• I dati che raccontano la guerra ai soccorsi nell’anno nero della strage di Cutro

    Nel 2023 le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar oltre mille sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, un quarto degli arrivi via mare. Dati inediti del Viminale descrivono la “strategia” contro le Ong e l’intento di creare l’emergenza a Lampedusa concentrando lì oltre i due terzi degli approdi.

    Nell’anno della strage di Cutro (26 febbraio 2023) le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia oltre 1.000 sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, poco più di un quarto di tutti gli arrivi via mare. Questo nonostante gli effetti funesti che la confusione tra “law enforcement” e ricerca e soccorso ha prodotto proprio in occasione del naufragio di fine febbraio dell’anno scorso a pochi metri dalle coste calabresi, quando morirono più di 90 persone, e sulla quale sta indagando la Procura di Crotone.

    Quello degli eventi strumentalmente classificati come di natura poliziesca in luogo del soccorso, anche dopo i fatti di Cutro, è solo uno dei dati attraverso i quali si può leggere come è andata lo scorso anno nel Mediterraneo. È possibile farlo dopo aver ottenuto dati inediti dal ministero dell’Interno, che rispetto al passato ha fortemente ridotto qualità e quantità degli elementi pubblicati nel cruscotto statistico giornaliero e nella sua rielaborazione di fine anno.

    Prima però partiamo dai dati noti. Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone (il Viminale talvolta ne riporta 157.652, ma la sostanza è identica). Il dato è il più alto dal 2017 ma inferiore al 2016, quando furono 181.436. Le prime cinque nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, che rappresentano quasi il 50% degli arrivi, sono di cittadini della Guinea, Tunisia, Costa d’Avorio, Bangladesh, Egitto. I minori soli sono stati 17.319.

    E qui veniamo ai dati che ci ha trasmesso il Viminale a seguito di un’istanza di accesso civico generalizzato. La stragrande maggioranza delle persone sbarcate è partita nel 2023 dalla Tunisia: oltre 97mila persone sulle 157mila totali. Segue a distanza la Libia, con 52mila partenze, quasi doppiata, e poi più dietro la Turchia (7.150), Algeria, Libano e finanche Cipro.

    Come mostrano le elaborazioni grafiche dei dati governativi, ci sono stati mesi in cui dalla Tunisia sono sbarcate anche oltre 20mila persone. Una tendenza che ha conosciuto una brusca interruzione a partire dal mese di ottobre 2023, quando gli sbarchi in quota Tunisia, al netto delle condizioni meteo marine, sono crollati a poco meno di 1.900, attestandosi poco sotto i 5mila nei due mesi successivi.

    Tradotto: l’ultimo trimestre dello scorso anno ha visto una forte diminuzione degli sbarchi provenienti dalla Tunisia, Paese con il quale Unione europea e Italia hanno stretto il “solito” accordo che prevede soldi e forniture in cambio di “contrasto ai flussi”, ovvero contrasto ai diritti umani. È lo schema libico, con le differenze del caso. Il ministro Matteo Piantedosi il 31 dicembre 2023, intervistato da La Stampa, ha rivendicato la bontà della strategia parlando di “121.883 persone” (dando l’idea di un conteggio analitico e quotidiano) “bloccate” grazie alla “collaborazione con le autorità tunisine e libiche”.

    Un altro dato utilissimo per capire come “funziona” la macchina mediatica della presunta “emergenza immigrazione” è quello dei porti di sbarco. Il primo e incontrastato porto sul quale lo scorso anno è stata scaricata la stragrande maggioranza degli sbarchi è Lampedusa, con quasi 110mila arrivi (di cui “solo” 7.400 autonomi) contro i 5.500 di Augusta, Roccella Jonica, i 4.800 di Pantelleria e i 3.800 di Catania. In passato non è sempre stato così. Ma Lampedusa è troppo importante per due ragioni: dare in pasto all’opinione pubblica l’idea di una situazione esplosiva e ingestibile, bloccando i trasferimenti verso la terraferma (vedasi l’estate 2023), e contemporaneamente convogliare quanti più richiedenti asilo potenziali possibile nella macchina del trattenimento dell’hotspot.

    Benché in Italia si sia convinti che a soccorrere le persone in mare siano solo le acerrime nemiche Ong, i dati, ancora una volta, confermano il loro ruolo ridotto a marginale dopo anni di campagne diffamatorie, criminalizzazione penale e vera e propria persecuzione amministrativa. Nel 2023, infatti, gli assetti delle Organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9mila persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle Ong è stata limitata.

    Come noto, le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani. Il primo per numero di persone sbarcate è stato Brindisi (quasi 1.400 sbarcati su 9mila), ovvero 285 miglia in più rispetto al Sud-Ovest della Sicilia. Segue Lampedusa con 980, vero, ma poi ci sono Carrara (535 miglia di distanza in più dalla Sicilia), Trapani, Salerno, Bari, Civitavecchia, Ortona.

    Non è facile dire quanti giorni di navigazione in più questa “strategia” brutale abbia esattamente determinato. Un esperto operatore di ricerca e soccorso in mare aiuta a fare due conti a spanne: “Le navi normalmente viaggiano a meno di dieci nodi, calcolando una velocità di sette nodi andare a Brindisi implica circa 41 ore in più rispetto ai porti più vicini del Sud della Sicilia, come ad esempio Pozzallo. E per arrivare a Pozzallo dalla cosiddetta ‘SAR 1’, a Ovest di Tripoli, partendo da una distanza dalla costa libica di circa 35 miglia, tra Zuara e Zawiya, ci vogliono circa 24 ore”.

    Una recente analisi di Sos Humanity -ripresa dal Guardian a metà febbraio- ha stimato che questo modus operandi delle autorità italiane possa aver complessivamente fatto perdere alle navi delle Ong 374 giorni di operatività. Nell’anno in cui sono morte annegate ufficialmente almeno 2.500 persone e intercettate dalle milizie libiche e riportate indietro, sempre ufficialmente, quasi 17.200 (con l’ancora una volta dimostrata complicità dell’Agenzia europea Frontex). Ma sono tempi così oscuri che ostacolare le “ambulanze” è divenuto un vanto.

    https://altreconomia.it/i-dati-che-raccontano-la-guerra-ai-soccorsi-nellanno-nero-della-strage-

    #statistiques #débarquement #Italie #migrations #réfugiés #chiffres #sauvetage #ONG #SAR #search-and-rescue #Méditerranée #Lampedusa #law_enforcement #2023 #Tunisie #Libye #externalisation #accord #urgence #hotspot

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • Repackaging Imperialism. The EU – IOM border regime in the Balkans

    In November 2023, European Commission President #Ursula_von_der_Leyen concluded a Balkan tour, emphasizing EU enlargement’s priority for peace and prosperity. However, scrutiny intensified over EU practices, especially in the Balkans, where border policies, implemented by the International Organization for Migration (IOM), reflect an imperialist approach. This report exposes the consequences – restricted migration, erosion of international norms, and deadly conditions along migrant routes. The EU’s ’carrot and stick’ strategy in the Balkans raises concerns about perpetual pre-accession status and accountability for human rights abuses.

    https://www.tni.org/en/publication/repackaging-imperialism

    #migrations #asile #réfugiés #IOM #OIM #impérialisme #frontières #rapport #tni #paix #prospérité #droits_humains #militarisation_des_frontières #route_des_Balkans #humanitarisme #sécurisation #sécurité #violence #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #hotspot #renvois #retours_volontaires #joint_coordination_plateform #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #décès

  • Border justice

    Instead of forging safe, legal pathways to protection, European states and the EU are fostering strategies of deterrence, exclusion and externalization. Most people on the move are left with no alternative but to cross borders irregularly. When they do, state actors routinely detain, beat and expel them – mostly in secret, with no assessment of their situation, and denying them access to legal safeguards.

    These multiple human rights violations are all part of the pushback experience. Often reliant on racial profiling, pushbacks have become a normalized practice at European borders. ECCHR challenges this state of rightlessness through legal interventions and supports affected people to document and tell their stories. Together we hold states accountable and push for changes in border practice and policies.

    Our team brings together a diverse group of lawyers and interdisciplinary researchers, working transnationally with partners to develop legal strategies and tackle rights violations at borders. We meticulously reconstruct and verify the experiences of those subjected to pushbacks. Confronted with states’ denial of the reality at Europe’s borders, we collect, analyze and publicise in-depth knowledge. Our aim is to enforce the most basic of legal principles: the right to have rights.

    https://www.ecchr.eu/en/border-justice

    #frontières #justice #refoulements #push-backs #violence #migrations #réfugiés #asile #justice_frontalière #justice_migratoire #Espagne #rapport #Ceuta #Grèce #Macédoine_du_Nord #Libye #Italie #hotspots #Allemagne #Croatie #Slovénie #frontière_sud-alpine #droit_d'asile #ECCHR

  • La CEDU condanna l’Italia per detenzione illegale di minori stranieri nell’hotspot di Taranto
    https://www.meltingpot.org/2023/11/la-cedu-condanna-litalia-per-detenzione-illegale-di-minori-stranieri-nel

    Nuova condanna all’Italia dalla Corte europea per i Diritti umani. Oggi nell’hotspot permangono ancora 185 minori. L’ASGI chiede l’immediato collocamento in strutture adeguate e la supervisione dell’attuazione delle precedenti sentenze che, come dimostra la situazione nell’hotspot di Taranto, non hanno fatto modificare le prassi illegittime. La Corte Europea dei Diritti Umani, con la decisione del 23 novembre 2023 resa nel procedimento n. 47287/17 (caso A.T. ed altri c. Italia), ha condannato l’Italia per avere detenuto illegalmente nell’ hotspot di Taranto diversi minori stranieri non accompagnati (art. 5, parr. 1, 2 e 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), per avere utilizzato trattamenti (...)

    #Giurisprudenza_europea #Guida_legislativa #Speciale_Hotspot

  • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

    La causa avviata da quattro esuli sudanesi: dovranno ricevere in tutto 36 mila euro dallo Stato

    VENTIMIGLIA. Spogliati «senza alcuna ragione convincente». Maltrattati e «arbitrariamente privati della libertà». Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.
    I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due «in un giorno imprecisato di luglio» del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto «in un luogo imprecisato della costa siciliana». Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

    In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati «costretti a salire su un furgone della polizia», trasportati in una caserma dove sono stati «perquisiti», obbligati a consegnare «i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture» e poi «è stato chiesto loro di spogliarsi». Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.
    Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati «costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio» e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo «esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti».
    Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.
    Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

    La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda «la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia», che «può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo». E per i giudici di Strasburgo «il governo non ha fornito alcuna ragione convincente» per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo «le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering», che però «riguardavano altri migranti». Per la Corte, quella situazione «esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale». E ancora, le condizioni vissute in quei giorni «hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante», vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano «stati arbitrariamente privati della libertà», pur se in una situazione di «vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot», già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti.

    Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila «a titolo di danno morale».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/11/18/news/litalia_condannata_a_pagare_per_i_maltrattamenti_ai_migranti-13871399

    Le périple des 4 Soudanais en résumé :
    – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
    – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
    – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
    – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
    – 23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
    – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
    – Transfert au centre de rétention de Turin
    – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
    – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme

    #justice #condamnation #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #CEDH #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #mauvais_traitements #privation_de_liberté #nudité #violences_policières #Taranto #hotspot #CPR #rétention #détention_administrative #réfugiés_soudanais #Turin #migrerrance #humiliation

    voir aussi ce fil de discussion sur les transferts frontière_sud-alpine - hotspot de Taranto :
    Migranti come (costosi) pacchi postali


    https://seenthis.net/messages/613202

    • Denudati, maltrattati e privati della libertà: la CEDU condanna nuovamente l’Italia

      Le persone migranti denunciarono i rastrellamenti avvenuti a Ventimiglia nell’estate 2016

      La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia a risarcire con un totale di 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi per averli denudati, maltrattati e privati della libertà nell’estate 2016 durante le cosiddette operazioni per “alleggerire la pressione alla frontiera” di Ventimiglia, quando centinaia di persone migranti venivano coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia 1 e, in alcuni casi, trasferiti nei CIE e quindi rimpatriati nel paese di origine 2.

      C’è da dire che la Corte avrebbe potuto condannare l’Italia con maggiore severità, soprattutto per quanto riguarda le deportazioni in un paese non sicuro come il Sudan. Tuttavia, si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico. E quando queste violazioni sono denunciate, nemmeno vengono condotte indagini per fare luce sulle responsabilità e indagare i colpevoli.

      La sentenza della CEDU pubblicata il 16 novembre 3 riguarda nove cittadini sudanesi arrivati in Italia nell’estate del 2016 i quali hanno denunciato diversi abusi subiti dalle autorità italiane, un tentativo di rimpatrio forzato e uno portato a termine.

      Nel primo caso i ricorrenti hanno avanzato denunce in merito al loro arresto, trasporto e detenzione in Italia, uno di loro ha anche affermato di essere stato maltrattato.

      I quattro ricorrenti del primo caso hanno ottenuto la protezione internazionale, mentre i cinque ricorrenti del secondo caso hanno affermato di aver fatto parte di un gruppo di 40 persone migranti che erano state espulse subito dopo il loro arrivo in Italia.

      Le persone sono state difese dall’avv. Gianluca Vitale e dell’avv.te Nicoletta Masuelli e Donatella Bava, tutte del foro di Torino.
      I fatti riportati nella sintesi

      I quattro ricorrenti nel primo caso sono nati tra il 1980 e il 1994. Vivono tutti a Torino, tranne uno che vive in Germania. I ricorrenti nel secondo caso sono nati tra il 1989 e il 1996. Uno vive in Egitto, uno in Niger e tre in Sudan.

      Tutti e nove i richiedenti sono arrivati in Italia nell’estate del 2016. I primi quattro hanno raggiunto le coste italiane in barca, mentre gli altri cinque sono stati salvati in mare dalla Marina italiana. Alcuni sono transitati attraverso vari hotspot e tutti sono finiti a Ventimiglia presso il centro della Croce Rossa.

      Secondo i ricorrenti nel primo caso, il 17 e il 19 agosto 2016 sono stati arrestati, costretti a salire su un furgone della polizia e portati in quella che hanno capito essere una stazione di polizia. Sono stati perquisiti, è stato chiesto loro di spogliarsi e sono stati lasciati nudi per circa dieci minuti prima che venissero prese le loro impronte digitali.

      Sono stati poi costretti a salire su un autobus, scortati da numerosi agenti di polizia, senza conoscere la loro destinazione e senza ricevere alcun documento sulle ragioni del loro trasferimento o della loro privazione di libertà. In seguito hanno scoperto di essere stati trasferiti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto.

      Nell’hotspot di Taranto, dal quale non avrebbero potuto uscire, sostengono di aver ricevuto un provvedimento di respingimento il 22 agosto 2016. Il giorno successivo sono stati riportati a Ventimiglia in autobus.

      Secondo i ricorrenti, le condizioni all’hotspot erano difficili come lo erano durante ciascuno dei trasferimenti in autobus durati 15 ore. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e minacce, senza cibo o acqua sufficienti in piena estate.

      Sostengono di non aver incontrato un avvocato o un giudice durante quel periodo e di non aver capito cosa stesse succedendo. Il 24 agosto 2016 sono stati trasferiti da Ventimiglia all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un volo per il Sudan. Poiché non c’erano abbastanza posti sull’aereo, il loro trasferimento è stato posticipato. Sono stati quindi trasferiti al CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino e il Questore ha emesso per ciascuno di loro un provvedimento di trattenimento.

      Uno dei ricorrenti (T.B.) sostiene che le autorità hanno tentato di espellerlo nuovamente il 1° settembre 2016. Ha protestato e la polizia lo ha colpito al volto e allo stomaco. Lo hanno poi costretto a salire sull’aereo e lo hanno legato. Tuttavia, il pilota si è rifiutato di decollare a causa del suo stato di agitazione. È stato riportato al CIE di Torino.

      Tutti e quattro i richiedenti hanno ottenuto la protezione internazionale, essenzialmente sulla base della loro storia personale in Sudan e del conseguente rischio di vita in caso di rimpatrio.

      Secondo i ricorrenti del secondo caso, invece, non sono mai stati informati in nessun momento della possibilità di chiedere protezione internazionale. Sostengono inoltre di aver fatto parte di un gruppo di circa 40 migranti per i quali è stato trovato posto sul volo in partenza il 24 agosto 2016 e di essere stati rimpatriati a Khartoum lo stesso giorno.

      Il governo italiano ha contestato tale affermazione, sostenendo che i ricorrenti non sono mai stati sul territorio italiano. Hanno fornito alla Corte le fotografie identificative delle persone rimpatriate in Sudan il 24 agosto 2016, sostenendo che non presentavano una stretta somiglianza con i ricorrenti. Ha sostenuto inoltre che i nomi delle persone allontanate non corrispondevano a quelli dei ricorrenti. In considerazione del disaccordo delle parti, la Corte ha nominato un esperto di comparazione facciale della polizia belga (articolo A1, paragrafi 1 e 2, del Regolamento della Corte – atti istruttori) che, il 5 ottobre 2022, ha presentato una relazione per valutare se le persone rappresentate nelle fotografie e nei filmati forniti dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle fotografie identificative presentate dal Governo.

      Il rapporto ha concluso, per quanto riguarda uno dei ricorrenti nel caso, W.A., che i due individui raffigurati in tali fonti corrispondevano al massimo livello di affidabilità. Per quanto riguarda gli altri quattro richiedenti, non vi era alcuna corrispondenza affidabile.
      La decisione della Corte

      Le sentenze sono state emesse da una Camera di sette giudici, composta da: Marko Bošnjak (Slovenia), Presidente, Alena Poláčková (Slovacchia), Krzysztof Wojtyczek (Polonia), Péter Paczolay (Ungheria), Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), e anche Liv Tigerstedt, Vice Cancelliere di Sezione.

      La Corte, ha ritenuto, all’unanimità, che vi è stata:

      1) una violazione dell’articolo 3 per quanto riguarda l’assenza di una ragione sufficientemente convincente per giustificare il fatto che i ricorrenti siano stati lasciati nudi insieme a molti altri migranti, senza privacy e sorvegliati dalla polizia e le condizioni dei loro successivi trasferimenti in autobus da e verso un hotspot, sotto il costante controllo della polizia, senza sapere dove stessero andando;

      2) una violazione dell’articolo 3, in quanto non è stata svolta alcuna indagine in merito alle accuse del ricorrente di essere stato picchiato da agenti di polizia durante un tentativo di rimpatrio;

      3) la violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per quanto riguarda tre dei quattro ricorrenti in relazione al loro fermo, trasporto e detenzione arbitrari.

      La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare ai ricorrenti nel caso A.E. e T.B. contro Italia 27.000 euro per danni morali e 4.000 euro, congiuntamente, per costi e spese.

      In particolare:

      Per quanto riguarda i restanti reclami dei ricorrenti in A.E. e T.B. contro l’Italia, la Corte ha riscontrato che le condizioni del loro arresto e del trasferimento in autobus, considerate nel loro insieme, devono aver causato un notevole disagio e umiliazione, equivalenti a un trattamento degradante, in violazione dell’Articolo 3.

      Inoltre, i successivi lunghi trasferimenti in autobus dei ricorrenti sono avvenuti in un breve lasso di tempo e in un periodo dell’anno molto caldo, senza cibo o acqua sufficienti e senza che sapessero dove erano diretti o perché. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e di minacce. Queste condizioni, nel complesso, devono essere state fonte di angoscia.

      Infine, la Corte ha riscontrato una violazione dell’Articolo 3 per quanto riguarda il richiedente (T.B.) che ha affermato di essere stato picchiato durante un altro tentativo di allontanamento. Due degli altri richiedenti hanno confermato il suo racconto durante i colloqui relativi alle loro richieste di protezione internazionale; uno ha dichiarato in particolare di aver visto un altro migrante che veniva riportato dalla polizia dall’aeroporto con il volto tumefatto. Anche se T.B. aveva detto, durante un colloquio con le autorità, di essere in grado di identificare i tre agenti di polizia responsabili dei suoi maltrattamenti, non è stata condotta alcuna indagine.

      La Corte ha notato che il Governo le aveva fornito una copia di un’ordinanza di refusal-of-entry nei confronti di uno dei richiedenti, A.E., datata 1 agosto 2016, e la Corte ha quindi dichiarato inammissibile il suo reclamo sulla sua detenzione. D’altra parte, ha rilevato che gli altri tre ricorrenti nel caso, ai quali non erano stati notificati ordini di refusal-of-entry fino al 22 agosto 2016, erano stati arrestati e trasferiti senza alcuna documentazione e senza che potessero lasciare l’hotspot di Taranto. Ciò ha comportato una privazione arbitraria della loro libertà, in violazione dell’Articolo 5 § 1.

      Inoltre, era assente una legislazione chiara e accessibile relativa agli hotspot e la Corte non ha avuto alcuna prova di come le autorità avrebbero potuto informare i richiedenti delle ragioni legali della loro privazione di libertà o dare loro l’opportunità di contestare in tribunale i motivi della loro detenzione de facto.

      La Corte ha però respinto come inammissibili tutti i reclami dei nove ricorrenti, tranne uno, in merito al fatto che le autorità italiane non avevano preso in considerazione il rischio di trattamenti inumani se fossero stati rimpatriati in Sudan. In A.E. e T.B. contro Italia, i richiedenti, che avevano ottenuto la protezione internazionale, non erano più a rischio di deportazione e non potevano quindi affermare di essere vittime di una violazione dell’Articolo 3. In W.A. e altri c. Italia, la Corte ha ritenuto che quattro dei cinque ricorrenti, per i quali il rapporto della polizia belga del 2022 non aveva stabilito una corrispondenza affidabile tra le fotografie fornite dalle parti, non avessero sufficientemente motivato i loro reclami.

      La Corte ha dichiarato ammissibile il reclamo del ricorrente, W.A.. Ha osservato che i documenti disponibili erano sufficienti per concludere che si trattava di una delle persone indicate nelle fotografie identificative fornite dal Governo. Ha quindi ritenuto che fosse tra i cittadini sudanesi allontanati in Sudan il 24 agosto 2016. Tuttavia, la Corte ha continuato a ritenere che non vi fosse stata alcuna violazione dell’Articolo 3 nel caso di W.A. .

      In particolare, ha notato che c’erano state delle imprecisioni nel suo modulo di richiesta alla Corte e che, sebbene fosse stato assistito da un avvocato in diversi momenti della procedura di espulsione, aveva esplicitamente dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale e di essere semplicemente in transito in Italia. Inoltre, a differenza dei richiedenti nel caso A.E. e T.B. contro l’Italia, che avevano ottenuto la protezione internazionale sulla base delle loro esperienze personali, W.A. aveva sostenuto di appartenere a una tribù perseguitata dal Governo sudanese solo dopo aver presentato la domanda alla Corte europea. Questa informazione non era quindi disponibile per le autorità italiane al momento rilevante e la Corte ha concluso che il Governo italiano non ha violato il suo dovere di fornire garanzie effettive per proteggere W.A. dal respingimento arbitrario nel suo Paese d’origine.

      – Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot, di Francesco Ferri (https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl) – 17 agosto 2026
      – Rimpatrio forzato dei cittadini sudanesi: l’Italia ha violato i diritti. Rapporto giuridico sul memorandum d’intesa Italia-Sudan a cura della Clinica Dipartimento di Giurisprudenza di Torino (https://www.meltingpot.org/2017/10/rimpatrio-forzato-dei-cittadini-sudanesi-litalia-ha-violato-i-diritti-um) – 31 ottobre 2017.
      - The cases of A.E. and T.B. v. Italy (application nos. 18911/17, 18941/17, and 18959/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228836) and W.A. and Others v. Italy (no. 18787/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228835)

      https://www.meltingpot.org/2023/11/denudati-maltrattati-e-privati-della-liberta-la-cedu-condanna-nuovamente

  • The hotspot approach in Greece and Italy

    The ’hotspot approach’ was presented by the European Commission as part of the European agenda on migration in April 2015, when record numbers of refugees, asylum-seekers and other migrants began arriving in the EU. The ’hotspots’ (first reception facilities) were intended to improve coordination of EU agencies’ and national authorities’ efforts at the external borders of the EU, in the initial reception, identification, registration and fingerprinting of asylum-seekers and migrants. Although other Member States also have the possibility to benefit from the hotspot approach, only Greece and Italy host hotspots. This approach was also designed to contribute to the temporary emergency relocation mechanisms that – between September 2015 and September 2017 – helped to transfer asylum-seekers from Greece and Italy to other EU Member States. Even though 96 % of the people eligible had been relocated by the end of March 2018, relocation numbers were far from the targets originally set and the system led to tensions with Czechia, Hungary and Poland, which refused to comply with the mechanism. Relocations to other EU Member States, especially under the new voluntary scheme established in June 2022, remain low. Since their inception, the majority of hotspots have suffered from overcrowding, and concerns have been raised by stakeholders with regard to camp facilities and living conditions – in particular for vulnerable migrants and asylum-seekers – and to gaps in access to asylum procedures. These shortcomings cause tensions among the migrants and with local populations and have already led to violent protests. On 8 September 2020, a devastating fire in the Moria camp on Lesvos only aggravated the existing problems. The European Parliament has called repeatedly for action to ensure that the hotspot approach does not endanger the fundamental rights of asylum-seekers and migrants. This briefing updates earlier ones published in March 2016, in June 2018 and September 2020.

    https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2023)754569

    #relocalisation #chiffres #asile #migrations #réfugiés #EU #Union_européenne #UE #hotspot #Grèce #Italie #violence

  • En Méditerranée, dix ans de tâtonnements de la politique migratoire européenne
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/22/en-mediterranee-dix-ans-de-tatonnements-de-la-politique-migratoire-europeenn

    En Méditerranée, dix ans de tâtonnements de la politique migratoire européenne
    Par Julia Pascual
    Publié le 22 septembre 2023 à 14h00, modifié le 22 septembre 2023 à

    Dix ans se sont écoulés depuis que le pape François s’est rendu à Lampedusa, en 2013, pour y dénoncer l’« indifférence » du monde au sort des migrants. Dix ans, et Lampedusa est de nouveau le symbole d’une Europe qui se débat politiquement avec les flux d’arrivées en Méditerranée. Vendredi 22 septembre, c’est à Marseille que le souverain pontife devait élever une prière aux migrants disparus en mer : 30 000 y ont perdu la vie depuis 2014, d’après les données incomplètes de l’Organisation internationale pour les migrations.« On a entendu beaucoup de “plus jamais”, mais les drames vont continuer, dans la mesure où la mer devient le seul espace sans frontières claires », prédit, fataliste, Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies pour la Méditerranée occidentale et centrale. Alors que l’Union européenne (UE) a annoncé un plan pour aider l’Italie face à l’afflux actuel sur ses côtes, les réponses restent axées sur l’endiguement des arrivées, contribuant à déplacer depuis dix ans les routes autour du bassin méditerranéen.
    Lire aussi : Visite du pape à Marseille, en direct : François dénonce le « fanatisme de l’indifférence » face aux « tragédies des naufrages » des embarcations de migrants en mer
    Au gré des contextes politiques et économiques dans les pays d’origine et de transit, l’ampleur des déplacements a elle aussi varié, avec un pic à plus de un million d’arrivées en 2015 (dont 850 000 personnes débarquées en Grèce), retombées dès 2016 à 360 000 (réparties entre la Grèce et l’Italie), puis à moins de 100 000 en 2019, et qui, pour la seule Italie, atteignent 130 000 depuis janvier. Ce sont tour à tour des Syriens, des Afghans, mais aussi des Tunisiens, des Nigérians, des Egyptiens ou des Guinéens, qui ont les premiers pris la mer. Face à ces dynamiques complexes, « l’Union européenne est dans un objectif de clôture à court terme, regrette Flavio Di Giacomo, porte-parole de l’l’Organisation internationale pour les migrations pour la Méditerranée. On aurait besoin de politiques plus équilibrées et ouvertes ».
    Le ministre de l’intérieur français, Gérald Darmanin, a affirmé, le 19 septembre, que les migrants subsahariens arrivés à Lampedusa ne relèvent pas de l’asile. « Beaucoup de personnes subissent des violations dans les pays de transit, et cela met à mal la distinction entre migrant économique et réfugié », fait remarquer M. Di Giacomo.« Nombreux sont ceux qui ont vécu des mois, voire des années, en Tunisie et qui ne s’y sentent plus en sûreté. Il y a toujours eu des mouvements mixtes vers l’Europe, souligne M. Cochetel. On va donner plus d’argent à la Tunisie pour bloquer les départs, mais les flux sont dynamiques. En outre, la guerre au Soudan provoque des déplacements massifs de population. Le Tchad a ainsi reçu plus de 400 000 réfugiés depuis la mi-avril. Au Niger, les trafics de biens et de personnes redémarrent depuis le coup d’Etat. Au Mali, les combats reprennent. Il ne faut pas croire – même si la majorité des migrations se font entre pays du Sud – que toutes ces crises ne vont pas affecter l’Europe. Il y a une nécessité de partager l’accueil de ceux en besoin de protection. »
    En matière de politique européenne, l’un des héritages de la décennie aura été l’initiative de ce que l’on appelle les « hot spots », appliquée en Italie et surtout en Grèce dès 2015, et censée permettre d’enregistrer les migrants à leur arrivée pour trier les indésirables des réfugiés. Cette approche se voulait aussi – par un mécanisme volontaire de relocalisations entre Etats membres – une façon de corriger l’inadaptation du règlement européen de Dublin, qui impose au seul pays d’arrivée en Europe la responsabilité en matière d’instruction de la demande d’asile. « Jusqu’en 2013, la question de la solidarité entre Etats membres ne se posait pas, le nombre des demandes d’asile était très faible », rappelle Jérôme Vignon, conseiller migrations de l’Institut Jacques Delors. Alors que moins de 300 000 demandes avaient été enregistrées sur le continent en 2010, elles sont montées à plus de 600 000 en 2014, atteignant un pic en 2015 (1,3 million), avant de s’établir autour de 900 000 aujourd’hui.
    Les « hot spots » ont été un échec : les engagements de relocalisation n’ont pas été tenus, les administrations nationales et les centres ont été embolisés, les retours n’ont pas fonctionné, et les Etats sont régulièrement accusés de refoulements illégaux. En dépit de cela, « le pacte asile et immigration en discussion est une généralisation de ce modèle », analyse Matthieu Tardis, cofondateur de Synergie Migrations.
    Ce pacte, qui doit être entièrement adopté d’ici à juin 2024, prévoit que les migrants sont identifiés aux frontières de l’Europe et qu’il est décidé en quelques semaines s’ils relèvent de l’asile ou s’ils doivent être reconduits dans leur pays d’origine ou dans un pays tiers « sûr ». Cette notion de « pays tiers sûr », concrétisée à travers l’accord UE-Turquie de 2016 qui prévoit que les migrants dont la demande d’asile est jugée infondée sont renvoyés en Turquie, n’a cessé de progresser sous la pression d’Etats favorables à des procédures d’externalisation de la demande d’asile.
    Les accords avec les pays de la rive sud de la Méditerranée (Libye, Maroc et Tunisie) ont prospéré, parallèlement à ceux passés avec les pays d’origine, visant principalement à renforcer les capacités de contrôle des départs, et qui laissent peu de place aux considérations relatives au respect des droits fondamentaux. Dans le même temps, sur fond de résurgence du risque terroriste, la libre circulation dans l’espace Schengen est entravée par le rétablissement de contrôles aux frontières intérieures de l’Europe depuis 2015.
    « Il y a un effritement des valeurs communes », constate un diplomate européen. « C’est une brèche dans le système d’hospitalité européenne, fruit du compromis trouvé entre les pays de première entrée et les pays de seconde ligne, considère M. Vignon. En 2013, l’opinion publique était majoritairement compatissante. La marine italienne sauvait plus de 150 000 personnes en mer en un an à travers l’opération “Mare Nostrum”. Il y a eu depuis un retournement. »
    #Covid-19#migration#migrant#UE#mediterranee#politiquemigratoire#pactemigratoire#hotspot#espaceschengen#mibye#maroc#tunisie#asile#externalisation
    En cas d’afflux majeur, le pacte en discussion prévoit un système de répartition vers les Etats volontaires, les réfractaires devant s’acquitter d’une contrepartie financière. En l’espace d’une décennie, avec des partis d’extrême droite au pouvoir en Italie, en Suède, en Finlande, l’UE n’a pas réussi à produire plus de consensus – à l’exception notable de la montée en puissance de l’agence Frontex ou de l’accueil harmonisé de huit millions de réfugiés ukrainiens. « Il reste à construire une politique d’immigration légale », ajoute M. Vignon. Face à la pénurie croissante de main-d’œuvre, sa nécessité s’impose à l’Europe.

  • #Lampedusa : ’Operational emergency,’ not ’migration crisis’

    Thousands of migrants have arrived on Lampedusa from Africa this week, with the EU at odds over what to do with them. DW reports from the Italian island, where locals are showing compassion as conditions worsen.

    Long lines of migrants and refugees, wearing caps and towels to protect themselves from the blistering September sun, sit flanked on either side of a narrow, rocky lane leading to Contrada Imbriacola, the main migrant reception center on the Italian island of Lampedusa.

    Among them are 16-year-old Abubakar Sheriff and his 10-year old brother, Farde, who fled their home in Sierra Leone and reached Lampedusa by boat from Tunisia.

    “We’ve been on this island for four days, have been sleeping outside and not consumed much food or water. We’ve been living on a couple of biscuits,” Abubakar told DW. “There were 48 people on the boat we arrived in from Tunisia on September 13. It was a scary journey and I saw some other boats capsizing. But we got lucky.”

    Together with thousands of other migrants outside the reception center, they’re waiting to be put into police vans headed to the Italian island’s port. They will then be transferred to Sicily and other parts of Italy for their asylum claims to be processed, as authorities in Lampedusa say they have reached “a tipping point” in migration management.
    Not a ’migration crisis for Italy,’ but an ’operational emergency’

    More than 7,000 migrants arrived in Lampedusa on flimsy boats from Tunisia earlier this week, leading the island’s mayor, Filippo Mannino, to declare a state of emergency and tell local media that while migrants have always been welcomed, this time Lampedusa “is in crisis.”

    In a statement released on Friday, Italian Prime Minister Giorgia Meloni said her government intends to take “immediate extraordinary measures” to deal with the landings. She said this could include a European mission to stop arrivals, “a naval mission if necessary.” But Lampedusa, with a population of just 6,000 and a reception center that has a capacity for only 400 migrants, has more immediate problems.

    Flavio Di Giacomo, spokesperson for the UN’s International Organization for Migration (IOM), told DW that while the new arrivals have been overwhelming for the island, this is not a “migration crisis for Italy.”

    “This is mainly an operational emergency for Lampedusa, because in 2015-2016, at the height of Europe’s migration crisis, only 8% of migrants arrived in Lampedusa. The others were rescued at sea and transported to Sicily to many ports there,” he said. “This year, over 70% of arrivals have been in Lampedusa, with people departing from Tunisia, which is very close to the island.”

    Di Giacomo said the Italian government had failed to prepare Lampedusa over the past few years. “The Italian government had time to increase the reception center’s capacity after it was set up in 2008,” he said. “Migration is nothing new for the country.”
    Why the sudden increase?

    One of Italy’s Pelagie Islands in the Mediterranean, Lampedusa has been the first point of entry to Europe for people fleeing conflict, poverty and war in North Africa and the Middle East for years, due to its geographical proximity to those regions. But the past week’s mass arrival of migrants caught local authorities off guard.

    “We have never seen anything like what we saw on Wednesday,” said a local police officer near the asylum reception center.

    Showing a cellphone video of several small boats crammed with people arriving at the Lampedusa port, he added, “2011 was the last time Lampedusa saw something like this.” When the civil war in Libya broke out in 2011, many people fled to Europe through Italy. At the time, Rome declared a “North Africa emergency.”

    Roberto Forin, regional coordinator for Europe at the Mixed Migration Centre, a research center, said the recent spike in arrivals likely had one main driving factor. “According to our research with refugees and migrants in Tunisia, the interceptions by Tunisian coast guards of boats leaving toward Italy seems to have decreased since the signing of the Memorandum of Understanding in mid-July between the European Union and Tunisia,” he said. “But the commission has not yet disbursed the €100 million ($106.6 million) included in the deal.”

    The EU-Tunisia deal is meant to prevent irregular migration from North Africa and has been welcomed by EU politicians, including Meloni. But rights groups have questioned whether it will protect migrants. Responding to reporters about the delayed disbursement of funds, the European Commission said on Friday that the disbursement was still a “work in progress.”

    IOM’s Giacomo said deals between the EU and North African countries aren’t the answer. “It is a humanitarian emergency right now because migrants are leaving from Tunisia, because many are victims of racial discrimination, assault, and in Libya as well, their rights are being abused,” he said. "Some coming from Tunisia are also saying they are coming to Italy to get medical care because of the economic crisis there.

    “The solution should be to organize more search-and-rescue at sea, to save people and bring them to safety,” he added. “The focus should be on helping Lampedusa save the migrants.”

    A group of young migrants from Mali who were sitting near the migrant reception center, with pink tags on their hands indicating the date of their arrival, had a similar view.

    “We didn’t feel safe in Tunisia,” they told DW. “So we paid around €750 to a smuggler in Sfax, Tunisia, who then gave us a dinghy and told us to control it and cross the sea toward Europe. We got to Italy but we don’t want to stay here. We want to go to France and play football for that country.”
    Are other EU nations helping?

    At a press briefing in Brussels on Wednesday, the European Commission said that 450 staff from Europol, Frontex and the European Union Agency for Asylum have been deployed to the island to assist Italian authorities, and €40 million ($42.6 million) has been provided for transport and other infrastructure needed for to handle the increase in migrant arrivals.

    But Italian authorities have said they’re alone in dealing with the migrants, with Germany restricting Italy from transferring migrants and France tightening its borders with the country.

    Lampedusa Deputy Mayor Attilio Lucia was uncompromising: “The message that has to get through is that Europe has to wake up because the European Union has been absent for 20 years. Today we give this signal: Lampedusa says ’Enough’, the Lampedusians have been suffering for 20 years and we are psychologically destroyed,” he told DW.

    “I understand that this was done mostly for internal politics, whereby governments in France and Germany are afraid of being attacked by far-right parties and therefore preemptively take restrictive measures,” said Forin. “On the other hand, it is a measure of the failure of the EU to mediate a permanent and sustainable mechanism. When solidarity is left to voluntary mechanisms between states there is always a risk that, when the stakes are high, solidarity vanishes.”

    Local help

    As politicians and rights groups argue over the right response, Lampedusa locals like Antonello di Malta and his mother feel helping people should be the heart of any deal.

    On the night more than 7,000 people arrived on the island, di Malta said his mother called him saying some migrants had come to their house begging for food. “I had to go out but I didn’t feel comfortable hearing about them from my mother. So I came home and we started cooking spaghetti for them. There were 10 of them,” he told DW, adding that he was disappointed with how the government was handling the situation.

    “When I saw them I thought about how I would have felt if they were my sons crying and asking for food,” said Antonello’s mother. “So I started cooking for them. We Italians were migrants too. We used to also travel from north to south. So we can’t get scared of people and we need to help.”

    Mohammad still has faith in the Italian locals helping people like him. “I left horrible conditions in Gambia. It is my first time in Europe and local people here have been nice to me, giving me a cracker or sometimes even spaghetti. I don’t know where I will be taken next, but I have not lost hope,” he told DW.

    “I stay strong thinking that one day I will play football for Italy and eventually, my home country Gambia,” he said. “That sport gives me joy through all this hardship.”

    https://www.dw.com/en/lampedusa-operational-emergency-not-migration-crisis/a-66830589

    #débarquements #asile #migrations #réfugiés #Italie #crise #compassion #transferts #urgence_opérationnelle #crise_migratoire #Europol #Frontex #Agence_de_l'Union_européenne_pour_l'asile (#EUEA #EUAA) #solidarité

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • The dance that give life’
      Upon Lampedusa’s rocky shore they came,
      From Sub-Saharan lands, hearts aflame,
      Chasing dreams, fleeing despair,
      In search of a life that’s fair.

      Hunger gnawed, thirst clawed, bodies beat,
      Brutality’s rhythm, a policeman’s merciless feat,
      Yet within their spirits, a melody stirred,
      A refuge in humour where hope’s not deferred.

      Their laughter echoed ’cross the tiny island,
      In music and dance, they made a home,
      In the face of adversity, they sang their songs,
      In unity and rhythm, they proved their wrongs.

      A flood of souls, on Lampedusa’s strand,
      Ignited debates across the land,
      Politicians’ tongues twisted in spite,
      Racist rhetoric veiled as right.

      Yet, the common people, with curious gaze,
      Snared in the web of fear’s daze,
      Chose not to see the human plight,
      But the brainwash of bigotry’s might.

      Yet still, the survivor’s spirit shines bright,
      In the face of inhumanity, they recite,
      Their music, their dance, their undying humour,
      A testament to resilience, amid the rumour and hate.

      For they are not just numbers on a page,
      But humans, life stories, not a stage,
      Their journey not over, their tale still unspun,
      On the horizon, a new day begun.

      Written by @Yambiodavid

      https://twitter.com/RefugeesinLibya/status/1702595772603138331
      #danse #fête

    • L’imbroglio del governo oltre la propaganda

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite.

      La tragedia umanitaria in corso a Lampedusa, l’ennesima dalle “primavere arabe” del 2011 ad oggi, dimostra che dopo gli accordi di esternalizzazione, con la cessione di motovedette e con il supporto alle attività di intercettazione in mare, in collaborazione con Frontex, come si è fatto con la Tunisia e con la Libia (o con quello che ne rimane come governo di Tripoli), le partenze non diminuiscono affatto, ed anzi, fino a quando il meteo lo permette, sono in continuo aumento.

      Si sono bloccate con i fermi amministrativi le navi umanitarie più grandi, ma questo ha comportato un aumento degli “arrivi autonomi” e l’impossibilità di assegnare porti di sbarco distribuiti nelle città più grandi della Sicilia e della Calabria, come avveniva fino al 2017, prima del Codice di condotta Minniti e dell’attacco politico-giudiziario contro il soccorso civile.

      La caccia “su scala globale” a trafficanti e scafisti si è rivelata l’ennesimo annuncio propagandistico, anche se si dà molta enfasi alla intensificazione dei controlli di polizia e agli arresti di presunti trafficanti ad opera delle autorità di polizia e di guardia costiera degli Stati con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione “clandestina”. Se Salvini ha le prove di una guerra contro l’Italia, deve esibirle, altrimenti pensi al processo di Palermo sul caso Open Arms, per difendersi sui fatti contestati, senza sfruttare il momento per ulteriori sparate propagandistiche.

      Mentre si riaccende lo scontro nella maggioranza, è inutile incolpare l’Unione europea, dopo che la Meloni e Piantedosi hanno vantato di avere imposto un “cambio di passo” nelle politiche migratorie dell’Unione, mente invece hanno solo rafforzato accordi bilaterali già esistenti.

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite, gli arrivi delle persone che fuggono da aree geografiche sempre più instabili, per non parlare delle devastazioni ambientali, non sono diminuiti per effetto degli accordi bilaterali o multilaterali con i quali si è cercato di offrire aiuti economici in cambio di una maggiore collaborazione sulle attività di polizia per la sorveglianza delle frontiere. Dove peraltro la corruzione, i controlli mortali, se non gli abusi sulle persone migranti, si sono diffusi in maniera esponenziale, senza che alcuna autorità statale si dimostrasse in grado di fare rispettare i diritti fondamentali e le garanzie che dovrebbe assicurare a qualsiasi persona uno Stato democratico quando negozia con un paese terzo. Ed è per questa ragione che gli aiuti previsti dal Memorandum Tunisia-Ue non sono ancora arrivati e il Piano Mattei per l’Africa, sul quale Meloni e Piantedosi hanno investito tutte le loro energie, appare già fallito.

      Di fronte al fallimento sul piano internazionale è prevedibile una ulteriore stretta repressiva. Si attende un nuovo pacchetto sicurezza, contro i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri” per i quali, al termine di un sommario esame delle domande di protezione durante le “procedure accelerate in frontiera”, dovrebbero essere previsti “rimpatri veloci”. Come se non fossero certi i dati sul fallimento delle operazioni di espulsione e di rimpatrio di massa.

      Se si vogliono aiutare i paesi colpiti da terremoti e alluvioni, ma anche quelli dilaniati da guerre civili alimentate dalla caccia alle risorse naturali di cui è ricca l’Africa, occorrono visti umanitari, evacuazione dei richiedenti asilo presenti in Libia e Tunisia, ma anche in Niger, e sospensione immediata di tutti gli accordi stipulati per bloccare i migranti in paesi dove non si garantisce il rispetto dei diritti umani. Occorre una politica estera capace di mediare i conflitti e non di aggravarne gli esiti. Vanno aperti canali legali di ingresso senza delegare a paesi terzi improbabili blocchi navali. Per salvare vite, basta con la propaganda elettorale.

      https://ilmanifesto.it/limbroglio-del-governo-oltre-la-propaganda/r/2aUycOowSerL2VxgLCD9N

    • The fall of the Lampedusa Hotspot, people’s freedom and locals’ solidarity

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000912-464e9464ec/DSC09012.webp?ph=2196af27df

      A few weeks ago, the owner of one of the bars in the old port, was talking about human trafficking and money laundering between institutions and NGOs in relation to what had happened during that day. It was the evening of Thursday 24 August and Lampedusa had been touched by yet another ’exceptional’ event: 64 arrivals in one day. Tonight, in that same bar in the old port, a young Tunisian boy was sitting at a table and together with that same owner, albeit in different languages, exchanging life stories.

      What had been shaken in Lampedusa, in addition to the collapse of the Hotspot , is the collapse of the years long segregation system, which had undermined anypotential encounter with newly arrived people. A segregation that also provided fertile ground for conspiracy theories about migration, reducing people on the move to either victims or perpetrators of an alleged ’migration crisis’.

      Over the past two days, however, without police teams in manhunt mode, Lampedusa streets, public spaces, benches and bars, have been filled with encounters, conversations, pizzas and coffees offered by local inhabitants. Without hotspots and segregation mechanisms, Lampedusa becomes a space for enriching encounters and spontaneus acts of solidarity between locals and newly arrived people. Trays of fish ravioli, arancini, pasta, rice and couscous enter the small room next to the church, where volunteers try to guarantee as many meals as possible to people who, taken to the hotspot after disembarkation, had been unable to access food and water for three days. These scenes were unthinkable only a few days before. Since the beginning of the pandemic, which led to the end of the era of the ’hotspot with a hole’, newly-arrived people could not leave the detention centre, and it became almost impossible to imagine an open hotspot, with people walking freely through the city. Last night, 14 September, on Via Roma, groups of people who would never have met last week danced together with joy and complicity.

      These days, practice precedes all rhetoric, and what is happening shows that Lampedusa can be a beautiful island in the Mediterranean Sea rather than a border, that its streets can be a place of welcoming and encounter without a closed centre that stifles any space for self-managed solidarity.

      The problem is not migration but the mechanism used to manage it.

      The situation for the thousands of people who have arrived in recent days remains worrying and precarious. In Contrada Imbriacola, even tonight, people are sleeping on the ground or on cots next to the buses that will take them to the ships for transfers in the morning. Among the people, besides confusion and misinformation, there is a lot of tiredness and fatigue. There are many teenagers and adolescents and many children and pregnant women. There are no showers or sanitary facilities, and people still complain about the inaccessibility of food and water; the competitiveness during food distributions disheartens many because of the tension involved in queuing. The fights that broke out two days ago are an example of this, and since that event most of the workers of all the associations present in the centre have been prevented from entering for reasons of security and guaranteeing their safety.

      If the Red Cross and the Prefecture do not want to admit their responsibilities, these are blatant before our eyes and it is not only the images of 7000 people that prove this, but the way situations are handled due to an absolute lack of personnel and, above all, confusion at organisational moments.

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000932-250b0250b2/DSC08952-8.webp?ph=2196af27df

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      During transfers yesterday morning, the carabinieri charged to move people crowded around a departing bus. The latter, at the cost of moving, performed a manoeuvre that squeezed the crowd against a low wall, creating an extremely dangerous situation ( video). All the people who had been standing in line for hours had to move chaotically, creating a commotion from which a brawl began in which at least one person split his eyebrow. Shortly before, one of the police commissioners had tried something different by creating a human caterpillar - people standing in line with their hands on their shoulders - in order to lead them into a bus, but once the doors were opened, other people pounced into it literally jamming it (photo). In other words, people are trudging along at the cost of others’ psycho-physical health.

      In yesterday evening’s transfer on 14 September (photo series with explanation), 300 people remained at the commercial dock from the morning to enter the Galaxy ship at nine o’clock in the evening. Against these 300 people, just as many arrived from the hotspot to board the ship or at least to try to do so.

      The tension, especially among those in control, was palpable; the marshals who remained on the island - the four patrols of the police force were all engaged for the day’s transfers - ’lined up’ between one group and another with the aim of avoiding any attempt to jump on the ship. In reality, people, including teenagers and families with children, hoped until the end to board the ship. No one told them otherwise until all 300 people passed through the only door left open to access the commercial pier. These people were promised that they would leave the next day. Meanwhile, other people from the hotspot have moved to the commercial pier and are spending the night there.

      People are demanding to leave and move freely. Obstructing rather than supporting this freedom of movement will lead people and territories back to the same impasses they have regularly experienced in recent years. The hotspot has collapsed, but other forms of borders remain that obstruct something as simple as personal self-determination. Forcing is the source of all problems, not freedom.

      Against all forms of borders, for freedom of movement for all.

      https://www.maldusa.org/l/the-fall-of-the-lampedusa-hotspot-people-s-freedom-and-locals-solidarity

      –-
      #Video: Lampedusa on the 14th September

      –-> https://vimeo.com/864806349

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      #Lampedusa #hotspot #soilidarity #Maldusa

    • Lampedusa’s Hotspot System: From Failure to Nonexistence

      After a few days of bad weather, with the return of calm seas, people on the move again started to leave and cross the Mediterranean from Tunisia and Libya.

      During the day of 12 September alone, 110 iron, wooden and rubber boats arrived. 110 small boats, for about 5000 people in twenty-four hours. Well over the ’record’ of 60 that had astonished many a few weeks ago. Numbers not seen for years, and which add up to the approximately 120,000 people who have reached Italy since January 2023 alone: already 15,000 more than the entire year 2022.

      It has been a tense few days at the Favaloro pier, where people have been crowded for dozens of hours under the scorching sun.

      Some, having passed the gates and some rocks, jumped into the water in an attempt to find some coolness, reaching some boats at anchor and asking for water to drink.

      It pains and angers us that the police in riot gear are the only real response that seems to have been given.

      On the other hand, hundreds of people, who have arrived in the last two days on the Lampedusa coast, are walking through the streets of the town, crossing and finally reclaiming public space. The hotspot, which could accommodate 389, in front of 7000 people, has simply blown up. That is, it has opened.

      The square in front of the church was transformed, as it was years ago, into a meeting place where locals organised the distribution of food they had prepared, thanks also to the solidarity of bakers and restaurateurs who provided what they could.

      A strong and fast wave of solidarity: it seems incredible to see people on the move again, sharing space, moments and words with Lampedusians, activists from various organisations and tourists. Of course, there is also no shortage of sad and embarrassing situations, in which some tourists - perhaps secretly eager to meet ’the illegal immigrants’ - took pictures of themselves capturing these normally invisible and segregated chimeras.

      In fact, all these people would normally never meet, kept separate and segregated by the hotspot system.

      But these days a hotspot system seems to no longer exist, or to have completely broken down, in Lampedusa. It has literally been occupied by people on the move, sleeping inside and outside the centre, on the road leading from the entrance gate to the large car park, and in the abandoned huts around, and in every nook and cranny.

      Basic goods, such as water and food, are not enough. Due to the high number of people, there is a structural lack of distribution even of the goods that are present, and tensions seem to mount slowly but steadily.

      The Red Cross and workers from other organisations have been prevented from entering the hotspot centre for ’security reasons’ since yesterday morning. This seems an overwhelming situation for everyone. The pre-identification procedures, of course, are completely blown.

      Breaking out of this stalemate it’s very complex due to the continuous flow of arrivals : for today, as many as 2000 people are expected to be transferred between regular ships and military assets. For tomorrow another 2300 or so. Of course, it remains unpredictable how many people will continue to reach the island at the same time.

      In reaction to all this, we are not surprised, but again disappointed, that the city council is declaring a state of emergency still based on the rhetoric of ’invasion’.

      A day of city mourning has also been declared for the death of a 5-month-old baby, who did not survive the crossing and was found two days ago during a rescue.

      We are comforted, however, that a torchlight procession has been called by Lampedusians for tonight at 8pm. Banners read: ’STOP DEAD AT SEA’, ’LEGAL ENTRANCE CHANNELS NOW’.

      The Red Cross, Questura and Prefecture, on the other hand, oscillate between denying the problem - ’we are handling everything pretty well’ - to shouting at the invasion.

      It is not surprising either, but remains a disgrace, that the French government responds by announcing tighter border controls and that the German government announces in these very days - even though the decision stems from agreements already discussed in August regarding the Dublin Convention - that it will suspend the taking in of any refugee who falls under the so-called ’European solidarity mechanism’.

      We are facing a new level of breaking down the European borders and border regime by people on the move in the central Mediterranean area.

      We stand in full solidarity with them and wish them safe arrival in their destination cities.

      But let us remember: every day they continue to die at sea, which proves to be the deadliest border in the world. And this stems from a political choice, which remains intolerable and unacceptable.

      Freedom of movement must be a right for all!

      https://www.maldusa.org/l/lampedusas-hotspot-system-from-failure-to-nonexistence

    • « L’effet Lampedusa », ou comment se fabriquent des politiques migratoires répressives

      En concentrant les migrants dans des hotspots souvent situés sur de petites îles, les Etats européens installent une gestion inhumaine et inefficace des migrations, contradictoire avec certains de leurs objectifs, soulignent les chercheuses #Marie_Bassi et #Camille_Schmoll.

      Depuis quelques jours, la petite île de Lampedusa en Sicile a vu débarquer sur son territoire plus de migrants que son nombre d’habitants. Et comme à chacun de ces épisodes d’urgence migratoire en Europe, des représentants politiques partent en #croisade : pour accroître leur capital électoral, ils utilisent une #rhétorique_guerrière tandis que les annonces de #fermeture_des_frontières se succèdent. Les #élections_européennes approchent, c’est pour eux l’occasion de doubler par la droite de potentiels concurrents.

      Au-delà du cynisme des #opportunismes_politiques, que nous dit l’épisode Lampedusa ? Une fois de plus, que les #politiques_migratoires mises en place par les Etats européens depuis une trentaine d’années, et de manière accélérée depuis 2015, ont contribué à créer les conditions d’une #tragédie_humanitaire. Nous avons fermé les #voies_légales d’accès au territoire européen, contraignant des millions d’exilés à emprunter la périlleuse route maritime. Nous avons laissé les divers gouvernements italiens criminaliser les ONG qui portent secours aux bateaux en détresse, augmentant le degré de létalité de la traversée maritime. Nous avons collaboré avec des gouvernements irrespectueux des droits des migrants : en premier lieu la Libye, que nous avons armée et financée pour enfermer et violenter les populations migrantes afin de les empêcher de rejoindre l’Europe.

      L’épisode Lampedusa n’est donc pas simplement un drame humain : c’est aussi le symptôme d’une politique migratoire de courte vue, qui ne comprend pas qu’elle contribue à créer les conditions de ce qu’elle souhaite éviter, en renforçant l’instabilité et la violence dans les régions de départ ou de transit, et en enrichissant les réseaux criminels de trafic d’êtres humains qu’elle prétend combattre.

      Crise de l’accueil, et non crise migratoire

      Revenons d’abord sur ce que l’on peut appeler l’effet hotspot. On a assisté ces derniers mois à une augmentation importante des traversées de la Méditerranée centrale vers l’Italie, si bien que l’année 2023 pourrait, si la tendance se confirme, se hisser au niveau des années 2016 et 2017 qui avaient battu des records en termes de traversées dans cette zone. C’est bien entendu cette augmentation des départs qui a provoqué la surcharge actuelle de Lampedusa, et la situation de crise que l’on observe.

      Mais en réalité, les épisodes d’urgence se succèdent à Lampedusa depuis que l’île est devenue, au début des années 2000, le principal lieu de débarquement des migrants dans le canal de Sicile. Leur interception et leur confinement dans le hotspot de cette île exiguë de 20 km² renforce la #visibilité du phénomène, et crée un #effet_d’urgence et d’#invasion qui justifie une gestion inhumaine des arrivées. Ce fut déjà le cas en 2011 au moment des printemps arabes, lorsque plus de 60 000 personnes y avaient débarqué en quelques mois. Le gouvernement italien avait stoppé les transferts vers la Sicile, créant volontairement une situation d’#engorgement et de #crise_humanitaire. Les images du centre surpeuplé, de migrants harassés dormant dans la rue et protestant contre cet accueil indigne avaient largement été diffusées par les médias. Elles avaient permis au gouvernement italien d’instaurer un énième #état_d’urgence et de légitimer de nouvelles #politiques_répressives.

      Si l’on fait le tour des hotspots européens, force est de constater la répétition de ces situations, et donc l’échec de la #concentration dans quelques points stratégiques, le plus souvent des #îles du sud de l’Europe. L’#effet_Lampedusa est le même que l’effet #Chios ou l’effet #Moria#Lesbos) : ces #îles-frontières concentrent à elles seules, parce qu’elles sont exiguës, toutes les caractéristiques d’une gestion inhumaine et inefficace des migrations. Pensée en 2015 au niveau communautaire mais appliquée depuis longtemps dans certains pays, cette politique n’est pas parvenue à une gestion plus rationnelle des flux d’arrivées. Elle a en revanche fait peser sur des espaces périphériques et minuscules une énorme responsabilité humaine et une lourde charge financière. Des personnes traumatisées, des survivants, des enfants de plus en plus jeunes, sont accueillis dans des conditions indignes. Crise de l’accueil et non crise migratoire comme l’ont déjà montré de nombreuses personnes.

      Changer de paradigme

      Autre #myopie européenne : considérer qu’on peut, en collaborant avec les Etats de transit et de départ, endiguer les flux. Cette politique, au-delà de la vulnérabilité qu’elle crée vis-à-vis d’Etats qui peuvent user du chantage migratoire à tout moment – ce dont Kadhafi et Erdogan ne s’étaient pas privés – génère les conditions mêmes du départ des personnes en question. Car l’#externalisation dégrade la situation des migrants dans ces pays, y compris ceux qui voudraient y rester. En renforçant la criminalisation de la migration, l’externalisation renforce leur #désir_de_fuite. Depuis de nombreuses années, migrantes et migrants fuient les prisons et la torture libyennes ; ou depuis quelques mois, la violence d’un pouvoir tunisien en plein tournant autoritaire qui les érige en boucs émissaires. L’accord entre l’UE et la Tunisie, un énième du genre qui conditionne l’aide financière à la lutte contre l’immigration, renforce cette dynamique, avec les épisodes tragiques de cet été, à la frontière tuniso-libyenne.

      Lampedusa nous apprend qu’il est nécessaire de changer de #paradigme, tant les solutions proposées par les Etats européens (externalisation, #dissuasion, #criminalisation_des_migrations et de leurs soutiens) ont révélé au mieux leur #inefficacité, au pire leur caractère létal. Ils contribuent notamment à asseoir des régimes autoritaires et des pratiques violentes vis-à-vis des migrants. Et à transformer des êtres humains en sujets humanitaires.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/leffet-lampedusa-ou-comment-se-fabriquent-des-politiques-migratoires-repr

    • Pour remettre les pendules à l’heure :

      Saluti dal Paese del “fenomeno palesemente fuori controllo”.


      https://twitter.com/emmevilla/status/1703458756728610987

      Et aussi :

      « Les interceptions des migrants aux frontières représentent 1 à 3% des personnes autorisées à entrer avec un visa dans l’espace Schengen »

      Source : Babels, « Méditerranée – Des frontières à la dérive », https://www.lepassagerclandestin.fr/catalogue/bibliotheque-des-frontieres/mediterraneedes-frontieres-a-la-derive

      #statistiques #chiffres #étrangers #Italie

    • Arrivées à Lampedusa - #Solidarité et #résistance face à la crise de l’accueil en Europe.

      Suite à l’arrivée d’un nombre record de personnes migrantes à Lampedusa, la société civile exprime sa profonde inquiétude face à la réponse sécuritaire des Etats européens, la crise de l’accueil et réaffirme sa solidarité avec les personnes qui arrivent en Europe.

      Plus de 5 000 personnes et 112 bateaux : c’est le nombre d’arrivées enregistrées sur l’île italienne de Lampedusa le mardi 12 septembre. Les embarcations, dont la plupart sont arrivées de manière autonome, sont parties de Tunisie ou de Libye. Au total, plus de 118 500 personnes ont atteint les côtes italiennes depuis le début de l’année, soit près du double des 64 529 enregistrées à la même période en 2022 [1]. L’accumulation des chiffres ne nous fait pas oublier que, derrière chaque numéro, il y a un être humain, une histoire individuelle et que des personnes perdent encore la vie en essayant de rejoindre l’Europe.

      Si Lampedusa est depuis longtemps une destination pour les bateaux de centaines de personnes cherchant refuge en Europe, les infrastructures d’accueil de l’île font défaut. Mardi, le sauvetage chaotique d’un bateau a causé la mort d’un bébé de 5 mois. Celui-ci est tombé à l’eau et s’est immédiatement noyé, alors que des dizaines de bateaux continuaient d’accoster dans le port commercial. Pendant plusieurs heures, des centaines de personnes sont restées bloquées sur la jetée, sans eau ni nourriture, avant d’être transférées vers le hotspot de Lampedusa.

      Le hotspot, centre de triage où les personnes nouvellement arrivées sont tenues à l’écart de la population locale et pré-identifiées avant d’être transférées sur le continent, avec ses 389 places, n’a absolument pas la capacité d’accueillir dignement les personnes qui arrivent quotidiennement sur l’île. Depuis mardi, le personnel du centre est complètement débordé par la présence de 6 000 personnes. La Croix-Rouge et le personnel d’autres organisations ont été empêchés d’entrer dans le centre pour des « raisons de sécurité ».

      Jeudi matin, de nombreuses personnes ont commencé à s’échapper du hotspot en sautant les clôtures en raison des conditions inhumaines dans lesquelles elles y étaient détenues. Face à l’incapacité des autorités italiennes à offrir un accueil digne, la solidarité locale a pris le relais. De nombreux habitants et habitantes se sont mobilisés pour organiser des distributions de nourriture aux personnes réfugiées dans la ville [2].

      Différentes organisations dénoncent également la crise politique qui sévit en Tunisie et l’urgence humanitaire dans la ville de Sfax, d’où partent la plupart des bateaux pour l’Italie. Actuellement, environ 500 personnes dorment sur la place Beb Jebli et n’ont pratiquement aucun accès à la nourriture ou à une assistance médicale [3]. La plupart d’entre elles ont été contraintes de fuir le Soudan, l’Éthiopie, la Somalie, le Tchad, l’Érythrée ou le Niger. Depuis les déclarations racistes du président tunisien, Kais Saied, de nombreuses personnes migrantes ont été expulsées de leur domicile et ont perdu leur travail [4]. D’autres ont été déportées dans le désert où certaines sont mortes de soif.

      Alors que ces déportations massives se poursuivent et que la situation à Sfax continue de se détériorer, l’UE a conclu un nouvel accord avec le gouvernement tunisien il y a trois mois afin de coopérer « plus efficacement en matière de migration », de gestion des frontières et de « lutte contre la contrebande », au moyen d’une enveloppe de plus de 100 millions d’euros. L’UE a accepté ce nouvel accord en pleine connaissance des atrocités commises par le gouvernement tunisien ainsi que les attaques perpétrées par les garde-côtes tunisiens sur les bateaux de migrants [5].

      Pendant ce temps, nous observons avec inquiétude comment les différents gouvernements européens ferment leurs frontières et continuent de violer le droit d’asile et les droits humains les plus fondamentaux. Alors que le ministre français de l’Intérieur a annoncé son intention de renforcer les contrôles à la frontière italienne, plusieurs autres États membres de l’UE ont également déclaré qu’ils fermeraient leurs portes. En août, les autorités allemandes ont décidé d’arrêter les processus de relocalisation des demandeurs et demandeuses d’asile arrivant en Allemagne depuis l’Italie dans le cadre du « mécanisme de solidarité volontaire » [6].

      Invitée à Lampedusa dimanche par la première ministre Meloni, la Présidente de la Commission européenne Von der Leyen a annoncé la mise en place d’un plan d’action en 10 points qui vient confirmer cette réponse ultra-sécuritaire [7]. Renforcer les contrôles en mer au détriment de l’obligation de sauvetage, augmenter la cadence des expulsions et accroître le processus d’externalisation des frontières… autant de vieilles recettes que l’Union européenne met en place depuis des dizaines années et qui ont prouvé leur échec, ne faisant qu’aggraver la crise de la solidarité et la situation des personnes migrantes.

      Les organisations soussignées appellent à une Europe ouverte et accueillante et exhortent les États membres de l’UE à fournir des voies d’accès sûres et légales ainsi que des conditions d’accueil dignes. Nous demandons que des mesures urgentes soient prises à Lampedusa et que les lois internationales qui protègent le droit d’asile soient respectées. Nous sommes dévastés par les décès continus en mer causés par les politiques frontalières de l’UE et réaffirmons notre solidarité avec les personnes en mouvement.

      https://migreurop.org/article3203.html?lang_article=fr

    • Che cos’è una crisi migratoria?

      Continuare a considerare il fenomeno migratorio come crisi ci allontana sempre più dalla sua comprensione, mantenendoci ancorati a soluzioni emergenziali che non possono che risultare strumentali e pericolose
      Le immagini della fila di piccole imbarcazioni in attesa di fare ingresso nel porto di Lampedusa resteranno impresse nella nostra memoria collettiva. Oltre cinquemila persone in sole ventiquattrore, che si aggiungono alle oltre centomila giunte in Italia nei mesi precedenti (114.256 al 31 agosto 2023). Nel solo mese di agosto sono sbarcate in Italia più di venticinquemila persone, che si aggiungono alle oltre ventitremila di luglio. Era del resto in previsione di una lunga estate di sbarchi che il Governo aveva in aprile dichiarato lo stato di emergenza, in un momento in cui, secondo i dati forniti dal ministro Piantedosi, nella sola Lampedusa erano concentrate più di tremila persone. Stando alle dichiarazioni ufficiali, l’esigenza era quella di dotarsi degli strumenti tecnici per distribuire più efficacemente chi era in arrivo sul territorio italiano, in strutture gestite dalla Protezione civile, aggirando le ordinarie procedure d’appalto per l’apertura di nuove strutture di accoglienza.

      Tra il 2017 e il 2022, in parallelo con la riduzione del numero di sbarchi, il sistema d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale era stato progressivamente contratto, perdendo circa il 240% della sua capacità ricettiva. Gli interventi dei primi mesi del 2023 sembravano tuttavia volerne rivoluzionare la fisionomia. Il cosiddetto “Decreto Cutro” escludeva i richiedenti asilo dalla possibilità di accedere alle strutture di accoglienza che fanno capo alla rete Sai (Sistema accoglienza migrazione), che a fine 2022 vantava una capacità di quasi venticinquemila posti, per riservare loro strutture come i grandi Centri di prima accoglienza o di accoglienza straordinaria, in cui sempre meno servizi alla persona sarebbero stati offerti. Per i richiedenti provenienti dai Paesi considerati “sicuri”, invece, la prospettiva era quella del confinamento in strutture situate nei pressi delle zone di frontiera in attesa dell’esito della procedura d’asilo accelerata e, eventualmente, del rimpatrio immediato.

      L’impennata nel numero di arrivi registrata negli ultimi giorni ha infine indotto il presidente del Consiglio ad annunciare con un videomessaggio trasmesso all’ora di cena nuove misure eccezionali. In particolare, sarà affidato all’Esercito il compito di creare e gestire nuove strutture detentive in cui trattenere “chiunque entri illegalmente in Italia per tutto il tempo necessario alla definizione della sue eventuale richiesta d’asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso in cui sia irregolare”, da collocarsi “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. Parallelamente, anche i termini massimi di detenzione saranno innalzati fino a diciotto mesi.

      Ciò di cui nessuno sembra dubitare è che l’Italia si trovi a fronteggiare l’ennesima crisi migratoria. Ma esattamente, di cosa si parla quando si usa la parola “crisi” in relazione ai fenomeni migratori?

      Certo c’è la realtà empirica dei movimenti attraverso le frontiere. Oltre centomila arrivi in otto mesi giustificano forse il riferimento al concetto di crisi, ma a ben vedere non sono i numeri il fattore determinante. Alcune situazioni sono state definite come critiche anche in presenza di numeri tutto sommato limitati, per ragioni essenzialmente politico-diplomatiche. Si pensi alla crisi al confine greco-turco nel 2020, o ancora alla crisi ai confini di Polonia e Lituania con la Bielorussia nel 2021. In altri casi il movimento delle persone attraverso i confini non è stato tematizzato come una crisi anche a fronte di numeri molto elevati, si pensi all’accoglienza riservata ai profughi ucraini. Sebbene siano stati attivati strumenti di risposta eccezionali, il loro orientamento è stato prevalentemente umanitario e volto all’accoglienza. L’Italia, ad esempio, ha sì decretato uno stato d’emergenza per implementare un piano di accoglienza straordinaria dei profughi provenienti dall’Ucraina, ma ha offerto accoglienza agli oltre centosettantamila ucraini presenti sul nostro territorio senza pretendere di confinarli in centri chiusi, concedendo inoltre loro un sussidio in denaro.

      Ciò che conta è la rappresentazione del fenomeno migratorio e la risposta politica che di conseguenza segue. Le rappresentazioni e le politiche si alimentano reciprocamente. In breve, non tutti i fenomeni migratori sono interpretati come una crisi, né, quando lo sono, determinano la medesima risposta emergenziale. Ad esempio, all’indomani della tragedia di Lampedusa del 2013 prevalse un paradigma interpretativo chiaramente umanitario, che portò all’intensificazione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Nel 2014 sbarcarono in Italia oltre centosettantamila migranti, centocinquantamila nel 2015 e ben centottantamila nel 2016. Questo tipo di approccio è stato in seguito definito come un pericoloso fattore di attrazione per le migrazioni non autorizzate e l’area operativa delle missioni di sorveglianza dei confini marittimi progressivamente arretrata, creando quel vuoto nelle attività di ricerca e soccorso che le navi delle Ong hanno cercato negli ultimi anni di colmare.

      Gli arrivi a Lampedusa degli ultimi giorni sono in gran parte l’effetto della riduzione dell’attività di sorveglianza oltre le acque territoriali. Intercettare i migranti in acque internazionali implica l’assunzione di obblighi e ricerca e soccorso che l’attuale governo accetta con una certa riluttanza, ma consente anche di far sbarcare i migranti soccorsi in mare anche in altri porti, evitando eccessive concentrazioni in un unico punto di sbarco.

      I migranti che raggiungono le nostre coste sono rappresentati come invasori, che violando i nostri confini minacciano la nostra integrità territoriale. L’appello insistito all’intervento delle forze armate che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni si giustifica proprio attraverso il riferimento alla necessità di proteggere i confini e, in ultima analisi, l’integrità territoriale dell’Italia. Per quanto le immagini di migliaia di persone che sbarcano sulle coste italiane possano impressionare l’opinione pubblica, il riferimento alla necessità di proteggere l’integrità territoriale è frutto di un grave equivoco. Il principio di integrità territoriale è infatti codificato nel diritto internazionale come un corollario del divieto di uso della forza. Da ciò discende che l’integrità territoriale di uno Stato può essere minacciata solo da un’azione militare ostile condotta da forze regolari o irregolari. È dubbio che le migrazioni possano essere considerate una minaccia tale da giustificare, ad esempio, un blocco navale.

      Se i migranti non possono di per sé essere considerati come una minaccia alla integrità territoriale dello Stato, potrebbero però essere utilizzati come strumento da parte di attori politici intenzionati a destabilizzare politicamente i Paesi di destinazione. Non è mancato negli ultimi tempi chi ha occasionalmente evocato l’idea della strumentalizzazione delle migrazioni, fino alla recente, plateale dichiarazione del ministro Salvini. D’altra parte, questo è un tema caro ai Paesi dell’Est Europa, che hanno spinto affinché molte delle misure eccezionali adottate da loro in occasione della crisi del 2021 fossero infine incorporate nel diritto della Ue. Una parte del governo italiano sembra tuttavia più cauta, anche perché si continua a vedere nella collaborazione con i Paesi terzi la chiave di volta per la gestione del fenomeno. Accusare esplicitamente la Tunisia di strumentalizzare le migrazioni avrebbe costi politico-diplomatici troppo elevati.

      Cionondimeno, insistendo sull’elemento del rischio di destabilizzazione interna, plasticamente rappresentato dalle immagini delle migliaia di persone ammassate sul molo o nell’hotspot di Lampedusa, il governo propone una risposta politica molto simile all’approccio utilizzato da Polonia e Lituania nel 2021, centrato su respingimenti di massa e detenzione nelle zone di frontiera. L’obiettivo è quello di disincentivare i potenziali futuri migranti, paventando loro lunghi periodi di detenzione e il ritorno nella loro patria di origine.

      Gran parte di questa strategia dipende dalla collaborazione dei Paesi terzi e dalla loro disponibilità a bloccare le partenze prima che i migranti siano intercettati da autorità Italiane, facendo di conseguenza scattare gli obblighi internazionali di ricerca e soccorso o di asilo. Una strategia simile, definita come del controllo senza contatto, è stata seguita a lungo nella cooperazione con la Guardia costiera libica. Tuttavia, è proprio il tentativo di esternalizzare i controlli migratori a rendere i Paesi della Ue sempre più vulnerabili alla spregiudicata diplomazia delle migrazioni dei Paesi terzi. In definitiva, sono i Paesi europei che offrono loro la possibilità di strumentalizzare le migrazioni a scopi politici.

      Sul piano interno, il successo di una simile strategia dipende dalla capacità di rimpatriare rapidamente i migranti giunti sul territorio italiano. Alla fine del 2021 la percentuale di rimpatri che l’Italia riusciva ad eseguire era del 15% dei provvedimenti di allontanamento adottati. Gran parte delle persone rimpatriate sono tuttavia cittadini tunisini, anche perché in assenza di collaborazione con il Paese d’origine è impossibile rimpatriare. I tunisini rappresentano solo l’8% delle persone sbarcate nel 2023, che vengono in prevalenza da Guinea, Costa d’Avorio, Egitto, Bangladesh, Burkina Faso. L’allungamento dei tempi di detenzione non avrà dunque nessuna incidenza sulla efficacia delle politiche di rimpatrio.

      Uno degli argomenti utilizzati per giustificare l’intervento dell’Esercito è quello della necessità di accrescere la capacità del sistema detentivo, giudicata dal Governo non adeguata a gestire l’attuale crisi migratoria. Stando ai dati inclusi nella relazione sul sistema di accoglienza, alla fine del 2021 il sistema contava 744 posti, a fronte di una capacità ufficiale di 1.395. Come suggerisce la medesima relazione, il sistema funziona da sempre a capacità ridotta, anche perché le strutture sono soggette a ripetuti interventi di manutenzione straordinaria a causa delle devastazioni che seguono alle continue rivolte. Si tratta di strutture ai limiti dell’ingestibilità, che possono essere governate solo esercitando una forma sistemica di violenza istituzionale.

      Il sistema detentivo per stranieri sta tuttavia cambiando pelle progressivamente, ibridandosi con il sistema di accoglienza per richiedenti asilo al fine di contenere i migranti appena giunti via mare in attesa del loro più o meno rapido respingimento. Fino ad oggi, tuttavia, la detenzione ha continuato ad essere utilizzata in maniera più o meno selettiva, riservandola a coloro con ragionevoli prospettive di essere rimpatriati in tempi rapidi. Gli altri sono stati instradati verso il sistema di accoglienza, qualora avessero presentato una domanda d’asilo, o abbandonai al loro destino con in mano un ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni.

      Le conseguenze di una politica basata sulla detenzione sistematica e a lungo termine di tutti coloro che giungono alla frontiera sono facili da immaginare. Se l’Italia si limitasse a trattenere per una media di sei mesi (si ricordi che l’intenzione espressa in questi giorni dal Governo italiano è di portare a diciotto mesi i termini massimi di detenzione) anche solo il 50% delle persone che sbarcano, significherebbe approntare un sistema detentivo con una capacità di trentottomila posti. Certo, questo calcolo si basa sulla media mensile degli arrivi registrati nel 2023, un anno di “crisi” appunto. Ma anche tenendo conto della media mensile degli arrivi dei due anni precedenti la prospettiva non sarebbe confortante. Il nostro Paese dovrebbe infatti essere in grado di mantenere una infrastruttura detentiva da ventimila posti. Una simile infrastruttura, dato l’andamento oscillatorio degli arrivi via mare, dovrebbe essere poi potenziata al bisogno per far fronte alle necessità delle fasi in cui il numero di sbarchi cresce.

      Lascio al lettore trarre le conseguenze circa l’impatto materiale e umano che una simile approccio alla gestione degli arrivi avrebbe. Mi limito qui solo ad alcune considerazioni finali sulla maniera in cui sono tematizzate le cosiddette crisi migratorie. Tali crisi continuano ad essere viste come il frutto della carenza di controlli e della incapacità dello Stato di esercitare il suo diritto sovrano di controllare le frontiere. La risposta alle crisi migratorie è dunque sempre identica a sé stessa, alla ricerca di una impossibile chiusura dei confini che riproduce sempre nuove crisi, nuovi morti in mare, nuova violenza di Stato lungo le frontiere fortificate o nelle zone di contenimento militarizzate. Guardare alle migrazioni attraverso la lente del concetto di “crisi” induce tuttavia a pensare le migrazioni come a qualcosa di eccezionale, come a un’anomalia causata da instabilità e catastrofi che si verificano in un altrove geografico e politico. Le migrazioni sono così destoricizzate e decontestualizzate dalle loro cause strutturali e i Paesi di destinazione condannati a replicare politiche destinate a fallire poiché appunto promettono risultati irraggiungibili. Più che insistere ossessivamente sulla rappresentazione delle migrazioni come crisi, si dovrebbe dunque forse cominciare a tematizzare la crisi delle politiche migratorie. Una crisi più profonda e strutturale che non può essere ridotta alle polemiche scatenate dai periodici aumenti nel numero di sbarchi.

      https://www.rivistailmulino.it/a/che-cos-una-crisi-migratoria

    • Spiegazione semplice del perché #Lampedusa va in emergenza.

      2015-2017: 150.000 sbarchi l’anno, di cui 14.000 a Lampedusa (9%).

      Ultimi 12 mesi: 157.000 sbarchi, di cui 104.000 a Lampedusa (66%).

      Soluzione: aumentare soccorsi a #migranti, velocizzare i trasferimenti.
      Fine.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1704751278184685635

    • Interview de M. #Gérald_Darmanin, ministre de l’intérieur et des outre-mer, à Europe 1/CNews le 18 septembre 2023, sur la question migratoire et le travail des forces de l’ordre.

      SONIA MABROUK
      Bonjour à vous Gérald DARMANIN.

      GERALD DARMANIN
      Bonjour.

      SONIA MABROUK
      Merci de nous accorder cet entretien, avant votre déplacement cet après-midi à Rome. Lampedusa, Monsieur le Ministre, débordé par l’afflux de milliers de migrants. La présidente de la Commission européenne, Ursula VON DER LEYEN, en visite sur place, a appelé les pays européens à accueillir une partie de ces migrants arrivés en Italie. Est-ce que la France s’apprête à le faire, et si oui, pour combien de migrants ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, non, la France ne s’apprête pas à le faire, la France, comme l’a dit le président de la République la Première ministre italienne, va aider l’Italie à tenir sa frontière, pour empêcher les gens d’arriver, et pour ceux qui sont arrivés en Italie, à Lampedusa et dans le reste de l’Italie, nous devons appliquer les règles européennes, que nous avons adoptées voilà quelques mois, qui consistent à faire les demandes d’asile à la frontière. Et donc une fois que l’on fait les demandes d’asile à la frontière, on constate qu’une grande partie de ces demandeurs d’asile ne sont pas éligibles à l’asile et doivent repartir immédiatement dans les pays d’origine. S’il y a des demandeurs d’asile, qui sont éligibles à l’asile, qui sont persécutés pour des raisons évidemment politiques, bien sûr, ce sont des réfugiés, et dans ces cas-là, la France comme d’autres pays, comme elle l’a toujours fait, peut accueillir des personnes. Mais ce serait une erreur d’appréciation que de considérer que les migrants parce qu’ils arrivent en Europe, doivent tout de suite être répartis dans tous les pays d’Europe et dont la France, qui prend déjà largement sa part, et donc ce que nous voulons dire à nos amis italiens, qui je crois sont parfaitement d’accord avec nous, nous devons protéger les frontières extérieures de l’Union européenne, les aider à cela, et surtout tout de suite regarder les demandes d’asile, et quand les gens ne sont pas éligibles à l’asile, tout de suite les renvoyer dans leur pays.

      SONIA MABROUK
      Donc, pour être clair ce matin Gérald DARMANIN, vous dites que la politique de relocalisation immédiate, non la France n’en prendra pas sa part.

      GERALD DARMANIN
      S’il s’agit de personnes qui doivent déposer une demande d’asile parce qu’ils sont persécutés dans leur pays, alors ce sont des réfugiés politiques, oui nous avons toujours relocalisé, on a toujours mis dans nos pays si j’ose dire une partie du fardeau qu’avaient les Italiens ou les Grecs. S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont, 60 % d’entre eux viennent de pays comme la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison qu’ils viennent…

      SONIA MABROUK
      Ça a été le cas lors de l’Ocean Viking.

      GERALD DARMANIN
      Il n’y a aucune raison. Pour d’autres raisons, c’est des raisons humanitaires, là il n’y a pas de question humanitaire, sauf qu’à Lampedusa les choses deviennent très difficiles, c’est pour ça qu’il faut que nous aidions nos amis italiens, mais il ne peut pas y avoir comme message donné aux personnes qui viennent sur notre sol, qu’ils sont quoiqu’il arrive dans nos pays accueillis. Ils ne sont accueillis que s’ils respectent les règles de l’asile, s’ils sont persécutés. Mais si c’est une immigration qui est juste irrégulière, non, la France ne peut pas les accueillir, comme d’autres pays. La France est très ferme, vous savez, j’entends souvent que c’est le pays où il y a le plus de demandeurs d’asile, c’est tout à fait faux, nous sommes le 4e pays, derrière l’Allemagne, derrière l’Espagne, derrière l’Autriche, et notre volonté c’est d’accueillir bien sûr ceux qui doivent l’être, les persécutés politiques, mais nous devons absolument renvoyer chez eux, ceux qui n’ont rien à faire en Europe.

      SONIA MABROUK
      On entend ce message ce matin, qui est un peu différent de celui de la ministre des Affaires étrangères, qui semblait parler d’un accueil inconditionnel. Le président de la République a parlé d’un devoir de solidarité. Vous, vous dites : oui, devoir de solidarité, mais nous n’allons pas avoir une politique de répartition des migrants, ce n’est pas le rôle de la France.

      GERALD DARMANIN
      Le rôle de la France, d’abord aider l’Italie.

      SONIA MABROUK
      Comment, concrètement ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien d’abord, nous devons continuer à protéger nos frontières, et ça c’est à l’Europe de le faire.

      SONIA MABROUK
      Ça c’est l’enjeu majeur, les frontières extérieures.

      GERALD DARMANIN
      Exactement. Nous devons déployer davantage Frontex en Méditerranée…

      SONIA MABROUK
      Avec une efficacité, Monsieur le Ministre, très discutable.

      GERALD DARMANIN
      Avec des messages qu’on doit passer à Frontex effectivement, de meilleures actions, pour empêcher les personnes de traverser pour aller à Lampedusa. Il y a eu à Lampedusa, vous l’avez dit, des milliers de personnes, 5000 même en une seule journée, m’a dit le ministre italien, le 12 septembre. Donc il y a manifestement 300, 400 arrivées de bateaux possibles. Nous devons aussi travailler avec la Tunisie, avec peut-être beaucoup plus encore d’actions que nous faisons jusqu’à présent. La Commission européenne vient de négocier un plan, eh bien il faut le mettre en place désormais, il faut arrêter d’en parler, il faut le faire. Vous savez, les bateaux qui sont produits à Sfax pour venir à Lampedusa, ils sont produits en Tunisie. Donc il faut absolument que nous cassons cet écosystème des passeurs, des trafiquants, parce qu’on ne peut pas continuer comme ça.

      GERALD DARMANIN
      Quand vous dites « nous », c’est-à-dire en partenariat avec la Tunisie ? Comment vous expliquez Monsieur le Ministre qu’il y a eu un afflux aussi soudain ? Est-ce que la Tunisie n’a pas pu ou n’a pas voulu contenir ces arrivées ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne sais pas. J’imagine que le gouvernement tunisien a fait le maximum…

      SONIA MABROUK
      Vous devez avoir une idée.

      GERALD DARMANIN
      On sait qu’on que tous ces gens sont partis de Sfax, donc d’un endroit extrêmement précis où il y a beaucoup de migrants notamment Africains, Subsahariens qui y sont, donc la Tunisie connaît elle-même une difficulté migratoire très forte. On doit manifestement l’aider, mais on doit aussi très bien coopérer avec elle, je crois que c’est ce que fait en ce moment le gouvernement italien, qui rappelle un certain nombre de choses aux Tunisiens, quoi leur rappelle aussi leurs difficultés. Donc, ce qui est sûr c’est que nous avons désormais beaucoup de plans, on a beaucoup de moyens, on a fait beaucoup de déplacements, maintenant il faut appliquer cela. Vous savez, la France, à la demande du président de la République, c’était d’ailleurs à Tourcoing, a proposé un pacte migratoire, qui consistait très simplement à ce que les demandes d’asile ne se fassent plus dans nos pays, mais à la frontière. Tout le monde l’a adopté, y compris le gouvernement de madame MELONI. C’est extrêmement efficace puisque l’idée c’est qu’on dise que les gens, quand ils rentrent sur le territoire européen, ne sont pas juridiquement sur le territoire européen, que nous regardions leur asile en quelques jours, et nous les renvoyons. Il faut que l’Italie…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe.

      GERALD DARMANIN
      Il faut que l’Italie anticipe, anticipe la mise en place de ce dispositif. Et pourquoi il n’a pas encore été mis en place ? Parce que des députés européens, ceux du Rassemblement national, ont voté contre. C’est-à-dire que l’on est dans une situation politique un peu étonnante, où la France trouve une solution, la demande d’asile aux frontières, beaucoup plus efficace. Le gouvernement de madame MELONI, dans lequel participe monsieur SALVINI, est d’accord avec cette proposition, simplement ceux qui bloquent ça au Parlement européen, c’est le Rassemblement national, qui après va en Italie pour dire que l’Europe ne fait rien.

      SONIA MABROUK
      Sauf que, Monsieur le Ministre…

      GERALD DARMANIN
      Donc on voit bien qu’il y a du tourisme électoral de la part de madame LE PEN…

      SONIA MABROUK
      Vous le dénoncez.

      GERALD DARMANIN
      Il faut désormais être ferme, ce que je vous dis, nous n’accueillerons pas les migrants sur le territoire européen…

      SONIA MABROUK
      Mais un migrant, sur le sol européen aujourd’hui, sait qu’il va y rester. La vocation est d’y rester.

      GERALD DARMANIN
      Non, c’est tout à fait faux, nous faisons des retours. Nous avons par exemple dans les demandes d’asile, prévu des Ivoiriens. Bon. Nous avons des personnes qui viennent du Cameroun, nous avons des personnes qui viennent de Gambie. Avec ces pays nous avons d’excellentes relations politiques internationales, et nous renvoyons tous les jours dans ces pays des personnes qui n’ont rien à faire pour demander l’asile en France ou en Europe. Donc c’est tout à fait faux, avec certains pays nous avons plus de difficultés, bien sûr, parce qu’ils sont en guerre, comme la Syrie, comme l’Afghanistan bien sûr, mais avec beaucoup de pays, la Tunisie, la Gambie, la Côte d’Ivoire, le Sénégal, le Cameroun, nous sommes capables d’envoyer très rapidement ces personnes chez elles.

      SONIA MABROUK
      Lorsque le patron du Rassemblement national Jordan BARDELLA, ou encore Eric ZEMMOUR, ou encore Marion MARECHAL sur place, dit : aucun migrant de Lampedusa ne doit arriver en France. Est-ce que vous êtes capable de tenir, si je puis dire cette déclaration ? Vous dites : c’est totalement illusoire.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur BARDELLA il fait de la politique politicienne, et malheureusement sur le dos de ses amis italiens, sur le dos de femmes et d’hommes, puisqu’il ne faut jamais oublier que ces personnes évidemment connaissent des difficultés extrêmement fortes. Il y a un bébé qui est mort à Lampedusa voilà quelques heures, et évidemment sur le dos de l’intelligence politique que les Français ont. Le Front national vote systématiquement contre toutes les mesures que nous proposons au niveau européen, chacun voit que c’est un sujet européen, c’est pour ça d’ailleurs qu’il se déplace, j’imagine, en Italie…

      SONIA MABROUK
      Ils ne sont pas d’accord avec votre politique, Monsieur le Ministre, ça ne surprend personne.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur SALVINI madame MELONI, avec le gouvernement français, ont adopté un texte commun qui prévoit une révolution : la demande d’asile aux frontières. Monsieur BARDELLA, lui il parle beaucoup, mais au Parlement européen il vote contre. Pourquoi ? Parce qu’il vit des problèmes. La vérité c’est que monsieur BARDELLA, comme madame Marion MARECHAL LE PEN, on a compris qu’il y a une sorte de concurrence dans la démagogie à l’extrême droite, eux, ce qu’ils veulent c’est vivre des problèmes. Quand on leur propose de résoudre les problèmes, l’Europe avec le président de la République a essayé de leur proposer de les résoudre. Nous avons un accord avec madame MELONI, nous faisons la demande d’asile aux frontières, nous considérons qu’il n’y a plus d’asile en Europe, tant qu’on n’a pas étudié aux frontières cet asile. Quand le Rassemblement national vote contre, qu’est-ce qui se passe ? Eh bien ils ne veulent pas résoudre les problèmes, ils veulent pouvoir avoir une sorte de carburant électoral, pour pouvoir dire n’importe quoi, comme ils l’ont fait ce week-end encore.

      SONIA MABROUK
      Ce matin, sur les 5 000, 6 000 qui sont arrivés à Lampedusa, combien seront raccompagnés, combien n’ont pas vocation et ne resteront pas sur le sol européen ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, c’est difficile. C’est difficile à savoir, parce que moi je ne suis pas les autorités italiennes, c’est pour ça que à la demande, du président je vais à Rome cet après-midi, mais de notre point de vue, de ce que nous en savons des autorités italiennes, beaucoup doivent être accompagnés, puisqu’encore une fois je comprends que sur à peu près 8 000 ou 9 000 personnes qui sont arrivées, il y a beaucoup de gens qui viennent de pays qui ne connaissent pas de persécution politique, ni au Cameroun, ni en Côte d’Ivoire, ni bien sûr en Gambie, ni en Tunisie, et donc ces personnes, bien sûr, doivent repartir dans leur pays et la France doit les aider à repartir.

      SONIA MABROUK
      On note Gérald DARMANIN que vous avez un discours, en tout cas une tonalité très différente à l’égard de madame MELONI, on se souvient tous qu’il y a eu quasiment une crise diplomatique il y a quelques temps, lorsque vous avez dit qu’elle n’était pas capable de gérer ces questions migratoires sur lesquelles elle a été… elle est arrivée au pouvoir avec un discours très ferme, aujourd’hui vous dites « non, je la soutiens madame MELONI », c’est derrière nous toutes ces déclarations, que vous avez tenues ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne suis pas là pour soutenir madame MELONI, non, je dis simplement que lorsqu’on vote pour des gouvernements qui vous promettent tout, c’est le cas aussi de ce qui s’est passé avec le Brexit en Grande-Bretagne, les Français doivent comprendre ça. Lorsqu’on vous dit " pas un migrant ne viendra, on fera un blocus naval, vous allez voir avec nous on rase gratis ", on voit bien que la réalité dépasse largement ces engagements.

      SONIA MABROUK
      Elle a réitéré le blocus naval !

      GERALD DARMANIN
      Le fait est qu’aujourd’hui nous devons gérer une situation où l’Italie est en grande difficulté, et on doit aider l’Italie, parce qu’aider l’Italie, d’abord c’est nos frères et nos soeurs les Italiens, mais en plus c’est la continuité, évidemment, de ce qui va se passer en France, donc moi je suis là pour protéger les Français, je suis là pour protéger les Français parce que le président de la République souhaite que nous le faisions dans un cadre européen, et c’est la seule solution qui vaille, parce que l’Europe doit parler d’une seule voix…

      SONIA MABROUK
      C’est la seule solution qui vaille ?

      GERALD DARMANIN
      Oui, c’est la seule solution qui vaille…

      SONIA MABROUK
      Vous savez que l’Allemagne a changé, enfin elle n’en voulait pas, finalement là, sur les migrants, elle change d’avis, la Hongrie, la Pologne, je n’en parle même pas, la situation devient quand même intenable.

      GERALD DARMANIN
      La France a un rôle moteur dans cette situation de ce week-end, vous avez vu les contacts diplomatiques que nous avons eus, on est heureux d’avoir réussi à faire bouger nos amis Allemands sur cette situation. Les Allemands connaissent aussi une difficulté forte, ils ont 1 million de personnes réfugiées ukrainiens, ils ont une situation compliquée par rapport à la nôtre aussi, mais je constate que l’Allemagne et la France parlent une nouvelle fois d’une seule voix.

      SONIA MABROUK
      Mais l’Europe est en ordre dispersé, ça on peut le dire, c’est un constat lucide.

      GERALD DARMANIN
      L’Europe est dispersée parce que l’Europe, malheureusement, a des intérêts divergents, mais l’Europe a réussi à se mettre d’accord sur la proposition française, encore une fois, une révolution migratoire qui consiste à faire des demandes d’asile à la frontière. Nous nous sommes mis d’accord entre tous les pays européens, y compris madame MELONI, ceux qui bloquent c’est le Rassemblement national, et leurs amis, au Parlement européen, donc plutôt que de faire du tourisme migratoire à Lampedusa comme madame Marion MARECHAL LE PEN, ou raconter n’importe quoi comme monsieur BARDELLA, ils feraient mieux de faire leur travail de députés européens, de soutenir la France, d’être un peu patriotes pour une fois, de ne pas faire la politique du pire…

      SONIA MABROUK
      Vous leur reprochez un défaut de patriotisme à ce sujet-là ?

      GERALD DARMANIN
      Quand on ne soutient pas la politique de son gouvernement, lorsque l’on fait l’inverser…

      SONIA MABROUK
      Ça s’appelle être dans l’opposition parfois Monsieur le Ministre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais on ne peut pas le faire sur le dos de femmes et d’hommes qui meurent, et moi je vais vous dire, le Rassemblement national aujourd’hui n’est pas dans la responsabilité politique. Qu’il vote ce pacte migratoire très vite, que nous puissions enfin, concrètement, aider nos amis Italiens, c’est sûr qu’il y aura moins d’images dramatiques, du coup il y aura moins de carburant pour le Rassemblement national, mais ils auront fait quelque chose pour leur pays.

      SONIA MABROUK
      Vous les accusez, je vais employer ce mot puisque la ministre Agnès PANNIER-RUNACHER l’a employé elle-même, de « charognards » là, puisque nous parlons de femmes et d’hommes, de difficultés aussi, c’est ce que vous êtes en train de dire ?

      GERALD DARMANIN
      Moi je ne comprends pas pourquoi on passe son temps à faire des conférences de presse en Italie, à Lampedusa, en direct sur les plateaux de télévision, lorsqu’on n’est pas capable, en tant que parlementaires européens, de voter un texte qui permet concrètement de lutter contre les difficultés migratoires. Encore une fois, la révolution que la France a proposée, et qui a été adoptée, avec le soutien des Italiens, c’est ça qui est paradoxal dans cette situation, peut être résolue si nous mettons en place…

      SONIA MABROUK
      Résolue…

      GERALD DARMANIN
      Bien sûr ; si nous mettons en place les demandes d’asile aux frontières, on n’empêchera jamais les gens de traverser la Méditerranée, par contre on peut très rapidement leur dire qu’ils ne peuvent pas rester sur notre sol, qu’ils ne sont pas des persécutés…

      SONIA MABROUK
      Comment vous appelez ce qui s’est passé, Monsieur le Ministre, est-ce que vous dites c’est un afflux soudain et massif, ou est-ce que vous dites que c’est une submersion migratoire, le diagnostic participe quand même de la résolution des défis et des problèmes ?

      GERALD DARMANIN
      Non, mais sur Lampedusa, qui est une île évidemment tout au sud de la Méditerranée, qui est même au sud de Malte, il y a 6000 habitants, lorsqu’il y a entre 6 et 8 000 personnes qui viennent en quelques jours évidemment c’est une difficulté immense, et chacun le comprend, pour les habitants de Lampedusa.

      SONIA MABROUK
      Comment vous qualifiez cela ?

      GERALD DARMANIN
      Mais là manifestement il y a à Sfax une difficulté extrêmement forte, où on a laissé passer des centaines de bateaux, fabriqués d’ailleurs, malheureusement….

      SONIA MABROUK
      Donc vous avez un gros problème avec les pays du Maghreb, en l’occurrence la Tunisie ?

      GERALD DARMANIN
      Je pense qu’il y a un énorme problème migratoire interne à l’Afrique, encore une fois la Tunisie, parfois même l’Algérie, parfois le Maroc, parfois la Libye, ils subissent eux-mêmes une pression migratoire d’Afrique, on voit bien que la plupart du temps ce sont des nationalités du sud du Sahel, donc les difficultés géopolitiques que nous connaissons ne sont pas pour rien dans cette situation, et nous devons absolument aider l’Afrique à absolument aider les Etats du Maghreb. On peut à la fois les aider, et en même temps être très ferme, on peut à la fois aider ces Etats à lutter contre l’immigration interne à l’Afrique, et en même temps expliquer…

      SONIA MABROUK
      Ça n’empêche pas la fermeté.

      GERALD DARMANIN
      Que toute personne qui vient en Europe ne sera pas accueillie chez nous.

      SONIA MABROUK
      Encore une question sur ce sujet. Dans les différents reportages effectués à Lampedusa on a entendu certains migrants mettre en avant le système social français, les aides possibles, est-ce que la France, Gérald DARMANIN, est trop attractive, est-ce que notre modèle social est trop généreux et c’est pour cela qu’il y a ces arrivées aussi ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, je ne suis pas sûr qu’on traverse le monde en se disant « chouette, il y a ici une aide sociale particulièrement aidante », mais il se peut…

      SONIA MABROUK
      Mais quand on doit choisir entre différents pays ?

      GERALD DARMANIN
      Mais il se peut qu’une fois arrivées en Europe, effectivement, un certain nombre de personnes, aidées par des passeurs, aidées parfois par des gens qui ont de bonnes intentions, des associations, se disent « allez dans ce pays-là parce qu’il y a plus de chances de », c’est ce pourquoi nous luttons. Quand je suis arrivé au ministère de l’Intérieur nous étions le deuxième pays d’Europe qui accueille le plus de demandeurs d’asile, aujourd’hui on est le quatrième, on doit pouvoir continuer à faire ce travail, nous faisons l’inverse de certains pays autour de nous, par exemple l’Allemagne qui ouvre plutôt plus de critères, nous on a tendance à les réduire, et le président de la République, dans la loi immigration, a proposé beaucoup de discussions pour fermer un certain nombre d’actions d’accueil. Vous avez la droite, LR, qui propose la transformation de l’AME en Aide Médicale d’Urgence, nous sommes favorables à étudier cette proposition des LR, j’ai moi-même proposé un certain nombre de dispositions extrêmement concrètes pour limiter effectivement ce que nous avons en France et qui parfois est différent des pays qui nous entourent et qui peuvent conduire à cela. Et puis enfin je terminerai par dire, c’est très important, il faut lutter contre les passeurs, la loi immigration que je propose passe de délit a crime, avec le garde des Sceaux on a proposé qu’on passe de quelques années de prison à 20 ans de prison pour ceux qui trafiquent des êtres humains, aujourd’hui quand on arrête des passeurs, on en arrête tous les jours grâce à la police française, ils ne sont condamnés qu’à quelques mois de prison, alors que demain, nous l’espérons, ils seront condamnés bien plus.

      SONIA MABROUK
      Bien. Gérald DARMANIN, sur CNews et Europe 1 notre « Grande interview » s’intéresse aussi à un nouveau refus d’obtempérer qui a dégénéré à Stains, je vais raconter en quelques mots ce qui s’est passé pour nos auditeurs et téléspectateurs, des policiers ont pris en chasse un deux-roues, rapidement un véhicule s’est interposé pour venir en aide aux fuyards, un policier a été violemment pris à partie, c’est son collègue qui est venu pour l’aider, qui a dû tirer en l’air pour stopper une scène de grande violence vis-à-vis de ce policier, comment vous réagissez par rapport à cela ?

      GERALD DARMANIN
      D’abord trois choses. Les policiers font leur travail, et partout sur le territoire national, il n’y a pas de territoires perdus de la République, il y a des territoires plus difficiles, mais Stains on sait tous que c’est une ville à la fois populaire et difficile pour la police nationale. La police le samedi soir fait des contrôles, lorsqu’il y a des refus d’obtempérer, je constate que les policiers sont courageux, et effectivement ils ont été violentés, son collègue a été très courageux de venir le secourir, et puis troisièmement force est restée à la loi, il y a eu cinq interpellations, ils sont présentés aujourd’hui…

      SONIA MABROUK
      A quel prix.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais c’est le travail…

      SONIA MABROUK
      A quel prix pour le policier.

      GERALD DARMANIN
      Malheureusement c’est le travail, dans une société très violente…

      SONIA MABROUK
      D’être tabassé ?

      GERALD DARMANIN
      Dans une société très violente les policiers, les gendarmes, savent la mission qu’ils ont, qui est une mission extrêmement difficile, je suis le premier à les défendre partout sur les plateaux de télévision, je veux dire qu’ils ont réussi, à la fin, à faire entendre raison à la loi, les Français doivent savoir ce matin que cinq personnes ont été interpellées, présentées devant le juge.

      SONIA MABROUK
      Pour quel résultat, Monsieur le Ministre ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien moi je fais confiance en la justice.

      SONIA MABROUK
      Parfois on va les trouver à l’extérieur.

      GERALD DARMANIN
      Non non, je fais confiance en la justice, quand on…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe. On fait tous, on aimerait tous faire confiance à la justice.

      GERALD DARMANIN
      Non, mais quand on moleste un policier, j’espère que les peines seront les plus dures possible.

      SONIA MABROUK
      On va terminer avec une semaine intense et à risques qui s’annonce, la suite de la Coupe du monde de rugby, la visite du roi Charles III, le pape à Marseille. Vous avez appelé les préfets à une très haute vigilance. C’est un dispositif exceptionnel pour relever ces défis, qui sera mis en oeuvre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, donc cette semaine la France est au coeur du monde par ces événements, la Coupe du monde de rugby qui continue, et qui se passe bien. Vous savez, parfois ça nous fait sourire. La sécurité ne fait pas de bruit, l’insécurité en fait, mais depuis le début de cette Coupe du monde, les policiers, des gendarmes, les pompiers réussissent à accueillir le monde en de très très bonnes conditions, tant mieux, il faut que ça continue bien sûr. Le pape qui vient deux jours à Marseille, comme vous l’avez dit, et le roi Charles pendant trois jours. Il y aura jusqu’à 30 000 policiers samedi, et puis après il y a quelques événements comme PSG - OM dimanche prochain, c’est une semaine…

      SONIA MABROUK
      Important aussi.

      GERALD DARMANIN
      C’est une semaine horribilis pour le ministre de l’Intérieur et pour les policiers et les gendarmes, et nous le travaillons avec beaucoup de concentration, le RAID, le GIGN est tout à fait aujourd’hui prévu pour tous ces événements, et nous sommes capables d’accueillir ces grands événements mondiaux en une semaine, c’est l’honneur de la police nationale et de la gendarmerie nationale.

      SONIA MABROUK
      Merci Gérald DARMANIN.

      GÉRALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Vous serez donc cet après-midi…

      GÉRALD DARMANIN
      A Rome.

      SONIA MABROUK
      …à Rome avec votre homologue évidemment de l’Intérieur. Merci encore de nous avoir accordé cet entretien.

      GERALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Et bonne journée sur Cnews et Europe 1

      https://www.vie-publique.fr/discours/291092-gerald-darmanin-18092023-immigration

      #Darmanin #demandes_d'asile_à_la_frontière

    • Darmanin: ’La Francia non accoglierà migranti da Lampedusa’

      Ma con Berlino apre alla missione navale. Il ministro dell’Interno francese a Roma. Tajani: ’Fa fede quello che dice Macron’. Marine Le Pen: ’Dobbianmo riprendere il controllo delle nostre frontiere’

      «La Francia non prenderà nessun migrante da Lampedusa». All’indomani della visita di Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni sull’isola a largo della Sicilia, il governo transalpino torna ad alzare la voce sul fronte della solidarietà e lo fa, ancora una volta, con il suo ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

      La sortita di Parigi giunge proprio mentre, da Berlino, arriva l’apertura alla richiesta italiana di una missione navale comune per aumentare i controlli nel Mediterraneo, idea sulla quale anche la Francia si dice pronta a collaborare.

      Sullo stesso tenore anche le dichiarazioni Marine Le Pen. «Nessun migrante da Lampedusa deve mettere piede in Francia. Serve assolutamente una moratoria totale sull’immigrazione e dobbiamo riprendere il controllo delle nostre frontiere. Spetta a noi nazioni decidere chi entra e chi resta sul nostro territorio». Lo ha detto questa sera Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese del Rassemblement National, «Quelli che fanno appello all’Unione europea si sbagliano - ha continuato Le Pen - perché è vano e pericoloso. Vano perché l’Unione europea vuole l’immigrazione, pericoloso perché lascia pensare che deleghiamo all’Unione europea la decisione sulla politica di immigrazione che dobbiamo condurre. Spetta al popolo francese decidere e bisogna rispettare la sua decisione».

      La strada per la messa a punto di un’azione Ue, tuttavia, resta tremendamente in salita anche perché è segnata da uno scontro interno alle istituzioni comunitarie sull’intesa con Tunisi: da un lato il Consiglio Ue, per nulla soddisfatto del modus operandi della Commissione, e dall’altro l’esecutivo europeo, che non ha alcuna intenzione di abbandonare la strada tracciata dal Memorandum siglato con Kais Saied. «Sarebbe un errore di giudizio considerare che i migranti, siccome arrivano in Europa, devono essere subito ripartiti in tutta Europa e in Francia, che fa ampiamente la sua parte», sono state le parole con cui Darmamin ha motiva il suo no all’accoglienza. Il ministro lo ha spiegato prima di recarsi a Roma, su richiesta del presidente Emmanuel Macron, per un confronto con il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Ed è proprio a Macron che l’Italia sembra guardare, legando le frasi di Darmanin soprattutto alle vicende politiche interne d’Oltralpe. «Fa fede quello che dice Macron e quello che dice il ministro degli Esteri, mi pare che ci sia voglia di collaborare», ha sottolineato da New York il titolare della Farnesina Antonio Tajani invitando tutti, in Italia e in Ue, a non affrontare il dossier con «slogan da campagna elettorale».

      Eppure la sortita di Darmanin ha innescato l’immediata reazione della maggioranza, soprattutto dalle parti di Matteo Salvini. «Gli italiani si meritano fatti concreti dalla Francia e dall’Europa», ha tuonato la Lega. Nel piano Ue su Lampedusa il punto dell’accoglienza è contenuto nel primo dei dieci punti messi neri su bianco. Ma resta un concetto legato alla volontarietà. Che al di là della Francia, per ora trova anche il no dell’Austria. Il nodo è sempre lo stesso: i Paesi del Nord accusano Roma di non rispettare le regole sui movimenti secondari, mentre l’Italia pretende di non essere l’unico approdo per i migranti in arrivo. Il blocco delle partenze, in questo senso, si presenta come l’unica mediazione politicamente percorribile. Berlino e Parigi si dicono pronte a collaborare su un maggiore controllo aereo e navale delle frontiere esterne. L’Ue sottolinea di essere «disponibile a esplorare l’ipotesi», anche se la «decisione spetta agli Stati».

      Il raggio d’azione di von der Leyen, da qui alle prossime settimane, potrebbe tuttavia restringersi: sull’intesa con Tunisi l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell, il servizio giuridico del Consiglio Ue e alcuni Paesi membri - Germania e Lussemburgo in primis - hanno mosso riserve di metodo e di merito. L’accusa è duplice: il Memorandum con Saied non solo non garantisce il rispetto dei diritti dei migranti ma è stato firmato dal cosiddetto ’team Europe’ (von der Leyen, Mark Rutte e Meloni) senza l’adeguata partecipazione del Consiglio. Borrell lo ha messo nero su bianco in una missiva indirizzata al commissario Oliver Varhelyi e a von der Leyen. «Gli Stati membri sono stati informati e c’è stato ampio sostegno», è stata la difesa della Commissione. Invero, al Consiglio europeo di giugno l’intesa incassò l’endorsement dei 27 ma il testo non era stato ancora ultimato. E non è arrivato al tavolo dei rappresentanti permanenti se non dopo essere stato firmato a Cartagine. Ma, spiegano a Palazzo Berlaymont, l’urgenza non permetteva rallentamenti. I fondi per Tunisi, tuttavia, attendono ancora di essere esborsati. La questione - assieme a quella del Patto sulla migrazione e al Piano Lampedusa - è destinata a dominare le prossime riunioni europee: quella dei ministri dell’Interno del 28 settembre e, soprattutto, il vertice informale dei leader previsto a Granada a inizio ottobre.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/09/18/darmanin-la-francia-non-accogliera-migranti-da-lampedusa_2f53eae6-e8f7-4b82-9d7

    • Lampedusa : les contrevérités de Gérald Darmanin sur le profil des migrants et leur droit à l’asile

      Le ministre de l’Intérieur persiste à dire, contre la réalité du droit et des chiffres, que la majorité des migrants arrivés en Italie la semaine dernière ne peuvent prétendre à l’asile.

      A en croire Gérald Darmanin, presque aucune des milliers de personnes débarquées sur les rives de l’île italienne de Lampedusa depuis plus d’une semaine ne mériterait d’être accueillie par la France. La raison ? D’un côté, affirme le ministre de l’Intérieur, il y aurait les « réfugiés » fuyant des persécutions politiques ou religieuses, et que la France se ferait un honneur d’accueillir. « Et puis, il y a les migrants », « des personnes irrégulières » qui devraient être renvoyées dans leur pays d’origine le plus rapidement possible, a-t-il distingué, jeudi 22 septembre sur BFMTV.

      « S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont : 60 % d’entre eux viennent de pays tels que la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison [qu’ils viennent] », a-t-il en sus tonné sur CNews, lundi 18 septembre. Une affirmation serinée mardi sur TF1 dans des termes semblables : « 60 % des personnes arrivées à Lampedusa sont francophones. Il y a des Ivoiriens et des Sénégalais, qui n’ont pas à demander l’asile en Europe. »
      Contredit par les données statistiques italiennes

      D’après le ministre – qui a expliqué par la suite tenir ses informations de son homologue italien – « l’essentiel » des migrants de Lampedusa sont originaires du Cameroun, du Sénégal, de Côte-d’Ivoire, de Gambie ou de Tunisie. Selon le ministre, leur nationalité les priverait du droit de demander l’asile. « Il n’y aura pas de répartition de manière générale puisque ce ne sont pas des réfugiés », a-t-il prétendu, en confondant par la même occasion les demandeurs d’asiles et les réfugiés, soit les personnes dont la demande d’asile a été acceptée.

      https://twitter.com/BFMTV/status/1704749840133923089

      Interrogé sur le profil des migrants arrivés à Lampedusa, le ministère de l’Intérieur italien renvoie aux statistiques de l’administration du pays. A rebours des propos définitifs de Gérald Darmanin sur la nationalité des personnes débarquées sur les rives italiennes depuis la semaine dernière, on constate, à l’appui de ces données, qu’une grande majorité des migrants n’a pas encore fait l’objet d’une procédure d’identification. Sur les 16 911 personnes arrivées entre le 11 et le 20 septembre, la nationalité n’est précisée que pour 30 % d’entre elles.

      En tout, 12 223 personnes, soit 72 % des personnes arrivées à Lampedusa, apparaissent dans la catégorie « autres » nationalités, qui mélange des ressortissants de pays peu représentés et des migrants dont l’identification est en cours. A titre de comparaison, au 11 septembre, seulement 30 % des personnes étaient classées dans cette catégorie. Même si la part exacte de migrants non identifiés n’est pas précisée, cette catégorie apparaît être un bon indicateur de l’avancée du travail des autorités italiennes.

      Parmi les nationalités relevées entre le 11 et 20 septembre, le ministère de l’Intérieur italien compte effectivement une grande partie de personnes qui pourraient être francophones : 1 600 Tunisiens, 858 Guinéens, 618 Ivoiriens, 372 Burkinabés, presque autant de Maliens, 253 Camerounais, mais aussi des ressortissants moins susceptibles de connaître la langue (222 Syriens, environ 200 Egyptiens, 128 Bangladais et 74 Pakistanais).

      A noter que selon ces statistiques italiennes partielles, il n’est pas fait état de ressortissants sénégalais et gambiens évoqués par Gérald Darmanin. Les données ne disent rien, par ailleurs, du genre ou de l’âge de ces arrivants. « La plupart sont des hommes mais aussi on a aussi vu arriver des familles, des mères seules ou des pères seuls avec des enfants et beaucoup de mineurs non accompagnés, des adolescents de 16 ou 17 ans », décrivait à CheckNews la responsable des migrations de la Croix-Rouge italienne, Francesca Basile, la semaine dernière.

      Légalement, toutes les personnes arrivées à Lampedusa peuvent déposer une demande d’asile, s’ils courent un danger dans leur pays d’origine. « Il ne s’agit pas seulement d’un principe théorique. En vertu du droit communautaire et international, toute personne – quelle que soit sa nationalité – peut demander une protection internationale, et les États membres de l’UE ont l’obligation de procéder à une évaluation individuelle de chaque demande », a ainsi rappelé à CheckNews l’agence de l’union européenne pour l’asile. L’affirmation de Gérald Darmanin selon laquelle des migrants ne seraient pas éligibles à l’asile en raison de leur nationalité est donc fausse.

      Par ailleurs, selon le règlement de Dublin III, la demande d’asile doit être instruite dans le premier pays où la personne est arrivée au sein de l’Union européenne (à l’exception du Danemark), de la Suisse, de la Norvège, de l’Islande et du Liechtenstein. Ce sont donc aux autorités italiennes d’enregistrer et de traiter les demandes des personnes arrivées à Lampedusa. Dans certains cas, des transferts peuvent être opérés vers un pays signataires de l’accord de Dublin III, ainsi du rapprochement familial. Si les demandes d’asile vont être instruites en Italie, les chiffes de l’asile en France montrent tout de même que des ressortissants des pays cités par Gérald Darmanin obtiennent chaque année une protection dans l’Hexagone.

      Pour rappel, il existe deux formes de protections : le statut de réfugié et la protection subsidiaire. Cette dernière peut être accordée à un demandeur qui, aux yeux de l’administration, ne remplit pas les conditions pour être considéré comme un réfugié, mais qui s’expose à des risques grave dans son pays, tels que la torture, des traitements inhumains ou dégradants, ainsi que des « menaces grave et individuelle contre sa vie ou sa personne en raison d’une violence qui peut s’étendre à des personnes sans considération de leur situation personnelle et résultant d’une situation de conflit armé interne ou international », liste sur son site internet la Cour nationale du droit d’asile (CNDA), qui statue en appel sur les demandes de protection.
      Contredit aussi par la réalité des chiffres en France

      Gérald Darmanin cite à plusieurs reprises le cas des migrants originaires de Côte-d’Ivoire comme exemple de personnes n’ayant selon lui « rien à faire » en France. La jurisprudence de la CNDA montre pourtant des ressortissants ivoiriens dont la demande de protection a été acceptée. En 2021, la Cour a ainsi accordé une protection subsidiaire à une femme qui fuyait un mariage forcé décidé par son oncle, qui l’exploitait depuis des années. La Cour avait estimé que les autorités ivoiriennes étaient défaillantes en ce qui concerne la protection des victimes de mariages forcés, malgré de récentes évolutions législatives plus répressives.

      D’après l’Office de protection des réfugiés et apatrides (Ofrpa), qui rend des décisions en première instance, les demandes d’asile de ressortissants ivoiriens (environ 6 000 en 2022) s’appuient très souvent sur des « problématiques d’ordre sociétal […], en particulier les craintes liées à un risque de mariage forcé ou encore l’exposition des jeunes filles à des mutilations sexuelles ». En 2022, le taux de demandes d’Ivoiriens acceptées par l’Ofrpa (avant recours éventuel devant la CNCDA) était de 27,3 % sur 6 727 décisions contre un taux moyen d’admission de 26,4 % pour le continent africain et de 29,2 % tous pays confondus. Les femmes représentaient la majorité des protections accordées aux ressortissants de Côte-d’Ivoire.

      Pour les personnes originaires de Guinée, citées plusieurs fois par Gérald Darmanin, les demandes sont variées. Certaines sont déposées par des militants politiques. « Les demandeurs se réfèrent à leur parcours personnel et à leur participation à des manifestations contre le pouvoir, qu’il s’agisse du gouvernement d’Alpha Condé ou de la junte militaire », décrit l’Ofpra. D’autre part des femmes qui fuient l’excision et le mariage forcé. En 2022, le taux d’admission par l’Ofpra était de 33,4 % pour 5 554 décisions.
      Jurisprudence abondante

      S’il est vrai que ces nationalités (Guinée et Côte-d’Ivoire) ne figurent pas parmi les taux de protections les plus élevées, elles figurent « parmi les principales nationalités des bénéficiaires de la protection internationale » en 2022, aux côtés des personnes venues d’Afghanistan ou de Syrie, selon l’Ofpra. Les ressortissants tunisiens, qui déposent peu de demandes (439 en 2022), présentent un taux d’admission de seulement 10 %.

      La jurisprudence abondante produite par la CNDA montre que, dans certains cas, le demandeur peut obtenir une protection sur la base de son origine géographique, jugée dangereuse pour sa sécurité voire sa vie. C’est le cas notamment du Mali. En février 2023, la Cour avait ainsi accordé la protection subsidiaire à un Malien originaire de Gao, dans le nord du pays. La Cour avait estimé qu’il s’exposait, « en cas de retour dans sa région d’origine du seul fait de sa présence en tant que civil, [à] un risque réel de subir une menace grave contre sa vie ou sa personne sans être en mesure d’obtenir la protection effective des autorités de son pays ».

      « Cette menace est la conséquence d’une situation de violence, résultant d’un conflit armé interne, susceptible de s’étendre indistinctement aux civils », avait-elle expliqué dans un communiqué. Au mois de juin, à la suite des déclarations d’un demandeur possédant la double nationalité malienne et nigérienne, la Cour avait jugé que les régions de Ménaka au Mali et de Tillaberi au Niger étaient en situation de violence aveugle et d’intensité exceptionnelle, « justifiant l’octroi de la protection subsidiaire prévue par le droit européen ».

      D’après le rapport 2023 de l’agence de l’Union européenne pour l’asile, le taux de reconnaissance en première instance pour les demandeurs guinéens avoisinait les 30 %, et un peu plus de 20 % pour ressortissants ivoiriens à l’échelle de l’UE, avec un octroi en majorité, pour les personnes protégées, du statut de réfugié. Concernant le Mali, le taux de reconnaissance dépassait les 60 %, principalement pour de la protection subsidiaire. Ces données européennes qui confirment qu’il est infondé d’affirmer, comme le suggère le ministre de l’Intérieur, que les nationalités qu’il cite ne sont pas éligibles à l’asile.

      En revanche, dans le cadre du mécanisme « de solidarité », qui prévoit que les pays européens prennent en charge une partie des demandeurs, les Etats « restent souverains dans le choix du nombre et de la nationalité des demandeurs accueillis ». « Comme il s’agit d’un mécanisme volontaire, le choix des personnes à transférer est laissé à l’entière discrétion de l’État membre qui effectue le transfert », explique l’agence de l’union européenne pour l’asile, qui précise que les Etats « tendent souvent à donner la priorité aux nationalités qui ont le plus de chances de bénéficier d’un statut de protection », sans plus de précisions sur l’avancée des négociations en cours.

      https://www.liberation.fr/checknews/lampedusa-les-contreverites-de-gerald-darmanin-sur-le-profil-des-migrants

      #fact-checking

    • #Fanélie_Carrey-Conte sur X :

      Comme une tragédie grecque, l’impression de connaître à l’avance la conclusion d’une histoire qui finit mal.
      A chaque fois que l’actualité remet en lumière les drames migratoires, la même mécanique se met en place. D’abord on parle d’"#appel_d'air", de « #submersion », au mépris de la réalité des chiffres, et du fait que derrière les statistiques, il y a des vies, des personnes.
      Puis l’#extrême_droite monte au créneau, de nombreux responsables politiques lui emboîtent le pas. Alors les institutions européennes mettent en scène des « #plans_d'urgence, » des pactes, censés être « solidaires mais fermes », toujours basés en réalité sur la même logique:chercher au maximum à empêcher en Europe les migrations des « indésirables », augmenter la #sécurisation_des_frontières, prétendre que la focalisation sur les #passeurs se fait dans l’intérêt des personnes migrantes, externaliser de plus en plus les politiques migratoires en faisant fi des droits humains.
      Résultat : les migrations, dont on ne cherche d’ailleurs même plus à comprendre les raisons ni les mécanismes qui les sous-tendent, ne diminuent évidemment pas, au contraire ; les drames et les morts augmentent ; l’extrême -droite a toujours autant de leviers pour déployer ses idées nauséabondes et ses récupérations politiques abjectes.
      Et la spirale mortifère continue ... Ce n’est pas juste absurde, c’est avant tout terriblement dramatique. Pourtant ce n’est pas une fatalité : des politiques migratoires réellement fondées sur l’#accueil et l’#hospitalité, le respect des droits et de la #dignité de tout.e.s, cela peut exister, si tant est que l’on en ait la #volonté_politique, que l’on porte cette orientation dans le débat public national et européen, que l’on se mobilise pour faire advenir cet autre possible. A rebours malheureusement de la voie choisie aujourd’hui par l’Europe comme par la France à travers les pactes et projets de loi immigration en cours...

      https://twitter.com/FCarreyConte/status/1703650891268596111

    • Migranti, Oim: “Soluzione non è chiudere le frontiere”

      Il portavoce per l’Italia, Flavio di Giacomo, a LaPresse: «Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa»

      Per risolvere l’emergenza migranti, secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), la soluzione non è chiudere le frontiere. Lo ha dichiarato a LaPresse il portavoce per l’Italia dell’organizzazione, Flavio di Giacomo. La visita della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a Lampedusa insieme alla premier Giorgia Meloni, ha detto, “è un segnale importante, ma non bisogna scambiare un’emergenza di tipo operativo con ‘bisogna chiudere’, perché non c’è nessuna invasione e la soluzione non è quella di creare deterrenti come trattenere i migranti per 18 mesi. In passato non ha ottenuto nessun effetto pratico e comporta tante spese allo Stato”. Von der Leyen ha proposto un piano d’azione in 10 punti che prevede tra le altre cose di intensificare la cooperazione con l’Unhcr e l’Oim per i rimpatri volontari. “È una cosa che in realtà già facciamo ed è importante che venga implementata ulteriormente“, ha sottolineato Di Giacomo.
      “Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa”

      “Quest’anno i migranti arrivati in Italia sono circa 127mila rispetto ai 115mila dello stesso periodo del 2015-2016, ma niente di paragonabile agli oltre 850mila giunti in Grecia nel 2015. La differenza rispetto ad allora, quando gli arrivi a Lampedusa erano l’8% mentre quest’anno sono oltre il 70%, è che in questo momento i salvataggi ci sono ma sono fatti con piccole motovedette della Guardia costiera che portano i migranti a Lampedusa, mentre servirebbe un tipo diverso di azione con navi più grandi che vengano distribuite negli altri porti. Per questo l’isola è in difficoltà”, spiega Di Giacomo. “Inoltre, con le partenze in prevalenza dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, i barchini puntano tutti direttamente su Lampedusa”.
      “Priorità stabilizzare situazione in Maghreb”

      Per risolvere la questione, ha aggiunto Di Giacomo, “occorre lavorare per la stabilizzazione e il miglioramento delle condizioni nell’area del Maghreb“. E ha precisato: “La stragrande maggioranza dei flussi migratori africani è interno, ovvero dalla zona sub-sahariana a quella del Maghreb, persone che andavano a vivere in Tunisia e che ora decidono di lasciare il Paese perché vittima di furti, vessazioni e discriminazioni razziali. Questo le porta a imbarcarsi a Sfax con qualsiasi mezzo di fortuna per fare rotta verso Lampedusa”.

      https://www.lapresse.it/cronaca/2023/09/18/migranti-oim-soluzione-non-e-chiudere-le-frontiere

    • Da inizio 2023 in Italia sono sbarcati 133.170 migranti.

      La Ong Humanity1, finanziata anche dal Governo tedesco, ne ha sbarcati 753 (lo 0,6% del totale).
      In totale, Ong battenti bandiera tedesca ne hanno sbarcati 2.720 (il 2% del totale).

      Ma di cosa stiamo parlando?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1708121850847309960
      #débarquement #arrivées #ONG #sauvetage

  • L’île de Lampedusa, épicentre de la crise de la gestion des flux migratoires par les Etats européens
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/15/l-ile-de-lampedusa-epicentre-de-la-crise-de-la-gestion-des-flux-migratoires-

    L’île de Lampedusa, épicentre de la crise de la gestion des flux migratoires par les Etats européens
    Située à moins de 150 kilomètres des côtes africaines, la petite île italienne a accueilli, le 13 septembre, jusqu’à 6 800 personnes, majoritairement originaires d’Afrique subsaharienne et arrivées de la Tunisie à bord d’embarcations de fortune.
    Par Allan Kaval(Rome, correspondant, avec Thomas Wieder, correspondant à Berlin) Avec des milliers de personnes épuisées et échouées sur ses côtes, des structures d’accueil au bord de l’effondrement, de brèves scènes de chaos réfractées sur les réseaux sociaux et des tentatives de récupération politique, la situation de Lampedusa a cristallisé une nouvelle fois la crise de la gestion par les Etats européens des flux migratoires en Méditerranée. Terre italienne située à moins de 150 kilomètres des côtes africaines, la petite île de 7 000 habitants a accueilli, mercredi 13 septembre, jusqu’à 6 800 personnes, majoritairement originaires d’Afrique subsaharienne et arrivées de la Tunisie voisine à bord d’embarcations de fortune.
    Jeudi soir après une journée sans débarquement significatif, la Croix-Rouge italienne, qui a la charge du centre d’accueil de l’île, conçu pour 600 places d’hébergements, absorbait encore le choc de la veille en pourvoyant aux besoins de 2 000 à 3 000 personnes tandis qu’une flotte de navires militaires et privés poursuivait les évacuations vers les ports italiens. « Une pareille situation n’a jamais été vue sur l’île », affirme au Monde Rosario Valastro, le président de la Croix-Rouge italienne. Il décrit un système d’accueil soumis du fait de conditions météorologiques favorables à une pression extrême, absolument insuffisant pour y faire face.
    Déjà durement mis à l’épreuve par l’augmentation des arrivées sur l’île cette année, son fonctionnement prévoit que les migrants soient transférés dans un centre d’accueil, le « hotspot », avant de quitter l’île pour d’autres structures. Or les personnes arrivées massivement mercredi, n’ont pas pu avoir accès à l’assistance normalement assurée par la Croix-Rouge et par des volontaires présents dans l’île. « Il était impossible de canaliser la situation et de répondre aux besoins, cela a créé des retards, des moments d’hostilité, des fortes tensions », raconte M. Valastro.
    Affaiblis, affamés et assoiffés, des migrants à peine débarqués comptant parmi eux des mineurs isolés se sont ainsi retrouvés livrés à eux-mêmes sur une petite île touristique redevenue en 2023 la principale voie d’accès au continent européen depuis que la route migratoire tunisienne est devenue la plus empruntée en Méditerranée.Tandis que la municipalité de l’île déclarait l’état d’urgence, les scènes de chaos à proximité d’un centre d’accueil débordé, les images d’une ligne de policiers repoussant une foule tentant de franchir un cordon de sécurité, rapidement diffusées sur les réseaux sociaux ont davantage marqué les esprits dans les premières heures que les témoignages de solidarité pourtant nombreux des habitants et des touristes encore très présents en cette fin de saison.
    La crise survenue mercredi révèle en réalité une impasse structurelle. La transformation des routes migratoires, déterminées par les choix politiques européens en matière de gestion des flux, fait de Lampedusa une étape obligée pour la plupart des candidats à l’exil du continent africain. Or cette île, dont la superficie excède à peine les 20 km2, se trouve dans un état de tension quasi permanent qui ne peut être atténué en aval des arrivées. « Il est impossible d’agrandir le “hotspot”. On ne peut pas en construire un nouveau. On ne peut pas augmenter les capacités, explique M. Valastro, l’île est tout simplement trop petite. »
    Au-delà de Lampedusa, les centres d’accueil du continent arrivent eux aussi à saturation, près de 123 700 migrants étant arrivés en territoire italien au 13 septembre selon les autorités, provoquant la colère des élus locaux.
    La situation de l’île remet par ailleurs en cause la ligne défendue par Giorgia Meloni. Selon la vision défendue par la présidente du Conseil, les flux migratoires devraient être réduits en limitant drastiquement l’action des organisations non gouvernementales de sauvetage en mer et, en amont du territoire italien, par l’octroi par l’Union européenne (UE) d’avantages aux Etats de transit en échange d’un meilleur contrôle des départs. Mercredi pourtant, des milliers de personnes migrantes abordaient Lampedusa en provenance de Tunisie au moment même où, prononçant son discours sur l’état de l’UE, la présidente de la commission européenne, Ursula von der Leyen, se félicitait d’un accord politique conclu en juillet avec le président autoritaire tunisien, Kaïs Saïed.
    Le texte, également signé par Giorgia Meloni, conditionne en des termes imprécis une aide économique européenne à une coopération plus étroite sur les migrations. Le même jour, les membres d’une délégation parlementaire européenne se voyaient interdits d’entrée sur le territoire tunisien après que des critiques sur l’accord en question ont été formulées.
    Un migrant dort devant le centre d’accueil, le « hotspot », de l’île italienne de Lampedusa, le 14 septembre 2023.Jeudi, l’implication de Bruxelles auprès de l’Italie après les événements survenus à Lampedusa s’est traduite par l’évocation de « contacts étroits » avec Rome et de futures aides opérationnelles et financières. Après un entretien avec la commissaire européenne aux affaires internes, Ylva Johansson, le ministre italien de l’intérieur, Matteo Piantedosi, a aussi fait état d’un accord sur « une nouvelle stratégie opérationnelle européenne contre les trafiquants d’êtres humains ».
    Ces déclarations intervenaient toutefois après que l’Allemagne et la France ont annoncé des mesures visant à limiter l’entrée sur leurs territoires de migrants irréguliers transitant par l’Italie, symptôme des difficultés qu’ont les Etats membres à s’entendre sur le dossier.Malgré l’accord qui avait été trouvé en juin sur la réforme des politiques migratoires, l’Allemagne a ainsi annoncé qu’elle suspendait le mécanisme volontaire de solidarité européen dont le but est d’aider les pays d’arrivée des migrants en relocalisant une partie d’entre eux dans des pays tiers. Pour justifier sa décision, Berlin accuse Rome de ne pas reprendre les demandeurs d’asile qui se trouvent en Allemagne mais dont le dossier devrait être traité en Italie, pays de leur première entrée en Europe, en vertu du règlement de Dublin. Sur 12 452 personnes concernées depuis le début de l’année, l’Italie n’en aurait repris que dix, selon le ministère allemand de l’intérieur.
    Depuis plusieurs mois, de nombreux élus locaux accusent le gouvernement fédéral de les laisser démunis face aux arrivées de migrants de plus en plus nombreux, et le sujet est d’autant plus inflammable que la ministre allemande de l’intérieur, Nancy Faeser, est actuellement en campagne comme tête de liste du Parti social-démocrate (SPD) pour les élections régionales en Hesse qui auront lieu le 8 octobre.
    La décision concernant les migrants en provenance d’Italie doit aussi se lire à cette aune, comme un signal de fermeté adressé par le gouvernement d’Olaf Scholz, au sein de son pays, à une droite et à une extrême droite qui ne manquent pas une occasion de l’accuser de laxisme en matière de politique migratoire.« La crainte d’une nouvelle montée de la droite populiste pousse le ministère allemand de l’intérieur à fermer de plus en plus les frontières. Or, céder à la pression de la droite ne fait que renforcer l’extrême droite », a déclaré le porte-parole de l’association allemande de défense des migrants Pro Asyl, Karl Kopp, contacté par Le Monde.
    Côté français, mardi, le ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, a annoncé depuis Menton (Alpes-Maritimes) – et en réponse à l’augmentation des arrivées de migrants en situation irrégulière en provenance d’Italie – le renforcement du dispositif de contrôle à la frontière. Marion Maréchal, tête de liste du parti Reconquête ! pour les européennes de juin 2024, proche de la famille politique de Giorgia Meloni, était attendue jeudi soir à Lampedusa.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#mediterranee#france#allemagne#UE#routemigratoire#lampedusa#hotspot#controlemigratoire#politiquemigratoire#crise#postcovid

  • I dati sull’accoglienza in Italia, tra programmazione mancata e un “sistema unico” mai nato

    Ad agosto in Italia sono “accolte” quasi 133mila persone, per la maggioranza nei centri prefettizi. Il sistema diffuso, e sulla carta ordinario, pesa ancora poco. Un confronto con gli anni scorsi smonta l’emergenza e mostra i nodi veri: dalla non programmazione al definanziamento, fino allo squilibrio provinciale tra #Cas e #Sai.

    Al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot. Tanti? Pochi? Spia di un’emergenza imprevedibile? Un confronto con gli anni scorsi può aiutare a orientarsi, tenendo sempre la stessa fonte, cioè il ministero dell’Interno, lo stesso che per conto del governo lamenta una situazione “scoppiata” tra le mani, impossibile da programmare e quindi non gestibile per le vie ordinarie, tanto da dichiarare lo stato di emergenza.

    Facciamo un salto indietro alla fine del 2016, quando gli sbarchi furono oltre 180mila. Le persone in accoglienza in Italia allora erano 176.257, il 32,7% in più di oggi. La stragrande maggioranza, proprio come oggi, era nelle strutture temporanee emergenziali (137mila), seguita a distanza dall’accoglienza diffusa e teoricamente strutturale dell’allora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) con 23mila posti, dai centri di prima accoglienza (15mila circa) e dagli hotspot (un migliaio). A fine agosto 2017, anno in cui gli sbarchi alla fine sfiorarono quota 120mila, erano 173.783, di cui nei soli Cas 158.207. Un terzo in più di oggi.

    Un anno dopo, il 31 agosto 2018, erano scesi a 155.619. Attenzione: quell’anno, anche a seguito degli accordi del 2017 tra Italia e Libia e delle forniture garantite a Tripoli per intercettare e respingere i naufraghi con missioni bilaterali di supporto (farina Minniti-Gentiloni), gli sbarchi crolleranno a 23.370.
    Ed è proprio in quell’anno che per decreto (il cosiddetto “Decreto Salvini”, 113/2018) il Governo Conte I smonta il già gracile e incompiuto sistema di accoglienza, pubblicando schemi di capitolato dei Cas che premiano le strutture di grandi dimensioni, riducendo gli standard di accoglienza e mortificando l’operato del Terzo settore. Per non parlare del forte impulso, già in atto da qualche tempo, alla prassi “svuota centri” rappresentata dalle revoche delle misure di accoglienza da parte delle prefetture. È bene infatti ricordare che tra 2016 e 2019, come ricostruito da un’inchiesta di Altreconomia, almeno 100mila tra richiedenti asilo e beneficiari di protezione si sono visti cancellare le condizioni materiali di accoglienza, finendo espulsi dai centri, a discrezione delle singole prefetture e senza che venisse tenuto in minima considerazione alcun principio di gradualità.

    L’anno che ha fatto registrare il dato più basso di sbarchi dell’ultima decade è il 2019: 11.471. A metà agosto di quattro anni fa le persone in accoglienza erano 102.402, di cui 77.128 nei Cas e 25.132 nell’ormai ex Sprar, svuotato della sua natura originaria e rinominato in Siproimi. “Perché immaginare di costruire un sistema di accoglienza per soggetti ritenuti non graditi dalle istituzioni?”, è il ragionamento non detto.

    Ecco perché al 15 agosto 2020, anno di leggera ripresa degli sbarchi (34.200 circa), le persone nei Cas, nel Siproimi e negli hotspot non superano quota 85mila. La metà rispetto al 2016. Crollano i posti nei centri prefettizi (da 77mila del 2019 a 60mila del 2020) così come quelli nel Siproimi (da 25mila a 23mila).

    Ma si è riusciti a far di peggio, riducendo il sistema al lumicino dei 76.902 “immigrati in accoglienza sul territorio”, come li indica il Viminale, del 15 agosto 2021 (anno che registrerà 67.477 sbarchi). Nei centri prefettizi vengono infatti dichiarate 51.128 persone presenti, quasi un terzo di quante erano accolte nel dicembre 2017. Nel circuito del Siproimi c’è una flebile ripresa che però non oltrepassa quota 25mila posti.

    È una sorta di “età di mezzo” (siamo a cavallo dei Governi Conte II e Draghi). Nonostante il positivo intervento della legge 173/2020 che ripristina la logica dello Sprar, denominandolo Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), i due esecutivi che precedono l’attuale non riescono a (o non vogliono) frenare la diminuzione dei posti. Si fa finta di non vedere che il sistema di accoglienza è nei fatti sottostimato e che da un momento all’altro può dunque implodere rispetto alle necessità. I capitolati dei Cas vengono di poco corretti ma non in maniera adeguata, e continua a non essere elaborato e tanto meno attuato alcun piano di progressivo assorbimento e riconversione dei Cas (emergenza) nel Sai (ordinario). Il Sistema di accoglienza e integrazione torna debolmente a crescere ma in modo modesto. Perché non è lì che si punta: a occupare l’agenda sono ancora gli accordi con la Libia, che vengono infatti rinnovati, e la direzione politica non cambia rispetto a quella precedente, è solo meno “urlata”.

    È in questo quadro che arriviamo all’anno scorso, quello dei 105mila sbarchi, con le persone in accoglienza che a metà agosto 2022 sono 95.893, di cui 64.117 nei Cas e 31mila circa nei centri Sai.

    Pian piano quella quota è cresciuta fino ai citati 132.796 “accolti” del 15 agosto 2023. Non si tratta, come visto, di un inedito picco ma di un già vissuto trascinarsi di difetti strutturali. Uno su tutti: il Sai, la fase di accoglienza concepita come ordinaria, non riesce ad andare oltre il 30% del numero complessivo dei posti disponibili.

    “Se immaginiamo che tra il 20 e il 30% della popolazione presente nei centri rapidamente li abbandona e lascia l’Italia per andare in altri Paesi dell’Unione europea, l’impatto generale degli arrivi e delle presenze è quanto mai modesto -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e tra i più esperti conoscitori del sistema di accoglienza del nostro Paese. Nulla giustifica l’ordinario e diffuso allarmismo”. “La popolazione italiana nel solo 2022 è diminuita di 179mila unità, un numero pari a più di tre anni di arrivi (2022, 2021, 2020) -fa notare ancora Schiavone-. Ma di che cosa stiamo parlando?”.

    A questa lettura se ne aggiunge un’altra che riguarda la disomogeneità territoriale dell’accoglienza su scala provinciale. Il ministero dell’Interno rende infatti pubblici ogni 15 giorni i dati aggiornati sulle “presenze di migranti in accoglienza” distinguendoli però solo su base regionale. Così gli squilibri del sistema non emergono nel dettaglio.

    Altreconomia ha ottenuto dal Viminale i dati suddivisi per Provincia al 30 giugno 2023, appena prima che scoppiasse l’ultima “emergenza accoglienza”, quando le persone in accoglienza erano 118.883 di cui 3.682 negli hotspot (Lampedusa su tutti), 80.126 nei Cas e 35.075 nei centri Sai. Il carattere che emerge è la sproporzione. Vale tanto per la distribuzione dei posti del Sai quanto per il “collegamento” tra il sistema emergenziale Cas e l’accoglienza diffusa.

    Schiavone fa qualche esempio pratico. “In alcune Regioni e province le presenze nel Sai sono bassissime, specie se rapportate alla popolazione residente. Veneto, Toscana, la stessa Lombardia. Il divario Nord-Sud è critico. La peggiore si conferma in ogni caso il Friuli-Venezia Giulia, dove peraltro il ministero segnala 63 posti in provincia di Udine senza tenere conto che il progetto Sai che fa capo al Comune di Udine ha chiuso a fine dicembre del 2022. È palese la carenza forte di posti al Nord dove ci sarebbero le maggiori possibilità di integrazione socio-lavorativa”.

    Di fronte a questi dati sorge un interrogativo che il presidente dell’Ics di Trieste riassume così: “A che cosa serve un Sistema di accoglienza integrazione, che ora con la legge 50/2023 è destinato ai soli beneficiari di protezione, così squilibrato, sia per aree geografiche sia in relazione al sistema dei Cas? Trasferiamo i richiedenti asilo appena diventano rifugiati da Nord a Sud per trovare lavoro? Appare evidente che il sistema come è oggi configurato, se si intende mantenere l’irrazionale scelta di avervi sottratto l’accoglienza dei richiedenti asilo, non ha alcun senso e andrebbe interamente riconfigurato con drastiche chiusure di progetti Sai nelle aree interne, specie al Sud, che erano importantissimi in una logica normativa che prevede l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo ma che perdono senso in un nuovo sistema che attribuisce al Sai la sola funzione di sostenere l’integrazione socio-economica dei rifugiati”.

    A riprova del fatto che la vera emergenza in Italia non sono i numeri quanto la non programmazione ministeriale sull’accoglienza, c’è anche la risposta che il capo della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo (Francesco Zito) diede al nostro Luca Rondi a inizio gennaio 2023. Alla richiesta di aver copia del “Piano nazionale di accoglienza elaborato dal Ministero dell’Interno”, il Viminale glissò sostenendo che “i trasferimenti dei migranti avvengono in base a quote di volta in volta stabilite tra le diverse province, anche in base ai posti che si rendono disponibili sul territorio”. Come dire: il piano è non avere un piano.

    Chiude il cerchio la cesura netta che c’è tra i posti emergenziali nei Cas e il Sai. “Facciamo l’esempio di Piacenza -riflette Schiavone-. A fine giugno c’erano 505 posti Cas e 34 posti Sai. Se ad esempio ogni anno devo trasferire 200 ex richiedenti asilo divenuti beneficiari di protezione dai Cas di Piacenza al Sai di quella provincia, come si fa? È evidente che le persone verranno trasferite da una delle province a maggior dinamicità economica magari ad Avellino o Cosenza dove ci sono rispettivamente 900 e 1.100 posti SAI. Questo non-sistema produce nello stesso tempo sradicamento delle persone dai percorsi di primo inserimento sociale e totale sperpero di denaro pubblico. A guardare fino in fondo il non-sistema non produce neppure alcuna integrazione sociale, magari con grande lentezza e spreco di energie”.

    La progressiva riduzione dei Cas a parcheggi dove non verrà insegnato neppure l’italiano -come prevede la legge 50/2023 che ha eliminato anche l’orientamento legale e il supporto psicologico- farà il resto. “Il processo è in atto da tempo ma tende ad accelerare sempre di più -dice Schiavone allargando le braccia-. In questo modo anche i sei mesi di accoglienza Sai rischiano di rivelarsi pressoché inutili se non sono un completamento di un percorso di integrazione già avviato. Ma in questo non-sistema il beneficiario di protezione che accede al Sai parte da quasi zero”. Verso una nuova, prevedibile, “emergenza”.

    https://altreconomia.it/i-dati-sullaccoglienza-in-italia-tra-programmazione-mancata-e-un-sistem
    #données #statistiques #chiffres #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #hotspot #2023 #Siproimi #urgence #2022 #2019 #2020 #arrivées #cartographie #Italie_du_Sud #Italie_du_Nord

  • «In Friuli un #hotspot per i migranti della Rotta balcanica». Come a Lampedusa

    Valenti, commissario all’emergenza, incontra i prefetti. Il centro dovrebbe sorgere a Trieste

    Si va verso la realizzazione di un hotspot in #Friuli_Venezia_Giulia per la gestione dei migranti che arrivano attraverso la rotta balcanica. «Le valutazioni sono in corso». Lo ha confermato il commissario per l’emergenza migranti, #Valerio_Valenti, al termine di un incontro, oggi 17 maggio a Trieste, con i prefetti del Fvg. Le valutazioni sui luoghi e i tempi per la realizzazione, ha puntualizzato, «spettano ai colleghi del territorio: stanno lavorando, sono fiducioso sul fatto che verrà individuata una struttura idonea a questo scopo. Il commissario e il ministero metteranno a disposizione le risorse necessarie per poterlo fare». In generale, ha aggiunto, «il dato che emerge oggi è l’assimilazione del Fvg un pò alle altre regioni che subiscono l’impatto del flusso migratorio, Sicilia e Calabria in particolare».

    Allo stesso tempo l’impegno, secondo Valenti, «è anche quello di ridurre la presenza di migranti sul territorio del Fvg allineando il dato a quello delle altre regioni.

    In questo momento il Friuli è sicuramente al di sopra della quota spettante. Questo gradualmente, ma confido anche in tempi abbastanza brevi, verrà realizzato». La dimensione degli hotspot, ha quindi osservato, «non vuole essere quella di strutture come Mineo con migliaia di persone: devono essere strutture di medio piccole dimensioni, che non superino i 300 posti»

    La ricognizione dei prefetti del Fvg per l’individuazione di un hotspot si allarga a tutta la regione, ha poi spiegato il prefetto di Trieste, Pietro Signoriello. «Chiaro che Trieste, essendo il principale punto di ingresso sta guardando con attenzione alle possibilità che offre il territorio, ma le analisi sono ancora in corso». Oggi bisogna fare delle «scelte concrete» e ipotesi in campo per individuare un hotspot, ha assicurato Signoriello, ci sono. «L’analisi riguarda tutto il territorio regionale: confidiamo che l’individuazione possa essere rapida». Escluso al momento il ricorso a tensostrutture: «Dovrebbe essere veramente una situazione straordinaria per dare risposte di questo genere, al momento non è nella nostra agenda», ha chiuso Signoriello.

    https://www.ilgazzettino.it/nordest/trieste/hotspot_friuli_migranti_rotto_balcanica_valerio_valenti_commissario_eme
    #route_des_balkans #Trieste #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés

  • Calabria, la seconda porta per l’Italia

    La rotta migratoria che dalla Turchia porta alle coste calabresi è in continuo aumento, anche prima della strage di Steccato di Cutro. Cronache dal futuro hotspot di Roccella Jonica

    Il naufragio avvenuto la notte fra sabato 25 e domenica 26 febbraio a 200 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, ha messo sotto i riflettori una rotta migratoria finora praticamente ignorata dall’opinione pubblica. Eppure la Calabria è il secondo approdo in Italia, dopo l’isola di Lampedusa. Dalla Turchia alla Calabria, la traversata dura dai cinque ai sette giorni di navigazione, il doppio di quella che dal Nord Africa porta alla Sicilia. Il tratto in mare è solo l’ultima estenuante parte di un viaggio che per migliaia di persone è iniziato mesi prima.

    Sulle spiagge calabresi sono arrivati migranti dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iran, dal Pakistan e dall’Armenia: persone il più delle volte in fuga da una parte di pianeta in guerra da decenni. Sono anche arrivati cittadini ucraini, turchi, russi, egiziani, migranti a loro volta spesso coinvolti dai trafficanti nel trasporto degli altri profughi dalle coste meridionali della Turchia, trampolino di un continuo flusso di esseri umani a questa seconda porta d’ingresso in Italia.

    L’inchiesta in breve

    - Per i migranti, la Calabria è la seconda porta d’accesso all’Italia. Nel 2022 gli arrivi sono stati più di 18mila, contro i 10mila del 2021. Anche prima della strage di Steccato di Cutro, la rotta dalla Turchia alla Calabria destava preoccupazioni: è molto più lunga e meno sorvegliata del triangolo tra Libia, Tunisia e Sicilia.
    - Il Governo Meloni ha dichiarato guerra agli “scafisti” ma in realtà già oggi tanti timonieri delle barche finiscono in carcere. Solo nel 2022 sono stati 61, secondo i dati del Tribunale di Locri. Su 29 procedimenti penali per traffico di esseri umani, il 65% è già a sentenza.
    - Ma gli scafisti non sono i trafficanti, per quanto il governo mescoli le responsabilità. E ci sarà mercato finché esisterà la domanda di oltrepassare i confini senza documenti. La rotta dalla Turchia alla Calabria, infatti, ha incrementato le partenze dopo che si sono ridotte le partenze verso la Grecia.
    – L’avamposto dell’accoglienza calabrese è Roccella Jonica, principale destinazione di chi sbarca in Calabria. L’arrivo di persone in stato di necessità è continuo, ma la struttura di prima accoglienza non è adeguata ai numeri.

    Secondo i dati elaborati da Pagella Politica (https://pagellapolitica.it/articoli/dove-sbarcano-migranti-italia), nel 2022 in Calabria ci sono stati in tutto 18.092 sbarchi (tra autonomi, ovvero senza che le imbarcazioni di migranti siano state intercettate da altre navi, attraverso l’intervento della Guardia costiera o con l’aiuto delle ong), mentre in Sicilia, l’ingresso principale all’Europa, sono stati 78.586. Il tasso di crescita in Calabria è molto significativo, visto che nel 2021 gli approdi sono stati pochi più di 10 mila.

    Dal primo sbarco nella Locride alla fine degli anni ‘90 a oggi, quasi niente in questo viaggio è cambiato. Medesima la rotta che collega le province sud orientali della Turchia a quelle della Calabria ionica così come identiche, ed estenuanti, continuano ad essere le modalità di questa traversata. Anche la zona di sbarco individuata dai trafficanti resta incatenata ai soliti posti: pochi chilometri di costa compresi tra Cirò e Le Castella e tra Monasterace e Palizzi, estremo pezzo meridionale delle province di Crotone e Reggio Calabria. Si tratta di un fenomeno radicato nel tempo, ma ogni anno affrontato dalle istituzioni alla stregua di una nuova emergenza in termini di sicurezza.

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    All’inizio fu #Riace

    Il primo luglio del 1998, un tecnico di laboratorio percorre in auto la strada che di solito dalla scuola in cui lavora lo riporta a casa. Solo all’apparenza si avvia un pomeriggio qualunque di un giorno qualsiasi della sua vita. A un certo punto della strada però vede qualcosa di inconsueto. Sulla spiaggia vicina a quella che 25 anni prima aveva restituito i famosi Bronzi, è approdato dalle coste turche un barcone carico di profughi curdi. Questo è l’inizio di una storia che conoscono tutti: quella di Mimmo Lucano e dell’accoglienza di Riace. Il borgo è uno dei tanti “paesi sdoppiati” della Ionica in cui il centro storico va verso lo spopolamento, mentre la vita si riorganizza a valle, lungo la costa. Le case vuote per ospitare i migranti non mancano. Lucano inizia poi a studiare alcune pratiche di accoglienza attuate in un altro Comune “sdoppiato”, Badolato. Da questo incontro nasce un percorso politico che lo porta a diventare sindaco nel 2004.

    Per Riace, ottiene fondi regionali per la ristrutturazione delle case dismesse nel borgo e fornisce accoglienza e ospitalità ai rifugiati e ai richiedenti asilo che lavorano nel Comune attraverso laboratori artigiani e, nell’attesa dell’erogazione dei fondi, spendono per le proprie necessità una moneta locale creata ad hoc. Rieletto per un secondo mandato nel 2009, Lucano diventa sempre più conosciuto fino a quando, nel 2016, la rivista americana Fortune lo inserisce al quarantesimo posto fra i 50 leader più influenti al mondo. Nell’ottobre del 2017, però, la Procura di Locri lo iscrive nel registro degli indagati per truffa, abuso d’ufficio e peculato proprio nell’ambito della gestione del sistema d’accoglienza di Riace. Sostenuto da manifestazioni di solidarietà in tutta Italia, Lucano sarà comunque messo agli arresti domiciliari, sospeso dal ruolo di sindaco e subirà anche il divieto di dimora a Riace. Il 30 settembre 2021 il Tribunale di Locri lo condanna a 13 anni e 4 mesi di reclusione, praticamente raddoppiando le richieste del pubblico ministero e nel 2022 si apre il processo d’Appello a Reggio Calabria, con la procura generale che il 26 ottobre chiede 10 anni e 3 mesi per Lucano.

    Qualunque sarà il suo verdetto finale, questo è comunque un processo giudiziario che porta con sé effetti incontrovertibili. Oggi a Riace arrivano alla spicciolata richiedenti asilo e rifugiati per i quali è scaduto il tempo di permanenza nelle strutture “ufficiali”. Cercano diritti basilari, soprattutto quello all’assistenza sanitaria. Per loro la destinazione è l’ambulatorio Jimuel, fondato nel 2017 dal medico anestesista Isidoro Napoli, per tutti Sisi. Insieme a lui una ventina di medici volontari, fra cui una cardiologa, due ginecologhe, un pediatra, un ecografista e diversi radiologi, presta la propria opera gratuita a chiunque ne abbia bisogno.

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    L’emergenza è in mare

    Le barche che ingrossano la rotta turca sono nella maggioranza dei casi velieri monoalbero in vetroresina, rubati nei porti dell’Anatolia e poi guidati a motore. In condizioni ottimali potrebbero trasportare in sicurezza al massimo una ventina di persone e possono essere guidati per piccoli tragitti turistici anche senza disporre di una grossa esperienza nautica. Viaggiano invece per notti e giorni senza sosta, in media con dieci volte il carico di persone consentito, e non solo non possono contare su sufficienti presidi di salvataggio, ma spesso i migranti non sanno nemmeno nuotare.

    L’emergenza c’è insomma, ma è in mare, ed è di natura umanitaria. È difficile stabilire quanti eventi di naufragio siano avvenuti nei decenni di navigazione al largo delle coste italiane, anche perché sullo specchio d’acqua che fa da scenario a questo evento mancano le ong, a differenza della rotta dalla Libia alla Sicilia. La prima strage di cui si ha conoscenza risale al 2007, quando annegarono in sette a largo di Roccella Jonica, ma tragedie meno eclatanti per il numero di persone coinvolte sono purtroppo frequenti.

    Mohamed Nasim è afghano ed è approdato vicino Crotone a metà giugno, in una giornata di mare calmo. Era fra i pochi a parlare inglese, perciò alla mediatrice culturale e al personale della Guardia di finanza che l’hanno interrogato e verbalizzato ha ricostruito al dettaglio le tappe del suo viaggio. Racconta di essere partito dal suo Paese per l’Iran, dove è rimasto tre mesi, per poi raggiungere Istanbul, dove è rimasto circa nove mesi. Per organizzare il viaggio ha ricevuto i contatti necessari da altri connazionali già arrivati in Europa. Ha avuto un numero di telefono che ha contattato, poi ha versato circa 10 mila euro da un conto corrente iraniano a un altro. Racconta che tramite sua madre i soldi sono stati spostati sul conto corrente di un “garante terzo” in Turchia, il quale liquiderà i trafficanti solo dopo il suo arrivo in Italia, elemento che differisce da quanto accade lungo la rotta del Mediterraneo Centrale. Alla domanda sul come siano stati avvertiti del suo arrivo risponde: «Loro lo sanno».

    Racconta di essere partito da Bodrum, l’antica Alicarnasso. Nell’antichità era sede della tomba di Mausolo, una delle sette meraviglie del mondo, oggi è un porto turistico frequentato dalla borghesia turca. Dell’organizzazione ricorda «un uomo grande e grosso» che ha requisito i cellulari e distrutto le Sim card, minacciando che altrimenti sarebbero stati scoperti dalle polizie europee. Prima di andarsene, ha ordinato a tutti di restare sottocoperta e di muoversi il meno possibile per evitare di ribaltarsi. Le stanze erano tre, ognuna delle quali con venti persone. Per i primi tre giorni, i migranti non hanno potuto mangiare. Qualunque imbarcazione in quelle condizioni, è da considerare a rischio naufragio. A dirlo è la logica prima che i regolamenti internazionali. Ed è la regola, lungo la rotta dalla Turchia alla Calabria.
    Scafisti VS trafficanti

    Dalla politica da anni viene riproposta una soluzione che finora non ha risolto nulla: la caccia allo scafista. La parola indica chi guida le imbarcazioni, ritenuti parte dell’organizzazione criminale anche quando si tratta di un migrante che ha accettato il compito solo per pagare di meno. Durante il Consiglio dei ministri organizzato a Cutro il 9 marzo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato il decreto legge per «sconfiggere la tratta di esseri umani responsabile di questa tragedia». Per gli scafisti, il decreto introduce il reato di «morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina», con pene dai dieci ai 30 anni. «Il reato – ha aggiunto la presidente del Consiglio in conferenza stampa – verrà perseguito dall’Italia anche se commesso fuori dai confini nazionali».

    Nelle parole della prima ministra non c’è distinzione tra trafficanti, cioè coloro che organizzano le traversate, e scafisti; né tra tratta di persone, reato previsto per chi forza o induce una persona a entrare in Italia illegalmente per sfruttarla, e traffico di esseri umani, che invece riguarda l’organizzazione dell’ingresso in Italia di persone prive di documenti. Per quest’ultima fattispecie, le pene per lo scafista sono già inquadrate dall’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione. E già oggi nelle carceri di Locri e di Reggio Calabria sono diversi i detenuti, alcuni già condannati, per questo reato, circostanza che però non ha interrotto le partenze.

    I presunti scafisti sono giovani, quasi tutti sotto i 30 anni. Al 29 di novembre del 2022, al Tribunale di Locri, competente per territorio nella zona con il maggior numero degli approdi di questa rotta, risultano 29 procedimenti penali svolti nel corso dell’anno con l’accusa di traffico di esseri umani. Di questi procedimenti, oltre il 65% è arrivato a sentenza con giudizio immediato, direttissimo o abbreviato e solo il 31% risulta in fase di indagini preliminari.

    Dal 2009, le aggravanti previste per gli scafisti sono severe e di immediata verifica, come il favoreggiamento qualificato che scatta se le persone introdotte illegalmente in Italia grazie alla condotta dell’imputato siano più di cinque persone, e fanno sì che le pene e le multe comminate siano davvero significative: nei casi più estremi si arriva fino a 15 anni di carcere e un milione di euro di sanzione.

    Secondo i dati della Procura le persone fermate o arrestate con questa accusa nella Locride sono in totale 61 nel 2022. La loro provenienza nel 2022 – a causa anche della guerra in Ucraina – è molto cambiata rispetto agli anni scorsi: vengono soprattutto dalla Turchia (34%) e dall’Egitto (21%), mentre in passato la nazionalità più frequente era ucraina. Nonostante i tentativi di coinvolgere le Direzioni distrettuali antimafia allo scopo di allargare le indagini e individuare i vertici delle organizzazioni, finora i risultati sono stati pochi.

    Come è cambiata la migrazione dalla Turchia verso i Paesi europei

    L’incremento delle partenze dalla Turchia si può spiegare per un concatenarsi di diversi fattori, spiega Luigi Achilli, ricercatore che insegna all’istituto universitario europeo (Eui) di Firenze che in questi anni ha lavorato sulla comparazione tra i traffici lungo il confine USA-Messico e lungo le rotte del Mediterraneo. «È come quando tappi una falla e l’acqua sgorga più forte da un’altra parte – spiega -. Negli scorsi anni, soprattutto quelli successivi alle crisi siriane, molti sono rimasti bloccati in Turchia e così ha ripreso vigore soprattutto la rotta del Mediterraneo centrale. Però in Libia le dinamiche sono cambiate e il business della migrazione si è trasformato in un business della detenzione». E la Libia è diventata un nuovo tappo.

    Invece oggi in Turchia i controlli delle autorità di frontiera sono meno severi, soprattutto a seguito del terremoto dello scorso 6 febbraio, che ha provocato la morte di almeno 49 mila persone. Non ci sono grossi gruppi criminali, ma piccole organizzazioni che agiscono con il sostegno almeno di alcune autorità locali.

    Nel 2016, l’Unione europea ha stretto un accordo con la Turchia affinché bloccasse i migranti sul proprio territorio, impedendo loro di prendere il mare. Finora la Grecia è stata nettamente la meta principale. Per ogni richiedente asilo respinto in Turchia dalle isole greche, l’accordo prevede anche che i Paesi europei avrebbero preso un richiedente asilo residente in Turchia. L’accordo ha portato fino al 2020 sei miliardi di euro nelle casse turche, a cui si è aggiunta la promessa di altri tre miliardi nel triennio 2021-2023. Evidentemente in questo momento è sufficiente per sigillare la rotta verso la Grecia, ma non verso l’Italia.

    «Per le organizzazioni criminali – aggiunge Achilli – questo significa puntare sul viaggio che dalle coste sud orientali della Turchia arriva in Italia bypassando la Grecia, trovando qualcuno disposto a guidare le barche».
    La guerra senza quartiere agli scafisti difficilmente sarà un deterrente per le partenze: «I trafficanti esistono e continueranno a esistere finché ci sarà criminalizzazione dell’immigrazione – continua Achilli -. Per la mia esperienza non bisogna guardare a sistemi verticistici e a grosse organizzazioni internazionali, ma a piccoli gruppi locali spesso composti a loro volta da migranti». Per quanto possano girare molti soldi in queste attività, invece che concentrarsi in organizzazioni verticistiche, si perdono in mille rivoli. «Per la criminalità organizzata – conclude – resta più conveniente il viaggio di una barca piena di cocaina invece che di persone povere».

    Il centro nevralgico della prima accoglienza calabrese

    Il centro nevralgico dei soccorsi e della prima accoglienza in Calabria è il Porto turistico delle Grazie di Roccella Jonica, in provincia di Reggio Calabria. Qui i 1.200 migranti arrivati nel 2020 sono diventati più di cinquemila nel 2021. Numeri già superati nei soli primi sei mesi del 2022 e in crescita esponenziale dalla seconda metà di agosto in poi, quando in questa struttura di prima accoglienza hanno cominciato a susseguirsi arrivi con un media registrata, nel periodo di punta fra il 18 agosto e il 22 settembre, di 50 persone ogni 24 ore. Il bilancio finale nel 2022 di Roccella Jonica si è attestato su 86 eventi di sbarco e 6.994 persone accolte. Se si tiene conto dei circa 20 sbarchi autonomi registrati, per la Questura si tratta di circa novemila persone arrivate in un anno in un paese che conta soli seimila abitanti.

    L’attività di questo centro è stata avviata dalla prefettura di Reggio Calabria il 25 ottobre del 2021 e si avvale della presenza di diversi enti, istituzioni, organizzazioni e realtà associative. Innanzitutto, la Croce Rossa Italiana con il Comitato Riviera dei Gelsomini, che ha allestito una tensostruttura che può ospitare circa 150 persone e che impiega giornalmente dodici fra operatori e volontari. Si occupano della distribuzione di generi di prima necessità e di conforto al momento dell’arrivo al porto delle persone migranti, alla distribuzione dei kit igiene e vestiario forniti dalla Prefettura e a tutte le attività di supporto per gli accolti fino al loro successivo trasferimento in altre strutture.

    Tutti i giorni è presente anche il personale di Medici Senza Frontiere, ong che opera un’equipe composta da un medico, un infermiere e due mediatori culturali. È anche presente personale dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) e sono operative anche due unità Save The Children con compiti di supporto psicosociale, di informativa legale e ascolto. Sono presenti anche due professionisti dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA, la vecchia EASO, ndr) con il compito di supporto nell’attività di informativa sull’asilo. Per quanto riguarda la sicurezza, le forze dell’ordine assicurano un presidio interforze h24 con tre equipaggi e, infine, con un team di undici unità, c’è anche Frontex, l’agenzia europea per il pattugliamento dei confini, a cui spetta il compito di intervistare i migranti, scambiare informazioni con le forze di polizia ed essere di supporto alla Polizia scientifica. Sono loro, con le difficoltà dettate dalla delicatezza dell’intervento e dalla scarsità di risorse a disposizione, a presidiare questa scalcinata porta d’Europa.

    La giornata tipo al Porto delle Grazie inizia molto presto. Il primo approdo annunciato conta una cinquantina di persone da accogliere. Pochi uomini, di più le donne e tanti bambini, alcuni davvero piccolissimi. Una motovedetta della Guardia di finanza li ha intercettati a bordo di un’imbarcazione alla deriva subito dopo il sorgere del sole, a largo di Riace e appena dentro il limite delle acque territoriali. Li scorta in modo lento e vigile lungo la linea della costa, davanti a turisti e bagnanti che hanno imparato a considerare la scena come parte del paesaggio. Intanto al porto si mette in moto il meccanismo per l’accoglienza che, anche se ormai rodato, comporta sempre qualche nervosismo.

    Le forze dell’ordine pattugliano entrambi i lati dello spazio adibito alla prima accoglienza. Lo spazio è off-limits per i giornalisti, ma sulle sue criticità si esprime chiara una relazione ispettiva del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori polizia) di Reggio Calabria datata 5 luglio 2022. Un documento che parla di clima «assolutamente invivibile durante il periodo estivo, tanto da costringere i migranti a trascorrere la notte all’esterno», in una piccola pineta «attigua alle ridicole mura perimetrali, assolutamente inefficaci ed inefficienti, che favoriscono l’allontanamento arbitrario degli ospiti».

    Il rapporto, corredato di foto, mette in fila le numerose falle rilevate dal sindacato di polizia all’interno della tensostruttura e racconta anche di un tentativo di fuga di massa esacerbato dalle condizioni di invivibilità. «Esasperazione determinata da attese snervanti, da caldo asfissiante e dai ritardi alle operazioni di identificazione a loro volta alimentate dalla farraginosa difficoltà di reperire mediatori culturali. Mediatori che vedono un contratto rinnovato, ma non perfezionato dalla Corte dei conti con parallelo devastante effetto nelle realtà periferiche: costringere i locali utilizzatori di quel servizio – ufficio immigrazioni – a reperire volta per volta, in occasione di sbarchi, interpreti di varie lingue e dialetti e richiedere le necessarie autorizzazioni preventive in Prefettura per “contratti occasionali” di lavoro».

    Secondo il Siulp di Reggio Calabria, impattanti sulla normale regolarità del servizio sono anche i miasmi causati dal mancato adeguamento fognario: vengono anche segnalate e puntualmente fotografate buche scavate con le mani per tentativi di fuga favorite dalla scarsa illuminazione, tutto in una forbice tra personale operante e ospiti migranti che si presenta troppo larga, con gli operatori della Polizia di stato e dei Carabinieri (uno ogni circa 15 ospiti, secondo il rapporto) «sottoposti a condizioni di lavoro disumane e indegne, con i colleghi costretti ad una esposizione continua al sole anche per più di 12 ore al giorno».

    Negli ultimi mesi si accoda la serie di operazioni ispettive intraprese dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Il lavoro di monitoraggio della struttura ha fatto emergere che come a Lampedusa «si è in procinto di realizzare a Roccella Jonica un punto di crisi sul modello “hotspot”, per il quale sarebbero in corso di esecuzione le attività necessarie» e «una gestione che risponde come di consueto ad una logica emergenziale, informale e scarsamente strutturata, tanto da un punto di vista materiale quanto procedurale, che implica, naturalmente, la contrazione dei diritti delle persone ospitate all’interno della struttura».

    Il clima di tensioni e stress è palpabile già al mattino del nostro arrivo, quando gli operatori chiamati a fare le pulizie dopo la notte – a garantire cioè che le panche e le brande occupate dai migranti arrivati la notte prima siano pronte per quelli che stanno arrivando – sollecitano ad alta voce l’aiuto dei mediatori culturali e degli agenti: è un’operazione che va fatta presto e bene, e non può permettersi resistenze. Dopo un po’ di discussioni si procede con i primi aiuti umanitari, le interviste e le foto, si prosegue con i tamponi e le visite mediche. Si impartiscono e ricevono ordini, file di persone esauste si spostano caracollando. Il caldo è davvero asfissiante, e solo la pineta attigua alla struttura riesce a dare qualche cono d’ombra di riparo, che in poco si riempie di colori e di voci.

    Poco dopo le due del pomeriggio, approda un’altra imbarcazione: il termometro segna 38 gradi, l’umidità percepita è sfiancante. Il gruppo di nuovi arrivati, stipato su un piccolo veliero con bandiera statunitense, viene scortato fino alla banchina Sud, proprio davanti al tendone allestito dalla Croce Rossa. Qualche ora più tardi, la Guardia costiera scorta un nuovo veliero, poco più che un rottame, intercettato a oltre 70 miglia al largo della costa. Sono passate da poco le 18:00, non c’è stato nemmeno il tempo di ripulire il piazzale dalle coperte termiche e dai beni di prima necessità utilizzati per il gruppo precedente. Questa volta arrivano in 76, in prevalenza siriani, partiti dalla spiaggia di Abdeh, in Libano, un porto anomalo rispetto alla rotta consuetudinaria. Tra loro ci sono una ventina di bambini, tre hanno meno di un anno.

    Il sole tramonta ma gli sbarchi non si fermano. Una motovedetta della Guardia di finanza sta trainando l’ennesimo piccolo veliero. Quando i due natanti rientrano, è da poco passata l’una del mattino. Il monoalbero viene svuotato dei suoi passeggeri poco alla volta, lentamente. Le luci sono fioche e riflettono i propri raggi dal mare nero. All’interno e all’esterno dell’imbarcazione i viaggiatori appaiono immobili, stipati letteralmente come tonni. Questa volta sono in 85: tanti adolescenti non accompagnati e diversi anziani che hanno fatto l’ultima parte del viaggio in coperta, viste le temperature più rigide della notte. I più piccoli vengono fuori dalla pancia della barca per ultimi, stretti al collo dei soccorritori, alle 2:30 del mattino.

    Fino a notte tarda il piazzale del porto è ancora in piena attività: qui davvero non ci si riposa mai. La segnalazione dell’ennesimo barchino è arrivata dai mezzi aerei che monitorano questa porzione di Mediterraneo. Ad uscire questa volta sarà una pattuglia della Capitaneria. Manca qualche minuto alle tre del mattino, una nuova giornata di questa storia infinita sta per cominciare.

    https://www.youtube.com/watch?v=-Z1vpHa5W3I&embeds_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2F&feature=


    https://irpimedia.irpi.eu/mediterraneocentrale-calabria-seconda-porta-per-italia-rocella-jonica
    #Calabre #Méditerranée #routes_migratoires #Italie #Turquie #Roccella_Jonica #migrations #asile #réfugiés #Riace #hotspot #statistiques #chiffres #Steccato_di_Cutro

    voir aussi:
    https://seenthis.net/messages/995483

    • Dove sbarcano di più i migranti in Italia

      Nel 2022 circa il 75 per cento è arrivato in Sicilia, poi seguono la Calabria e la Puglia

      Nella serata di martedì 24 gennaio il governo ha indicato alla nave Ong Geo Barents, con a bordo 69 migranti soccorsi al largo della Libia, di dirigersi verso la città di La Spezia, in Liguria. Nelle scorse settimane altre navi Ong avevano dovuto far sbarcare le persone salvate nel Mar Mediterraneo in porti del Nord e Centro Italia, come Ancona, nelle Marche, e Ravenna, in Emilia-Romagna.

      Secondo il governo, che nelle scorse settimane ha approvato anche un nuovo codice di condotta per le Ong, questa strategia è giustificata dall’elevato numero di sbarchi nelle regioni meridionali. Secondo i critici, invece, il governo vuole rendere più complicate le operazioni di salvataggio delle Ong, con giorni aggiuntivi di navigazione prima di arrivare in un porto, a fronte di numeri ridotti rispetto a quelli degli sbarchi totali.

      Numeri alla mano, vediamo negli scorsi anni dove sono sbarcati di più i migranti in Italia, che poi vengono ripartiti nei centri di accoglienza sul territorio nazionale.

      Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), nel 2022 in Italia sono sbarcati circa 105 mila migranti, di cui oltre 10 mila a bordo di navi Ong, un numero pari a circa il 10 per cento. Il restante 90 per cento dei migranti sbarcati è stato soccorso dalle navi della Guardia costiera oppure ha raggiunto autonomamente le coste italiane.

      Secondo le elaborazioni dei dati fatte da Vittorio Nicoletta, dottorando in decision systems all’Université Laval del Québec (Canada), nel 2022 quasi il 75 per cento dei migranti è sbarcato in Sicilia. Al secondo posto troviamo la Calabria, con il 17 per cento circa degli sbarchi, seguita dalla Puglia, con meno del 5 per cento.

      Nel 2021, quando gli sbarchi erano stati meno di 70 mila, la percentuale di migranti arrivati con le navi Ong era stata intorno all’11 per cento. La regione con più sbarchi era stata la Sicilia, seguita da Calabria e Puglia. La stessa classifica delle regioni vale per il 2020, mentre nel 2019 la Puglia era al secondo posto, tra Sicilia e Calabria. Nel complesso, tra il 2019 e il 2022, oltre 160 mila migranti sono sbarcati sulle coste siciliane.

      https://pagellapolitica.it/articoli/dove-sbarcano-migranti-italia
      #arrivées

  • #Incendie du #camp de #Moria en Grèce : la fabrique des coupables idéals

    Le #procès en appel des quatre Afghans condamnés en 2021 à dix ans de prison pour l’incendie en 2020 du camp de migrants de #Lesbos se tient le 6 mars. Une contre-enquête vidéo met en lumière les « preuves faibles et contradictoires » qui ont conduit au verdict de première instance, et pointe la responsabilité des autorités grecques et européennes dans la tragédie.
    https://www.youtube.com/watch?v=CPGd0Loozhw

    LeLe drame avait eu lieu la nuit du 8 au 9 septembre 2020 sur l’île grecque de Lesbos. Plusieurs incendies consécutifs, propagés par des vents forts, avaient détruit le camp de migrants de Moria, le plus grand d’Europe, réputé pour ses conditions de vie extrêmement précaires.

    Aucune victime n’était à déplorer, mais les 13 000 migrants de ce camp situé à quelques kilomètres de la Turquie s’étaient retrouvés sans abri, en pleine pandémie de Covid-19.

    En juin 2021, quatre jeunes Afghans ont été condamnés à dix ans de prison ferme pour incendie criminel. Ils ont fait appel de la décision. Leur audience se tient le lundi 6 mars 2023 à Lesbos.

    « Les accusés avaient été condamnés sur la seule base du témoignage douteux d’un Afghan, qui n’a pas comparu à l’audience », précise Natasha Dailiani, l’une des avocates des quatre condamnés. Ces derniers sont issus de la minorité religieuse chiite des Hazaras, souvent persécutée en Afghanistan.

    Ils assurent de leur côté que ce témoin, un Afghan de l’ethnie majoritaire sunnite des Pachtouns, les a désignés comme les incendiaires en raison de leur appartenance religieuse. « Les quinze autres témoins à charge présents à l’audience de juin 2021 n’ont pas identifié les quatre accusés », ajoute Me Dailiani.

    Missionnées par la défense des mis en cause, Forensic Architecture et Forensis, deux organisations spécialisées dans les contre-enquêtes sur les crimes et mensonges d’État, ont retracé les événements de cette nuit du 8 septembre 2020 en s’appuyant sur des centaines de vidéos prises par les réfugiés et autres acteurs présents sur place, des témoignages ainsi que des rapports officiels.

    Leur enquête vidéo révèle entre autres que « les jeunes demandeurs d’asile accusés d’avoir mis le feu ont été arrêtés sommairement sur la base de preuves faibles et contradictoires », rapporte Dimitra Andritsou, coordinatrice de recherche à Forensis.

    Le vaste camp de Moria comportait douze zones (voir la carte ci-dessous). Le premier incendie se déclare le 8 septembre, au plus tard à 23 h 36, à proximité de la zone 6 (dans l’est du camp), avant de se propager dans le reste du camp, selon les deux collectifs d’enquête.

    Un deuxième incendie se déclare ensuite au centre du camp. À 1 h 43, le 9 septembre, il se répand dans la zone 12 (dans le sud du camp). Le principal témoin affirme que les quatre Afghans auraient eux-mêmes mis le feu à cette zone 12, comme le rappellent Forensic Architecture et Forensis.

    Celles-ci reconstituent également la progression de l’incendie dans la zone 12, cartographiant ainsi le schéma de propagation du feu, qui correspond à la direction du vent. La majorité du camp de Moria était en outre composée d’abris de fortune faits de plastique, de polystyrène, de bois ou de bâches, soit des matières hautement inflammables, comme l’illustrent les vidéos spectaculaires récoltées par Forensic Architecture et Forensis.

    « Il fallait trouver un responsable »

    Les quatre Afghans jugés coupables avaient rapidement été arrêtés, quelques jours après l’incendie de Moria. Deux autres mineurs afghans avaient par ailleurs été interpellés et condamnés à cinq ans de prison ferme lors d’un procès distinct en mars 2021.

    « Il fallait trouver un responsable. Ce procès, particulier, ne remplissait pas les conditions qui garantissent un procès équitable, c’était en ce sens une parodie de justice, dénonce l’avocate Natasha Dailiani. Nos clients, dans l’attente de leur appel, sont évidemment inquiets. Dévastés après le verdict du premier procès, ils ne peuvent accepter cette décision et clameront à nouveau leur innocence. »

    « Notre enquête suggère que face à la gestion inhumaine du camp par l’Union européenne et le gouvernement grec, il fallait un bouc émissaire », estime de son côté Dimitra Andritsou.

    Surpeuplé, le camp de Moria, dit hotspot (centre de premier accueil), d’une capacité de quelque 3 000 places, abritait le jour de l’incendie de 2020 environ 13 000 migrants, majoritairement originaires d’Afrique ou du Proche-Orient. Nombre d’associations et de politiques avaient précédemment alerté sur un drame qui semblait inévitable tant le camp était insalubre.

    L’incendie du 8 septembre 2020 au camp de Moria était le dernier d’une longue série. Au moins 247 départs de feu s’étaient déclarés à l’intérieur et aux alentours de cette structure depuis sa création en 2013, ainsi que le relèvent Forensic Architecture et Forensis.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/060323/incendie-du-camp-de-moria-en-grece-la-fabrique-des-coupables-ideals

    #camps_de_réfugiés #Grèce #réfugiés #asile #migrations #architecture_forensique #justice #contre-enquête #responsabilité #reconstruction #feu #hotspot

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    Fil de discussion sur cet incendie :
    https://seenthis.net/messages/876123

  • #Podcast et reportage photo : les camps d’#enfermement des #îles grecques de #Kos et #Leros

    Les conséquences de « l’#approche_hotspot » sur les droits fondamentaux des exilé∙e∙s

    La mise en place de « l’approche #hotspot » par l‘Union européenne (UE) en 2015, et la signature de l’accord migratoire UE-Turquie en 2016 ont bloqué jusqu’à 40 000 personnes en 2020 aux portes de l’Europe, sur les îles grecques de la mer Égée, dans des camps insalubres aux conditions de vie extrêmement difficiles.

    Le Gisti a organisé une première mission d’observation en 2016 sur les îles de Lesbos et Chios pour constater que l’approche hotspot engendrait un système déshumanisant où la violation des droits fondamentaux, à commencer par celui d’accéder à une demande de protection internationale, est la règle.

    Trois ans plus tard, une seconde mission du Gisti et de Migreurop, conduite dans l’île de Samos au mois d’octobre 2019, confirmait que les hotspots, loin d’être des « centres d’accueil et de prise en charge des personnes en fonction de leurs besoins », étaient en réalité des camps de détention et de tri, parfois à ciel ouvert, installés par l’Union européenne à ses frontières maritimes orientales pour interdire aux exilé.es l’accès au continent.

    Une troisième mission, organisée par ces deux associations en octobre 2021, cette fois dans les îles de Kos et Leros, peu médiatisées, a permis de compléter ce sombre tableau, alors que de nouveaux camps d’enfermement high-tech, financés par l’Union européenne, voyaient le jour sur ces 5 îles grecques.

    Ces îles et le système de confinement mis en place contribuent à la stratégie d’invisibilisation et de maltraitance des exilé∙e∙s qui arrivent aux portes de l’UE.

    Au moment de la mission, peu de personnes exilées se trouvaient sur les îles de Kos et Leros. Cette faible présence est la conséquence de la pandémie de Covid-19, ayant rendu la circulation encore plus difficile, mais aussi de la pratique illégale des pushbacks consistant à refouler les personnes vers la Turquie, sans enregistrer leur demande d’asile, et enfin des transferts des personnes les plus vulnérables vers le continent. Quant aux personnes qui auraient réussi à traverser la mer, ils et elles ont quasiment tou⋅te⋅s été immédiatement placé⋅es en détention, et leur demande d’asile la plupart du temps rejetée.

    Ce podcast en 7 épisodes, réalisé avec le "studio son" de la Parole errante demain dans les îles grecques de Kos et Leros, donne la parole aux exilé∙e⋅s bloqué∙e⋅s sur ces îles, ainsi qu’aux personnes qui travaillent ou militent à leurs côtés, afin de mettre en lumière et dénoncer l’approche hotspot dont le principal objectif est de trier, enfermer et expulser les exilé∙e⋅s.

    https://migreurop.org/article3156.html?lang_article=fr
    #encampement #camps #camps_de_réfugiés #Grèce #hotspots #migrations #asile #réfugiés

  • #Maroc. À #Nador, les morts sont africains, l’argent européen

    Le 24 juin 2022, au moins 23 migrants sont morts à la frontière entre le Maroc et l’Espagne, et il y a eu plus d’une centaine de blessés des deux côtés. L’ONU et l’Union africaine exigent une enquête indépendante. La coopération migratoire entre le Maroc et l’#Espagne est de nouveau pointée du doigt. Reportage à Nador.

    Il est 14 h à Nador, nous sommes le samedi 25 juin 2022, le lendemain des tragiques incidents sur la frontière entre le Maroc et #Melilla, enclave sous occupation espagnole. Un silence de mort règne dans cette ville rifaine. Chez les officiels locaux, l’omerta règne. Les portes sont closes. « Revenez lundi », nous dit-on sur place. Aucune information ne filtre sur le nombre exact des morts, des blessés et des personnes refoulées vers d’autres villes marocaines. Un homme s’active pour informer le monde sur ce qui se passe ; il s’appelle Omar Naji.

    L’odeur de la mort

    Ce militant de l’Association marocaine des droits de l’homme (AMDH) à Nador alerte l’opinion publique et les autorités sur ce drame écrit d’avance depuis une décennie. « Les acteurs de ce drame sont les politiques européennes d’#externalisation des frontières, le Maroc qui agit en tant qu’exécutant et des organisations internationales faiblement impliquées pour protéger les migrants et les réfugiés », accuse-t-il, sans détour. Faute d’une enquête judiciaire, Omar Naji tente dès les premières heures de la tragédie de récolter quelques pièces à conviction.

    Nous rencontrons Omar à la sortie de la morgue de Nador où se trouvent les corps des migrants morts sur la frontière. Ce militant sent l’odeur de la mort. « Les scènes que je viens de voir sont insoutenables. Des corps jonchent le sol depuis 24 heures. Les dépouilles baignent dans leur sang. Les installations de la morgue sont débordées », lâche-t-il, encore sous le coup de l’émotion.

    Deuxième étape dans cette quête d’indices pour reconstituer le puzzle de drame du 24 juin. À la permanence, les policiers ont passé une nuit blanche à réaliser les procès-verbaux des 68 migrants qui allaient être présentés le lundi 27 juin au parquet. La police a rassemblé les bâtons et les quelques objets tranchants utilisés par les migrants lors de la tentative de franchissement de la barrière. Pour la police judiciaire, ce sont les « pièces à conviction » qui ont permis au procureur de demander des poursuites judiciaires contre les migrants aujourd’hui en détention provisoire.

    Troisième étape dans cette contre-enquête de Omar Naji, la récolte de témoignages de personnes en migration. Nous nous rendons sur le mont Gourougou, où les migrants sont dans des campements de fortune. La voiture du militant démarre, nous sommes pris en filature par des membres de services de sécurité. Sur la route de la rocade méditerranéenne, nous passons devant les murs de Nador-Melilla. Ce dispositif est composé de 3 clôtures de 6 mètres de haut et 12 kilomètres de long. Les lames tranchantes, responsables de graves blessures parmi les migrants durant des années, ont été remplacées par des obstacles anti-grimpe et une haute technologie de surveillance, le tout financé par l’Union européenne (UE). « Le Maroc creuse une deuxième tranchée pour compliquer le passage des migrants. Le pays joue son rôle de gendarme, surtout depuis la reprise de la coopération sécuritaire et migratoire avec l’Espagne en mars 2022 », estime Naji. Une semaine avant les incidents, les ministères de l’intérieur des deux pays se sont engagés à « poursuivre leur #coopération_sécuritaire ». Le 6 mai dernier, le groupe migratoire mixte permanent maroco-espagnol avait fixé l’agenda sécuritaire de coopération entre les deux pays.

    Chasse aux migrants ou lutte contre « les réseaux » ?

    À #Barrio_Chino, point frontalier où s’est déroulée une partie des événements, des vêtements de migrants sont encore accrochés aux grillages. Canon à eau et forces d’intervention sont stationnés sur place pour faire face à de nouveaux assauts. Nous continuons notre chemin à la recherche de campements de migrants. Tout au long de l’année, les forces de l’ordre marocaines mènent des opérations pour chasser les migrants sous l’argument du « démantèlement de réseaux de trafic des êtres humains ». Pour Ali Zoubeidi, chercheur spécialiste en migrations, « il y a des réseaux de trafic présents dans d’autres endroits du Maroc, mais pas vers Melilla », observe-t-il, dans une déclaration à Infomigrants. La #Boza par Melilla est gratuite, c’est la route empruntée par les migrants sans moyens. Dans les faits, les #ratissages visent à disperser les migrants le plus loin possible de la frontière avec Melilla.

    Dans un communiqué, 102 organisations africaines et européennes dénoncent les violations systématiques des #droits_humains à Nador : « Depuis plus d’un an et demi, les personnes en migration sont privées d’accès aux médicaments, aux soins, voient leurs campements brûlés et leurs biens spoliés ».

    En 2021, l’AMDH Nador avait recensé 37 opérations de ratissage. Un chiffre en nette baisse en raison du Covid-19 et du confinement. En 2019, les opérations avaient atteint le chiffre record de 134 interventions. « Cette route a été réalisée spécialement pour permettre aux engins des forces de l’ordre d’accéder à la forêt », rappelle Naji, dont le téléphone ne cesse de recevoir des appels de journalistes d’un peu partout dans le monde. En pleine forêt, nous passons devant un campement des #Forces_auxiliaires, corps de sécurité géré directement par le ministère de l’intérieur. Ce camp, avec ses bâtisses en dur et plusieurs tentes, a été construit spécialement pour permettre des interventions rapides dans les #campements.

    Après une heure de route, Naji arrive à la conclusion suivante : « Les opérations menées par les forces de l’ordre ont poussé les migrants à fuir la forêt et toute la ville de Nador ». Nous quittons la forêt et nous croisons sur notre chemin les hauts responsables sécuritaires de la région, venus à bord de deux véhicules militaires, des #Humvee, pour inspecter les lieux. Les seuls migrants présents dans cette ville sont soit morts, soit à l’hôpital, soit emprisonnés. Les migrants ont été dispersés vers plusieurs villes du centre du Maroc (Béni Mellal et Kelaat Sraghna). Cette situation dramatique, au retentissement international, est la conséquence d’une #coopération_sécuritaire entre le Maroc et l’Espagne, avec un financement européen.

    L’UE, cynique bailleur de fonds

    Depuis 2007, l’UE a versé au Maroc 270 millions d’euros pour financer les différents volets sécuritaires de la politique migratoire marocaine. Ce financement se fait directement ou via des instances européennes et espagnoles (Fondation internationale et ibéro-américaine pour l’administration et les politiques publiques, International, Center for Migration Policy Development, etc.). Des montants que le Maroc considère « insuffisants au regard des efforts déployés par le pays pour la gestion des frontières ».

    Depuis 2013, cette coopération s’inscrit dans le cadre du #Partenariat_pour_la_mobilité. Le financement européen en matière d’immigration aussi passe par le #Fonds_fiduciaire_d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique ou des agences souvent espagnoles chargées d’acquérir des équipements sécuritaires pour le royaume chérifien (drones, radars, quads, bus, véhicules tout-terrain…). La Commission européenne (CE) présente ce financement avec des éléments de langage connus : « développer le système marocain de gestion des frontières, et de lutter de manière plus efficace contre le trafic d’êtres humains ». L’UE soutient aussi la #Stratégie_nationale_pour_l’immigration_et_l’asile adoptée par le Maroc en 2014. Cette politique est désormais en stand-by, avec un retour en force d’une vision sécuritaire.

    Dans ses négociations avec la CE, le Maroc compte un allié de taille, l’Espagne. Le royaume fait valoir de son côté « une reprise de la pression migratoire sur le Maroc », comme aime le rappeler #Khalid_Zerouali, directeur de l’immigration et de la surveillance des frontières au ministère de l’intérieur marocain, dans ses sorties médiatiques adressées à ses partenaires européens. Le Maroc se positionne comme partenaire fiable de l’UE et invite son partenaire européen à « la #responsabilité_partagée ». Les routes migratoires marocaines sont les premières portes d’entrée vers l’Europe depuis 2019. L’Intérieur brandit ses chiffres de 2021 : 63 121 migrants arrêtés, 256 réseaux criminels démantelés et 14 000 migrants secourus en mer, en majorité des Marocains.

    Chantages et pressions

    Dans ce contexte, un #chantage est exercé de part et d’autre. L’UE veut amener le Maroc à héberger des centres de débarquement de migrants (#hotspots) et signer avec le royaume un #accord_de_réadmission globale Maroc-UE. Sur ces deux sujets, Rabat continue d’afficher une fin de non-recevoir à ces demandes. Sur le plan bilatéral, la France fait un chantage aux #visas pour pousser le Maroc à rapatrier ses immigrants irréguliers. De son côté, le Maroc a fait de la gestion de l’immigration irrégulière une carte diplomatique, comme l’ont montré les évènements de Ceuta en mai 2021.

    La migration devient ainsi un moyen de pression pour obtenir des gains sur le dossier du Sahara. Un sujet sensible qui a été le cœur d’un gel diplomatique entre le Maroc et l’Espagne durant plus d’un an. La reprise des relations entre les deux pays en mars 2022 a réactivé la coopération sécuritaire entre les deux pays voisins. Pour les 102 organisations des deux continents, ce retour de la coopération est à la source du drame de Nador. « La mort de ces jeunes Africains sur les frontières alerte sur la nature mortifère de la coopération sécuritaire en matière d’immigration entre le Maroc et l’Espagne », peut-on lire dans ce document.

    Mehdi Alioua, sociologue et professeur à l’Université internationale de Rabat, accuse en premier l’UE et sa politique migratoire : « Ces frontières sont celles de la honte parce qu’elles sont totalement absurdes et hypocrites. Ces frontières sont incohérentes, elles sont là pour mettre en scène la “#frontiérisation”. […] La #responsabilité des Européens est directe. La responsabilité du Maroc de ce point de vue est indirecte », déclare-t-il dans une interview pour Medias24
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    Des migrants criminalisés et des corps à la morgue

    Nador, avec ses deux frontières maritime et terrestre avec l’Europe, est pris au piège de ces frontières. Les migrants payent le prix fort. L’an dernier 81 personnes sont mortes à Nador, noyées ou sur les grillages. Face au tollé mondial suscité par ces événements, le gouvernement marocain est sur la défensive. L’exécutif tente de présenter sa version des faits. Signe des temps, cette stratégie de damage control a été sous-traitée par des universitaires, des ONG ou des médias proches de l’État. Ils accusent tous… l’Algérie. Le chef du gouvernement espagnol accuse les “mafias” qui seraient responsables de ce drame tout en “saluant le Maroc pour son professionnalisme”.

    Loin de cette bataille des récits, les militants sur le terrain continuent à panser les blessures des migrants, rechercher les noms des disparus et leurs nationalités, tenter de mobiliser les avocats pour la défense des migrants poursuivis à Nador. Ce procès, qui a démarré le 27 juin, s’annonce comme le plus grand procès des personnes en migration au Maroc. Vingt-huit migrants sont poursuivis avec de lourdes charges pénales. Un deuxième groupe de 37 migrants, dont un mineur, est poursuivi pour des délits. Pendant ce temps, les corps des migrants morts sont toujours à la morgue, sans autopsie ni enquête judiciaire pour établir les circonstances de leurs décès.

    https://orientxxi.info/magazine/maroc-a-nador-les-morts-sont-africains-l-argent-europeen,5734
    #décès #morts #migrations #asile #réfugiés #mourir_en_Europe #frontières #mourir_aux_frontières

  • Exils sans fin - Chantages anti-migratoires le long de la route des Balkans

    Depuis plus de 20 ans, l’UE développe une coopération avec des pays non-membres (dits « tiers ») pour externaliser le contrôle de ses frontières. Identifiés comme des pays de départ puis comme des pays de transit des migrations à destination de l’UE, les pays des Balkans ont été rapidement intégrés au cœur de cette stratégie d’externalisation. Ce, particulièrement depuis la malnommée « crise migratoire » de l’année 2015 lors de laquelle près d’un million de personnes venues principalement du Moyen-Orient ont été compatibilisées le long de la route des Balkans, itinéraire reliant la Grèce à des pays de l’UE situés plus à l’Ouest, et notamment l’Allemagne.

    Prétendant résoudre une crise que l’UE a elle-même engendrée, les politiques migratoires européennes dans la région sont celles de pompiers pyromanes. Zone tampon ou zone de « sécurité migratoire », cela fait plusieurs décennies que la région des Balkans est utilisée par l’UE pour la sous-traitance du contrôle de ses frontières, au détriment tant de la population locale que des personnes exilées. Sommés de s’ériger en gardes-frontières et en véritables « #hotspots » au service de l’UE, les pays des Balkans sont aujourd’hui le théâtre d’une multitude de violations de droits et de #violences exercées à l’encontre des personnes exilées.

    Fruit d’un travail in situ réalisé entre janvier et avril 2021 pour le réseau Migreurop, le présent rapport documente ce processus d’externalisation des frontières européennes dans la région des Balkans. Il s’appuie sur des observations de terrain et plus d’une centaine d’entretiens réalisés avec des personnes exilées, des représentant·e·s d’ONG locales et internationales, des chercheurs et des chercheuses, des militant·e·s, des avocat·e·s, des journalistes, ainsi que des actrices et acteurs institutionnels.

    Le rapport se décompose en trois parties. La première examine la manière dont les dirigeant·e·s européen·ne·s instrumentalisent le processus d’adhésion des pays des Balkans à des fins de contrôle migratoire. La deuxième s’intéresse à la transformation de ces pays en véritables « chiens de garde » des frontières de l’UE, en accordant une attention particulière aux pratiques de #refoulements et aux violences comme outils normalisés de gestion des frontières. La troisième partie documente la mise en place de « l’approche hotspot » dans la région.

    https://migreurop.org/article3069.html
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #Balkans #route_des_Balkans #contrôles_frontaliers #zone_tampon #pays_tiers #push-backs #rapport #Migreurop #refoulements #violence

  • A Lesbos, un an après les incendies du camp de Moria, le nouveau site « reste une prison »
    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/09/09/a-lesbos-le-camp-moria-2-0-reste-une-prison_6094021_3210.html

    A Lesbos, un an après les incendies du camp de Moria, le nouveau site « reste une prison"
    « Je vois encore les flammes qui ont détruit le camp de Moria… Et les scènes qui ont suivi. Durant des jours, nous étions abandonnés à nous-mêmes sur des tronçons de route. Nous dormions sur l’asphalte, sans eau, sans nourriture », raconte Abo Khaled, un Syrien de 27 ans. Entre le 8 et le 9 septembre 2020, deux incendies successifs ont englouti le camp insalubre de Moria, sur l’île grecque de Lesbos, qui accueillait à l’époque près de 13 000 personnes, soit quatre fois sa capacité officielle, et où les violences entre groupes ethniques explosaient.Un an plus tard, dans le nouveau camp de Mavrovouni, construit à la hâte sur un ancien site de tir de l’armée pour reloger les demandeurs d’asile, il ne reste plus que quelque 3 700 migrants. La réunification de certaines familles, la relocalisation, notamment des 400 mineurs non accompagnés, dans d’autres pays européens (un engagement pris par certains gouvernements après les incendies), la réduction des arrivées sur les îles grecques de 84 % en un an, mais aussi la pratique illégale des refoulements de migrants en mer Egée, ont réduit leur nombre.
    Mais pour Daouda, un Burkinabé, qui a déjà passé deux ans à Lesbos, dans l’attente d’une réponse à sa demande d’asile, « ce camp reste une prison comme l’était Moria. Les habitants l’ont surnommé “Moria 2.0”. Parce qu’en apparence les conditions de vie sont meilleures, mais ce n’est qu’une illusion ». « Nous sommes parqués comme des moutons, nous ne savons pas ce que l’avenir nous réserve. Nous n’étudions pas, nous ne travaillons pas, nous dormons dans des tentes où nous étouffons l’été et où nous gelons l’hiver… », poursuit le trentenaire.
    Pour Konstantinos Psykakos, chef de mission pour Médecins sans frontières (MSF) à Lesbos, « Moria n’existe plus, mais l’idée derrière la création de ce camp, conçu au départ pour enfermer les réfugiés et décourager les candidats de l’autre côté de la rive turque de venir, perdure ». Dans la clinique psychiatrique de MSF, le nombre de consultations explose, plus de 90 % des patients souffrent de dépression. « Avec la pandémie, l’isolement des réfugiés a été renforcé. Ils ne peuvent pas sortir facilement de la structure, accéder aux hôpitaux, à une aide juridique, et les enfants ne vont pas à l’école », résume l’humanitaire.Des travaux ont été réalisés pour mettre l’électricité et l’eau dans l’enceinte, des conteneurs ont été installés, note Astrid Castelein, la représentante à Lesbos du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés. « Mais, pour la sixième année d’affilée, une grande partie des demandeurs d’asile, dont 32 % sont des enfants, va passer l’hiver dans des tentes non chauffées, déplore-t-elle. Des camps avec des tentes ne peuvent pas être une solution permanente ! » En juillet, la Cour européenne des droits de l’homme a constaté que le camp de Mavrovouni était bien en dessous des standards européens et a appelé la Grèce à prendre des mesures.
    Outre ces conditions précaires dans le camp de Lesbos, les ONG s’inquiètent du durcissement incessant de la politique migratoire grecque. Depuis l’accord passé entre l’Union européenne (UE) et la Turquie en 2016, le plus grand centre d’hébergement des réfugiés d’Europe semblait être surtout conçu pour dissuader les migrants de venir. Et cette politique n’a fait que s’appesantir.En juin, le ministère des migrations a signé un décret désignant la Turquie comme un « pays sûr » pour la plupart des demandeurs d’asile, notamment pour les Afghans, qui constituent plus de 60 % des réfugiés sur les îles grecques de la mer Egée. Cette décision devrait permettre d’accélérer les procédures de renvois. « Mais, depuis mars 2020, la Turquie n’a réadmis aucun réfugié que la Grèce souhaitait renvoyer, explique Alkisti Agrafiotis, avocate pour le Conseil grec des réfugiés à Lesbos. Ces exilés se retrouvent donc coincés sur les îles. Perdus dans les limbes juridiques, ils ne peuvent aller ni en Turquie ni sur le continent grec et ils n’ont aucune perspective d’avenir. »Sur les cinq îles grecques face à la Turquie disposant de « hotspots » pour identifier les réfugiés, le gouvernement grec a également prévu la construction de centres « contrôlés » et fermés. Le premier doit être inauguré dans quelques jours sur l’île de Samos. « L’idée est de toujours plus isoler et ségréguer les réfugiés. A Lesbos, ce centre doit être construit à côté d’une décharge au beau milieu de nulle part », constate, amer, Konstantinos Psykakos.
    Pour la commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, Dunja Mijatovic, « tant que les politiques grecques et européennes mettent l’accent sur la dissuasion plutôt que sur les besoins de protection, les nouveaux centres risquent de reproduire les mêmes problèmes ». L’incendie de Moria, ajoute-t-elle, « a montré l’urgence de repenser la manière dont les Etats membres de l’UE gèrent la question des migrants et des demandeurs d’asile ». Avec la crainte d’un afflux de réfugiés venus d’Afghanistan, le ministre des migrations grec, Notis Mitarachi, ne compte pourtant pas lâcher du lest : « La Grèce ne redeviendra pas, comme en 2015, la porte d’entrée des réfugiés en Europe. »

    #Covid-19#migrant#migration#grece#turquie#UE#hotspot#moria#samos#sante#santementale#isolement#asile#refugie#politiquemigratoire#droit

  • EU aims for 30,000 refugee resettlements until 2022

    The European Commissioner for Home Affairs Ylva Johansson has reported that she is working to secure €300 million for the resettlement of 30,000 refugees until the end of 2022.

    The EU Commissioner for Home Affairs Ylva Johansson on July 9 said she is working to secure €300 million to find safe new homes for 30,000 refugees until the end of 2022.

    Johansson made the statement during a speech to introduce a forum to restart resettlements, which were on standby due to the Covid pandemic, and to relaunch legal procedures for asylum seekers.
    ’Find additional funding’

    During her speech at the High Level Resettlement Forum, the commissioner called on member states to “find additional funds” and make “pledges” to offer a “safe new home” to those fleeing war and persecution.

    “That’s my goal for today and for the months ahead: to find the political will for pledges. Ambitious pledges,” she said.
    Need to act

    At the forum, which was attended, among others, by Italian Interior Minister Luciana Lamorgese, US Secretary of Homeland Security Alejandro Mayorkas, and UN High Commissioner for Refugees Filippo Grandi, Johansson insisted on the “urgent need to act,” recalling Grandi’s request to Europe “to resettle 36,000 people next year.”

    https://www.infomigrants.net/en/post/33578/eu-aims-for-30-000-refugee-resettlements-until-2022
    #relocalisation #relocalisations #asile #migrations #réfugiés #promesses #EU #UE

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    Les promesses non maintenues des relocalisations en lien avec la construction des #hotspots...

    aedh | Relocalisation : des annonces à la réalité, une comptabilité en trompe-l’œil
    https://seenthis.net/messages/605713

  • Asyl im Dialog - der #Podcast der #Refugee_Law_Clinics Deutschland

    Episonden

    Flucht und Behinderung

    70 Jahre Genfer Flüchtlingskonvention

    Rechtswidrige Hausordnungen für Geflüchtete

    Wieso Menschen aus Eritrea fiehen

    Somalia - Frauen* auf der Flucht

    Alarmphone statt Küstenwache

    Warum Afghanistan nicht sicher ist

    Brutalität und Menschenrechte auf der Balkanroute

    Solidarität kindgerecht: Eine Wiese für alle

    Wenn der Klimanwandel zum Fluchtgrund wird

    Migrationssteuerung durch die EU in Westafrika

    Abschottung reloaded - die Zukunft der Hotspots durch den Nwe
    Pact der EU

    FRONTEX - Grenzschutz außer Kontrolle

    Flucht und Trauma

    Das Asylrecht aus Sicht eines Verwaltungsrichters

    Wenn JUMEN e.V. Familiennachzug durch strategische
    Prozessführung erkämpft

    Wieso das AsybLG ein Gestz für Menschen zweiter Klasse ist

    Wie hängen Flucht und Menschenhandel zusammen? Wie die EU ihre
    Verpflichtung zur Seenotrettung umgeht

    Die Härtefallkommission als Gandeninstanz

    Haft ohne Straftat - aus der Praxis einer Abschiebehaft

    Entrechtung von Geduldeten -die neue Duldung light

    Die griechischen Hospots

    Das Kirchenasyl als ultima ratio

    Zuständigkeiten im Asylverfahren

    Gestzgebung im Asylrecht seit 2015 - rechtsiwedrig und populistisch?

    Was machen Refugee Law Clinics?

    #podcast #audio #RLC #Germany #migration #refugees #EU #Frontex #migration_law #Duldung #trauma #gender #women* #handicap #children #family #asylum #Balkans #church_asylum #Greece #hotspot #Alarmphone #human_rights #Eritrea #Afghanistan

    ping @cdb_77

    https://www.podcast.de/podcast/778497/asyl-im-dialog-der-podcast-der-refugee-law-clinics-deutschland

  • Greece, ABR: The Greek government are building walls around the five mainland refugee camps

    The Greek government are building walls around the five mainland refugee camps, #Ritsona, #Polykastro, #Diavata, #Makakasa and #Nea_Kavala. Why this is necessary, and for what purpose, when the camps already are fenced in with barbed wire fences, is difficult to understand.
    “Closed controlled camps" ensuring that asylum seekers are cut off from the outside communities and services. A very dark period in Greece and in EU refugee Policy.
    Three meter high concrete walls, outside the already existing barbed wire fences, would makes this no different than a prison. Who are they claiming to protect with these extreme measures, refugees living inside from Greek right wing extremists, or people living outside from these “dangerous” men, women and children? We must remember that this is supposed to be a refugee camps, not high security prisons.
    EU agreed on financing these camps, on the condition that they should be open facilities, same goes for the new camps that are being constructed on the island. In reality people will be locked up in these prisons most of the day, only allowed to go out on specific times, under strict control, between 07.00-19.00. Remember that we are talking about families with children, and not criminals, so why are they being treated as such?
    While Greece are opening up, welcoming tourists from all over the world, they are locking up men, women and children seeking safety in Europe, in prisons behind barbed wire fences and concrete walls, out of sight, out of mind. When these new camps on the islands, financed by Europe are finished, they will also be fenced in by high concrete walls. Mark my words: nothing good will come of this!
    “From Malakasa, Nea Kavala, Polycastro and Diavata camps to the world!!
    “if you have find us silent against the walls,it doesn’t mean that we agree to live like prisoners,but in fact we are all afraid to be threaten,if we speak out and raise our voices!!”

    (https://twitter.com/parwana_amiri/status/1395593312460025858)

    https://www.facebook.com/AegeanBoatReport/posts/1088971624959274

    #murs #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #Grèce #camps_fermés #barbelés

    • "Ø double military-grade walls
      Ø restricted entrance and exit times (8am-8pm: itself a questionable suggestion: why should people be banned from going outside at any time of day or night? Under what possible justification?)
      Ø a CCTV system and video monitors
      Ø drone flights over the ‘camps’
      Ø camera-monitored perimeter alarms
      Ø control gates with metal detectors and x-ray devices
      Ø a system to broadcast announcements from loudspeakers
      Ø a control centre for the camps at the ministry’s HQ
      And this will be paid for – a total bill of €33m – by the EU.
      As this cash is on top of the €250m the EU has already promised to build these camps – described, we must stress, as ‘closed’ repeatedly in the Greek governments’ ‘deliverability document’ even though the EU, and specifically its Commissioner for Home Affairs Ylva Johansson who confirmed the €250m payment on her visit to the Aegean islands in March this year, promised the EU would not fund closed camps - it is absolutely vital that the Union is not misled into handing over millions of Euros for a programme designed to break international law and strip men, women and children of their fundamental human rights and protections.
      We must stress: these men, women and children have committed no crime. Even if they were suspected of having done so, they would be entitled to a trial before a jury before having their freedom taken away from them for – based on the current advised waiting period for asylum cases to be processed in Greece – up to five years.»

      ( text by Koraki : https://www.facebook.com/koraki.org)
      source : https://www.facebook.com/yorgos.konstantinou/posts/10223644448395917


      source : https://www.facebook.com/yorgos.konstantinou/posts/10223644448395917

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      source : https://www.facebook.com/yorgos.konstantinou/posts/10223657767448885

      #caricature #dessin_de_presse by #Yorgos_Konstantinou

    • Pétition:

      EU: Build Schools, Not Walls

      We strongly stand against allocating European funds to build walls around Greek refugee camps.

      The ongoing fencing work at the Ritsona, Polykastro, Diavata, Malakasa and Nea Kavala camps must stop immediately.

      Greece, with the full support of the European Union, is turning refugee camps into de-facto prisons.

      Millions of euros allocated for building walls should be spent on education, psychological support and the improvement of hygienic conditions in the refugee camps.

      What happened?

      In January and February 2021, the International Organization for Migration (IOM) published two invitations to bid for the construction of fences in refugee camps in mainland Greece.

      However, the fences became concrete walls. In March the Greek Ministry of Migration and Asylum commissioned to build NATO type fences and introduce additional security measures.

      Nobody - including camp residents - was informed about it.

      The walls are a jeopardy for integration, safety and mental health

      Residents of refugee camps fled their country in search for safety. In Europe their (mental) health is worsening because of the horrific conditions in the camps.

      Building the walls after a year of strict lockdown will lead to a further deterioration in their mental state.

      Moreover, it will:
      – deepen divisions between people: it will make the interaction between refugees and the local community even more difficult, if not impossible.
      – make it even harder for journalists and NGO’s to monitor the situation in the camp
      – put the residents of the camps in danger in case of fire.

      As EU citizens we cannot allow that innocent people are being locked behind the walls, in the middle of nowhere. Being a refugee is not a crime.

      Seeking asylum is a human right.

      Democracy and freedom cannot be built with concrete walls.

      Building walls was always the beginning of dark periods in history.

      Crushing walls - is the source of hope, reconciliation and (what is a foundation of European idea) solidarity.

      No more walls in the EU!

      https://secure.avaaz.org/community_petitions/en/notis_mitarachi_the_minister_of_migration_of_greec_eu_build_schools_no

    • La Grèce construit des camps barricadés pour isoler les réfugiés

      L’Union européenne a investi cette année 276 millions d’euros pour la construction de camps de réfugiés sur cinq îles grecques. À #Leros, où un camp de 1 800 places ouvrira bientôt, habitants et ONG s’indignent contre cet édifice barricadé. Le gouvernement assume.

      L’Union européenne a investi cette année 276 millions d’euros pour la construction de camps de réfugiés sur cinq îles grecques. À Leros, où un camp de 1 800 places ouvrira bientôt, habitants et ONG s’indignent contre cet édifice barricadé. Le gouvernement assume.

      Le champ de #conteneurs blancs s’étale sur 63 000 mètres carrés sur une colline inhabitée. Depuis les bateaux de plaisance qui pénètrent dans la baie de Lakki, dans le sud de Leros, on ne voit qu’eux. Ils forment le tout nouveau camp de réfugiés de 1 860 places, interdit d’accès au public, qui doit ouvrir ses portes d’ici à la rentrée sur cette île grecque de 8 000 habitants, qui compte aujourd’hui 75 demandeurs d’asile.

      « Il sera doté de mini-supermarchés, restaurants, laveries, écoles, distributeurs d’argent, terrains de basket », détaille #Filio_Kyprizoglou, sa future directrice. Soit un « village, avec tous les services compris pour les demandeurs d’asile ! », s’emballe-t-elle.

      Mais le « village » sera cerné de hauts murs, puis d’une route périphérique destinée aux patrouilles de police, elle aussi entourée d’un mur surplombé de #barbelés. Depuis sa taverne sur le port de Lakki, Theodoros Kosmopoulou observe avec amertume cette « #nouvelle_prison », dont la construction a démarré en février, sur des terres appartenant à l’État grec.

      Ce nouveau centre barricadé est l’un des cinq camps de réfugiés grecs en construction sur les îles à proximité de la Turquie et ayant connu des arrivées ces dernières années. Ces structures sont financées à hauteur de 276 millions d’euros par l’Union européenne (UE). Si celui de Leros est bien visible dans la baie de Lakki, les centres qui s’élèveront à #Kos, #Samos, #Chios et #Lesbos seront, eux, souvent isolés des villes.

      Ces camps dits éphémères pourront héberger au total 15 000 demandeurs d’asile ou des personnes déboutées. Ils seront tous opérationnels à la fin de l’année, espère la Commission européenne. Celui de Samos, 3 600 places, sera ouvert cet été, suivi de Kos, 2 000 places, et Leros. L’appel d’offres pour la construction des camps de Chios (de 1 800 à 3 000 places) et Lesbos (5 000 places) a été publié en mai.

      Si l’Europe les qualifie de « #centres_de_premier_accueil_multifonctionnels », le ministère grec de l’immigration parle, lui, de « #structures_contrôlées_fermées ». Elles doivent remplacer les anciens camps dits « #hotspots », déjà présents sur ces îles, qui abritent maintenant 9 000 migrants. Souvent surpeuplés depuis leur création en 2016, ils sont décriés pour leurs conditions de vie indignes. Le traitement des demandes d’asile peut y prendre des mois.

      Des compagnies privées pour gérer les camps ?

      Dans ces nouveaux camps, les réfugiés auront une réponse à leur demande dans les cinq jours, assure le ministère grec de l’immigration. Les personnes déboutées seront détenues dans des parties fermées – seulement les hommes seuls - dans l’attente de leur renvoi.

      Un membre d’une organisation d’aide internationale, qui s’exprime anonymement, craint que les procédures de demande d’asile ne soient « expédiées plus rapidement et qu’il y ait plus de rejets ». « Le gouvernement de droite est de plus en plus dur avec les réfugiés », estime-t-il. Athènes, qui compte aujourd’hui quelque 100 000 demandeurs d’asile (chiffre de mai 2021 donné par l’UNHCR), a en effet durci sa politique migratoire durant la pandémie.

      La Grèce vient aussi d’élargir la liste des nationalités pouvant être renvoyées vers le pays voisin. La Turquie est désormais considérée comme un « pays sûr » pour les Syriens, Bangladais, Afghans, Somaliens et Pakistanais.

      (—> voir https://seenthis.net/messages/919682)

      Pour la mise en œuvre de cette #procédure_d’asile, le gouvernement compte sur l’organisation et surtout la #surveillance de ces camps, au regard des plans détaillés que Manos Logothetis, secrétaire général du ministère de l’immigration, déplie fièrement dans son bureau d’Athènes. Chaque centre, cerné de murs, sera divisé en #zones compartimentées pour les mineurs non accompagnés, les familles, etc. Les demandeurs d’asile ne pourront circuler entre ces #espaces_séparés qu’avec une #carte_magnétique « d’identité ».

      "Je doute qu’une organisation de défense des droits humains ou de la société civile soit autorisée à témoigner de ce qui se passe dans ce nouveau camp." (Catharina Kahane, cofondatrice de l’ONG autrichienne Echo100Plus)

      Celle-ci leur permettra également de sortir du camp, en journée uniquement, avertit Manos Logothetis : « S’ils reviennent après la tombée de la #nuit, les réfugiés resteront à l’extérieur jusqu’au lendemain, dans un lieu prévu à cet effet. Ils devront justifier leur retard auprès des autorités du centre. » Les « autorités » présentes à l’ouverture seront l’#UNHCR, les services de santé et de l’asile grec, #Europol, l’#OIM, #Frontex et quelques ONG « bienvenues », affirme le secrétaire général - ce que réfutent les ONG, visiblement sous pression.

      Le gouvernement souhaite néanmoins un changement dans la gestion des camps. « Dans d’autres États, cette fonction est à la charge de compagnies privées […]. Nous y songeons aussi. Dans certains camps grecs, tout a été sous le contrôle de l’OIM et de l’UNHCR […], critique Manos Logothetis. Nous pensons qu’il est temps qu’elles fassent un pas en arrière. Nous devrions diriger ces camps via une compagnie privée, sous l’égide du gouvernement. »

      « Qui va venir dans ces centres ? »

      À Leros, à des centaines de kilomètres au nord-ouest d’Athènes, ces propos inquiètent. « Je doute qu’une organisation de défense des droits humains ou de la société civile soit autorisée à témoigner de ce qui se passe dans ce nouveau camp, dit Catharina Kahane, cofondatrice de l’ONG autrichienne Echo100Plus. Nous n’avons jamais été invités à le visiter. Toutes les ONG enregistrées auprès du gouvernement précédent [de la gauche Syriza jusqu’en 2019 – ndlr] ont dû s’inscrire à nouveau auprès de la nouvelle administration [il y a deux ans - ndlr]. Très peu d’organisations ont réussi, beaucoup ont été rejetées. »

      La municipalité de Leros s’interroge, pour sa part, sur la finalité de ce camp. #Michael_Kolias, maire sans étiquette de l’île, ne croit pas à son caractère « éphémère » vendu aux insulaires. « Les autorités détruisent la nature pour le construire ! », argumente celui-ci. La municipalité a déposé un recours auprès du Conseil d’État pour empêcher son ouverture.

      Ce camp aux allures de centre de détention ravive également de douloureux souvenirs pour les riverains. Leros porte, en effet, le surnom de l’île des damnés. La profonde baie de Lakki a longtemps caché ceux que la Grèce ne voulait pas voir. Sous la junte (1967-1974), ses bâtiments d’architecture italienne sont devenus des prisons pour des milliers de communistes. D’autres édifices néoclassiques ont également été transformés en hôpital psychiatrique, critiqué pour ses mauvais traitements jusque dans les années 1980.

      C’est d’ailleurs dans l’enceinte même de l’hôpital psychiatrique, qui compte toujours quelques patients, qu’a été construit un premier « hotspot » de réfugiés de 860 places, en 2016. Aujourd’hui, 75 demandeurs d’asile syriens et irakiens y sont parqués. Ils s’expriment peu, sous la surveillance permanente des policiers.

      Il n’y a presque plus d’arrivées de migrants de la Turquie depuis deux ans. « Mais qui va donc venir occuper les 1 800 places du nouveau camp ?, interpelle le maire de Leros. Est-ce que les personnes dublinées rejetées d’autres pays de l’UE vont être placées ici ? » Le ministère de l’immigration assure que le nouveau camp n’abritera que les primo-arrivants des côtes turques. Il n’y aura aucun transfert d’une autre région ou pays dans ces centres des îles, dit-il.

      La Turquie, voisin « ennemi »

      Le gouvernement maintient que la capacité importante de ces nouveaux camps se justifie par la « #menace_permanente » d’arrivées massives de migrants de la #Turquie, voisin « ennemi », comme le souligne le secrétaire général Manos Logothetis. « En Grèce, nous avons souffert, elle nous a attaqués en mars 2020 ! », lâche le responsable, en référence à l’annonce de l’ouverture de la frontière gréco-turque par le président turc Erdogan, qui avait alors entraîné l’arrivée de milliers de demandeurs d’asile aux portes de la Grèce.

      Selon l’accord controversé UE-Turquie de 2016, Ankara doit, en échange de 6 milliards d’euros, réintégrer les déboutés de l’asile - pour lesquels la Turquie est jugée « pays sûr »- et empêcher les départs de migrants de ses côtes. « Elle ne collabore pas […]. Il faut utiliser tous les moyens possibles et légaux pour protéger le territoire national ! »,avance Manos Logothetis.

      Pour le gouvernement, cela passe apparemment par la #fortification de sa frontière en vue de dissuader la venue de migrants, notamment dans le nord-est du pays. Deux canons sonores viennent d’être installés sur un nouveau mur en acier, le long de cette lisière terrestre gréco-turque.

      De l’autre côté de cette barrière, la Turquie, qui compte près de quatre millions de réfugiés, n’accepte plus de retours de migrants de Grèce depuis le début de la pandémie. Elle aura « l’obligation de les reprendre », répète fermement Manos Logothetis. Auquel cas de nombreux réfugiés déboutés pourraient rester longtemps prisonniers des nouveaux « villages » de l’UE.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/240621/la-grece-construit-des-camps-barricades-pour-isoler-les-refugies
      #business #HCR #privatisation

    • Grèce : sur l’île de Samos, les migrants découvrent leur nouveau centre aux allures de « prison »

      Sur l’île grecque de Samos, proche de la Turquie, un nouveau camp de réfugiés dit « fermé », isolé et doté d’une structure ultra-sécuritaire vient d’entrer en service. Les quelque 500 demandeurs d’asile qui se trouvaient encore dans l’ancien camp de Vathy ont commencé à y être transférés. Reportage.

      « Camp fermé ? On ne sait pas ce que c’est un camp fermé. C’est une prison ou bien c’est pour les immigrés ? Parce qu’on m’a dit que c’était conçu comme une prison. » Comme ce jeune Malien, assis à côté de ses sacs, les demandeurs d’asile s’interrogent et s’inquiètent, eux qui s’apprêtent à quitter le camp de Vathy et ses airs de bidonville pour le nouveau camp de l’île de Samos et sa réputation de prison.

      Au Cameroun, Paulette tenait un commerce de pièces détachées qui l’amenait à voyager à Dubaï voire en Chine. Ce nouveau camp, elle s’y résigne à contrecœur. « Ça me fend le cœur, dit-elle. Moi je n’ai pas le choix. Si j’avais le choix, je ne pourrais pas accepter d’aller là-bas. C’est parce que je n’ai pas le choix, je suis obligée de partir. »

      Comme elle s’est sentie obligée aussi de quitter le Cameroun. « À Buea, il y a la guerre, la guerre politique, on tue les gens, on kidnappe les gens. Moi, j’ai perdu ma mère, j’ai perdu mon père, j’ai perdu mon enfant, j’ai perdu ma petite sœur, mon grand frère… Donc je me suis retrouvée seule. Et moi je ne savais pas. S’il fallait le refaire, moi je préfèrerais mourir dans mon pays que de venir ici. Oui. Parce que ces gens-ci, ils n’ont pas de cœur. »

      Alors que les transferts entre les deux camps démarrent tout juste, la pelleteuse est déjà prête. La destruction de l’ancien camp de Vathy est prévue pour la fin de semaine.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/35176/grece--sur-lile-de-samos-les-migrants-decouvrent-leur-nouveau-centre-a

    • Grèce : ouverture de deux nouveaux camps fermés pour migrants

      La Grèce a ouvert samedi deux nouveaux camps fermés pour demandeurs d’asile dans les îles de #Leros et de #Kos, un modèle critiqué par des défenseurs des droits humains pour les contrôle stricts qui y sont imposés.

      La Grèce a ouvert samedi deux nouveaux camps fermés pour demandeurs d’asile dans les îles de Leros et de Kos, un modèle critiqué par des défenseurs des droits humains pour les contrôle stricts qui y sont imposés.

      « Une nouvelle ère commence », a déclaré le ministre des Migrations Notis Mitarachi en annonçant l’ouverture de ces deux nouveaux camps.

      Les nouveaux camps sécurisés, entourés de barbelés, pourvus de caméras de surveillance et de portails magnétiques où les demandeurs d’asile doivent présenter des badges électroniques et leurs empreintes digitales pour pouvoir entrer, sont fermés la nuit.

      Les demandeurs d’asile peuvent sortir dans la journée mais doivent impérativement rentrer le soir.

      Ces nouvelles installations que la Grèce s’est engagée à mettre en place grâce des fonds de l’Union européennes, sont appelées à remplacer les anciens camps sordides où s’entassaient des milliers de migrants dans des conditions insalubres.

      « Nous libérons nos îles du problème des migrants et de ses conséquences », a ajouté le ministre. « Les images des années 2015-2019 appartiennent désormais au passé ».

      Le premier camp sécurisé de ce type a été ouvert en septembre sur l’île de Samos, après le démantèlement du vieux camp, véritable bidonville, qui avait abrité près de 7.000 demandeurs d’asile au plus fort de la crise migratoire entre 2015 et 1016.

      La Grèce avait été la principale porte d’entrée par laquelle plus d’un million de demandeurs d’asile, principalement des Syriens, des Irakiens et des Afghans, étaient arrivés en Europe en 2015.

      Le situation en Afghanistan a fait redouter l’arrivée d’une nouvelle vague de migrants.

      Les nouveaux camps à accès contrôlé sont dotés de commodités comme l’eau courante, les toilettes et de meilleures conditions de sécurité qui étaient absentes dans les anciens camps.

      La Grèce a prévu d’ouvrir deux autres nouveaux camps sécurisés sur les îles de Lesbos et de Chios.

      La contribution de l’UE pour la mise en place de ces nouvelles installations s’élève à 276 millions d’euros (326 millions de dollars).

      Des ONG se sont toutefois inquiétées de l’isolement des personnes qui y sont hebergées, estimant que leur liberté de mouvement ne devrait pas être soumise à des restrictions aussi sévères.

      Selon des estimations de l’ONU, quelque 96.000 réfugiés et demandeurs d’asile se trouvent sur le territoire grec.

      https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/271121/grece-ouverture-de-deux-nouveaux-camps-fermes-pour-migrants

  • « J’ai peur d’être coincée ici pour l’éternité » : la galère sans fin des réfugiés en Grèce, bloqués aux portes de l’Europe
    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/02/26/a-samos-la-galere-sans-fin-des-refugies-bloques-aux-portes-de-l-europe_60712

    Sur les hauteurs de Vathy, capitale de l’île grecque de Samos, qui compte quelque 9 000 habitants, une nouvelle ville est née il y a six ans : un camp de migrants. D’abord prévu pour 650 personnes, il accueille désormais plus de 3 500 demandeurs d’asile. Face à l’agglomération soignée et néanmoins abîmée par le dernier tremblement de terre, se déploie un champ de tentes blanches et de cabanes en bois et en tôle.Dans cette favela méditerranéenne, les enfants courent au milieu des détritus, des rats et des serpents. L’eau chaude et l’électricité manquent. Les sanitaires sont en nombre insuffisant. Des torrents d’eau déferlent sur la colline, inondant la plupart des cabanons. Les soirs d’hiver, sans chauffage, les réfugiés se blottissent autour de feux de bois ou de poêles, laissant craindre le départ d’un incendie à tout moment.
    Ayoub, un Kurde d’Irak, ramène sur son dos des palettes pour surélever sa hutte et des plastiques pour isoler le toit. « Cela fait un an et demi que je suis à Samos, et notre vie se détériore, raconte ce père de deux fillettes de 7 et 8 ans. Avec le coronavirus, les entretiens pour notre demande d’asile ont pris du retard. Il est plus difficile de voir des médecins. Les enfants s’ennuient, ne font plus d’activités organisées par les ONG. »
    Une situation d’urgence devenue chroniqueYaya, un Malien qui a déjà passé plus de deux ans à Vathy, renchérit : « La police est plus présente et nous met des amendes de 300 euros lorsque nous ne portons pas de masque… C’est ridicule ! On vit au milieu des ordures, et rien n’est fait pour nous protéger de l’épidémie ! »
    Les forces de l’ordre surveillent également la venue de tout journaliste sur les lieux. « Ils ne veulent pas que vous racontiez ce qui se passe ici. C’est une honte pour la Grèce mais aussi pour l’Europe ! », lance Espérance Konengo. « On parle de nos conditions de vie aux humanitaires, aux journalistes, mais rien ne change. On souffre beaucoup dans ce trou à rats ! », soupire la Congolaise. Emilie Castaignet, coordinatrice de terrain pour Médecins sans frontières (MSF), estime que « la situation d’urgence humanitaire qui a émergé en 2015 avec l’arrivée de milliers de réfugiés sur les îles grecques est devenue chronique ». A cela s’ajoutent de longues procédures d’asile. « Les réfugiés n’arrivent pas à se projeter, commente Emilie Castaignet. On a vu l’effet du confinement sur notre santé mentale alors que nous vivons dans des maisons confortables, donc nous pouvons imaginer ce que c’est qu’une vie de demandeur d’asile dans l’attente permanente, pleine d’incertitudes. »
    Près de la moitié des patients de MSF ont des pensées suicidaires.
    Le gouvernement conservateur de Kyriakos Mitsotakis, qui a durci sa politique migratoire depuis son élection, en juillet 2019, aimerait accélérer les expulsions. Le 19 février, dans un courrier officiel, le ministère des migrations a donc demandé l’aide de l’Agence européenne de garde-frontières, Frontex, et de la Commission européenne pour le retour en Turquie de 1 450 demandeurs d’asile, actuellement bloqués dans les cinq « hot spots » de la mer Egée.
    « On se trouve dans une zone grise : des demandes d’asile, en majorité celles de Syriens, sont refusées en deuxième instance, mais aucune déportation vers la Turquie n’est effectuée. En particulier depuis les tensions gréco-turques de mars 2020, les Turcs ne veulent pas reprendre les candidats déboutés de l’asile », souligne Mathilde Albert, avocate française qui vient en aide aux réfugiés. Les autorités grecques demandent donc aux demandeurs d’asile de se réenregistrer pour l’asile. « Cela n’a aucun sens, mais c’est pour gagner du temps et pour savoir ce qu’ils vont faire d’eux. Entre-temps, ces personnes n’ont plus droit à l’aide financière du HCR, et ne savent pas qu’ils risquent de retourner en Turquie », poursuit la juriste.D’ici à trois mois, le gouvernement grec veut ouvrir, à 6 km de Vathy, un nouveau camp perdu dans les montagnes. Financé par la Commission européenne, il sera le premier, dans le cadre de la stratégie du gouvernement de construire des « camps fermés et contrôlés », à être inauguré. Le but est clair : renvoyer rapidement ceux qui seront déboutés de l’asile en Turquie ou dans leurs pays d’origine.

    #Covid-19#migrant#migration#grece#UE#turquie#asile#hotspot#politiquemigratoire#sante#santementale

  • ’I’m certain that people have died here’ – German doctor talks about his experience treating migrants in Bosnia

    Aid workers are increasingly alarmed about the worsening situation of the some 1,500 migrants stuck in northwest Bosnia, hundreds of whom are staying in abandoned buildings and makeshift forest settlements with little access to aid. InfoMigrants spoke with German streetwork doctor Gerhard Trabert about his patients’ physical and mental health, a lack of cooperation at the expense of the migrants and what ought to happen next.

    Over the past 20 years, Gerhard Trabert has done no fewer than 34 medical aid missions abroad in countries and hotspots including Afghanistan, Syria, Ethiopia, Sri Lanka, Indonesia and Lesbos.

    In 1998, the German doctor and social worker founded the aid organization “Armut und Gesundheit in Deutschland” ("Poverty and Health in Germany"), whose medical streetwork approach is to seek out homeless people so they get access to health care. For his accomplishments and services, he received Germany’s Federal Cross of Merit in 2004 and was named professor of the year in 2020, among other awards.

    Trabert’s latest mission took him to northwest Bosnia and Herzegovina, where the living conditions of the some 1,500 migrants stranded in the Una-Sana canton are becoming increasingly miserable and dangerous. For months, they have been staying there without access to the most basic necessities.

    Despite not receiving an official permit to deliver medical care, Trabert and his team managed to treat some 170 people in Bihać, the administrative center of the Una-Sana canton, and several other hotspots in the region over the course of eight days.

    InfoMigrants spoke to the 64-year-old in mid-January, three days after he returned from his trip to Bosnia. The interview, which has been edited and condensed for clarity, was conducted by InfoMigrants’ Benjamin Bathke.

    ************************

    InfoMigrants: The experiences you had in Bosnia must still be very present. What is going through your mind now that you’re back in Germany?

    Gerhard Trabert: Seeing people living in ruins without access to food, water and medical care at freezing temperatures in shabby blankets and mattresses, who make open fire to somehow keep warm; seeing the migrant camp Lipa that’s still not functioning — all this makes (you) melancholic, sad and angry because these conditions shouldn’t, they mustn’t exist; and Europe is failing to act.

    It’s bizarre that only a ten-hour car drive away from my home, it almost feels like being almost in another world. It also feels bizarre how different and incommensurate priorities can be: While protective measures against COVID-19 are being discussed in Germany, none of these measures exist for migrants and refugees in Bosnia. People complain about not being able to go skiing this winter while migrants live in cold and damp huts full of snow and mud.

    All week long we had sub-zero temperatures. After spending three hours in one of the dwellings, we were chilled to the bone. Of course we were able to go where it’s warm afterwards, but the notion that these people are living in these conditions 24/7 is unfathomable. It’s hard to convey these things if you haven’t seen them with your own eyes or sensed it with your own body, if only temporarily.


    https://twitter.com/InfoMigrants/status/1351220558529224704

    Can you tell us why you decided to go to Bosnia and what your mission looked like, broadly speaking?

    It was a very spontaneous decision after watching all the media reports. We drove down there with two mobile clinics and had contact with our Bosnian partner organization SOS Bihać upfront. We tried to get a permit but decided we could no longer wait and must give it a try. Our vehicles are rolling consulting rooms equipped with an examination couch, medical equipment, medicine, dressing material, and so on. After waiting at the Croatian-Bosnian border for six hours, we were allowed to cross the border, but without our vehicles. A few hours later, we were told we couldn’t go anywhere because of the curfew in Bosnia, so they brought us to a nearby accommodation. The next day, it took another five hours to finally enter Bosnia with our vehicles and drive to Bihać.

    Our team of five consisted of two nurses, two social workers and myself in the role of a physician. We had brought high-quality, suitable material including sleeping bags usable for down to -15°C, sleeping pads, hygiene articles like diapers and toilet paper and warm underwear. We weren’t able to use our mobile clinics, especially in the first few days, because SOS Bihać told us police would come immediately if we show up at a hotspot with the vehicles. So we put as much as we could in our backpacks and walked to the hotspots.

    One of those hotspots you described on Facebook is the run-down four-story building in Bihać of what you say used to be an elderly care facility. What did you experience there?

    We saw more than 100 Pakistani and Afghan men staying there in the freezing cold, most of them between the ages of 20 and 40. We went from floor to floor, introduced ourselves and offered help. It was so dark we had to use flash lights and headlamps at all times. There was this biting smoke everywhere from the open fireplaces they used to keep somewhat warm and cook food.

    Around one in three people had some kind of injury that required medical attention. We treated lots of cases of scabies, which causes bacteria to enter the wound through itching. Fortunately, we had brought special salves and medication needed to treat scabies, which a local pharmacy didn’t have. Many people had respiratory diseases and problems with their digestive organs like gastritis due to the cold and their general living conditions. We also saw skin wounds and severe open wounds as well as typical stress disorders like high blood pressure. During our second visit, we changed the bandages.

    Experiencing people forced to live like this was very intense. Some people told us they had been staying in the building for over a year, one even said it’s been three years. They occasionally try to cross the border, get pushed back and return to the ruin.

    What do the surroundings of the ruin look like?

    It’s a hotspot in the middle of the city, next to a river. The distance to our apartment in Bihać, which has a population of around 50,000, was only 200 meters. During the day, people were out and about in the city for a while and received some food at kiosks. I saw some shovel snow, so perhaps they received some money in exchange. But a regular care concept for these people doesn’t exist. Drinking water, groceries, sanitary facilities — the migrants are more or less dependent on themselves.

    I also noticed protests by locals, but we were told those Bosnians weren’t against refugees and migrants per se but against illegal hotspots. They called for accommodating and providing for them instead of living in the middle of Bihać by the hundreds. But it seems that nobody on the Bosnian side feels responsible for providing for them.

    What about the NGOs — to what extent can they alleviate the suffering?

    My impression after a week on the ground is that there was no real cooperation, interconnectedness or communication between the NGOs. We even sensed some competition. It’s a scrap for power and competence, and many things happened in a very uncoordinated way.

    Regarding Bosnian authorities, there are conflicts between the Una-Sana canton and the capital Sarajevo. Overall, the different players didn’t look at who has which resources, who can take on which task, and so on. I perceived the situation as absolute bleak. And I do have to say that this imbroglio was wanted from the side of Bosnian authorities, which didn’t surprise me as I know it from my time on Lesbos, where the Greek, but also the EU authorities acted similarly: Signaling time and again to the people that they were not welcome there. So I assume chaos is part of the strategy.

    How does the group dynamics among the migrants staying in the hotspots look like? Are there hierarchies and tensions?

    From my experience on the ground in Bosnia, but also from missions in other countries, I must say that there is a hierarchy among the different nationalities. Syrians usually hold the top spot, followed by Afghans, Pakistani, Bangladeshi and northern African countries like Morocco. Why? Because Syrians have the best shot at receiving asylum. Migrants there know exactly how Europe reacts. This hierarchy sometimes manifests in violent confrontations — we treated stab wounds, for instance. Moroccans and Algerians told us they couldn’t go to groups from other countries without getting sent away. There are some mixed groups, including people from Afghanistan and Pakistan as well as Moroccans and Algerians.

    What can you tell us about people’s mental health?

    Please allow me to make a short scientific digression. There are three forms of traumatization, primary, secondary and tertiary. Primary and secondary cases occur when people suffer from violence directly or observe others becoming the victim of violence, respectively. My point is about the tertiary form of traumatization, or sequential traumatization. It means that a person with a primary or secondary trauma — and that includes all the 1,500 people in northwest Bosnia — who isn’t received with respect, who isn’t able to share their experiences with others, who isn’t listened to or shown empathy, also suffers from tertiary traumatization. The tragic thing about this third form is that it is graver than the first two because only then does the trauma become chronic; only then they have flashbacks, anxieties, sleep disorders, depressions, panic attacks and heightened risk of suicide. All this means that the way we treat those people leads to another, active traumatization. And you can feel it when you talk to talk to them.

    Speaking of suicides, you said in a recent interview that you “wouldn’t be surprised if people died here”. What made you arrive at this conclusion?

    We were told there were bears and wolves in the woods in the Una-Sana canton that have attacked and killed migrants in the past, as well as many wild dogs that have bitten many of them. We treated one person with a bite wound from a dog, which is extremely dangerous because of the certain kind of germs in that wound. If such a wound isn’t treated with antibiotics, his life is in danger. We gave him a special antibiotics. He also had a swollen, infected hand. I cannot imagine that nobody has died yet — and dies — in these conditions. The question is how deaths are dealt with, and I believe they are swept under the rug. If you look at the living conditions as well as the diseases and illnesses of these people with a bit of common sense, I’m certain that people have died.

    On your Facebook page, you also wrote about treating small children.

    In Bosanska Bojna, a small village north of Bihać directly on the border with Croatia, a contact who was shooting a film there had met 20 families who lived in ramshackle houses and ruins with their infants and toddlers. We were able to drive there with our mobile clinics because there were no controls. We treated infections, inflammations of the middle ear, which unless it is treated can lead to meningitis. It seemed that the children there were well cared for by and large, but it’s always difficult to tell because children being able to suppress many things fairly well means it’s not easy to see the scars and wounds on their souls.

    Many had stomach aches and nausea, which could stem from the hygienic conditions, but could also be an indicator for a psychosomatic component. Children can also get depression, but the symptoms are different from those in adults: Most of the time, children are very nervous or hyperactive. Oftentimes, this is interpreted as attention deficit disorder, when it is in fact a depression. One sees that time and again among migrant children: Being hyperactive or reclusive, which I also saw in Bosanska Bojna. Partly no talking and no eye contact, nothing. Symptoms like these are always signs for psychic traumatization.

    What did you hear about violent push backs at the hand of Croatian police?

    We have seen many wounds on arms and legs that might well have been caused by beatings. Many call trying to cross the borders “Game” — they go back time and again in the hope to eventually encounter Croatians who allow them into the country.

    Calling it “Game” — is that some kind of coping strategy or black humor?

    I think it speaks to an optimism bias that’s especially prevalent in situations of extreme stress like the one migrants in northwest Bosnia are in. They perceive and describe their situation much more positive than it objectively is. This also manifests in their language, so “Game” is a trivialization to suppress the brutality of the experience a bit. Optimism bias also applies to their general situation and their health conditions, otherwise they wouldn’t be able to act in their situation or survive. It’s astounding what the body and the psyche do in order to deal with such life-threatening situations.

    Why do so many people choose to live outside of the camp in Lipa?

    Lipa is located at 750 meters in an area hostile to life. It is surrounded by wood, and it’s cold and windy there. There is no infrastructure nearby. The village of Lipa is hours away by foot, and you have to use a dirt road for two kilometers to reach the camp. It’s obvious that the location of the camp emphasizes to the people: “You are not welcome here, and we kind of don’t care what happens to you.”

    That’s why people look for opportunities elsewhere like in Bihać, where they might get some kind of assistance or earn some money by working somewhere. So they use former factories, the ruins of the said elderly care facility or the so-called jungle camp in Velika Kladuša, where we also treated people. These hotspots are everywhere because there is no real care concept, like I said before. So people try to create a certain amount of ’free space’ for themselves they can shape more actively — notwithstanding all the other deprivations, because hardly anybody goes to those spaces and brings food and water.

    From your perspective, what needs to happen now to help migrants in northwestern Bosnia?

    My principal claim is to evacuate all of the people there and distribute them among EU member states. It’s possible, we can achieve it and it needs to happen. Their living conditions are not in keeping with human rights and are inhumane. We cannot wait for all of Europe to go along with this. There’s a shift to the right across Europe, toward nationalism and racism, which I also see in this debate. We have to take a stand, and German needs to lead the way.

    Right this moment we need to conceptually organize how medical care can be provided. This needs to happen immediately. The EU alongside Bosnia needs to show where money is invested in a transparent way. At Lipa, we need tents that protect people from all kinds of weather. We also need a hygiene concept and sanitary facilities. All of this is possible — the containers can be brought there and be installed quickly. Moreover, we need a real interconnectedness and cooperation between the different organizations, and ideally a UN organization like UNHCR at the helm that brings together all the different players and decides who does what and where. My impression is that the Bosnian authorities are overburdened and ill-suited, which has something to do with the old wounds and still existent power struggles and rivalries from the Bosnian war.

    Will you go back to Bosnia and Herzegovina in case you receive the permission from the Bosnian authorities to deliver medical aid?

    Yes, in that case we would go back there, at least with one mobile clinic. We would then deliver medical aid in cooperation with others and might leave the vehicle in Bosnia long-term, perhaps by lending it to a different NGO to use free of charge like we’re doing right now in Sicily with an Italian NGO.

    https://www.infomigrants.net/en/post/29741/i-m-certain-that-people-have-died-here-german-doctor-talks-about-his-e
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