asilo che hanno fatto domanda – comincia a riguardare solo un numero ridotto di persone. Ma chi non rientra nel sistema Sprar non sparisce magicamente dal territorio, e quindi bisognerà trovargli un’altra collocazione: cioè nei Centri d’accoglienza straordinari, i Cas, che sono appunto tutti privati, gestiti dalle prefetture, ognuna con modalità diverse di scelta del contraente, con modalità di rendicontazione a macchia di leopardo.

      Ma Salvini sostiene l’opposto, cioè che questo rischio è inesistente.

      Se avesse ragione Salvini aumenterebbe il numero di persone che vivono per strada in una condizione di fragilità sociale umana ed esistenziale: se questi migranti non vengono accolti dai Comuni all’interno degli Sprar, se non se ne occupano le prefetture attarverso gli appaltatori privati all’interno dei Cas, vorrà dire che saranno in giro. Sono persone prive di documenti, che non possono fare contratti regolari di locazione, e nemmeno condividere contratti di locazione con altri. E questo sì che farà aumentare l’irregolarità e la criminalità organizzata e disorganizzata. Con un’unica conseguenza: aumenterà la percezione di insicurezza diffusa.

      Nel testo definitivo, all’articolo 2 è confermata la norma sugli appalti per i lavori nei centri, che possono essere affidati senza previa pubblicazione del bando di gara. E’ in linea con la Costituzione?

      C’è questa norma, ma con alcuni ritocchi. In pratica la procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando pubblico, può essere fatta per gli appalti sotto soglia comunitaria. Ma se si considera che la soglia comunitaria per lavori, dal primo gennaio 2018 è di circa 5 milioni e mezzo di euro, è evidente che con quella somma più che un Cas si può fare un vero e proprio carcere. Sono importi molto elevati che consentono al governo di fare procedure negoziate, limitando il confronto concorrenziale solo a 5 ditte scelte discrezionalmente dall’amministrazione. Qui c’è una lesione del principio di trasparenza e di concorrenza. Poi hanno scritto che verranno rispettati alcuni criteri, come quello di rotazione, però la sostanza rimane. L’articolo 63 del codice degli Appalti dovrebbe essere limitato a casi del tutto eccezionali: ad esempio una data amministrazione può avere l’interesse a trattare con un determinato soggetto se vuole commissionargli un’opera d’arte per una piazza pubblica; oppure sono previsti casi straordinari d’urgenza, in cui è ammissibile una deroga del genere. Ma non siamo in nessuno di questi due campi. Il governo per i prossimi tre anni sta stabilendo una procedura in deroga alle norme dell’evidenza pubblica. E’ piuttosto grave che si apra una parentesi del genere per un lasso così lungo di tempo. La prima bozza che era circolata negli ambienti dell’Anci, era spudorata, un colpo allo stomaco. Poi ci sarà stato un intervento da parte forse degli uffici ministeriali di Palazzo Chigi, o da parte dello stesso Presidente della Repubblica, che probabilmente hanno limitato un po’ il danno. Ma rimane uno degli aspetti più discutibili e negativi dell’intero provvedimento, perché è proprio uno di quegli ambiti su cui Salvini ha fatto sempre propaganda, contestando il modello del Cara di Mineo. Qui si sta dicendo che il ministero sta prospettando appalti senza evidenza publica. E la Corte Costituzionale se sarà chiamata a intervenire non mancherà di censurare quest’aspetto.

      Dal momento che il testo prevede il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Cpr, da 90 a 180 giorni, vuol dire che ne serviranno di più? Qual è la ratio?

      E’ tutto collegato, c’è una coerenza, negativa ovviamente. Nel momento in cui tu trasformi lo Sprar, e lo snaturi, visto che non si tratta più di un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo, ma solo per i rifugiati, avremo sempre più persone disperse nel territorio, o nei Cas. E quindi viene privilegiata una gestione emergenziale. Questo farà aumentare il numero delle persone espulse dal sistema, ma non dal territorio. Ci saranno sempre più persone irregolari, e quindi una maggiore necessità di Cpr. Quelli attuali sicuramente non basteranno, quindi se ne dovranno fare degli altri. Per alimentare la narrazione emergenziale si dirà che bisogna fare in fretta, e da qui proviene il vincolo dei tre anni per la deroga per i bandi di gara per le imprese. Quando costruiranno un nuovo centro sarà a quel punto interessante vedere quali aziende verranno chiamate a concorrere, e con quali criteri. Questa è l’economia dell’emergenza, che si deve autoalimentare non solo nella propaganda, ma anche nella sostanza.

      Cosa ne pensa del permesso di soggiorno per atti di valore civile?

      Siamo alla banalità del male. Togliendo la protezione umanitaria come istituto generale, tantissime persone che ricadevano in zone grigie, non facilmente ascrivibili ad una categoria giuridica, ma che rientravano comunque in quell’ambito di tutela ampia dei diritti umani fondamentali, si trovano adesso in difficoltà. E mi riferisco soprattutto a quelle persone vulnerabili, che arrivano in Italia deprivati, fisicamente e moralmente, dopo aver attraversato per esempio l’inferno libico. Adesso per loro non ci sarà più nessuna tutela. Ci sono al loro posto queste sei categorie molto rigide che lasciano poco spazio all’attenzione di cui necessitano invece alcuni casi particolari. Un po’ per caso, come in una lotteria, se uno è in una condizione di irregolarità, ma gli capita di salvare una persona durante un incidente stradale da una macchina in fiamme, o ipotizziamo, con un po’ di fantasia, se quest’immigrato salvasse il ministro Salvini che annaspa in mare, potrebbe ottenere il permesso di soggiorno in virtù della sua azione di valore civile. Mi sembrano delle restrizioni cieche e ottuse che non migliorano minimamente lo stato delle cose. Perché la via maestra sarebbe una riforma organica del testo unico sull’immigrazione, che rendesse trasparenti e legali i canali di ingresso in Italia. Sarebbe fortemente depotenziato il canale della protezione internazionale, che ovviamente è sotto pressione perché non esiste altro modo per entrare in Italia legalmente. Ma ovviamente questo decreto crea un consenso molto più immediato.

      https://www.fanpage.it/immigrazione-maestri-nel-decreto-salvini-tradisce-il-contratto-di-governo

    • Cosa prevede il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza

      Il 24 settembre il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. Il decreto si compone di tre titoli: il primo si occupa di riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata; e l’ultimo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.

      Nei giorni precedenti all’approvazione si erano diffuse delle voci su possibili dissidi tra i due partiti di maggioranza, Lega e Movimento 5 stelle, ma il ministro dell’interno Matteo Salvini durante la conferenza stampa a palazzo Chigi ha voluto sottolineare che i cinquestelle hanno approvato senza riserve il suo progetto di riforma.

      All’inizio i decreti avrebbero dovuto essere due: il primo sull’immigrazione e il secondo sulla sicurezza e sui beni confiscati alle mafie, poi nel corso dell’ultima settimana sono state fatte delle “limature” e i due decreti sono stati accorpati in un unico provvedimento. Il decreto dovrà ora essere inviato al presidente della repubblica Sergio Mattarella che a sua volta deve autorizzare che la norma sia presentata alle camere. Ecco in sintesi cosa prevede.

      Abolizione della protezione umanitaria. Il primo articolo contiene nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevede di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari che era prevista dal Testo unico sull’immigrazione. Oggi la legge prevede che la questura conceda un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure alle persone che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea.

      La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione nel loro paese (articolo 19 della legge sull’immigrazione) o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. In questi casi il permesso ha caratteristiche differenti. La durata è variabile da sei mesi a due anni ed è rinnovabile. Questa tutela è stata introdotta in Italia nel 1998.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/09/24/decreto-salvini-immigrazione-e-sicurezza

    • Italy: The security decree that makes everyone more insecure

      JRS Italy (Centro Astalli) is concerned about the effects that the new measures introduced by the ’Salvini decree’ on migration and security – unanimously approved on the 24th of September by the Italian Council of Ministers – will have on the lives of migrants and on the social cohesion of the whole country.

      The combination of the Security Decree and the Immigration Decree in a single piece of legislation is misleading as it associates security issues, such as organised crime and terrorism, with the issue of managing migration, in particular forced migration. This is particularly wrong knowing that a completely different legislative approach is needed to deal with migration challenges, particularly in terms of programmes, general management and migrants’ integration.

      For JRS Italy, the reform of the Protection System for Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) foreseen by the decree represent a fundamental step back for the Italian reception system. By excluding applicants for international protection from this type of reception the reform is in clear contradiction with the principle that a successful integration process starts from the first reception, as the current Integration Plan for refugees of the Italian Ministry of the Interior also states.

      The SPRAR, recognized as a qualitative system also by international observers, is therefore cut down, despite being the only reception system that guarantees maximum transparency in the management of resources. At the same time, the large collective centres for asylum seekers are strengthened even though the experience on the ground largely shows that, also due to the lack of involvement of local administrations, establishing such centres often encounters resistance and generates social tensions.

      According to Camillo Ripamonti SJ, JRS Italy’s president, “It is a step backwards that does not take into account on the one hand the lives and stories of the people, and on the other hand the work that for decades many humanitarian organizations and civil society have done in close collaboration with the institutions - in particular with local authorities”.

      “Criminalising migrants” – Ripamonti concludes – “is not the right way to deal with the presence of foreign citizens in Italy. Enlarging grey zones that are not regulated by law and making legal procedures less accessible and more complicated, contributes to make our country less secure and more fragile."

      http://jrseurope.org/news_detail?TN=NEWS-20180925084854

    • Decreto Salvini, Mattarella firma ma ricorda a Conte gli obblighi fissati dalla Costituzione

      Il provvedimento è quello che riguarda sicurezza e immigrazione. Il presidente della Repubblica invia al premier una lettera in cui richiama l’articolo 10 della Carta. La replica di Salvini: «ciapa lì e porta a cà». Polemica dei medici sulla norma per i presidi sanitari

      https://www.repubblica.it/politica/2018/10/04/news/dl_sicurezza_mattarella_firma_lettera_a_conte_obblighi_costituzione-20814

    • “I grandi centri di accoglienza vanno superati”. Anzi no. Se Salvini contraddice se stesso

      Ad agosto il ministero dell’Interno ha trasmesso al Parlamento una relazione molto dura sul modello straordinario dei Cas, presentati come “luoghi difficili da gestire e da vivere che attirano gli interessi criminali”. Proponendo l’alternativa dello SPRAR. Ma nonostante le evidenze e gli elogi per il sistema di protezione diffuso, il “decreto immigrazione” va nella direzione opposta.

      grandi centri di accoglienza in Italia sono “luoghi difficili da gestire e da vivere”, producono “effetti negativi oltre che nell’impatto con le collettività locali anche sull’efficienza dei servizi forniti ai migranti”, e per il loro “rilevante onere finanziario” rappresentano una “fonte di attrazione per gli interessi criminali”. Per questo è necessario un loro “alleggerimento progressivo” puntando sulle “progettualità SPRAR” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), autentico “ponte necessario all’inclusione e punto di riferimento per le reti territoriali di sostegno”. Garanzia di “processi più solidi e più facili di integrazione”.

      Recita così la “Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all’eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale”, relativa al 2017, trasmessa alla Camera dei deputati il 14 agosto di quest’anno e presentata da un ministro che sostiene pubblicamente il contrario: Matteo Salvini.

      Ad agosto, in quella relazione, il titolare dell’Interno ha infatti riconosciuto come nel circuito SPRAR, “oltre al vitto e alloggio”, venga “garantito ai richiedenti asilo un percorso qualificato, finalizzato alla conquista dell’autonomia individuale” grazie alla “realizzazione di progetti territoriali di accoglienza”. Un modello da promuovere per merito delle “qualità dei servizi resi ai beneficiari che non si limitano ad interventi materiali di base (vitto e alloggio) ma assicurano una serie di attività funzionali alla riconquista dell’autonomia individuale, come l’insegnamento della lingua italiana, la formazione e la qualificazione professionale, l’orientamento legale, l’accesso ai servizi del territorio, l’orientamento e l’inserimento lavorativo, abitativo e sociale, oltre che la tutela psico socio-sanitaria”. Ma ancora nel 2017, su 183.681 migranti ospitati nelle strutture temporanee, hotspot, centri di prima accoglienza e SPRAR, appena 24.471 occupavano l’accoglienza virtuosa del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Da lì la corretta intenzione di alleggerire i grandi centri a favore dell’approccio diffuso e integrato.

      Poi però il governo ha smentito se stesso: nonostante le riconosciute qualità dello SPRAR, l’esecutivo ha messo mano alla materia attraverso il recente decreto legge su immigrazione e sicurezza (Dl 113), licenziato dal governo ed emanato dal Capo dello Stato a inizio ottobre, puntando in direzione opposta. In quella che Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, ha definito la “destrutturazione del sistema di accoglienza”.

      L’articolo 12 del “decreto Salvini”, infatti, trasforma l’attuale SPRAR in un sistema per soli titolari di protezione internazionale, un terzo degli attuali accolti, tagliando fuori così i richiedenti asilo, i beneficiari di protezione umanitaria (sostanzialmente abrogata) e coloro che avessero fatto ricorso contro la decisione di diniego delle Commissioni territoriali sulla loro domanda. Per gli esclusi si apriranno le porte degli attuali centri governativi di prima accoglienza o dei centri di accoglienza straordinaria (CAS), proprio quelli di cui la relazione presentata dal ministro Salvini, poche settimane prima, auspicava il superamento.
      “La riforma pare fotografare la realtà della prassi precedente al decreto legge -ha evidenziato l’ASGI in un documento che mette in fila i profili di manifesta illegittimità costituzionale del decreto-. I CAS sono il ‘non’ sistema di accoglienza per la generalità dei richiedenti asilo, in violazione della Direttiva Ue sull’accoglienza che consente simili riduzioni di standard soltanto per periodi temporanei e per eventi imprevedibili, mentre le strutture dello SPRAR sono sempre più riservate a minori (non sempre), a titolari di protezione internazionale e spesso a chi si trova in condizioni (spesso familiari) disperate”.

      Non solo. Come ha ricordato l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), il 43% degli accolti nello SPRAR “ha concluso positivamente il proprio percorso di accoglienza ed ha raggiunto uno stato di autonomia, e un ulteriore 31% ha acquisito gli strumenti indispensabili per ‘camminare sulle proprie gambe’”. “Lo SPRAR riesce a rendere autonome le persone in un lasso di tempo indubbiamente inferiore rispetto a ciò che accade nei CAS. Nello SPRAR il tempo medio di permanenza è infatti di 6 mesi, questo significa che in un posto SPRAR vengono mediamente accolte all’anno 2 persone. Nei Comuni dove esiste un progetto SPRAR, i costi economici e sociali subiscono una notevole flessione”. Motivo per cui a metà ottobre l’ANCI ha presentato alcuni emendamenti in vista dell’iter parlamentare che porterà alla conversione del decreto. Uno di questi chiede proprio di consentire l’accesso dei “richiedenti asilo vulnerabili (compresi nuclei familiari con figli minori) all’interno dei progetti SPRAR, per evitare che ricadano, inevitabilmente, sui bilanci dei Comuni e delle Regioni i costi dei servizi socio-sanitari che sarà in ogni caso necessario erogare senza poter accedere ad alcun rimborso da parte dello Stato (stimati circa 286 milioni di euro annui”.

      Posto di fronte alla contraddizione tra la relazione di agosto e il decreto di ottobre, il ministero dell’Interno ha fatto sapere ad Altreconomia che la Relazione non è altro che un “adempimento richiesto dalla normativa” e che questa “si riferisce, nel merito, al periodo cui la stessa fa riferimento”. Come se nell’arco di otto mesi lo SPRAR fosse cambiato.

      Ed ecco quindi che il “ponte necessario all’inclusione” è diventato la “pacchia” da interrompere: la graduatoria dei progetti avanzati dagli enti locali ed esaminati dal Viminale, per ulteriori 3.500 posti da aggiungersi ai 32mila attualmente finanziati, di cui era prevista la pubblicazione a luglio 2018, non ha mai visto la luce. E le nuove richieste di adesione al Sistema da parte dei territori -altri 2.500 nuovi posti- non sono state nemmeno prese in considerazione. Il risultato è che 6mila potenziali nuovi posti SPRAR sono stati “sacrificati” sull’altare della linea Salvini. Quella di ottobre, però, non quella di agosto.

      https://altreconomia.it/decreto-salvini-cas

    • Beyond closed ports: the new Italian Decree-Law on Immigration and Security

      In the past months, Italian migration policies have been in the spotlight with regard to the deterrence measures adopted to prevent sea arrivals of migrants. After the closure of ports to vessels transporting migrants and the reduction of search and rescue operations at sea, the government adopted a restrictive approach to the internal norms, reforming the architecture of the Italian system of protection.

      On 24 September 2018, the Italian Council of Ministers unanimously adopted a new Decree-Law on Immigration and Security. Strongly endorsed by the Minister of the Interior Matteo Salvini, the final text of the Decree contains ‘urgent measures’ on international protection and immigration, as well as on public security, prevention of terrorism and organised crime. Following the approval of the President of Republic, the bill has come into force on October 5. The future of the Decree now lays in the hands of the Parliament, which will have to transpose it into law within sixty days of its publication or it will retrospectively lose its effect.

      The securitarian approach adopted sparked strong criticism within civil society and the President of the Republic himself accompanied his signature with an accompanying letter addressed to the President of the Council, reminding that all ‘constitutional and international obligations’ assumed by Italy remain binding, even if there is no explicit reference to them in the Decree. This blog post provides an overview of the first two Chapters of the Decree-Law, dedicated to immigration and asylum. It will further analyze their impact on the rights of protection seekers and their compatibility with European law, International law as well as the Italian Constitution.

      1. Provisions on humanitarian residence permits and fight against irregular migration

      1.1 The abrogation of ‘humanitarian protection’

      The main change introduced by the first Chapter of the Decree-Law concerns what is commonly referred to as ‘humanitarian protection’, namely a residence permit issued to persons who are not eligible to refugee status or subsidiary protection but cannot be expelled from the country because of ‘serious reasons of humanitarian nature, or resulting from constitutional or international obligations of the State’ (art. 5(6) of the Consolidated Act on Immigration).

      The humanitarian residence permit was introduced as a safeguard clause in the Italian legislation, complementing international protection within the meaning of article 10 paragraph 3 of the Constitution, which stipulates that: ‘[a] foreigner who, in his home country, is denied the actual exercise of the democratic freedoms guaranteed by the Italian Constitution shall be entitled to the right of asylum under the conditions established by law.’ The important role of ‘humanitarian protection’ has been further clarified by the Italian highest court (Court of Cassation), which stated that the right to be issued a humanitarian permit, together with refugee status and subsidiary protection, constitutes a fundamental part of the right of asylum enshrined in the Constitution (see for example judgement 22111/2014).

      In practice, humanitarian residence permits were a ‘flexible instrument’ which could cover several circumstances emerging from forced displacement where there was no sufficient evidence of an individual risk of persecution or serious harm. As explained by the Court of Cassation, prior to the entry into force of the Decree, humanitarian protection was granted to persons suffering from an ‘effective deprivation of human rights’ upon the fulfilment of two interrelated conditions: the ‘objective situation in the country of origin of the applicant’ and ‘the applicant’s personal condition that determined the reason for departure’ (see judgement 4455/2018). The Court further presented as possible example of human rights deprivation the situation of a person coming from a country where the political or environmental situation exposes her to extreme destitution and does not allow her to attain a minimum standard of dignified existence. As noted by the Court, the definition of environmental issues does not only contain natural disasters but it may also include non-contingent events, such as droughts or famines, which deprive the person from having a basic livelihood.

      However, as already mentioned, the grounds for obtaining humanitarian protection were relatively open and could be adjusted to other situations entailing a deprivation of basic human rights, such as the inability of the country of origin to protect the right to health of applicants affected by serious conditions, or the family situation of the applicant interpreted in light of article 8 of the European Convention on Human Rights. Also, the level of social integration reached by an applicant during her stay in Italy, together with the situation of poverty or instability in the country of origin, were also to be considered as a ground to grant humanitarian protection.

      By radically transforming article 5(6) and severely restricting the possibility for rejected asylum applicants to be granted residence permits in light of constitutional and international obligations or for humanitarian reasons, article 1 of the Decree-Law substantially abrogates ‘humanitarian protection’. Instead, the Decree provides for the creation of a ‘special protection’ residence permit, which can be issued only to those persons who cannot be expelled due to the non-refoulement obligations defined in article 19 of the Consolidated Act on Immigration unless the applicant can be returned to a country where she could receive ‘equivalent protection’.

      The first article of the Decree-Law further creates new residence permits that can be granted in restricted ‘special cases’, as for example: persons affected by ‘exceptionally serious’ medical conditions; persons who cannot return to their home countries due to ‘exceptional natural disasters’; and persons who have carried out ‘exceptional civil acts’. The Decree, however, does not modify the grounds for granting special residence permits to victims of trafficking, violence or labour exploitation, as already provided for in arts. 18 and 18-bis of the Consolidated Act on Immigration.

      The new Decree reduces not only the scope of protection and the number of potential beneficiaries but also the duration of the stay for third-country nationals falling into the above-mentioned ‘special’ categories. Whilst persons granted the ‘humanitarian’ status were provided with a two-year renewable residence permit, the permits issued in the new ‘special cases’ allow residence in Italy for shorter periods: six months for exceptional natural disasters or violence and one year in the other for ‘special protection’, ‘medical reasons’ and other ‘special cases’. Such permits are renewable and allow the holder to work but – differently from the humanitarian residence permit – they cannot be converted into a work permit when the circumstances for which they were issued cease to exist. Only in the event that the foreigner has accomplished exceptional civil acts, whose nature is not further specified, the person – at the discretion the Minister of the Interior – can be issued a residence permit lasting two years.

      A final important amendment contained in article 1 of the Decree is related to those persons who are already beneficiaries of humanitarian residence permits at the time in which the Decree enters into force: their permits will not be renewable anymore on humanitarian grounds, even if the circumstances for which the permit was granted in the first place still exist. Therefore, unless the beneficiary is granted a conversion of her humanitarian permit into a work or study permit, or she falls under the new special cases listed in the decree law, she will find herself in an irregular situation and will risk being returned.

      The abrogation of the ‘humanitarian’ residence permit is of particular concern as, since its creation in 1998, it has been an important legal instrument allowing to protect and regularise all third-country nationals who could not be returned to a third country. Suffice it to say that, in 2017 only, Italy has granted 20,166 residence permits on ‘humanitarian’ grounds, whereas only 6,827 persons were granted asylum and 6,880 subsidiary protection. To counter this trend, last July, the Minister of the Interior had already sent a letter to all administrative authorities involved in the asylum procedure, requesting them to adopt a stricter approach when granting protection on humanitarian grounds. Such decision has been justified with the rationale of conforming Italy to European standards, which do not provide for this third form of protection. Arguably, even if humanitarian protection is not harmonised at the EU level under the Qualification Directive, there are obligations imposed on all Member States by international refugee law and human rights law that prevent them from returning third-country nationals under certain circumstances. Looking at the practice of EU-28 Member States, in the course of 2017, 63 thousand asylum seekers were given authorisation to stay for humanitarian reasons under national law. This number could be even higher as it only encompasses first instance decisions for those persons who have been previously reported as asylum applicants, and does not take into account those who have been granted a permission to stay for humanitarian reasons without having lodged an asylum application.

      Moreover, the abrogation of humanitarian protection is likely to open a protection gap under article 10 paragraph 3 of the Italian Constitution. As noted by the Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI), the substitution of humanitarian protection with a restricted list of ‘special’ residence permits, means that the right to asylum set out by the Constitution is ‘no longer fully implemented by the legislator’. This could open the possibility to bring legal actions to ascertain the right of asylum guaranteed by article 10 – which can be invoked directly in front of an ordinary court even in the absence of implementing legislation – or raise questions of constitutionality.

      1.2 Making returns more effective

      The second part of the first Chapter of the Decree-Law focuses on improving returns and facilitating the return of third-country nationals in an irregular situation. In order to achieve these objectives, article 2 of the Decree extends the maximum duration of the foreigner’s detention in return centres from 90 to 180 days. Article 4 further foresees that, in case the reception capacity of pre-removal centres is exhausted and prior to authorization of a judicial authority, foreigners may also be held in other ‘appropriate facilities’ and in border offices. In addition, article 3 of the new Decree-Law modifies the Decree Implementing the Reception Conditions Directive and the Procedures Directive (Decree-Law 18 August 2015, n. 142), by expanding grounds for detention in hotspots. Thus, foreigners who have been found in an irregular situation on the national territory or rescued during search and rescue operations at sea may be subject to detention in order to determine their identity and nationality. The maximum duration of detention is set to 30 days. In case it is impossible to verify such information, the person concerned can be transferred in a return center for a maximum of 180 days. Finally, article 6 increments the funding for returns, providing for the re-allocation of 3,5 million euros between 2018 and 2020. These funds – originally provided for assisted voluntary return and reintegration – will now be allocated to facilitate not further described ‘return measures’.

      Even if the possibility to detain applicants for international protection in order to ascertain their identity and nationality is provided for in the Reception Conditions Directive, deprivation of liberty in such cases could be inconsistent with international refugee law read in conjunction with the Italian Constitution. According to ASGI, provisions connected to the deprivation of liberty in order to verify the identity and nationality are in violation of article 31 of the 1951 Geneva Convention and of article 13 of the Italian Constitution. In fact, since it is common to almost all asylum seekers not to possess valid documents proving their identity, such circumstances would not be proportionate to the ‘conditions of necessity and urgency’ required by article 13 of the Constitution to deprive someone of their liberty without judicial authorization. That been said, the debate on the lack of documentation to prove asylum seekers’ identity is likely to be of interest in the near future, as it is also fuelled by the European Commission recent proposal for a recast of the Return Directive, where the lack of documentation is included among the criteria establishing the existence of a risk of absconding to avoid return procedures.

      2. Provisions on international protection

      2.1 Provisions on asylum seekers who committed serious crimes

      The second chapter of the new Decree reforms, with a restrictive turn, the rules on the revocation of and exclusion from international protection. Article 7 extends the list of crimes that, in case of final conviction amount to the exclusion from or to the revocation of international protection. These include: production, trafficking and possession of drugs; injuries or threats made to officers in performance of their duties; serious personal injury offence; female genital mutilation; robbery, extortion, burglary and theft, if compounded by the possession of weapons or drugs; slavery; exploitation of child prostitution.

      Furthermore, article 10 of the new Decree introduces an accelerated procedure in the event that an asylum seeker is convicted – even prior to a final sentence – for one of the above-mentioned criminal offences and for the other serious crimes amounting to the exclusion from international protection already provided for in articles 12 and 16 Decree 251/2017. Thus, when the applicant is convicted in first instance, the Territorial Commissions for the Recognition of International Protection has to immediately examine the asylum claim and take a decision. In case the decision of the Commission rejects the request for international protection, the applicant is required to leave the country, even if the person concerned lodges an appeal against the asylum decision.

      The Decree Law, by abrogating the suspensive effect of the appeal for a person who has been convicted in first instance arguably goes against article 27 of the Italian Constitution, which considers the defendant not guilty ‘until a final sentence has been passed.’ Moreover, pursuant Article 45 Asylum Procedure Directive, as a general rule Member States shall allow applicants to remain in the territory pending the outcome of the remedy. An exception might be allowed under article 46(6)(a) of the Asylum Procedures Directive, if the application is determined to be unfounded on grounds that the applicant is ‘for serious reasons’ considered to be a danger to the national security or public order of the Member State. However, article 46(6) also stipulates that even in such case there is no automatism and the decision whether or not the applicant may remain on the territory of the Member State should be taken by a court or tribunal. Therefore, insofar as the Decree provides for the automatic return of rejected asylum seekers pending an appeal, without a judicial decision authorising their removal, it is incompatible with the right to an effective remedy provided for by the Procedures Directive and enshrined in article 47 of the EU Charter of Fundamental Rights.

      In any instance, the return of a person – regardless of the fact that she may have committed a crime – cannot be performed when the individual concerned is at risk of refoulement as defined by article 3 of the European Convention on Human Rights and Article 19 of the Charter of Fundamental Rights. As follows from the jurisprudence of the European Court of Human Rights (ECtHR), the prohibition of non-refoulement has an absolute character. The conduct of the person is irrelevant and even the involvement in serious crimes, such as terrorism, does not affect the prohibition to return individuals to states in which they faced a risk of torture, inhuman or degrading treatment (see ECtHR judgements in Saadi, Chahal, and Soering).

      2.2 Provisions on subsequent applications and border procedures

      Article 9 of the Decree implements into Italian legislation some restrictive provisions on subsequent applications that are allowed under the Asylum Procedures Directive (APD) but that had so far been regulated in a more favourable manner.

      First of all, the Decree provides for new grounds of exclusion from the right to remain in the Italian territory, following almost verbatim the exception from the right to remain contained in article 41 of the APD. This includes all persons who have lodged a first subsequent application merely in order to delay or frustrate the enforcement of a decision which would result in their imminent removal, or make another subsequent application after their first subsequent application has been considered inadmissible or unfounded.

      Secondly, article 9 establishes new rules on accelerated procedures for applicants who have introduced a subsequent application for international protection without new elements or findings supporting their claim. In case that the applicant was stopped following an attempt to elude border controls, this procedure also applies in border or transit zones. This is a novelty in Italian law, that until now did not provide for the possibility of carrying out the evaluation of an asylum claim at the border. According to the explanatory note to the Decree, this amendment follows the rationale of article 31(8)(g) APD. This article, however, provides for the possibility to apply accelerated and border procedure in case an application is lodged to avoid an earlier removal decision – which appears to be a stricter ground than the one provided for by the Italian decree.

      Also, the Decree sets out a new ground for the inadmissibility of an asylum application: a subsequent application is inadmissible if it is lodged to prevent the enforcement of a decision which would result in her imminent removal and it shall be dismissed without being further examined. This is not consistent with article 40 APD, which provides at least for a preliminary examination on the presence of new elements substantiating the asylum claim.

      Lastly, following the definitions of article 41 APD APD, the Decree limits the suspensive effect of appeals lodged in two circumstances. First, by all persons who have lodged a first subsequent application to delay the enforcement of a decision which would result in his or her imminent removal. Second, by asylum seekers whose application has been considered inadmissible as a subsequent application where no new elements or findings have arisen or have been presented by the applicant, whilst prior to the entry into force of the Decree-Law this only happened when an application was assessed as inadmissible for the second time.

      2.3 Reception conditions for asylum seekers

      One of the most discussed provisions of the Decree on immigration concerns the reception of asylum seekers, which undergoes substantive changes. The decree de facto abrogates the possibility for asylum seekers to access reception provided under the System for the Protection of Asylum Seekers and Refugees (SPRAR). The system, operated by local institutions, in cooperation with non-governmental and voluntary organizations, had not only the aim to provide basic reception but also to favour the social integration of asylum seekers and beneficiaries of protection. With the amendments introduced by article 12 of the new decree, only already recognized refugees and beneficiaries of subsidiary protection, as well as unaccompanied minors, will be granted accommodation within the SPRAR. Asylum seekers will, therefore, be only hosted in collective reception centres (CARA, CDA). In case of unavailability of places, applicants can also be hosted in temporary reception centres (CAS) where, according to the law, only basic levels of reception conditions have to be met.

      These amendments fail to take into account the pre-existent structure of the Italian reception system. As a matter of law, the SPRAR was the only durable solution provided for asylum seekers, while the other types of reception centres have been designed only for initial or temporary reception (see articles 9 and 11 of the Decree implementing the Reception Conditions Directive). Considering the length of asylum procedures in the country, asylum seekers will be left with no alternative than remaining for months (or in some cases even years) in facilities which are often inadequate in terms of both capacity and structural and safety conditions.

      This decision is of great concern as it is likely to put further strain on the Italian reception system, which already has a record of not providing an adequate standard of reception conditions to asylum applicants – as recognised in 2014 by the European Court of Human Rights. More recently, a Dutch court annulled a transfer to Italy pointing out that the new Decree raises questions about the structural deficiencies in the Italian reception system, in particular as it restricts access to adequate reception conditions to vulnerable asylum seekers.

      Final remarks

      Whilst the number of arrivals to Italy is at the lowest level registered in the past few years, the phenomenon of migration has reached the dimension of an emergency in the internal public debate, with the Decree-Law on Immigration and Security representing a major downturn in the architecture of the Italian system of protection.

      The implementation of further grounds for exclusion and withdrawal of protection, the reduction of procedural guarantees, and the general restrictive approach on the rights of migrants and asylum seekers adopted in the Decree generate serious concerns. Above all, some of the provisions contained in the Decree may entail a risk of violation of the principle of non–refoulement, which is not only a cornerstone of the international refugee regime but also a fundamental guarantee that protects all human beings from being subject to torture, inhuman or degrading treatment. What is more, some of the changes introduced with the Decree might have far-reaching practical consequences on the rights of the migrants who are already present or will arrive in the country. In particular, the repeal of ‘humanitarian’ residence permits, which have been widely used in the past years, is likely to have the unintended side-effect of increasing the number of migrants who will find themselves in an irregular situation. The new bill has been presented by the Interior Minister Matteo Salvini as ‘a step forward to make Italy safer’ – however it will arguably increase the number of cases of destitution, vulnerability, and exploitation.

      It remains to be seen whether the Parliament will confirm the text of the Decree when ultimately converting it into law. However, considering that the time for discussion is limited (60 days only) it is doubtful that the bill will undergo substantial improvement. Also, as the Decree has become one of the flagship measures of the current Government, it is unlikely that it will be repealed in toto. The choice itself of the Government to use a decree having force of law – rather than of the ordinary legislative procedure – does not seem to stem from a situation of ‘obvious necessity and urgency’ as provided for by the Constitution. Rather, it appears to be a shortcut to obtain immediate results on matters where it is difficult to achieve political consensus through democratic debate. Against this backdrop, the new bill on Immigration and Security – with questionable democratic legitimacy – restricts the rights of asylum seekers and people displaced, making protection increasingly inaccessible.

      http://eumigrationlawblog.eu/beyond-closed-ports-the-new-italian-decree-law-on-immigration-and

    • Decreto immigrazione, le brutte novità nascoste sotto la fiducia

      Il governo ha presentato in aula un “emendamento interamente sostitutivo” del testo finora discusso. La “sorpresa” sono elementi di gran lunga più restrittivi in tema di diritto d’asilo. Tra questi, la nozione di “Paesi di origine sicuri”, un “cavallo di Troia” per smontare il sistema della protezione internazionale, come denunciano studiosi dell’Asgi

      Con 163 voti a favore e 59 contrari, il 7 novembre il Senato della Repubblica ha approvato la fiducia al cosiddetto “decreto sicurezza e immigrazione” promosso in particolare dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il testo votato da Palazzo Madama e inviato alla Camera, però, è stato modificato rispetto all’originario attraverso un “emendamento interamente sostitutivo” del Ddl (il numero 1.900), sulla cui approvazione il Governo aveva appunto posto la questione di fiducia 24 ore prima. Non si è trattato di interventi meramente formali quanto invece profondamente sostanziali. Tanto da non lasciare praticamente più nulla del precedente sistema di asilo, incardinato al principio costituzionale che all’articolo 10 della Carta riconosce quella tutela allo “straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.

      Le 28 pagine di modifiche e integrazioni avanzate dall’esecutivo, secondo Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, www.asgi.it), assumono infatti la forma di un “cavallo di Troia” -blindato dalla fiducia- utile a “introdurre novità di taglio iper restrittivo che nella prima versione del decreto non c’erano”. Creando così un provvedimento che è un “vero e proprio mostro”, senza peraltro dare troppo nell’occhio.
      Alla già nota abrogazione della protezione umanitaria, allo stravolgimento dell’ex Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), alle illegittimità costituzionali già evidenziate nelle scorse settimane dall’Asgi, si aggiungono nuovi elementi preoccupanti.

      Schiavone ha il testo del maxi emendamento del governo sotto mano e scorre alle introdotte “Disposizioni in materia di Paesi di origine sicuri e manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale”.
      Il primo punto riguarda i “Paesi di origine sicuri”, il caso cioè di uno “Stato non appartenente all’Unione europea” che stando al nuovo articolato potrà “essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione […] né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”.

      Per “accertare” che uno Stato sia o meno “di origine sicuro” ed eventualmente iscriverlo nell’elenco adottato per decreto dal ministro degli Esteri (“Di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia) ci si dovrà basare “sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo”. La domanda di protezione del richiedente proveniente da quel Paese verrà sì esaminata ma, se rigettata sarà “considerata manifestamente infondata”.

      “Dove è stata introdotta, la nozione di Paese di origine sicuro, che le direttive europee prevedono quale misura normativa solo facoltativa per gli Stati -riflette Schiavone- ha sempre prodotto gravissimi problemi poiché le domande di protezione sono per definizione individuali ovvero legate alla condizione specifica di un richiedente. Esaminare invece una domanda ritenendo già che un Paese di origine sia ‘sicuro’ crea una situazione di pregiudizio sostanziale nell’esame della domanda stessa e dà ampi margini per l’esercizio di un’influenza politica molto forte del potere esecutivo sull’organo di valutazione”. Ciò vale soprattutto per l’Italia oggi. Perché? “Perché chi stabilisce che il Paese di origine sia ‘sicuro’ sarà di fatto la Commissione nazionale per il diritto d’asilo, che non è organo amministrativo indipendente ed è fortemente connesso per composizione e struttura organizzativa al potere politico”. Tradotto: il Governo di turno potrà decidere che un Paese venga considerato di “origine sicuro” con obiettivi di carattere politico che nulla hanno a che fare con le domande di protezione. Schiavone pensa a casi come il Bangladesh, la Tunisia, il Senegal e così via.
      Il rigetto della domanda per manifesta infondatezza comporta un forte indebolimento della tutela giurisdizionale -continua Schiavone- poiché il ricorso ha tempi di impugnazione più brevi e non c’è un’automatica sospensiva durante il contenzioso. Molte ragioni mi inducono a pensare, anche se ancora a caldo e riservandomi approfondimenti -conclude lo studioso- che la nozione di ‘Paese di origine sicuro’ sia del tutto estranea alla nozione di asilo delineata dalla nostra Costituzione”.

      Tra le altre “novità” rispetto all’originario “decreto Salvini” c’è poi quella della cosiddetta “protezione interna” nel Paese terzo di provenienza del richiedente. “Se in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi e può legalmente e senza pericolo recarvisi ed essere ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca”, la sua domanda di protezione è “rigettata”. “Anche su questa norma, del tutto facoltativa nel diritto dell’Unione e che l’Italia, fin dal 2008, con saggezza, aveva evitato sono molti i dubbi di conformità rispetto all’articolo 10 della nostra Costituzione -riflette Schiavone-. È possibile segmentare un Paese in aree, evidenziando peraltro una situazione che è già di grande instabilità, visto che un Paese è diviso in due o più parti?. Cosa vuol dire in concreto che è ragionevole supporre che la persona si trasferisca nell’area del Paese considerata sicura? Quali i parametri di valutazione? È sufficiente solo la mancanza di rischio o è necessario che alla persona venga fornita una protezione effettiva e una assistenza materiale? La norma, genericissima, non fornisce alcuna risposta”. Ciò che è chiaro è che è scontata la tendenza, come ribadisce il vicepresidente Asgi, di considerare l’asilo come fosse una sorta di “extrema ratio” cui ricorrere quando nessuna altra soluzione, anche precaria e parziale all’interno di quel Paese sia possibile. “Che cosa ha a che fare tutto ciò con il diritto all’asilo garantito dalla Costituzione a coloro cui sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche? La distanza è abissale”.
      Utilizzare la nozione di area interna sicura nel Paese di origine è solo un altro modo per respingere domande di asilo che tradizionalmente vengono accolte. “Pensiamo al caso dei cittadini afghani o iracheni e riteniamo per l’appunto che le persone possano spostarsi in una presunta ‘area sicura’ del Paese. Quanto è sicura? Come si valuta? Per quanto tempo? Che tipo di stabilità e assistenza deve provvedere ad assicurare lo Stato allo sfollato interno? Domande che rimangono senza risposta”.

      Accanto al tema dei “Paesi di origine sicuri” e delle zone di “protezione interna”, il maxi emendamento interviene -come già il decreto 113- a proposito di cittadinanza. L’avvocato Livio Neri, socio di Asgi, elenca brevemente alcune delle misure del decreto legge governativo. “C’è l’aumento del contributo da versare per presentare ‘istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza’, che passa da 200 a 250 euro. C’è l’incredibile allungamento del ‘termine di definizione dei procedimenti’, da 24 a 48 mesi dalla data di presentazione della domanda. E c’è il brutto precedente della ‘revoca’ della cittadinanza prevista in caso di condanna definitiva per gravi reati”. Precedente che creerà peraltro nuova apolidia, dal momento che -come fa notare Neri- la norma così come è scritta (ed è rimasta) non prevede la circostanza che dopo la revoca sorga appunto una condizione di apolidia per l’interessato ed è perciò in contrasto con la Convenzione di New York sulla materia.

      L’emendamento del governo aggiunge a questi (e altri) elementi un termine di sei mesi per il rilascio di estratti e certificati di stato civile “occorrenti ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana”, che significa secondo Neri “che lo stesso documento (ad esempio il certificato di nascita di un congiunto, ndr) ha termini diversi a seconda di chi lo richiede”. E pone poi come condizione necessaria alla “concessione della cittadinanza” il “possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER)”, salvo per chi abbia sottoscritto l’accordo di integrazione o sia titolare di permesso di soggiorno Ue per “soggiornanti di lungo periodo”. “Questa previsione -commenta amaramente Neri- avrà un durissimo impatto sulle persone con minori strumenti culturali a disposizione e che per questo non saranno riusciti a imparare l’italiano”.

      https://altreconomia.it/decreto-immigrazione-novita

    • What will change for migrants under Italy’s new immigration and security decree?

      As the decree passed the Senate, Italy’s upper house, Matteo Salvini tweeted it was an “historic day.” The decree still needs to pass the lower house by the end of November before it is enshrined in law. At the moment, that looks likely, so what will change for migrants if it is passed?

      Like all decrees, Italy’s new security and immigration decree is composed of many complicated clauses and paragraphs. In short, it is intended to regulate immigration and public security. It has been pushed by Italy’s deputy prime minister and Minister of the Interior, Matteo Salvini, who is also leader of the anti-immigration party, La Lega (The Northern League).

      Essentially, it will change the laws under which foreign migrants have been staying in the country since 1998. It is set to repeal the right to stay for humanitarian reasons. “Humanitarian protection” is a lower level of asylum status that is based on Italian rather than international law. Up until now, this right has been conceded for up to two years on serious humanitarian grounds and allowed migrants and refugees to access the job market, health services and social welfare.

      The new decree will take this catch-all definition ’on humanitarian grounds’ away in favor of six new specific categories which applicants will need to fulfill. Has the applicant been smuggled or exploited? Are they subject to domestic violence? Do they need specific medical attention? Was there some kind of calamity in their country of origin or have they contributed in a special way to Italian civil society which would merit a right to stay?

      Article two of the law doubles the length of time that migrants can be kept in repatriation centers whilst their cases are looked at. It will allow the authorities to build more centers too. Repatriations are expected to increase with more money being assigned to making sure they happen; three and a half million euros in total up to 2020.

      Revoking refugee status

      There will be a longer list of crimes that, if committed will lead to a refugee being refused asylum or having their refugee status revoked. The crimes include murder, armed robbery, extortion, violence towards public officials, people found to be practicing genital mutilation, armed theft and burglary, possession of drugs, slavery, sexual violence or kidnapping. Anyone found guilty of terrorist acts or trying to overturn the constitution provides another reason for expulsion under the new law.

      The new decree is expected to weaken the SPRAR networks which were set up to protect refugees and asylum seekers in 2002. Only unaccompanied migrants and those who qualify for international protection will come under the future auspices of SPRAR. Everyone else will be sent to ’welcome centers’ or CARA (Welcome center for those requesting asylum). Social cooperatives assigned asylum seekers and migrants will be required to report to the authorities every three months with a list of people that they support. The decree is also expected to slash the budget assigned for food and lodging for migrants in CARA centers from 30 euros per person per day to 15 euros.

      Anyone who marries an Italian will now have to wait four years instead of the current two before applying for citizenship. In addition, like in Germany, migrants hoping to remain in Italy will be required to pass a B1 language test.

      Jubilation and condemnation

      Matteo Salvini was pictured looking jubilant as the decree was passed by the Senate with 163 votes to 59. Not everyone was happy though. Roberto Saviano, an anti-Mafia writer who opposes the current Italian government called the decree “criminal” saying it was “self harming, [and] suicidal.” He pointed out that it would be impossible to repatriate more than 500,000 migrants without papers who are currently present in the country. “Much better,” he said “give them papers and allow them to work and pay taxes to the state.” He said the law would only serve to increase the number of “irregular migrants” in the country feeding organized crime networks.

      The Democratic Party (PD) leader in the Senate, Andrea Marcucci contests the decree too. He was quoted in the left-leaning daily newspaper, La Repubblica, saying it “creates insecurity, not security and would make 100s of thousands more migrants clandestine in Italy.” He concluded: “This is a decree against Italy, against Italians and against security.”

      Salvini disagrees. In interviews prior to the Senate vote, he said that the decree was not just about immigration but increasing security for everyone in Italy. “It’s about strengthening the anti-mafia organizations and anti-racket laws. It will make everything more serious and rigorous. […] It is a decree which will bring more money and power to the police, to mayors; will introduce more surveillance cameras.” He added that once the law has passed, he will be looking to reform the justice system too. That way, cases dragging on for years, until they enter proscription, will be a thing of the past.

      The decree is scheduled to be put before the lower house on the November 22. With the Five Star Movement and the League holding a majority there too, (along with other right-leaning parties like Forza Italia and Fratelli D’Italia,) it is expected to pass without too many problems and enter law before the end of the year.


      http://www.infomigrants.net/en/post/13210/what-will-change-for-migrants-under-italy-s-new-immigration-and-securi

    • Message de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop, 28.11.2018:

      Hier la Chambre des Deputé- avec un vote blindé de confiance - a approuvé le DL sécurité migration.
      Le #vote_de_confiance a permis au Gouvernement de le faire passer en toute vitesse et de balayer tout tentatif de l’opposition de faire des amendements qui pouvaient limiter les déjà tragiques dégâts.
      Nombreuses les déclaration préoccupé et les mobilisation des associations italiennes pour cette loi de la honte

      Ici le CP publié par ARCI -> Le secret loi immigration et sécurité est loi : Injustice est fait : https://www.arci.it/il-ddl-sicurezza-e-immigrazione-e-legge-ingiustizia-e-fatta

      où nous expliquons nos inquiétudes face aux dégâts sociaux d’une loi qui ne fera que créer encore plus de personnes sans documents qui seront exclu du système d’accueil en les rendant encore plus exploitables. Un énième, tragique, étape vers la violation systématique des droits de migrants et réfugiés.

      Ici les principaux changement dans le système italien (sorry only in FR) dont beaucoup intéressent les thématiques de travail du réseau :

      1- Abolition de la “#protection_humanitaire
      La protection humanitaire avait été introduit en 1998 et était attribué pour “serieux motivation de caractère humanitaire ou dérivant de obligation constitutionnels ou internationales de l’Etat Italien ; à ceux qui fuyaient des conflits, désastres naturels ou situations de particulières gravité dans les pays d’origine ou encore ceux qui ne pouvaient pas être expulsés ou encore à victime de traite ou autre type d’exploitation. En 2017 ont été présenté 130 000 demandes de protection en Italie : le 52% a été rejeté. Dans le 25% des cas a été attribué une protection humanitaire ; le 8% ont obtenu un statut de réfugié et un autre 8% la protection subsidiaire. Le 7% a obtenu un autre type de protection.
      Cela veut dire que ce permis ne sera plus donné mais aussi que ceux qui l’ont obtenu ne le pourront plus renouveler
      A sa place cette nouvelle loi a intégré un titre de séjour pour “#cas_spéciaux” : victimes de #violences_domestiques ou grave #exploitation du #travail ou pour des #raisons_médicales ou qui s’est distingué pour “actes de particulier valeur civile”. Ce permis aura une durée de deux ans et ne pourra pas être renouveler

      – Prolongation de la durée de détention dans les #CPR (centre pour le retour -> les cra italiens) -> Aujourd’hui les migrants peuvent être enfermé pour un max de 90 jours. La nouvelle loi prolonge la durée maximale de détention à 180 jours.

      – Permanence dans les #hotspot et points de frontière -> Selon l’article 3 de la nouvelle loi les demandeurs d’asile peuvent être enfermés pour une période de max 30 jours dans les hotspot et structure de “premier accueil” (#Cas et #Cara) pour l’identification. Si dans les 30 jours n’a pas été possible proceder à l’identification aussi les demandeurs d’asile pourront être enfermés dans un CPR pour 180 jours. De cette façon un demandeur d’asile pour être enfermé pour 210 jours pour vérifier et déterminer son identité. Cela sera aussi appliqué aux mineurs en famille.
      De plus est prévu que le juge de paix puisse valider la détention en “#locaux_adaptes” auprès les bureau de frontière jusqu’à’ l’expulsion pour max 48 heures.

      – Plus de fonds pour les expulsions -> A l’article 6 a été prévu un augmentation du budget pour les #expulsions : 500 000 euro en 2018 ; 1,5 million euro en 2019 et autre 1.5 millions en 2020.

      – Retrait ou refus de la protection international en cas de condamnation pour menaces ou violences à officiers public ; lésions personales graves ou vol

      – Ceux qui sont en procedure penale (meme si pas condamné en voi definitive verront leur demande d’asile analysé en procedure accelleré

      – Listes des pays sures -> La loi prévoit l’institution d’une liste de pays d’origine sure et la procedure de demande de protection internationale manifestement infondé. La liste sera stilé par le Ministere des Affaires Etrangers avec le Ministere de l’Interieur et de la Justice sur la base des info fournies par la Commissione Nationales du Droit d’Asile et les agences européennes et internationales. Les demandeurs d’asile en provenance d’un pays present dans la liste des pays sures devrait démontrer de avoir graves motivation qui justifient sa demande et elle sera analyse en procedure accellerée.

      – Restriction du système d’accueil -> Le système d’accueil pour demandeurs d’asile et réfugié (#SPRAR) - le système ordinaire géré par les mairies - sera limité à ceux qui sont déjà titulaire de protection internationales et aux mineurs isolés. Les autres demandeurs seront accueilli dans les CAS et CARA (en parallele le Gouvernement a annoncé une diminution des fonds pour demandeurs d’asile par jour de 35 à 19 euro rendent ainsi impossible donner aucun type de service - juridiques, sociale, intégration et psychologique - dans le parcours d’accueil)

      #pays_sûr #rétention #détention_administrative

    • L’Italie adopte la loi anti-migrants de Matteo Salvini

      Ce texte durcit la politique italienne en matière d’immigration, remplaçant les permis de séjour humanitaires par d’autres permis plus courts.

      L’Italie a adopté mercredi un décret-loi controversé durcissant sa politique d’immigration, voulu par Matteo Salvini, ministre de l’Intérieur et chef de la Ligue (extrême droite). La Chambre des députés a adopté le texte - après le Sénat début novembre et dans les mêmes termes - par 396 oui contre 99 non.

      Le gouvernement populiste formé par la Ligue et le Mouvement 5 Etoiles (M5S, antisystème) avait posé la question de confiance dans les deux chambres sur ce décret-loi. Quatorze députés du M5S n’ont pas pris part au vote mercredi.

      Le texte durcit la politique italienne en matière d’immigration. Il remplace en particulier les permis de séjour humanitaires, actuellement octroyés à 25% des demandeurs d’asile et d’une durée de deux ans, par divers autres permis, comme « protection spéciale », d’une durée d’un an, ou « catastrophe naturelle dans le pays d’origine », d’une durée de six mois, entre autres.
      Refus de signer le pacte de l’ONU sur les migrations

      Il prévoit une procédure d’urgence afin de pouvoir expulser tout demandeur se montrant « dangereux ». Il réorganise aussi le système d’accueil des demandeurs d’asile, qui étaient encore 146 000 fin octobre et seront regroupés dans de grands centres par mesures d’économies. Dans le volet sécurité, il généralise l’utilisation des pistolets électriques et facilite l’évacuation des bâtiments occupés.

      Le gouvernement italien a annoncé mercredi qu’il ne signerait pas le pacte de l’ONU sur les migrations (Global Compact for Migration) comme s’y était engagé en 2016 le précédent exécutif de centre-gauche dirigé à l’époque par Matteo Renzi.

      Le gouvernement ne participera pas au sommet prévu les 10 et 11 décembre à Marrakech où doit être définitivement adopté ce pacte « se réservant d’adhérer ou non au document seulement une fois que le parlement se sera prononcé », a déclaré le président du Conseil Giuseppe Conte. Non contraignant, ce texte de 25 pages, premier du genre sur ce sujet, vise à réguler les flux migratoires au plan mondial.

      https://www.letemps.ch/monde/litalie-adopte-loi-antimigrants-matteo-salvini

    • Il decreto immigrazione è legge: cambierà in peggio la vita di migliaia di persone.

      Con il voto di fiducia di ieri alla Camera, il decreto immigrazione è stato convertito in legge. Refugees Welcome Italia esprime nuovamente la propria contrarietà ad un provvedimento che cambia, in negativo, la vita di migliaia di persone, rendendole ancora più vulnerabili ed esponendole al rischio di vivere ai margini della società. Come già ribadito, lontano dal garantire “l’ordine e la sicurezza pubblica”, questo decreto va nella direzione opposta, acuendo il disagio sociale e aumentando l’insicurezza per tutta la popolazione, migrante e italiana, con pesanti ricadute anche sulla coesione sociale. Secondo alcune stime, la sola abolizione della protezione umanitaria – un permesso di soggiorno che lo Stato italiano riconosce a coloro che, pur non avendo i requisiti per ottenere la protezione internazionale, presentano comunque delle vulnerabilità tali da richiedere una forma di tutela – produrrà 60 mila nuovi irregolari nei prossimi due anni. Migliaia di nuovi senza tetto, persone senza diritti, che rischiano di diventare facile preda di sfruttamento e criminalità.
      “Un decreto di tale portata avrebbe meritato una discussione approfondita, in fase di approvazione, per tentare almeno di introdurre qualche miglioria, invece il testo è passato con la fiducia”, sottolinea Fabiana Musicco, presidente dell’associazione. “A pagare il prezzo di questo nuovo assetto normativo saranno, ad esempio, migliaia di ragazzi arrivati in Italia da minori soli che sono prossimi a compiere 18 anni. Molti di loro hanno fatto richiesta di asilo e qualora ricevessero un diniego di protezione internazionale, una volta diventati maggiorenni, non avrebbero alcun titolo per rimanere in modo regolare in Italia. Per non parlare dei tanti neo-maggiorenni che hanno già ottenuto la protezione umanitaria e che, non potendo accedere al sistema Sprar a causa del decreto, non hanno un posto dove andare. In questo ultimo mese ci sono arrivate diverse segnalazioni di ragazzi in questa situazione: diciottenni che si sono iscritti sul nostro sito per chiedere di essere ospitati in famiglia e proseguire il loro percorso di inclusione. Il rischio, per loro, è che finiscano per strada”.
      Oltre all’abolizione della protezione umanitaria, sono tante altre le misure discutibili che incideranno negativamente sull’architettura del sistema di accoglienza in Italia. Invece di potenziare l’accoglienza diffusa gestita dagli enti locali, che ha favorito, in questi anni, reali processi di inclusione per richiedenti asilo e titolari di protezione, si è scelto, con questo decreto, di rafforzare la logica emergenziale dei grandi centri che, oltre a non garantire alcuna integrazione, genera spesso, a causa dei pochi controlli, abusi e malversazioni. “Molte disposizioni del decreto, oltre a ridurre lo spazio di esercizio di alcuni diritti fondamentali, come quello all’asilo, sono contrarie al buon senso e renderanno il nostro Paese un posto meno sicuro per tutti, migranti e italiani”.

      https://refugees-welcome.it/decreto-immigrazione-legge-cambiera-peggio-la-vita-migliaia-persone

    • Azzariti: «Il Decreto sicurezza sarà bocciato dalla Consulta»

      Il costituzionalista critica il decreto Salvini votato al Senato, non celando la speranza che alla Camera venga modificato

      «Innanzitutto il provvedimento impressiona per il segno culturalmente regressivo perché appiattisce l’immigrazione ad un problema di esclusiva sicurezza pubblica: dalla legge Bossi Fini in poi c’è una progressione in questo senso di criminalizzazione del problema migratorio». Il costituzionalista Gaetano Azzariti critica il decreto Salvini votato al Senato, non celando la speranza che alla Camera venga modificato: «Così com’è è una summa di incostituzionalità, auspico si intervenga per cambiarlo in Parlamento».

      Professore, perché il decreto sicurezza sarebbe incostituzionale? Ci vuole spiegare le ragioni?
      Penso di peggio: nel testo ci sono una summa di incostituzionalità. Dallo strumento utilizzato, il decreto legge, al contenuto del provvedimento che va in conflitto coi principi della nostra Carta.

      Lei critica la formula del decreto perché dice che in questo momento non esiste un’emergenza tale da giustificare un provvedimento simile? Però posso ribattere, facendo l’avvocato del diavolo, che da anni è prassi che i nostri governi adottino la formula del decreto esautorando il Parlamento…
      C’è una sentenza della Corte Costituzionale del 2007 che ci spiega come non sia sufficiente che il governo dichiari la necessità di urgenza per emanare un decreto. Illegittimo è quindi l’uso del decreto legge per regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. In questo caso la palese mancanza dei requisiti costituzionali è dimostrata dal fatto di cui il governo si vanta di aver ridotto dell’80 per cento il problema dell’immigrazione. E allora non le sembra una contraddizione logica dichiarare l’emergenza quando lo stesso governo festeggia per i risultati ottenuti? Il governo ha pieno diritto di legiferare in materia, anche secondo il principio di contenimento dei flussi, ma tramite un disegno di legge.

      Al di là, quindi, della formula del decreto che lei reputa inopportuna, entrando nel merito, quali sono gli articoli della Costituzione che vengono violati?
      In primis, l’articolo 10 terzo comma stabilisce un diritto fondamentale che riguarda non i cittadini ma gli stranieri. A questi viene assegnato la possibilità di chiedere asilo politico allo Stato italiano. La stessa Cassazione, con diverse sentenze emesse dal 2012 al 2018, e le disposizioni internazionali ci parlano di permessi per “protezione umanitaria” come mezzi di attuazione della disposizione costituzionale. Bene, col decreto si passa all’eliminazione totale di questo status: la protezione umanitaria viene abrogata e sostituita da ipotesi specifiche. Cos’è questa se non una violazione dell’articolo 10 della nostra Carta?

      E che ne pensa della sospensione della concessione della domanda se si è sottoposti a procedimento penale?
      La presunzione di non colpevolezza è un principio di civiltà che è sancito dall’articolo 27 della nostra Costituzione. E non si fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in generale all’«imputato»). C’è poco altro da aggiungere: una sospensione della concessione della domanda mi sembra chiaramente violativa di questo principio.

      Si parla anche di revoca della cittadinanza in caso di condanna, anche questo aspetto secondo lei è incostituzionale?
      Si afferma per legge che qualora l’immigrato riuscisse, dopo il lungo iter burocratico, ad ottenere la cittadinanza italiana, non sarà comunque mai considerato alla pari degli altri. Come se dovesse pagare per l’eternità una pecca originaria. Questo aspetto è in contrasto con due principi: quello d’eguaglianza, introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22).

      In pratica, persone che commettono lo stesso reato avrebbero sanzioni diverse?
      Esatto, chi ha acquisito la cittadinanza è penalizzato rispetto a chi la tiene per ius sanguinis. Inoltre l’articolo 22 della Carta stabilisce che non si può perdere la cittadinanza per motivi politici. Ma se vuole continuo, gli elementi di incostituzionalità sono ancora altri.

      Ce li dica…
      Il decreto sicurezza estende la cosiddetta detenzione amministrativa cioè l’obbligo di stare in questi centri di permanenza e di rimpatrio da 90 a 180 giorni. Qui abbiamo una giurisprudenza con zone d’ombra ma che su un punto è chiarissima: la sentenza 105 del 2001 della Corte Costituzionale stabilisce che “il trattamento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea è misura incidente sulla libertà personale”. Il governo dovrebbe dimostrare che in questi luoghi non ci sia limitazione di libertà personale, la vedo difficile.

      E sul taglio degli Sprar che ne pensa?
      È una delle parti più odiose del decreto. Si cancella quella normativa che definiva le politiche di integrazione cercando di realizzare anche un altro principio fondamentale: quello di solidarietà (articolo 2 della Costituzione).

      A questo punto, crede veramente che il testo verrà migliorato alla Camera oppure teme che Lega e M5S abbiano blindato il provvedimento con il voto di fiducia?
      La speranza è l’ultima a morire. Non posso auspicare che questa maggioranza cambi idea sull’ordine pubblico o sul nesso immigrazione-sicurezza o che faccia un provvedimento che regoli i flussi. Qui il tema di discussione non è l’indirizzo politico del governo ma il rispetto della Carta e dei limiti costituzionali. Ricordo, inoltre, che il presidente della Repubblica quando ha firmato il decreto, ha anche scritto una lettera a Conte rilevando nell’auspicio del rispetto dei principi internazionali. Il Parlamento ha l’onore di prendere in considerazione almeno questi moniti.

      E nel caso, invece, rimanga così com’è ci sarebbe l’altolà della Consulta? È un’ipotesi realistica?
      Sono certo che se dovesse essere approvato in questi termini, magari con l’aggravante della mancanza della discussione in Parlamento, tutta l’attenzione non politica ma costituzionale si riverserà sui due guardiani della Costituzione. In primo luogo sul Capo dello Stato in sede di promulgazione – che dovrà in qualche modo verificare se il Parlamento ha tenuto conto dei rilievi da lui stesso formulati – e in secondo luogo sulla Corte Costituzionale.

      La sento abbastanza convinto sulla possibilità che la Consulta bocci alcune parti del provvedimento…
      Gli elementi di incostituzionalità di questo decreto mi sembrano abbastanza evidenti.

      http://www.vita.it/it/article/2018/11/22/azzariti-il-decreto-sicurezza-sara-bocciato-dalla-consulta/149839

    • Italien verschärft seine Einwanderungsgesetze drastisch

      In Italien hat Innenminister Salvini sein Einwanderungsdekret durchgesetzt. Die Vergabe von humanitären Aufenthaltsgenehmigungen wird eingeschränkt, die Ausweisung von Migranten erleichtert.

      Drei Wochen nach dem italienischen Senat hat auch die Abgeordnetenkammer das umstrittene Einwanderungsdekret von Innenminister Matteo Salvini angenommen.

      Durch das Gesetz wird

      – die Vergabe von humanitären Aufenthaltsgenehmigungen massiv eingeschränkt und
      – die Ausweisung von Migranten erleichtert.
      – Auch die Verteilung und Unterbringung von Asylbewerbern wird neu geregelt: Die meisten sollen künftig in großen Auffangzentren untergebracht werden.
      – Als „gefährlich“ eingeschätzte Asylbewerber sollen in Eilverfahren abgeschoben werden können.
      – Migranten, die bereits die italienische Staatsbürgerschaft haben, sollen diese wieder verlieren, wenn sie in Terrorverfahren verurteilt werden.
      – Als sicherheitspolitische Neuerung ist in dem Gesetz unter anderem vorgesehen, den Einsatz von Elektroschockpistolen auszuweiten und die Räumung besetzter Gebäude zu erleichtern.

      Die Regierung hatte in beiden Parlamentskammern die Vertrauensfrage gestellt, um die Gesetzesänderung zügig durchzubringen. Einige Parlamentarier der populistischen Fünf-Sterne-Bewegung, die zusammen mit Salvinis fremdfeindlicher Lega-Partei regiert, hatten aus Protest gegen die geplanten Verschärfungen Dutzende Änderungsanträge eingereicht.

      396 Abgeordnete stimmten schließlich für die drastische Verschärfung des Einwanderungsrechts, 99 votierten dagegen. 14 Abgeordnete der Fünf-Sterne-Bewegung, die sich gegen die Pläne ausgesprochen hatten, nahmen nicht an der Abstimmung teil.

      „Ein denkwürdiger Tag“

      Salvini äußerte sich angesichts des Ergebnisses zufrieden. „Heute ist ein denkwürdiger Tag“, sagte der Innenminister, der zugleich Vizeregierungschef ist. Kritik an den Gesetzesverschärfungen wies er als Bedenken von Linken zurück, „die finden, dass illegale Einwanderung kein Problem ist“.

      Das Uno-Flüchtlingshilfswerks (UNHCR) hatte sich Anfang November besorgt zu den Gesetzesverschärfungen geäußert. Diese böten keine „angemessenen Garantien“, insbesondere für Menschen, die besonderer Fürsorge bedürften, etwa Opfer von Vergewaltigung oder Folter.

      Die italienische Regierung vertritt seit ihrem Amtsantritt im Sommer eine harte Haltung in der Flüchtlings- und Einwanderungspolitik. Schiffen mit geretteten Flüchtlingen an Bord verweigerte Salvini das Einlaufen in italienische Häfen. Der Schwerpunkt der Flüchtlingskrise im Mittelmeer hat sich seitdem stärker nach Spanien verlagert: Spanien ist in diesem Jahr zum Hauptankunftsland von Flüchtlingen in Europa geworden, weit vor Italien und Griechenland.

      http://www.spiegel.de/politik/ausland/fluechtlinge-italien-verschaerft-seine-einwanderungsgesetze-drastisch-a-1241

    • Decreto immigrazione e sicurezza, la circolare ai Prefetti del 18 dicembre 2018

      Il Gabinetto del ministero dell’Interno ha diramato in queste settimane ai Prefetti la CM del 18 dicembre 2018 per «illustrare… le principali disposizioni d’insieme» del DL 4 ottobre 2018, il cosiddetto decreto immigrazione e sicurezza. Il testo è disponibile a questo link: http://viedifuga.org/wp-content/uploads/2019/01/Circolare_m_18_12_2018.pdf. Il Viminale ha predisposto anche un documento divulgativo dal titolo Immigrazione e sicurezza pubblica. Le risposte per conoscere il nuovo decreto: qui (http://viedifuga.org/wp-content/uploads/2019/01/FAQ_Decreto_immigrazione_e_sicurezza_definitivo_3_1_2018.pdf) la versione aggiornata al 3 gennaio 2019.

      Qui invece (www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/612656/Dl-Salvini-la-circolare-del-Viminale-che-tenta-di-rassicurare-i-sindaci), da Redattore sociale, il giudizio dell’ASGI sulla circolare ministeriale e le pericolose ricadute del DL (convertito in legge con la 132/2018: viedifuga.org/approvato-alla-camera-il-decreto-sicurezza-e-immigrazione-e-una-pessima-legge/) secondo Oxfam Italia e secondo l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale).

      http://viedifuga.org/decreto-immigrazione-e-sicurezza-la-circolare-ai-prefetti-del-18-dicembre

    • La stretta sulla residenza è uno dei problemi del decreto sicurezza

      Il decreto immigrazione e sicurezza, diventato legge il 27 novembre del 2018 con l’approvazione in parlamento, suscita divisioni e critiche sia all’interno della maggioranza sia tra le file dell’opposizione. Dopo l’attacco del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e del sindaco di Napoli Luigi De Magistris – che hanno annunciato di non voler applicare la legge, perché “è un testo inumano che viola i diritti umani” – molti altri sindaci hanno detto che boicotteranno la norma. Una mappa compilata dalla ricercatrice Cristina Del Biaggio raccoglie tutte le adesioni degli amministratori locali contro il decreto, in totale un centinaio.

      Uno dei punti più contestati della legge è l’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica. Leoluca Orlando, con una nota inviata al capoarea dei servizi al cittadino, ha chiesto d’indagare i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione del decreto sicurezza e di sospendere qualsiasi procedura “che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla procedura di iscrizione della residenza anagrafica”. Ma perché è così importante essere iscritti all’anagrafe e cosa comporta esserne esclusi? E infine, ha senso sospendere l’applicazione del decreto o basta applicare correttamente le norme esistenti?

      Cosa prevede il decreto
      La legge 113/2018 (anche detta decreto sicurezza e immigrazione o decreto Salvini) prevede delle modifiche all’articolo 4 del decreto legislativo 142/2015 attraverso un comma secondo cui “il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”. Secondo Enrico Gargiulo, docente di fondamenti di politica sociale all’università Ca’ Foscari di Venezia, il decreto introduce una “rivoluzione nel campo del diritto all’anagrafe”, perché “per la prima volta si nega in maniera chiara a una categoria di persone un diritto soggettivo perfetto”, contravvenendo alla costituzione e ad altre norme generali sull’immigrazione come il Testo unico del 1998.

      Dello stesso orientamento l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che in un comunicato ha ribadito l’incostituzionalità di questo punto e ha annunciato di aver già presentato diversi ricorsi, impugnando in sede giudiziaria alcuni dinieghi all’iscrizione anagrafica. “Riteniamo infatti che non sussista alcuna ragione che giustifichi sotto il profilo costituzionale una diversità di trattamento nell’iscrizione anagrafica che colpisce una sola categoria di stranieri legalmente soggiornanti (i titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo), violando il principio di parità di trattamento coi cittadini italiani prevista dall’articolo 6 del Testo unico sull’immigrazione( legge 286/1998)”, si legge nel comunicato. I ricorsi che saranno portati davanti a un giudice chiameranno in causa la corte costituzionale per violazione dell’articolo 3 della costituzione. La consulta a sua volta dovrà stabilire se questa parte del decreto è in linea con la carta fondamentale.

      Di fatto nella norma non si vieta espressamente l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe

      Tuttavia alcuni giuristi invitano a un’interpretazione diversa del decreto. Le avvocate dell’Asgi Nazzarena Zorzella e Daniela Consolo ritengono che il decreto “non pone nessun esplicito divieto, ma si limita a escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno possa essere documento utile per formalizzare la domanda di residenza”. Intervistata al telefono da Internazionale Zorzella ribadisce che “anche se il decreto ha come obiettivo l’esclusione dei richiedenti asilo dalla residenza, tuttavia di fatto nella norma non si vieta espressamente l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe, ma si sostiene che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisca un titolo valido per l’iscrizione all’anagrafe”.

      Per l’avvocata, quindi, i sindaci potrebbero con una circolare informare gli uffici anagrafici di accettare come documento valido per l’iscrizione all’anagrafe il modulo C3 e cioè la domanda di asilo presentata in questura dal richiedente asilo al momento dell’arrivo in Italia, assumendo quel titolo come prova del soggiorno regolare del cittadino straniero in Italia. “Il decreto sicurezza coesiste con il Testo unico sull’immigrazione, in particolare con l’articolo 6 comma 7 che non è stato modificato dal decreto e prevede che allo straniero regolarmente soggiornante sia consentita l’iscrizione anagrafica”. Secondo l’avvocata i sindaci potrebbero provare a interpretare la norma in senso meno restrittivo, continuando a consentire l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe usando un altro documento come prova del loro soggiorno nel paese.

      Cosa implica l’iscrizione all’anagrafe
      L’iscrizione anagrafica è necessaria per il rilascio del certificato di residenza e del documento d’identità. Questi due documenti di prassi sono il presupposto per il godimento di alcuni servizi pubblici, in particolare dei servizi sociali, per esempio la presa in carico da parte degli assistenti sociali, l’accesso all’edilizia pubblica, la concessione di eventuali sussidi, per l’iscrizione al servizio sanitario nazionale (per la fruizione dei servizi ordinari come il medico di base, mentre l’assistenza sanitaria d’urgenza è per principio garantita anche agli irregolari), per l’iscrizione a un centro per l’impiego. Inoltre un documento d’identità valido è richiesto per sottoscrivere un contratto di lavoro, per prendere in affitto una casa o per aprire un conto corrente bancario. La situazione in realtà è molto disomogenea sul territorio italiano, da anni molti comuni hanno stabilito che sia necessaria la residenza per accedere a questi servizi, mentre in altri municipi è consentito accedere ai servizi con il domicilio o la residenza fittizia, ma il decreto introdurrà ancora più ambiguità in questa materia e c’è da aspettarsi un aumento dei contenziosi. “Chi non ha accesso ai diritti anagrafici diventa invisibile, è una specie di fantasma dal punto di vista amministrativo”, afferma il ricercatore Enrico Gargiulo. “Anche se una persona rimane titolare di certi diritti, senza l’iscrizione anagrafica di fatto ne è esclusa”, conclude il ricercatore.

      Anche su questo punto le avvocate dell’Asgi, Zorzella e Consolo, ritengono che l’iscrizione all’anagrafe non sia necessaria per garantire l’accesso ai servizi dei richiedenti asilo. Zorzella e Consolo ricordano che lo stesso decreto sicurezza prevede che sia assicurato agli stranieri “l’accesso ai servizi comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti”. In questo senso, secondo loro, i sindaci e gli amministratori locali dovrebbero chiarire in una circolare che è sufficiente il domicilio per accedere ai servizi pubblici territoriali senza dover esibire l’iscrizione all’anagrafe, e lo stesso varrebbe per i servizi privati (banche, poste, assicurazioni, agenzie immobiliari).

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/01/09/residenza-anagrafe-decreto-sicurezza

    • La delibera per iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo. Dalle parole ai fatti, smontiamo il decreto Salvini

      Il 2019 è iniziato con numerosi Sindaci che hanno manifestato la loro volontà di disobbedire al decreto legge “immigrazione e sicurezza” di Salvini.
      Tra tutti, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo con una nota inviata al Capo Area dei Servizi al Cittadino, ha conferito mandato per indagare i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione della legge n.132/2018 e, nelle more, ha impartito di sospendere qualsiasi procedura “che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla procedura di iscrizione della residenza anagrafica”.

      Si tratta del primo vero atto che tenta di opporsi alle previsioni contenute nel d.l. n. 113/2018 dopo la sua conversione in legge. Precedentemente, infatti, alcuni Comuni avevano dichiarato di sospendere gli effetti del decreto ma solo fino alla sua approvazione definitiva.
      In ogni caso, il fronte che, speriamo, si stia aprendo a livello territoriale contro questo provvedimento è di fondamentale importanza.

      Le leggi razziste, securitarie e repressive come, prima, i decreti di Minniti ed , ora, il decreto di Salvini agiscono anche e soprattutto sullo spazio delle nostre città, creano sacche di esclusione e di diritti negati.

      Dalle nostre città, dunque, deve partire una nuova resistenza.

      Per questo abbiamo pensato di elaborare un primo modello di delibera che smonti un pezzetto della legge n.113/2018 proprio nella parte in cui prevedendo l’impossibilità per il richiedente, titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, di iscriversi all’anagrafe si pone in piena violazione dell’articolo 26 della Convenzione di Ginevra e comporta una grave limitazione al godimento di quei diritti che la nostra Carta Costituzionale individua come diritti fondamentali.
      L’iscrizione all’anagrafe, infatti, rimane lo strumento tramite il quale si consente ai poteri pubblici di pianificare i servizi da erogare alla popolazione; inoltre essa è da sempre presupposto per l’accesso ad altri diritti sociali e civili, come l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale; l’accesso all’assistenza sociale e concessione di eventuali sussidi previsti dagli enti locali.

      Nel modello di delibera si richiama la competenza comunale in materia di istituzione di un albo anagrafico (art. 14 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), i casi in cui i Comuni hanno già esercitato tale potere istitutivo (si vedano i registri per le unioni civili); la Convezione di Ginevra; gli articoli della nostra Costituzione che tutelano l’iscrizione anagrafica e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto un diritto alla residenza qualificato come “diritto soggettivo”.
      Il tutto per dire una sola cosa alle istituzioni locali: se volete, avete tutto il potere di istituire quest’albo e garantire ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica. Avete dalla vostra, la forza della ragione e la forza del Diritto.

      Si tratta, dunque, di un modello di delibera che mettiamo nelle mani dei Comuni solidali che realmente vogliono contrastare gli effetti di questo decreto.
      Un modello di delibera che mettiamo nelle mani degli attivisti e degli abitanti delle nostre città, piccole o grandi che siano, per fare pressione sui loro governanti e sfidarli ad istituire l’albo per l’iscrizione dei richiedenti asilo.

      Un modello di delibera che è solo uno dei tanti strumenti che intendiamo mettere a disposizione di questa battaglia per la giustizia e la dignità.
      La partita per la gestione dei centri Sprar e per i regolamenti di polizia locale dei nostri Comuni è ,infatti, ancora aperta.
      Anche in quel caso gli amministratori potranno decidere da che parte stare: se dalla parte della cieca obbedienza a delle leggi disumane, che condannano migliaia di persone alla marginalità rendendole carne da cannone per le Mafie, oppure dalla parte della “sicurezza dei diritti” di tutti e tutte noi.

      https://www.meltingpot.org/La-delibera-per-iscrivere-all-anagrafe-i-richiedenti-asilo.html

    • Une nouvelle loi anti-immigration controversée adoptée en Italie

      Le parlement italien a adopté une loi introduisant des restrictions pour les demandeurs d’asile, mais aussi des mesures pour la sécurité publique et contre les mafias. Un article d’Euroefe.

      La Chambre des représentants a approuvé le projet de loi par 336 voix pour et 249 abstentions, concluant ainsi sa trajectoire après son approbation au Sénat le 7 novembre par 163 voix pour, 59 contre et 19 abstentions.

      Cette mesure a été amenée par le chef de file de la Ligue de l’extrême droite et ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini, et présentée dans les deux chambres parlementaires comme une motion de confiance au gouvernement, une technique utilisée pour éviter les amendements et écourter leur approbation.

      Quelque 200 personnes ont manifesté devant le parlement pour manifester leur rejet de cette loi controversée, et ont organisé des funérailles pour les droits, dénonçant le racisme.

      Salvini célèbre sa loi controversée

      Matteo Salvini a exprimé lors d’une conférence de presse sa « grande satisfaction, non pas en tant que ministre, mais en tant que citoyen italien », car, a-t-il assuré, la loi « donnera plus de tranquillité, d’ordre, de règles et de sérénité aux villes ».

      La nouvelle loi repose sur trois piliers : l’immigration, la sécurité publique et la lutte contre la criminalité organisée.

      Dans le domaine de l’immigration, les permis de séjour pour des raisons humanitaires seront suspendus. Ceux-ci ont été accordés pour deux ans et ont permis aux réfugiés d’accéder au monde du travail et à la sécurité sociale. Au lieu de cela, des permis de « protection spéciale » d’un an seront octroyés.

      En outre, la protection internationale sera refusée ou rejetée en cas de condamnation définitive de l’immigré, notamment pour viol, vente de drogue, vol ou extorsion. La mutilation génitale est mentionnée dans le texte et considérée comme « crime particulièrement alarmant ».

      La nouvelle loi allongera de 90 à 180 jours la période pendant laquelle les immigrants pourront rester dans les centres d’identification, période que le gouvernement du Mouvement 5 étoiles et la Ligue considère appropriée pour identifier le demandeur.

      Par ailleurs, davantage de fonds sont prévus pour le rapatriement volontaire des immigrants et la protection sera retirée à ceux qui retournent dans leur pays d’origine, sinon pour des « raisons graves et avérées ».

      Utilisation expérimentale du Taser

      En matière de sécurité publique, la nouvelle loi stipule que les sociétés de location de voitures communiquent à la police les données de leurs clients pour vérifier leurs antécédents et éviter ainsi d’éventuels attentats à la voiture bélier comme ce fut le cas à Nice, Berlin ou Londres.

      Elle permettra aussi aux agents des villes de plus de 100 000 habitants d’expérimenter le pistolet électrique Taser, et les clubs de football devront accroître leur contribution, en allouant entre 5 et 10 % des ventes de billets à la sécurité des stades.

      La loi étend par ailleurs le « Daspo », l’interdiction d’accès aux manifestations sportives aux foires, marchés et hôpitaux pour les personnes qui ont manifesté un comportement agressif ou dangereux.

      Enfin, en ce qui concerne la mafia, les nouvelles mesures augmentent les ressources destinées à l’entité qui gère les biens saisis aux criminels et libéralise ces biens, qui peuvent désormais être achetés par des particuliers « avec des contrôles rigoureux » afin qu’ils ne reviennent pas entre les mains des clans.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/une-nouvelle-loi-anti-immigration-controversee-adoptee-en-italie

    • Decreto immigrazione e sicurezza: tutti i dubbi sulla costituzionalità

      Le Regioni contro il decreto Salvini. Piemonte, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Basilicata. Di ora in ora si allarga la squadra dei governatori contro il decreto sicurezza e immigrazione di Matteo Salvini.

      La strada passa per il ricorso alla Corte costituzionale e a guidare il tutto sarà la Regione Piemonte, che ha dato mandato al docente di Diritto internazionale, Ugo Mattei, e all’avvocatura della Regione di preparare il ricorso che “

      seguirà l’esempio di quanto fatto da Apple, Facebook, Google, e altri colossi della Silicon Valley quando presero posizione e presentarono ricorso contro il decreto attuativo anti-immigrazione e il blocco dei visti voluto dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump” ha spiegato l’assessora all’immigrazione della regione Piemonte Monica Cerutti

      “Ugo Mattei, insieme all’avvocatura della Regione Piemonte, si occuperà del ricorso in Corte Costituzionale contro il decreto sicurezza che rischia di creare un danno all’economia piemontese” ha spiegato Monica Cerutti. “Il decreto farà finire nell’irregolarità migliaia di migranti che quindi non potranno più contribuire alla vita economica del territorio”.

      “La nostra avvocatura sta anche lavorando con le avvocature delle altre ‘regioni rosse’” ha aggiunto l’assessora della Regione Piemonte “perché ci sia coordinamento nella presentazione dei ricorsi. Stiamo infatti pensando di aggiungere un nuovo profilo di incostituzionalità, che va sommarsi a quelli che riguardano le competenze regionali in materia di sanità e politiche sociali. Questo decreto manda del resto a gambe all’aria tutto il lavoro fatto sull’immigrazione in questi anni, rendendo inutili gli investimenti messi in campo dalla nostra Regione”.

      Il professor Mattei, si precisa dalla Regione, “si è reso disponibile a portare avanti questa battaglia a titolo gratuito. Quindi il suo intervento non costituirà una spesa per il Piemonte”.

      In precedenza anche il Quirinale aveva valutato eventuali profili di incostituzionalità del decreto, ponendo l’accento – nonostante la firma arrivata dopo la fiducia ottenuta alla Camera mercoledì 28 novembre 2018 – su alcune questioni.

      Vediamo quali sono:

      Necessità e urgenza – Il primo nodo è sulla natura dello strumento scelto dal governo. Secondo la Costituzione, il decreto deve rispettare i criteri di necessità e urgenza, oltre a non essere palesemente incostituzionale. La presidenza della Repubblica aveva già manifestato le proprie perplessità sull’urgenza di un intervento del governo su questa materia.

      Revoca del diritto d’asilo – Si allunga l’elenco di reati che comportano la sospensione della domanda di asilo e causano l’espulsione immediata dello straniero. Tra questi sono stati inclusi la violenza sessuale, la detenzione e il traffico di stupefacenti, il furto, la minaccia o la violenza a pubblico ufficiale. Nel decreto è prevista la revoca dello status dopo la sola condanna di primo grado: nella nostra Costituzione è però prevista la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Questa disposizione potrebbe essere in contrasto con i principi costituzionali.

      Revoca della cittadinanza – È prevista la revoca della cittadinanza italiana acquisita dagli stranieri condannati in via definitiva per reati di terrorismo. La revoca sarà possibile entro tre anni dalla condanna definitiva, per decreto del presidente della Repubblica su proposta del ministro dell’Interno. Anche questa norma è in contrasto con principi della Corte Costituzionale, che considera la cittadinanza un diritto inviolabile.

      Inizialmente i decreti dovevano essere due, uno sull’immigrazione e uno sulla sicurezza e i beni confiscati alle mafie. Poi sono stati accorpati in un unico provvedimento. Ecco gli altri punti del documento:

      Abolizione della protezione umanitaria – Il decreto prevede l’abolizione della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dal Testo unico sull’immigrazione (legge 286/98).

      Trattenimento nei Cpr – Gli immigrati con i documenti non in regola potranno essere trattenuti nei Centri per il rimpatrio fino a 180 giorni. Ad oggi il limite era 90 giorni.

      Sicurezza urbana – Viene prevista la sperimentazione dei taser di parte della municipale nei comuni con più di 100 mila abitanti e inasprite le pene contro chi promuove o organizza occupazioni.

      Lotta alle mafie – Per contrastare le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione, il decreto prevede la nomina di un Commissario straordinario in caso di segnalazioni di situazioni anomale o di condotte illecite da parte di un Prefetto.

      https://www.tpi.it/2019/01/08/decreto-sicurezza-incostituzionalita-regioni/amp
      #constitutionnalité

    • Protezione umanitaria, la pronuncia della Cassazione n. 4890/2019

      Pubblichiamo la decisione n. 4890/2019 della Corte di cassazione, che risolve i dubbi in tema di regime intertemporale della nuova disciplina sulla protezione umanitaria.

      In argomento, questa Rubrica ha già ospitato la requisitoria del procuratore generale presso la Corte di cassazione, l’articolo di Carlo Padula (Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?) contenente l’orientamento dei Tribunali di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Torino, Trento e della dottrina in punto di regime intertemporale della nuova disciplina della protezione umanitaria.

      http://questionegiustizia.it/articolo/protezione-umanitaria-la-pronuncia-della-cassazione-n-48902019_19
      #protection_humanitaire

  • #Délit_de_solidarité à Lausanne. Le commentaire de Patrick Le Fort, au Tribunal de police de Lausanne.
    https://www.rts.ch/play/tv/12h45/video/delit-de-solidarite-a-lausanne--le-commentaire-de-patrick-le-fort-au-tribunal-de
    #Suisse #Lausanne #solidarité #asile #migrations #réfugiés #déboutés #logement #hébergement

    Selon ce que dit le journaliste dans le commentaire de la sentence, Flavie Bettex aurait hébergé ce requérant d’asile débouté car « il ne pouvait pas dormir dans un #abri_PC pour des raisons de santé »
    #bunkers

    • «Je n’ai jamais pensé que je faisais quelque chose d’illégal»

      La Vaudoise Flavie Bettex, 27 ans, se retrouve devant la justice, car elle sous-louait un appartement à un migrant débouté.

      Flavie Bettex ne s’imaginait pas qu’en venant en aide à un migrant avec le soutien de l’Etablissement vaudois d’accueil des migrants (EVAM), elle se retrouverait devant les tribunaux. « C’est un ami de longue date. Il a toujours été discret par rapport à sa situation, par pudeur. Un jour, il s’est ouvert à moi. Nous avons engagé de nombreuses démarches pour stabiliser sa situation. Nous sommes allés devant le Grand Conseil pour soutenir sa cause, mais finalement il a reçu une réponse négative », raconte la Vaudoise de 27 ans. Ario* est chrétien. Il a quitté son pays, l’Iran, car il était en danger en raison de divergences d’opinions politiques. Le jeune homme est débouté depuis plus de six ans, « mais il ne peut pas être renvoyé par les autorités, car il risquerait sa vie s’il retournait en Iran ».

      « L’Etablissement vaudois d’accueil des migrants (EVAM) l’a pris en charge. Il est à l’aide d’urgence. Et comme il a des problèmes de santé, il ne pouvait pas aller dans un foyer. » Flavie Bettex lui a sous-loué un appartement qu’elle a pris à son nom et l’EVAM en payait le loyer. « C’était logique pour moi de l’aider, c’est un ami. » Cette situation a duré pendant huit mois. Précédemment, Ario avait été hébergé par d’autres personnes.
      Devant la justice

      Puis, en avril dernier, la jeune femme a été convoquée par la police. « Je n’ai pas eu l’impression d’être entendue. C’est comme si les agents ne comprenaient pas. » Bilan : une amende de 160 francs, 525 francs de frais de dossier ainsi que vingt jours-amende avec sursis, précise-t-elle. « A aucun moment, je n’ai pensé que je faisais quelque chose d’illégal », affirme Flavie Bettex qui travaille comme ergothérapeute en pédiatrie. La jeune femme porte l’affaire devant la justice.

      Son audience se déroulera le 18 septembre prochain au tribunal d’arrondissement de Lausanne. « J’ai dû prendre un avocat, mais je n’ai pas beaucoup d’argent. C’est un gros problème pour moi », affirme cette originaire de la Broye qui ne pouvait accepter son amende. « Cela voudrait dire que j’admets que c’est illégal. Illégal d’aider une personne en détresse, illégal d’aider une personne soutenue par des instances étatiques. »

      Contacté, l’avocat Jean-Michel Dolivo affirme avoir ni défendu, ni eu connaissance de ce genre de situation. « Si l’EVAM paie le loyer, cette femme n’est pas punissable. Toute condamnation serait contraire au principe de bonne foi », souligne l’avocat. « Les migrants illégaux font partie des personnes que nous avons pour mission d’assister. Cette mission est basée sur un cadre légal. Habituellement, ils sont logés dans des foyers collectifs, mais il arrive également qu’ils soient en bail privé, donc dans des appartements, pour des raisons médicales par exemple », relève Evi Kassimidis, porte-parole de l’EVAM qui ajoute qu’Ario a droit à l’aide d’urgence, sur la base de ses certificats médicaux et du cadre légal. « L’EVAM a autorisé la demande de sous-location de l’appartement et en finance le loyer. Tout a également été fait dans les règles avec la régie immobilière », ajoute la porte-parole.

      https://lecourrier.ch/2018/08/30/je-nai-jamais-pense-que-je-faisais-quelque-chose-dillegal

    • #Flavie_Bettex acquittée

      Le Tribunal d’arrondissement de Lausanne a annulé la condamnation d’une jeune femme qui avait sous-loué un appartement à un requérant d’asile iranien. Amnesty se réjouit de cette décision.

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2018/flavie-bettex-acquittee/@@images/ae02338f-a0c1-428a-8eee-f76c6b6050d3.jpeg
      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2018/flavie-bettex-acquittee

    • Solidarité sans frontières | Soutien à #Anni_Lanz contre le délit de solidarité

      Le 6 décembre 2018, Anni Lanz comparaît en justice à Brigue. L’ancienne secrétaire générale de Solidarité sans frontières doit se présenter à la barre du tribunal de première instance de Brigue pour avoir voulu aider, le 24 février 2018, un réfugié afghan à (re)gagner le territoire suisse à Gondo. Ce qui a l’air d’une banale histoire de passeurs cache en fait une grave réalité. Solidarité sans frontières appelle à venir soutenir Anni Lanz le 6 décembre 2018 à Brig à 13 heures 30 devant le tribunal de première instance au palais Stockalper.

      https://asile.ch/2018/12/03/solidarite-sans-frontieres-soutien-a-anni-lanz-contre-le-delit-de-solidarite

    • Une défenseuse des migrants condamnée

      Amnesty International critique vertement le jugement prononcé contre la militante des droits des migrants Anni Lanz par le tribunal de district de Brigue. À 72 ans, elle avait fait traverser la frontière suisse à un requérant d’asile afghan lourdement traumatisé, qui devait dormir dehors par moins dix degrés et souffrait d’engelures. Les jours- amende dont elle avait écopé sont supprimés mais le montant de l’amende à laquelle elle est condamnée a été augmenté, ainsi que les frais de procédure.

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2018/une-defenseuse-des-migrants-condamnee/@@images/03093ef5-74df-44a0-9022-540fe382f8f5.jpeg

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2018/une-defenseuse-des-migrants-condamnee

    • «Es geht um mehr als die Bestrafung von Anni Lanz»

      Das Bezirksgericht Brig spricht eine Menschenrechtsaktivistin schuldig, weil sie einem traumatisierten Flüchtling geholfen hat. Das Urteil steht beispielhaft für die Kriminalisierung von Fluchthilfe. Ein Prozessbericht.

      Es ist kalt und regnerisch, als sich am letzten Donnerstag in Brig rund vierzig DemonstrantInnen vor dem Stockalperschloss versammeln. Sie sind aus der ganzen Schweiz angereist, um Anni Lanz zu unterstützen. Die 72-Jährige steht vor Gericht, weil sie einem Flüchtling über die schweizerisch-italienische Grenze helfen wollte. Trotz des schlechten Wetters strahlen die UnterstützerInnen Optimismus aus, dass Lanz von der Anklage der Widerhandlung gegen das Ausländergesetz freigesprochen wird. Der Briger Stadtrat hat der Solidaritätskundgebung am Vortag kurzfristig eine Bewilligung erteilt, sofern diese «friedlich» durchgeführt würde.

      Anni Lanz, frühere Generalsekretärin von Solidarité sans frontières, die sich schon lange für die Rechte von Flüchtlingen einsetzt, versuchte im Februar dieses Jahres, den aus Afghanistan stammenden Tom* zurück in die Schweiz zu bringen. In dieser Zeitung schilderte sie die Geschichte zum ersten Mal in einem eindrücklichen Bericht (siehe WOZ Nr. 16/2018). Die Geschichte steht beispielhaft dafür, wie Asylsuchende zwischen den einzelnen Dublin-Staaten zur Manövriermasse werden – ohne Rücksicht auf ihr persönliches Schicksal und ihre Gesundheit.
      Auf der kalten Strasse

      Tom war vor ein paar Jahren über Italien in die Schweiz eingereist, wo seine Schwester und sein Schwager bis heute leben. Er musste mehrfach in psychiatrischen Kliniken hospitalisiert werden, litt unter posttraumatischen Belastungsstörungen, war psychisch beeinträchtigt und instabil. Er hatte mehrere Suizidversuche hinter sich.

      Nach seinem letzten Klinikaufenthalt wurde Tom in Dublin-Ausschaffungshaft genommen. Dort lernte ihn Lanz während eines ihrer regelmässigen Besuche im Ausschaffungsgefängnis kennen. Einen Monat nach seiner Inhaftierung wurde Tom gemäss der Dublin-Verordnung nach Mailand ausgeschafft. Da er in Italien nie ein Asylgesuch gestellt hatte, verweigerten die italienischen Behörden seine Aufnahme in ein Asylzentrum. Tom landete bei winterlichen Temperaturen auf der Strasse, niemand erklärte sich für ihn zuständig.

      Als Lanz mehrere Tage später zusammen mit Toms Schwager in Domodossola eintraf, hatte Tom bereits mehrere Nächte bei eisiger Kälte draussen übernachtet. Spontan entschieden sie sich, Tom zurück in die Schweiz zu bringen. Beim Grenzposten im Walliser Gondo wurden die drei festgenommen. Lanz wurde für ihre Hilfeleistung angezeigt, Tom wieder nach Italien zurückgeschafft. Da sie Einsprache gegen den Strafbefehl erhob, landete der Fall vor dem Bezirksgericht in Brig.
      Staatsanwalt lobt Selbstlosigkeit

      Die Stimmung im Gerichtssaal wechselt ständig zwischen Lockerheit und Anspannung. Der Saal ist zum Bersten voll, da sich auch alle DemonstrantInnen eingefunden haben. Bereits bei der Einvernahme von Anni Lanz scheint das Eis zu brechen. Pointiert, aber mit dem nötigen Ernst schildert sie die damalige Situation von Tom und die Motivation für ihr Handeln. «Ich wusste nicht, was mich an diesem Tag in Domodossola erwartet. Es hätte auch sein können, dass Tom gar nicht mehr lebt. Ich habe aus moralischen Gründen gehandelt und stehe zu meiner damaligen Entscheidung», sagt sie.

      Der zuständige Staatsanwalt des Kantons Wallis hält in seinem Plädoyer fest, dass er durchaus Verständnis für das Handeln von Lanz aufbringen könne. «Ich habe grossen Respekt für Menschen, die sich selbstlos für andere einsetzen.» Anni Lanz sei alles andere als eine «klassische Schlepperin». Trotzdem stelle er sich auf den gesetzlichen Standpunkt, dass man Personen auch wegen einer geringfügigen Straftat bestrafen müsse, selbst wenn diese anderen Menschen helfen wollten. «Es mag zynisch klingen: Aber Lanz hatte ja andere Möglichkeiten, um Tom zu helfen, ohne sich strafbar zu machen.» So hätte sie ihm auch in Italien eine Unterkunft oder ein Hotel organisieren können.

      Dieser Darstellung widersprechen Anni Lanz und ihr Verteidiger Guido Ehrler vehement. Denn auch in Italien verfügte Tom über keinerlei Aufenthaltspapiere. Ihm in Italien eine Unterkunft zu organisieren oder ihn gar ins Spital zu bringen, wäre aufgrund dieser Situation unmöglich gewesen. Auch von der Caritas Italien gab es für Tom keinerlei Hilfe. Ein Anruf bei der zuständigen Stelle in Domodossola sei ergebnislos geblieben, erzählt Lanz vor Gericht.

      Verteidiger Guido Ehrler führt zudem an, Tom habe mit seiner Einreise einzig und allein versucht, sich aus seiner lebensbedrohlichen Lage zu befreien. Er habe aufgrund eines Notstands höherwertige Interessen wahrgenommen und sich nicht strafbar gemacht. Damit könne auch die Hilfeleistung von Lanz nicht als strafbar geahndet werden.

      Zum Schluss spannt der Verteidiger einen Bogen zur europäischen Repressionspolitik gegen FlüchtlingsaktivistInnen: In Griechenland stünden spanische Feuerwehrleute vor Gericht, weil sie Flüchtlinge aus dem Meer gerettet hätten. Und in Malta sei der Kapitän von Mission Lifeline angeklagt, weil er Flüchtlinge in Seenot gerettet habe. «Es steht dem Gericht wohl an, sich nicht in die Reihe jener einzureihen, die uneigennütziges solidarisches Handeln zum Schutze von Flüchtlingen in Notstandssituationen kriminalisieren. Es geht hier um mehr als die Bestrafung von Anni Lanz», so Ehrler. Grundlegende Werte des Rechtsstaats stünden auf dem Spiel. Entsprechend fordert er einen Freispruch – oder im Fall einer Verurteilung die Mindeststrafe von einem Franken. Am Schluss der Gerichtsverhandlung verweist der zuständige Richter auf die Komplexität des Falles und die entsprechend lange Entscheidungsfindung. Er vertagt deshalb die Urteilsverkündung auf einen späteren Zeitpunkt.
      Ein Schlag ins Gesicht

      Mit Urteil vom 7. Dezember verhängt das Bezirksgericht Brig schliesslich eine Busse von 800 Franken. Damit hat der Richter die Busse gegenüber dem Strafbefehl sogar noch erhöht. Gestrichen wurde dafür die bedingte Geldstrafe von dreissig Tagessätzen. Allerdings hat Lanz die Verfahrenskosten von 1400 Franken zu tragen. In seiner Begründung verneint der Richter das Vorliegen eines Notstands, Tom habe sich nicht in unmittelbarer Lebensgefahr befunden. Er hält es zudem für möglich und zumutbar, dass die für Tom notwendige medizinische Betreuung und weitere Hilfeleistungen auch in Italien hätten organisiert werden können. Damit folgt das Gericht mehrheitlich der Auffassung der Staatsanwaltschaft.

      Anni Lanz zeigt sich vom Urteil enttäuscht. «Ich habe eigentlich einen Freispruch erwartet», sagt sie gegenüber der WOZ. Amnesty International kritisiert das Urteil scharf. Cyrielle Huguenot, Kampagnenverantwortliche Flucht und Migration bei Amnesty Schweiz, sagt: «Das Urteil des Walliser Gerichts ist ein Schlag ins Gesicht aller Aktivistinnen und Aktivisten, die sich für die Rechte von Menschen in Not einsetzen. Anni Lanz hat aus reinem Mitgefühl gehandelt.» Lanz will nun mit ihrem Anwalt die schriftliche Urteilsbegründung abwarten und das Urteil gegebenenfalls anfechten. Wo Tom ist, weiss heute niemand, auch Anni Lanz nicht. Seit seiner Rückweisung nach Italien ist sein Schicksal ungewiss.

      https://www.woz.ch/-93b6

    • La loi et rien que la loi

      « Toute infraction à une loi doit être punie ». Le procureur valaisan au front bas n’a laissé aucun espoir à #Anni_Lanz. Mercredi, le Tribunal cantonal valaisan a confirmé l’amende infligée à l’ancienne secrétaire générale de l’association Solidarité sans frontières pour être venue en aide à un réfugié afghan.

      Tant pis si cet homme qui a été expulsé vers l’Italie, pays de première entrée, n’avait pas pu être logé dans une structure d’accueil. Tant pis s’il dormait dans la rue par des températures en dessous de zéro. Tant pis s’il avait fait plusieurs tentatives de suicide et qu’il aurait sans doute été mieux entouré s’il avait pu être hébergé par sa sœur qui vit en Suisse. La justice a refusé d’entrer en matière sur la notion, pourtant élémentaire, de compassion qui a mû l’action d’Anni Lanz. Celle-ci a été traitée comme une vulgaire passeuse intéressée par l’argent.

      Anni Lanz n’est d’ailleurs pas la seule dans le collimateur de la justice. Norbert Valley, pasteur évangélique neuchâtelois, a été condamné pour avoir hébergé un Togolais. Ce dangereux délinquant a été interpellé en plein culte par les pandores ! Un recours a été déposé. Et Lisa Bosia Mirra, députée tessinoise, est devant la justice pour avoir aidé au passage de jeunes réfugiés.

      Venir en secours à une personne en détresse profonde est donc un délit. En revanche, se comporter en plus froid des monstres froids, pour reprendre la formule de Nietzsche à propos de l’Etat, reste de mise. On peut laisser se noyer des dizaines de milliers de damnés de la terre en Méditerranée sans être condamné par la justice, comme le voudrait pourtant le bon sens.

      La politique suisse en la matière s’inscrit malheureusement dans un contexte politique largement partagé par les pays voisins. Mercredi, Le Canard Enchaîné1 évoquait le cas d’un Afghan pour lequel un juge français décérébré a qualifié de « perspective raisonnable » une expulsion vers Kaboul. Certes, la situation y est « complexe », notamment en raison d’attentats meurtriers, « mais ce risque est aussi présent en France », a osé cet homme chargé de dire la loi.

      Sans doute ne faut-il effectivement pas trop attendre des voies de droit. La réponse est peut-être politique. Ça tombe bien : la section suisse d’Amnesty International a lancé une pétition pour réviser l’article 116 de la loi sur les étrangers qui criminalise les personnes qui font preuve de solidarité. N’attendons pas cinquante ans pour les réhabiliter en admettant que la politique menée avait peut-être quelque chose d’indigne.

      https://lecourrier.ch/2019/08/21/la-loi-et-rien-que-la-loi

  • Dentro l’Hotel house, il ghetto verticale di Porto Recanati

    “Vedi laggiù quella che chiamano la fossa degli orrori? La scientifica ha scavato qualche giorno, poi l’hanno ricoperta. Non è poi così vicina all’Hotel house”. Dall’undicesimo piano del condominio di 16 piani e quasi cinquecento appartamenti di #Porto_Recanati il colonnello in pensione Alfredo La Rosa mostra il panorama dolce della campagna marchigiana. Intorno al grattacielo avveniristico costruito alla fine degli anni sessanta per offrire una residenza sulla riviera adriatica alle famiglie benestanti della zona, il paesaggio è rimasto rurale: ci sono campi coltivati, vecchi casali abbandonati, strade sterrate.

    Intorno a una delle cascine che si vedono dal balcone del colonnello alla fine di marzo la polizia ha trovato dei resti umani e la stampa locale ha cominciato a parlare di “fossa comune” o anche di “pozzo degli orrori”, ipotizzando che si trattasse di una buca in cui erano stati occultati dei cadaveri, in qualche modo collegati a dei reati commessi nel palazzo, in cui oggi vivono circa duemila persone di quaranta diverse nazionalità.

    “Tutto quello che avviene vicino all’#Hotel_house viene ricondotto sempre ai suoi abitanti e assume tinte mostruose”, racconta sarcastico La Rosa, che è venuto a vivere all’Hotel house nel 1993, quando nel condominio abitavano solo ufficiali dell’aeronautica in servizio a Porto Potenza Picena e famiglie marchigiane della classe medioalta. “Ci passavo vicino e pensavo: ‘Quanto è bello!’. Mi piaceva l’aspetto moderno del condominio con la sua pianta a croce, i suoi ascensori, i montacarichi, i portieri e l’entrata sorvegliata”, racconta rientrando in casa dal lungo balcone, tra le statue di marmo del salotto e vecchi libri impolverati.

    Una navicella spaziale

    “L’Hotel house è un’opera che fa onore alla riviera”, aveva detto il ministro Lorenzo Natali durante l’inaugurazione della struttura. L’aspetto tecnologico che per l’epoca era davvero all’avanguardia era uno dei fiori all’occhiello del palazzo, destinato a essere “la più grande iniziativa edilizia per il turismo residenziale nella riviera adriatica”. Sembrava “una navicella spaziale di Star Trek atterrata davanti al mare”, ricorda La Rosa. Ispirandosi all’Unité d’habitation dell’architetto svizzero Le Corbusier, il costruttore Antonio Sperimenti voleva dare vita a un condominio verticale autosufficiente, che permettesse una “comoda e lussuosa villeggiatura”.

    “Vivere tra mura domestiche con i servizi di un grande albergo”, era uno degli slogan pubblicitari usati per promuovere la vendita degli appartamenti subito dopo la costruzione. Ma nel corso degli anni il progetto visionario e speculativo di Sperimenti naufragò e il palazzo, lontano più di due chilometri dal centro della città e distante quasi un chilometro dalla spiaggia, diventò un ghetto, una specie di periferia urbana in mezzo alla campagna. Un posto in cui le case costavano di meno, quindi erano più abbordabili per gli immigrati che alla fine degli anni novanta arrivavano a Porto Recanati da tutta Italia per lavorare nel ricco distretto industriale della zona. La città costiera a venticinque chilometri da Ancona, infatti, è al centro di una specie di triangolo di piccole e medie imprese che comprende da una parte le aziende del maceratese, dall’altra quelle di Recanati-Osimo-Castelfidardo e infine il distretto di pelli, cuoio e calzature di Civitanova Marche.

    Negli anni novanta gli immigrati che arrivavano a Porto Recanati attirati dall’offerta di lavoro, faticavano a trovare una casa in un territorio che aveva un mercato immobiliare con prezzi proibitivi legati al turismo. “I primi ad arrivare sono stati i senegalesi”, spiega La Rosa. “Le signore raffinate che abitavano nel palazzo li guardavano dall’alto in basso con terrore e curiosità quando gli capitava di incontrarli in ascensore”.

    Nel libro Hotel house. Etnografia di un condominio multietnico (2013), il sociologo Adriano Cancellieri ha spiegato com’è avvenuta la creazione di una sorta di doppio mercato immobiliare: uno per gli stranieri e uno per gli italiani, un sistema che ha prodotto una speculazione edilizia a tutto vantaggio delle agenzie immobiliari e dei costruttori.

    “Il meccanismo per creare guadagni dal mercato duale dei valori immobiliari è abbastanza semplice”, afferma Cancellieri. “Si tratta del cosiddetto #blockbusting: prima si favorisce la vendita di appartamenti provocando ‘paure etniche’ nei proprietari e negli affittuari, per avvantaggiarsi della caduta dei prezzi; in un secondo momento si affittano o si vendono gli appartamenti agli immigrati a prezzi più elevati. Invitando i migranti a spostarsi in un’area già popolata da altri migranti ed evitando più o meno direttamente che prendano in affitto case in altre aree (meccanismo noto come steering), e in questo modo si rafforza la costruzione di un mercato duale”.

    I ragazzini

    Il colonnello Alfredo La Rosa prende una torcia per uscire di casa e fare luce nei lunghi corridoi privi di illuminazione del palazzo, che ospita trenta appartamenti per piano e che dalla fine degli anni duemila è in condizioni fatiscenti. “Bomb the system”, c’è scritto con uno spray rosso su una parete dell’androne. “Ghali sei un eroe”, è scritto ancora più in là. Gli ascensori non funzionano più, l’impianto anti-incendio è fuori uso, ci sono problemi con le fogne, l’acqua potabile è stata razionata, la scala esterna antincendio è danneggiata e i vetri di alcune finestre degli ambienti comuni sono rotte.

    Nonostante tutto, La Rosa non ha mai pensato di vendere il suo appartamento di sessanta metri quadri perché apprezza la dimensione umana del condominio. Ma è uno dei pochi italiani rimasti nel palazzo. Molti hanno venduto, ma la maggior parte ha affittato gli appartamenti agli immigrati senegalesi, bangladesi, pachistani, tunisini. “Oggi il 40 per cento degli appartamenti è di proprietà delle banche, mentre gli italiani che hanno ancora degli appartamenti li danno in affitto. Ma poi spesso non pagano le spese condominiali”. A La Rosa piace il fatto che tra gli abitanti si sia creata una difficile, ma imprescindibile convivenza. Da quando è in pensione si è fatto promotore di corsi d’italiano per le donne straniere del palazzo e ogni tanto dà ripetizioni ai figli dei vicini.

    “Sono figlio di un carabiniere. Sono nato a Sirte, in Libia, e poi con la famiglia abbiamo vissuto un po’ in tutta Italia, in base alle necessità del lavoro di mio padre, per questo ho imparato ad adattarmi in tutte le situazioni e ritrovo una parte di questa capacità di adattamento negli abitanti dell’Hotel house”, racconta. Il condominio multietnico gli ricorda la dimensione popolare di un palazzo in cui ha vissuto per qualche tempo da bambino, a Bari. “Nei caseggiati popolari tutto si svolgeva per le scale, tutti erano coinvolti nella vita degli altri. Questo aspetto mi piaceva molto, mi faceva sentire a casa. E provo la stessa cosa qui all’Hotel house”.

    Per mandare i bambini a scuola dobbiamo pagare di tasca nostra degli autobus

    Ognuno vive nella sua bolla, ogni casa riproduce usi e costumi del paese d’origine degli abitanti, ma poi è necessario trovare un modo di uscire e convivere con gli altri. “Per questo l’Hotel house parla del nostro passato, di quando gli immigrati erano i meridionali che andavano a lavorare al nord ed erano trattati con disprezzo dai torinesi. L’Hotel house parla anche del futuro, della società multietnica che ci aspetta. Questo edificio potrebbe essere una grande occasione per sperimentare delle forme di convivenza”, afferma La Rosa.

    Eppure gli abitanti di Porto Recanati hanno sempre guardato il palazzo con diffidenza, complice il fatto che i costruttori l’avevano concepito come una struttura autosufficiente: questo aspetto nel corso del tempo ha favorito l’isolamento dei suoi abitanti e un’aggressiva speculazione edilizia da parte dei vecchi proprietari. “Per mandare i bambini a scuola dobbiamo pagare di tasca nostra degli autobus, 50 euro ogni tre mesi”, racconta La Rosa, anche se per la verità gli autobus scolastici sono a pagamento in tutta Porto Recanati.

    Sono proprio i ragazzini del palazzo, quasi quattrocento, a vivere con più sofferenza lo strano destino di mediatori che gli è toccato. Alle loro storie l’antropologo Giorgio Cingolani, insieme al regista Claudio Gaetani, ha dedicato il documentario Homeward bound, in cui mostra quanto sia difficile per molti ragazzi fare da ponte tra la cultura d’origine dei genitori e quella della provincia marchigiana in cui sono cresciuti.

    “Per i ragazzi vivere all’Hotel house è come uno stigma, non dicono all’esterno che vivono qui. Molti alla fine non ce la fanno a reggere il conflitto tra dentro e fuori ed emigrano in altri paesi europei, come quasi tutti i protagonisti del mio documentario che se ne sono andati nel Regno Unito”, racconta Cingolani nel libro Hotel/Casa. “Qui l’isolamento produce un confine anche dentro le persone, che a sua volta genera indifferenza o terrore. Per superare questa condizione i giovani del palazzo dovrebbero essere messi al centro di un nuovo piano urbanistico d’inclusione dell’edificio nella città”.

    Il ruolo dei giornali
    “La stampa inoltre ha costruito intorno all’Hotel house una narrazione molto negativa che lo rappresenta come un luogo di degrado e di criminalità, in cui ci sono spaccio e prostituzione e in cui si consumano i peggiori reati”, racconta l’antropologo. Dopo aver analizzato il modo in cui i mezzi d’informazione hanno parlato dell’Hotel house tra il 2002 e il 2007 si è reso conto che “basta dire Hotel house per evocare in maniera persuasiva interpretazioni pregiudiziali, veicolare una serie di significati che fanno del luogo un simbolo di degrado sociale, culturale e civile. Tutto questo al di là della gravità e della portata, spesso insignificante, dei singoli episodi raccontati”. Nel 70 per cento dei casi, infatti, negli articoli dei giornali locali analizzati da Cingolani il palazzo è associato a questioni che riguardano l’ordine e la sicurezza.

    Quello che è successo a fine marzo con il ritrovamento dei resti umani in un terreno vicino al palazzo è un esempio di questo atteggiamento. “Se trovano dei cadaveri nascosti nei pressi di casa mia, non è detto che sia io l’assassino. E invece quando si parla di Hotel house, il registro pruriginoso dello scandalo e del mostruoso è sempre in agguato”, afferma il colonnello De Rosa. “Nel terreno dove hanno trovato quei resti un tempo c’era una rivendita agricola, le donne dell’Hotel house ci andavano a comprare i polli e le uova. C’era un allevamento di maiali. Poi quando la cascina è stata abbandonata è diventato un luogo di ritrovo di spacciatori. Ci andavano molti tossicodipendenti, per tenersi lontani da sguardi indiscreti”.

    Gli abitanti del palazzo hanno organizzato delle ronde interne contro gli spacciatori

    “Non c’è nessun collegamento tra la fossa e il condominio. Inoltre sembra che i corpi ritrovati siano uno o due, non decine come si era detto in un primo momento. Un caso di cronaca che però è stato subito accostato all’Hotel house ed è diventato un fatto mostruoso”, continua serafico La Rosa, anche se non nega che ci siano problemi nell’edificio. “Alcuni pachistani una decina di anni fa gestivano la distribuzione all’ingrosso dell’eroina all’interno del palazzo, ma gli abitanti hanno organizzato delle ronde interne contro gli spacciatori e li hanno picchiati per mandarli via”.

    La marginalità e le condizioni di degrado in cui il condominio versa da anni non hanno favorito l’indipendenza e l’autonomia delle persone che ci vivono, e la criminalità organizzata ha approfittato della situazione. “Ma la prostituzione e lo spaccio di droga qui sono un fenomeno marginale”, spiega l’antropologo Cingolani, “riguardano una minoranza di persone. Mentre sono un problema in tutto il territorio marchigiano, che si trova sulla rotta dell’eroina dall’Afghanistan all’Italia. Non è un problema solo dell’Hotel house, e in fondo basterebbe mettere una volante di pattuglia per scoraggiare le attività illegali nel palazzo. E i primi a ricavarne un vantaggio sarebbero gli abitanti. Tutto questo è provocato dalle politiche italiane sull’immigrazione che si basano sull’invisibilità e la ghettizzazione degli immigrati”.

    Senza ascensore
    Nell’androne del palazzo Gianfranca Zanzi, detta Franca, ed Enzo – due abitanti del tredicesimo e del quattordicesimo piano – hanno piazzato una scrivania e fermano tutti i condomini che entrano ed escono dal portone per raccogliere gli ottomila euro necessari per l’allaccio alle fogne. “Chiediamo quaranta euro a ciascun condomino per portare avanti i lavori nella fossa settica”, spiega Zanzi. La donna, di origini romagnole, si è trasferita qui nel 2010, perché lavorava in un’azienda della zona che produceva impianti fotovoltaici. Qualche anno fa è stata licenziata ed è rimasta disoccupata. Uno dei problemi principali del palazzo sono i debiti accumulati per il mancato pagamento delle rate condominiali da parte di molti residenti. “Uno pensa che siano gli immigrati a non pagare il condominio, ma ci sono anche molti italiani che non pagano, proprio quelli che affittano gli appartamenti agli immigrati”, spiega Zanzi.

    A causa della morosità diffusa, che ha prodotto un buco di circa un milione di euro nel bilancio del condominio, nel 2015 l’amministrazione dell’edificio è stata commissariata, ma anche la nuova non ha raggiunto i risultati di risanamento sperati. Tanto che nel 2017 il sindaco di Porto Recanati, Roberto Mozzicafreddo, ha minacciato di sgomberare la struttura se non sarà messa a norma contro gli incendi e se non saranno ripristinate le fognature. Per Giorgio Cingolani però le autorità non si sono mai interessate al problema, se non per suggerire una sorta di soluzione finale: “L’Hotel house è la storia di una serie di occasioni mancate da parte delle autorità”. Gli abitanti per migliorare la loro condizione si autoorganizzano, fanno collette, fanno ronde contro gli spacciatori, non chiedono mai aiuto alle autorità e questo alimenta una situazione ancora più estrema d’isolamento che fa somigliare il palazzo “a un’enclave”.

    Un emblema di questa situazione è la storia di Messaud Mekhalef, un algerino di 47 anni, che vive in Italia dal 1991 e che da qualche anno è affetto da una grave malattia alla spina dorsale che lo ha ridotto all’infermità. “Messaud non può camminare e vive all’ottavo piano del palazzo. Da quando l’ascensore si è rotto, non può fare fisioterapia, non può andare dal medico o all’ospedale, vive come murato in casa”, racconta Zanzi accompagnandoci a casa di Mekhalef.

    L’uomo è molto religioso e passa le giornate steso o seduto nel lettino d’emergenza ricavato nel salotto a scrivere a mano le sue riflessioni su grandi quadernoni di carta. “La vita è gioia e vorrei lasciare dietro di me quello che ho imparato per quelli che arriveranno dopo, vorrei lasciare una scia di luce”, racconta l’algerino. Ha un cappello di lana calzato sulla testa e fa dei piccoli disegni vicino alle scritte in arabo e in italiano. In Italia Mekhalef è arrivato da ragazzo con un volo dalla sua città, Setif. All’epoca non c’era bisogno nemmeno del visto per venire in Europa. Ha lavorato come bracciante agricolo per dieci anni a Foggia e a Villa Literno, in Campania, poi intorno al 2000 un amico gli ha detto di trasferirisi nelle Marche, dov’era più facile trovare lavoro. Così Mekhalef è venuto a vivere all’Hotel house ed è stato assunto come operaio dal gruppo Ragaini, che produce radiatori in acciaio e alluminio.

    L’algerino si è messo anche a studiare e ha preso la terza media e la specializzazione da operaio saldatore. Poi ha scoperto di essere gravemente malato e ha dovuto smettere di lavorare. Ora vive grazie all’interessamento dei vicini, che gli vanno a fare la spesa e lo aiutano con le pratiche burocratiche. Ma non può uscire, perché ci vorrebbero quattro persone per trasportarlo a braccio fino al piano terra. Almeno fino a quando l’ascensore non sarà riparato.

    Messaud Mekhalef ha un solo rimpianto: “Ho sbagliato a non sposarmi, ma qualche anno fa pensavo solo a lavorare”. Ora alla sua famiglia in Algeria non ha il coraggio di dire che non può più camminare. Le autorità italiane non s’interessano alla sua salute né a quella degli altri disabili e degli anziani del palazzo. “Una famiglia con un bambino disabile ha dovuto trasferirsi in un’altra casa, perché il ragazzino non poteva scendere le scale”, racconta Zanzi, che ha un grande affetto per Mekhalef e lo sta aiutando perché gli venga riconosciuta l’invalidità.

    “Gli uomini non pensano mai che prendersi cura della propria salute è come preoccuparsi della propria felicità”, dice Mekhalef. Anche per questo detesta gli spacciatori che girano intorno al palazzo. “Ci vorrebbe il pugno di ferro”, afferma. Della stessa idea è Zakiri, un ragazzo bangladese che vive all’Hotel house e coordina la squadra di cricket dei bangladesi di Porto Recanati. Zakiri ha ottenuto la cittadinanza italiana, lavora in una fabbrica della zona con un contratto regolare e parla un ottimo italiano. Lui e sua moglie aspettano un figlio, che nascerà all’Hotel house.

    “Ci sentiamo portorecanatesi, ci troviamo bene qui nonostante tutti i problemi. Ci piacerebbe che le autorità ci stessero più vicine, ci aiutassero a mandare via i criminali e a risolvere i problemi di sicurezza dell’edificio. La maggior parte delle persone qui vivono con la famiglia, lavorano nelle aziende della zona”, racconta Zakiri, che sta preparando gli allenamenti della squadra di cricket. “Siamo una delle squadre più forti delle Marche, quelli di Pesaro ci temono. Ma non abbiamo nemmeno un campo regolamentare in cui allenarci”, racconta. Nel pomeriggio la squadra è convocata nella piscina dismessa dell’Hotel house, che con molta immaginazione è stata trasformata in un campo di cricket. Prima di scendere a giocare Zakiri confessa: “Il nostro sogno è di partecipare ai campionati nazionali a Roma”.

    https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2018/05/03/hotel-house-porto-recanati-immigrazione
    #logement #hébergement #migrations #Italie #ghetto #marché_immobilier

    • Hotel house. Etnografia di una condominio multietnico

      L’Hotel House è un enorme condominio di architettura razionalista composto da 480 appartamenti, situato nella parte meridionale della cittadina di Porto Recanati, nel Sud delle Marche. Luogo peculiare per la sua conformazione urbanistica, nettamente separato dal resto della città, lo è altrettanto per la sua demografia: progettato alla fine degli anni Sessanta per il soggiorno di italiani vacanzieri di ceto medio, a partire dagli anni Novanta si è trasformato in luogo di concentrazione di una popolazione di lavoratori immigrati provenienti da oltre quaranta Paesi. Frutto di una prolungata ricerca etnografica, il lavoro di Cancellieri ci porta dritto nel cuore dell’Hotel House: mostrandoci come si vive e come si esperisce quotidianamente la differenza, come si lotta per «farsi spazio», come ci si mobilita per opporsi al doppio processo di ghettizzazione e stigmatizzazione, Hotel House costituisce una ricchissima fonte di dati e riflessioni. Se infatti il caso di Porto Recanati è certamente singolare, se non unico nel nostro Paese, esso è al tempo stesso profondamente sintomatico e significativo delle nuove configurazioni della spazialità contemporanea e delle sue sfide.

      http://www.professionaldreamers.net/?p=3026
      #livre

  • « Je ne suis pas trop habituée à dire à un gamin de 15 ans qu’il va dormir dehors »

    Marcia Burnier est assistante sociale dans le droit des étrangers, au sein d’un centre de santé associatif pour exilés. Les enfants et adolescents étrangers isolés qui arrivent en France doivent obligatoirement passer par un dispositif saturé qui évalue leur minorité, avant de pouvoir être hébergés et pris en charge par l’Aide sociale à l’enfance. Souvent refusés, ces adolescents font ensuite appel au juge pour enfants qui décide soit de les protéger, soit de les déclarer majeurs, soit d’ordonner des expertises osseuses et des vérifications de leurs documents d’État civil. C’est le cas d’Aliou, 15 ans. Voici son histoire, racontée par Marcia.

    – « Marcia je veux faire du roller. »

    Aliou vient d’avoir 15 ans, une tête d’enfant et un sourire collé sur la face. Sa maman est morte au Mali. Avec son père ça ne se passait « pas très facile », il est donc venu tout seul en France. Il a traversé le Sahara et la Méditerranée à 14 ans, et quand on lui demande, il dit que « c’était dur », « un peu ». La première fois que je l’ai vu, il dormait à la gare du Nord, dehors, et il crevait de froid. Il attendait son rendez-vous à la Croix-Rouge pour être évalué, pour qu’un travailleur social fasse un rapport concernant sa « minorité », pour vérifier son âge, son isolement, pour décider s’il relevait de l’#Aide_sociale_à_l’enfance (#ASE) ou des rues parisiennes.

    J’en vois passer peu des mineurs isolés. Cela devait être le premier au boulot, quelqu’un était venu passer sa tête dans mon bureau pour me dire « il y a un mineur isolé, faut que tu le voies, c’est la procédure » et j’avais un peu paniqué. Je ne suis pas trop habituée à dire à un gamin de 15 ans qu’il va dormir dehors, alors on a pris le temps de voir ce qu’on pouvait faire, à grand renfort de sourires qui se voulaient très rassurants mais qui devaient sans doute être un peu gênants. Au bout de quelques minutes, persuadée d’avoir eu un coup de génie, j’ai téléphoné à la CRIP, la cellule du département qui recueille les informations préoccupantes sur les enfants en danger. Notre conversation s’est à peu près déroulée comme ceci :

    « – Il dort à la rue ? Oulala bien sûr, on va signaler ça au procureur, qu’est ce qui lui est arrivé ?
    – Il vient du Mali, il est arrivé il y a trois jours.
    – ....
    – ....
    – Ah mais madame, s’il est étranger, nous on s’en occupe pas, il faut qu’il aille se faire évaluer, et en attendant on ne peut rien faire. S’il est venu jusqu’ici, c’est qu’il est solide. »

    Je lui ai raccroché au nez et j’ai fait un grand sourire pas rassurant du tout à Aliou. On a regardé les vêtements qu’on gardait en cas d’urgence dans les grosses boites sous la table pour voir si je pouvais lui trouver une veste et un bonnet. Je lui ai donné plein d’adresses pour aller manger et un rendez-vous pour la semaine d’après. En attendant, il allait dormir dans la gare, emmitouflé dans les trois pulls que je lui avais donnés.

    J’ai fini par comprendre qu’on pouvait l’envoyer chez le #juge pour enfants avant ce fameux #rendez-vous_d’évaluation. Le juge lui a donné six mois d’#hébergement le temps de vérifier ses dires et ses documents. Le pire, c’est que j’ai compris plus tard qu’il avait été chanceux, que des gamins comme lui qui restaient des mois à la rue, il y en avait plein, ceux qui trainaient au centre Médecins sans frontières de Pantin, d’autres qui partaient dans d’autres départements, d’autres qui finissaient par mentir et se déclarer majeur pour tenter d’être hébergés en faisant une croix sur l’école. Et, surtout, d’autres qui disparaissaient du jour au lendemain, sans donner de nouvelles.

    Une fois hébergé, j’ai cru que tout allait s’arranger. On était en février, il avait 15 ans, il était tout seul dans cet hôtel social de Drancy sans rien faire de la journée. J’ai pensé naïvement qu’il serait scolarisé facilement. Il aura fallu l’intervention de plusieurs bénévoles tenaces pour qu’en avril suivant, Aliou fasse sa rentrée au collège, comme un fou, avec les trois stylos et quatre cahiers que j’avais piqués au boulot pour ses fournitures scolaires.

    Depuis, il passe régulièrement, il se plaint des spaghettis bolognaises servis quatre fois par semaine à l’hôtel et de son éducatrice de l’ASE qui ne fait rien. Il vient répéter ses exposés et me montrer ses devoirs. On discute de tout et de rien, du collège, de ses copains. Moi j’ai la boule au ventre parce que c’est bientôt les vacances d’été, et que je ne sais pas ce qu’il va foutre pendant ses journées d’été sans un centime dans la poche.

    Aujourd’hui, il a une nouvelle obsession : Aliou veut faire du roller, et accessoirement de l’athlétisme. Il me répète qu’il veut courir, le 400m, alors on s’y met à deux, on cherche un club, on passe des dizaines de coups de fil à des personnes très gentilles qui me disent que le prix à l’année est de 400 euros pour l’adhésion et la licence, on raccroche des dizaines de fois en souriant un peu forcé, « si si on va trouver t’inquiète pas ». On n’a toujours pas trouvé, mais ce matin, Aliou m’annonce que le juge a demandé des #tests_osseux pour vérifier son âge, des tests dont la référence est une étude de 1930 avec comme population, des enfants blancs et bien nourris et il a l’air soucieux. Aujourd’hui, aucun de nous deux ne sourit.

    https://www.bastamag.net/Je-ne-suis-pas-trop-habituee-a-dire-a-un-gamin-de-15-ans-qu-il-va-dormir-d
    #MNA #mineurs_non_accompagnés #asile #migrations #réfugiés #SDF #sans-abri #âge #école #scolarisation

    Le pire, c’est que j’ai compris plus tard qu’il avait été chanceux, que des gamins comme lui qui restaient des mois à la rue, il y en avait plein, ceux qui trainaient au centre Médecins sans frontières de Pantin, d’autres qui partaient dans d’autres départements, d’autres qui finissaient par mentir et se déclarer majeur pour tenter d’être hébergés en faisant une croix sur l’école. Et, surtout, d’autres qui disparaissaient du jour au lendemain, sans donner de nouvelles.

    –-> #disparitions

  • Les réfugiés syriens en #Tunisie s’intègrent parfaitement- Reportage de ARTE

    Arte reporte l’histoire de la famille “Nazel”, dans une banlieue de Tunis. L’exemple d’une intégration réussie d’une famille de réfugiés qui a débarqué en Tunisie il y a de cela 6 ans.

    https://www.huffpostmaghreb.com/entry/les-refugies-syriens-en-tunisie-sintegrent-parfaitement-reportage-d
    Commentaire de Raphaël Krafft sur twitter :

    Les signaux (ONGs, institutions internationales, médias) sur la Tunisie potentielle “#terre_d’accueil” se multiplient ces dernières semaines. Pour rappel, il n’y existe toujours pas de législation sur l’asile.

    https://twitter.com/RafAvelo/status/1025810725233721349

    Probablement une stratégie pour convaincre l’opinion publique que la Tunisie pourrait accueillir les fameuses #disembarkation_platform (https://seenthis.net/messages/703288) ??? Donc encore une manoeuvre liée à l’#externalisation des #frontières...
    Qu’en penses-tu @isskein ?

    #intégration #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_syriens

    cc @_kg_

    cc @isskein

    • Et s’on regarde ailleurs, un peu plus loin de l’exemple de la famille Nazel :

      – Les familles syriennes qui font la mendicité avec leurs enfants dans les villes de l’intérieur, notamment à Gafsa et Sidi Bouzid (source UNHCR Sfax).

      – Les familles syriennes à Médenine qui ne sont pas enregistrés par l’UNHCR pendant des semaines et restent sans aucune prise en charge…parce que l’UNHCR a externalisé l’enregistrement au Croissant Rouge Tunisien (CRT) et le CRT est en fête de ramadan, donc faut revenir après l’aïd. En plus, des conflits entre les différents demandeurs d’asile qui sont logés dans les mêmes logements dont la culture et la religion est très différent —> réfugiés subsahariens et réfugiés syriens (source Tunisia Charity Médenine).

      – Le très mauvais état des logements des demandeurs d’asile à Médenine et des problèmes de scolarisation de leurs enfants (source Direction Régionale de Santé (DRS) Médenine).

      – Le travail de l’UNHCR dans l’ensemble qui ne fournit pas toujours l’attestation de demande d’asile (personnes sans aucune protection mais en demande d’asile) (source migrante).

      – Et un nombre très élevé des demandeurs d’asile qu’on ne retrouve plus, des demandeurs d’asile qui disparaissent...selon un interview au Sud : vers l’Europe.

      …peut-être qu’ARTE doit en réfléchir de ne pas montrer UNE SEULE HISTOIRE.

  • Non a la fermeture du #CAO d’#Allex

    Lien vers une vidéo qui rassemble les témoignages de plusieurs résident.e.s, et de plusieurs bénévoles du CAO d’Allex
    https://vimeo.com/277738128

    Commentaire reçu via la mailing-list de Migreurop (30.06.2018) :
    Comme vous le savez peut-être le préfet a pris la décision de fermer ce centre, début septembre prochain. Depuis l’annonce de cette décision, nous (collectif allexois de solidarité avec les réfugié.e.s) nous battons pour le maintien d’un centre d’accueil à Allex. Au dernier rassemblement nous étions 300, les choses bougent lentement, mais nous avons besoin de monde, de soutien, de diffusions....

    #résistance #France #asile #migrations #réfugiés #hébergement #logement #fixation #ancrage #migrerrance #solidarité #fermeture

    Inauguration d’un nouveau tag seenthis, en vue d’un colloque de géopolitique critique qu’on va organiser début 2019 à Grenoble... #MAD = #mondes_à_défendre

  • Privatisation | Les enjeux autour de la délégation de l’asile. Qui profite de qui ?
    https://asile.ch/2018/06/22/privatisation-les-enjeux-autour-de-la-delegation-de-lasile-qui-profite-de-qui

    En Suisse, depuis plusieurs années, de nombreuses tâches liées à l’hébergement et à la prise en charge des personnes issues du domaine de l’asile sont privatisées. Ces processus de délégation de tâches publiques à des acteurs privés ne sont pas neutres et affectent la mise en œuvre de la politique d’asile. Avec des conséquences non […]

  • #Yvain_Genevay

    Où loger les réfugiés en attente de décision dans notre pays, et comment les faire cohabiter avec la population locale ? La question tient en général du casse-tête, et la création d’un centre d’accueil pour requérants d’asile suscite bon nombre de peurs dans le voisinage et de tensions au niveau politique.

    Ces dernières années, lors de mes reportages en Suisse, j’ai été frappé par la diversité des formes de logements des requérants d’asile ou réfugiés : minuscules abris PC, hôtel de montagne, bâtiments grillagés, baraquements en bois, anciens couvents, bâtiments hospitaliers ou encore immeubles locatifs. Leur environnement est également très diversifié : zones isolées en rase-campagne, cols de montagne, quartiers résidentiels avec vue sur le lac, centre-ville de Lausanne ou Zurich. L’implantation de chacun de ces établissements a son histoire, elle est le résultat d’aménagements et de compromis politiques. Leur forme reflète l’état d’esprit des autorités locales vis-à-vis de la question de l’asile.

    Mon projet est de réaliser un état des lieux photographique des bâtiments communaux, cantonaux et fédéraux abritant des réfugiés en Suisse. Le langage utilisé est celui de la photographie architecturale sans aucune personne dans le cadre. Le but n’est pas de s’attacher aux destins des individus qui occupent ces lieux, mais de comprendre le contexte politique dans lequel ces centres ont été créés.

    http://www.yvaingenevay.com/3135992-personnal
    #photographie #logement #hébergement #suisse #asile #migrations #réfugiés #bunker #abri_pc #montagne #Suisse
    cc @albertocampiphoto @philippe_de_jonckheere

    • Derrière la porte close, un #foyer pour les déracinés

      Durant l’année 2017, une personne dans le monde a dû quitter son foyer toutes les deux secondes en moyenne. Alors que le nombre de déplacés est en constante augmentation, le photographe suisse Yvain Genevay a photographié les endroits où ceux qui arrivent en Suisse trouvent temporairement refuge.

      Les déplacements forcés ont atteint un nouveau pic en 2017, avec 68,5 millions de personnes concernées, selon le rapport annuel de l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés. C’est une proportion de l’humanité exceptionnelle depuis la Seconde Guerre mondiale. Un tiers de ces personnes sont réfugiées dans un autre pays, alors que deux tiers sont des déplacés internes.

      En Suisse, les requérants d’asile sont logés temporairement en attendant que les autorités décident si leur demande est acceptée ou refusée. En 2017, 18’088 personnes ont déposé une demande d’asile dans le pays, selon le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM), ce qui représente une baisse de plus d’un tiers des demandes d’asile par rapport à 2016. Ce chiffre reflète toutefois la persistance des nombreux foyers de crise qui sévissent au Proche-Orient et sur le continent africain.

      Une première impression

      A travers ses photos, Yvain Genevay livre un commentaire politique sur ce que peut être la première impression des requérants d’asile en découvrant leur logement temporaire. Les entrées représentées vont des bunkers dans un contexte urbain aux hôtels au milieu de paysages montagneux.

      « L’implantation de chacun de ces établissements est le résultat d’aménagements et de compromis politiques », écrit Yvain Genvay sur son site internet. Il note que leur « forme » reflète « l’état d’esprit des autorités locales vis-à-vis de la question de l’asile ».

      Le photographe suisse avait été sacré photographe suisse de l’année 2015 pour sa série de photos sur une famille syrienne en deuil. L’affaire avait défrayé la chronique lorsque la mère de famille avait fait une fausse couche après un renvoi de Suisse vers l’Italie.


      https://www.swissinfo.ch/fre/multimedia/journ%C3%A9e-mondiale-des-r%C3%A9fugi%C3%A9s_derri%C3%A8re-la-porte-close--un-foyer-pour-les-d%C3%A9racin%C3%A9s/44204304

  • VOUS NE M’ETES PAS INCONNU.E- 2018

    Comme de nombreux collectifs d’habitants autour de la région grenobloise et en France, le Collectif d’Accueil des Réfugiés du #Trièves (#CART) reçoit depuis deux ans des hommes et des femmes demandeurs d’asile provenant de nombreux pays, et qui se heurtent au manque de places en hébergement d’urgence.

    Ils sont ainsi accueillis temporairement, notamment par des familles bénévoles, chez eux.
    #Nadine_Barbançon a photographié en 2016 et 2017 ces premières rencontres avec des hébergeurs et leurs hôtes.

    Les réfugiés ne sont pas des images à plat sur un écran de télévision. Comment transfigurer l’enjeu de milliers d’inconnus en une relation particulière ? Comment laisser entrevoir la possibilité pour chacun d’être à la hauteur de cet enjeu humain ?
    Avec cette première série de photographies et de pointillés de conversation, la photographe nous invite à entendre ce langage intime et universel de la fraternité.


    http://www.nadinebarbançon.com/index.php?/project/vous-ne-metes-pas-inconnu
    #réfugiés #asile #migrations #portraits #accueil #solidarité #accueil_privé #logement #hébergement #photographie
    cc @philippe_de_jonckheere

  • 550 Franken für Bett im Zivilschutzbunker

    Nazari Juma Khan ist 25 Jahre alt, aus Afghanistan und vor gut zwei Jahren in die Schweiz geflüchtet. Er hat derzeit den Aufenthaltsstatus F, er gilt als «vorläufig aufgenommen» und wohnt in #Würenlos, Kanton Aargau, in einer Asylunterkunft. Für diese Unterkunft, bestehend aus einer Matratze in einem Massenlager, einer Küche und Aufenthaltsräumen muss er monatlich netto 550 Franken bezahlen. Mit seinem 30%-Job verdient Nazari Juma Khan nur gut 1000 Franken pro Monat, für die Behörden zu wenig, um damit eine eigene Wohnung zu finanzieren. Er hat keine andere Wahl als für 550 Franken in der Zivilschutzanlage zu wohnen.
    Firma aus Pratteln profitiert

    Betrieben wird diese Anlage von der Firma #ABS aus Pratteln. Auf Anfrage sagt Hans Klaus, Sprecher von ABS, der Preis von 550 Franken sei gerechtfertigt. Neben dem Bett zum Schlafen bekomme der Asylsuchende auch eine Küche und einen Aufenthaltsraum den er mitbenützen könnte und es sei auch ab und zu ein Betreuer vor Ort, um den Asylsuchenden zu helfen.

    Patrizia Bertschi vom Verein «Netzwerk Asyl Aargau» ist mit der Argumentation der Firma ABS ganz und gar nicht einverstanden. Sie sagt, das sei ein absoluter Wucherpreis, den der Flüchtling bezahlen müsse. Im Kanton Aargau müssten Flüchtlinge in der Situation von Nazari Juma Khan normalerweise um die 300 Franken bezahlen.
    Sozialarbeiterverband nicht überrascht

    Nicht überrascht über den konkreten Fall ist Stefanie Seidlitz vom Berufsverband der Sozialarbeiterinnen und -Arbeiter. Missstände bei der Wohnsituation von Flüchtlingen treffe sie immer wieder an. Den Grund dafür sieht sie unter anderem darin, dass in diesem Bereich viele Leute ohne Fachausbildung arbeiteten. Gegen solche Missstände vorzugehen, sei auch nicht immer einfach, sagt Seidlitz: Viele Gemeinden wollten gar nichts damit zu tun haben und gäben alles an Private ab.


    https://www.srf.ch/news/regional/basel-baselland/asylunterkunft-550-franken-fuer-bett-im-zivilschutzbunker
    #bunkers #sous-sol #souterrain #Argovie #Suisse #hébergement #logement #asile #migrations #réfugiés

    Une partie du reportage radio transcrit:

  • In squats by the Serbian border, young men trying to enter the EU live in dangerous limbo

    Just 300 metres from the border crossing between Serbia and Hungary, a gateway to the European Union, around 30 men are standing in the middle of a field. It’s late January and the temperature is near zero. Nearby are several abandoned buildings where they are temporarily living. An open fire, made of wood, tires, and plastic, serves as the only source of warmth, but it creates heavy and poisonous air inside the squat. They are waiting for drinking water, food, and warm clothes to be distributed by a group of volunteers – the only people helping them to survive the winter.

    These men, most of them from Pakistan and Afghanistan, were pushed from their homes by ongoing conflicts and poor economic conditions. They are trying to cross the Balkan corridor to seek asylum in the EU, but got trapped in Serbia when Hungary and Croatia erected razor wire fences on their borders in 2015. For many, this journey has been part of their life for several years, and has involved multiple deportations and restarted attempts at making it to the EU.

    As part of my PhD research, I spent a total of five weeks between May 2017 and January 2018 in seven transit squats and three state-run camps in Serbia.

    The chances of making a legal border crossing from Serbia to the EU countries of Hungary or Croatia are getting slimmer. The legal border crossing points into Hungary currently accept only two to six people per working day. The “lucky” ones are mainly families with children, who often pay the Serbian state authorities €3,000 per family to appear on top of highly corrupted “waiting lists” which stipulate who gets access and whose asylum claim will be assessed. This makes single men the most disadvantaged and vulnerable group in such transit camps, and they often have to rely on their own support networks, deemed illegal by Serbian authorities.


    https://theconversation.com/in-squats-by-the-serbian-border-young-men-trying-to-enter-the-eu-li
    #frontières #hébergement #squats #asile #migrations #réfugiés #Serbie #Hongrie #limbe #réfugiés_afghans #réfugiés_pakistanais #hommes #zone_frontalière

  • Accoglienza : un sistema ancora in emergenza ?

    Negli ultimi quattro anni gli sbarchi in Italia sono aumentati e, di conseguenza, altrettanto hanno fatto le richieste d’asilo. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è stato creato già 16 anni fa con lo scopo di offrire “progetti di accoglienza integrata”, gestiti dalle associazioni del terzo settore in collaborazione con gli enti locali.

    Sempre più spesso (da ultimo nel Piano Nazionale d’Integrazione) il Governo ribadisce l’obiettivo di rendere lo SPRAR l’unico sistema per gestire la seconda accoglienza (ovvero dopo la prima accoglienza al momento dello sbarco), rimpiazzando i posti dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) amministrati a livello nazionale. La ratio è quella di fornire servizi il più possibile tagliati su misura della persona e vicini al territorio, così da massimizzare le opportunità di integrazione.

    Nel corso degli anni i posti a disposizione del sistema SPRAR sono effettivamente aumentati, e in misura consistente: da meno di 4.000 nel 2012 a circa 25.000 nel 2017. Tuttavia in termini assoluti il sistema è ancora lontano dall’offrire un numero sufficiente di posti rispetto alle richieste d’asilo. Nel 2017, infatti, l’86% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti dal sistema di emergenza e di prima accoglienza si trovava in strutture non SPRAR.

    Inoltre tra il 2014 e il 2017 il gap tra migranti accolti nei centri temporanei o di emergenza e quelli accolti nella rete SPRAR ha continuato a crescere. Se nel 2014 circa un migrante su 3 era ospitato nelle strutture SPRAR, adesso la proporzione è di uno su 7.

    https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
    #accueil #logement #hébergement #Italie #asile #migrations #réfugiés #SPRAR #CAS #CARA #statistiques #chiffres

    ... utile peut-être pour des recours contre les renvois Dublin... cc @isskein

  • Paris : still on the streets

    The abject failure of French President Macron to carry out his promise to get refugees ‘off the streets, out of the woods’ by the end of 2017 is highlighted in the latest report by Refugee Rights Europe (RRE).


    http://www.irr.org.uk/news/paris-still-on-the-streets
    #rapport #SDF #sans-abri #logement #hébergement #Paris #asile #migrations #réfugiés #France

    Pour télécharger le rapport :
    http://refugeerights.org.uk/wp-content/uploads/2018/03/RRDP_StillOnTheStreets.pdf

    cc @isskein

    • New figures reveal at least 449 homeless deaths in UK in the last year

      On the streets, in a hospital, a hostel or a B&B: across the UK the deaths of people without a home have gone unnoticed.

      Tonight we’re attempting to shed new light on a hidden tragedy.

      Research by the Bureau of Investigative Journalism suggests at least 449 homeless people have died in the UK in the last year – at least 65 of them on the streets.

      The homeless charity Crisis says the figures are “deeply shocking”. They want such deaths to be better investigated and recorded.

      https://www.channel4.com/news/new-figures-reveal-at-least-449-homeless-deaths-in-uk-in-the-last-year

      #statistiques #chiffres

    • “A national scandal”: 449 people died homeless in the last year

      A grandmother who made potted plant gardens in shop doorways, found dead in a car park. A 51-year-old man who killed himself the day before his temporary accommodation ran out. A man who was tipped into a bin lorry while he slept.

      These tragic stories represent just a few of at least 449 people who the Bureau can today reveal have died while homeless in the UK in the last 12 months - more than one person per day.

      After learning that no official body counted the number of homeless people who have died, we set out to record all such deaths over the course of one year. Working with local journalists, charities and grassroots outreach groups to gather as much information as possible, the Bureau has compiled a first-of-its-kind database which lists the names of the dead and more importantly, tells their stories.

      The findings have sparked outrage amongst homeless charities, with one expert calling the work a “wake-up call to see homelessness as a national emergency”.

      Our investigation has prompted the Office for National Statistics to start producing its own figure on homeless deaths.

      We found out about the deaths of hundreds of people, some as young as 18 and some as old as 94. They included a former soldier, a quantum physicist, a travelling musician, a father of two who volunteered in his community, and a chatty Big Issue seller. The true figure is likely to be much higher.

      Some were found in shop doorways in the height of summer, others in tents hidden in winter woodland. Some were sent, terminally ill, to dingy hostels, while others died in temporary accommodation or hospital beds. Some lay dead for hours, weeks or months before anyone found them. Three men’s bodies were so badly decomposed by the time they were discovered that forensic testing was needed to identify them.

      They died from violence, drug overdoses, illnesses, suicide and murder, among other reasons. One man’s body showed signs of prolonged starvation.

      “A national disgrace”

      Charities and experts responded with shock at the Bureau’s findings. Howard Sinclair, St Mungo’s chief executive, said: “These figures are nothing short of a national scandal. These deaths are premature and entirely preventable.”

      “This important investigation lays bare the true brutality of our housing crisis,” said Polly Neate, CEO of Shelter. “Rising levels of homelessness are a national disgrace, but it is utterly unforgivable that so many homeless people are dying unnoticed and unaccounted for.”
      “This important investigation lays bare the true brutality of our housing crisis"

      Our data shows homeless people are dying decades younger than the general population. The average age of the people whose deaths we recorded was 49 for men and 53 for women.

      “We know that sleeping rough is dangerous, but this investigation reminds us it’s deadly,” said Jon Sparkes, chief executive of Crisis. “Those sleeping on our streets are exposed to everything from sub-zero temperatures, to violence and abuse, and fatal illnesses. They are 17 times more likely to be a victim of violence, twice as likely to die from infections, and nine times more likely to commit suicide.”

      The Bureau’s Dying Homeless project has sparked widespread debate about the lack of data on homeless deaths.

      Responding to our work, the Office for National Statistics (ONS) has now confirmed that it will start compiling and releasing its own official estimate - a huge step forward.

      For months the ONS has been analysing and cross-checking the Bureau’s database to create its own methodology for estimating homeless deaths, and plans to produce first-of-their-kind statistics in December this year.

      A spokesperson said the information provided by the Bureau “helps us develop the most accurate method of identifying all the deaths that should be counted.”
      Naming the dead

      Tracking homeless deaths is a complex task. Homeless people die in many different circumstances in many different places, and the fact they don’t have a home is not recorded on death certificates, even if it is a contributing factor.

      Click here to explore the full project

      There are also different definitions of homelessness. We used the same definition as that used by homeless charity Crisis; it defines someone as homeless if they are sleeping rough, or in emergency or temporary accommodation such as hostels and B&Bs, or sofa-surfing. In Northern Ireland, we were only able to count the deaths of people registered as officially homeless by the Housing Executive, most of whom were in temporary accommodation while they waited to be housed.

      For the past nine months we have attended funerals, interviewed family members, collected coroners’ reports, spoken to doctors, shadowed homeless outreach teams, contacted soup kitchens and hostels and compiled scores of Freedom of Information requests. We have scoured local press reports and collaborated with our Bureau Local network of regional journalists across the country. In Northern Ireland we worked with The Detail’s independent journalism team to find deaths there.

      Of the 449 deaths in our database, we are able to publicly identify 138 people (we withheld the identity of dozens more at the request of those that knew them).

      Of the cases in which we were able to find out where people died, more than half of the deaths happened on the streets.

      These included mother-of-five Jayne Simpson, who died in the doorway of a highstreet bank in Stafford during the heatwave of early July. In the wake of her death the local charity that had been working with her, House of Bread, started a campaign called “Everyone knows a Jayne”, to try to raise awareness of how easy it is to fall into homelessness.

      Forty-one-year-old Jean Louis Du Plessis also died on the streets in Bristol. He was found in his sleeping bag during the freezing weather conditions of Storm Eleanor. At his inquest the coroner found he had been in a state of “prolonged starvation”.

      Russell Lane was sleeping in an industrial bin wrapped in an old carpet when it was tipped into a rubbish truck in Rochester in January. He suffered serious leg and hip injuries and died nine days later in hospital. He was 48 years old.

      In other cases people died while in temporary accommodation, waiting for a permanent place to call home. Those included 30-year-old John Smith who was found dead on Christmas Day, in a hostel in Chester.

      Or James Abbott who killed himself in a hotel in Croydon in October, the day before his stay in temporary accommodation was due to run out. A report from Lambeth Clinical Commissioning Group said: “He [Mr Abbott] said his primary need was accommodation and if this was provided he would not have an inclination to end his life.” We logged two other suicides amongst the deaths in the database.

      Many more homeless people were likely to have died unrecorded in hospitals, according to Alex Bax, CEO of Pathways, a homeless charity that works inside several hospitals across England. “Deaths on the street are only one part of the picture,” he said. “Many homeless people also die in hospital and with the right broad response these deaths could be prevented.”
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      Rising levels of homelessness

      The number of people sleeping rough has doubled in England and Wales in the last five years, according to the latest figures, while the number of people classed as officially homeless has risen by 8%.

      In Scotland the number of people applying to be classed as homeless rose last year for the first time in nine years. In Northern Ireland the number of homeless people rose by a third between 2012 and 2017.

      Analysis of government figures also shows the number of people housed in bed and breakfast hotels in England and Wales increased by a third between 2012 and 2018, with the number of children and pregnant women in B&Bs and hostels rising by more than half.

      “Unstable and expensive private renting, crippling welfare cuts and a severe lack of social housing have created this crisis,” said Shelter’s Neate. “To prevent more people from having to experience the trauma of homelessness, the government must ensure housing benefit is enough to cover the cost of rents, and urgently ramp up its efforts to build many more social homes.”

      The sheer scale of people dying due to poverty and homelessness was horrifying, said Crisis chief executive Sparkes.“This is a wake-up call to see homelessness as a national emergency,” he said.

      Breaking down the data

      Across our dataset, 69% of those that died were men and 21% were women (for the remaining 10% we did not have their gender).

      For those we could identify, their ages ranged between 18 and 94.

      At least nine of the deaths we recorded over the year were due to violence, including several deaths which were later confirmed to be murders.

      Over 250 were in England and Wales, in part because systems to count in London are better developed than elsewhere in the UK.

      London was the location of at least 109 deaths. The capital has the highest recorded rough sleeper count in England, according to official statistics, and information on the well-being of those living homeless is held in a centralised system called CHAIN. This allowed us to easily record many of the deaths in the capital although we heard of many others deaths in London that weren’t part of the CHAIN data.

      In Scotland, we found details of 42 people who died in Scotland in the last year, but this is likely a big underestimate. Many of the deaths we registered happened in Edinburgh, while others were logged from Glasgow, the Shetland Islands and the Outer Hebrides.
      “We know that sleeping rough is dangerous, but this investigation reminds us it’s deadly”

      Working with The Detail in Northern Ireland, we found details of 149 people who died in the country. Most died while waiting to be housed by the country’s Housing Executive - some may have been in leased accommodation while they waited, but they were officially classed as homeless.

      “Not only will 449 families or significant others have to cope with their loss, they will have to face the injustice that their loved one was forced to live the last days of their life without the dignity of a decent roof over their head, and a basic safety net that might have prevented their death,” Sparkes from Crisis. No one deserves this.”

      A spokesperson from the Ministry of Housing, Communities and Local Government said:

      “Every death of someone sleeping rough on our streets is one too many and we take this matter extremely seriously.

      “We are investing £1.2bn to tackle all forms of homelessness, and have set out bold plans backed by £100m in funding to halve rough sleeping by 2022 and end it by 2027."


      https://www.thebureauinvestigates.com/stories/2018-10-08/homelessness-a-national-scandal?token=ssTw9Mg2I2QU4AYduMjt3Ny
      #noms #donner_un_nom #sortir_de_l'anonymat

    • Homelessness kills: Study finds third of homeless people die from treatable conditions

      Nearly a third of homeless people die from treatable conditions, meaning hundreds of deaths could potentially have been prevented, a major new study shows.

      The research by University College London (UCL), which was exclusively shared with the Bureau, also shows that homeless people are much more likely to die from certain conditions than even the poorest people who have a place to live.

      The findings come as the final count from our Dying Homeless project shows an average of 11 homeless people a week have died in the UK in the last 18 months. We have been collecting data dating back to October 2017 and telling the stories of those who have died on the streets or in temporary accommodation; our tally now stands at 796 people. Of those people we know the age of, more than a quarter were under 40 when then they died.

      While many might assume hypothermia or drug and alcohol overdoses kill the majority of homeless people, this latest research by UCL shows that in fact most homeless people die from illnesses. Nearly a third of the deaths explored by UCL were from treatable illnesses like tuberculosis, pneumonia or gastric ulcers which could potentially have improved with the right medical care.

      In February 2018, 48-year old Marcus Adams died in hospital after suffering from tuberculosis. The same year, 21 year old Faiza died in London, reportedly of multi-drug resistant pulmonary tuberculosis. Just before Christmas in 2017, 48-year-old former soldier Darren Greenfield died from an infection and a stroke in hospital. He had slept rough for years after leaving the army.

      “To know that so many vulnerable people have died of conditions that were entirely treatable is heartbreaking,” said Matthew Downie, Director of Policy and External Affairs at Crisis. The government should make sure all homeless deaths were investigated to see if lessons could be learned, he said.

      “But ultimately, 800 people dying homeless is unacceptable - we have the solutions to ensure no one has to spend their last days without a safe, stable roof over their head.
      “To know that so many vulnerable people have died of conditions that were entirely treatable is heartbreaking”

      “By tackling the root causes of homelessness, like building the number of social homes we need and making sure our welfare system is there to support people when they fall on hard times, governments in England, Scotland and Wales can build on the positive steps they’ve already taken to reduce and ultimately end homelessness.”
      Twice as likely to die of strokes

      Academics at UCL explored nearly 4,000 in-depth medical records for 600 people that died in English hospitals between 2013 and 2016 who were homeless when they were admitted. They compared them to the deaths of a similar group of people (in terms of age and sex) who had somewhere to live but were in the lowest socio-economic bracket.

      The research gives unprecedented insight into the range of medical causes of homeless deaths, and provides yet another reminder of how deadly homelessness is.

      The homeless group was disproportionately affected by cardiovascular disease, which includes strokes and heart disease. The researchers found homeless people were twice as likely to die of strokes as the poorest people who had proper accommodation.

      A fifth of the 600 deaths explored by UCL were caused by cancer. Another fifth died from digestive diseases such as intestinal obstruction or pancreatitis.

      Our database shows homeless people dying young from cancers, such as Istvan Kakas who died aged 52 in a hospice after battling leukaemia.

      Istvan, who sold The Big Issue, had received a heroism award from the local mayor after he helped save a man and his daughter from drowning. Originally from Hungary, he had previously worked as a chef under both Gordon Ramsay and Michael Caines.

      Rob Aldridge, lead academic on the UCL team, told the Bureau: “Our research highlights a failure of the health system to care for this vulnerable group in a timely and appropriate manner.”

      “We need to identify homeless individuals at risk earlier and develop models of care that enable them to engage with interventions proven to either prevent or improve outcomes for early onset chronic disease.”

      Of the deaths we have logged in the UK 78% were men, while 22% were female (of those where the gender was known). The average age of death for men was 49 years old and 53 years old for women.

      “It is easy for them to get lost in the system and forgotten about”
      The spread of tuberculosis

      In Luton, Paul Prosser from the NOAH welfare centre has seen a worrying prevalence of tuberculosis, particularly amongst the rough sleeping migrant community. A service visits the centre three times a year, screening for TB. “Last time they came they found eight people with signs of the illness, that’s really concerning,” said Prosser.

      “There are a lot of empty commercial properties in Luton and you find large groups of desperate homeless people, often migrants, squatting in them. It is easy for them to get lost in the system and forgotten about and then, living in such close quarters, that is when the infection can spread.”

      “When people dip in and out of treatment that is when they build a resistance to the drugs,” Prosser added. “Some of these people are leading chaotic lives and if they are not engaging that well with the treatment due to having nowhere to live then potentially that is when they become infectious.”

      One man NOAH was helping, Robert, died in mid-2017 after moving from Luton to London. The man, originally from Romania, had been suffering from TB for a long time but would only access treatment sporadically. He was living and working at a car-wash, as well as rough sleeping at the local airport.

      Making them count

      For the last year the Bureau has been logging the names and details of people that have died homeless since October 1, 2017. We started our count after discovering that no single body or organisation was recording if and when people were dying while homeless.

      More than 80 local news stories have been written about the work and our online form asking for details of deaths has been filled in more than 140 times.

      Our work and #MakeThemCount hashtag called for an official body to start collecting this vital data, and we were delighted to announce last October that the Office for National Statistics is now collating these figures. We opened up our database to ONS statisticians to help them develop their methodology.

      We also revealed that local authority reviews into homeless deaths, which are supposed to take place, were rarely happening. Several councils, including Brighton & Hove, Oxford, Malvern and Leeds have now said they will undertake their own reviews into deaths in their area, while others, such as Haringey, have put in place new measures to log how and when people die homeless.

      Councillor Emina Ibrahim, Haringey Council’s Cabinet Member for Housing, told the Bureau: “The deaths of homeless people are frequently missed in formal reviews, with their lives unremembered. Our new procedure looks to change that and will play an important part in helping us to reduce these devastating and avoidable deaths.”

      Members of the public have also come together to remember those that passed away. In the last year there have been protests in Belfast, Birmingham and Manchester, memorial services in Brighton, Luton and London, and physical markers erected in Long Eaton and Northampton. Last week concerned citizens met in Oxford to discuss a spate of homeless deaths in the city.

      In a response to the scale of the deaths, homeless grassroots organisation Streets Kitchen are now helping to organise a protest and vigil which will take place later this week, in London and Manchester.

      After a year of reporting on this issue, the Bureau is now happy to announce we are handing over the counting project to the Museum of Homelessness, an organisation which archives, researches and presents information and stories on homelessness.
      “The sheer number of people who are dying whilst homeless, often avoidably, is a national scandal”

      The organisation’s co-founder Jess Turtle said they were honoured to be taking on this “massively important” work.

      “The sheer number of people who are dying whilst homeless, often avoidably, is a national scandal,” she said. “Museum of Homelessness will continue to honour these lives and we will work with our community to campaign for change as long as is necessary.”

      Matt Downie from Crisis said the Bureau’s work on the issue had achieved major impact. “As it comes to an end, it is difficult to overstate the importance of the Dying Homeless Project, which has shed new light on a subject that was ignored for too long,” he said. “It is an encouraging step that the ONS has begun to count these deaths and that the stories of those who have so tragically lost their lives will live on through the Museum of Homelessness.”

      The government has pledged to end rough sleeping by 2027, and has pledged £100m to try to achieve that goal, as part of an overall £1.2bn investment into tackling homelessness.

      “No one is meant to spend their lives on the streets, or without a home to call their own,” said Communities Secretary James Brokenshire. “Every death on our streets is too many and it is simply unacceptable to see lives cut short this way.”

      “I am also committed to ensuring independent reviews into the deaths of rough sleepers are conducted, where appropriate – and I will be holding local authorities to account in doing just that.”

      https://www.thebureauinvestigates.com/stories/2019-03-11/homelessness-kills

      #statistiques #chiffres #mortalité

    • Homeless Link responds to Channel 4 report on homeless deaths

      Today, The Bureau Investigative of Journalism released figures that revealed almost 800 people who are homeless have died over the last 18 months, which is an average of 11 every week. The report also shows that a third (30%) of the homeless deaths were from treatable conditions that could have improved with the right medical care.
      Many other deaths in the study, beyond that third, were from causes like suicide and homicide.

      Responding Rick Henderson, Chief Executive of Homeless Link, said: “These figures bring to light the shocking inequalities that people who experience homelessness face. People are dying on our streets and a significant number of them are dying from treatable or preventable health conditions.

      “We must address the fact that homelessness is a key health inequality and one of the causes of premature death. People who are experiencing homelessness struggle to access our health services. Core services are often too exclusionary or inflexible for people who are homeless with multiple and complex needs. This means people aren’t able to access help when they need it, instead being forced to use A&E to “patch up” their conditions before being discharged back to the streets. Services need to be accessible, for example by expanding walk-in primary care clinics or offering longer GP appointment times to deal with people experiencing multiple needs. We also need to expand specialist health services for people who are homeless to stop people falling through the gaps.

      “This research also highlights the other causes of death that people who are homeless are more likely to experience. Research shows that people who are homeless are over nine times more likely to take their own life than the general population and 17 times more likely to be the victims of violence.

      “Homeless Link is calling on the Government in its upcoming Prevention Green Paper to focus on addressing these inequalities, start to tackle the structural causes of homelessness, and make sure everyone has an affordable, healthy and safe place to call home and the support they need to keep it.”

      https://www.homeless.org.uk/connect/news/2019/mar/11/homeless-link-responds-to-channel-4-report-on-homeless-deaths

  • Jeudi, au Mans, un slowmob pour alerter sur le sort des migrants
    https://www.ouest-france.fr/pays-de-la-loire/le-mans-72000/jeudi-au-mans-un-slowmob-pour-alerter-sur-le-sort-des-migrants-5718859

    Ce jeudi 26 avril, en fin d’après-midi, la place de la République, au Mans, sera le théâtre d’un "slowmob", marche au ralenti. Objectif : alerter sur la situation des migrants.

    Jeudi 26 avril, le comité d’accueil 72 organise un « #slowmob », place de la République. Rendez-vous à partir de 17 h 30 pour une traversée, au ralenti, de la place. L’opération devrait durer près de deux heures.

    Objectif : alerter l’opinion sur l’accueil des migrants, en lien avec la loi #Asile et #immigrations, notamment sur les questions locales d’#hébergement et d’accès aux transports.

  • Comment la préfecture maltraite les migrant·es. Récit de mises à la rue à Saint-Priest
    https://rebellyon.info/Mardi-17-avril-Centre-d-hebergement-d-19063

    Depuis début avril, l’incertitude règne au centre d’hébergement de Saint-Priest . Face à la menace de remise à la rue 150 personnes sont toujours dans l’attente d’une date claire. La préfecture s’est permis ainsi de traiter des hommes et des femmes, des enfants, comme du bétail ou comme une vulgaire marchandise. Pierre, militant RESF-Villeurbanne, témoigne.

    #Infos_locales

    / #Migrations_-_sans-papiers, Une, #Logement_-_Squat

  • Rejoignez IndieHosters, un réseau d’hébergeurs qui vous libère – Framablog
    https://framablog.org/2014/12/06/indiehosters-reseau-hebergeurs-qui-vous-libere

    https://indie.host

    #cccp #hébergement #chatons

    Durement éprouvée au plan psychologique depuis qu’elle a rejoint la communauté du Libre où elle a découvert sa popularité de mauvais aloi, l’authentique Mme Michu a demandé qu’on cesse de la mentionner. Le Framablog a décidé d’employer désormais l’exemple des Dupuis-Morizeau, une sympathique famille recomposée qui vit en Normandie.

    ping @mmemichu

    • Très intéressant…

      Reprenons l’exemple de Notepad avec l’application de blog. Le fichier texte, vous pouviez l’éditer avec n’importe quelle application. Aujourd’hui, si vous utilisez une application pour éditer votre billet de blog, même libre comme WordPress, il vous faut l’application en question. C’est assez ennuyeux, mais le mouvement unhosted, avec remotestorage essaie de résoudre ce problème. En attendant, si vous voulez migrer vos données associées à votre application, eh bien, il faut s’y connaitre. Et même les administrateurs systèmes les plus avertis vous diront que c’est la galère !

      Pour nous, un utilisateur limité à un seul fournisseur de service pour son application n’est pas libre, même si le logiciel utilisé est libre. Et il y a plein de raisons pour lesquelles un utilisateur voudrait migrer :

      un service moins cher ;
      un service de meilleure qualité ;
      un support dans sa langue ;
      un choix plus large d’applications ;
      le non-respect de la vie privée, la perte de confiance ;
      l’interruption d’activité du fournisseur de service qui ayant fait fortune décide d’aller garder des chèvres dans le Larzac.

      #migration #format #interopérabilité (y compris pour les contenus, #CMS)

  • #Liban : #Relogement forcé de nombreux #réfugiés_syriens

    Ces expulsions massives menées par des municipalités semblent discriminatoires et non conformes aux normes juridiques.
    Treize municipalités libanaises au moins ont délogé de force et expulsé au moins 3 664 réfugiés syriens, manifestement en raison de leur nationalité ou de leur religion, tandis que 42 000 autres risquent toujours d’être expulsés, a déclaré Human Rights Watch dans un rapport rendu public aujourd’hui.

    Le rapport de 57 pages, intitulé « ‘Our Homes Are Not for Strangers’ : Mass Evictions of Syrian Refugees by Lebanese Municipalities » (« “Nos maisons ne sont pas pour les étrangers” : Expulsions de masse de réfugiés syriens par les municipalités libanaises »), souligne l’incohérence des motifs invoqués par les municipalités pour justifier l’expulsion de Syriens, et révèle l’incapacité du gouvernement central à protéger leurs droits. Des responsables des Nations Unies ont identifié 3 664 expulsions de ce type depuis le début de l’année 2016 jusqu’à la fin du premier trimestre de 2018. Alors que les autorités locales libanaises font de vagues déclarations selon lesquelles les expulsions seraient fondées sur des infractions à la réglementation du logement, Human Rights Watch a déterminé que les mesures prises par ces municipalités visent exclusivement les ressortissants syriens, et non les citoyens libanais ou d’autres ressortissants étrangers.


    https://www.hrw.org/fr/news/2018/04/20/liban-relogement-force-de-nombreux-refugies-syriens
    #expulsions #logement #hébergement #relogement_forcé #réfugiés #asile #migrations