• Il decreto immigrazione cancellerà lo Sprar, «sistema modello» di accoglienza

    Le scelte del governo: stretta su rifugiati e nuove cittadinanze. Vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri. Permessi umanitari cancellati. Hotspot chiusi per 30 giorni anche i richiedenti asilo.

    Permessi umanitari cancellati. Stretta su rifugiati e nuove cittadinanze. Vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri. Possibilità di chiudere negli hotspot per 30 giorni anche i richiedenti asilo. Trattenimento massimo nei centri prolungato da 90 a 180 giorni. E poi addio alla rete Sprar. I 17 articoli e 4 capi dell’ultima bozza del decreto migranti, che il governo si prepara a varare, promettono di ridisegnare il volto del «pianeta immigrazione». Soprattutto sul fronte accoglienza, abrogando di fatto un modello, quello dello Sprar, che coinvolge oggi oltre 400 comuni ed è considerato un modello in Europa.

    A denunciarlo è l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): «Cancellare l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona appare come uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni, destinato in caso di attuazione a produrre enormi conseguenze negative in tutta Italia, tanto nelle grandi città che nei piccoli centri, al Nord come al Sud».

    Ventitremila migranti accolti. «Lo Sprar - spiega a Repubblica Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Asgi - è un sistema di accoglienza e protezione sia dei richiedenti asilo che dei titolari di protezione internazionale e umanitaria nato nel lontano 2002 con le modifiche al testo unico immigrazione della cosiddetta Bossi-Fini. Nei sedici anni della sua esistenza lo Sprar si è enormemente rafforzato passando da alcune decine di comuni coinvolti e meno di duemila posti di accoglienza nel 2002, ai circa ventitremila posti attuali con coinvolgimento di oltre 400 comuni».

    Un modello in Europa. «In ragione dei suoi successi nel gestire l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in modo ordinato con capacità di coinvolgimento dei territori, lo Sprar è sempre stato considerato da tutti i governi di qualunque colore politico il fiore all’occhiello del sistema italiano, da presentare in Europa in tutti gli incontri istituzionali, anche per attenuare agli occhi degli interlocutori, le gravi carenze generali dell’Italia nella gestione dei migranti».

    Il ruolo centrale dei comuni. «Il presupposto giuridico su cui si fonda lo Sprar è tanto chiaro quanto aderente al nostro impianto costituzionale: nella gestione degli arrivi e dell’accoglienza dei migranti allo Stato spettano gli aspetti che richiedono una gestione unitaria (salvataggio, arrivi e prima accoglienza, piano di distribuzione, definizione di standard uniformi), ma una volta che il migrante ha formalizzato la sua domanda di asilo la gestione effettiva dei servizi di accoglienza, protezione sociale, orientamento legale e integrazione non spetta più allo Stato, che non ha le competenze e l’articolazione amministrativa per farlo in modo adeguato, ma va assicurata (con finanziamenti statali) dalle amministrazioni locali, alle quali spettano in generale tutte le funzioni amministrative in materia di servizi socio-assistenziali nei confronti tanto della popolazione italiana che di quella straniera».
    Il business dei grandi centri. «Lo Sprar (gestito oggi da Comuni di centrosinistra come di centrodestra) ha assicurato ovunque una gestione dell’accoglienza concertata con i territori, con numeri contenuti e assenza di grandi concentrazioni, secondo il principio dell’accoglienza diffusa, di buona qualità e orientata ad inserire quanto prima il richiedente asilo nel tessuto sociale. Inoltre lo Sprar ha assicurato un ferreo controllo della spesa pubblica grazie a una struttura amministrativa centrale di coordinamento e all’applicazione del principio della rendicontazione in base alla quale non sono ammessi margini di guadagno per gli enti (associazioni e cooperative) che gestiscono i servizi loro affidati. Invece, da oltre un decennio, il parallelo sistema di accoglienza a diretta gestione statale-prefettizia, salvo isolati casi virtuosi, sprofonda nel caos producendo un’accoglienza di bassa o persino bassissima qualità con costi elevati, scarsi controlli e profonde infiltrazioni della malavita organizzata che ha ben fiutato il potenziale business rappresentato dalla gestione delle grandi strutture (come caserme dismesse, ex aeroporti militari) al riparo dai fastidiosi controlli sulla spesa e sulla qualità presenti nello Sprar».

    La fine dello Sprar. «Cancellare l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona appare come uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni. Che ne sarà di quelle piccole e funzionanti strutture di accoglienza già esistenti e delle migliaia di operatori sociali, quasi tutti giovani, che con professionalità, lavorano nello Sprar? Qualcuno potrebbe furbescamente sostenere che in fondo lo Sprar non verrebbe interamente abrogato ma trasformato in un sistema di accoglienza dei soli rifugiati e non più anche dei richiedenti asilo i quali rimarrebbero confinati nei centri governativi. È una spiegazione falsa, che omette di dire che proprio la sua caratteristica di sistema unico di accoglienza sia dei richiedenti che dei rifugiati dentro un’unica logica di gestione territoriale è ciò che ha reso lo Sprar un sistema efficiente e razionale. Senza questa unità non rimane più nulla».

    https://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2018/09/21/news/migrazioni-206997314/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.4-T1
    #sprar (fin de -) #réfugiés #accueil #migrations #asile #Italie #hébergement #hotspot #décret #détention_administrative #rétention #protection_humanitaire #politique_d'asile #hotspots #it_has_begun #decreto_Salvini

    via @isskein

    • Publié sur la page FB de Filippo Furri :

      « Mi permetto di riprendere il commento della splendida Rosanna Marcato che è stata uno degli attori fondamentali di un percorso di sviluppo e crescita di un modello di accoglienza innovativo, che è alle fondamenta del mio lungo lavoro di ricerca sulla nozione di CITTà RIFUGIO : le città, le comunità locali, dove può realizzarsi la solidarietà concreta e reciproca, sono e devono rimanere luoghi di resistenza ai poteri fascisti che si diffondono dovunque, alla paranoia identitaria costruita a tavolino e iniettata nei cervelli e negli spiriti di spettatori impauriti e paranoici. lo SPRAR nasceva da forme di azione sperimentale «dal basso» e solidale (antifascista, antirazzista), che i governi autoritari e fascisti detestano e combattono.

      «L 11 settembre 2001 Venezia tra le prime città italiane ha dato il via ad un sistema di accoglienza (pna) che si è poi trasformato nello SPRAR. Era il frutto di esperienze di accoglienza, di saperi professionali e della volontà di costruire un sistema di accoglienza territoriale stabile e moderno. Un servizio sociale a tutti gli effetti con regole certe e rendicontazioni esatte e controllabili. Molte delle regole, degli strumenti e delle metodologie di lavoro che ancora funzionano furono elaborati da questa città e dal servizio che dirigevo. 27 anni di lavoro buttati nel cesso. Siate maledetti voi e anche quelli di prima che ci hanno ficcato in questa situazione di merda»

    • Immigrazione, Andrea Maestri: “Nel decreto Salvini tradisce il contratto di governo”

      Andrea Maestri critica il decreto Immigrazione: “Fino a oggi lo Sprar rappresentava un modello pubblico e trasparente nella gestione delle risorse. Chi adesso non rientra nel sistema Sprar non sparisce magicamente dal territorio. E quindi finirà nei Centri d’accoglienza straordinari, i Cas, che sono tutti privati”.

      Dopo aver licenziato l’atteso Dl Immigrazione, il ministro degli Interni Matteo Salvini, a proposito del futuro degli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e del ridimensionamento di questi centri in favore dei Cas, ha dichiarato: «Il rischio è inesistente, anche qui viene messo ordine in un sistema. Da quando sono ministro abbiamo ridotto di circa 20 mila unità le presenze in tutti questi tipi di strutture. Coloro che sono nel giusto come amministratori locali e come profughi non hanno nulla a che temere da questo provvedimento». In conferenza stampa il ministro degli Interni ha spiegato che il sistema Sprar continua a sopravvivere «limitatamente ai casi di protezione internazionale e dei minori non accompagnati». Ma stanno davvero così le cose? Ne abbiamo parlato con Andrea Maestri, della segreteria nazionale di Possibile.

      Nel contratto di governo si parlava di una diminuzione della capacità d’azione dei privati nella gestione dell’accoglienza. Con questo decreto la promessa non è stata mantenuta.

      Assolutamente no. Credo che qualunque osservatore attento non possa che gridare allo scandalo per questo gravissimo inadempimento, nei confronti soprattutto dei cittadini che hanno creduto nella buona fede di chi ha firmato il contratto di governo. Secondo quel contratto sembrava si volesse puntare sul modello pubblico e diffuso. E’ in corso al contrario una privatizzazione hard del sistema dell’accoglienza. Fino a oggi lo Sprar, anche se in modo minoritario, coinvolgendo gli enti locali, rappresentava un modello pubblico e trasparente nella gestione delle risorse, che venivano rendicontate. Nel momento in cui diventa uno strumento ulteriormente residuale, perché si rivolge solo a coloro che hanno già ottenuto la protezione internazionale – si parla appunto solo dei ‘titolari’, non più di richiedenti asilo che hanno fatto domanda – comincia a riguardare solo un numero ridotto di persone. Ma chi non rientra nel sistema Sprar non sparisce magicamente dal territorio, e quindi bisognerà trovargli un’altra collocazione: cioè nei Centri d’accoglienza straordinari, i Cas, che sono appunto tutti privati, gestiti dalle prefetture, ognuna con modalità diverse di scelta del contraente, con modalità di rendicontazione a macchia di leopardo.

      Ma Salvini sostiene l’opposto, cioè che questo rischio è inesistente.

      Se avesse ragione Salvini aumenterebbe il numero di persone che vivono per strada in una condizione di fragilità sociale umana ed esistenziale: se questi migranti non vengono accolti dai Comuni all’interno degli Sprar, se non se ne occupano le prefetture attarverso gli appaltatori privati all’interno dei Cas, vorrà dire che saranno in giro. Sono persone prive di documenti, che non possono fare contratti regolari di locazione, e nemmeno condividere contratti di locazione con altri. E questo sì che farà aumentare l’irregolarità e la criminalità organizzata e disorganizzata. Con un’unica conseguenza: aumenterà la percezione di insicurezza diffusa.

      Nel testo definitivo, all’articolo 2 è confermata la norma sugli appalti per i lavori nei centri, che possono essere affidati senza previa pubblicazione del bando di gara. E’ in linea con la Costituzione?

      C’è questa norma, ma con alcuni ritocchi. In pratica la procedura negoziata, senza previa pubblicazione di un bando pubblico, può essere fatta per gli appalti sotto soglia comunitaria. Ma se si considera che la soglia comunitaria per lavori, dal primo gennaio 2018 è di circa 5 milioni e mezzo di euro, è evidente che con quella somma più che un Cas si può fare un vero e proprio carcere. Sono importi molto elevati che consentono al governo di fare procedure negoziate, limitando il confronto concorrenziale solo a 5 ditte scelte discrezionalmente dall’amministrazione. Qui c’è una lesione del principio di trasparenza e di concorrenza. Poi hanno scritto che verranno rispettati alcuni criteri, come quello di rotazione, però la sostanza rimane. L’articolo 63 del codice degli Appalti dovrebbe essere limitato a casi del tutto eccezionali: ad esempio una data amministrazione può avere l’interesse a trattare con un determinato soggetto se vuole commissionargli un’opera d’arte per una piazza pubblica; oppure sono previsti casi straordinari d’urgenza, in cui è ammissibile una deroga del genere. Ma non siamo in nessuno di questi due campi. Il governo per i prossimi tre anni sta stabilendo una procedura in deroga alle norme dell’evidenza pubblica. E’ piuttosto grave che si apra una parentesi del genere per un lasso così lungo di tempo. La prima bozza che era circolata negli ambienti dell’Anci, era spudorata, un colpo allo stomaco. Poi ci sarà stato un intervento da parte forse degli uffici ministeriali di Palazzo Chigi, o da parte dello stesso Presidente della Repubblica, che probabilmente hanno limitato un po’ il danno. Ma rimane uno degli aspetti più discutibili e negativi dell’intero provvedimento, perché è proprio uno di quegli ambiti su cui Salvini ha fatto sempre propaganda, contestando il modello del Cara di Mineo. Qui si sta dicendo che il ministero sta prospettando appalti senza evidenza publica. E la Corte Costituzionale se sarà chiamata a intervenire non mancherà di censurare quest’aspetto.

      Dal momento che il testo prevede il raddoppio dei tempi di trattenimento nei Cpr, da 90 a 180 giorni, vuol dire che ne serviranno di più? Qual è la ratio?

      E’ tutto collegato, c’è una coerenza, negativa ovviamente. Nel momento in cui tu trasformi lo Sprar, e lo snaturi, visto che non si tratta più di un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo, ma solo per i rifugiati, avremo sempre più persone disperse nel territorio, o nei Cas. E quindi viene privilegiata una gestione emergenziale. Questo farà aumentare il numero delle persone espulse dal sistema, ma non dal territorio. Ci saranno sempre più persone irregolari, e quindi una maggiore necessità di Cpr. Quelli attuali sicuramente non basteranno, quindi se ne dovranno fare degli altri. Per alimentare la narrazione emergenziale si dirà che bisogna fare in fretta, e da qui proviene il vincolo dei tre anni per la deroga per i bandi di gara per le imprese. Quando costruiranno un nuovo centro sarà a quel punto interessante vedere quali aziende verranno chiamate a concorrere, e con quali criteri. Questa è l’economia dell’emergenza, che si deve autoalimentare non solo nella propaganda, ma anche nella sostanza.

      Cosa ne pensa del permesso di soggiorno per atti di valore civile?

      Siamo alla banalità del male. Togliendo la protezione umanitaria come istituto generale, tantissime persone che ricadevano in zone grigie, non facilmente ascrivibili ad una categoria giuridica, ma che rientravano comunque in quell’ambito di tutela ampia dei diritti umani fondamentali, si trovano adesso in difficoltà. E mi riferisco soprattutto a quelle persone vulnerabili, che arrivano in Italia deprivati, fisicamente e moralmente, dopo aver attraversato per esempio l’inferno libico. Adesso per loro non ci sarà più nessuna tutela. Ci sono al loro posto queste sei categorie molto rigide che lasciano poco spazio all’attenzione di cui necessitano invece alcuni casi particolari. Un po’ per caso, come in una lotteria, se uno è in una condizione di irregolarità, ma gli capita di salvare una persona durante un incidente stradale da una macchina in fiamme, o ipotizziamo, con un po’ di fantasia, se quest’immigrato salvasse il ministro Salvini che annaspa in mare, potrebbe ottenere il permesso di soggiorno in virtù della sua azione di valore civile. Mi sembrano delle restrizioni cieche e ottuse che non migliorano minimamente lo stato delle cose. Perché la via maestra sarebbe una riforma organica del testo unico sull’immigrazione, che rendesse trasparenti e legali i canali di ingresso in Italia. Sarebbe fortemente depotenziato il canale della protezione internazionale, che ovviamente è sotto pressione perché non esiste altro modo per entrare in Italia legalmente. Ma ovviamente questo decreto crea un consenso molto più immediato.

      https://www.fanpage.it/immigrazione-maestri-nel-decreto-salvini-tradisce-il-contratto-di-governo

    • Cosa prevede il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza

      Il 24 settembre il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto decreto Salvini su immigrazione e sicurezza. Il decreto si compone di tre titoli: il primo si occupa di riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata; e l’ultimo di amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.

      Nei giorni precedenti all’approvazione si erano diffuse delle voci su possibili dissidi tra i due partiti di maggioranza, Lega e Movimento 5 stelle, ma il ministro dell’interno Matteo Salvini durante la conferenza stampa a palazzo Chigi ha voluto sottolineare che i cinquestelle hanno approvato senza riserve il suo progetto di riforma.

      All’inizio i decreti avrebbero dovuto essere due: il primo sull’immigrazione e il secondo sulla sicurezza e sui beni confiscati alle mafie, poi nel corso dell’ultima settimana sono state fatte delle “limature” e i due decreti sono stati accorpati in un unico provvedimento. Il decreto dovrà ora essere inviato al presidente della repubblica Sergio Mattarella che a sua volta deve autorizzare che la norma sia presentata alle camere. Ecco in sintesi cosa prevede.

      Abolizione della protezione umanitaria. Il primo articolo contiene nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevede di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari che era prevista dal Testo unico sull’immigrazione. Oggi la legge prevede che la questura conceda un permesso di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure alle persone che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea.

      La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione nel loro paese (articolo 19 della legge sull’immigrazione) o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. In questi casi il permesso ha caratteristiche differenti. La durata è variabile da sei mesi a due anni ed è rinnovabile. Questa tutela è stata introdotta in Italia nel 1998.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/09/24/decreto-salvini-immigrazione-e-sicurezza

    • Italy: The security decree that makes everyone more insecure

      JRS Italy (Centro Astalli) is concerned about the effects that the new measures introduced by the ’Salvini decree’ on migration and security – unanimously approved on the 24th of September by the Italian Council of Ministers – will have on the lives of migrants and on the social cohesion of the whole country.

      The combination of the Security Decree and the Immigration Decree in a single piece of legislation is misleading as it associates security issues, such as organised crime and terrorism, with the issue of managing migration, in particular forced migration. This is particularly wrong knowing that a completely different legislative approach is needed to deal with migration challenges, particularly in terms of programmes, general management and migrants’ integration.

      For JRS Italy, the reform of the Protection System for Asylum Seekers and Refugees (SPRAR) foreseen by the decree represent a fundamental step back for the Italian reception system. By excluding applicants for international protection from this type of reception the reform is in clear contradiction with the principle that a successful integration process starts from the first reception, as the current Integration Plan for refugees of the Italian Ministry of the Interior also states.

      The SPRAR, recognized as a qualitative system also by international observers, is therefore cut down, despite being the only reception system that guarantees maximum transparency in the management of resources. At the same time, the large collective centres for asylum seekers are strengthened even though the experience on the ground largely shows that, also due to the lack of involvement of local administrations, establishing such centres often encounters resistance and generates social tensions.

      According to Camillo Ripamonti SJ, JRS Italy’s president, “It is a step backwards that does not take into account on the one hand the lives and stories of the people, and on the other hand the work that for decades many humanitarian organizations and civil society have done in close collaboration with the institutions - in particular with local authorities”.

      “Criminalising migrants” – Ripamonti concludes – “is not the right way to deal with the presence of foreign citizens in Italy. Enlarging grey zones that are not regulated by law and making legal procedures less accessible and more complicated, contributes to make our country less secure and more fragile."

      http://jrseurope.org/news_detail?TN=NEWS-20180925084854

    • Decreto Salvini, Mattarella firma ma ricorda a Conte gli obblighi fissati dalla Costituzione

      Il provvedimento è quello che riguarda sicurezza e immigrazione. Il presidente della Repubblica invia al premier una lettera in cui richiama l’articolo 10 della Carta. La replica di Salvini: «ciapa lì e porta a cà». Polemica dei medici sulla norma per i presidi sanitari

      https://www.repubblica.it/politica/2018/10/04/news/dl_sicurezza_mattarella_firma_lettera_a_conte_obblighi_costituzione-20814

    • “I grandi centri di accoglienza vanno superati”. Anzi no. Se Salvini contraddice se stesso

      Ad agosto il ministero dell’Interno ha trasmesso al Parlamento una relazione molto dura sul modello straordinario dei Cas, presentati come “luoghi difficili da gestire e da vivere che attirano gli interessi criminali”. Proponendo l’alternativa dello SPRAR. Ma nonostante le evidenze e gli elogi per il sistema di protezione diffuso, il “decreto immigrazione” va nella direzione opposta.

      grandi centri di accoglienza in Italia sono “luoghi difficili da gestire e da vivere”, producono “effetti negativi oltre che nell’impatto con le collettività locali anche sull’efficienza dei servizi forniti ai migranti”, e per il loro “rilevante onere finanziario” rappresentano una “fonte di attrazione per gli interessi criminali”. Per questo è necessario un loro “alleggerimento progressivo” puntando sulle “progettualità SPRAR” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), autentico “ponte necessario all’inclusione e punto di riferimento per le reti territoriali di sostegno”. Garanzia di “processi più solidi e più facili di integrazione”.

      Recita così la “Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all’eccezionale afflusso di stranieri nel territorio nazionale”, relativa al 2017, trasmessa alla Camera dei deputati il 14 agosto di quest’anno e presentata da un ministro che sostiene pubblicamente il contrario: Matteo Salvini.

      Ad agosto, in quella relazione, il titolare dell’Interno ha infatti riconosciuto come nel circuito SPRAR, “oltre al vitto e alloggio”, venga “garantito ai richiedenti asilo un percorso qualificato, finalizzato alla conquista dell’autonomia individuale” grazie alla “realizzazione di progetti territoriali di accoglienza”. Un modello da promuovere per merito delle “qualità dei servizi resi ai beneficiari che non si limitano ad interventi materiali di base (vitto e alloggio) ma assicurano una serie di attività funzionali alla riconquista dell’autonomia individuale, come l’insegnamento della lingua italiana, la formazione e la qualificazione professionale, l’orientamento legale, l’accesso ai servizi del territorio, l’orientamento e l’inserimento lavorativo, abitativo e sociale, oltre che la tutela psico socio-sanitaria”. Ma ancora nel 2017, su 183.681 migranti ospitati nelle strutture temporanee, hotspot, centri di prima accoglienza e SPRAR, appena 24.471 occupavano l’accoglienza virtuosa del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Da lì la corretta intenzione di alleggerire i grandi centri a favore dell’approccio diffuso e integrato.

      Poi però il governo ha smentito se stesso: nonostante le riconosciute qualità dello SPRAR, l’esecutivo ha messo mano alla materia attraverso il recente decreto legge su immigrazione e sicurezza (Dl 113), licenziato dal governo ed emanato dal Capo dello Stato a inizio ottobre, puntando in direzione opposta. In quella che Gianfranco Schiavone, vice presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, ha definito la “destrutturazione del sistema di accoglienza”.

      L’articolo 12 del “decreto Salvini”, infatti, trasforma l’attuale SPRAR in un sistema per soli titolari di protezione internazionale, un terzo degli attuali accolti, tagliando fuori così i richiedenti asilo, i beneficiari di protezione umanitaria (sostanzialmente abrogata) e coloro che avessero fatto ricorso contro la decisione di diniego delle Commissioni territoriali sulla loro domanda. Per gli esclusi si apriranno le porte degli attuali centri governativi di prima accoglienza o dei centri di accoglienza straordinaria (CAS), proprio quelli di cui la relazione presentata dal ministro Salvini, poche settimane prima, auspicava il superamento.
      “La riforma pare fotografare la realtà della prassi precedente al decreto legge -ha evidenziato l’ASGI in un documento che mette in fila i profili di manifesta illegittimità costituzionale del decreto-. I CAS sono il ‘non’ sistema di accoglienza per la generalità dei richiedenti asilo, in violazione della Direttiva Ue sull’accoglienza che consente simili riduzioni di standard soltanto per periodi temporanei e per eventi imprevedibili, mentre le strutture dello SPRAR sono sempre più riservate a minori (non sempre), a titolari di protezione internazionale e spesso a chi si trova in condizioni (spesso familiari) disperate”.

      Non solo. Come ha ricordato l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), il 43% degli accolti nello SPRAR “ha concluso positivamente il proprio percorso di accoglienza ed ha raggiunto uno stato di autonomia, e un ulteriore 31% ha acquisito gli strumenti indispensabili per ‘camminare sulle proprie gambe’”. “Lo SPRAR riesce a rendere autonome le persone in un lasso di tempo indubbiamente inferiore rispetto a ciò che accade nei CAS. Nello SPRAR il tempo medio di permanenza è infatti di 6 mesi, questo significa che in un posto SPRAR vengono mediamente accolte all’anno 2 persone. Nei Comuni dove esiste un progetto SPRAR, i costi economici e sociali subiscono una notevole flessione”. Motivo per cui a metà ottobre l’ANCI ha presentato alcuni emendamenti in vista dell’iter parlamentare che porterà alla conversione del decreto. Uno di questi chiede proprio di consentire l’accesso dei “richiedenti asilo vulnerabili (compresi nuclei familiari con figli minori) all’interno dei progetti SPRAR, per evitare che ricadano, inevitabilmente, sui bilanci dei Comuni e delle Regioni i costi dei servizi socio-sanitari che sarà in ogni caso necessario erogare senza poter accedere ad alcun rimborso da parte dello Stato (stimati circa 286 milioni di euro annui”.

      Posto di fronte alla contraddizione tra la relazione di agosto e il decreto di ottobre, il ministero dell’Interno ha fatto sapere ad Altreconomia che la Relazione non è altro che un “adempimento richiesto dalla normativa” e che questa “si riferisce, nel merito, al periodo cui la stessa fa riferimento”. Come se nell’arco di otto mesi lo SPRAR fosse cambiato.

      Ed ecco quindi che il “ponte necessario all’inclusione” è diventato la “pacchia” da interrompere: la graduatoria dei progetti avanzati dagli enti locali ed esaminati dal Viminale, per ulteriori 3.500 posti da aggiungersi ai 32mila attualmente finanziati, di cui era prevista la pubblicazione a luglio 2018, non ha mai visto la luce. E le nuove richieste di adesione al Sistema da parte dei territori -altri 2.500 nuovi posti- non sono state nemmeno prese in considerazione. Il risultato è che 6mila potenziali nuovi posti SPRAR sono stati “sacrificati” sull’altare della linea Salvini. Quella di ottobre, però, non quella di agosto.

      https://altreconomia.it/decreto-salvini-cas

    • Beyond closed ports: the new Italian Decree-Law on Immigration and Security

      In the past months, Italian migration policies have been in the spotlight with regard to the deterrence measures adopted to prevent sea arrivals of migrants. After the closure of ports to vessels transporting migrants and the reduction of search and rescue operations at sea, the government adopted a restrictive approach to the internal norms, reforming the architecture of the Italian system of protection.

      On 24 September 2018, the Italian Council of Ministers unanimously adopted a new Decree-Law on Immigration and Security. Strongly endorsed by the Minister of the Interior Matteo Salvini, the final text of the Decree contains ‘urgent measures’ on international protection and immigration, as well as on public security, prevention of terrorism and organised crime. Following the approval of the President of Republic, the bill has come into force on October 5. The future of the Decree now lays in the hands of the Parliament, which will have to transpose it into law within sixty days of its publication or it will retrospectively lose its effect.

      The securitarian approach adopted sparked strong criticism within civil society and the President of the Republic himself accompanied his signature with an accompanying letter addressed to the President of the Council, reminding that all ‘constitutional and international obligations’ assumed by Italy remain binding, even if there is no explicit reference to them in the Decree. This blog post provides an overview of the first two Chapters of the Decree-Law, dedicated to immigration and asylum. It will further analyze their impact on the rights of protection seekers and their compatibility with European law, International law as well as the Italian Constitution.

      1. Provisions on humanitarian residence permits and fight against irregular migration

      1.1 The abrogation of ‘humanitarian protection’

      The main change introduced by the first Chapter of the Decree-Law concerns what is commonly referred to as ‘humanitarian protection’, namely a residence permit issued to persons who are not eligible to refugee status or subsidiary protection but cannot be expelled from the country because of ‘serious reasons of humanitarian nature, or resulting from constitutional or international obligations of the State’ (art. 5(6) of the Consolidated Act on Immigration).

      The humanitarian residence permit was introduced as a safeguard clause in the Italian legislation, complementing international protection within the meaning of article 10 paragraph 3 of the Constitution, which stipulates that: ‘[a] foreigner who, in his home country, is denied the actual exercise of the democratic freedoms guaranteed by the Italian Constitution shall be entitled to the right of asylum under the conditions established by law.’ The important role of ‘humanitarian protection’ has been further clarified by the Italian highest court (Court of Cassation), which stated that the right to be issued a humanitarian permit, together with refugee status and subsidiary protection, constitutes a fundamental part of the right of asylum enshrined in the Constitution (see for example judgement 22111/2014).

      In practice, humanitarian residence permits were a ‘flexible instrument’ which could cover several circumstances emerging from forced displacement where there was no sufficient evidence of an individual risk of persecution or serious harm. As explained by the Court of Cassation, prior to the entry into force of the Decree, humanitarian protection was granted to persons suffering from an ‘effective deprivation of human rights’ upon the fulfilment of two interrelated conditions: the ‘objective situation in the country of origin of the applicant’ and ‘the applicant’s personal condition that determined the reason for departure’ (see judgement 4455/2018). The Court further presented as possible example of human rights deprivation the situation of a person coming from a country where the political or environmental situation exposes her to extreme destitution and does not allow her to attain a minimum standard of dignified existence. As noted by the Court, the definition of environmental issues does not only contain natural disasters but it may also include non-contingent events, such as droughts or famines, which deprive the person from having a basic livelihood.

      However, as already mentioned, the grounds for obtaining humanitarian protection were relatively open and could be adjusted to other situations entailing a deprivation of basic human rights, such as the inability of the country of origin to protect the right to health of applicants affected by serious conditions, or the family situation of the applicant interpreted in light of article 8 of the European Convention on Human Rights. Also, the level of social integration reached by an applicant during her stay in Italy, together with the situation of poverty or instability in the country of origin, were also to be considered as a ground to grant humanitarian protection.

      By radically transforming article 5(6) and severely restricting the possibility for rejected asylum applicants to be granted residence permits in light of constitutional and international obligations or for humanitarian reasons, article 1 of the Decree-Law substantially abrogates ‘humanitarian protection’. Instead, the Decree provides for the creation of a ‘special protection’ residence permit, which can be issued only to those persons who cannot be expelled due to the non-refoulement obligations defined in article 19 of the Consolidated Act on Immigration unless the applicant can be returned to a country where she could receive ‘equivalent protection’.

      The first article of the Decree-Law further creates new residence permits that can be granted in restricted ‘special cases’, as for example: persons affected by ‘exceptionally serious’ medical conditions; persons who cannot return to their home countries due to ‘exceptional natural disasters’; and persons who have carried out ‘exceptional civil acts’. The Decree, however, does not modify the grounds for granting special residence permits to victims of trafficking, violence or labour exploitation, as already provided for in arts. 18 and 18-bis of the Consolidated Act on Immigration.

      The new Decree reduces not only the scope of protection and the number of potential beneficiaries but also the duration of the stay for third-country nationals falling into the above-mentioned ‘special’ categories. Whilst persons granted the ‘humanitarian’ status were provided with a two-year renewable residence permit, the permits issued in the new ‘special cases’ allow residence in Italy for shorter periods: six months for exceptional natural disasters or violence and one year in the other for ‘special protection’, ‘medical reasons’ and other ‘special cases’. Such permits are renewable and allow the holder to work but – differently from the humanitarian residence permit – they cannot be converted into a work permit when the circumstances for which they were issued cease to exist. Only in the event that the foreigner has accomplished exceptional civil acts, whose nature is not further specified, the person – at the discretion the Minister of the Interior – can be issued a residence permit lasting two years.

      A final important amendment contained in article 1 of the Decree is related to those persons who are already beneficiaries of humanitarian residence permits at the time in which the Decree enters into force: their permits will not be renewable anymore on humanitarian grounds, even if the circumstances for which the permit was granted in the first place still exist. Therefore, unless the beneficiary is granted a conversion of her humanitarian permit into a work or study permit, or she falls under the new special cases listed in the decree law, she will find herself in an irregular situation and will risk being returned.

      The abrogation of the ‘humanitarian’ residence permit is of particular concern as, since its creation in 1998, it has been an important legal instrument allowing to protect and regularise all third-country nationals who could not be returned to a third country. Suffice it to say that, in 2017 only, Italy has granted 20,166 residence permits on ‘humanitarian’ grounds, whereas only 6,827 persons were granted asylum and 6,880 subsidiary protection. To counter this trend, last July, the Minister of the Interior had already sent a letter to all administrative authorities involved in the asylum procedure, requesting them to adopt a stricter approach when granting protection on humanitarian grounds. Such decision has been justified with the rationale of conforming Italy to European standards, which do not provide for this third form of protection. Arguably, even if humanitarian protection is not harmonised at the EU level under the Qualification Directive, there are obligations imposed on all Member States by international refugee law and human rights law that prevent them from returning third-country nationals under certain circumstances. Looking at the practice of EU-28 Member States, in the course of 2017, 63 thousand asylum seekers were given authorisation to stay for humanitarian reasons under national law. This number could be even higher as it only encompasses first instance decisions for those persons who have been previously reported as asylum applicants, and does not take into account those who have been granted a permission to stay for humanitarian reasons without having lodged an asylum application.

      Moreover, the abrogation of humanitarian protection is likely to open a protection gap under article 10 paragraph 3 of the Italian Constitution. As noted by the Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI), the substitution of humanitarian protection with a restricted list of ‘special’ residence permits, means that the right to asylum set out by the Constitution is ‘no longer fully implemented by the legislator’. This could open the possibility to bring legal actions to ascertain the right of asylum guaranteed by article 10 – which can be invoked directly in front of an ordinary court even in the absence of implementing legislation – or raise questions of constitutionality.

      1.2 Making returns more effective

      The second part of the first Chapter of the Decree-Law focuses on improving returns and facilitating the return of third-country nationals in an irregular situation. In order to achieve these objectives, article 2 of the Decree extends the maximum duration of the foreigner’s detention in return centres from 90 to 180 days. Article 4 further foresees that, in case the reception capacity of pre-removal centres is exhausted and prior to authorization of a judicial authority, foreigners may also be held in other ‘appropriate facilities’ and in border offices. In addition, article 3 of the new Decree-Law modifies the Decree Implementing the Reception Conditions Directive and the Procedures Directive (Decree-Law 18 August 2015, n. 142), by expanding grounds for detention in hotspots. Thus, foreigners who have been found in an irregular situation on the national territory or rescued during search and rescue operations at sea may be subject to detention in order to determine their identity and nationality. The maximum duration of detention is set to 30 days. In case it is impossible to verify such information, the person concerned can be transferred in a return center for a maximum of 180 days. Finally, article 6 increments the funding for returns, providing for the re-allocation of 3,5 million euros between 2018 and 2020. These funds – originally provided for assisted voluntary return and reintegration – will now be allocated to facilitate not further described ‘return measures’.

      Even if the possibility to detain applicants for international protection in order to ascertain their identity and nationality is provided for in the Reception Conditions Directive, deprivation of liberty in such cases could be inconsistent with international refugee law read in conjunction with the Italian Constitution. According to ASGI, provisions connected to the deprivation of liberty in order to verify the identity and nationality are in violation of article 31 of the 1951 Geneva Convention and of article 13 of the Italian Constitution. In fact, since it is common to almost all asylum seekers not to possess valid documents proving their identity, such circumstances would not be proportionate to the ‘conditions of necessity and urgency’ required by article 13 of the Constitution to deprive someone of their liberty without judicial authorization. That been said, the debate on the lack of documentation to prove asylum seekers’ identity is likely to be of interest in the near future, as it is also fuelled by the European Commission recent proposal for a recast of the Return Directive, where the lack of documentation is included among the criteria establishing the existence of a risk of absconding to avoid return procedures.

      2. Provisions on international protection

      2.1 Provisions on asylum seekers who committed serious crimes

      The second chapter of the new Decree reforms, with a restrictive turn, the rules on the revocation of and exclusion from international protection. Article 7 extends the list of crimes that, in case of final conviction amount to the exclusion from or to the revocation of international protection. These include: production, trafficking and possession of drugs; injuries or threats made to officers in performance of their duties; serious personal injury offence; female genital mutilation; robbery, extortion, burglary and theft, if compounded by the possession of weapons or drugs; slavery; exploitation of child prostitution.

      Furthermore, article 10 of the new Decree introduces an accelerated procedure in the event that an asylum seeker is convicted – even prior to a final sentence – for one of the above-mentioned criminal offences and for the other serious crimes amounting to the exclusion from international protection already provided for in articles 12 and 16 Decree 251/2017. Thus, when the applicant is convicted in first instance, the Territorial Commissions for the Recognition of International Protection has to immediately examine the asylum claim and take a decision. In case the decision of the Commission rejects the request for international protection, the applicant is required to leave the country, even if the person concerned lodges an appeal against the asylum decision.

      The Decree Law, by abrogating the suspensive effect of the appeal for a person who has been convicted in first instance arguably goes against article 27 of the Italian Constitution, which considers the defendant not guilty ‘until a final sentence has been passed.’ Moreover, pursuant Article 45 Asylum Procedure Directive, as a general rule Member States shall allow applicants to remain in the territory pending the outcome of the remedy. An exception might be allowed under article 46(6)(a) of the Asylum Procedures Directive, if the application is determined to be unfounded on grounds that the applicant is ‘for serious reasons’ considered to be a danger to the national security or public order of the Member State. However, article 46(6) also stipulates that even in such case there is no automatism and the decision whether or not the applicant may remain on the territory of the Member State should be taken by a court or tribunal. Therefore, insofar as the Decree provides for the automatic return of rejected asylum seekers pending an appeal, without a judicial decision authorising their removal, it is incompatible with the right to an effective remedy provided for by the Procedures Directive and enshrined in article 47 of the EU Charter of Fundamental Rights.

      In any instance, the return of a person – regardless of the fact that she may have committed a crime – cannot be performed when the individual concerned is at risk of refoulement as defined by article 3 of the European Convention on Human Rights and Article 19 of the Charter of Fundamental Rights. As follows from the jurisprudence of the European Court of Human Rights (ECtHR), the prohibition of non-refoulement has an absolute character. The conduct of the person is irrelevant and even the involvement in serious crimes, such as terrorism, does not affect the prohibition to return individuals to states in which they faced a risk of torture, inhuman or degrading treatment (see ECtHR judgements in Saadi, Chahal, and Soering).

      2.2 Provisions on subsequent applications and border procedures

      Article 9 of the Decree implements into Italian legislation some restrictive provisions on subsequent applications that are allowed under the Asylum Procedures Directive (APD) but that had so far been regulated in a more favourable manner.

      First of all, the Decree provides for new grounds of exclusion from the right to remain in the Italian territory, following almost verbatim the exception from the right to remain contained in article 41 of the APD. This includes all persons who have lodged a first subsequent application merely in order to delay or frustrate the enforcement of a decision which would result in their imminent removal, or make another subsequent application after their first subsequent application has been considered inadmissible or unfounded.

      Secondly, article 9 establishes new rules on accelerated procedures for applicants who have introduced a subsequent application for international protection without new elements or findings supporting their claim. In case that the applicant was stopped following an attempt to elude border controls, this procedure also applies in border or transit zones. This is a novelty in Italian law, that until now did not provide for the possibility of carrying out the evaluation of an asylum claim at the border. According to the explanatory note to the Decree, this amendment follows the rationale of article 31(8)(g) APD. This article, however, provides for the possibility to apply accelerated and border procedure in case an application is lodged to avoid an earlier removal decision – which appears to be a stricter ground than the one provided for by the Italian decree.

      Also, the Decree sets out a new ground for the inadmissibility of an asylum application: a subsequent application is inadmissible if it is lodged to prevent the enforcement of a decision which would result in her imminent removal and it shall be dismissed without being further examined. This is not consistent with article 40 APD, which provides at least for a preliminary examination on the presence of new elements substantiating the asylum claim.

      Lastly, following the definitions of article 41 APD APD, the Decree limits the suspensive effect of appeals lodged in two circumstances. First, by all persons who have lodged a first subsequent application to delay the enforcement of a decision which would result in his or her imminent removal. Second, by asylum seekers whose application has been considered inadmissible as a subsequent application where no new elements or findings have arisen or have been presented by the applicant, whilst prior to the entry into force of the Decree-Law this only happened when an application was assessed as inadmissible for the second time.

      2.3 Reception conditions for asylum seekers

      One of the most discussed provisions of the Decree on immigration concerns the reception of asylum seekers, which undergoes substantive changes. The decree de facto abrogates the possibility for asylum seekers to access reception provided under the System for the Protection of Asylum Seekers and Refugees (SPRAR). The system, operated by local institutions, in cooperation with non-governmental and voluntary organizations, had not only the aim to provide basic reception but also to favour the social integration of asylum seekers and beneficiaries of protection. With the amendments introduced by article 12 of the new decree, only already recognized refugees and beneficiaries of subsidiary protection, as well as unaccompanied minors, will be granted accommodation within the SPRAR. Asylum seekers will, therefore, be only hosted in collective reception centres (CARA, CDA). In case of unavailability of places, applicants can also be hosted in temporary reception centres (CAS) where, according to the law, only basic levels of reception conditions have to be met.

      These amendments fail to take into account the pre-existent structure of the Italian reception system. As a matter of law, the SPRAR was the only durable solution provided for asylum seekers, while the other types of reception centres have been designed only for initial or temporary reception (see articles 9 and 11 of the Decree implementing the Reception Conditions Directive). Considering the length of asylum procedures in the country, asylum seekers will be left with no alternative than remaining for months (or in some cases even years) in facilities which are often inadequate in terms of both capacity and structural and safety conditions.

      This decision is of great concern as it is likely to put further strain on the Italian reception system, which already has a record of not providing an adequate standard of reception conditions to asylum applicants – as recognised in 2014 by the European Court of Human Rights. More recently, a Dutch court annulled a transfer to Italy pointing out that the new Decree raises questions about the structural deficiencies in the Italian reception system, in particular as it restricts access to adequate reception conditions to vulnerable asylum seekers.

      Final remarks

      Whilst the number of arrivals to Italy is at the lowest level registered in the past few years, the phenomenon of migration has reached the dimension of an emergency in the internal public debate, with the Decree-Law on Immigration and Security representing a major downturn in the architecture of the Italian system of protection.

      The implementation of further grounds for exclusion and withdrawal of protection, the reduction of procedural guarantees, and the general restrictive approach on the rights of migrants and asylum seekers adopted in the Decree generate serious concerns. Above all, some of the provisions contained in the Decree may entail a risk of violation of the principle of non–refoulement, which is not only a cornerstone of the international refugee regime but also a fundamental guarantee that protects all human beings from being subject to torture, inhuman or degrading treatment. What is more, some of the changes introduced with the Decree might have far-reaching practical consequences on the rights of the migrants who are already present or will arrive in the country. In particular, the repeal of ‘humanitarian’ residence permits, which have been widely used in the past years, is likely to have the unintended side-effect of increasing the number of migrants who will find themselves in an irregular situation. The new bill has been presented by the Interior Minister Matteo Salvini as ‘a step forward to make Italy safer’ – however it will arguably increase the number of cases of destitution, vulnerability, and exploitation.

      It remains to be seen whether the Parliament will confirm the text of the Decree when ultimately converting it into law. However, considering that the time for discussion is limited (60 days only) it is doubtful that the bill will undergo substantial improvement. Also, as the Decree has become one of the flagship measures of the current Government, it is unlikely that it will be repealed in toto. The choice itself of the Government to use a decree having force of law – rather than of the ordinary legislative procedure – does not seem to stem from a situation of ‘obvious necessity and urgency’ as provided for by the Constitution. Rather, it appears to be a shortcut to obtain immediate results on matters where it is difficult to achieve political consensus through democratic debate. Against this backdrop, the new bill on Immigration and Security – with questionable democratic legitimacy – restricts the rights of asylum seekers and people displaced, making protection increasingly inaccessible.

      http://eumigrationlawblog.eu/beyond-closed-ports-the-new-italian-decree-law-on-immigration-and

    • Decreto immigrazione, le brutte novità nascoste sotto la fiducia

      Il governo ha presentato in aula un “emendamento interamente sostitutivo” del testo finora discusso. La “sorpresa” sono elementi di gran lunga più restrittivi in tema di diritto d’asilo. Tra questi, la nozione di “Paesi di origine sicuri”, un “cavallo di Troia” per smontare il sistema della protezione internazionale, come denunciano studiosi dell’Asgi

      Con 163 voti a favore e 59 contrari, il 7 novembre il Senato della Repubblica ha approvato la fiducia al cosiddetto “decreto sicurezza e immigrazione” promosso in particolare dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il testo votato da Palazzo Madama e inviato alla Camera, però, è stato modificato rispetto all’originario attraverso un “emendamento interamente sostitutivo” del Ddl (il numero 1.900), sulla cui approvazione il Governo aveva appunto posto la questione di fiducia 24 ore prima. Non si è trattato di interventi meramente formali quanto invece profondamente sostanziali. Tanto da non lasciare praticamente più nulla del precedente sistema di asilo, incardinato al principio costituzionale che all’articolo 10 della Carta riconosce quella tutela allo “straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”.

      Le 28 pagine di modifiche e integrazioni avanzate dall’esecutivo, secondo Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, www.asgi.it), assumono infatti la forma di un “cavallo di Troia” -blindato dalla fiducia- utile a “introdurre novità di taglio iper restrittivo che nella prima versione del decreto non c’erano”. Creando così un provvedimento che è un “vero e proprio mostro”, senza peraltro dare troppo nell’occhio.
      Alla già nota abrogazione della protezione umanitaria, allo stravolgimento dell’ex Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), alle illegittimità costituzionali già evidenziate nelle scorse settimane dall’Asgi, si aggiungono nuovi elementi preoccupanti.

      Schiavone ha il testo del maxi emendamento del governo sotto mano e scorre alle introdotte “Disposizioni in materia di Paesi di origine sicuri e manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale”.
      Il primo punto riguarda i “Paesi di origine sicuri”, il caso cioè di uno “Stato non appartenente all’Unione europea” che stando al nuovo articolato potrà “essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione […] né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”.

      Per “accertare” che uno Stato sia o meno “di origine sicuro” ed eventualmente iscriverlo nell’elenco adottato per decreto dal ministro degli Esteri (“Di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia) ci si dovrà basare “sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo”. La domanda di protezione del richiedente proveniente da quel Paese verrà sì esaminata ma, se rigettata sarà “considerata manifestamente infondata”.

      “Dove è stata introdotta, la nozione di Paese di origine sicuro, che le direttive europee prevedono quale misura normativa solo facoltativa per gli Stati -riflette Schiavone- ha sempre prodotto gravissimi problemi poiché le domande di protezione sono per definizione individuali ovvero legate alla condizione specifica di un richiedente. Esaminare invece una domanda ritenendo già che un Paese di origine sia ‘sicuro’ crea una situazione di pregiudizio sostanziale nell’esame della domanda stessa e dà ampi margini per l’esercizio di un’influenza politica molto forte del potere esecutivo sull’organo di valutazione”. Ciò vale soprattutto per l’Italia oggi. Perché? “Perché chi stabilisce che il Paese di origine sia ‘sicuro’ sarà di fatto la Commissione nazionale per il diritto d’asilo, che non è organo amministrativo indipendente ed è fortemente connesso per composizione e struttura organizzativa al potere politico”. Tradotto: il Governo di turno potrà decidere che un Paese venga considerato di “origine sicuro” con obiettivi di carattere politico che nulla hanno a che fare con le domande di protezione. Schiavone pensa a casi come il Bangladesh, la Tunisia, il Senegal e così via.
      Il rigetto della domanda per manifesta infondatezza comporta un forte indebolimento della tutela giurisdizionale -continua Schiavone- poiché il ricorso ha tempi di impugnazione più brevi e non c’è un’automatica sospensiva durante il contenzioso. Molte ragioni mi inducono a pensare, anche se ancora a caldo e riservandomi approfondimenti -conclude lo studioso- che la nozione di ‘Paese di origine sicuro’ sia del tutto estranea alla nozione di asilo delineata dalla nostra Costituzione”.

      Tra le altre “novità” rispetto all’originario “decreto Salvini” c’è poi quella della cosiddetta “protezione interna” nel Paese terzo di provenienza del richiedente. “Se in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi e può legalmente e senza pericolo recarvisi ed essere ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca”, la sua domanda di protezione è “rigettata”. “Anche su questa norma, del tutto facoltativa nel diritto dell’Unione e che l’Italia, fin dal 2008, con saggezza, aveva evitato sono molti i dubbi di conformità rispetto all’articolo 10 della nostra Costituzione -riflette Schiavone-. È possibile segmentare un Paese in aree, evidenziando peraltro una situazione che è già di grande instabilità, visto che un Paese è diviso in due o più parti?. Cosa vuol dire in concreto che è ragionevole supporre che la persona si trasferisca nell’area del Paese considerata sicura? Quali i parametri di valutazione? È sufficiente solo la mancanza di rischio o è necessario che alla persona venga fornita una protezione effettiva e una assistenza materiale? La norma, genericissima, non fornisce alcuna risposta”. Ciò che è chiaro è che è scontata la tendenza, come ribadisce il vicepresidente Asgi, di considerare l’asilo come fosse una sorta di “extrema ratio” cui ricorrere quando nessuna altra soluzione, anche precaria e parziale all’interno di quel Paese sia possibile. “Che cosa ha a che fare tutto ciò con il diritto all’asilo garantito dalla Costituzione a coloro cui sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche? La distanza è abissale”.
      Utilizzare la nozione di area interna sicura nel Paese di origine è solo un altro modo per respingere domande di asilo che tradizionalmente vengono accolte. “Pensiamo al caso dei cittadini afghani o iracheni e riteniamo per l’appunto che le persone possano spostarsi in una presunta ‘area sicura’ del Paese. Quanto è sicura? Come si valuta? Per quanto tempo? Che tipo di stabilità e assistenza deve provvedere ad assicurare lo Stato allo sfollato interno? Domande che rimangono senza risposta”.

      Accanto al tema dei “Paesi di origine sicuri” e delle zone di “protezione interna”, il maxi emendamento interviene -come già il decreto 113- a proposito di cittadinanza. L’avvocato Livio Neri, socio di Asgi, elenca brevemente alcune delle misure del decreto legge governativo. “C’è l’aumento del contributo da versare per presentare ‘istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza’, che passa da 200 a 250 euro. C’è l’incredibile allungamento del ‘termine di definizione dei procedimenti’, da 24 a 48 mesi dalla data di presentazione della domanda. E c’è il brutto precedente della ‘revoca’ della cittadinanza prevista in caso di condanna definitiva per gravi reati”. Precedente che creerà peraltro nuova apolidia, dal momento che -come fa notare Neri- la norma così come è scritta (ed è rimasta) non prevede la circostanza che dopo la revoca sorga appunto una condizione di apolidia per l’interessato ed è perciò in contrasto con la Convenzione di New York sulla materia.

      L’emendamento del governo aggiunge a questi (e altri) elementi un termine di sei mesi per il rilascio di estratti e certificati di stato civile “occorrenti ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana”, che significa secondo Neri “che lo stesso documento (ad esempio il certificato di nascita di un congiunto, ndr) ha termini diversi a seconda di chi lo richiede”. E pone poi come condizione necessaria alla “concessione della cittadinanza” il “possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER)”, salvo per chi abbia sottoscritto l’accordo di integrazione o sia titolare di permesso di soggiorno Ue per “soggiornanti di lungo periodo”. “Questa previsione -commenta amaramente Neri- avrà un durissimo impatto sulle persone con minori strumenti culturali a disposizione e che per questo non saranno riusciti a imparare l’italiano”.

      https://altreconomia.it/decreto-immigrazione-novita

    • What will change for migrants under Italy’s new immigration and security decree?

      As the decree passed the Senate, Italy’s upper house, Matteo Salvini tweeted it was an “historic day.” The decree still needs to pass the lower house by the end of November before it is enshrined in law. At the moment, that looks likely, so what will change for migrants if it is passed?

      Like all decrees, Italy’s new security and immigration decree is composed of many complicated clauses and paragraphs. In short, it is intended to regulate immigration and public security. It has been pushed by Italy’s deputy prime minister and Minister of the Interior, Matteo Salvini, who is also leader of the anti-immigration party, La Lega (The Northern League).

      Essentially, it will change the laws under which foreign migrants have been staying in the country since 1998. It is set to repeal the right to stay for humanitarian reasons. “Humanitarian protection” is a lower level of asylum status that is based on Italian rather than international law. Up until now, this right has been conceded for up to two years on serious humanitarian grounds and allowed migrants and refugees to access the job market, health services and social welfare.

      The new decree will take this catch-all definition ’on humanitarian grounds’ away in favor of six new specific categories which applicants will need to fulfill. Has the applicant been smuggled or exploited? Are they subject to domestic violence? Do they need specific medical attention? Was there some kind of calamity in their country of origin or have they contributed in a special way to Italian civil society which would merit a right to stay?

      Article two of the law doubles the length of time that migrants can be kept in repatriation centers whilst their cases are looked at. It will allow the authorities to build more centers too. Repatriations are expected to increase with more money being assigned to making sure they happen; three and a half million euros in total up to 2020.

      Revoking refugee status

      There will be a longer list of crimes that, if committed will lead to a refugee being refused asylum or having their refugee status revoked. The crimes include murder, armed robbery, extortion, violence towards public officials, people found to be practicing genital mutilation, armed theft and burglary, possession of drugs, slavery, sexual violence or kidnapping. Anyone found guilty of terrorist acts or trying to overturn the constitution provides another reason for expulsion under the new law.

      The new decree is expected to weaken the SPRAR networks which were set up to protect refugees and asylum seekers in 2002. Only unaccompanied migrants and those who qualify for international protection will come under the future auspices of SPRAR. Everyone else will be sent to ’welcome centers’ or CARA (Welcome center for those requesting asylum). Social cooperatives assigned asylum seekers and migrants will be required to report to the authorities every three months with a list of people that they support. The decree is also expected to slash the budget assigned for food and lodging for migrants in CARA centers from 30 euros per person per day to 15 euros.

      Anyone who marries an Italian will now have to wait four years instead of the current two before applying for citizenship. In addition, like in Germany, migrants hoping to remain in Italy will be required to pass a B1 language test.

      Jubilation and condemnation

      Matteo Salvini was pictured looking jubilant as the decree was passed by the Senate with 163 votes to 59. Not everyone was happy though. Roberto Saviano, an anti-Mafia writer who opposes the current Italian government called the decree “criminal” saying it was “self harming, [and] suicidal.” He pointed out that it would be impossible to repatriate more than 500,000 migrants without papers who are currently present in the country. “Much better,” he said “give them papers and allow them to work and pay taxes to the state.” He said the law would only serve to increase the number of “irregular migrants” in the country feeding organized crime networks.

      The Democratic Party (PD) leader in the Senate, Andrea Marcucci contests the decree too. He was quoted in the left-leaning daily newspaper, La Repubblica, saying it “creates insecurity, not security and would make 100s of thousands more migrants clandestine in Italy.” He concluded: “This is a decree against Italy, against Italians and against security.”

      Salvini disagrees. In interviews prior to the Senate vote, he said that the decree was not just about immigration but increasing security for everyone in Italy. “It’s about strengthening the anti-mafia organizations and anti-racket laws. It will make everything more serious and rigorous. […] It is a decree which will bring more money and power to the police, to mayors; will introduce more surveillance cameras.” He added that once the law has passed, he will be looking to reform the justice system too. That way, cases dragging on for years, until they enter proscription, will be a thing of the past.

      The decree is scheduled to be put before the lower house on the November 22. With the Five Star Movement and the League holding a majority there too, (along with other right-leaning parties like Forza Italia and Fratelli D’Italia,) it is expected to pass without too many problems and enter law before the end of the year.


      http://www.infomigrants.net/en/post/13210/what-will-change-for-migrants-under-italy-s-new-immigration-and-securi

    • Message de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop, 28.11.2018:

      Hier la Chambre des Deputé- avec un vote blindé de confiance - a approuvé le DL sécurité migration.
      Le #vote_de_confiance a permis au Gouvernement de le faire passer en toute vitesse et de balayer tout tentatif de l’opposition de faire des amendements qui pouvaient limiter les déjà tragiques dégâts.
      Nombreuses les déclaration préoccupé et les mobilisation des associations italiennes pour cette loi de la honte

      Ici le CP publié par ARCI -> Le secret loi immigration et sécurité est loi : Injustice est fait : https://www.arci.it/il-ddl-sicurezza-e-immigrazione-e-legge-ingiustizia-e-fatta

      où nous expliquons nos inquiétudes face aux dégâts sociaux d’une loi qui ne fera que créer encore plus de personnes sans documents qui seront exclu du système d’accueil en les rendant encore plus exploitables. Un énième, tragique, étape vers la violation systématique des droits de migrants et réfugiés.

      Ici les principaux changement dans le système italien (sorry only in FR) dont beaucoup intéressent les thématiques de travail du réseau :

      1- Abolition de la “#protection_humanitaire
      La protection humanitaire avait été introduit en 1998 et était attribué pour “serieux motivation de caractère humanitaire ou dérivant de obligation constitutionnels ou internationales de l’Etat Italien ; à ceux qui fuyaient des conflits, désastres naturels ou situations de particulières gravité dans les pays d’origine ou encore ceux qui ne pouvaient pas être expulsés ou encore à victime de traite ou autre type d’exploitation. En 2017 ont été présenté 130 000 demandes de protection en Italie : le 52% a été rejeté. Dans le 25% des cas a été attribué une protection humanitaire ; le 8% ont obtenu un statut de réfugié et un autre 8% la protection subsidiaire. Le 7% a obtenu un autre type de protection.
      Cela veut dire que ce permis ne sera plus donné mais aussi que ceux qui l’ont obtenu ne le pourront plus renouveler
      A sa place cette nouvelle loi a intégré un titre de séjour pour “#cas_spéciaux” : victimes de #violences_domestiques ou grave #exploitation du #travail ou pour des #raisons_médicales ou qui s’est distingué pour “actes de particulier valeur civile”. Ce permis aura une durée de deux ans et ne pourra pas être renouveler

      – Prolongation de la durée de détention dans les #CPR (centre pour le retour -> les cra italiens) -> Aujourd’hui les migrants peuvent être enfermé pour un max de 90 jours. La nouvelle loi prolonge la durée maximale de détention à 180 jours.

      – Permanence dans les #hotspot et points de frontière -> Selon l’article 3 de la nouvelle loi les demandeurs d’asile peuvent être enfermés pour une période de max 30 jours dans les hotspot et structure de “premier accueil” (#Cas et #Cara) pour l’identification. Si dans les 30 jours n’a pas été possible proceder à l’identification aussi les demandeurs d’asile pourront être enfermés dans un CPR pour 180 jours. De cette façon un demandeur d’asile pour être enfermé pour 210 jours pour vérifier et déterminer son identité. Cela sera aussi appliqué aux mineurs en famille.
      De plus est prévu que le juge de paix puisse valider la détention en “#locaux_adaptes” auprès les bureau de frontière jusqu’à’ l’expulsion pour max 48 heures.

      – Plus de fonds pour les expulsions -> A l’article 6 a été prévu un augmentation du budget pour les #expulsions : 500 000 euro en 2018 ; 1,5 million euro en 2019 et autre 1.5 millions en 2020.

      – Retrait ou refus de la protection international en cas de condamnation pour menaces ou violences à officiers public ; lésions personales graves ou vol

      – Ceux qui sont en procedure penale (meme si pas condamné en voi definitive verront leur demande d’asile analysé en procedure accelleré

      – Listes des pays sures -> La loi prévoit l’institution d’une liste de pays d’origine sure et la procedure de demande de protection internationale manifestement infondé. La liste sera stilé par le Ministere des Affaires Etrangers avec le Ministere de l’Interieur et de la Justice sur la base des info fournies par la Commissione Nationales du Droit d’Asile et les agences européennes et internationales. Les demandeurs d’asile en provenance d’un pays present dans la liste des pays sures devrait démontrer de avoir graves motivation qui justifient sa demande et elle sera analyse en procedure accellerée.

      – Restriction du système d’accueil -> Le système d’accueil pour demandeurs d’asile et réfugié (#SPRAR) - le système ordinaire géré par les mairies - sera limité à ceux qui sont déjà titulaire de protection internationales et aux mineurs isolés. Les autres demandeurs seront accueilli dans les CAS et CARA (en parallele le Gouvernement a annoncé une diminution des fonds pour demandeurs d’asile par jour de 35 à 19 euro rendent ainsi impossible donner aucun type de service - juridiques, sociale, intégration et psychologique - dans le parcours d’accueil)

      #pays_sûr #rétention #détention_administrative

    • L’Italie adopte la loi anti-migrants de Matteo Salvini

      Ce texte durcit la politique italienne en matière d’immigration, remplaçant les permis de séjour humanitaires par d’autres permis plus courts.

      L’Italie a adopté mercredi un décret-loi controversé durcissant sa politique d’immigration, voulu par Matteo Salvini, ministre de l’Intérieur et chef de la Ligue (extrême droite). La Chambre des députés a adopté le texte - après le Sénat début novembre et dans les mêmes termes - par 396 oui contre 99 non.

      Le gouvernement populiste formé par la Ligue et le Mouvement 5 Etoiles (M5S, antisystème) avait posé la question de confiance dans les deux chambres sur ce décret-loi. Quatorze députés du M5S n’ont pas pris part au vote mercredi.

      Le texte durcit la politique italienne en matière d’immigration. Il remplace en particulier les permis de séjour humanitaires, actuellement octroyés à 25% des demandeurs d’asile et d’une durée de deux ans, par divers autres permis, comme « protection spéciale », d’une durée d’un an, ou « catastrophe naturelle dans le pays d’origine », d’une durée de six mois, entre autres.
      Refus de signer le pacte de l’ONU sur les migrations

      Il prévoit une procédure d’urgence afin de pouvoir expulser tout demandeur se montrant « dangereux ». Il réorganise aussi le système d’accueil des demandeurs d’asile, qui étaient encore 146 000 fin octobre et seront regroupés dans de grands centres par mesures d’économies. Dans le volet sécurité, il généralise l’utilisation des pistolets électriques et facilite l’évacuation des bâtiments occupés.

      Le gouvernement italien a annoncé mercredi qu’il ne signerait pas le pacte de l’ONU sur les migrations (Global Compact for Migration) comme s’y était engagé en 2016 le précédent exécutif de centre-gauche dirigé à l’époque par Matteo Renzi.

      Le gouvernement ne participera pas au sommet prévu les 10 et 11 décembre à Marrakech où doit être définitivement adopté ce pacte « se réservant d’adhérer ou non au document seulement une fois que le parlement se sera prononcé », a déclaré le président du Conseil Giuseppe Conte. Non contraignant, ce texte de 25 pages, premier du genre sur ce sujet, vise à réguler les flux migratoires au plan mondial.

      https://www.letemps.ch/monde/litalie-adopte-loi-antimigrants-matteo-salvini

    • Il decreto immigrazione è legge: cambierà in peggio la vita di migliaia di persone.

      Con il voto di fiducia di ieri alla Camera, il decreto immigrazione è stato convertito in legge. Refugees Welcome Italia esprime nuovamente la propria contrarietà ad un provvedimento che cambia, in negativo, la vita di migliaia di persone, rendendole ancora più vulnerabili ed esponendole al rischio di vivere ai margini della società. Come già ribadito, lontano dal garantire “l’ordine e la sicurezza pubblica”, questo decreto va nella direzione opposta, acuendo il disagio sociale e aumentando l’insicurezza per tutta la popolazione, migrante e italiana, con pesanti ricadute anche sulla coesione sociale. Secondo alcune stime, la sola abolizione della protezione umanitaria – un permesso di soggiorno che lo Stato italiano riconosce a coloro che, pur non avendo i requisiti per ottenere la protezione internazionale, presentano comunque delle vulnerabilità tali da richiedere una forma di tutela – produrrà 60 mila nuovi irregolari nei prossimi due anni. Migliaia di nuovi senza tetto, persone senza diritti, che rischiano di diventare facile preda di sfruttamento e criminalità.
      “Un decreto di tale portata avrebbe meritato una discussione approfondita, in fase di approvazione, per tentare almeno di introdurre qualche miglioria, invece il testo è passato con la fiducia”, sottolinea Fabiana Musicco, presidente dell’associazione. “A pagare il prezzo di questo nuovo assetto normativo saranno, ad esempio, migliaia di ragazzi arrivati in Italia da minori soli che sono prossimi a compiere 18 anni. Molti di loro hanno fatto richiesta di asilo e qualora ricevessero un diniego di protezione internazionale, una volta diventati maggiorenni, non avrebbero alcun titolo per rimanere in modo regolare in Italia. Per non parlare dei tanti neo-maggiorenni che hanno già ottenuto la protezione umanitaria e che, non potendo accedere al sistema Sprar a causa del decreto, non hanno un posto dove andare. In questo ultimo mese ci sono arrivate diverse segnalazioni di ragazzi in questa situazione: diciottenni che si sono iscritti sul nostro sito per chiedere di essere ospitati in famiglia e proseguire il loro percorso di inclusione. Il rischio, per loro, è che finiscano per strada”.
      Oltre all’abolizione della protezione umanitaria, sono tante altre le misure discutibili che incideranno negativamente sull’architettura del sistema di accoglienza in Italia. Invece di potenziare l’accoglienza diffusa gestita dagli enti locali, che ha favorito, in questi anni, reali processi di inclusione per richiedenti asilo e titolari di protezione, si è scelto, con questo decreto, di rafforzare la logica emergenziale dei grandi centri che, oltre a non garantire alcuna integrazione, genera spesso, a causa dei pochi controlli, abusi e malversazioni. “Molte disposizioni del decreto, oltre a ridurre lo spazio di esercizio di alcuni diritti fondamentali, come quello all’asilo, sono contrarie al buon senso e renderanno il nostro Paese un posto meno sicuro per tutti, migranti e italiani”.

      https://refugees-welcome.it/decreto-immigrazione-legge-cambiera-peggio-la-vita-migliaia-persone

    • Azzariti: «Il Decreto sicurezza sarà bocciato dalla Consulta»

      Il costituzionalista critica il decreto Salvini votato al Senato, non celando la speranza che alla Camera venga modificato

      «Innanzitutto il provvedimento impressiona per il segno culturalmente regressivo perché appiattisce l’immigrazione ad un problema di esclusiva sicurezza pubblica: dalla legge Bossi Fini in poi c’è una progressione in questo senso di criminalizzazione del problema migratorio». Il costituzionalista Gaetano Azzariti critica il decreto Salvini votato al Senato, non celando la speranza che alla Camera venga modificato: «Così com’è è una summa di incostituzionalità, auspico si intervenga per cambiarlo in Parlamento».

      Professore, perché il decreto sicurezza sarebbe incostituzionale? Ci vuole spiegare le ragioni?
      Penso di peggio: nel testo ci sono una summa di incostituzionalità. Dallo strumento utilizzato, il decreto legge, al contenuto del provvedimento che va in conflitto coi principi della nostra Carta.

      Lei critica la formula del decreto perché dice che in questo momento non esiste un’emergenza tale da giustificare un provvedimento simile? Però posso ribattere, facendo l’avvocato del diavolo, che da anni è prassi che i nostri governi adottino la formula del decreto esautorando il Parlamento…
      C’è una sentenza della Corte Costituzionale del 2007 che ci spiega come non sia sufficiente che il governo dichiari la necessità di urgenza per emanare un decreto. Illegittimo è quindi l’uso del decreto legge per regolare fenomeni – quali le migrazioni – di natura strutturale che non rivestono alcun carattere di straordinarietà ed urgenza. In questo caso la palese mancanza dei requisiti costituzionali è dimostrata dal fatto di cui il governo si vanta di aver ridotto dell’80 per cento il problema dell’immigrazione. E allora non le sembra una contraddizione logica dichiarare l’emergenza quando lo stesso governo festeggia per i risultati ottenuti? Il governo ha pieno diritto di legiferare in materia, anche secondo il principio di contenimento dei flussi, ma tramite un disegno di legge.

      Al di là, quindi, della formula del decreto che lei reputa inopportuna, entrando nel merito, quali sono gli articoli della Costituzione che vengono violati?
      In primis, l’articolo 10 terzo comma stabilisce un diritto fondamentale che riguarda non i cittadini ma gli stranieri. A questi viene assegnato la possibilità di chiedere asilo politico allo Stato italiano. La stessa Cassazione, con diverse sentenze emesse dal 2012 al 2018, e le disposizioni internazionali ci parlano di permessi per “protezione umanitaria” come mezzi di attuazione della disposizione costituzionale. Bene, col decreto si passa all’eliminazione totale di questo status: la protezione umanitaria viene abrogata e sostituita da ipotesi specifiche. Cos’è questa se non una violazione dell’articolo 10 della nostra Carta?

      E che ne pensa della sospensione della concessione della domanda se si è sottoposti a procedimento penale?
      La presunzione di non colpevolezza è un principio di civiltà che è sancito dall’articolo 27 della nostra Costituzione. E non si fa certo differenza tra cittadini e stranieri (si riferisce in generale all’«imputato»). C’è poco altro da aggiungere: una sospensione della concessione della domanda mi sembra chiaramente violativa di questo principio.

      Si parla anche di revoca della cittadinanza in caso di condanna, anche questo aspetto secondo lei è incostituzionale?
      Si afferma per legge che qualora l’immigrato riuscisse, dopo il lungo iter burocratico, ad ottenere la cittadinanza italiana, non sarà comunque mai considerato alla pari degli altri. Come se dovesse pagare per l’eternità una pecca originaria. Questo aspetto è in contrasto con due principi: quello d’eguaglianza, introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione tra cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto della perdita della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22).

      In pratica, persone che commettono lo stesso reato avrebbero sanzioni diverse?
      Esatto, chi ha acquisito la cittadinanza è penalizzato rispetto a chi la tiene per ius sanguinis. Inoltre l’articolo 22 della Carta stabilisce che non si può perdere la cittadinanza per motivi politici. Ma se vuole continuo, gli elementi di incostituzionalità sono ancora altri.

      Ce li dica…
      Il decreto sicurezza estende la cosiddetta detenzione amministrativa cioè l’obbligo di stare in questi centri di permanenza e di rimpatrio da 90 a 180 giorni. Qui abbiamo una giurisprudenza con zone d’ombra ma che su un punto è chiarissima: la sentenza 105 del 2001 della Corte Costituzionale stabilisce che “il trattamento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea è misura incidente sulla libertà personale”. Il governo dovrebbe dimostrare che in questi luoghi non ci sia limitazione di libertà personale, la vedo difficile.

      E sul taglio degli Sprar che ne pensa?
      È una delle parti più odiose del decreto. Si cancella quella normativa che definiva le politiche di integrazione cercando di realizzare anche un altro principio fondamentale: quello di solidarietà (articolo 2 della Costituzione).

      A questo punto, crede veramente che il testo verrà migliorato alla Camera oppure teme che Lega e M5S abbiano blindato il provvedimento con il voto di fiducia?
      La speranza è l’ultima a morire. Non posso auspicare che questa maggioranza cambi idea sull’ordine pubblico o sul nesso immigrazione-sicurezza o che faccia un provvedimento che regoli i flussi. Qui il tema di discussione non è l’indirizzo politico del governo ma il rispetto della Carta e dei limiti costituzionali. Ricordo, inoltre, che il presidente della Repubblica quando ha firmato il decreto, ha anche scritto una lettera a Conte rilevando nell’auspicio del rispetto dei principi internazionali. Il Parlamento ha l’onore di prendere in considerazione almeno questi moniti.

      E nel caso, invece, rimanga così com’è ci sarebbe l’altolà della Consulta? È un’ipotesi realistica?
      Sono certo che se dovesse essere approvato in questi termini, magari con l’aggravante della mancanza della discussione in Parlamento, tutta l’attenzione non politica ma costituzionale si riverserà sui due guardiani della Costituzione. In primo luogo sul Capo dello Stato in sede di promulgazione – che dovrà in qualche modo verificare se il Parlamento ha tenuto conto dei rilievi da lui stesso formulati – e in secondo luogo sulla Corte Costituzionale.

      La sento abbastanza convinto sulla possibilità che la Consulta bocci alcune parti del provvedimento…
      Gli elementi di incostituzionalità di questo decreto mi sembrano abbastanza evidenti.

      http://www.vita.it/it/article/2018/11/22/azzariti-il-decreto-sicurezza-sara-bocciato-dalla-consulta/149839

    • Italien verschärft seine Einwanderungsgesetze drastisch

      In Italien hat Innenminister Salvini sein Einwanderungsdekret durchgesetzt. Die Vergabe von humanitären Aufenthaltsgenehmigungen wird eingeschränkt, die Ausweisung von Migranten erleichtert.

      Drei Wochen nach dem italienischen Senat hat auch die Abgeordnetenkammer das umstrittene Einwanderungsdekret von Innenminister Matteo Salvini angenommen.

      Durch das Gesetz wird

      – die Vergabe von humanitären Aufenthaltsgenehmigungen massiv eingeschränkt und
      – die Ausweisung von Migranten erleichtert.
      – Auch die Verteilung und Unterbringung von Asylbewerbern wird neu geregelt: Die meisten sollen künftig in großen Auffangzentren untergebracht werden.
      – Als „gefährlich“ eingeschätzte Asylbewerber sollen in Eilverfahren abgeschoben werden können.
      – Migranten, die bereits die italienische Staatsbürgerschaft haben, sollen diese wieder verlieren, wenn sie in Terrorverfahren verurteilt werden.
      – Als sicherheitspolitische Neuerung ist in dem Gesetz unter anderem vorgesehen, den Einsatz von Elektroschockpistolen auszuweiten und die Räumung besetzter Gebäude zu erleichtern.

      Die Regierung hatte in beiden Parlamentskammern die Vertrauensfrage gestellt, um die Gesetzesänderung zügig durchzubringen. Einige Parlamentarier der populistischen Fünf-Sterne-Bewegung, die zusammen mit Salvinis fremdfeindlicher Lega-Partei regiert, hatten aus Protest gegen die geplanten Verschärfungen Dutzende Änderungsanträge eingereicht.

      396 Abgeordnete stimmten schließlich für die drastische Verschärfung des Einwanderungsrechts, 99 votierten dagegen. 14 Abgeordnete der Fünf-Sterne-Bewegung, die sich gegen die Pläne ausgesprochen hatten, nahmen nicht an der Abstimmung teil.

      „Ein denkwürdiger Tag“

      Salvini äußerte sich angesichts des Ergebnisses zufrieden. „Heute ist ein denkwürdiger Tag“, sagte der Innenminister, der zugleich Vizeregierungschef ist. Kritik an den Gesetzesverschärfungen wies er als Bedenken von Linken zurück, „die finden, dass illegale Einwanderung kein Problem ist“.

      Das Uno-Flüchtlingshilfswerks (UNHCR) hatte sich Anfang November besorgt zu den Gesetzesverschärfungen geäußert. Diese böten keine „angemessenen Garantien“, insbesondere für Menschen, die besonderer Fürsorge bedürften, etwa Opfer von Vergewaltigung oder Folter.

      Die italienische Regierung vertritt seit ihrem Amtsantritt im Sommer eine harte Haltung in der Flüchtlings- und Einwanderungspolitik. Schiffen mit geretteten Flüchtlingen an Bord verweigerte Salvini das Einlaufen in italienische Häfen. Der Schwerpunkt der Flüchtlingskrise im Mittelmeer hat sich seitdem stärker nach Spanien verlagert: Spanien ist in diesem Jahr zum Hauptankunftsland von Flüchtlingen in Europa geworden, weit vor Italien und Griechenland.

      http://www.spiegel.de/politik/ausland/fluechtlinge-italien-verschaerft-seine-einwanderungsgesetze-drastisch-a-1241

    • Decreto immigrazione e sicurezza, la circolare ai Prefetti del 18 dicembre 2018

      Il Gabinetto del ministero dell’Interno ha diramato in queste settimane ai Prefetti la CM del 18 dicembre 2018 per «illustrare… le principali disposizioni d’insieme» del DL 4 ottobre 2018, il cosiddetto decreto immigrazione e sicurezza. Il testo è disponibile a questo link: http://viedifuga.org/wp-content/uploads/2019/01/Circolare_m_18_12_2018.pdf. Il Viminale ha predisposto anche un documento divulgativo dal titolo Immigrazione e sicurezza pubblica. Le risposte per conoscere il nuovo decreto: qui (http://viedifuga.org/wp-content/uploads/2019/01/FAQ_Decreto_immigrazione_e_sicurezza_definitivo_3_1_2018.pdf) la versione aggiornata al 3 gennaio 2019.

      Qui invece (www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/612656/Dl-Salvini-la-circolare-del-Viminale-che-tenta-di-rassicurare-i-sindaci), da Redattore sociale, il giudizio dell’ASGI sulla circolare ministeriale e le pericolose ricadute del DL (convertito in legge con la 132/2018: viedifuga.org/approvato-alla-camera-il-decreto-sicurezza-e-immigrazione-e-una-pessima-legge/) secondo Oxfam Italia e secondo l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale).

      http://viedifuga.org/decreto-immigrazione-e-sicurezza-la-circolare-ai-prefetti-del-18-dicembre

    • La stretta sulla residenza è uno dei problemi del decreto sicurezza

      Il decreto immigrazione e sicurezza, diventato legge il 27 novembre del 2018 con l’approvazione in parlamento, suscita divisioni e critiche sia all’interno della maggioranza sia tra le file dell’opposizione. Dopo l’attacco del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e del sindaco di Napoli Luigi De Magistris – che hanno annunciato di non voler applicare la legge, perché “è un testo inumano che viola i diritti umani” – molti altri sindaci hanno detto che boicotteranno la norma. Una mappa compilata dalla ricercatrice Cristina Del Biaggio raccoglie tutte le adesioni degli amministratori locali contro il decreto, in totale un centinaio.

      Uno dei punti più contestati della legge è l’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica. Leoluca Orlando, con una nota inviata al capoarea dei servizi al cittadino, ha chiesto d’indagare i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione del decreto sicurezza e di sospendere qualsiasi procedura “che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla procedura di iscrizione della residenza anagrafica”. Ma perché è così importante essere iscritti all’anagrafe e cosa comporta esserne esclusi? E infine, ha senso sospendere l’applicazione del decreto o basta applicare correttamente le norme esistenti?

      Cosa prevede il decreto
      La legge 113/2018 (anche detta decreto sicurezza e immigrazione o decreto Salvini) prevede delle modifiche all’articolo 4 del decreto legislativo 142/2015 attraverso un comma secondo cui “il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”. Secondo Enrico Gargiulo, docente di fondamenti di politica sociale all’università Ca’ Foscari di Venezia, il decreto introduce una “rivoluzione nel campo del diritto all’anagrafe”, perché “per la prima volta si nega in maniera chiara a una categoria di persone un diritto soggettivo perfetto”, contravvenendo alla costituzione e ad altre norme generali sull’immigrazione come il Testo unico del 1998.

      Dello stesso orientamento l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che in un comunicato ha ribadito l’incostituzionalità di questo punto e ha annunciato di aver già presentato diversi ricorsi, impugnando in sede giudiziaria alcuni dinieghi all’iscrizione anagrafica. “Riteniamo infatti che non sussista alcuna ragione che giustifichi sotto il profilo costituzionale una diversità di trattamento nell’iscrizione anagrafica che colpisce una sola categoria di stranieri legalmente soggiornanti (i titolari di permesso di soggiorno per richiesta di asilo), violando il principio di parità di trattamento coi cittadini italiani prevista dall’articolo 6 del Testo unico sull’immigrazione( legge 286/1998)”, si legge nel comunicato. I ricorsi che saranno portati davanti a un giudice chiameranno in causa la corte costituzionale per violazione dell’articolo 3 della costituzione. La consulta a sua volta dovrà stabilire se questa parte del decreto è in linea con la carta fondamentale.

      Di fatto nella norma non si vieta espressamente l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe

      Tuttavia alcuni giuristi invitano a un’interpretazione diversa del decreto. Le avvocate dell’Asgi Nazzarena Zorzella e Daniela Consolo ritengono che il decreto “non pone nessun esplicito divieto, ma si limita a escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno possa essere documento utile per formalizzare la domanda di residenza”. Intervistata al telefono da Internazionale Zorzella ribadisce che “anche se il decreto ha come obiettivo l’esclusione dei richiedenti asilo dalla residenza, tuttavia di fatto nella norma non si vieta espressamente l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe, ma si sostiene che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisca un titolo valido per l’iscrizione all’anagrafe”.

      Per l’avvocata, quindi, i sindaci potrebbero con una circolare informare gli uffici anagrafici di accettare come documento valido per l’iscrizione all’anagrafe il modulo C3 e cioè la domanda di asilo presentata in questura dal richiedente asilo al momento dell’arrivo in Italia, assumendo quel titolo come prova del soggiorno regolare del cittadino straniero in Italia. “Il decreto sicurezza coesiste con il Testo unico sull’immigrazione, in particolare con l’articolo 6 comma 7 che non è stato modificato dal decreto e prevede che allo straniero regolarmente soggiornante sia consentita l’iscrizione anagrafica”. Secondo l’avvocata i sindaci potrebbero provare a interpretare la norma in senso meno restrittivo, continuando a consentire l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe usando un altro documento come prova del loro soggiorno nel paese.

      Cosa implica l’iscrizione all’anagrafe
      L’iscrizione anagrafica è necessaria per il rilascio del certificato di residenza e del documento d’identità. Questi due documenti di prassi sono il presupposto per il godimento di alcuni servizi pubblici, in particolare dei servizi sociali, per esempio la presa in carico da parte degli assistenti sociali, l’accesso all’edilizia pubblica, la concessione di eventuali sussidi, per l’iscrizione al servizio sanitario nazionale (per la fruizione dei servizi ordinari come il medico di base, mentre l’assistenza sanitaria d’urgenza è per principio garantita anche agli irregolari), per l’iscrizione a un centro per l’impiego. Inoltre un documento d’identità valido è richiesto per sottoscrivere un contratto di lavoro, per prendere in affitto una casa o per aprire un conto corrente bancario. La situazione in realtà è molto disomogenea sul territorio italiano, da anni molti comuni hanno stabilito che sia necessaria la residenza per accedere a questi servizi, mentre in altri municipi è consentito accedere ai servizi con il domicilio o la residenza fittizia, ma il decreto introdurrà ancora più ambiguità in questa materia e c’è da aspettarsi un aumento dei contenziosi. “Chi non ha accesso ai diritti anagrafici diventa invisibile, è una specie di fantasma dal punto di vista amministrativo”, afferma il ricercatore Enrico Gargiulo. “Anche se una persona rimane titolare di certi diritti, senza l’iscrizione anagrafica di fatto ne è esclusa”, conclude il ricercatore.

      Anche su questo punto le avvocate dell’Asgi, Zorzella e Consolo, ritengono che l’iscrizione all’anagrafe non sia necessaria per garantire l’accesso ai servizi dei richiedenti asilo. Zorzella e Consolo ricordano che lo stesso decreto sicurezza prevede che sia assicurato agli stranieri “l’accesso ai servizi comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti”. In questo senso, secondo loro, i sindaci e gli amministratori locali dovrebbero chiarire in una circolare che è sufficiente il domicilio per accedere ai servizi pubblici territoriali senza dover esibire l’iscrizione all’anagrafe, e lo stesso varrebbe per i servizi privati (banche, poste, assicurazioni, agenzie immobiliari).

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/01/09/residenza-anagrafe-decreto-sicurezza

    • La delibera per iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo. Dalle parole ai fatti, smontiamo il decreto Salvini

      Il 2019 è iniziato con numerosi Sindaci che hanno manifestato la loro volontà di disobbedire al decreto legge “immigrazione e sicurezza” di Salvini.
      Tra tutti, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo con una nota inviata al Capo Area dei Servizi al Cittadino, ha conferito mandato per indagare i profili giuridici anagrafici derivanti dall’applicazione della legge n.132/2018 e, nelle more, ha impartito di sospendere qualsiasi procedura “che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla procedura di iscrizione della residenza anagrafica”.

      Si tratta del primo vero atto che tenta di opporsi alle previsioni contenute nel d.l. n. 113/2018 dopo la sua conversione in legge. Precedentemente, infatti, alcuni Comuni avevano dichiarato di sospendere gli effetti del decreto ma solo fino alla sua approvazione definitiva.
      In ogni caso, il fronte che, speriamo, si stia aprendo a livello territoriale contro questo provvedimento è di fondamentale importanza.

      Le leggi razziste, securitarie e repressive come, prima, i decreti di Minniti ed , ora, il decreto di Salvini agiscono anche e soprattutto sullo spazio delle nostre città, creano sacche di esclusione e di diritti negati.

      Dalle nostre città, dunque, deve partire una nuova resistenza.

      Per questo abbiamo pensato di elaborare un primo modello di delibera che smonti un pezzetto della legge n.113/2018 proprio nella parte in cui prevedendo l’impossibilità per il richiedente, titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, di iscriversi all’anagrafe si pone in piena violazione dell’articolo 26 della Convenzione di Ginevra e comporta una grave limitazione al godimento di quei diritti che la nostra Carta Costituzionale individua come diritti fondamentali.
      L’iscrizione all’anagrafe, infatti, rimane lo strumento tramite il quale si consente ai poteri pubblici di pianificare i servizi da erogare alla popolazione; inoltre essa è da sempre presupposto per l’accesso ad altri diritti sociali e civili, come l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale; l’accesso all’assistenza sociale e concessione di eventuali sussidi previsti dagli enti locali.

      Nel modello di delibera si richiama la competenza comunale in materia di istituzione di un albo anagrafico (art. 14 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), i casi in cui i Comuni hanno già esercitato tale potere istitutivo (si vedano i registri per le unioni civili); la Convezione di Ginevra; gli articoli della nostra Costituzione che tutelano l’iscrizione anagrafica e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto un diritto alla residenza qualificato come “diritto soggettivo”.
      Il tutto per dire una sola cosa alle istituzioni locali: se volete, avete tutto il potere di istituire quest’albo e garantire ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica. Avete dalla vostra, la forza della ragione e la forza del Diritto.

      Si tratta, dunque, di un modello di delibera che mettiamo nelle mani dei Comuni solidali che realmente vogliono contrastare gli effetti di questo decreto.
      Un modello di delibera che mettiamo nelle mani degli attivisti e degli abitanti delle nostre città, piccole o grandi che siano, per fare pressione sui loro governanti e sfidarli ad istituire l’albo per l’iscrizione dei richiedenti asilo.

      Un modello di delibera che è solo uno dei tanti strumenti che intendiamo mettere a disposizione di questa battaglia per la giustizia e la dignità.
      La partita per la gestione dei centri Sprar e per i regolamenti di polizia locale dei nostri Comuni è ,infatti, ancora aperta.
      Anche in quel caso gli amministratori potranno decidere da che parte stare: se dalla parte della cieca obbedienza a delle leggi disumane, che condannano migliaia di persone alla marginalità rendendole carne da cannone per le Mafie, oppure dalla parte della “sicurezza dei diritti” di tutti e tutte noi.

      https://www.meltingpot.org/La-delibera-per-iscrivere-all-anagrafe-i-richiedenti-asilo.html

    • Une nouvelle loi anti-immigration controversée adoptée en Italie

      Le parlement italien a adopté une loi introduisant des restrictions pour les demandeurs d’asile, mais aussi des mesures pour la sécurité publique et contre les mafias. Un article d’Euroefe.

      La Chambre des représentants a approuvé le projet de loi par 336 voix pour et 249 abstentions, concluant ainsi sa trajectoire après son approbation au Sénat le 7 novembre par 163 voix pour, 59 contre et 19 abstentions.

      Cette mesure a été amenée par le chef de file de la Ligue de l’extrême droite et ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini, et présentée dans les deux chambres parlementaires comme une motion de confiance au gouvernement, une technique utilisée pour éviter les amendements et écourter leur approbation.

      Quelque 200 personnes ont manifesté devant le parlement pour manifester leur rejet de cette loi controversée, et ont organisé des funérailles pour les droits, dénonçant le racisme.

      Salvini célèbre sa loi controversée

      Matteo Salvini a exprimé lors d’une conférence de presse sa « grande satisfaction, non pas en tant que ministre, mais en tant que citoyen italien », car, a-t-il assuré, la loi « donnera plus de tranquillité, d’ordre, de règles et de sérénité aux villes ».

      La nouvelle loi repose sur trois piliers : l’immigration, la sécurité publique et la lutte contre la criminalité organisée.

      Dans le domaine de l’immigration, les permis de séjour pour des raisons humanitaires seront suspendus. Ceux-ci ont été accordés pour deux ans et ont permis aux réfugiés d’accéder au monde du travail et à la sécurité sociale. Au lieu de cela, des permis de « protection spéciale » d’un an seront octroyés.

      En outre, la protection internationale sera refusée ou rejetée en cas de condamnation définitive de l’immigré, notamment pour viol, vente de drogue, vol ou extorsion. La mutilation génitale est mentionnée dans le texte et considérée comme « crime particulièrement alarmant ».

      La nouvelle loi allongera de 90 à 180 jours la période pendant laquelle les immigrants pourront rester dans les centres d’identification, période que le gouvernement du Mouvement 5 étoiles et la Ligue considère appropriée pour identifier le demandeur.

      Par ailleurs, davantage de fonds sont prévus pour le rapatriement volontaire des immigrants et la protection sera retirée à ceux qui retournent dans leur pays d’origine, sinon pour des « raisons graves et avérées ».

      Utilisation expérimentale du Taser

      En matière de sécurité publique, la nouvelle loi stipule que les sociétés de location de voitures communiquent à la police les données de leurs clients pour vérifier leurs antécédents et éviter ainsi d’éventuels attentats à la voiture bélier comme ce fut le cas à Nice, Berlin ou Londres.

      Elle permettra aussi aux agents des villes de plus de 100 000 habitants d’expérimenter le pistolet électrique Taser, et les clubs de football devront accroître leur contribution, en allouant entre 5 et 10 % des ventes de billets à la sécurité des stades.

      La loi étend par ailleurs le « Daspo », l’interdiction d’accès aux manifestations sportives aux foires, marchés et hôpitaux pour les personnes qui ont manifesté un comportement agressif ou dangereux.

      Enfin, en ce qui concerne la mafia, les nouvelles mesures augmentent les ressources destinées à l’entité qui gère les biens saisis aux criminels et libéralise ces biens, qui peuvent désormais être achetés par des particuliers « avec des contrôles rigoureux » afin qu’ils ne reviennent pas entre les mains des clans.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/une-nouvelle-loi-anti-immigration-controversee-adoptee-en-italie

    • Decreto immigrazione e sicurezza: tutti i dubbi sulla costituzionalità

      Le Regioni contro il decreto Salvini. Piemonte, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Basilicata. Di ora in ora si allarga la squadra dei governatori contro il decreto sicurezza e immigrazione di Matteo Salvini.

      La strada passa per il ricorso alla Corte costituzionale e a guidare il tutto sarà la Regione Piemonte, che ha dato mandato al docente di Diritto internazionale, Ugo Mattei, e all’avvocatura della Regione di preparare il ricorso che “

      seguirà l’esempio di quanto fatto da Apple, Facebook, Google, e altri colossi della Silicon Valley quando presero posizione e presentarono ricorso contro il decreto attuativo anti-immigrazione e il blocco dei visti voluto dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump” ha spiegato l’assessora all’immigrazione della regione Piemonte Monica Cerutti

      “Ugo Mattei, insieme all’avvocatura della Regione Piemonte, si occuperà del ricorso in Corte Costituzionale contro il decreto sicurezza che rischia di creare un danno all’economia piemontese” ha spiegato Monica Cerutti. “Il decreto farà finire nell’irregolarità migliaia di migranti che quindi non potranno più contribuire alla vita economica del territorio”.

      “La nostra avvocatura sta anche lavorando con le avvocature delle altre ‘regioni rosse’” ha aggiunto l’assessora della Regione Piemonte “perché ci sia coordinamento nella presentazione dei ricorsi. Stiamo infatti pensando di aggiungere un nuovo profilo di incostituzionalità, che va sommarsi a quelli che riguardano le competenze regionali in materia di sanità e politiche sociali. Questo decreto manda del resto a gambe all’aria tutto il lavoro fatto sull’immigrazione in questi anni, rendendo inutili gli investimenti messi in campo dalla nostra Regione”.

      Il professor Mattei, si precisa dalla Regione, “si è reso disponibile a portare avanti questa battaglia a titolo gratuito. Quindi il suo intervento non costituirà una spesa per il Piemonte”.

      In precedenza anche il Quirinale aveva valutato eventuali profili di incostituzionalità del decreto, ponendo l’accento – nonostante la firma arrivata dopo la fiducia ottenuta alla Camera mercoledì 28 novembre 2018 – su alcune questioni.

      Vediamo quali sono:

      Necessità e urgenza – Il primo nodo è sulla natura dello strumento scelto dal governo. Secondo la Costituzione, il decreto deve rispettare i criteri di necessità e urgenza, oltre a non essere palesemente incostituzionale. La presidenza della Repubblica aveva già manifestato le proprie perplessità sull’urgenza di un intervento del governo su questa materia.

      Revoca del diritto d’asilo – Si allunga l’elenco di reati che comportano la sospensione della domanda di asilo e causano l’espulsione immediata dello straniero. Tra questi sono stati inclusi la violenza sessuale, la detenzione e il traffico di stupefacenti, il furto, la minaccia o la violenza a pubblico ufficiale. Nel decreto è prevista la revoca dello status dopo la sola condanna di primo grado: nella nostra Costituzione è però prevista la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Questa disposizione potrebbe essere in contrasto con i principi costituzionali.

      Revoca della cittadinanza – È prevista la revoca della cittadinanza italiana acquisita dagli stranieri condannati in via definitiva per reati di terrorismo. La revoca sarà possibile entro tre anni dalla condanna definitiva, per decreto del presidente della Repubblica su proposta del ministro dell’Interno. Anche questa norma è in contrasto con principi della Corte Costituzionale, che considera la cittadinanza un diritto inviolabile.

      Inizialmente i decreti dovevano essere due, uno sull’immigrazione e uno sulla sicurezza e i beni confiscati alle mafie. Poi sono stati accorpati in un unico provvedimento. Ecco gli altri punti del documento:

      Abolizione della protezione umanitaria – Il decreto prevede l’abolizione della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dal Testo unico sull’immigrazione (legge 286/98).

      Trattenimento nei Cpr – Gli immigrati con i documenti non in regola potranno essere trattenuti nei Centri per il rimpatrio fino a 180 giorni. Ad oggi il limite era 90 giorni.

      Sicurezza urbana – Viene prevista la sperimentazione dei taser di parte della municipale nei comuni con più di 100 mila abitanti e inasprite le pene contro chi promuove o organizza occupazioni.

      Lotta alle mafie – Per contrastare le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione, il decreto prevede la nomina di un Commissario straordinario in caso di segnalazioni di situazioni anomale o di condotte illecite da parte di un Prefetto.

      https://www.tpi.it/2019/01/08/decreto-sicurezza-incostituzionalita-regioni/amp
      #constitutionnalité

    • Protezione umanitaria, la pronuncia della Cassazione n. 4890/2019

      Pubblichiamo la decisione n. 4890/2019 della Corte di cassazione, che risolve i dubbi in tema di regime intertemporale della nuova disciplina sulla protezione umanitaria.

      In argomento, questa Rubrica ha già ospitato la requisitoria del procuratore generale presso la Corte di cassazione, l’articolo di Carlo Padula (Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?) contenente l’orientamento dei Tribunali di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Torino, Trento e della dottrina in punto di regime intertemporale della nuova disciplina della protezione umanitaria.

      http://questionegiustizia.it/articolo/protezione-umanitaria-la-pronuncia-della-cassazione-n-48902019_19
      #protection_humanitaire

  • Grèce : à Lesbos, le camp réservé aux migrants « est un monstre qui ne cesse de s’étendre » - Libération
    https://www.liberation.fr/planete/2018/09/20/grece-a-lesbos-le-camp-reserve-aux-migrants-est-un-monstre-qui-ne-cesse-d

    Alors que les dirigeants européens sont réunis à Salzbourg pour évoquer notamment les questions migratoires et la création de « centres fermés », les hotspots surpeuplés des îles grecques se trouvent dans une situation explosive.

    L’annonce n’aurait pu mieux tomber : mardi, le gouvernement grec s’est enfin engagé à transférer 2 000 migrants de l’île de Lesbos vers la Grèce continentale d’ici la fin du mois. Une décision censée décongestionner quelque peu le camp surpeuplé de Moria qui abrite près de 9 000 personnes, dont un tiers d’enfants. Or, depuis plusieurs jours, les ONG installés sur place ne cessent d’alerter sur les conditions de vie abjectes dans ce camp, aux allures de caserne, prévu au départ pour 3 000 personnes.

    Car #Moria est censé accueillir l’immense majorité de réfugiés et migrants qui accostent sur l’île (ils sont aujourd’hui plus de 11 000 au total à Lesbos), en provenance des côtes turques qu’on distingue à l’œil nu au large. Généraliser les #hotspots, ou centres fermés, en Europe : c’est justement l’une des options envisagées par les dirigeants européens réunis jeudi et vendredi à Salzbourg en Autriche. En Grèce, les hotspots créés il y a plus de deux ans, ont pourtant abouti à une situation explosive.

    Moria, comme les autres hotspots des îles grecques, n’est certes pas un centre fermé : ses occupants ont le droit de circuler sur l’île, mais pas de la quitter. En mars 2016, un accord inédit entre l’Union européenne et la Turquie devait tarir le flot des arrivées sur cette façade maritime. Comme Ankara avait conditionné le rapatriement éventuel en Turquie de ces naufragés à leur maintien sur les hotspots d’arrivée, les îles grecques qui lui font face se sont rapidement transformées en prison. Condamnant les demandeurs d’asile à attendre de longs mois le résultat de leurs démarches auprès des services concernés. Certains attendent même une réponse depuis déjà deux ans. Et plus le temps passe, plus les candidats sont nombreux.

    Silence

    Si le deal UE-Turquie a fait baisser le nombre des arrivées, elles n’ont jamais cessé. Rien que pour l’année 2018, ce sont près de 20 000 nouveaux arrivants qui ont échoué sur les îles grecques, où l’afflux des barques venues de Turquie reste quasi quotidien. Selon le quotidien grec Kathimerini, 615 personnes sont arrivées rien que le week-end dernier. Pour le seul mois d’août, Lesbos a accueilli plus de 1 800 nouveaux arrivants. Des arrivées désormais peu médiatisées alors que les dirigeants européens se sont écharpés cet été sur l’accueil de bateaux en provenance de Libye. Et pendant ce temps à Lesbos, la situation vire au cauchemar dans un silence assourdissant.

    Il y a une semaine, 19 ONG, dont Oxfam, ont pourtant tiré la sonnette d’alarme dans une déclaration commune, dénonçant des conditions de vie scandaleuses, et appelant les dirigeants européens à abandonner l’idée de créer d’autres centres fermés à travers l’Europe.

    « Moria, c’est un monstre qui n’a cessé de s’étendre. Faute de place on installe désormais des tentes dans les champs d’oliviers voisins, des enfants y dorment au milieu des serpents, des scorpions et de torrents d’eau pestilentiels qui servent d’égouts. A l’intérieur même du camp, il y a une toilette pour 72 résidents, une douche pour 80 personnes. Et encore, ce sont les chiffres du mois de juin, c’est pire aujourd’hui », dénonce Marion Bouchetel, chargée sur place du plaidoyer d’Oxfam, et jointe par téléphone. « Ce sont des gens vulnérables, qui ont vécu des situations traumatisantes, ont été parfois torturés. Quand ils arrivent ici, ils sont piégés pour une durée indéterminée. Ils n’ont souvent aucune information, vivent dans une incertitude totale », ajoute-t-elle.

    Avec un seul médecin pour tout le camp de Moria, les premiers examens psychologiques sont forcément sommaires et de nombreuses personnes vulnérables restent livrées à elles-mêmes. Dans la promiscuité insupportable du camp, les agressions sont devenues fréquentes, les tentatives de suicide et d’automutilations aussi. Elles concernent désormais souvent des adolescents, voire de très jeunes enfants.

    « Enfer »

    « J’ai travaillé quatorze ans dans une clinique psychiatrique de santé mentale à Trieste en Italie », explique dans une lettre ouverte publiée lundi, le docteur Alessandro Barberio, employé par Médecins sans frontières (MSF), à Lesbos. « Pendant toutes ces années de pratique médicale, jamais je n’ai vu un nombre aussi phénoménal qu’à Lesbos de gens en souffrance psychique », poursuit le médecin, qui dénonce la tension extrême dans laquelle vivent les réfugiés mais aussi les personnels soignants. Sans compter le cas particulier des enfants « qui viennent de pays en guerre, ont fait l’expérience de la violence et des traumatismes. Et qui, au lieu de recevoir soins et protection en Europe, sont soumis à la peur, au stress et à la violence », renchérit dans une vidéo récemment postée sur les réseaux sociaux le coordinateur de MSF en Grèce Declan Barry.

    « Comment voulez vous aider quelqu’un qui a subi des violences sexuelles ou a fait une tentative de suicide, si vous le renvoyez chaque soir dans l’enfer du camp de Moria ? Tout en lui annonçant qu’il aura son premier entretien pour sa demande d’asile en avril 2019 ? Actuellement, il n’y a même plus d’avocat sur place pour les seconder dans la procédure d’appel », s’indigne Marion Bouchetel d’Oxfam.

    Il y a une dizaine de jours, la gouverneure pour les îles d’Egée du Nord avait menacé de fermer Moria pour cause d’insalubrité. Est-ce cette annonce, malgré tout difficile à appliquer, qui a poussé le gouvernement grec a annoncé le transfert de 2 000 personnes en Grèce continentale ? Le porte-parole du gouvernement grec a admis mardi que la situation à Moria était « borderline ». Mais de toute façon, ce transfert éventuel ne réglera pas le problème de fond.

    « Il a déjà eu d’autres transferts, au coup par coup, sur le continent. Le problème, c’est que ceux qui partent sont rapidement remplacés par de nouveaux arrivants », soupire Marion Bouchetel. Longtemps, les ONG sur place ont soupçonné les autorités grecques et européennes de laisser la situation se dégrader afin d’envoyer un message négatif aux candidats au départ. Lesquels ne se sont visiblement pas découragés.
    Maria Malagardis

    Cette photo me déglingue ! Cette gamine plantée là les bras collés contre le buste, jambes et pieds serrés, comme au garde à vous. Et ce regard, cette expression, je sais pas mais je n’arrive pas à m’en détacher ! Et forcément le T-shirt ! Et le contexte du camp avec l’article, ça me flingue.

    #immigration #grèce #Lesbos #camps #MSF #europe

  • J’essaie de compiler ici des liens et documents sur les processus d’ #externalisation des #frontières en #Libye, notamment des accords avec l’#UE #EU.

    Les documents sur ce fil n’ont pas un ordre chronologique très précis... (ça sera un boulot à faire ultérieurement... sic)

    Les négociations avec l’#Italie sont notamment sur ce fil :
    https://seenthis.net/messages/600874
    #asile #migrations #réfugiés

    Peut-être qu’Isabelle, @isskein, pourra faire ce travail de mise en ordre chronologique quand elle rentrera de vacances ??

    • Ici, un des derniers articles en date... par la suite de ce fil des articles plus anciens...

      Le supplice sans fin des migrants en Libye

      Ils sont arrivés en fin d’après-midi, blessés, épuisés, à bout. Ce 23 mai, près de 117 Soudanais, Ethiopiens et Erythréens se sont présentés devant la mosquée de Beni Oualid, une localité située à 120 km au sud-ouest de Misrata, la métropole portuaire de la Tripolitaine (Libye occidentale). Ils y passeront la nuit, protégés par des clercs religieux et des résidents. Ces nouveaux venus sont en fait des fugitifs. Ils se sont échappés d’une « prison sauvage », l’un de ces centres carcéraux illégaux qui ont proliféré autour de Beni Oualid depuis que s’est intensifié, ces dernières années, le flux de migrants et de réfugiés débarquant du Sahara vers le littoral libyen dans l’espoir de traverser la Méditerranée.

      Ces migrants d’Afrique subsaharienne – mineurs pour beaucoup – portent dans leur chair les traces de violences extrêmes subies aux mains de leurs geôliers : corps blessés par balles, brûlés ou lacérés de coups. Selon leurs témoignages, quinze de leurs camarades d’évasion ont péri durant leur fuite.

      Cris de douleur
      A Beni Oualid, un refuge héberge nombre de ces migrants en détresse. Des blocs de ciment nu cernés d’une terre ocre : l’abri, géré par une ONG locale – Assalam – avec l’assistance médicale de Médecins sans frontières (MSF), est un havre rustique mais dont la réputation grandit. Des migrants y échouent régulièrement dans un piètre état. « Beaucoup souffrent de fractures aux membres inférieurs, de fractures ouvertes infectées, de coups sur le dos laissant la chair à vif, d’électrocution sur les parties génitales », rapporte Christophe Biteau, le chef de la mission MSF pour la -Libye, rencontré à Tunis.

      Leurs tortionnaires les ont kidnappés sur les routes migratoires. Les migrants et réfugiés seront détenus et suppliciés aussi longtemps qu’ils n’auront pas payé une rançon, à travers les familles restées au pays ou des amis ayant déjà atteint Tripoli. Technique usuelle pour forcer les résistances, les détenus torturés sont sommés d’appeler leurs familles afin que celles-ci puissent entendre en « direct » les cris de douleur au téléphone.

      Les Erythréens, Somaliens et Soudanais sont particulièrement exposés à ce racket violent car, liés à une diaspora importante en Europe, ils sont censés être plus aisément solvables que les autres. Dans la région de Beni Oualid, toute cette violence subie, ajoutée à une errance dans des zones désertiques, emporte bien des vies. D’août 2017 à mars 2018, 732 migrants ont trouvé la mort autour de Beni Oualid, selon Assalam.

      En Libye, ces prisons « sauvages » qui parsèment les routes migratoires vers le littoral, illustration de l’osmose croissante entre réseaux historiques de passeurs et gangs criminels, cohabitent avec un système de détention « officiel ». Les deux systèmes peuvent parfois se croiser, en raison de l’omnipotence des milices sur le terrain, mais ils sont en général distincts. Affiliés à une administration – le département de lutte contre la migration illégale (DCIM, selon l’acronyme anglais) –, les centres de détention « officiels » sont au nombre d’une vingtaine en Tripolitaine, d’où embarque l’essentiel des migrants vers l’Italie. Si bien des abus s’exercent dans ces structures du DCIM, dénoncés par les organisations des droits de l’homme, il semble que la violence la plus systématique et la plus extrême soit surtout le fait des « prisons sauvages » tenues par des organisations criminelles.

      Depuis que la polémique s’est envenimée en 2017 sur les conditions de détention des migrants, notamment avec le reportage de CNN sur les « marchés aux esclaves », le gouvernement de Tripoli a apparemment cherché à rationaliser ses dispositifs carcéraux. « Les directions des centres font des efforts, admet Christophe Biteau, de MSF-Libye. Le dialogue entre elles et nous s’est amélioré. Nous avons désormais un meilleur accès aux cellules. Mais le problème est que ces structures sont au départ inadaptées. Il s’agit le plus souvent de simples hangars ou de bâtiments vétustes sans isolation. »

      Les responsables de ces centres se plaignent rituellement du manque de moyens qui, selon eux, explique la précarité des conditions de vie des détenus, notamment sanitaires. En privé, certains fustigent la corruption des administrations centrales de Tripoli, qui perçoivent l’argent des Européens sans le redistribuer réellement aux structures de terrain.

      Cruel paradoxe
      En l’absence d’une refonte radicale de ces circuits de financement, la relative amélioration des conditions de détention observée récemment par des ONG comme MSF pourrait être menacée. « Le principal risque, c’est la congestion qui résulte de la plus grande efficacité des gardes-côtes libyens », met en garde M. Biteau. En effet, les unités de la marine libyenne, de plus en plus aidées et équipées par Bruxelles ou Rome, ont multiplié les interceptions de bateaux de migrants au large du littoral de la Tripolitaine.

      Du 1er janvier au 20 juin, elles avaient ainsi reconduit sur la terre ferme près de 9 100 migrants. Du coup, les centres de détention se remplissent à nouveau. Le nombre de prisonniers dans ces centres officiels – rattachés au DCIM – a grimpé en quelques semaines de 5 000 à 7 000, voire à 8 000. Et cela a un impact sanitaire. « Le retour de ces migrants arrêtés en mer se traduit par un regain des affections cutanées en prison », souligne Christophe Biteau.

      Simultanément, l’Organisation mondiale des migrations (OIM) intensifie son programme dit de « retours volontaires » dans leurs pays d’origine pour la catégorie des migrants économiques, qu’ils soient détenus ou non. Du 1er janvier au 20 juin, 8 571 d’entre eux – surtout des Nigérians, Maliens, Gambiens et Guinéens – sont ainsi rentrés chez eux. L’objectif que s’est fixé l’OIM est le chiffre de 30 000 sur l’ensemble de 2018. Résultat : les personnes éligibles au statut de réfugié et ne souhaitant donc pas rentrer dans leurs pays d’origine – beaucoup sont des ressortissants de la Corne de l’Afrique – se trouvent piégées en Libye avec le verrouillage croissant de la frontière maritime.

      Le Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR) des Nations unies en a bien envoyé certains au Niger – autour de 900 – pour que leur demande d’asile en Europe y soit traitée. Cette voie de sortie demeure toutefois limitée, car les pays européens tardent à les accepter. « Les réfugiés de la Corne de l’Afrique sont ceux dont la durée de détention en Libye s’allonge », pointe M. Biteau. Cruel paradoxe pour une catégorie dont la demande d’asile est en général fondée. Une absence d’amélioration significative de leurs conditions de détention représenterait pour eux une sorte de double peine.

      http://lirelactu.fr/source/le-monde/28fdd3e6-f6b2-4567-96cb-94cac16d078a
      #UE #EU

    • Remarks by High Representative/Vice-President Federica Mogherini at the joint press conference with Sven Mikser, Minister for Foreign Affairs of Estonia
      Mogherini:

      if you are asking me about the waves of migrants who are coming to Europe which means through Libya to Italy in this moment, I can tell you that the way in which we are handling this, thanks also to a very good work we have done with the Foreign Ministers of the all 28 Member States, is through a presence at sea – the European Union has a military mission at sea in the Mediterranean, at the same time dismantling the traffickers networks, having arrested more than 100 smugglers, seizing the boats that are used, saving lives – tens of thousands of people were saved but also training the Libyan coasts guards so that they can take care of the dismantling of the smuggling networks in the Libyan territorial waters.

      And we are doing two other things to prevent the losses of lives but also the flourishing of the trafficking of people: inside Libya, we are financing the presence of the International Organisation for Migration and the UNHCR so that they can have access to the detention centres where people are living in awful conditions, save these people, protect these people but also organising voluntary returns to the countries of origin; and we are also working with the countries of origin and transit, in particular Niger, where more than 80% of the flows transit. I can tell you one number that will strike you probably - in the last 9 months through our action with Niger, we moved from 76 000 migrants passing through Niger into Libya to 6 000.

      https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/26042/remarks-high-representativevice-president-federica-mogherini-joint-press
      #Libye #Niger #HCR #IOM #OIM #EU #UE #Mogherini #passeurs #smugglers

    • Il risultato degli accordi anti-migranti: aumentati i prezzi dei viaggi della speranza

      L’accordo tra Europa e Italia da una parte e Niger dall’altra per bloccare il flusso dei migranti verso la Libia e quindi verso le nostre coste ha ottenuto risultati miseri. O meglio un paio di risultati li ha avuti: aumentare il prezzo dei trasporti – e quindi i guadagni dei trafficanti di uomini – e aumentare a dismisura i disagi e i rischi dei disperati che cercano in tutti i modi di attraversare il Mediterraneo. Insomma le misure adottate non scoraggiano chi vuole partire. molti di loro muoiono ma non muore la loro speranza di una vita migliore.

      http://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi

    • C’était 2016... et OpenMigration publiait cet article:
      Il processo di esternalizzazione delle frontiere europee: tappe e conseguenze di un processo pericoloso

      L’esternalizzazione delle politiche europee e italiane sulle migrazioni: Sara Prestianni ci spiega le tappe fondamentali del processo, e le sue conseguenze più gravi in termini di violazioni dei diritti fondamentali.

      http://openmigration.org/analisi/il-processo-di-esternalizzazione-delle-frontiere-europee-tappe-e-conseguenze-di-un-processo-pericoloso/?platform=hootsuite

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • The Human Rights Risks of External Migration Policies

      This briefing paper sets out the main human rights risks linked to external migration policies, which are a broad spectrum of actions implemented outside of the territory of the state that people are trying to enter, usually through enhanced cooperation with other countries. From the perspective of international law, external migration policies are not necessarily unlawful. However, Amnesty International considers that several types of external migration policies, and particularly the externalization of border control and asylum-processing, pose significant human rights risks. This document is intended as a guide for activists and policy-makers working on the issue, and includes some examples drawn from Amnesty International’s research in different countries.

      https://www.amnesty.org/en/documents/pol30/6200/2017/en

    • Libya’s coast guard abuses migrants despite E.U. funding and training

      The European Union has poured tens of millions of dollars into supporting Libya’s coast guard in search-and-rescue operations off the coast. But the violent tactics of some units and allegations of human trafficking have generated concerns about the alliance.

      https://www.washingtonpost.com/world/middle_east/libyas-coast-guard-abuses-desperate-migrants-despite-eu-funding-and-training/2017/07/10/f9bfe952-7362-4e57-8b42-40ae5ede1e26_story.html?tid=ss_tw

    • How Libya’s #Fezzan Became Europe’s New Border

      The principal gateway into Europe for refugees and migrants runs through the power vacuum in southern Libya’s Fezzan region. Any effort by European policymakers to stabilise Fezzan must be part of a national-level strategy aimed at developing Libya’s licit economy and reaching political normalisation.

      https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/north-africa/libya/179-how-libyas-fezzan-became-europes-new-border
      cc @i_s_

      v. aussi ma tentative cartographique :


      https://seenthis.net/messages/604039

    • Avramopoulos says Sophia could be deployed in Libya

      (ANSAmed) - BRUSSELS, AUGUST 3 - European Commissioner Dimitris Avramopoulos told ANSA in an interview Thursday that it is possible that the #Operation_Sophia could be deployed in Libyan waters in the future. “At the moment, priority should be given to what can be done under the current mandate of Operation Sophia which was just renewed with added tasks,” he said. “But the possibility of the Operation moving to a third stage working in Libyan waters was foreseen from the beginning. If the Libyan authorities ask for this, we should be ready to act”. (ANSAmed).

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2017/08/03/avramopoulos-says-sophia-could-be-deployed-in-libya_602d3d0e-f817-42b0-ac3

    • Les ambivalences de Tripoli face à la traite migratoire. Les trafiquants ont réussi à pénétrer des pans entiers des institutions officielles

      Par Frédéric Bobin (Zaouïa, Libye, envoyé spécial)

      LE MONDE Le 25.08.2017 à 06h39 • Mis à jour le 25.08.2017 à 10h54

      Les petits trous dessinent comme des auréoles sur le ciment fauve. Le haut mur hérissé de fils de fer barbelés a été grêlé d’impacts de balles de kalachnikov à deux reprises, la plus récente en juin. « Ils sont bien mieux armés que nous », soupire Khaled Al-Toumi, le directeur du centre de détention de Zaouïa, une municipalité située à une cinquantaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli. Ici, au cœur de cette bande côtière de la Libye où se concentre l’essentiel des départs de migrants vers l’Italie, une trentaine d’Africains subsahariens sont détenus – un chiffre plutôt faible au regard des centres surpeuplés ailleurs dans le pays.

      C’est que, depuis les assauts de l’établissement par des hommes armés, Khaled Al-Toumi, préfère transférer à Tripoli le maximum de prisonniers. « Nous ne sommes pas en mesure de les protéger », dit-il. Avec ses huit gardes modestement équipés, il avoue son impuissance face aux gangs de trafiquants qui n’hésitent pas à venir récupérer par la force des migrants, dont l’arrestation par les autorités perturbe leurs juteuses affaires. En 2014, ils avaient repris environ 80 Erythréens. Plus récemment, sept Pakistanais. « On reçoit en permanence des menaces, ils disent qu’ils vont enlever nos enfants », ajoute le directeur.

      Le danger est quotidien. Le 18 juillet, veille de la rencontre avec Khaled Al-Toumi, soixante-dix femmes migrantes ont été enlevées à quelques kilomètres de là alors qu’elles étaient transférées à bord d’un bus du centre de détention de Gharian à celui de Sorman, des localités voisines de Zaouïa.

      On compte en Libye une trentaine de centres de ce type, placés sous la tutelle de la Direction de combat contre la migration illégale (DCMI) rattachée au ministère de l’intérieur. A ces prisons « officielles » s’ajoutent des structures officieuses, administrées ouvertement par des milices. L’ensemble de ce réseau carcéral détient entre 4 000 et 7 000 détenus, selon les Nations unies (ONU).

      « Corruption galopante »

      A l’heure où l’Union européenne (UE) nourrit le projet de sous-traiter à la Libye la gestion du flux migratoire le long de la « route de la Méditerranée centrale », le débat sur les conditions de détention en vigueur dans ces centres a gagné en acuité.

      Une partie de la somme de 90 millions d’euros que l’UE s’est engagée à allouer au gouvernement dit d’« union nationale » de Tripoli sur la question migratoire, en sus des 200 millions d’euros annoncés par l’Italie, vise précisément à l’amélioration de l’environnement de ces centres.

      Si des « hot spots » voient le jour en Libye, idée que caressent certains dirigeants européens – dont le président français Emmanuel Macron – pour externaliser sur le continent africain l’examen des demandes d’asile, ils seront abrités dans de tels établissements à la réputation sulfureuse.

      La situation y est à l’évidence critique. Le centre de Zaouïa ne souffre certes pas de surpopulation. Mais l’état des locaux est piteux, avec ses matelas légers jetés au sol et l’alimentation d’une préoccupante indigence, limitée à un seul plat de macaronis. Aucune infirmerie ne dispense de soins.

      « Je ne touche pas un seul dinar de Tripoli ! », se plaint le directeur, Khaled Al-Toumi. Dans son entourage, on dénonce vertement la « corruption galopante de l’état-major de la DCMI à Tripoli qui vole l’argent ». Quand on lui parle de financement européen, Khaled Al-Toumi affirme ne pas en avoir vu la couleur.

      La complainte est encore plus grinçante au centre de détention pour femmes de Sorman, à une quinzaine de kilomètres à l’ouest : un gros bloc de ciment d’un étage posé sur le sable et piqué de pins en bord de plage. Dans la courette intérieure, des enfants jouent près d’une balançoire.

      Là, la densité humaine est beaucoup plus élevée. La scène est un brin irréelle : dans la pièce centrale, environ quatre-vingts femmes sont entassées, fichu sur la tête, regard levé vers un poste de télévision rivé au mur délavé. D’autres se serrent dans les pièces adjacentes. Certaines ont un bébé sur les jambes, telle Christiane, une Nigériane à tresses assise sur son matelas. « Ici, il n’y a rien, déplore-t-elle. Nous n’avons ni couches ni lait pour les bébés. L’eau de la nappe phréatique est salée. Et le médecin ne vient pas souvent : une fois par semaine, souvent une fois toutes les deux semaines. »

      « Battu avec des tuyaux métalliques »

      Non loin d’elle, Viviane, jeune fille élancée de 20 ans, Nigériane elle aussi, se plaint particulièrement de la nourriture, la fameuse assiette de macaronis de rigueur dans tous les centres de détention.

      Viviane est arrivée en Libye en 2015. Elle a bien tenté d’embarquer à bord d’un Zodiac à partir de Sabratha, la fameuse plate-forme de départs à l’ouest de Sorman, mais une tempête a fait échouer l’opération. Les passagers ont été récupérés par les garde-côtes qui les ont répartis dans les différentes prisons de la Tripolitaine. « Je n’ai pas pu joindre ma famille au téléphone, dit Viviane dans un souffle. Elle me croit morte. »

      Si la visite des centres de détention de Zaouïa ou de Sorman permet de prendre la mesure de l’extrême précarité des conditions de vie, admise sans fard par les officiels des établissements eux-mêmes, la question des violences dans ces lieux coupés du monde est plus délicate.

      Les migrants sont embarrassés de l’évoquer en présence des gardes. Mais mises bout à bout, les confidences qu’ils consentent plus aisément sur leur expérience dans d’autres centres permettent de suggérer un contexte d’une grande brutalité. Celle-ci se déploie sans doute le plus sauvagement dans les prisons privées, officieuses, où le racket des migrants est systématique.

      Et les centres officiellement rattachés à la DCMI n’en sont pas pour autant épargnés. Ainsi Al Hassan Dialo, un Guinéen rencontré à Zaouïa, raconte qu’il était « battu avec des tuyaux métalliques » dans le centre de Gharian, où il avait été précédemment détenu.

      « Extorsion, travail forcé »

      On touche là à l’ambiguïté foncière de ce système de détention, formellement rattaché à l’Etat mais de facto placé sous l’influence des milices contrôlant le terrain. Le fait que des réseaux de trafiquants, liés à ces milices, peuvent impunément enlever des détenus au cœur même des centres, comme ce fut le cas à Zaouïa, donne la mesure de leur capacité de nuisance.

      « Le système est pourri de l’intérieur », se désole un humanitaire. « Des fonctionnaires de l’Etat et des officiels locaux participent au processus de contrebande et de trafic d’êtres humains », abonde un rapport de la Mission d’appui de l’ONU en Libye publié en décembre 2016.

      Dans ces conditions, les migrants font l’objet « d’extorsion, de travail forcé, de mauvais traitements et de tortures », dénonce le rapport. Les femmes, elles, sont victimes de violences sexuelles à grande échelle. Le plus inquiétant est qu’avec l’argent européen promis les centres de détention sous tutelle de la DCMI tendent à se multiplier. Trois nouveaux établissements ont fait ainsi leur apparition ces derniers mois dans le Grand Tripoli.

      La duplicité de l’appareil d’Etat, ou de ce qui en tient lieu, est aussi illustrée par l’attitude des gardes-côtes, autres récipiendaires des financements européens et même de stages de formation. Officiellement, ils affirment lutter contre les réseaux de passeurs au maximum de leurs capacités tout en déplorant l’insuffisance de leurs moyens.

      « Nous ne sommes pas équipés pour faire face aux trafiquants », regrette à Tripoli Ayoub Kassim, le porte-parole de la marine libyenne. Au détour d’un plaidoyer pro domo, le hiérarque militaire glisse que le problème de la gestion des flux migratoires se pose moins sur le littoral qu’au niveau de la frontière méridionale de la Libye. « La seule solution, c’est de maîtriser les migrations au sud, explique-t-il. Malheureusement, les migrants arrivent par le Niger sous les yeux de l’armée française » basée à Madama…

      Opérations de patrouille musclées

      Les vieilles habitudes perdurent. Avant 2011, sous Kadhafi, ces flux migratoires – verrouillés ou tolérés selon l’intérêt diplomatique du moment – étaient instrumentalisés pour exercer une pression sur les Européens.

      Une telle politique semble moins systématique, fragmentation de l’Etat oblige, mais elle continue d’inspirer le comportement de bien des acteurs libyens usant habilement de la carte migratoire pour réclamer des soutiens financiers.

      La déficience des équipements des gardes-côtes ne fait guère de doute. Avec son patrouilleur de 14 mètres de Zaouïa et ses quatre autres bâtiments de 26,4 mètres de Tripoli – souffrant de défaillances techniques bien qu’ayant été réparés en Italie –, l’arsenal en Tripolitaine est de fait limité. Par ailleurs, l’embargo sur les ventes d’armes vers la Libye, toujours en vigueur, en bride le potentiel militaire.

      Pourtant, la hiérarchie des gardes-côtes serait plus convaincante si elle était en mesure d’exercer un contrôle effectif sur ses branches locales. Or, à l’évidence, une sérieuse difficulté se pose à Zaouïa. Le chef local de gardes-côtes, Abdelrahman Milad, plus connu sous le pseudonyme d’Al-Bija, joue un jeu trouble. Selon le rapport du panel des experts sur la Libye de l’ONU, publié en juin, Al-Bija doit son poste à Mohamed Koshlaf, le chef de la principale milice de Zaouïa, qui trempe dans le trafic de migrants.

      Le patrouilleur d’Al-Bija est connu pour ses opérations musclées. Le 21 octobre 2016, il s’est opposé en mer à un sauvetage conduit par l’ONG Sea Watch, provoquant la noyade de vingt-cinq migrants. Le 23 mai 2017, le même patrouilleur intervient dans la zone dite « contiguë » – où la Libye est juridiquement en droit d’agir – pour perturber un autre sauvetage mené par le navire Aquarius, affrété conjointement par Médecins sans frontières et SOS Méditerranée, et le Juvena, affrété par l’ONG allemande Jugend Rettet.

      Duplicité des acteurs libyens

      Les gardes-côtes sont montés à bord d’un Zodiac de migrants, subtilisant téléphones portables et argent des occupants. Ils ont également tiré des coups de feu en l’air, et même dans l’eau où avaient sauté des migrants, ne blessant heureusement personne.

      « Il est difficile de comprendre la logique de ce type de comportement, commente un humanitaire. Peut-être le message envoyé aux migrants est-il : “La prochaine fois, passez par nous.” » Ce « passez par nous » peut signifier, selon de bons observateurs de la scène libyenne, « passez par le réseau de Mohamed Koshlaf », le milicien que l’ONU met en cause dans le trafic de migrants.

      Al-Bija pratiquerait ainsi le deux poids-deux mesures, intraitable ou compréhensif selon que les migrants relèvent de réseaux rivaux ou amis, illustration typique de la duplicité des acteurs libyens. « Al-Bija sait qu’il a commis des erreurs, il cherche maintenant à restaurer son image », dit un résident de Zaouïa. Seule l’expérience le prouvera. En attendant, les Européens doivent coopérer avec lui pour fermer la route de la Méditerranée.

      http://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/08/16/en-libye-nous-ne-sommes-que-des-esclaves_5172760_3212.html

    • A PATTI CON LA LIBIA

      La Libia è il principale punto di partenza di barconi carichi di migranti diretti in Europa. Con la Libia l’Europa deve trattare per trovare una soluzione. La Libia però è anche un paese allo sbando, diviso. C’è il governo di Tripoli retto da Fayez al-Sarraj. Poi c’è il generale Haftar che controlla i due terzi del territorio del paese. Senza contare gruppi, milizie, clan tribali. Il compito insomma è complicato. Ma qualcosa, forse, si sta muovendo.

      Dopo decine di vertici inutili, migliaia di morti nel Mediterraneo, promesse non mantenute si torna a parlare con una certa insistenza della necessità di stabilizzare la Libia e aiutare il paese che si affaccia sul Mediterraneo. Particolarmente attiva in questa fase la Francia di Macron, oltre naturalmente all’Italia.

      Tra i punti in discussione c’è il coinvolgimento di altri paesi africani di transito come Niger e Ciad che potrebbero fungere da filtro. Oltre naturalmente ad aiuti diretti alla Libia. Assegni milionari destinati a una migliore gestione delle frontiere ad esempio.

      Ma è davvero così semplice? E come la mettiamo con le violenze e le torture subite dai migranti nei centri di detenzione? Perché proprio ora l’Europa sembra svegliarsi? Cosa si cela dietro questa competizione soprattutto tra Roma e Parigi nel trovare intese con Tripoli?

      http://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/informazione/modem/A-PATTI-CON-LA-LIBIA-9426001.html

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de soutien à la gestion intégrée des migrations et des frontières en Libye d’un montant de 46 millions d’euros

      À la suite du plan d’action de la Commission pour soutenir l’Italie, présenté le 4 juillet, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour un programme doté d’une enveloppe de 46 millions d’euros pour renforcer les capacités des autorités libyennes en matière de gestion intégrée des migrations et des frontières.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-2187_fr.htm

    • L’Europe va verser 200 millions d’euros à la Libye pour stopper les migrants

      Les dirigeants européens se retrouvent ce vendredi à Malte pour convaincre la Libye de freiner les traversées de migrants en Méditerranée. Ils devraient proposer d’équiper et former ses gardes-côtes. Le projet d’ouvrir des camps en Afrique refait surface.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020217/leurope-va-verser-200-millions-deuros-la-libye-pour-stopper-les-migrants

      –-> pour archivage...

    • Persécutés en Libye : l’Europe est complice

      L’Union européenne dans son ensemble, et l’Italie en particulier, sont complices des violations des droits humains commises contre les réfugiés et les migrants en Libye. Enquête.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/refugies-et-migrants-persecutes-en-libye-leurope-est-complice

      #complicité

      Et l’utilisation du mot « persécutés » n’est évidemment pas été choisi au hasard...
      –-> ça renvoie à la polémique de qui est #réfugié... et du fait que l’UE essaie de dire que les migrants en Libye sont des #migrants_économiques et non pas des réfugiés (comme ceux qui sont en Turquie et/ou en Grèce, qui sont des syriens, donc des réfugiés)...
      Du coup, utiliser le concept de #persécution signifie faire une lien direct avec la Convention sur les réfugiés et admettre que les migrants en Libye sont potentiellement des réfugiés...

      La position de l’UE :

      #Mogherini was questioned about the EU’s strategy of outsourcing the migration crisis to foreign countries such as Libya and Turkey, which received billions to prevent Syrian refugees from crossing to Greece.

      She said the situation was different on two counts: first, the migrants stranded in Libya were not legitimate asylum seekers like those fleeing the war in Syria. And second, different international bodies were in charge.

      “When it comes to Turkey, it is mainly refugees from Syria; when it comes to Libya, it is mainly migrants from Sub-Saharan Africa and the relevant international laws apply in different manners and the relevant UN agencies are different – the UNHC

      https://www.euractiv.com/section/development-policy/news/libya-human-bondage-risks-overshadowing-africa-eu-summit
      voir ici : http://seen.li/dqtt

      Du coup, @sinehebdo, « #persécutés » serait aussi un mot à ajouter à ta longue liste...

    • v. aussi:
      Libya: Libya’s dark web of collusion: Abuses against Europe-bound refugees and migrants

      In recent years, hundreds of thousands of refugees and migrants have braved the journey across Africa to Libya and often on to Europe. In response, the Libyan authorities have used mass indefinite detention as their primary migration management tool. Regrettably, the European Union and Italy in particular, have decided to reinforce the capacity of Libyan authorities to intercept refugees and migrants at sea and transfer them to detention centres. It is essential that the aims and nature of this co-operation be rethought; that the focus shift from preventing arrivals in Europe to protecting the rights of refugees and migrants.

      https://www.amnesty.org/fr/documents/document/?indexNumber=mde19%2f7561%2f2017&language=en
      #rapport

    • Amnesty France : « L’Union Européenne est complice des violations de droits de l’homme en Libye »

      Jean-François Dubost est responsable du Programme Protection des Populations (réfugiés, civils dans les conflits, discriminations) chez Amnesty France. L’ONG publie un rapport sur la responsabilité des gouvernements européens dans les violations des droits humains des réfugiés et des migrants en Libye.

      https://www.franceinter.fr/emissions/l-invite-de-6h20/l-invite-de-6h20-12-decembre-2017
      #responsabilité

    • Accordi e crimini contro l’umanità in un rapporto di Amnesty International

      La Rotta del Mediterraneo centrale, dal Corno d’Africa, dall’Africa subsahariana, al Niger al Ciad ed alla Libia costituisce ormai l’unica via di fuga da paesi in guerra o precipitati in crisi economiche che mettono a repentaglio la vita dei loro abitanti, senza alcuna possibile distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Anche perché in Africa, ed in Libia in particolare, la possibilità concreta di chiedere asilo ed ottenere un permesso di soggiorno o un visto, oltre al riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR, è praticamente nulla. Le poche persone trasferite in altri paesi europei dai campi libici (resettlement), come i rimpatri volontari ampiamente pubblicizzati, sono soltanto l’ennesima foglia di fico che si sta utilizzando per nascondere le condizioni disumane in cui centinaia di migliaia di persone vengono trattenute sotto sequestro nei centri di detenzione libici , ufficiali o informali. In tutti gravissime violazioni dei diritti umani, anche subito dopo la visita dei rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM, come dichiarano alcuni testimoni.

      https://www.a-dif.org/2017/12/12/accordi-e-crimini-contro-lumanita-in-un-rapporto-di-amnesty-international

    • Bundestag study: Cooperation with Libyan coastguard infringes international conventions

      “Libya is unable to nominate a Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC), and so rescue missions outside its territorial waters are coordinated by the Italian MRCC in Rome. More and more often the Libyan coastguard is being tasked to lead these missions as on-scene-commander. Since refugees are subsequently brought to Libya, the MRCC in Rome may be infringing the prohibition of refoulement contained in the Geneva Convention relating to the Status of Refugees. This, indeed, was also the conclusion reached in a study produced by the Bundestag Research Service. The European Union and its member states must therefore press for an immediate end to this cooperation with the Libyan coastguard”, says Andrej Hunko, European policy spokesman for the Left Party.

      The Italian Navy is intercepting refugees in the Mediterranean and arranging for them to be picked up by Libyan coastguard vessels. The Bundestag study therefore suspects an infringement of the European Human Rights Convention of the Council of Europe. The rights enshrined in the Convention also apply on the high seas.

      Andrej Hunko goes on to say, “For two years the Libyan coastguard has regularly been using force against sea rescuers, and many refugees have drowned during these power games. As part of the EUNAVFOR MED military mission, the Bundeswehr has also been cooperating with the Libyan coastguard and allegedly trained them in sea rescue. I regard that as a pretext to arm Libya for the prevention of migration. This cooperation must be the subject of proceedings before the European Court of Human Rights, because the people who are being forcibly returned with the assistance of the EU are being inhumanely treated, tortured or killed.

      The study also emphasises that the acts of aggression against private rescue ships violate the United Nations Convention on the Law of the Sea. Nothing in that Convention prescribes that sea rescues must be undertaken by a single vessel. On the contrary, masters of other ships even have a duty to render assistance if they cannot be sure that all of the persons in distress will be quickly rescued. This is undoubtedly the case with the brutal operations of the Libyan coastguard.

      The Libyan Navy might soon have its own MRCC, which would then be attached to the EU surveillance system. The European Commission examined this option in a feasibility study, and Italy is now establishing a coordination centre for this purpose in Tripoli. A Libyan MRCC would encourage the Libyan coastguard to throw its weight about even more. The result would be further violations of international conventions and even more deaths.”

      https://andrej-hunko.de/presse/3946-bundestag-study-cooperation-with-libyan-coastguard-infringes-inter

      v. aussi l’étude:
      https://andrej-hunko.de/start/download/dokumente/1109-bundestag-research-services-maritime-rescue-in-the-mediterranean/file

    • Migrants : « La nasse libyenne a été en partie tissée par la France et l’Union européenne »

      Dans une tribune publiée dans « Le Monde », Thierry Allafort-Duverger, le directeur général de Médecins Sans Frontières, juge hypocrite la posture de la France, qui favorise l’interception de migrants par les garde-côtes libyens et dénonce leurs conditions de détention sur place.

      https://www.msf.fr/actualite/articles/migrants-nasse-libyenne-ete-en-partie-tissee-france-et-union-europeenne
      #hypocrisie

    • Libye : derrière l’arbre de « l’esclavage »
      Par Ali Bensaâd, Professeur à l’Institut français de géopolitique, Paris-VIII — 30 novembre 2017 à 17:56

      L’émotion suscitée par les crimes abjectes révélés par CNN ne doit pas occulter un phénomène bien plus vaste et ancien : celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité.

      L’onde de choc créée par la diffusion de la vidéo de CNN sur la « vente » de migrants en Libye, ne doit pas se perdre en indignations. Et il ne faut pas que les crimes révélés occultent un malheur encore plus vaste, celui de centaines de milliers de migrants africains qui vivent et travaillent depuis des décennies, en Libye et au Maghreb, dans des conditions extrêmes d’exploitation et d’atteinte à leur dignité. Par ailleurs, ces véritables crimes contre l’humanité ne sont, hélas, pas spécifiques de la Libye. A titre d’exemple, les bédouins égyptiens ou israéliens - supplétifs sécuritaires de leurs armées - ont précédé les milices libyennes dans ces pratiques qu’ils poursuivent toujours et qui ont été largement documentées.

      Ces crimes contre l’humanité, en raison de leur caractère particulièrement abject, méritent d’être justement qualifiés. Il faut s’interroger si le qualificatif « esclavage », au-delà du juste opprobre dont il faut entourer ces pratiques, est le plus scientifiquement approprié pour comprendre et combattre ces pratiques d’autant que l’esclavage a été une réalité qui a structuré pendant un millénaire le rapport entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne. Il demeure le non-dit des inconscients culturels des sociétés de part et d’autre du Sahara, une sorte de « bombe à retardement ». « Mal nommer un objet, c’est ajouter au malheur de ce monde » (1) disait Camus. Et la Libye est un condensé des malheurs du monde des migrations. Il faut donc les saisir par-delà le raccourci de l’émotion.

      D’abord, ils ne sont nullement le produit du contexte actuel de chaos du pays, même si celui-ci les aggrave. Depuis des décennies, chercheurs et journalistes ont documenté la difficile condition des migrants en Libye qui, depuis les années 60, font tourner pour l’essentiel l’économie de ce pays rentier. Leur nombre a pu atteindre certaines années jusqu’à un million pour une population qui pouvait alors compter à peine cinq millions d’habitants. C’est dire leur importance dans le paysage économique et social de ce pays. Mais loin de favoriser leur intégration, l’importance de leur nombre a été conjurée par une précarisation systématique et violente comme l’illustrent les expulsions massives et violentes de migrants qui ont jalonné l’histoire du pays notamment en 1979, 1981, 1985, 1995, 2000 et 2007. Expulsions qui servaient tout à la fois à installer cette immigration dans une réversibilité mais aussi à pénaliser ou gratifier les pays dont ils sont originaires pour les vassaliser. Peut-être contraints, les dirigeants africains alors restaient sourds aux interpellations de leurs migrants pour ne pas contrarier la générosité du « guide » dont ils étaient les fidèles clients. Ils se tairont également quand, en 2000, Moussa Koussa, l’ancien responsable des services libyens, aujourd’hui luxueusement réfugié à Londres, a organisé un véritable pogrom où périrent 500 migrants africains assassinés dans des « émeutes populaires » instrumentalisées. Leur but était cyniquement de faire avaliser, par ricochet, la nouvelle orientation du régime favorable à la normalisation et l’ouverture à l’Europe et cela en attisant un sentiment anti-africain pour déstabiliser la partie de la vieille garde qui y était rétive. Cette normalisation, faite en partie sur le cadavre de migrants africains, se soldera par l’intronisation de Kadhafi comme gardien des frontières européennes. Les migrants interceptés et ceux que l’Italie refoule, en violation des lois européennes, sont emprisonnés, parfois dans les mêmes lieux aujourd’hui, et soumis aux mêmes traitements dégradants.

      En 2006, ce n’était pas 260 migrants marocains qui croupissaient comme aujourd’hui dans les prisons libyennes, ceux dont la vidéo a ému l’opinion, mais 3 000 et dans des conditions tout aussi inhumaines. Kadhafi a signé toutes les conventions que les Européens ont voulues, sachant qu’il n’allait pas les appliquer. Mais lorsque le HCR a essayé de prendre langue avec le pouvoir libyen au sujet de la convention de Genève sur les réfugiés, Kadhafi ferma les bureaux du HCR et expulsa, en les humiliant, ses dirigeants le 9 juin 2010. Le même jour, débutait un nouveau round de négociations en vue d’un accord de partenariat entre la Libye et l’Union européenne et le lendemain, 10 juin, Kadhafi était accueilli en Italie. Une année plus tard, alors même que le CNT n’avait pas encore établi son autorité sur le pays et que Kadhafi et ses troupes continuaient à résister, le CNT a été contraint de signer avec l’Italie un accord sur les migrations dont un volet sur la réadmission des migrants transitant par son territoire. Hier, comme aujourd’hui, c’est à la demande expresse et explicite de l’UE que les autorités libyennes mènent une politique de répression et de rétention de migrants. Et peut-on ignorer qu’aujourd’hui traiter avec les pouvoirs libyens, notamment sur les questions sécuritaires, c’est traiter de fait avec des milices dont dépendent ces pouvoirs eux-mêmes pour leur propre sécurité ? Faut-il s’étonner après cela de voir des milices gérer des centres de rétention demandés par l’UE ?

      Alors que peine à émerger une autorité centrale en Libye, les pays occidentaux n’ont pas cessé de multiplier les exigences à l’égard des fragiles centres d’un pouvoir balbutiant pour leur faire prendre en charge leur protection contre les migrations et le terrorisme au risque de les fragiliser comme l’a montré l’exemple des milices de Misrata. Acteur important de la réconciliation et de la lutte contre les extrémistes, elles ont été poussées, à Syrte, à combattre Daech quasiment seules. Elles en sont sorties exsangues, rongées par le doute et fragilisées face à leurs propres extrémistes. Les rackets, les kidnappings et le travail forcé pour ceux qui ne peuvent pas payer, sont aussi le lot des Libyens, notamment ceux appartenant au camp des vaincus, détenus dans ce que les Libyens nomment « prisons clandestines ». Libyens, mais plus souvent migrants qui ne peuvent payer, sont mis au travail forcé pour les propres besoins des miliciens en étant « loués » ponctuellement le temps d’une captivité qui dure de quelques semaines à quelques mois pour des sommes dérisoires.

      Dans la vidéo de CNN, les sommes évoquées, autour de 400 dinars libyens, sont faussement traduites par les journalistes, selon le taux officiel fictif, en 400 dollars. En réalité, sur le marché réel, la valeur est dix fois inférieure, un dollar valant dix dinars libyens et un euro, douze. Faire transiter un homme, même sur la seule portion saharienne du territoire, rapporte 15 fois plus (500 euros) aux trafiquants et miliciens. C’est par défaut que les milices se rabattent sur l’exploitation, un temps, de migrants désargentés mais par ailleurs encombrants.

      La scène filmée par CNN est abjecte et relève du crime contre l’humanité. Mais il s’agit de transactions sur du travail forcé et de corvées. Il ne s’agit pas de vente d’hommes. Ce n’est pas relativiser ou diminuer ce qui est un véritable crime contre l’humanité, mais il faut justement qualifier les objets. Il s’agit de pratiques criminelles de guerre et de banditisme qui exploitent les failles de politiques migratoires globales. On n’assiste pas à une résurgence de l’esclavage. Il ne faut pas démonétiser l’indignation et la vigilance en recourant rapidement aux catégories historiques qui mobilisent l’émotion. Celle-ci retombe toujours. Et pendant que le débat s’enflamme sur « l’esclavage », la même semaine, des centaines d’hommes « libres » sont morts, noyés en Méditerranée, s’ajoutant à des dizaines de milliers qui les avaient précédés.

      (1) C’est la véritable expression utilisée par Camus dans un essai de 1944, paru dans Poésie 44, (Sur une philosophie de l’expression), substantiellement très différente, en termes philosophiques, de ce qui sera reporté par la suite : « Mal nommer les choses, c’est ajouter aux malheurs du monde. »

      http://www.liberation.fr/debats/2017/11/30/libye-derriere-l-arbre-de-l-esclavage_1613662

    • Quand l’Union européenne veut bloquer les exilé-e-s en Libye

      L’Union européenne renforce les capacités des garde-côtes Libyens pour qu’ils interceptent les bateaux d’exilé-e-s dans les eaux territoriales et les ramènent en Libye. Des navires de l’#OTAN patrouillent au large prétendument pour s’attaquer aux « bateaux de passeurs », ce qui veut dire que des moyens militaires sont mobilisés pour empêcher les exilé-e-s d’atteindre les côtes européennes. L’idée a été émise de faire le tri, entre les personnes qui relèveraient de l’asile et celles qui seraient des « migrants économiques » ayant « vocation » à être renvoyés, sur des bateaux ua large de la Libye plutôt que sur le sol italien, créant ainsi des « #hotspots_flottants« .

      https://lampedusauneile.wordpress.com/2016/07/15/quand-lunion-europeenne-veut-bloquer-les-exile-e-s-en-lib

    • Le milizie libiche catturano in mare centinaia di migranti in fuga verso l’Europa. E li richiudono in prigione. Intanto l’Unione Europea si prepara ad inviare istruttori per rafforzare le capacità di arresto da parte della polizia libica. Ma in Libia ci sono tante «guardie costiere» ed ognuna risponde ad un governo diverso.

      Sembra di ritornare al 2010, quando dopo i respingimenti collettivi in Libia eseguiti direttamente da mezzi della Guardia di finanza italiana a partire dal 7 maggio 2009, in base agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, si inviarono in Libia agenti della Guardia di finanza per istruire la Guardia Costiera libica nelle operazioni di blocco dei migranti che erano riusciti a fuggire imbarcandosi su mezzi sempre più fatiscenti.

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/05/le-milizie-libiche-catturano-in-mare.html?m=1

    • Merkel, Hollande Warn Libya May Be Next Big Migrant Staging Area

      The European Union may need an agreement with Libya to restrict refugee flows similar to one with Turkey as the North African country threatens to become the next gateway for migrants to Europe, the leaders of Germany and France said.

      http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-04-07/merkel-hollande-warn-libya-may-be-next-big-migrant-staging-area
      #accord #Libye #migrations #réfugiés #asile #politique_migratoire #externalisation #UE #Europe

    • Le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique adopte un programme de 90 millions € pour la protection des migrants et l’amélioration de la gestion des migrations en Libye

      Dans le prolongement de la communication conjointe sur la route de la Méditerranée centrale et de la déclaration de Malte, le fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique a adopté ce jour, sur proposition de la Commission européenne, un programme de 90 millions € visant à renforcer la protection des migrants et à améliorer la gestion des migrations en Libye.

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-951_fr.htm

    • L’Europa non può affidare alla Libia le vite dei migranti

      “Il rischio è che Italia ed Europa si rendano complici delle violazioni dei diritti umani commesse in Libia”, dice il direttore generale di Medici senza frontiere (Msf) Arjan Hehenkamp. Mentre le organizzazioni non governative che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale sono al centro di un processo di criminalizzazione, l’Italia e l’Europa stanno cercando di delegare alle autorità libiche la soluzione del problema degli sbarchi.

      http://www.internazionale.it/video/2017/05/04/ong-libia-migranti

    • MSF accuses Libyan coastguard of endangering people’s lives during Mediterranean rescue

      During a rescue in the Mediterranean Sea on 23 May, the Libyan coastguard approached boats in distress, intimidated the passengers and then fired gunshots into the air, threatening people’s lives and creating mayhem, according to aid organisations Médecins Sans Frontières and SOS Méditerranée, whose teams witnessed the violent incident.

      http://www.msf.org/en/article/msf-accuses-libyan-coastguard-endangering-people%E2%80%99s-lives-during-mediter

    • Enquête. Le chaos libyen est en train de déborder en Méditerranée

      Pour qu’ils bloquent les flux migratoires, l’Italie, appuyée par l’UE, a scellé un accord avec les gardes-côtes libyens. Mais ils ne sont que l’une des très nombreuses forces en présence dans cet État en lambeaux. Désormais la Méditerranée devient dangereuse pour la marine italienne, les migrants, et les pêcheurs.


      http://www.courrierinternational.com/article/enquete-le-chaos-libyen-est-en-train-de-deborder-en-mediterra

    • Architect of EU-Turkey refugee pact pushes for West Africa deal

      “Every migrant from West Africa who survives the dangerous journey from Libya to Italy remains in Europe for years afterwards — regardless of the outcome of his or her asylum application,” Knaus said in an interview.

      To accelerate the deportations of rejected asylum seekers to West African countries that are considered safe, the EU needs to forge agreements with their governments, he said.

      http://www.politico.eu/article/migration-italy-libya-architect-of-eu-turkey-refugee-pact-pushes-for-west-a
      cc @i_s_

      Avec ce commentaire de Francesca Spinelli :

    • Pour 20 milliards, la Libye pourrait bloquer les migrants à sa frontière sud

      L’homme fort de l’Est libyen, Khalifa Haftar, estime à « 20 milliards de dollars sur 20 ou 25 ans » l’effort européen nécessaire pour aider à bloquer les flux de migrants à la frontière sud du pays.

      https://www.rts.ch/info/monde/8837947-pour-20-milliards-la-libye-pourrait-bloquer-les-migrants-a-sa-frontiere-

    • Bruxelles offre 200 millions d’euros à la Libye pour freiner l’immigration

      La Commission européenne a mis sur la table de nouvelles mesures pour freiner l’arrivée de migrants via la mer méditerranée, dont 200 millions d’euros pour la Libye. Un article de notre partenaire Euroefe.

      http://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/bruxelles-offre-200-millions-deuros-a-la-libye-pour-freiner-limmigration/?nl_ref=29858390

      #Libye #asile #migrations #accord #deal #réfugiés #externalisation
      cc @reka

    • Stuck in Libya. Migrants and (Our) Political Responsibilities

      Fighting at Tripoli’s international airport was still under way when, in July 2014, the diplomatic missions of European countries, the United States and Canada were shut down. At that time Italy decided to maintain a pied-à-terre in place in order to preserve the precarious balance of its assets in the two-headed country, strengthening security at its local headquarters on Tripoli’s seafront. On the one hand there was no forsaking the Mellitah Oil & Gas compound, controlled by Eni and based west of Tripoli. On the other, the Libyan coast also had to be protected to assist the Italian forces deployed in Libyan waters and engaged in the Mare Nostrum operation to dismantle the human smuggling network between Libya and Italy, as per the official mandate. But the escalation of the civil war and the consequent deterioration of security conditions led Rome to leave as well, in February 2015.

      http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/stuck-libya-migrants-and-our-political-responsibilities-16294

    • Libia: diritto d’asilo cercasi, smarrito fra Bruxelles e Tripoli (passando per Roma)

      La recente Comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, il Memorandum Italia-Libia firmato il 2 febbraio e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta hanno delineato un progetto di chiusura della “rotta” del Mediterraneo centrale che rischia di seppellire, di fatto, il diritto d’asilo nel Paese e ai suoi confini.

      http://viedifuga.org/libia-diritto-d-asilo-cercasi-smarrito-fra-bruxelles-e-tripoli

    • Immigration : l’Union européenne veut aider la Libye

      L’Union européenne veut mettre fin à ces traversées entre la Libye et l’Italie. Leur plan passe par une aide financière aux autorités libyennes.

      http://www.rts.ch/play/tv/19h30/video/immigration-lunion-europeenne-veut-aider-la-libye?id=8360849

      Dans ce bref reportage, la RTS demande l’opinion d’Etienne Piguet (prof en géographie des migrations à l’Université de Neuchâtel) :
      « L’Union européenne veut absolument limiter les arrivées, mais en même temps on ne peut pas simplement refouler les gens. C’est pas acceptable du point de vue des droits humains. Donc l’UE essaie de mettre en place un système qui tient les gens à distance tout en leur offrant des conditions acceptables d’accueil » (en Libye, entend-il)
      Je m’abstiens de tout commentaire.

    • New EU Partnerships in North Africa: Potential to Backfire?

      As European leaders meet in Malta to receive a progress report on the EU flagship migration partnership framework, the European Union finds itself in much the same position as two years earlier, with hundreds of desperate individuals cramming into flimsy boats and setting off each week from the Libyan coast in hope of finding swift rescue and passage in Europe. Options to reduce flows unilaterally are limited. Barred by EU law from “pushing back” vessels encountered in the Mediterranean, the European Union is faced with no alternative but to rescue and transfer passengers to European territory, where the full framework of European asylum law applies. Member States are thus looking more closely at the role transit countries along the North African coastline might play in managing these flows across the Central Mediterranean. Specifically, they are examining the possibility of reallocating responsibility for search and rescue to Southern partners, thereby decoupling the rescue missions from territorial access to international protection in Europe.

      http://www.migrationpolicy.org/news/new-eu-partnerships-north-africa-potential-backfire

    • Migration: MSF warns EU about inhumane approach to migration management

      As European Union (EU) leaders meet in Malta today to discuss migration, with a view to “close down the route from Libya to Italy” by stepping up cooperation with the Libyan authorities, we want to raise grave concerns about the fate of people trapped in Libya or returned to the country. Médecins Sans Frontières (MSF) has been providing medical care to migrants, refugees and asylum seekers detained in Tripoli and the surrounding area since July 2016 and people are detained arbitrarily in inhumane and unsanitary conditions, often without enough food and clean water and with a lack of access to medical care.

      http://www.msf.org/en/article/migration-msf-warns-eu-about-inhumane-approach-migration-management

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Libya is not Turkey: why the EU plan to stop Mediterranean migration is a human rights concern

      EU leaders have agreed to a plan that will provide Libya’s UN-backed government €200 million for dealing with migration. This includes an increase in funding for the Libyan coastguard, with an overall aim to stop migrant boats crossing the Mediterranean to Italy.

      https://theconversation.com/libya-is-not-turkey-why-the-eu-plan-to-stop-mediterranean-migration

    • EU aims to step up help to Libya coastguards on migrant patrols

      TUNIS (Reuters) - The European Union wants to rapidly expand training of Libyan coastguards to stem migrant flows to Italy and reduce deaths at sea, an EU naval mission said on Thursday, signaling a renewed push to support a force struggling to patrol its own coasts.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya/eu-aims-to-step-up-help-to-libya-coastguards-on-migrant-patrols-idUSKCN1GR3

      #UE #EU

    • Why Cooperating With Libya on Migration Could Damage the EU’s Standing

      Italy and the Netherlands began training Libyan coast guard and navy officers on Italian and Dutch navy ships in the Mediterranean earlier in October. The training is part of the European Union’s anti-smuggling operation in the central Mediterranean with the goal of enhancing Libya’s “capability to disrupt smuggling and trafficking… and to perform search-and-rescue activities.”

      http://europe.newsweek.com/why-cooperating-libya-migration-could-damage-eus-standing-516099?rm
      #asile #migrations #réfugiés #Europe #UE #EU #Libye #coopération #externalisation #Méditerranée #Italie #Pays-Bas #gardes-côtes

    • Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les garde-côtes libyens

      Nombre de dirigeants européens appellent à une « coopération » renforcée avec les garde-côtes libyens. Mais une fois interceptés en mer, ces migrants sont renvoyés dans des centres de détention indignes et risquent de retomber aux mains de trafiquants.

      C’est un peu la bouée de sauvetage des dirigeants européens. La « coopération » avec la Libye et ses légions de garde-côtes reste l’une des dernières politiques à faire consensus dans les capitales de l’UE, s’agissant des migrants. Initiée en 2016 pour favoriser l’interception d’embarcations avant leur entrée dans les eaux à responsabilité italienne ou maltaise, elle a fait chuter le nombre d’arrivées en Europe.

      Emmanuel Macron en particulier s’en est félicité, mardi 26 juin, depuis le Vatican : « La capacité à fermer cette route [entre la Libye et l’Italie, ndlr] est la réponse la plus efficace » au défi migratoire. Selon lui, ce serait même « la plus humaine ». Alors qu’un Conseil européen crucial s’ouvre ce jeudi 28 juin, le président français appelle donc à « renforcer » cette coopération avec Tripoli.

      Convaincu qu’il faut laisser les Libyens travailler, il s’en est même pris, mardi, aux bateaux humanitaires et en particulier au Lifeline, le navire affrété par une ONG allemande qui a débarqué 233 migrants mercredi soir à Malte (après une semaine d’attente en mer et un blocus de l’Italie), l’accusant d’être « intervenu en contravention de toutes les règles et des garde-côtes libyens ». Lancé, Emmanuel Macron est allé jusqu’à reprocher aux bateaux des ONG de faire « le jeu des passeurs ».

      Inédite dans sa bouche (mais entendue mille fois dans les diatribes de l’extrême droite transalpine), cette sentence fait depuis bondir les organisations humanitaires les unes après les autres, au point que Médecins sans frontières (qui affrète l’Aquarius avec SOS Méditerranée), Amnesty International France, La Cimade et Médecins du monde réclament désormais un rendez-vous à l’Élysée, se disant « consternées ».

      Ravi, lui, le ministre de l’intérieur italien et leader d’extrême droite, Matteo Salvini, en a profité pour annoncer mercredi un don exceptionnel en faveur des garde-côtes de Tripoli, auxquels il avait rendu visite l’avant-veille : 12 navires de patrouille, une véritable petite flotte.

      En deux ans, la coopération avec ce pays de furie qu’est la Libye post-Kadhafi semble ainsi devenue la solution miracle, « la plus humaine » même, que l’UE ait dénichée face au défi migratoire en Méditerranée centrale. Comment en est-on arrivé là ? Jusqu’où va cette « coopération » qualifiée de « complicité » par certaines ONG ? Quels sont ses résultats ?

      • Déjà 8 100 interceptions en mer
      À ce jour, en 2018, environ 16 000 migrants ont réussi à traverser jusqu’en Italie, soit une baisse de 77 % par rapport à l’an dernier. Sur ce point, Emmanuel Macron a raison : « Nous avons réduit les flux. » Les raisons, en réalité, sont diverses. Mais de fait, plus de 8 100 personnes parties de Libye ont déjà été rattrapées par les garde-côtes du pays cette année et ramenées à terre, d’après le Haut Commissariat aux réfugiés (le HCR). Contre 800 en 2015.

      Dans les écrits de cette agence de l’ONU, ces migrants sont dits « sauvés/interceptés », sans qu’il soit tranché entre ces deux termes, ces deux réalités. À lui seul, ce « / » révèle toute l’ambiguïté des politiques de coopération de l’UE : si Bruxelles aime penser que ces vies sont sauvées, les ONG soulignent qu’elles sont surtout ramenées en enfer. Certains, d’ailleurs, préfèrent sauter de leur bateau pneumatique en pleine mer plutôt que retourner en arrière.

      • En Libye, l’« abominable » sort des migrants (source officielle)
      Pour comprendre les critiques des ONG, il faut rappeler les conditions inhumaines dans lesquelles les exilés survivent dans cet « État tampon », aujourd’hui dirigé par un gouvernement d’union nationale ultra contesté (basé à Tripoli), sans contrôle sur des parts entières du territoire. « Ce que nous entendons dépasse l’entendement, rapporte l’un des infirmiers de l’Aquarius, qui fut du voyage jusqu’à Valence. Les migrants subsahariens sont affamés, assoiffés, torturés. » Parmi les 630 passagers débarqués en Espagne, l’une de ses collègues raconte avoir identifié de nombreux « survivants de violences sexuelles », « des femmes et des hommes à la fois, qui ont vécu le viol et la torture sexuelle comme méthodes d’extorsion de fonds », les familles étant souvent soumises au chantage par téléphone. Un diagnostic dicté par l’émotion ? Des exagérations de rescapés ?

      Le même constat a été officiellement dressé, dès janvier 2017, par le Haut-Commissariat aux droits de l’homme de l’ONU. « Les migrants se trouvant sur le sol libyen sont victimes de détention arbitraire dans des conditions inhumaines, d’actes de torture, notamment de violence sexuelle, d’enlèvements visant à obtenir une rançon, de racket, de travail forcé et de meurtre », peut-on lire dans son rapport, où l’on distingue les centres de détention officiels dirigés par le Service de lutte contre la migration illégale (relevant du ministère de l’intérieur) et les prisons clandestines tenues par des milices armées.

      Même dans les centres gouvernementaux, les exilés « sont détenus arbitrairement sans la moindre procédure judiciaire, en violation du droit libyen et des normes internationales des droits de l’homme. (…) Ils sont souvent placés dans des entrepôts dont les conditions sont abominables (…). Des surveillants refusent aux migrants l’accès aux toilettes, les obligeant à uriner et à déféquer [là où ils sont]. Dans certains cas, les migrants souffrent de malnutrition grave [environ un tiers de la ration calorique quotidienne minimale]. Des sources nombreuses et concordantes [évoquent] la commission d’actes de torture, notamment des passages à tabac, des violences sexuelles et du travail forcé ».

      Sachant qu’il y a pire à côté : « Des groupes armés et des trafiquants détiennent d’autres migrants dans des lieux non officiels. » Certaines de ces milices, d’ailleurs, « opèrent pour le compte de l’État » ou pour « des agents de l’État », pointe le rapport. Le marché du kidnapping, de la vente et de la revente, est florissant. C’est l’enfer sans même Lucifer pour l’administrer.

      En mai dernier, par exemple, une centaine de migrants a réussi à s’évader d’une prison clandestine de la région de Bani Walid, où MSF gère une clinique de jour. « Parmi les survivants que nous avons soignés, des jeunes de 16 à 18 ans en majorité, certains souffrent de blessures par balles, de fractures multiples, de brûlures, témoigne Christophe Biteau, chef de mission de l’ONG en Libye. Certains nous racontent avoir été baladés, détenus, revendus, etc., pendant trois ans. » Parfois, MSF recueille aussi des migrants relâchés « spontanément » par leurs trafiquants : « Un mec qui commence à tousser par exemple, ils n’en veulent plus à cause des craintes de tuberculose. Pareil en cas d’infections graves. Il y a comme ça des migrants, sur lesquels ils avaient investi, qu’ils passent par “pertes et profits”, si j’ose dire. »

      Depuis 2017, et surtout les images d’un marché aux esclaves diffusées sur CNN, les pressions de l’ONU comme de l’UE se sont toutefois multipliées sur le gouvernement de Tripoli, afin qu’il s’efforce de vider les centres officiels les plus honteux – 18 ont été fermés, d’après un bilan de mars dernier. Mais dans un rapport récent, daté de mai 2018, le secrétaire général de l’ONU persiste : « Les migrants continuent d’être sujets (…) à la torture, à du rançonnement, à du travail forcé et à des meurtres », dans des « centres officiels et non officiels ». Les auteurs ? « Des agents de l’État, des groupes armés, des trafiquants, des gangs criminels », encore et encore.

      Au 21 juin, plus de 5 800 personnes étaient toujours détenues dans les centres officiels. « Nous en avons répertorié 33, dont 4 où nous avons des difficultés d’accès », précise l’envoyé spécial du HCR pour la situation en Méditerranée centrale, Vincent Cochetel, qui glisse au passage : « Il est arrivé que des gens disparaissent après nous avoir parlé. » Surtout, ces derniers jours, avec la fin du ramadan et les encouragements des dirigeants européens adressés aux garde-côtes libyens, ces centres de détention se remplissent à nouveau.

      • Un retour automatique en détention
      Car c’est bien là, dans ces bâtiments gérés par le ministère de l’intérieur, que sont théoriquement renvoyés les migrants « sauvés/interceptés » en mer. Déjà difficile, cette réalité en cache toutefois une autre. « Les embarcations des migrants décollent en général de Libye en pleine nuit, raconte Christophe Biteau, de MSF. Donc les interceptions par les garde-côtes se font vers 2 h ou 3 h du matin et les débarquements vers 6 h. Là, avant l’arrivée des services du ministère de l’intérieur libyen et du HCR (dont la présence est autorisée sur la douzaine de plateformes de débarquement utilisées), il y a un laps de temps critique. » Où tout peut arriver.

      L’arrivée à Malte, mercredi 27 juin 2018, des migrants sauvés par le navire humanitaire « Lifeline » © Reuters
      Certains migrants de la Corne de l’Afrique (Érythrée, Somalie, etc.), réputés plus « solvables » que d’autres parce qu’ils auraient des proches en Europe jouissant déjà du statut de réfugiés, racontent avoir été rachetés à des garde-côtes par des trafiquants. Ces derniers répercuteraient ensuite le prix d’achat de leur « marchandise » sur le tarif de la traversée, plus chère à la seconde tentative… Si Christophe Biteau ne peut témoigner directement d’une telle corruption de garde-côtes, il déclare sans hésiter : « Une personne ramenée en Libye peut très bien se retrouver à nouveau dans les mains de trafiquants. »

      Au début du mois de juin, le Conseil de sécurité de l’ONU (rien de moins) a voté des sanctions à l’égard de six trafiquants de migrants (gel de comptes bancaires, interdiction de voyager, etc.), dont le chef d’une unité de… garde-côtes. D’autres de ses collègues ont été suspectés par les ONG de laisser passer les embarcations siglées par tel ou tel trafiquant, contre rémunération.

      En tout cas, parmi les migrants interceptés et ramenés à terre, « il y a des gens qui disparaissent dans les transferts vers les centres de détention », confirme Vincent Cochetel, l’envoyé spécial du HCR. « Sur les plateformes de débarquement, on aimerait donc mettre en place un système d’enregistrement biométrique, pour essayer de retrouver ensuite les migrants dans les centres, pour protéger les gens. Pour l’instant, on n’a réussi à convaincre personne. » Les « kits médicaux » distribués sur place, financés par l’UE, certes utiles, ne sont pas à la hauteur de l’enjeu.

      • Des entraînements financés par l’UE
      Dans le cadre de l’opération Sophia (théoriquement destinée à lutter contre les passeurs et trafiquants dans les eaux internationales de la Méditerranée), Bruxelles a surtout décidé, en juin 2016, d’initier un programme de formation des garde-côtes libyens, qui a démarré l’an dernier et déjà bénéficié à 213 personnes. C’est que, souligne-t-on à Bruxelles, les marines européennes ne sauraient intervenir elles-mêmes dans les eaux libyennes.

      Il s’agit à la fois d’entraînements pratiques et opérationnels (l’abordage de canots, par exemple) visant à réduire les risques de pertes humaines durant les interventions, et d’un enseignement juridique (droit maritimes, droits humains, etc.), notamment à destination de la hiérarchie. D’après la commission européenne, tous les garde-côtes bénéficiaires subissent un « check de sécurité » avec vérifications auprès d’Interpol et Europol, voire des services de renseignement des États membres, pour écarter les individus les plus douteux.

      Il faut dire que les besoins de « formation » sont – pour le moins – criants. À plusieurs reprises, des navires humanitaires ont été témoins d’interceptions violentes, sinon criminelles. Sur une vidéo filmée depuis le Sea Watch (ONG allemande) en novembre dernier, on a vu des garde-côtes frapper certains des migrants repêchés, puis redémarrer alors qu’un homme restait suspendu à l’échelle de bâbord, sans qu’aucun Zodiac de secours ne soit jamais mis à l’eau. « Ils étaient cassés », ont répondu les Libyens.

      Un « sauvetage » effectué en novembre 2017 par des garde-côtes Libyens © Extrait d’une vidéo publiée par l’ONG allemande Sea Watch
      Interrogée sur le coût global de ces formations, la commission indique qu’il est impossible à chiffrer, Frontex (l’agence de garde-côtes européenne) pouvant participer aux sessions, tel État membre fournir un bateau, tel autre un avion pour trimballer les garde-côtes, etc.

      • La fourniture d’équipements en direct
      En décembre, un autre programme a démarré, plus touffu, financé cette fois via le « Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique » (le fonds d’urgence européen mis en place en 2015 censément pour prévenir les causes profondes des migrations irrégulières et prendre le problème à la racine). Cette fois, il s’agit non plus seulement de « formation », mais de « renforcement des capacités opérationnelles » des garde-côtes libyens, avec des aides directes à l’équipement de bateaux (gilets, canots pneumatiques, appareils de communication, etc.), à l’entretien des navires, mais aussi à l’équipement des salles de contrôle à terre, avec un objectif clair en ligne de mire : aider la Libye à créer un « centre de coordination de sauvetage maritime » en bonne et due forme, pour mieux proclamer une « zone de recherche et sauvetage » officielle, au-delà de ses seules eaux territoriales actuelles. La priorité, selon la commission à Bruxelles, reste de « sauver des vies ».

      Budget annoncé : 46 millions d’euros avec un co-financement de l’Italie, chargée de la mise en œuvre. À la marge, les garde-côtes libyens peuvent d’ailleurs profiter d’autres programmes européens, tel « Seahorse », pour de l’entraînement à l’utilisation de radars.

      L’Italie, elle, va encore plus loin. D’abord, elle fournit des bateaux aux garde-côtes. Surtout, en 2017, le ministre de l’intérieur transalpin a rencontré les maires d’une dizaine de villes libyennes en leur faisant miroiter l’accès au Fonds fiduciaire pour l’Afrique de l’UE, en contrepartie d’un coup de main contre le trafic de migrants. Et selon diverses enquêtes (notamment des agences de presse Reuters et AP), un deal financier secret aurait été conclu à l’été 2017 entre l’Italie et des représentants de milices, à l’époque maîtresses des départs d’embarcations dans la région de Sabratha. Rome a toujours démenti, mais les appareillages dans ce coin ont brutalement cessé pour redémarrer un peu plus loin. Au bénéfice d’autres milices.

      • L’aide à l’exfiltration de migrants
      En même temps, comme personne ne conteste plus l’enfer des conditions de détention et que tout le monde s’efforce officiellement de vider les centres du régime en urgence, l’UE travaille aussi à la « réinstallation » en Europe des exilés accessibles au statut de réfugié, ainsi qu’au rapatriement dans leur pays d’origine des migrants dits « économiques » (sur la base du volontariat en théorie). Dans le premier cas, l’UE vient en soutien du HCR ; dans le second cas, en renfort de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      L’objectif affiché est limpide : épargner des prises de risque en mer inutiles aux réfugiés putatifs (Érythréens, Somaliens, etc.), comme à ceux dont la demande à toutes les chances d’être déboutée une fois parvenus en Europe, comme les Ivoiriens par exemple. Derrière les éléments de langage, que disent les chiffres ?

      Selon le HCR, seuls 1 730 réfugiés et demandeurs d’asile prioritaires ont pu être évacués depuis novembre 2017, quelques-uns directement de la Libye vers l’Italie (312) et la Roumanie (10), mais l’essentiel vers le Niger voisin, où les autorités ont accepté d’accueillir une plateforme d’évacuations de 1 500 places en échange de promesses de « réinstallations » rapides derrière, dans certains pays de l’UE.

      Et c’est là que le bât blesse. Paris, par exemple, s’est engagé à faire venir 3 000 réfugiés de Niamey (Niger), mais n’a pas tenu un vingtième de sa promesse. L’Allemagne ? Zéro.

      « On a l’impression qu’une fois qu’on a évacué de Libye, la notion d’urgence se perd », regrette Vincent Cochetel, du HCR. Une centaine de migrants, surtout des femmes et des enfants, ont encore été sortis de Libye le 19 juin par avion. « Mais on va arrêter puisqu’on n’a plus de places [à Niamey], pointe le représentant du HCR. L’heure de vérité approche. On ne peut pas demander au Niger de jouer ce rôle si on n’est pas sérieux derrière, en termes de réinstallations. Je rappelle que le Niger a plus de réfugiés sur son territoire que la France par exemple, qui fait quand même des efforts, c’est vrai. Mais on aimerait que ça aille beaucoup plus vite. » Le HCR discute d’ailleurs avec d’autres États africains pour créer une seconde « plateforme d’évacuation » de Libye, mais l’exemple du Niger, embourbé, ne fait pas envie.

      Quant aux rapatriements vers les pays d’origine des migrants dits « économiques », mis en œuvre avec l’OIM (autre agence onusienne), les chiffres atteignaient 8 546 à la mi-juin. « On peut questionner le caractère volontaire de certains de ces rapatriements, complète Christophe Biteau, de MSF. Parce que vu les conditions de détention en Libye, quand on te dit : “Tu veux que je te sorte de là et que je te ramène chez toi ?”… Ce n’est pas vraiment un choix. » D’ailleurs, d’après l’OIM, les rapatriés de Libye sont d’abord Nigérians, puis Soudanais, alors même que les ressortissants du Soudan accèdent à une protection de la France dans 75 % des cas lorsqu’ils ont l’opportunité de voir leur demande d’asile examinée.
      En résumé, sur le terrain, la priorité des États de l’UE va clairement au renforcement du mur de la Méditerranée et de ses Cerbère, tandis que l’extraction de réfugiés, elle, reste cosmétique. Pour Amnesty International, cette attitude de l’Union, et de l’Italie au premier chef, serait scandaleuse : « Dans la mesure où ils ont joué un rôle dans l’interception des réfugiés et des migrants, et dans la politique visant à les contenir en Libye, ils partagent avec celle-ci la responsabilité des détentions arbitraires, de la torture et autres mauvais traitements infligés », tance un rapport de l’association publié en décembre dernier.

      Pour le réseau Migreurop (regroupant chercheurs et associations spécialisés), « confier le contrôle des frontières maritimes de l’Europe à un État non signataire de la Convention de Genève [sur les droits des réfugiés, ndlr] s’apparente à une politique délibérée de contournement des textes internationaux et à une sous-traitance des pires violences à l’encontre des personnes exerçant leur droit à émigrer ». Pas sûr que les conclusions du conseil européen de jeudi et vendredi donnent, à ces organisations, la moindre satisfaction.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/les-migrants-paient-le-prix-fort-de-la-cooperation-entre-lue-et-les-garde-

    • Au Niger, l’Europe finance plusieurs projets pour réduire le flux de migrants

      L’Union européenne a invité des entreprises du vieux continent au Niger afin qu’elles investissent pour améliorer les conditions de vie des habitants. Objectif : réduire le nombre de candidats au départ vers l’Europe.

      Le Niger est un pays stratégique pour les Européens. C’est par là que transitent la plupart des migrants qui veulent rejoindre l’Europe. Pour réduire le flux, l’Union européenne finance depuis 2015 plusieurs projets et veut désormais créer un tissu économique au Niger pour dissuader les candidats au départ. Le président du Parlement européen, Antonio Tajani, était, la semaine dernière dans la capitale nigérienne à Niamey, accompagné d’une trentaine de chefs d’entreprise européens à la recherche d’opportunités d’investissements.
      Baisse du nombre de départ de 90% en deux ans

      Le nombre de migrants qui a quitté le Niger pour rejoindre la Libye avant de tenter la traversée vers l’Europe a été réduit de plus de 90% ces deux dernières années. Notamment grâce aux efforts menés par le gouvernement nigérien avec le soutien de l’Europe pour mieux contrôler la frontière entre le Niger et la Libye. Mais cela ne suffit pas selon le président du Parlement européen, Antonio Tajani. « En 2050, nous aurons deux milliards cinq cents millions d’Africains, nous ne pourrons pas bloquer avec la police et l’armée l’immigration, donc voilà pourquoi il faut intervenir tout de suite ». Selon le président du Parlement européen, il faut donc améliorer les conditions de vie des Nigériens pour les dissuader de venir en Europe.
      Des entreprises françaises vont investir au Niger

      La société française #Sunna_Design, travaille dans le secteur de l’éclairage public solaire et souhaite s’implanter au Niger. Pourtant les difficultés sont nombreuses, notamment la concurrence chinoise, l’insécurité, ou encore la mauvaise gouvernance. Stéphane Redon, le responsable export de l’entreprise, y voit pourtant un bon moyen d’améliorer la vie des habitants. « D’abord la sécurité qui permet à des gens de pouvoir penser à avoir une vie sociale, nocturne, et une activité économique. Et avec ces nouvelles technologies, on aspire à ce que ces projets créent du travail localement, au niveau des installations, de la maintenance, et de la fabrication. »
      Le Niger salue l’initiative

      Pour Mahamadou Issoufou, le président du Niger, l’implantation d’entreprises européennes sur le territoire nigérien est indispensable pour faire face au défi de son pays notamment démographique. Le Niger est le pays avec le taux de natalité le plus élevé au monde, avec huit enfants par femme. « Nous avons tous décidé de nous attaquer aux causes profondes de la migration clandestine, et l’une des causes profondes, c’est la #pauvreté. Il est donc important qu’une lutte énergique soit menée. Certes, il y a les ressources publiques nationales, il y a l’#aide_publique_au_développement, mais tout cela n’est pas suffisant. il faut nécessairement un investissement massif du secteur privé », explique Mahamadou Issoufou. Cette initiative doit être élargie à l’ensemble des pays du Sahel, selon les autorités nigériennes et européennes.

      https://mobile.francetvinfo.fr/replay-radio/en-direct-du-monde/en-direct-du-monde-au-niger-l-europe-finance-plusieurs-projets-p
      #investissements #développement #APD

    • In die Rebellion getrieben

      Die Flüchtlingsabwehr der EU führt zu neuen Spannungen in Niger und droht womöglich gar eine Rebellion im Norden des Landes auszulösen. Wie Berichte aus der Region bestätigen, hat die von Brüssel erzwungene Illegalisierung des traditionellen Migrationsgeschäfts besonders in der Stadt Agadez, dem Tor zur nigrischen Sahara, Zehntausenden die Lebensgrundlage genommen. Großspurig angekündigte Ersatzprogramme der EU haben lediglich einem kleinen Teil der Betroffenen wieder zu einem Job verholfen. Lokale Beobachter warnen, die Bereitschaft zum Aufstand sowie zum Anschluss an Jihadisten nehme zu. Niger ist ohnehin Schauplatz wachsenden jihadistischen Terrors wie auch gesteigerter westlicher „Anti-Terror“-Operationen: Während Berlin und die EU vor allem eine neue Eingreiftruppe der Staatengruppe „G5 Sahel“ fördern - deutsche Soldaten dürfen dabei auch im Niger eingesetzt werden -, haben die Vereinigten Staaten ihre Präsenz in dem Land ausgebaut. Die US-Streitkräfte errichten zur Zeit eine Drohnenbasis in Agadez, die neue Spannungen auslöst.
      Das Ende der Reisefreiheit

      Niger ist für Menschen, die sich aus den Staaten Afrikas südlich der Sahara auf den Weg zum Mittelmeer und weiter nach Europa machen, stets das wohl wichtigste Transitland gewesen. Nach dem Zerfall Libyens im Anschluss an den Krieg des Westens zum Sturz von Muammar al Gaddafi hatten zeitweise drei Viertel aller Flüchtlinge, die von Libyens Küste mit Ziel Italien in See stachen, zuvor das Land durchquert. Als kaum zu vermeidendes Nadelöhr zwischen den dichter besiedelten Gebieten Nigers und der Wüste fungiert die 120.000-Einwohner-Stadt Agadez, von deren Familien bis 2015 rund die Hälfte ihr Einkommen aus der traditionell legalen Migration zog: Niger gehört dem westafrikanischen Staatenbund ECOWAS an, in dem volle Reisefreiheit gilt. Im Jahr 2015 ist die Reisefreiheit in Niger allerdings durch ein Gesetz eingeschränkt worden, das, wie der Innenminister des Landes bestätigt, nachdrücklich von der EU gefordert worden war.[1] Mit seinem Inkrafttreten ist das Migrationsgeschäft in Agadez illegalisiert worden; das hatte zur Folge, dass zahlreiche Einwohner der Stadt ihren Erwerb verloren. Die EU hat zwar Hilfe zugesagt, doch ihre Maßnahmen sind allenfalls ein Tropfen auf den heißen Stein: Von den 7.000 Menschen, die offiziell ihre Arbeit in der nun verbotenen Transitreisebranche aufgaben, hat Brüssel mit einem großspurig aufgelegten, acht Millionen Euro umfassenden Programm weniger als 400 in Lohn und Brot gebracht.
      Ohne Lebensgrundlage

      Entsprechend hat sich die Stimmung in Agadez in den vergangenen zwei Jahren systematisch verschlechtert, heißt es in einem aktuellen Bericht über die derzeitige Lage in der Stadt, den das Nachrichtenportal IRIN Ende Juni publiziert hat.[2] Rangiert Niger auf dem Human Development Index der Vereinten Nationen ohnehin auf Platz 187 von 188, so haben die Verdienstmöglichkeiten in Agadez mit dem Ende des legalen Reisegeschäfts nicht nur stark abgenommen; selbst wer mit Hilfe der EU einen neuen Job gefunden hat, verdient meist erheblich weniger als zuvor. Zwar werden weiterhin Flüchtlinge durch die Wüste in Richtung Norden transportiert - jetzt eben illegal -, doch wachsen die Spannungen, und sie drohen bei jeder neuen EU-Maßnahme zur Abriegelung der nigrisch-libyschen Grenze weiter zu steigen. Das Verbot des Migrationsgeschäfts werde auf lange Sicht „die Leute in die Rebellion treiben“, warnt gegenüber IRIN ein Bewohner von Agadez stellvertretend für eine wachsende Zahl weiterer Bürger der Stadt. Als Reiseunternehmer für Flüchtlinge haben vor allem Tuareg gearbeitet, die bereits von 1990 bis 1995, dann erneut im Jahr 2007 einen bewaffneten Aufstand gegen die Regierung in Niamey unternommen hatten. Hinzu kommt laut einem örtlichen Würdenträger, dass die Umtriebe von Jihadisten im Sahel zunehmend als Widerstand begriffen und für jüngere, in wachsendem Maße aufstandsbereite Bewohner der Region Agadez immer häufiger zum Vorbild würden.
      Anti-Terror-Krieg im Sahel

      Jihadisten haben ihre Aktivitäten in Niger in den vergangenen Jahren bereits intensiviert, nicht nur im Südosten des Landes an der Grenze zu Nigeria, wo die nigrischen Streitkräfte im Krieg gegen Boko Haram stehen, sondern inzwischen auch an der Grenze zu Mali, von wo der dort seit 2012 schwelende Krieg immer mehr übergreift. Internationale Medien berichteten erstmals in größerem Umfang darüber, als am 4. Oktober 2017 eine US-Einheit, darunter Angehörige der Spezialtruppe Green Berets, nahe der nigrischen Ortschaft Tongo Tongo unweit der Grenze zu Mali in einen Hinterhalt gerieten und vier von ihnen von Jihadisten, die dem IS-Anführer Abu Bakr al Baghdadi die Treue geschworen hatten, getötet wurden.[3] In der Tat hat die Beobachtung, dass Jihadisten in Niger neuen Zulauf erhalten, die Vereinigten Staaten veranlasst, 800 Militärs in dem Land zu stationieren, die offiziell nigrische Soldaten trainieren, mutmaßlich aber auch Kommandoaktionen durchführen. Darüber hinaus beteiligt sich Niger auf Druck der EU an der Eingreiftruppe der „G5 Sahel“ [4], die im gesamten Sahel - auch in Niger - am Krieg gegen Jihadisten teilnimmt und auf lange Sicht nach Möglichkeit die französischen Kampftruppen der Opération Barkhane ersetzen soll. Um die „G5 Sahel“-Eingreiftruppe jederzeit und überall unterstützen zu können, hat der Bundestag im Frühjahr das Mandat für die deutschen Soldaten, die in die UN-Truppe MINUSMA entsandt werden, auf alle Sahelstaaten ausgedehnt - darunter auch Niger. Deutsche Soldaten sind darüber hinaus bereits am Flughafen der Hauptstadt Niamey stationiert. Der sogenannte Anti-Terror-Krieg des Westens, der in anderen Ländern wegen seiner Brutalität den Jihadisten oft mehr Kämpfer zugeführt als genommen hat, weitet sich zunehmend auf nigrisches Territorium aus.
      Zunehmend gewaltbereit

      Zusätzliche Folgen haben könnte dabei die Tatsache, dass die Vereinigten Staaten gegenwärtig für den Anti-Terror-Krieg eine 110 Millionen US-Dollar teure Drohnenbasis errichten - am Flughafen Agadez. Niger scheint sich damit dauerhaft zum zweitwichtigsten afrikanischen Standort von US-Truppen nach Djibouti mit seinem strategisch bedeutenden Hafen zu entwickeln. Washington errichtet die Drohnenbasis, obwohl eine vorab durchgeführte Umfrage des U.S. Africa Command und des State Department ergeben hat, dass die Bevölkerung die US-Militäraktivitäten im Land zunehmend kritisch sieht und eine starke Minderheit Gewalt gegen Personen oder Organisationen aus Europa und Nordamerika für legitim hält.[5] Mittlerweile dürfen sich, wie berichtet wird, US-Botschaftsangehörige außerhalb der Hauptstadt Niamey nur noch in Konvois in Begleitung von nigrischem Sicherheitspersonal bewegen. Die Drohnenbasis, die ohne die von der nigrischen Verfassung vorgesehene Zustimmung des Parlaments errichtet wird und daher mutmaßlich illegal ist, droht den Unmut noch weiter zu verschärfen. Beobachter halten es für nicht unwahrscheinlich, dass sie Angriffe auf sich zieht - und damit Niger noch weiter destabilisiert.[6]
      Flüchtlingslager

      Hinzu kommt, dass die EU Niger in zunehmendem Maß als Plattform nutzt, um Flüchtlinge, die in libyschen Lagern interniert waren, unterzubringen, bevor sie entweder in die EU geflogen oder in ihre Herkunftsländer abgeschoben werden. Allein von Ende November bis Mitte Mai sind 1.152 Flüchtlinge aus Libyen nach Niger gebracht worden; dazu wurden 17 „Transitzentren“ in Niamey, sechs in Agadez eingerichtet. Niger gilt inzwischen außerdem als möglicher Standort für die EU-"Ausschiffungsplattformen" [7] - Lager, in die Flüchtlinge verlegt werden sollen, die auf dem Mittelmeer beim Versuch, nach Europa zu reisen, aufgegriffen wurden. Damit erhielte Niger einen weiteren potenziellen Destabilisierungsfaktor - im Auftrag und unter dem Druck der EU. Ob und, wenn ja, wie das Land die durch all dies drohenden Erschütterungen überstehen wird, das ist völlig ungewiss.

      [1], [2] Eric Reidy: Destination Europe: Frustration. irinnews.org 28.06.2018.

      [3] Eric Schmitt: 3 Special Forces Troops Killed and 2 Are Wounded in an Ambush in Niger. nytimes.com 04.10.2017.[4] S. dazu Die Militarisierung des Sahel (IV).

      [5] Nick Turse: U.S. Military Surveys Found Local Distrust in Niger. Then the Air Force Built a $100 Million Drone Base. theintercept.com 03.07.2018.

      [6] Joe Penney: A Massive U.S. Drone Base Could Destabilize Niger - And May Even Be Illegal Under its Constitution. theintercept.com 18.02.2018.

      [7] S. dazu Libysche Lager.

      https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7673

      –-> Commentaire reçu via la mailing-list Migreurop :

      La politique d’externalisation de l’UE crée de nouvelles tensions au Niger et risque de déclencher une rebellion dans le nord du pays. Plusieurs rapports de la région confirment que le fait que Bruxelle ait rendu illégal la migration traditionnelle et de fait détruit l’économie qui tournait autour, particulièrement dans la ville d’Agadez, porte d’entrée du Sahara nigérien, a privé de revenus des dizaines de milliers de personnes. Les programmes de développement annoncés par l’UE n’ont pu aider qu’une infime partie de ceux qui ont été affectés par la mesure. Les observateurs locaux constatent que une augmentation des volontés à se rebeller et/ou à rejoindre les djihadistes. Le Niger est déja la scène d’attaques terroristes djihadistes ainsi que d’opérations occidentales « anti-terreur » : alors que Berlin et l’UE soutiennent une intervention des forces du G5 Sahel - les soldats allemands pourraient être déployés au Niger - les Etats Unis ont étendu leur présence sur le territoire. Les forces US sont en train de construire une base de #drones à Agadez, ce qui a déclenché de nouvelles tensions.

      #déstabilisation

    • Libya: EU’s patchwork policy has failed to protect the human rights of refugees and migrants

      A year after the emergence of shocking footage of migrants apparently being sold as merchandise in Libya prompted frantic deliberations over the EU’s migration policy, a series of quick fixes and promises has not improved the situation for refugees and migrants, Amnesty International said today. In fact, conditions for refugees and migrants have largely deteriorated over the past year and armed clashes in Tripoli that took place between August and September this year have only exacerbated the situation further.

      https://www.amnesty.org/en/documents/mde19/9391/2018/en
      #droits_humains

      Pour télécharger le rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1993912018ENGLISH.pdf

    • New #LNCG Training module in Croatia

      A new training module in favour of Libyan Coastguard and Navy started in Split (Croatia) on November the 12.
      Last Monday, November the 12th, a new training module managed by operation Sophia and focused on “Ship’s Divers Basic Course” was launched in the Croatian Navy Training Centre in Split (Croatia).

      The trainees had been selected by the competent Libyan authorities and underwent a thorough vetting process carried out in different phases by EUNAVFOR Med, security agencies of EU Member States participating in the Operation and international organizations.

      After the accurate vetting process, including all the necessary medical checks for this specific activity, 5 Libyan military personnel were admitted to start the course.

      The course, hosted by the Croatian Navy, will last 5 weeks, and it will provide knowledge and training in diving procedures, specifically related techniques and lessons focused on Human Rights, Basic First Aid and Gender Policy.

      The end of the course is scheduled for the 14 of December 2018.

      Additionally, with the positive conclusion of this course, the threshold of more than 300 Libyan Coastguard and Navy personnel trained by #EUNAVFOR_Med will be reached.

      EUNAVFOR MED Operation Sophia continues at sea its operation focused on disrupting the business model of migrant smugglers and human traffickers, contributing to EU efforts for the return of stability and security in Libya and the training and capacity building of the Libyan Navy and Coastguard.


      https://www.operationsophia.eu/new-lncg-training-module-in-croatia

    • EU Council adopts decision expanding EUBAM Libya’s mandate to include actively supporting Libyan authorities in disrupting networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism

      The Council adopted a decision mandating the #EU_integrated_border_management_assistance_mission in Libya (#EUBAM_Libya) to actively support the Libyan authorities in contributing to efforts to disrupt organised criminal networks involved in smuggling migrants, human trafficking and terrorism. The mission was previously mandated to plan for a future EU civilian mission while engaging with the Libyan authorities.

      The mission’s revised mandate will run until 30 June 2020. The Council also allocated a budget of € 61.6 million for the period from 1 January 2019 to 30 June 2020.

      In order to achieve its objectives EUBAM Libya provides capacity-building in the areas of border management, law enforcement and criminal justice. The mission advises the Libyan authorities on the development of a national integrated border management strategy and supports capacity building, strategic planning and coordination among relevant Libyan authorities. The mission will also manage as well as coordinate projects related to its mandate.

      EUBAM Libya responds to a request by the Libyan authorities and is part of the EU’s comprehensive approach to support the transition to a democratic, stable and prosperous Libya. The civilian mission co-operates closely with, and contributes to, the efforts of the United Nations Support Mission in Libya.

      The mission’s headquarters are located in Tripoli and the Head of Mission is Vincenzo Tagliaferri (from Italy). EUBAM Libya.

      https://migrantsatsea.org/2018/12/18/eu-council-adopts-decision-expanding-eubam-libyas-mandate-to-include-

      EUBAM Libya :
      Mission de l’UE d’assistance aux frontières (EUBAM) en Libye


      https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eubam-libya_fr

    • Comment l’UE a fermé la route migratoire entre la Libye et l’Italie

      Les Européens coopèrent avec un Etat failli, malgré les mises en garde sur le sort des migrants dans le pays

      L’une des principales voies d’entrée en Europe s’est tarie. Un peu plus de 1 100 personnes migrantes sont arrivées en Italie et à Malte par la mer Méditerranée sur les cinq premiers mois de l’année. Un chiffre en fort recul, comparé aux 650 000 migrants qui ont emprunté cette voie maritime ces cinq dernières années. Le résultat, notamment, d’une coopération intense entre l’Union européenne, ses Etats membres et la Libye.

      En 2014, alors que le pays est plongé dans une guerre civile depuis la chute du régime de Kadhafi, plus de 140 000 migrants quittent ses côtes en direction de l’Italie, contre quelque 42 000 l’année précédente pour toute la rive sud de la Méditerranée centrale. Cette dernière devient, deux ans plus tard, la principale porte d’entrée sur le continent européen.

      Inquiète de cette recrudescence, l’Italie relance en mars 2016 ses relations bilatérales avec la Libye – interrompues depuis la chute de Kadhafi –, à peine le fragile gouvernement d’union nationale (GNA) de Faïez Sarraj installé à Tripoli sous l’égide de l’ONU. Emboîtant le pas à Rome, l’UE modifie le mandat de son opération militaire « Sophia ». Jusque-là cantonnée à la lutte contre le trafic de migrants en Méditerranée, celle-ci doit désormais accompagner le rétablissement et la montée en puissance des gardes-côtes libyens.

      Dans cette optique, dès juillet 2016, l’UE mandate les gardes-côtes italiens pour « assumer une responsabilité de premier plan » dans le projet de mise en place d’un centre de coordination de sauvetage maritime (MRCC) à Tripoli et d’une zone de sauvetage à responsabilité libyenne dans les eaux internationales. C’est une étape majeure dans le changement du paysage en Méditerranée centrale. Jusque-là, compte tenu de la défaillance de Tripoli, la coordination des sauvetages au large de la Libye était assumée par le MRCC de Rome. Les migrants secourus étaient donc ramenés sur la rive européenne de la Méditerranée. Si Tripoli prend la main sur ces opérations, alors ses gardes-côtes ramèneront les migrants en Libye, même ceux interceptés dans les eaux internationales. Une manière de « contourner l’interdiction en droit international de refouler un réfugié vers un pays où sa vie ou sa liberté sont menacées », résume Hassiba Hadj-Sahraoui, conseillère aux affaires humanitaires de Médecins sans frontières (MSF).

      Les premières formations de gardes-côtes débutent en octobre 2016, et les agences de l’ONU sont mises à contribution pour sensibiliser les personnels au respect des droits de l’homme. « C’est difficile d’en mesurer l’impact, mais nous pensons que notre présence limite les risques pour les réfugiés », estime Roberto Mignone, l’ancien représentant du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés en Libye.

      Au sein de l’UE, tous les outils sont mobilisés. Même les équipes du Bureau européen d’appui à l’asile sont sollicitées. Un fonctionnaire européen se souvient du malaise en interne. « Le Conseil a fait pression pour nous faire participer, rapporte-t-il. On n’était clairement pas emballés. C’était nous compromettre un peu aussi dans ce qui ressemble à une relation de sous-traitance et à un blanc-seing donné à des pratiques problématiques. »
      Le travail des ONG entravé

      Le pays est alors dans une situation chaotique, et les migrants en particulier y encourent de graves violences telles que le travail forcé, l’exploitation sexuelle, le racket et la torture.

      Mais l’Europe poursuit son plan et continue de s’appuyer sur l’Italie. Le 2 février 2017, le gouvernement de gauche de Paolo Gentiloni (Parti démocrate) réactive un traité d’amitié de 2008 entre Rome et Tripoli, avec l’approbation du Conseil européen dès le lendemain. Des moyens du Fonds fiduciaire de l’UE pour l’Afrique sont fléchés vers les enjeux migratoires en Libye – 338 millions d’euros jusqu’à aujourd’hui –, bien que l’Union fasse état de « préoccupations sur une collusion possible entre les bénéficiaires de l’action et les activités de contrebande et de traite ».

      A cette époque, les Nations unies dénoncent l’implication des gardes-côtes de Zaouïa (à 50 km à l’ouest de Tripoli) dans le trafic de migrants. En mai 2017, Marco Minniti, ministre italien de l’intérieur (Parti démocrate), remet quatre bateaux patrouilleurs à la Libye. Trois mois plus tard, Tripoli déclare auprès de l’Organisation maritime internationale (OMI) qu’elle devient compétente pour coordonner les sauvetages jusqu’à 94 milles nautiques au large de ses côtes.

      Le travail des ONG, lui, est de plus en plus entravé par l’Italie, qui les accuse de collaborer avec les passeurs et leur impose un « code de conduite ». S’ensuivront des saisies de bateaux, des retraits de pavillon et autres procédures judiciaires. L’immense majorité d’entre elles vont jeter l’éponge.

      Un tournant s’opère en Méditerranée centrale. Les gardes-côtes libyens deviennent à l’automne 2017 les premiers acteurs du sauvetage dans la zone. Ils ramènent cette année-là 18 900 migrants sur leur rive, presque quarante fois plus qu’en 2015.

      Leur autonomie semble pourtant toute relative. C’est Rome qui transmet à Tripoli « la majorité des appels de détresse », note un rapport de l’ONU. C’est Rome encore qui dépose en décembre 2017, auprès de l’OMI, le projet de centre libyen de coordination des sauvetages maritimes financé par la Commission européenne. Un bilan d’étape interne à l’opération « Sophia », de mars 2018, décrit d’ailleurs l’impréparation de Tripoli à assumer seule ses nouvelles responsabilités. La salle d’opération depuis laquelle les sauvetages doivent être coordonnés se trouve dans « une situation infrastructurelle critique »liée à des défauts d’électricité, de connexion Internet, de téléphones et d’ordinateurs. Les personnels ne parlent pas anglais.

      Un sauvetage, le 6 novembre 2017, illustre le dangereux imbroglio que deviennent les opérations de secours. Ce jour-là, dans les eaux internationales, à 30 milles nautiques au nord de Tripoli, au moins 20 personnes seraient mortes. Une plainte a depuis été déposée contre l’Italie devant la Cour européenne des droits de l’homme. Des rescapés accusent Rome de s’être défaussé sur les gardes-côtes libyens.« Un appel de détresse avait été envoyé à tous les bateaux par le MRCC Rome, relate Violeta Moreno-Lax, juriste qui a participé au recours. L’ONG allemande Sea-Watch est arrivée sur place quelques minutes après les gardes-côtes libyens. C’est Rome qui a demandé aux Libyens d’intervenir et à Sea-Watch de rester éloignée. »

      Les gardes-côtes présents – certains formés par l’UE – n’ont alors ni gilets ni canot de sauvetage. Sur les vidéos de l’événement, on peut voir l’embarcation des migrants se coincer sous la coque de leur patrouilleur. Des gens tombent à l’eau et se noient. On entend aussi les Libyens menacer l’équipage du Sea-Watch de représailles, puis quitter les lieux en charriant dans l’eau un migrant accroché à une échelle.

      Tout en ayant connaissance de ce drame, et bien qu’elle reconnaisse un suivi très limité du travail des gardes-côtes en mer, la force navale « Sophia » se félicite, dans son bilan d’étape de mars 2018, du « modèle opérationnel durable » qu’elle finance.

      L’année 2018 confirme le succès de cette stratégie. Les arrivées en Italie ont chuté de 80 %, ce qui n’empêche pas le ministre de l’intérieur, Matteo Salvini (extrême droite), d’annoncer à l’été la fermeture de ses ports aux navires humanitaires.
      « Esclavage » et « torture »

      L’ONU rappelle régulièrement que la Libye ne doit pas être considérée comme un « port sûr » pour débarquer les migrants interceptés en mer. Les personnes en situation irrégulière y sont systématiquement placées en détention, dans des centres sous la responsabilité du gouvernement où de nombreux abus sont documentés, tels que des « exécutions extrajudiciaires, l’esclavage, les actes de torture, les viols, le trafic d’être humains et la sous-alimentation ».

      La dangerosité des traversées, elle, a explosé : le taux de mortalité sur la route de la Méditerranée centrale est passé de 2,6 % en 2017 à 13,8 % en 2019.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/comment-l-ue-a-ferme-la-route-entre-la-libye-et-l-italie_5459242_3210.html

  • Beaucoup a déjà été publié sur seenthis sur l’#externalisation des frontières.

    Sur ce fil, je réunis surtout les documents de la politique de #Macron au sujet de tentative de l’externalisation de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers.

    Il s’agit de messages que j’ai ajoutés à des messages d’autres personnes (pour éviter que si jamais l’auteur du message original quitte seenthis et efface son compte, moi je ne perds pas mes informations —> je vais faire cela assez systématiquement, quand j’ai le temps, dans les prochains mois = paranoïa de perte de données).

    Voir aussi ce fil de discussion, que je ne vais pas "rapatrier" ici :
    Emmanuel #Macron veut créer des « hotspots » pour gérer les demandes d’asile en #Libye
    https://seenthis.net/messages/618133

    Par contre, pour celui-ci, je vais copier les messages ci-dessous, car le fil de discussion n’a pas été initié par moi :
    https://seenthis.net/messages/625374

    #France
    #frontières #contrôles_frontaliers #frontières #asile #migrations #réfugiés #procédure_d'asile

    –—

    voir la métaliste sur les tentatives d’externalisation de la procédure d’asile de différents pays européens dans l’histoire :
    https://seenthis.net/messages/900122

    cc @isskein

    • Macron veut « identifier » les demandeurs d’asile au #Tchad et au Niger

      Lors d’un mini-sommet organisé à l’Élysée lundi 28 août, Paris, Berlin, Madrid et Rome ont proposé l’envoi de « missions de protection » au Niger et au Tchad dans le but d’identifier en amont les migrants éligibles à l’asile. Une initiative qui pose plus de questions qu’elle n’en résout.

      À l’issue d’un mini-sommet organisé à Paris le 28 août, les chefs d’État ou de gouvernement de sept pays européens et africains – la France, l’Allemagne, l’Espagne et l’Italie, d’un côté de la Méditerranée, le Tchad, le Niger et la Libye, de l’autre – se sont mis d’accord autour d’une « feuille de route » visant à « contrôler les flux migratoires » entre les deux continents.
      Réunis avec les présidents du Tchad, Idriss Déby, et du Niger, Mahamadou Issoufou, ainsi qu’avec le premier ministre libyen du gouvernement d’union nationale, Fayez al-Sarraj, le président français, Emmanuel Macron, la chancelière allemande, Angela Merkel, le premier ministre espagnol, Mariano Rajoy, et le président du Conseil italien, Paolo Gentiloni, ont ainsi proposé l’envoi de « missions de protection » au Niger et au Tchad, dans le but d’identifier en amont les migrants éligibles à l’asile (retrouver ici et là les déclarations conjointes).

      « Nous avons acté, je m’y étais engagé à Orléans au début de l’été, d’avoir un traitement humanitaire à la hauteur de nos exigences et de pouvoir, dans des zones identifiées, pleinement sûres, au Niger et au Tchad, sous la supervision du HCR [Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés – ndlr], identifier les ressortissants qui ont le droit à l’asile, pouvoir les mettre en sécurité le plus rapidement », a expliqué le président français lors de la conférence de presse.

      Le 27 juillet, ce dernier avait créé la polémique en affirmant, en marge d’une visite dans un centre d’hébergement de réfugiés à Orléans, vouloir créer des « hot spots », ces centres chargés de trier les candidats à l’asile en France, « dès cet été », pour maîtriser l’arrivée des migrants venus de Libye et, avait-il ajouté, pour « éviter aux gens de prendre des risques fous alors qu’ils ne sont pas tous éligibles à l’asile ». Quelques heures plus tard, son entourage avait fait machine arrière en expliquant que, pour l’heure, seuls le Tchad et le Niger devraient être concernés. Après la visite, dans un discours à la préfecture du Loiret, le président avait d’ailleurs rectifié le tir en se contentant d’évoquer l’envoi de missions de l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra) « sur le sol africain ».

      La feuille de route du 28 août, qui substitue l’idée de « missions de protection » à celle de « hot spots », prévoit que l’identification des demandeurs d’asile se fera par le HCR, avec l’aval des autorités du pays de premier accueil et le soutien d’équipes européennes spécialistes de l’asile. Les personnes sélectionnées entreraient dans le programme dit de réinstallation du HCR « sur des listes fermées », c’est-à-dire listant les migrants d’ores et déjà identifiés par le HCR, et « selon des critères fixés en commun », non communiqués pour l’instant.

      Les migrants ne répondant pas à ces conditions devraient être reconduits « dans leur pays d’origine, dans la sécurité, l’ordre et la dignité, de préférence sur une base volontaire, en tenant compte de la législation nationale et dans le respect du droit international ».

      Sur le papier, l’idée pourrait paraître séduisante, puisqu’elle se donne comme objectif d’« ouvrir une voie légale pour les personnes ayant besoin d’une protection conformément au droit international et européen, en particulier pour les personnes les plus vulnérables selon les procédures du HCR relatives à la détermination de la qualité de réfugié, et qui sont susceptibles de migrer vers l’Europe ». Le but serait ainsi de leur éviter l’enfer libyen, où il est de notoriété publique que les migrants subissent les pires sévices, mais aussi les dangers de la traversée de la Méditerranée sur des canots pneumatiques. Depuis le début de l’année, près de 98 000 personnes sont arrivées par cette route maritime centrale, et près de 2 250 ont péri en mer, selon les chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations.

      Mais derrière cette intention louable, se cache surtout le projet de réduire au maximum l’arrivée sur le Vieux Continent de personnes perçues par les dirigeants européens comme des « migrants économiques », pour lesquels aucun accueil n’est envisagé. L’objectif est ainsi de décourager les départs le plus en amont possible. Cette politique n’est pas nouvelle : voilà une vingtaine d’années que Bruxelles multiplie les accords avec les pays d’origine et de transit, par des campagnes d’affichage et des bureaux d’information, à coups de dizaines de millions d’euros, afin de convaincre les migrants de rester chez eux.

      Avec ces nouveaux guichets de pré-examen de la demande d’asile, il s’agit d’aller plus loin, car il est fort à parier que le nombre de personnes retenues par le HCR et in fine réinstallées en Europe sera extrêmement réduit. Dans les pays de l’UE, les demandeurs d’asile originaires d’Afrique subsaharienne obtiennent rarement le statut de réfugié. Les ONG sont donc particulièrement sceptiques à l’égard de ce genre d’initiatives, qu’elles considèrent comme une manière déguisée de sous-traiter la demande d’asile à des pays tiers, aussi éloignés que possible du continent européen. « On repousse la frontière européenne dans des pays de plus en plus lointains », a ainsi affirmé à l’AFP Eva Ottavy, de la Cimade, pour qui, « sous couvert de sauver des vies, on bloque l’accès au territoire ».

      Par ailleurs, le dispositif de réinstallation mis en place dans le monde par le HCR est décrié par ces mêmes associations de défense des droits des étrangers qui estiment que les critères mis en œuvre sont trop restrictifs et les procédures trop peu transparentes.

      Quand on sait que le système de relocalisation organisé par l’Union européenne pour répartir les réfugiés arrivés en Grèce ne fonctionne pas, alors même que ces exilés sont des ressortissants de pays susceptibles d’obtenir l’asile (Syrie, Afghanistan, Irak et Iran principalement), on peut s’interroger sur le nombre d’Africains subsahariens qui pourront effectivement bénéficier de cette « voie légale » pour arriver en Europe.

      Enfin, la décision de Paris, Berlin, Madrid et Rome d’« améliorer la coopération économique avec les communautés locales se trouvant sur les routes migratoires en Libye, afin de créer des sources de revenu alternatives, d’accroître leur résilience et de les rendre indépendantes de la traite des êtres humains » a de quoi laisser dubitatif. En effet, Reuters a récemment révélé l’existence sur les côtes libyennes, à Sabratah, principale ville de départ des migrants, d’une milice armée qui empêcherait violemment les embarcations de partir et détiendrait les candidats au passage dans des conditions dégradantes (lire notre article). Or, d’après de nombreux témoignages, il semble que ce groupe mafieux soit, en partie au moins, financé par le gouvernement d’union nationale de Tripoli, lui-même soutenu par les fonds européens.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/290817/macron-veut-identifier-les-demandeurs-d-asile-au-tchad-et-au-niger

      #hotspots #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Macron #Tchad #Niger

      v. aussi : https://seenthis.net/messages/618133

      Et ce magnifique titre de l’opération :
      #missions_de_protection

    • Juste pour rappeler que Macron n’a rien inventé, mais qu’il surfe sur la vague...

      Voici l’extrait d’un article qui date de 2009...

      Les tendances et mesures amorcées dans les récentes prises de position politiques ne servent qu’à confirmer la direction prise depuis la fin des années quatre-vingt-dix et indiquent clairement une réalité politique qui accentue certains aspects : la présence policière, la surveillance des frontières et l’endiguement, au détriment des autres. D’abord, les orientations prises conjointement pour limiter l’accès aux demandeurs d’asile, aux réfugiés et aux familles des travailleurs, à travers une série de directives et de règlements (c’est-à-dire des populations ayant droit à l’accès) et le développement croissant d’une politique d’immigration sélective des travailleurs, ont contribué à créer une étape de plus dans l’externalisation. Cette étape a été franchie en 2003 et 2004 avec deux propositions, l’une émanant des Britanniques sur les “#Transit_Processing_Centres” (#TPCs) et l’autre des Italiens et des Allemands, pour mettre en place des bureaux d’immigration en Afrique du Nord.

      Tiré de :
      Dimension extérieure de la politique d’immigration de l’Union européenne
      https://hommesmigrations.revues.org/342

      #Italie #Allemagne #UK #Angleterre

    • Au Niger, la frontière invisible de l’Europe

      L’enquête des « Jours » sur la trace des migrants morts en mer passe par le Niger, nouveau pays de transit pour les candidats à l’exil.

      Depuis l’été 2016 et la mise en œuvre de la loi via le « #plan_Bazoum », du nom du ministre de l’Intérieur Mohamed Bazoum, toute personne transportant des étrangers dans le désert, au nord de l’axe Arlit-Dirkou (consulter notre carte des Disparus), est considéré comme étant en infraction avec la loi. D’ailleurs, à proximité de la gare de Rimbo, une pancarte affichant les logos de l’Union européenne et de l’Agence nationale de lutte contre la traite des personnes (ANLTP) du Niger le rappelle : « Transporter illégalement des migrants vous expose à une peine d’amende de 1 000 000 à 3 000 000 CFA [1 525 à 4 575 euros, ndlr]. »

      v. aussi : https://seenthis.net/messages/605400

      « Dans cette histoire de migration, rien n’est ni noir, ni blanc. C’est un sujet tellement complexe qu’on ne peut pas le résumer en quelques vérités », dit Kirsi Henriksson, au volant de son 4x4, dans les rues de Niamey. Kirsi Henriksson dirige Eucap Sahel au Niger, une opération civile de l’Union européenne créée en 2012, après la chute de Kadhafi, pour lutter contre le terrorisme et la criminalité organisée dans la région. Quand Henriksson a pris son poste en août 2016, le mandat de l’opération venait d’être élargi à la lutte contre l’immigration irrégulière. Le moment était parfait pour l’Union européenne : le plan Bazoum venait d’être mis en application. Désormais, des policiers et des gendarmes européens conseillent et forment leurs homologues nigériens à des techniques de contrôle et renseignement visant à intercepter les trafics de drogues et d’armes, mais aussi ceux d’êtres humains. « Nous n’avons pas de mandat exécutif, nous n’arrêtons personne. Mais nous formons les autorités nigériennes à arrêter les gens. Pour beaucoup, nous sommes les méchants de cette histoire. »

      Avant le Niger, Kirsi Henriksson a travaillé pour des missions similaires de l’Union européenne au Mali, en Libye et en Irak. Universitaire de formation, elle s’est spécialisée dans les études sur la paix et les conflits avant de partir « construire la paix dans la vraie vie ». « Je dois avouer que les résultats n’ont pas toujours été à la hauteur de l’ambition », elle sourit. En 2014, elle a été évacuée de la Libye avec le reste de la mission européenne. Les organisations internationales sont parties elles aussi. Aujourd’hui, elles sont toutes au Niger, de même que les armées étrangères. « Une industrie de la paix », comme le qualifie la cheffe de mission.
      « Le Niger est the new place to be. Tout le monde est ici : l’armée française avec l’#opération_Barkhane, l’armée allemande qui ravitaille ses troupes au Mali depuis le Niger, l’armée américaine qui construit une base de #drones à Agadez. » À la fin de l’année 2017, l’#Italie a annoncé à son tour l’envoi de troupes – une information que les autorités nigériennes ont démentie par la suite. « Tout le monde vient parce que dans la région du Sahel, le Niger assure une certaine stabilité. Et préserver cette stabilité est dans l’intérêt de toute l’Europe. »

      Mais la migration est-elle une menace pour la stabilité du Sahel ? Paradoxalement, avec l’augmentation des contrôles et la criminalisation du trafic, elle est peut-être en train de le devenir. Le #trafic_d’êtres_humains est passé des mains des transporteurs ordinaires à celles de #réseaux_criminels transfrontaliers qui gèrent aussi d’autres trafics : la #drogue – surtout du #Tramadol, un antalgique dérivé de l’#opium –, qui arrive depuis le Nigeria vers la Libye, et les #armes, qui descendent de la Libye vers le sud.

      #commerce_d'armes

      Seulement, pour le moment, l’aide européenne promise arrive lentement et souvent sans consultation des populations concernées. Le #Fonds_fiduciaire officiellement destiné à l’aide au #développement vise en réalité à produire du contrôle, reconnaît Kirsi Henriksson. C’est également le but de l’#opération_Eucap_Sahel. La cheffe de mission trace avec son index les nouvelles routes que le contrôle renforcé a dessinées dans le désert : directement depuis #Diffa, situé à la frontière nigériane, vers #Séguédine dans le nord, en traversant le #Ténéré, de #Gao au Mali vers #Assamaka à la frontière algérienne, qu’on longera ensuite pour arriver en Libye. Ces nouvelles routes sont plus dangereuses.

      #Eucap #routes_migratoires #parcours_migratoires

      « Davantage de personnes meurent dans le désert. Et c’est vraiment malheureux. » C’est la première fois que j’entends cette affirmation pendant mon voyage. Je ne cesserai de l’entendre par la suite. À chacun, je demanderai combien. Combien mouraient avant, combien meurent maintenant ? Personne ne sait. Personne ne semble savoir qui pourrait savoir.

      #mourir_dans_le_désert #décès

      https://lesjours.fr/obsessions/migrants/ep6-niger
      #Agadez #gardes-frontière #frontières #contrôles_frontaliers

    • At French Outpost in African Migrant Hub, Asylum for a Select Few

      In a bare suite of prefab offices, inside a compound off a dirt road, French bureaucrats are pushing France’s borders thousands of miles into Africa, hoping to head off would-be migrants.

      All day long, in a grassy courtyard, they interview asylum seekers, as the African reality they want to escape swirls outside — donkey carts and dust, joblessness and poverty, and, in special cases, political persecution.

      If the French answer is yes to asylum, they are given plane tickets to France and spared the risky journey through the desert and on the deadly boats across the Mediterranean that have brought millions of desperate migrants to Europe in recent years, transforming its politics and societies.

      “We’re here to stop people from dying in the Mediterranean,” said Sylvie Bergier-Diallo, the deputy chief of the French mission in Niger.

      But very few are actually approved, and so the French delegation is also there to send a message to other would-be migrants: Stay home, and do not risk a perilous journey for an asylum claim that would ultimately be denied in France.

      The French outpost is part of a new forward defense in Europe’s struggle to hold off migration from Africa; it is a small, relatively benign piece of a larger strategy that otherwise threatens to subvert Europe’s humanitarian ideals.

      After years of being buffeted by uncontrolled migration, Europe is striking out. Italy is suspected of quietly cutting deals with Libyan warlords who control the migration route. The European Union has sent delegations to African capitals, waving aid and incentives for leaders to keep their people at home. Now come the French.
      “There’s a much more active approach to see that the immigrant stays as far away as possible from Europe, and this is completely to the detriment of those concerned,” said Philippe Dam of Human Rights Watch.

      The French mission was “positive,” he said, “but it’s too late and too small.”

      It is also the flip side of a fast-toughening stance by France against migrants, as President Emmanuel Macron began his push this month for what critics say is a draconian new law aimed at sending many of those who have already arrived back home.

      Even if some of Europe’s new methods are questionable, the results have been evident: Last year, for the first time since the crisis began several years ago, the migration flow was reversed, according to Giuseppe Loprete, head of the United Nations migration agency office in Niger.

      About 100,000 would-be migrants returned through Niger from Libya, compared with 60,000 who traversed the vast and impoverished desert country heading toward Europe.

      As the hub for West African migration, Niger had long been under pressure from Europe to crack down on the migrant flow. And something has shifted.

      The bus stations in Niamey, once packed with West Africans trying to get to Agadez, the last city before Libya, are now empty. The police sternly check identity documents.

      When I visited Agadez three years ago, migrants packed what locals called “ghettos” at the edge of town, hanging out for weeks in the courtyards of unfinished villas waiting for a chance to cross the desert.
      Migration officials say there are many fewer now. The Nigerien government has impounded dozens of the pickups formerly used by smugglers at Agadez, they say.

      “Lot less, lot less than before,” said a bus agent, who declined to give his name, at the open-air Sonef station in Niamey, drowsing and empty in the late-afternoon heat. “It’s not like it was. Before it was full.”

      The tile floor was once crowded with migrants. No more. A sign outside bears the European Union flag and warns passengers not to travel without papers.

      In itself, the so-called French filtration effort here is so small that it is not responsible for the drop, nor is it expected to have much effect on the overall migration flow.

      It began well after the drop was underway. Only a handful of such missions to interview asylum seekers have embarked since Mr. Macron announced the policy last summer, staying for about a week at a time.

      Meager as it is, however, the French effort has already helped shift the process of sifting some asylum claims to Africa and out of Europe, where many of those who are denied asylum tend to stay illegally.

      For Mr. Macron, a chief aim is to defuse the political pressures at home from the far right that have escalated with the migrant crisis.
      The French hope that the greater visibility of a formal, front-end system will discourage those without credible claims of asylum from risking their lives with smugglers.

      The process is also intended to send a potentially important message: that those with legitimate claims of persecution do have a chance for safe passage.

      “Politically it’s huge,” said Mr. Loprete. “But in terms of numbers it is very low.”

      In a recent week, 85 people were interviewed by the four officials from the French refugee agency, known as Ofpra.

      The selective scale is in line with Mr. Macron’s determination to keep out economic migrants. “We can’t welcome everybody,” he said in his New Year’s speech.

      On the other hand, “we must welcome the men and women fleeing their country because they are under threat,” Mr. Macron said. They have a “right to asylum,” he said.

      Critics of the plan say that it amounts to only a token effort, and that the real goal is to keep potential migrants at arms’ length.

      “Macron’s policy is to divide migrants and refugees, but how can we do so? What is the ethical principle behind this choice?” said Mauro Armanino, an Italian priest at the cathedral in Niamey who has long worked with migrants in African nations. “It is a policy without heart.”

      Still, the French have been the first to undertake this kind of outreach, working closely with the United Nations, out of its refugee agency’s compound in Niamey.

      The United Nations International Office for Migration does a first vetting for the French in Libya, Niger’s northern neighbor, where human smuggling networks have thrived in the chaotic collapse of the country.

      In Libya, the smugglers herd the Africans together, beat them, sometimes rape them and extort money. Some are even sold into slavery before being loaded onto rickety boats for the Mediterranean crossing.

      Some of the Libyan camps are run by smugglers and their associated militias, and others by the government, such as it is. But regardless of who runs them, they are essentially concentration camps, officials say, and there is no distinction made between political refugees and migrants.

      United Nations officials are allowed to enter the government-run camps to look for potential asylum cases — principally Eritreans and Somalis, whose flight from political persecution and chaos might qualify them. From lists supplied by the United Nations, the French choose whom they will interview.

      “The idea is to protect people who might have a right to asylum,” said Pascal Brice, the head of Ofpra, the French refugee agency. “And to bypass the horrors of Libya and the Mediterranean.”

      “It is limited,” Mr. Brice acknowledged. “But the president has said he wants to cut back on the sea crossings,” he added, referring to Mr. Macron.
      Bénédicte Jeannerod, who heads the French office of Human Rights Watch, was less a critic of the program itself than of its scale. “I’ve told Pascal Brice that as long as it works, make it bigger,” he said.

      But the potential difficulties of making the program larger were evident in a day of interviews at the sweltering United Nations center in Niamey.

      One recent Saturday night, 136 Eritreans and Somalis were flown to Niamey by the United Nations, all potential candidates for asylum interviews with the French.

      The dozens of asylum seekers already there waited pensively, looking resigned as they sat on benches, betraying no sign of the import of what the French deputy chief of the mission had to offer.

      “If you are chosen, you will soon be in France,” Ms. Bergier-Diallo told them, pronouncing the words slowly and deliberately. “And we are delighted.”

      Indeed, if the refugees pass muster, the rewards are enormous: a free plane ticket to France, free housing, hassle-free residence papers and free French lessons.

      The French agents, stiff and formal in their questioning that could last well over an hour, inquired relentlessly about the refugees’ family ties, uninterested in establishing the narrative of their escape and suffering.
      The idea was to “establish the family context,” in an effort to confirm the authenticity of the refugees’ origins, said one French official, Lucie.

      (Sensitive to security, the French authorities asked that the last names of their agents and those of the refugees not be published.)

      Shewit, a diminutive, bespectacled 26-year-old Eritrean woman, was asked whether she ever phoned her family, and if so what they talked about.

      “Only about my health,” Shewit said. “I never tell them where I am.”

      Mariam, 27, told the French agent she had been raped and ostracized in her village and feared going back because “the people who raped me are still there.”

      “They could rape me again,” said Mariam, an illiterate animal herder from Somaliland.

      Even if she finds safety in France, integrating her into society will be a challenge. Mariam had never attended any school and looked bewildered when the French agent told her to remove her head scarf.

      Wearing the scarf “is not possible in the French administration, or in schools,” Emoline, the agent, said gently to Mariam in English, through an interpreter.

      Then there was Welella, an 18-year-old Eritrean girl who, before being rescued from neighboring Libya, had spent time in a refugee camp in Sudan, where she endured what she simply called “punishments.”
      Her father is a soldier, her siblings had all been drafted into Eritrea’s compulsory military service, and she risked the same.

      “Why is military service compulsory in Eritrea?” Lucie asked the girl, seated opposite her. “I don’t know,” Welella answered mechanically.

      She had long planned on fleeing. “One day I succeeded,” she said simply.

      “What could happen to you in Eritrea if you returned?” Lucie asked.

      “I suffered a lot leaving Eritrea,” Welella said slowly. “If I return, they will put me underground.”

      She was questioned over and over about the names of her siblings in Eritrea, and why one had traveled to a particular town.

      After nearly two hours of questioning, a hint of the French agent’s verdict finally came — in English. It was rote, but the message clear: France was one step away from welcoming Welella.

      “You will have the right to enter France legally,” Lucie told her. “You will be granted a residence permit, you will be given your own accommodations, you will have the right to work …”

      Welella smiled, barely.


      https://www.nytimes.com/2018/02/25/world/africa/france-africa-migrants-asylum-niger.html?smid=tw-share
      #Niamey

    • A French Processing Centre in Niger: The first step towards extraterritorial processing of asylum claims or (just) good old resettlement?

      When The New York Times made headlines in the migration world with its recent article “At French Outpost in African Migrant Hub, Asylum for a Select Few” about the French refugee agency’s role in the UNHCR humanitarian evacuation scheme, it was not long before the magical concept of “extraterritorial processing” resurfaced. Mostly defined as the processing of asylum requests outside the country of destination, this proposal, repeatedly raised by European Union member states and academics alike since the beginning of the 2000s, has regularly been turned down by EU officials as being mere politically-driven hot air. Often confused with resettlement or other legal access channels, it has been praised as the panacea of the migration and asylum challenges by some, while being criticized as outsourcing and shady responsibility shifting by others.


      http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/french-processing-centre-niger-first-step-towards-extraterritorial-pr

    • Les migrants paient le prix fort de la coopération entre l’UE et les #gardes-côtes_libyens

      Nombre de dirigeants européens appellent à une « coopération » renforcée avec les #garde-côtes_libyens. Mais une fois interceptés en mer, ces migrants sont renvoyés dans des centres de détention indignes et risquent de retomber aux mains de trafiquants.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/280618/les-migrants-paient-le-prix-fort-de-la-cooperation-entre-lue-et-les-garde-

  • Migrants : Paris et Madrid plaident pour la création de « centres fermés sur le sol européen »

    Pour les migrants qui n’obtiendraient pas droit à l’asile, Emmanuel Macron a souligné la nécessité de « raccompagner » ces personnes « vers leur pays d’origine ».

    https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/paris-et-madrid-plaident-pour-la-creation-de-centres-fermes-sur-le-sol-
    #centres_fermés #asile #migrations #réfugiés #tri #catégorisation #France #renvois #expulsions #Espagne

    Mais... les #hotspots ne sont pas déjà cela ?

    cc @isskein

    • Des « #centres_contrôlés » pour migrants : le grand flou des annonces européennes

      Des « centres contrôlés » devraient bientôt être créés en Europe pour recevoir les migrants secourus en Méditerranée. C’est la mesure la plus concrète annoncée vendredi 29 juin par les dirigeants européens. Mais de quoi s’agit-il ? Comment les exilés seront-ils traités ? Les ONG s’inquiètent.

      Au nombre de virgules et d’incises, on devine que cette phrase a été triturée, négociée toute la nuit. À l’arrivée, elle prévoit la création de « centres contrôlés » sur le sol de l’Union européenne où fixer les migrants secourus en Méditerranée, dès leur débarquement, histoire de traiter leurs demandes d’asile et de renvoyer les déboutés plus rapidement, avant qu’ils ne s’éparpillent dans les différents États membres. Mise sur la table par Emmanuel Macron et le premier ministre espagnol après l’errance forcée de l’Aquarius, cette conclusion du conseil européen des 28 et 29 juin est brandie comme une victoire par Paris.

      Pourtant, « la France (…) n’ouvrira pas de centres de ce type », a indiqué Emmanuel Macron dès vendredi. Mais qui alors ? À quoi ressembleront ces lieux de confinement ? Comment les exilés seront-ils traités ? Y a-t-il une chance que ces « centres contrôlés » constituent un progrès quelconque par rapport aux hotspots que l’UE a bricolés en Grèce et en Italie dès 2015, au bilan désastreux ? Explications de texte.

      Trier les exilés

      L’affaire de l’Aquarius avait déclenché un triste concours Lépine entre pays de l’UE pour savoir que faire des migrants repêchés dans les eaux sous responsabilité européenne (les zones de secours maritime de l’Italie, de Malte, etc.), où l’intervention des garde-côtes libyens n’est plus une option légale. Des pays comme la Hongrie proposaient d’externaliser l’accueil et même l’enfermement de ces survivants en dehors de l’UE, dans des camps en Albanie, au Kosovo, voire de les refouler sur les rives sud de la Méditerranée – quitte à balancer le droit international par-dessus bord. Paris se félicite d’avoir fait un sort à ces tristes idées, avec ses « centres contrôlés » à l’intérieur de l’Union.

      « Le contexte de ce sommet, c’était un risque d’externalisation massive et sauvage », insiste le patron de l’Ofpra (l’office français chargé d’accorder ou non le statut de réfugié), Pascal Brice. Le pire est évité. La Commission européenne a désormais pour mission de dessiner, dans les prochains mois, les contours matériels et juridiques de ces centres, extrêmement flous à ce stade.

      Du côté de l’Élysée, on ne cache pas sa source d’inspiration : les hotspots que l’UE a déjà créés à la fin 2015, en pleine crise des réfugiés, et qui fonctionnent toujours sur les îles grecques en face de la Turquie (cinq gros) et en Italie (cinq plus petits, plus ou moins actifs). Les nouveaux « centres contrôlés » devront remplir des missions similaires : l’accueil des rescapés, l’instruction des dossiers pour distinguer entre migrants éligibles au statut de réfugié (du fait de persécutions dans leur pays) et migrants dits « économiques ».

      Comme dans les hotspots, les premiers auront vocation, une fois repérés, à bénéficier d’une « #relocalisation » (c’est le jargon) aux quatre coins de l’UE. Mais cette fois, seuls les États volontaires sont censés participer à la répartition : aucune obligation ne figure dans le texte, ni dispositif incitatif d’ailleurs. Le texte se contente de dire : « Le principe de #solidarité s’appliquerait. » Un principe sans contrainte, ni gendarme, ni sanction, porte un autre nom : un vœu pieux.

      Le système de « relocalisations » depuis la Grèce et l’Italie mis en place entre 2015 et 2017, censé contribuer à vider les hotspots au fur et à mesure, a lamentablement échoué alors même qu’il était contraignant à l’époque, avec un système de quotas de réfugiés par pays. À l’arrivée, à peine 35 % des engagements ont été respectés, certains États comme la Hongrie et la Pologne affichant un taux de 0 % (la France à peine 25 %).

      C’est de toute façon le sort des migrants dits « économiques » (bien plus nombreux parmi les rescapés de la Méditerranée en 2018) qui occupe la majorité des dirigeants européens aujourd’hui : ceux-là « feront l’objet d’un retour » le plus souvent possible, indiquent les conclusions du sommet (sachant qu’un rapatriement suppose toujours un laissez-passer du pays d’origine). Pour opérer ces expulsions (« idéalement » depuis les centres, si l’on comprend bien), le soutien de l’UE au pays qui les héberge sera « total ». Qui va donc se lancer et ouvrir les premiers « centres contrôlés » ?

      Le pari du volontariat

      Là encore, l’UE mise tout sur des candidatures libres. En réalité, la liste potentielle tient dans un mouchoir de poche : la Grèce, l’Espagne, l’Italie voire Malte. Car la création de ces « centres contrôlés » a été négociée dans l’esprit du fameux « règlement de Dublin », qui régit depuis des années le système d’asile européen et veut que la responsabilité du traitement des demandes incombe au premier pays où les migrants posent le pied, plus précisément où leurs empreintes sont enregistrées.

      Les pays de « seconde ligne » comme la Hongrie ou la Pologne, bien loin des zones de débarquement, se réfugient donc derrière ce principe pour rejeter toute création de centres sur leur sol – bien que ce principe autorise moult dérogations. Idem pour la France. Seuls les pays dits de « première entrée » sont donc susceptibles d’aller au charbon.

      En marge du conseil européen, la Grèce et l’Espagne auraient déjà fait savoir qu’elles pourraient toper. Pas Malte. Quant à l’Italie, dont le chef du gouvernement a négocié le dispositif avec Emmanuel Macron dans les coulisses du sommet, elle affiche désormais ses réticences et fait monter les enchères : « Des pays ont dit leur disponibilité, pas l’Italie », a déclaré Giuseppe Conte après coup.

      L’entrain transalpin dépendra évidemment des moyens (logistiques, financiers, etc.) que les institutions européennes vont mettre à disposition des pays volontaires et du degré de solidarité dont ses voisins daigneront faire preuve pour se répartir les réfugiés. La France en prendra, a promis Emmanuel Macron. Le président français estime avoir donné des gages ces derniers jours et même initié le mouvement dans l’affaire de l’Aquarius, puis dans l’épisode du Lifeline (ce navire qui a débarqué 233 migrants à Malte le 26 juin après un refus de l’Italie et une semaine d’attente en mer).

      De fait, de façon exceptionnelle, des officiers de l’Ofpra ont déjà entendu de nombreux rescapés de l’Aquarius éligibles à l’asile, et d’autres sont à Malte depuis mercredi. Si la France était toute seule en Espagne (pour le navire de SOS Méditerranée), sept autres États membres de l’UE ont promis d’accueillir des passagers du Lifeline. « Nous avons su trouver des mécanismes de solidarité » sur cette « opération ad hoc », s’est félicité vendredi Emmanuel Macron, qui veut croire que les futurs « centres contrôlés » pourraient bénéficier du même élan, hors période de crise politique et d’emballement médiatique, sans contrainte, en toute spontanéité.

      Interrogé par Mediapart depuis Malte, le patron de l’Ofpra français estime d’ailleurs qu’il faudrait offrir une protection non plus seulement aux réfugiés remplissant les critères habituels (risques de persécution dans leurs pays d’origine) mais également, de façon inédite, à des personnes « en situation de détresse humanitaire liée aux violences subies sur leur parcours migratoire », « en particulier en Libye », victimes de « traite humaine » par exemple. Rien de tel ne figure dans les conclusions du sommet ni dans le projet de loi « asile et immigration » de Gérard Collomb, en débat au Parlement français.

      Une privation de liberté

      À quel point les hotspots seconde génération seront-ils cadenassés, clôturés, barbelés ? Dans leurs conclusions du 29 juin, les dirigeants européens ne parlent officiellement ni de « retenue » ni de « rétention », encore moins de « détention ». Envisagée au départ, l’expression « centres fermés » a même été écartée, obligeant Nathalie Loiseau, la ministre française des affaires européennes, à une sacrée gymnastique sémantique : « Il ne s’agira pas de centres fermés mais de centres d’où les migrants ne pourront pas sortir », a-t-elle déclaré vendredi devant la presse.

      De fait, on voit mal comment l’UE pourrait poursuivre ses objectifs, surtout de rapatriements, sans une phase de confinement voire d’enfermement. Encore faut-il savoir dans quelles conditions, s’il faut compter en jours ou en semaines. Voire en mois.

      Dans les hotspots des îles italiennes, aujourd’hui, la rétention dépasse rarement deux jours et les étrangers ont parfois le droit de sortir en journée. Au fond, cette étape sert surtout à l’enregistrement des empreintes (pouvant donner lieu à des violences policières), puis les migrants sont envoyés sur la péninsule dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile, laissés libres de circuler, de tenter aussi le passage en France ou vers l’Allemagne – ce qui dérange peu l’Italie, c’est un euphémisme.

      Vendredi, Giuseppe Conte a d’ailleurs refusé tout net d’inscrire l’expression « centres fermés » dans les conclusions du sommet. « Un changement symbolique », veut relativiser une source française.


      https://www.mediapart.fr/journal/international/010718/des-centres-controles-pour-migrants-le-grand-flou-des-annonces-europeennes
      #externalisation_interne

    • Managing migration : Commission expands on disembarkation and controlled centre concepts

      Following the call by EU leaders at the June European Council, the Commission is today expanding on the concept of controlled centres as well as short-term measures that could be taken to improve the processing of migrants being disembarked in the EU, and giving a first outline of the possible way forward for the establishment of regional disembarkation arrangements with third countries. Regional disembarkation arrangements should be seen as working in concert with the development of controlled centres in the EU: together, both concepts should help ensure a truly shared regional responsibility in responding to complex migration challenges.

      Commissioner Avramopoulos said: “Now more than ever we need common, European solutions on migration. We are ready to support Member States and third countries in better cooperating on disembarkation of those rescued at sea. But for this to work immediately on the ground, we need to be united – not just now, but also in the long run. We need to work towards sustainable solutions.”

      ’Controlled Centres’ in the EU

      To improve the orderly and effective processing of those disembarked in the European Union, EU leaders have called for the establishment of ’controlled centres’ in the EU. The primary aim would be to improve the process of distinguishing between individuals in need of international protection, and irregular migrants with no right to remain in the EU, while speeding up returns.

      The centres would be managed by the host Member State with full support from the EU and EU Agencies and could have a temporary or ad-hoc nature depending on the location. The main features of such centres are:

      full operational support with disembarkation teams of European border guards, asylum experts, security screeners and return officers, and all costs covered by the EU budget;
      rapid, secure and effective processing that reduces the risk of secondary movements and accelerates the process to determine the status of the person concerned;
      full financial support to volunteering Member States to cover infrastructure and operational costs; as well as financial support to Member States accepting transfers of those disembarked (€6,000 per person).

      To test the concept, a pilot phase applying a flexible approach could be launched as soon as possible.

      The Commission will also provide a central contact point to coordinate among Member States taking part in solidarity efforts – as an interim measure until a fully-fledged system can be established in the context of the ongoing Common European Asylum System reforms.

      See the factsheet on controlled centres in the EU here.

      Regional Disembarkation Arrangements

      In addition to the establishment of controlled centres, EU leaders have called on the Commission to explore the concept of regional disembarkation arrangements in close cooperation with #IOM and UNHCR and in partnership with third countries.

      The objective of regional disembarkation arrangements is to provide quick and safe disembarkation on both sides of the Mediterranean of rescued people in line with international law, including the principle of non-refoulement, and a responsible post-disembarkation process.

      The main features of regional disembarkation arrangements are:

      Clear rules for all: To reduce deaths at sea and ensure orderly and predictable disembarkation, all coastal states in the Mediterranean should be encouraged to establish search and rescue zones and Maritime Rescue Coordination Centres (MRCCs);
      Developed by the UNHCR and IOM who will help ensure those disembarked can receive protection if they are in need of it, including through resettlement schemes; or will be returned to their countries of origin if they are not, including through the assisted voluntary return and reintegration programmes run by the IOM;
      Partnerships on an equal footing: work with interested third countries will be brought forward on the basis of existing partnerships and offered support tailored to their specific political, security and socio-economic situation;
      No pull factors: resettlement possibilities will not be available to all disembarked persons in need of international protection and points of reception should be established as far away as possible from points of irregular departure;
      No detention, no camps: Regional disembarkation arrangements mean providing a set of established procedures and rules to ensure safe and orderly disembarkation and post-disembarkation processing in full respect of international law and human rights;
      EU Financial and logistical support: The EU is ready to provide financial and operational support for disembarkation and post-disembarkation activities as well as for border management with equipment, training and other forms of support.

      See the factsheet on regional disembarkation arrangements here.

      Next Steps

      Ambassadors meetings tomorrow, 25 July, are expected to discuss the concept of controlled centres in the EU and the possibility of rapidly using an interim framework for disembarkations of those rescued at sea in the EU.

      The work on regional disembarkation arrangements will also be touched upon at tomorrow’s meeting and is expected to be taken forward at a meeting with the IOM and UNHCR in Geneva 30 July 2018. Only once a common EU approach is agreed will outreach be made to interested third countries.

      Background

      The European Council in its conclusions of 28-29 June invited the Council and the Commission to swiftly explore the concept of “regional disembarkation platforms, in close cooperation with relevant third countries, as well as the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) and the International Organisation for Migration (IOM)”.

      The European Council also called for the development of ’controlled centres’ on EU territory – a new approach based on shared efforts for the processing of persons who, following their rescue at sea, are disembarked within the EU.

      europa.eu/rapid/press-release_IP-18-4629_en.htm

      Avec ce commentaire reçu via la mailing-list de Migreurop :

      Finis les hotspots ; place aux « centres contrôlés dans l’UE » !
      6 000 euros la valeur d’un migrant débarqué et transféré dans un État membre ;
      Des accords de « débarquement » avec les pays tiers (moyennant finances) …

      … La Commission européenne fait preuve d’une imagination débordante

      #disembarkation_platform #OIM #HCR

  • EU leaders consider centers outside bloc to process refugees

    Draft conclusions for the European Council summit next week propose the creation of ‘disembarkation platforms.’

    European Council President Donald Tusk has proposed that EU leaders create “regional disembarkation platforms” outside the European Union, where officials could quickly differentiate between refugees in need of protection and economic migrants who would potentially face return to their countries of origin.

    The proposal is an effort to break the acute political crisis over migration and asylum that has bedeviled EU leaders since 2015 — and even threatened in recent days to topple the German government — even as the numbers of arrivals have plummeted since the peak of the crisis.

    The disembarkation platform concept — which officials said would have to be implemented in cooperation with the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) and the International Organization for Migration (IOM) — could create a formal mechanism by which the EU can bridge the divide between hard-line leaders calling for tough border controls and those insisting that EU nations obey international law and welcome refugees in need of protection.

    But the idea could also open EU leaders to criticism that they are outsourcing their political problem by creating centers for people seeking entry in countries on the periphery of the bloc. Among the potential partner nations are Tunisia and Albania, but officials say it is far too soon to speculate.

    The idea to create such facilities was suggested in 2016 by Hungarian Prime Minister Viktor Orbán, the strongest critic of the EU’s policies on migration — especially on the relocation of refugees across Europe.

    More recently, French President Emmanuel Macron has endorsed the idea, and on Sunday Italian Foreign Minister Enzo Moavero said Italy wants to officially put the idea on the table at the European Council summit.

    According to the draft guidelines, the new sites would “establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations.”

    The conclusions state: “Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection, and reduce the incentive to embark on perilous journeys.”
    https://www.politico.eu/article/regional-disembarkation-platforms-eu-leaders-consider-camps-outside-bloc-to

    Nouveau #mots, nouvelle absurdité #disembarkation_platform...!!!
    #tri #migrations #migrants_économiques #réfugiés #catégorisation #hotspots #externalisation #novlangue
    #regional_disembarkation_platforms #Tunisie #Albanie #plateformes_régionales_de_désembarquement

    cc @reka @isskein @i_s_

    • European Council meeting (28 J une 2018) – Draft conclusions

      In order to establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations, the European Council supports the development of the concept of regional disembarkation platforms in close cooperation with UNHCR and IOM. Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection , and reduce the incentive to embark on perilous journeys.

      https://g8fip1kplyr33r3krz5b97d1-wpengine.netdna-ssl.com/wp-content/uploads/2018/06/draftEucoConclusionsJune.pdf
      #HCR #OIM #IOM

    • Une idée qui vient de la Hongrie...

      From protest to proposal : Eastern Europe tries new migration tactic

      “Asylum procedures should be completed outside the EU in closed and protected hotspots before the first entry on the territory of the EU,” states Orbán’s plan. “Third countries should be supported in establishing a system of reception and management of migratory flows … which should foresee careful on-site screening of refugees and economic migrants,” reads Renzi’s.

      https://www.politico.eu/article/viktor-orban-hungary-slovakia-from-protest-to-propose-eastern-europe-tries-

    • La UE estudia instalar centros de clasificación de inmigrantes en el norte de África

      Un borrador de documento para la cumbre afirma que la idea podría facilitar «un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y refugiados»

      La Unión Europea estudia la idea de construir centros para el procesamiento de inmigrantes en el norte de África en un intento por disuadir a la gente de emprender viajes a través del Mediterráneo que puedan poner en riesgo su vida, según indica un documento al que ha tenido acceso The Guardian.

      El Consejo Europeo de líderes de la UE «apoya el desarrollo del concepto de plataformas de desembarque regional», según señala un borrador de conclusiones de la cumbre europea que se llevará a cabo la próxima semana.

      La UE quiere estudiar la viabilidad de instalar estos centros en el norte de África, donde comienza la mayoría de los viajes de los inmigrantes que quieren llegar a suelo europeo. «Estas plataformas podrían facilitar un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y aquellos que necesitan protección internacional, y así reducir los incentivos a embarcarse en viajes peligrosos», sostiene el documento.

      La inmigración es un tema prioritario en la agenda de la próxima cumbre de dos días que se iniciará el 28 de junio. Los líderes de la UE intentarán llegar a un consenso sobre cómo manejar la crisis de los miles de refugiados e inmigrantes que llegan a Europa cada mes.

      Los líderes de Alemania y Francia, Angela Merkel y Emmanuel Macron, se han reunido este martes cerca de Berlín para fijar una posición común respecto a la inmigración y la eurozona, en medio de los temores sobre el desmoronamiento del proyecto europeo.

      Antes de la reunión, el ministro de Hacienda francés, Bruno Le Maire, afirmó que Europa está «en proceso de desintegración». «Vemos Estados que se están cerrando, intentando encontrar soluciones nacionales a problemas que requieren soluciones europeas», señaló. Así, llamó a construir «un nuevo proyecto europeo sobre inmigración», así como sobre asuntos económicos y financieros «que consoliden a Europa en un mundo en el que Estados Unidos está a un lado, China al otro y nosotros quedamos atrapados en el medio».

      El ministro de Interior alemán, Horst Seehofer, de línea dura, está presionando a la canciller Angela Merkel para que diseñe un plan europeo para finales de mes. Alemania sigue siendo el país europeo que más solicitudes de asilo recibe. Si no hay avance a nivel europeo, Seehofer quiere que la policía de las fronteras alemanas comience a negar la entrada a los inmigrantes.

      No queda claro cómo se llevaría a la práctica la propuesta europea de «plataformas de desembarque regional», o dónde se instalarían.

      En 2016, la UE llegó a un acuerdo con Turquía que redujo drásticamente el flujo migratorio, pero al bloque le ha resultado más difícil trabajar con los gobiernos del norte de África, especialmente con Libia, punto de partida de la mayoría de las embarcaciones que intentan llegar a Europa por el Mediterráneo.

      La Comisión Europea ha rechazado la posibilidad de llegar a un acuerdo con Libia parecido al de Turquía, debido a la inestabilidad del país. Sin embargo, el anterior Gobierno de Italia pactó con las milicias y tribus libias y colaboró para reconstituir la guardia costera libia. Estas acciones han contribuido a reducir drásticamente el número de personas que intenta cruzar el Mediterráneo, pero los críticos han denunciado un aumento en las violaciones de los derechos humanos.

      Según el documento filtrado, la UE prefiere construir los centros en colaboración con ACNUR, la agencia de la ONU para los refugiados, y con la Organización Internacional para la Migración, otro organismo relacionado con la ONU que con anterioridad ha criticado la escasez de rutas legales que tienen los inmigrantes y refugiados africanos para llegar a Europa.

      https://www.eldiario.es/theguardian/UE-instalar-procesamiento-inmigrantes-Africa_0_783922573.html

    • Commentaire d’Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Au contraire de ce que suggère le titre choisi par ce journaliste (article ci-dessous), la proposition de créer ces plateformes de débarquement n’est pas vraiment « étonnante » tant elle ressemble aux « #processings_centers » et autres « #centres_d'identification » dont les projets ressurgissent régulièrement depuis le début des années 2000. Il y a cependant des évolutions (ces centres étaient pensés pour cantonner les exilés avant qu’ils prennent la mer et pas pour débarquer les boat-people secourus en mer) et le danger se rapproche : maintenant que ces camps existent sous le nom de hotpsots dans les iles grecques, il apparaît possible de les étendre dans des pays extérieurs ayant besoin du soutien financier ou politique de l’UE.

      #camps #cpa_camps

    • Europe Pushes to Outsource Asylum, Again

      With Dublin reform stalled, European leaders began to cast around for new ideas to solve the ongoing political crisis on migration and settled on a recurring proposition: the creation of asylum processing centres beyond the (strengthened) borders of the European Union.

      What exactly is up for discussion remains unclear. The plans championed by various EU leaders are diverse, yet the details remain fuzzy. What they have in common is a near-universal focus on shifting responsibility for dealing with refugees and migrants upstream. The idea of external processing looks good on paper, particularly in demonstrating to skeptical voters that governments have control over migration flows. But leaders also hope that by reducing inflows to the European Union, they will face less pressure to compromise on sharing responsibility for asylum within the bloc.

      The devil is in the detail. Proposals to externalize the processing of asylum claims are not new, but have largely fallen flat. Previous leaders balked at the idea of such elaborate constructions, especially when confronted with their significant practical complications. But public pressure to further slow arrivals of refugee and migrant boats has mounted in many countries, and leaders feel compelled to find an agreement. The result is a debate on migration increasingly divorced from reality.

      But before sitting down to the negotiating table, EU leaders may want to reflect on the exact model they wish to pursue, and the tradeoffs involved. Critically, does the concept of “regional disembarkation platforms” set out in the draft European Council conclusions offer a potential solution?

      Key Design Questions

      From Austria’s so-called Future European Protection System, to the “centres of international protection in transit countries” suggested by Italian Prime Minister Giuseppe Conte, to an outlier idea from the Danish Prime Minister to create centres to host failed asylum seekers in “undesirable” parts of Europe —a variety of models for externalization have been floated in recent weeks.

      Several proposals also envisage the simultaneous creation of joint processing centres within the European Union, coupled with the use of reception centres that restrict residents’ freedom of movement. While it is still unclear how such a plan would unfold, this commentary focuses on the external dimension alone.

      Where Would People Be Stopped and Processed?

      The proposals differ regarding where in the journey they would stop migrants and potential asylum seekers. French President Emmanuel Macron has vaguely referred to centres in key transit countries, such as Niger, Libya, and Chad, as well as closer to regions of origin. Others have focused more squarely on the North African coast.

      Centres operating far away from the European Union would likely function as a form of resettlement, stopping people en route (or even prior to the journey), and offering selected individuals an additional channel of EU entry in hopes that this would discourage the use of smugglers. Indeed, nascent EU efforts to resettle refugees evacuated from Libya to Niger (under the Evacuation Transit Mechanism, or ETM), demonstrate how this might work. At the other extreme, the model championed by Austrian Chancellor Sebastian Kurz would see migrants and refugees returned to “safe zones” in Africa, where they would stay, even after arriving at the external EU border.

      The latter concept is problematic under current EU and international law. By returning arrivals to third countries without giving them the opportunity to submit an asylum claim, governments would be likely to run afoul of the EU Asylum Procedures Directive, as well as the European Convention on Human Rights, which prohibits signatories from the “collective expulsion of aliens.” European Court of Human Rights case law also precludes the pushback of migrants rescued by European boats while crossing the Mediterranean. Conversely, however, if migrants and potential asylum seekers are stopped before entering EU waters, and without the involvement of European-flagged vessels, then no EU Member State has formal legal responsibility.

      A framework for regional cooperation on the disembarkation of migrant boats—being developed by the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR) —may offer a middle ground. While details are scarce, it seems likely that the proposal would focus first on the development of a system for determining who would rescue migrants crossing the Mediterranean, and where they would be landed. Absent consensus within the European Union on responsibility sharing for asylum claims, UNHCR would attempt to create a new framework for responsibility sharing with both Northern and Southern Mediterranean states on search and rescue. However, to prove palatable to partners, such a scheme would require strong EU support, not least through the creation of regional disembarkation centres across North Africa where migrants and refugees “pulled back” from their journey would be sent. This approach would sidestep the application of EU law. To be viable, the European Union would likely need to offer North African partner states some assurance of support, including resettling some of those found in need of protection (as with the Niger ETM).

      Who Would Do the Processing?

      Once asylum seekers are pulled back, there is the question of who would make determinations regarding their protection. There are three options.

      First, Member States’ own asylum agencies could adjudicate protection claims, as Macron has occasionally suggested. Aside from the logistical challenges of seconding officials outside Europe, the question quickly arises as to who would adjudicate which applications? Member States have very different asylum systems, which produce markedly different outcomes for applicants, and would need extensive coordination.

      As a result, there is growing interest in developing an EU asylum agency capable of undertaking assessments on behalf of Member States. This appears a neat solution. However, governments would have to agree joint procedures and standards for processing claims and have confidence in the decisions made by through a joint processing arrangement. This is, if anything, an option only in the long term, as it would be years before any such agency is operational.

      Should the regional disembarkation idea gain ground, the European Union would have no legal responsibility to undertake assessment. Most Member States would be likely to consider UNHCR a key partner to manage any external process. But doing so could require UNHCR to redeploy limited staff resources from existing resettlement operations or from pressing humanitarian situations elsewhere. Moreover, outsourcing to UNHCR could still raise the issue of trust and transferability of decisions. Many Member States remain reluctant to rely solely on UNHCR to select refugees for resettlement, preferring to send their own teams to do the final selection.

      What Happens Next?

      The issue of what happens to people after their protection claims are assessed remains at the crux of questions around the feasibility of external processing. Proposals here differ starkly.

      On the one hand, some proposals would allow those recognized as in need of protection to subsequently enter the European Union. This is the option that—even if the European Union has circumvented any legal responsibility—would be deemed necessary to host countries as it would give them assurance that they are not overly burdened with providing protection. But doing so would require Member States to agree on some sort of distribution system or quotas for determining who would be settled where—crashing back into a responsibility-sharing problem that has plagued the European Union.

      By contrast, proposals that would explicitly not allow entry to anyone who had attempted to travel to Europe via the Mediterranean, taking a page from Australia’s playbook, are meant to assuage fears that such centres would become magnets for new travellers. Those with protection needs brought to such centres would be settled in countries outside the bloc. The challenges with this model centre squarely on the difficulty finding a “safe” country that would allow the settlement of potentially unlimited number of protection beneficiaries. Neither is likely to be the case in any arrangements the European Union would seek to make with external countries.

      Finally, there is the troubling question of what to do with those denied status or resettlement in the European Union. While the International Organization for Migration (IOM) or another agency might be able to help facilitate voluntary return, some might not be able to return home or may have been denied resettlement but nonetheless have protection needs. They are at risk of becoming a population in limbo, with long-term implications for their well-being and for the host country.


      https://www.migrationpolicy.org/news/europe-pushes-outsource-asylum-again
      #schéma #visualisation

    • "L’UE devrait demander à la Tunisie ou l’Algérie d’accueillir des migrants"

      Afin d’éviter toute complicité des ONG, #Stephen_Smith propose notamment une participation des pays du sud de la Méditerranée. « L’Europe se bat un peu la coulpe et a l’impression que tout est pour elle. Or, la Libye a beaucoup de pays voisins. Pourquoi n’a-t-on pas songé à demander le soutien de la Tunisie ou de l’Algérie ? Habituellement, en cas de naufrage, la règle veut que les voyageurs soient transportés vers la prochaine terre sûre. Et, à partir de la Libye, cette terre n’est pas l’Italie. »

      http://www.rts.ch/info/monde/9678271--l-ue-devrait-demander-a-la-tunisie-ou-l-algerie-d-accueillir-des-migran
      #Tunisie #Algérie

    • Macron y Pedro Sánchez proponen «centros cerrados de desembarco» para los inmigrantes que lleguen a Europa

      Con el apoyo de Pedro Sánchez, el presidente francés expone su apuesta para la gestión de las llegadas de migrantes a las costas del sur de Europa

      En estos centros se tratarían los expedientes de los demandantes de asilo o se tramitaría su devolución a los países de origen

      https://www.eldiario.es/desalambre/Macron-propone-centros-desembarco-inmigrantes_0_785321746.html
      #Espagne

    • EU admits no African country has agreed to host migration centre

      The European Union’s most senior migration official has admitted that no north African country has yet agreed to host migrant screening centres to process refugee claims.

      Details of an EU plan to prevent migrants drowning at sea emerged on Thursday after Italy criticised the agenda of an emergency summit for not offering enough to help it cope with arrivals.

      Dimitris Avramopoulos, the European commissioner for migration, said the EU wanted to “intensify cooperation” with Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco, as he announced the intention to create a “regional disembarkation scheme”.
      Malta’s ’barbaric’ finch traps ruled illegal by EU court
      Read more

      So far no African country had agreed to host screening centres, he confirmed. “It has to be discussed with these countries, he said. “An official proposal has not been put on the table.”

      The idea for offshore migrant processing centres remains sketchy, with numerous political, practical and legal questions unanswered. It remains unclear, for example, whether migrants on a rescue ship in European waters could be returned to a north African country.

      Tahar Cherif, the Tunisian ambassador to the EU said: “The proposal was put to the head of our government a few months ago during a visit to Germany, it was also asked by Italy, and the answer is clear: no!

      “We have neither the capacity nor the means to organise these detention centres. We are already suffering a lot from what is happening in Libya, which has been the effect of European action.”

      He said his country was facing enough problems with unemployment, without wishing to add to them while Niger said its existing centres taking migrants out of detention camps in Libya are already full.

      The idea for the centres was thrown into the mix of EU migration policy before a series of crucial summits on migration in the next week.

      About 10 EU leaders will meet in Brussels on Sunday in a hastily convened emergency meeting aimed at preventing the collapse of the German coalition government.

      But the Italian government has been angered by draft conclusions for the summit, which stress the need to counter “secondary movements” – an issue that affects Germany.

      Under EU rules, a member state usually has responsibility for asylum seekers who have arrived in its territory, a regulation that has put frontline states Italy and Greece under huge pressure.

      But claimants often move to a second EU state, seeking a faster decision or to unite with family members.

      So-called “secondary movements” is the issue driving a wedge between Germany’s ruling coalition. The Bavarian CSU party has set the chancellor, Angela Merkel, a deadline of two weeks to find a solution. The interior minister, Horst Seehofer, has threatened to send away migrants at the border – a breach of EU rules that threatens to unravel the common asylum system.

      Tensions are running high after Italy’s prime minister, Giuseppe Conte, said he was not ready to discuss secondary movements “without having first tackled the emergency of ‘primary movements’ that Italy has ended up dealing with alone”.

      Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, said: “If anyone in the EU thinks Italy should keep being a landing point and refugee camp, they have misunderstood.”

      The election of a populist government in Italy, combined with tensions in Germany’s ruling coalition, has created a political storm over migration despite the sharp fall in arrivals. In the first six months of this year 15,570 people crossed into Italy, a 77% drop on last year.

      The European commission president, Jean-Claude Juncker, reluctantly agreed to host the weekend summit to help Merkel, after her governing coalition came close to breaking point.

      Avramopoulos stressed that the summit would be about “consultations” to prepare the ground for decisions to be taken by all 28 EU leaders at a European council meeting next Thursday.

      Warning that the future of the EU’s border-free travel area was at stake, Avramopoulos said: “The European leadership of today will be held accountable in the eyes of future generations if we allow all these forces of populism to blow up what has been achieved”.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jun/21/eu-admits-no-african-country-has-agreed-to-host-migration-centre
      #cpa_camps

    • IOM-UNHCR Proposal to the European Union for a Regional Cooperative Arrangement Ensuring Predictable Disembarkation and Subsequent Processing of Persons Rescued at Sea

      Approximately 40,000 refugees and migrants have arrived in Europe via maritime routes in 2018 to date. This is almost six times less than over the same period in 2016, following a peak in arrivals by sea in 2015. According to EUROSTAT, approximately 30 per cent of those arriving on the European shores were in need of international protection; moreover, some have faced extreme hardship and abuse at the hands of unscrupulous traffickers during the journey.

      Despite the reduced arrival rates, new challenges resulting from divergent EU Member State views have revealed a need to revisit regional arrangements to relieve front line states from having the sole responsibility for the disembarkation and further processing of people rescued at sea.

      IOM and UNHCR stand ready to support a common approach, and call on all countries in the Mediterranean region to come together to implement a predictable and responsible disembarkation mechanism in a manner that prioritizes human rights and safety first, delinked from the subsequent processing of status and related follow-up responsibilities, post-disembarkation, for those rescued in international waters.

      It is increasingly recognized that disembarkation cannot be the sole responsibility of one country or regional grouping. It should be a shared responsibility across the Mediterranean Basin, with due respect for the safety and dignity of all people on the move. A comprehensive approach is required to realize effective and sustainable responses.

      People on the move to and through the Mediterranean have different migratory status, with the majority of them not qualifying for international or subsidiary protection. Addressing the drivers of forced displacement and irregular migration needs to be given renewed attention through effective conflict-prevention and crisis settlement processes, strengthening good governance, rule of law, and respect for human rights efforts, stabilization and recovery, as well as poverty reduction.

      Priority efforts need to focus on strengthening protection capacities in regions of origin, including through developing sustainable asylum systems; providing sufficient needs-based support for humanitarian operations and adopting a development-oriented approach to assistance; as well as expanding opportunities for resettlement, family reunification and safe pathways for refugees which are currently well below existing needs and pledges being made. Efforts toward opening safe and regular pathways for migrants need also to be undertaken (family reunification, labour and education opportunities, humanitarian visas for vulnerable migrants).

      Against this background, with a focus on the immediate disembarkation concerns at hand, the current proposal for a regional disembarkation mechanism aims to ensure that:

      People rescued-at-sea in international waters are quickly disembarked in a predictable manner in line with international maritime law, in conditions that uphold respect for their rights including non-refoulement, and avoid serious harm or other risks;
      Responsible post-disembarkation processing, supported – as appropriate- by IOM and UNHCR, leads to rapid and effective differentiated solutions and reduces onward movement through an effective cooperative arrangement.

      Functioning of the mechanism is premised on a set of principles and common objectives:

      The effective functioning of maritime commerce requires ships’ masters to have full confidence in prompt and predictable disembarkation;
      Efforts to reduce loss of life at sea are maximized, in line with existing international obligations and frameworks, and saving lives remains the international community’s priority;
      Strengthened efforts to build the capacity of Coast Guards in Mediterranean countries (not just in Libya) to perform effective rescue operations in their respective SAR;
      National Maritime Rescue Coordination Centres (MRCC) are able to carry out their work effectively for the purposes of search and rescue operations based on long- standing and effective practices to save lives;
      People rescued at sea in the Mediterranean are quickly disembarked in safe ports in a predictable manner in line with established rescue at sea arrangements and international maritime law, coordinated through the responsible MRCCs;
      Measures for cooperative arrangements to support States providing for disembarkation are well-established;
      The right to seek asylum is safeguarded, and the human rights of all individuals such as non-refoulement are respected, including the right not to be disembarked in or transferred to a place where there is a risk of persecution, torture, or other serious harm;
      Efforts to address human smuggling and trafficking are reinvigorated, including measures to ensure protection and/or referrals for victims of trafficking and ensuring the effective prosecution of those involved in / or facilitating human trafficking or smuggling;
      Rescue at sea capacity coordinated by effective MRCCs that operate in accordance with international law is reinforced.

      As such, the proposal does not affect existing legal norms and responsibilities applicable under international law (Note 1) Rather it seeks to facilitate their application in accordance with a regional collaborative approach and the principle of international cooperation. This proposal relies on functional arrangements for intra-EU solidarity in managing all consequences of rescue, disembarkation and processing. It also relies on operational arrangements which would need to be sought and formalised through a set of understandings among all concerned States.

      https://www.iom.int/news/iom-unhcr-proposal-european-union-regional-cooperative-arrangement-ensuring-pre

      Question : c’est quoi la différence entre la proposition IOM/HCR et la proposition UE ?

    • THE LEGAL AND PRACTICAL FEASIBILITY OF DISEMBARKATION OPTIONS

      This note presents a first assessment of the legal and practical feasibility of the three different scenarios on disembarkation presented at the Informal Working Meeting of 24 June 2018. Under international maritime law, people rescued at sea must be disembarked at a place of safety. International law sets out elements of what a place of safety can be and how it can be designated, without excluding the possibility of having regional arrangements for disembarkation.


      https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/migration-disembarkation-june2018_en.pdf
      #scénario

    • #Palerme :
      ❝La Commission régionale de l’Urbanisme a rejeté le projet de pré-faisabilité du « #hotspot » à Palerme, confirmant l’avis du Conseil municipal de Palerme. L’avis de la Commission régionale reste technique. Le maire de Palerme a rappelé que "la ville de Palerme et toute sa communauté sont opposés à la création de centres dans lesquels la dignité des personnes est violée (...). Palerme reste une ville qui croit dans les valeurs de l’accueil, de la solidarité et des rencontres entre les peuples et les cultures, les mettant en pratique au quotidien. En cela, notre « non » à l’hotspot n’est pas et ne sera pas seulement un choix technique, mais plutôt un choix relatif à des principes et des valeurs".
      > Pour en savoir plus (IT) : http://www.palermotoday.it/politica/hotspot-zen-progetto-bocciato-regione.html

      –-> Reçu via la mailing-list Migreurop

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Les camps devraient être la solution. C’est en Afrique, peut-être en Libye ou au Niger, que les migrants seront arrêtés avant qu’ils puissent commencer leur dangereux voyage en mer vers l’Europe. Ainsi l’a décidé l’UE. Des camps attendront également les réfugiés qui réussiraient toutefois à arriver dans un pays de l’UE. Des camps sur le sol européen. Où seront-ils établis ? Cela n’est pas encore défini, mais ce seront des installations fermées et surveillées parce que les détenus devront être « enregistrés » et les personnes non autorisées seront expulsées. Ils ne pourront pas s’enfuir.

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no man’s land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « fiction de non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord. Un État qui magouille. Pendant ce temps, la chancelière Angela Merkel a déclaré que personne ne sera détenu plus de quarante-huit heures, même dans le no man’s land. Il reste encore à voir si l’Autriche y accédera. Le plan est pour l’instant plus un fantasme qu’une politique réalisable, ce qui est bien pire. Bien sûr, tous ces centres fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « non-prisons » devraient être appelées « centres de transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « tourisme d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « centres de protection » mais aussi celui de « plateformes d’atterrissage et de débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du vernis linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      La facilité avec laquelle tout cela est mis en œuvre est déconcertante. Deux ans seulement après que le public européen a condamné l’Australie pour ses camps brutaux de prisonniers gérés par des sociétés privées sur les îles de Nauru et Manus, dans l’océan Pacifique, nous sommes prêts à abandonner nos inhibitions. Pourquoi ne pas payer les Libyens pour intercepter et stocker des personnes ?

      Derrière le terme allemand « Lager » (« camp ») se cache un ancien mot correspondant à « liegen », qui signifie « être allongé ». Les camps sont ainsi faits pour se reposer. Aujourd’hui, le terme de « camp » implique quelque chose de temporaire : un camp n’est que pour une courte période, c’est pourquoi il peut aussi être rustique, comme un camp de vacances pour les enfants ou un dortoir. Des camps d’urgence sont mis en place après des catastrophes, des inondations, des glissements de terrain, des guerres. Ils sont là pour soulager les souffrances, mais ne doivent pas être permanents.

      Si les responsables politiques participent activement à l’internement de personnes dans des camps en l’absence de catastrophe, alors il s’agit d’autre chose. Il s’agit de contrôle, d’#ordre, de #rééducation, de #domination. Les puissances coloniales tenaient des camps, depuis les camps de barbelés des Britanniques au Kenya jusqu’aux camps de Héréros dans le Sud-Ouest africain. C’est dans des camps que les États-Unis ont enfermé des Américains d’origine japonaise pendant la Seconde Guerre mondiale. Les responsables de ces camps n’avaient pas pour préoccupation le logement, mais bien la garde et la gestion de « personnes problématiques ».

      Dans de tels camps, la #violence extrême et la #déshumanisation des détenus allaient et vont généralement de pair avec une gestion froide. Exploiter un camp nécessite de l’#organisation. La technologie de #contrôle à distance aide le personnel à commettre des atrocités et transforme des gens ordinaires en criminels. Dans son essai controversé « Le siècle des camps », le regretté sociologue #Zygmunt_Bauman qualifie le camp de symptôme de #modernité. Pour lui, l’association d’une #exclusion_brutale et d’une #efficacité dans l’ordre semblable à celle d’un jardinier est une caractéristique de notre époque.

      Que Bauman fasse des camps de concentration nazis un « distillat » d’un problème majeur et moderne pour sa thèse lui a justement valu des critiques. Il ignore la singularité de l’Holocauste. Contrairement aux camps coloniaux, les camps de concentration étaient en effet des camps d’extermination qui n’avaient plus pour fonction d’apprêter des groupes ou de les rééduquer, ni même de les dissuader. Il s’agissait de « violence pour elle-même », comme l’écrit le sociologue #Wolfgang_Sofsky, de folie de la #pureté et d’éradication des personnes #indésirables.

      L’Europe croit être à l’abri de cette folie. Pour les gouvernants allemands, le slogan « Plus jamais de camps en Allemagne » est un slogan ridicule parce qu’il évoque des images qui n’ont rien à voir avec le présent. Dans les différents camps de migrants en Europe et à l’extérieur, il n’est certes pas question d’une extermination mais « seulement » de contrôle de l’accès et de #dissuasion. C’est ce dernier objectif qui est explicitement recherché : répandre dans le monde l’idée de camps de l’horreur au lieu du paradis européen.

      Mais il n’y a pas de raison de maintenir la sérénité. L’analyse de Zygmunt Bauman parlait de la mince couche de #civilisation par-dessus la #barbarie. La leçon tirée de l’expérience des camps du XXe siècle est la suivante : « Il n’y a pas de société ordonnée sans #peur et sans #humiliation ». La #pensée_totalitaire peut à nouveau prospérer, même dans les sociétés apparemment démocratiques.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430
      #totalitarisme

      Et ce passage pour lequel je suis tentée d’utiliser le tag #frontières_mobiles (#Allemagne et #Autriche) :

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no #man’s_land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « #fiction_de_non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord.

      Et sur la question de la #terminologie (#mots #vocabulaire) :

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      #shopping_de_l'asile #normalisation
      #cpa_camps

    • L’#Autriche veut proscrire toute demande d’asile sur le territoire de l’Union européenne

      A la veille d’une réunion, jeudi, entre les ministres de l’intérieur de l’UE sur la question migratoire, Vienne déclare vouloir proposer un changement des règles d’asile pour que les demandes soient étudiées hors d’Europe.

      https://mobile.lemonde.fr/europe/article/2018/07/10/l-autriche-veut-proscrire-toute-demande-d-asile-sur-le-territoire-de-

    • Record deaths at sea: will ‘regional disembarkation’ help save lives?
      ❝What is the aim of European policy on Mediterranean migration?

      Europe’s strategic ambition is clear: reduce the number of people who embark on journeys across the Mediterranean by boat. The more European countries struggle to share responsibility for those who are rescued at sea and brought to Europe, the stronger the desire to dissuade migrants from getting on a boat in the first place. Moreover, stemming the departures is said to be the only way of reducing the death toll.

      The challenge, as the European Council put it, is to ‘eliminate the incentive to embark’ on journeys across the Mediterranean. And the new migration agreement proposes a solution: setting up ‘regional disembarkation platforms’ outside the European Union. The logic is that if people rescued at sea are sent back to the coast they left, nobody will take the risk and pay the cost of getting on smugglers’ boats.
      Would this even work?

      Addressing the challenges of irregular migration is truly difficult. Still, it is baffling how the proposal for regional disembarkation platforms is embroiled in contradictions. The agreement itself is scant on specifics, but the challenges will surface as the policy makers have to make key decisions about how these platforms would work.

      First, will they be entry points for seeking asylum in Europe? The agreement suggests that the platforms might play this role. But if the platforms are entry points to the European asylum procedure, they will attract thousands of refugees who currently have no other option to apply for asylum in Europe than paying smugglers to set out to sea.

      This scenario raises a second question: what will be the possible ways of accessing the platforms? If they are reserved for refugees who have paid smugglers and are rescued at sea, access to protection will be just as reliant on smugglers as it is today. But if anyone can come knocking on the gate to the platforms, without having to be rescued first, the asylum caseload would swell. Such an outcome would be unacceptable to EU member states. As a recent EC note remarked, ‘to allow individuals to “apply” for asylum outside the EU […] is currently neither possible nor desirable.

      These two questions lay out the basic scenarios for how the regional disembarkation platforms would operate. Thinking through these scenarios it’s not clear if these platforms can ever be workable. Moreover, putting these platforms in place directly contradicts the European Council’s stated objectives:

      – dissuading smuggling journeys
      – distinguishing individual cases in full respect of international law
      – not creating a pull factor

      How does this relate to broader EU policies on migration?

      In some way, regional disembarkation platforms are a logical next step along the course the EU has been pursuing for years now. To stop refugees and other migrants from reaching its shores, the EU has been using a multi-pronged approach. On the one hand, the bloc has increased the use of aid to tackle the ‘root causes’ of migration – the logic being that if potential migrants are given other opportunities (e.g. skills training), they will be deterred from leaving. Similarly, information campaigns targeting aspiring migrants seek to deter people from setting out on dangerous journeys.

      Another major focus has been that of externalisation of border management – basically shifting border management to countries outside the EU: a key component of the EU-Turkey Deal is Turkey agreeing to take back refugees who crossed into Greece. Externalisation serves two purposes: keeping migrants physically out of Europe, but also as a deterrence measure sending potential migrants the implicit message that it won’t be easy to come to Europe.

      Regional disembarkation platforms are part of this process of externalisation. But there are key differences that make this proposal more extreme than policies pursued so far. Other externalization measures have aimed at preventing potential asylum seekers from reaching the point where they become eligible to launch a claim in Europe. The platforms will apparently serve a different role, by enabling the physical return of asylum seekers who have become Europe’s responsibility after being rescued by European ships in international waters.
      What do we know about efforts to deter irregular migration?

      The dim outlook for regional disembarkation platforms reflects more general limitations of deterrence measures in migration policy. Using decades worth of data, Michael Clemens and colleagues have shown that along the US-Mexico border greater deterrence and enforcement efforts have only reduced irregular migration when accompanied by greater legal migration pathways. Research by ODI has shown that information about deterrence measures and anti-migration messages rarely featured in migrant decision-making process. We will explore this further in our upcoming MIGNEX research project, which includes large-scale analyses of the drivers of migration in ten countries of origin and transit.
      Blocking access to asylum is not a life-saving measure

      The European Council presents regional disembarkation platforms as a strategy for ‘preventing tragic loss of life’. The irony of this argument is that these platforms will only deter sea crossings if they are dead ends where people who are rescued at sea are barred from seeking asylum in Europe. It is difficult to see how such a setup would be legally feasible, or indeed, ‘in line with our principles and values’, as the Council states.

      If the legal obstacles were overcome, there may indeed be fewer deaths at sea. But some of the deaths would simply occur out of sight instead. Refugees flee danger. Blocking access to seeking asylum puts more lives at risk and cannot be justified as a measure to save lives at sea.

      For now, the European Council glosses over the dilemmas that the regional disembarkation platforms will create. Facing the realities of the situation would not make perfect solutions appear, but it would enable an open debate in search of a defensible and effective migration policy.


      $https://blogs.prio.org/2018/07/record-deaths-at-sea-will-regional-disembarkation-help-save-lives

    • Austrian Presidency document: “a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory”

      A crude paper authored by the Austrian Presidency of the Council of the EU and circulated to other Member States’s security officials refers disparagingly to “regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes” and calls for “a halt to illegal migration to Europe” and the “development of a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory,” with some minor exceptions.

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf): http://www.statewatch.org/news/2018/jul/EU-austria-Informal-Meeting-%20COSI.pdf

      The document was produced for an ’Informal Meeting of COSI’ (the Council of the EU’s Standing Committee on Operational Cooperation on Internal Security) which took place on 2 and 3 July in Vienna, and the proposals it contains were the subject of numerous subsequent press articles - with the Austrian President one of the many who criticised the government’s ultra-hardline approach.

      See: Austrian president criticises government’s asylum proposals (The Local, link); Austrian proposal requires asylum seekers to apply outside EU: Profil (Reuters, link); Right of asylum: Austria’s unsettling proposals to member states (EurActiv, link)

      Some of the proposals were also discussed at an informal meeting of the EU’s interior ministers on Friday 13 July, where the topic of “return centres” was also raised. The Luxembourg interior minister Jean Asselborn reportedly said that such an idea “shouldn’t be discussed by civilized Europeans.” See: No firm EU agreement on Austrian proposals for reducing migration (The Local, link)

      The Austrian Presidency paper proposes:

      "2.1. By 2020

      By 2020 the following goals could be defined:

      Saving as many human lives as possible;
      Clear strengthening of the legal framework and the operational capabilities of FRONTEX with respect to its two main tasks: support in protecting the Union’s external border and in the field of return;
      Increasing countering and destruction of people smugglers’ and human traffickers‘ business models;
      Significant reduction in illegal migration;
      More sustainable and more effective return measures as well as establishment of instruments that foster third countries’ willingness to cooperate on all relevant aspects, including the fight against people smuggling, providing protection and readmission;
      Development of a holistic concept for a forward-looking migration policy (in the spirit of a “whole of government approach“) and a future European protection system in cooperation with third countries that is supported by all and does not overburden all those involved – neither in terms of resources nor with regard to the fundamental rights and freedoms they uphold.

      2.2. By 2025

      By 2025 the following goals could be realised:

      Full control of the EU’s external borders and their comprehensive protection have been ensured.
      The new, better European protection system has been implemented across the EU in cooperation with third countries; important goals could include:
      no incentives anymore to get into boats, thus putting an end to smuggled persons dying in the Mediterranean;
      smart help and assistance for those in real need of protection, i.e. provided primarily in the respective region;
      asylum in Europe is granted only to those who respect European values and the fundamental rights and freedoms upheld in the EU;
      no overburdening of the EU Member States’ capabilities;
      lower long-term costs;
      prevention of secondary migration.
      Based on these principles, the EU Member States have returned to a consensual European border protection and asylum policy.”

      And includes the following statements, amongst others:

      “...more and more Member States are open to exploring a new approach. Under the working title “Future European Protection System” (FEPS) and based on an Austrian initiative, a complete paradigm shift in EU asylum policy has been under consideration at senior officials’ level for some time now. The findings are considered in the “Vienna Process” in the context of which the topic of external border protection is also dealt with. A number of EU Member States, the EU Commission and external experts contribute towards further reflections and deliberations on these two important topics.”

      “...ultimately, there is no effective EU external border protection in place against illegal migration and the existing EU asylum system does not enable an early distinction between those who are in need of protection and those who are not.”

      “Disembarkment following rescue at sea as a rule only takes place in EU Member States. This means that apprehensions at sea not only remain ineffective (non-refoulement, examination of applications for asylum), but are exploited in people smugglers’ business models.”

      “Due to factors related to their background as well as their poor perspectives, they [smuggled migrants] repeatedly have considerable problems with living in free societies or even reject them. Among them are a large number of barely or poorly educated young men who have travelled to Europe alone. Many of these are particularly susceptible to ideologies that are hostile to freedom and/or are prone to turning to crime.

      As a result of the prevailing weaknesses in the fields of external border protection and asylum, it is to be expected that the negative consequences of past and current policies will continue to be felt for many years to come. As experience with immigration from regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes has shown, problems related to integration, safety and security may even increase significantly over several generations.”

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf)

      http://www.statewatch.org/news/2018/jul/eu-austrian-pres-asylum-paper.htm

    • Libya rejects EU plan for refugee and migrant centres

      Blow to Italy as Tripoli snubs proposal to set up processing centres in Africa

      Libya has rejected a EU plan to establish refugee and migrant processing centres in the country, adding that it would not be swayed by any financial inducements to change its decision.

      The formal rejection by the Libyan prime minister, Fayez al-Sarraj, is a blow to Italy, which is regarded as being close to his Tripoli administration.

      In June, Italy proposed reception and identification centres in Africa as a means of resolving divisions among European governments.

      The impasse came as the EU said it was willing to work as a temporary crisis centre to oversee the distribution of refugees and migrants from ships landing in Europe from Libya. Italy has said it is not willing to open its ports and may even reject those rescued by the EU Sophia search and rescue mission, a position that has infuriated other EU states.

      Speaking to the German newspaper Bild, Serraj said: “We are absolutely opposed to Europe officially wanting us to accommodate illegal immigrants the EU does not want to take in.”

      He dismissed accusations that Libya’s coastguard had shot at aid workers in ships trying to rescue people from the Mediterranean.

      “We save hundreds of people off the coast of Libya every day – our ships are constantly on the move,” he said. In practice, Libya is already running detention camps, largely as holding pens, but they are not run as EU processing centres for asylum claims.

      European foreign ministers agreed at a meeting on Monday to do more to train the Libyan coastguard by setting up the EU’s own training team inside Libya.

      The European parliament president, Antonio Tajani, said after a trip to Niger, one of the chief funnels for people into Libya, that the EU needed to plough more money into the Sahel region to reduce the need to leave the area. He said the number of people reaching Libya from Niger was collapsing.

      Tajani said: “Until 2016, 90% of irregular migrants travelled through the Niger to Libya and Europe. In just two years, Niger reduced migration flows by 95%, from over 300,000 to about 10,000 in 2018.”

      He said he would host a European conference in Brussels in October to support democratic elections in Libya scheduled for December.

      At the same time, Italy is to host a further conference in Rome in September seen as a follow-on to a conference held in May by the French president, Emmanuel Macron, that led to a commitment to hold elections this year.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jul/20/libya-rejects-eu-plan-for-migrant-centres?CMP=Share_iOSApp_OtherSpeakin

    • UNHCR ed OIM discutono con la Commissione europea sulle piattaforme di sbarco, ma gli stati dicono no.

      Lunedì 30 luglio si svolgerà a Ginevra un incontro di rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM con la Commissione Europea per discutere sulle piattaforme di sbarco che Bruxelles vorrebbe imporre nei paesi di transito, come gli stati nordafricani, e negli stati di sbarco, soprattutto in Italia. Per selezionare rapidamente migranti economici e richiedenti asilo, e dunque procedere al respingimento immediato dei primi, senza alcuna garanzia di difesa, ed all’avvio delle procedure di asilo, per gli altri, senza alcuna garanzia di resettlement o di relocation ( ricollocazione) in un paese diverso da quello di primo ingresso. La Commissione dichiara che, soltanto dopo avere trovato un “approccio comune a livello europeo “, si rivolgeranno proposte ai paesi terzi. Gli stati nordafricani hanno però respinto in blocco questa proposta, e le autorità locali dei paesi di primo ingresso più interessati dagli sbarchi, confernano la loro opposizione a nuovi Hotspot. Le risorse previste per questa esternalizzazione delle frontiere sono ridicole. Per non parlare dei costi in termini di vite e di sfregio dei diritti umani.

      Un progetto che si salda strettamente con l’incremeno degli aiuti alla sedicente Guardia costiera “libica”, alla quale si affida già adesso, nella prassi quotidiana, un numero sempre più elevato di intercettazioni in acque internazionali, di fatto respingimenti collettivi, perchè realizzati con il coordinamento e l’assistenza di unità militari della Marina italiana che ha una base a Tripoli, nell’ambito della missione Nauras. Intanto la accresciuta assistenza italiana alla Marina ed alla Guardia costiera di Tripoli rischia di contribuire all’inasprimento del conflitto tra le diverse milizie ed allontana le probabilità di una reale pacificazione, premessa indispensabile per lo svolgimento delle elezioni. Le stesse milizie che continuano a trattenere in Libia, in condizioni disumane, centinaia di migliaia di persone.

      Dietro la realizzazione delle “piattaforme di sbarco” in Nordafrica, proposte anche dal Consiglio europeo del 28 giugno scorso, il ritiro dalle responsabilità di coordinamento dei soccorsi in acque internazionali da parte degli stati che fin qui ne sono stati responsabili in conformità al diritto internazionale generalmente riconosciuto. Per ragioni diverse, nè la Tunisia, ne la Libia, possono essere riconosciuti come “paesi terzi sicuri” con porti di sbarco che siano qualificabili come place of safety. Come avveniva fino a qualche mese fa, secondo il diritto internazionale, dopo i soccorsi in acque internazionali, i naufraghi vanno sbarcati non nel porto più vicino, na nel porto sicuro più vicino. Ma questa regola, a partire dal caso della nave Aquarius di SOS Mediterraneè, il 10 giugno scorso, è stata continuamente violata dal governo italiano e dalle autorità amministrative e militari che questo governo controlla. Molto grave, ma prevedibile, il comportamento di chiusura da parte di Malta, che continua a trattenere sotto sequstro due navi umanitarie, la Lifeline e la Seawatch. Sempre più spesso le dispute tra stati che negano a naufraghi un porto sicuro di sbarco rischiano di fare altre vittime

      La soluzione che si prospetta adesso con la nave SAROST 5,dopo gli appelli delle ONG tunisine, lo sbarco a Zarzis dei migranti soccorsi il 15 luglio, un caso eccezionale ben diverso da altri soccorsi operati in precedenza in acque internazionali, non costituisce un precedente, perchè la SAROST 5 batte bandiera tunisina. Dunque i naufraghi a bordo della nave si trovavano già in territorio tunisino subito dopo il loro recupero in mare. In futuro, quando i soccorsi in acque internazionali saranno comunque operati da imbarcazioni miitari o private ( incluse le ONG) con diversa bandiera, il problema del porto sicuro di sbarco si proporrà in termini ancora più gravi, con un ulteriore incremento delle vittime e delle sofferenze inflitte ai sopravvissuti, a fronte dei dinieghi degli stati che non rispettano il diritto internazionale ed impediscono la individuazione, nei tempi più rapidi, di un vero “place of safety”.

      Nel 2013 il caso del mercantile turco SALAMIS, che sotto cooordinamento della Centrale operativa (IMRCC) di Roma, aveva soccorso naufraghi a sud di Malta, in acque internazionali, si era concluso con lo sbarco in Italia, in conformità del diritto internazionale. Con lo sbarco dei migranti soccorsi dalla SAROST 5 nel porto di Zarzis,in Tunisia, per ragioni di emergenza sanitaria, si consuma invece una ennesima violazione del diritto internazionale, dopo i rifiuti frapposti dalle autorità italiane e maltesi. Stati che creano sofferenze, come strumento politico e di propaganda, fino al punto da costringere i comandanti delle navi a dichiarare lo stato di emergenza. Alla fine il governo tunisino, nel giorno della fiducia al governo e dell’insediamento del nuovo ministro dell’interno, ha ceduto alle pressioni internazionali, ed ha accettato per ragioni umanitarie lo sbarco di persone che da due settimane erano bloccate a bordo di un rimorchiatore di servizio ad una piattaforma petrolifera, in condizioni psico-fisiche sempre più gravi. Un trattamento inumano e degradante imposto da quelle autorità e di quegli stati che, immediatamente avvertiti dal comandante della SAROST 5 quando ancora si trovava in acque internazionali, hanno respinto la richiesta di garantire in tempi più rapidi ed umani un porto di sbarco sicuro.

      Di fronte al probabile ripetersi di altri casi di abbandono in acque internazionali, con possibili pressioni ancora più forti sulla Tunisia, è importante che l’UNHCR e l’OIM impongano agli stati membri ed all’Unione Europea il rispetto del diritto internazionale e l’obbligo di soccorso in mare, nel modo più immediato. Le prassi amministraive di “chiusura dei porti” non sono sorrette ada alcuna base legale, e neppure sono concretizzate in provvedimenti amministrativi, motivati ed impugnabili davanti ad una qualsiasi autorità giurisdizionale. Non si può continuare a governare tratendo in inganno il corpo elettorale, distorcendo persino le posizioni delle grandi organizzazioni internazionali. Fino ad un mese fa sia l’UNHCR che l’OIM avevano respinto la proposta della Commissione che voleva creare piattaforme di sbarco al di fuori dei confini europei. Una proposta che adesso viene ripresentata con vigore ancora maggiore, sotto la presidenza UE affidata all’Austria di Kurz, con la spinta di Orban e di Salvini verso la “soluzione finale” verso migranti ed ONG.

      Le Nazioni Unite conoscono bene la situazione in Libia. Occorre garantire a tutti i naufraghi soccorsi in acque internazionali un porto sicuro di sbarco, che non deve essere quello più vicino, se non offre la piena garanzia di una tutela effettiva dei diritti fondamentali e del diritto di chiedere asilo delle persone sbarcate. Non basta la presenza fisica di operatori dell’UNHCR e dell’OIM in alcuni punti di sbarco, come si sta verificando da mesi in Tripolitania, per riconoscere l’esistenza di un place of safety in paesi che anche secondo le grandi istituzioni internazionali, come per i tribunali italiani, non sono in grado di garantire place of safety in conformità alle Convenzioni internazionali.

      Se si dovesse decidere di riportare i migranti intercettati in acque internazionali e sbarcati nei paesi nordafricani, ammesso che posa succedere( anche se i migranti considerati “illegali” in Nordafrica saranno costretti a firmare una richiesta di resettlement, se non di rimpatrio volontario), magari per essere riportati indietro in un campo profughi in Niger, sarebbero violati i principi base di protezione delle persone, in quanto eseri umani, ai quali si ispirano le Convenzioni internazionali e la Costituzione italiana. La Convenzione di Ginevra non esclude il diritto dei richeidenti asilo a rivolgersi ad paese piuttosto che ad un altro. L’evacuazione dalle aree di crisi non esclude il diritto di accesso alle frontiere di un paese europeo perchè la richiesta di asilo sua valutata con le garanzie sostanziali e procedurali previste dalla normativa interna e sovranazionale.

      Se l’UNHCR e l’OIM cederanno alle pressioni dei governi, diventeranno complici degli abusi che i migranti continuano a subire nei paesi del nordafrica nei quali vengono respinti e detenuti.

      Le Organizzazioni non governative che, insieme ai naufraghi che soccorrono, continuano ad essere bersaglio di una campagna di odio che non accenna ad attenuarsi, continueranno, nei limiti dei propri mezzi a denunciare quanto accade ed a soccorrere le persone che in acque internazionali potranno raggiungere prima che facciano naufragio. La loro attività di ricerca e salvataggio appare tuttavia fortemente ridotta, anche per la illegittima “chiusura dei porti” decisa dal governo italiano, in assenza di qualsiasi provvedimento che ne fornisca una base legale, tale almeno da potere essere impugnato. Una lesione forse irreversibile dello stato di diritto (rule of law) alle frontiere marittime.Una responsabilità ancora maggiore per le autorità militari alle quali sarebbe affidato il coordinamento delle attività di ricerca e soccorso in mare (SAR). La percentuale delle vittime calcolate sul numero dei migranti che ancora riescono a fuggire dalla Libia non è mai stata tanto alta. Non si deve ridurre il valore del rispetto della vita umana alla riduzione numerica degli arrivi o dei soccorsi in mare.

      Dietro la conclamata esigenza di contrastare i trafficanti si cela una micidiale arma elettorale che sta permettendo il capovolgimento della narrazione dei fatti e la criminalizzazione della solidarietà. Il ruolo delle città dell’accoglienza e dei rappresentanti politici che ancora si oppongono a questa deriva disumana contro i migranti e le ONG, devono passare dalle parole ai fatti e dare concretezza alle dichiarazioni di solidarietà ed all’impegno di aprire i porti, ed aprire le città. Tutti i cittadini solidali sono chiamati ad esporsi in prima persona, saldando il ruolo delle autonomie locali con la capacità di autorganizzazione. Sarà una stagione lunga e dolorosa di conflitto, senza una rappresentanza polkitica capace di praticare una vera opposizione. Ma non ci sono possibilità di mediazione con chi dimostra di valutare una parte dell’umanità come “untermenschen” ( sottouomini), praticando l’abbandono in mare ed il respingimento collettivo verso luoghi di internamento e tortura, in modo da creare le premesse per una discriminazione istituzionale che nei territori si sta già traducendo in una violenza diffusa contro i più deboli. Oggi tocca ai migranti, dai naufraghi a quelli accolti nei centri in Italia, domani saranno nel mirino le componenti minoritarie dell’intera popolazione.

      https://www.a-dif.org/2018/07/29/unhcr-ed-oim-discutono-con-la-commissione-europea-sulle-piattaforme-di-sbarco

    • Libya rejects establishment of reception centres for irregular migrants on its territory

      Foreign Minister of the Presidential Council’s government Mohamed Sayala said Libya refuses the idea of setting up reception centres for irregular migrants on its territory, as did Tunisia, Algeria and Morocco.

      “The country’s immigrant housing centres are sheltering around 30,000 immigrants, and Libya has cooperated with the European Union to return migrants to their countries of origin, but some countries refused to receive them,” Sayala said to the Austrian newspaper Die Presse.

      “Libya has signed agreements with Chad, Niger and Sudan to enhance the security of the crossing borders in order to curb the flow of migrants,” the Foreign Minister added.

      https://www.libyaobserver.ly/inbrief/libya-rejects-establishment-reception-centres-irregular-migrants-its-t

    • Juncker says N.Africa migrant “camps” not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.

      http://news.trust.org/item/20181026131801-1t7he
      #cpa_camps

    • Juncker says North Africa migrant ’camps’ not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.


      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-africa/juncker-says-north-africa-migrant-camps-not-on-eu-agenda-idUSKCN1N01TU

    • Refugee centers in Tunisia ’out of the question’, president says

      The Tunisian President, Beji Caid Essebsi, has said his country will not host EU refugee reception centers. He also told DW that Tunisia was a safe country, despite a terrorist attack in the capital earlier this week.

      President Essebsi made the statement in Berlin, where he attended Chancellor Angela Merkel’s African business summit. In an interview with DW’s Dima Tarhini, the 91-year-old leader said opening refugee reception centers in countries such as Tunisia was “out of the question.”

      “Tunisia has much more experience with refugees than many European countries. After the Libyan revolution, more than 1.3 million refugees from various countries streamed into Tunisia. Fortunately, most of them returned to their home countries with our help. Europe has never experienced anything comparable. And we, unlike Europe, do not have the capacities to open reception centers. Every country needs to pull its own weight on this issue.”

      The European Union wants greater cooperation on migration with North African nations Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco. Earlier this year, the EU migration commissioner announced a plan for a “regional disembarkation scheme”. Under the proposed deal, African countries would host migrant screening centers to process refugee claims. The Tunisian government has already expressed opposition to the idea.

      Despite terrorism, a ’safe country’

      During President Essebsi’s visit to Berlin, a 30-year-old woman blew herself up with a homemade bomb in the Tunisian capital, injuring at least eight people.

      “We thought we had eradicated terrorism, but it turns out that it still exists and that it can strike in the heart of the capital,” President Essebsi said in a statement to the press.

      The suicide attack led to renewed questions about whether Tunisia should be considered a safe country of origin for asylum seekers.

      Tarhini: In Germany, in the context of repatriating asylum-seekers, it has been questioned just how safe Tunisia really is. Tunisia is considered a safe North African country. What is your opinion on this?

      Beji Caid Essebsi: "Tunisia is a safe country; that is the truth. It is much safer than many other countries. Regarding refugees and the problem that they pose for Europe and other regions: Tunisia guarantees the freedom of its citizens, no matter what their conduct. If Tunisians abroad do something wrong and are sent back, then we will take them in. But not citizens of other countries.

      http://www.infomigrants.net/en/post/13062/refugee-centers-in-tunisia-out-of-the-question-president-says?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Les plateformes de débarquement pour migrants enterrées ?

      « Les Plateformes de débarquement en Afrique ne sont plus à l’ordre du jour et n’auraient jamais dû l’être », a déclaré le président de la Commission européenne Juncker, ce 26 octobre, lors d’une conférence de presse à Tunis avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed .

      Etonnant ? Rembobinons la bande-son 4 mois en arrière...

      Les plateformes de débarquement sont une proposition de la Commission européenne faite, à Bruxelles, le 28 juin lors d’un Conseil européen. Son objectif était d’empêcher l’arrivée des personnes migrantes, dites irrégulières, sur le sol européen. Comment ? En les bloquant, en amont, dans des centres fermés, le temps d’examiner leur profil et demande. Et en y débarquant systématiquement les naufragés repêchés en Méditerranée. Ces plates-formes seraient situées sur les côtes africaines notamment en Tunisie et au Maroc. L’Egypte a été également évoquée.

      Cette proposition s’inscrivait dans l’approche dominante de « l’externalisation » de la gestion des frontières prônée de façon croissante par les institutions européennes et ses membres depuis une vingtaine d’années. Depuis 2015, cette approche constitue l’une des orientations majeures des politiques migratoires européennes.

      Pourquoi dès lors, la Commission fait-elle marche arrière quant à ce projet ? Plusieurs raisons peuvent être avancées.

      La première réside dans le fait que cette approche n’atteint pas ses objectifs (endiguer les départs et augmenter les expulsions des personnes en situation irrégulière). Il suffit de voir la situation dans les hotspots d’Italie et de Grèce depuis 2015. A Moria, sur l’île de Lesbos, MSF parle de crise humanitaire due au surpeuplement, aux infrastructures et conditions d’accueil déplorables, ainsi qu’à l’insécurité mettant à mal l’ensemble des droits fondamentaux des personnes, notamment ceux des femmes et des mineurs. Les plus vulnérables se retrouvent dans un cul-de-sac.
      « Moria est devenu pour beaucoup un lieu de transit prolongé le temps que leur demande d’asile soit étudiée », souligne Dimitris Vafeas, le directeur adjoint du camp de Moria. D’autres exemples sont ceux du Niger ou encore de la Libye qui laissent les personnes migrantes dans une situation « d’encampement » permanent ou d’errance circulaire sans fin, faute de voies légales de migrations.

      La seconde explication trouve sa source dans le fait que cette approche ne respecte pas le droit international. En effet, d’une part, selon la Convention de Genève, chacun a le droit de quitter son pays et de demander l’asile dans un pays où sa sécurité sera assurée. Le droit international, s’il autorise un pays à refuser l’immigration, prohibe l’instauration du délit d’émigration : la Déclaration universelle des droits de l’homme stipule ainsi en son article 13 le droit de « quitter tout pays y compris le sien ». De plus, le droit maritime prévoit que tout naufragé sauvé en mer doit être conduit vers le port proche le plus sûr, ce qui implique que les personnes rescapées au large des côtes européennes doivent y être conduite. Enfin, plusieurs pays, à commencer par la Libye, ne représentent en aucun cas des « lieux sûrs », au regard des conditions auxquelles y font face les migrants. Même au Maroc, il y a quelques semaines, le GADEM, association marocaine de défense des droits de l’homme, sortait un rapport dramatique faisant état des violences multiples qu’encourent les personnes migrantes au Maroc.

      La troisième raison est que la majorité des pays en développement ne veulent pas entendre parler de ces plates-formes. Ils accueillent déjà 85 % des personnes réfugiées alors que l’Europe n’en accueille que 6%. Les pays africains tentent donc de faire bloc afin d’installer un rapport de force face aux Européens. Ils savent qu’ils sont désormais des acteurs incontournables du dossier migratoire sur la scène internationale. Cependant, les sommes mises sur la table, tels que les budgets de l’APD, risquent à terme d’effriter ce bloc d’argile, même si ces montants doivent être mis en regard des transferts des diasporas (remittances), nettement plus importants et qui rendent donc les dirigeants des pays d’origine enclins à favoriser les migrations.

      Il est donc temps, vu cet échec, que la Commission européenne change de cap et axe ses politiques non pas sur l’externalisation des questions de l’asile et de la migration, mais sur le renforcement de la solidarité intra-européenne dans l’accueil et sur la mise en œuvre de nouvelles voies sûre et légales de migration. Cela lui permettrait, enfin, de respecter le droit international et de consacrer son APD à la réalisation des Objectifs de développement plutôt qu’à la lutte contre les migrations, fussent-elles irrégulières.

      https://www.cncd.be/Les-plateformes-de-debarquement

    • L’UE bat partiellement en retraite sur les hotspots en Afrique

      Le Conseil voulait débarquer les migrants sauvés en Méditerranée sur les côtes africaines. Face à l’opposition des États africains, le projet a été abandonné, mais l’UE fait toujours pression sur les pays de transit.

      Au sommet du Conseil de juin dernier, les dirigeants européens ont demandé à la Commission d’étudier la possibilité d’instaurer des « plateformes de débarquement régionales » en Afrique, afin d’y envoyer les migrants repêchés par des bateaux européens en Méditerranée.

      L’initiative a tourné court. Dans les jours qui ont suivi le sommet, le Maroc et l’Union africaine se sont mobilisés pour assurer un rejet généralisé des « hotspots » sur les territoires africains.

      Nasser Bourita, le ministre marocain aux Affaires étrangères, a accusé les dirigeants européens de réagir de manière excessive, et souligné que le nombre de migrants tentant d’entrer en Europe a largement chuté. À ce jour, ils sont 80 000 à être arrivés cette année, contre 300 000 en 2016.

      La société civile s’est aussi opposée au projet, estimant que ces camps de migrants seraient contraires aux engagements de l’UE en termes de droits de l’Homme.

      Lors d’une visite en Tunisie le 26 octobre, Jean-Claude Juncker, président de la Commission européenne, a assuré que l’UE ne tentait pas de mettre en place des camps de réfugiés dans le nord de l’Afrique. « Ce n’est plus au programme, et ça n’aurait jamais dû l’être », a-t-il indiqué lors d’une conférence de presse avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed.

      Une semaine après, la porte-parole de la Commission, Natasha Bertaud, a expliqué que l’exécutif européen préférait à présent parler d’« arrangements de débarquement régionaux ». L’UE a donc commencé à préparer des accords spécifiques avec chacun des pays concernés, dont un échange de financements contre un meilleur contrôle migratoire. Le but est ainsi d’empêcher les migrants d’arriver en Europe.

      Accords en négociations

      Depuis le mois de septembre, des discussions sont en cours entre Bruxelles et le gouvernement égyptien d’Abdel Fattah al-Sissi. Un accord « cash contre migrants » devrait être finalisé avant le sommet UE-Ligue arabe qui aura lieu en février au Caire.

      S’il parait évident que l’Europe ne répétera pas son offre de 4 milliards à la Turquie, l’Égypte devrait demander une aide considérable et des prêts avantageux en échange d’un durcissement du contrôle migratoire. Des accords similaires devraient être conclus avec le Maroc, la Tunisie et la Libye.

      Le timing n’est pas dû au hasard, puisque Abdel Fattah al-Sissi succédera en janvier au Rwandais Paul Kagame à la présidence de l’Union africaine, et que le sommet de février sera centré sur l’immigration.

      Ce n’est pourtant pas parce que l’idée des « hotspots » a été abandonnée que les pays africains échappent aux pressions européennes.

      Le 1er novembre, Reuters indiquait que le ministère marocain des Affaires étrangères avait mis en place une nouvelle obligation pour les ressortissants du Congo Brazzaville, de Guinée et du Mali, qui devront à présent demander un permis de voyage quatre jours avant leur arrivée au Maroc. La plupart des migrants espérant atteindre l’Europe via le Maroc sont guinéens ou maliens.

      L’Espagne fait en effet pression sur Rabat pour réduire le nombre d’arrivées de migrants, notamment via ses enclaves de Ceuta et Melilla.

      Redéfinitions à venir

      Par ailleurs, les conditions de renvoi des migrants seront redéfinies dans le texte qui remplacera l’accord de Cotonou, mais il est clair que l’Europe ne voudra pas les rendre plus strictes. Les discussions entre l’UE et les pays d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique, viennent de commencer.

      L’accord, qui expire en 2020, prévoit que les États africains réintègrent les migrants qui n’obtiennent pas l’autorisation de rester en Europe, une mesure qui n’a cependant pas été mise en pratique. « Les dirigeants africains ne respecteront jamais ces articles sur la migration », indique une source proche des négociations.

      L’Union africaine n’est pas parvenue à unir ses membres pour négocier le successeur de l’accord de Cotonou sur la base d’une position commune face à l’UE, mais les avis sont plus convergents sur la question migratoire. Selon une représentante de la société civile, son plan d’action sur l’immigration est « l’un des meilleurs documents sur la migration ».

      Contrairement à l’UE, divisée entre des pays plutôt accueillants et d’autres comme la Hongrie, la Pologne ou l’Italie, qui défendent des règles extrêmement strictes, les membres de l’Union africaine sont sur la même longueur d’onde sur le sujet. « L’UE n’est pas en position de négocier sur l’immigration, mais l’Union africaine l’est », conclut cette même source.

      Pour montrer à ses citoyens qu’elle agit, l’UE pourrait donc finir par mettre en place des arrangements de contrôle migratoire fragmentés et chers.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/eu-lowers-its-ambitions-on-african-migration-control

    • EP lawyers back EU plans for migrant centres in Africa

      Lawyers working at the European Parliament on Tuesday (27 November) struggled to provide a detailed analysis of whether stalled EU plans to offload rescued migrants in north Africa were legal - but ultimately backed the controversial concept.

      “It was at least a brave attempt to piece together, sort of like bits of circumstantial evidence from a kind of a crime scene, to see what the hell this is,” British centre-left MEP Claude Moraes said of their efforts.

      Speaking at the parliament’s civil liberties committee, a lawyer from the legal service was only able to provide an oral summary of their report, citing confidentiality issues.

      But EUobserver has obtained a full copy of the 10-page confidential report, which attempted to provide a legal analysis of stalled EU plans to set up so-called ’regional disembarkation platforms’ in north Africa and controlled centres in Europe.

      The report broadly rubber stamps the legality of both concepts, but with conditions.

      It says “controlled centres and/or disembarkation platforms of a similar nature could be, in principle, lawfully established in the European Union territory.”

      It states disembarkation platforms “could lawfully be established outside of the European Union, in order to receive migrants rescued outside the territory of the Union’s member states.”

      It also says EU law does not apply to migrants rescued at high sea, even with a boat flying an EU-member state flag.

      “We can’t consider a vessel flying a flag of a member state to be an extension of a member state,” the lawyer told the MEPs.

      EU law is also not applied if the migrant is rescued in the territorial waters of an African coastal state, states the report.

      It also notes that people rescued in EU territorial waters cannot then be sent to disembarkation platforms in an non-EU state.

      Morocco and other bordering coastal states must apply the 1951 Geneva Convention and must be considered safe before allowing them to host any disembarkation platform.

      Earlier this year, the European Commission tasked the EU’s asylum support office to analyse the safety of both Morocco and Tunisia.

      But neither country has voiced any interest in hosting such platforms.

      The two countries were then presented over the summer by EU heads of state and government as a possible solution to further stem boat migrants from taking to the seas in their efforts to reach Europe.

      The concepts, initially hatched by the International Organisation for Migration (IOM) and the UN refugee agency (UNHCR), were met with disdain by north African states, who viewed them as a veiled attempt by the EU to outsource its problem back onto them.

      Furthermore, not a single EU state has expressed any interest to host a controlled centre.

      Human rights defenders have also raised alarm given the poor treatment of thousands of refugees and migrants stuck in over-crowded camps on the Greek islands.

      Attempting to replicate similar camps or centres elsewhere has only heightened those fears.

      But the EU says it is pressing ahead anyway.

      “The disembarkation arrangement, the discussion, is proceeding in the Council,” said Vincet Piket, a senior official in the EU’s foreign policy branch, the EEAS.

      https://euobserver.com/migration/143513

    • Et il y a des personnes, qui travaillent pour le HCR, ici #Vincent_Cochetel, qui croient en les plateformes de désembarquement évidemment...

      Good statement of search and rescue organisations, but I would like to see the same advocacy efforts with North African countries. A predictable regional disembarkation mechanism must be a shared responsibility on both sides of the Mediterranean.

      https://twitter.com/cochetel/status/1073190725473484801?s=19

    • African Union seeks to kill EU plan to process migrants in Africa

      Exclusive: Leaked paper shows determination to dissuade coastal states from cooperating.

      The African Union is seeking to kill off the EU’s latest blueprint for stemming migration, claiming that it would breach international law by establishing “de facto detention centres” on African soil, trampling over the rights of those being held.

      A “#common_African_position_paper” leaked to the Guardian reveals the determination of the 55-member state body, currently headed by Egypt, to dissuade any of its coastal states from cooperating with Brussels on the plan.

      The EU set plans for “regional disembarkation platforms” in motion last summer to allow migrants found in European waters to have their asylum requests processed on African soil.

      Brussels has a similar arrangement in place with Libya, where there are 800,000 migrants, 20,000 of whom are being held in government detention centres. The Libyan authorities have been accused of multiple and grave human rights abuses. A UN report recently stated that migrants in the country faced “unimaginable horrors”.

      Some northern states, including Morocco, have already rejected the EU’s proposal over the new “platforms”, but there are concerns within the African Union (AU) that other member governments could be persuaded by the offer of development funds.

      Italy’s far-right interior minister Matteo Salvini has called for the centres to be based around the Sahel region, in Niger, Chad, Mali and Sudan. An inaugural summit between the EU and the League of Arab States is being held in Sharm el-Sheikh in Egypt on Sunday and Monday, and migration is expected to be discussed.

      “When the EU wants something, it usually gets it,” said a senior AU official. “African capitals worry that this plan will see the establishment of something like modern-day slave markets, with the ‘best’ Africans being allowed into Europe and the rest tossed back – and it is not far from the truth.”

      They added: “The feelings are very, very raw about this. And it feels that this summit is about the EU trying to work on some countries to cooperate. Bilaterally, some countries will always look at the money.”

      EU officials, in turn, have been coy about the purposes of the summit, insisting that it is merely an attempt to engage on issues of joint importance.

      The leaked draft joint position of the AU notes that Brussels has yet to fully flesh out the concept of the “regional disembarkation platforms”. But it adds: “The establishment of disembarkation platforms on the African Continent for the processing of the asylum claims of Africans seeking international protection in Europe would contravene International Law, EU Law and the Legal instruments of the AU with regard to refugees and displaced persons.

      “The setup of ‘disembarkation platforms’ would be tantamount to de facto ‘detention centres’ where the fundamental rights of African migrants will be violated and the principle of solitary among AU member states greatly undermined. The collection of biometric data of citizens of AU Members by international organisations violates the sovereignty of African Countries over their citizens.”

      The AU also criticises Brussels for bypassing its structures and warns of wider repercussions. “The AU views the decision by the EU to support the concept of ‘regional disembarkation platforms’ in Africa and the ongoing bilateral consultation with AU member states, without the involvement of the AU and its relevant institutions, as undermining the significant progress achieved in the partnership frameworks and dialogues between our two unions,” the paper says.

      Confidential legal advice commissioned by the European parliament also raises concerns about the legality of establishing processing centres on African soil for those found in European waters.

      The paper, seen by the Guardian, warns that “migrants, after they have been rescued (or a fortiori after they have been brought back on to European Union territory), could not be sent to platforms outside of the European Union without being granted access to the EU asylum procedures and without being granted the possibility to wait for the complete examination of their request”.

      https://www.theguardian.com/world/2019/feb/24/african-union-seeks-to-kill-eu-plan-to-process-migrants-in-africa

  • Österreich plant mit einigen EU-Ländern Aufnahmelager außerhalb der EU

    Österreich arbeite „mit einer kleinen Gruppe von Staaten“ an dem Projekt, sagte Kurz. Die Pläne seien bisher allerdings „sehr vertraulich“, um die „Durchsetzbarkeit“ des Projekts zu erhöhen. Auf die Frage, ob ein solches Aufnahmezentrum in Albanien eingerichtet werden könnte, sagte Kurz: „Wir werden sehen.“

    In der vergangenen Woche hatte bereits der dänische Ministerpräsident Lars Lökke Rasmussen bestätigt, dass einige EU-Länder, darunter auch Österreich, Aufnahmezentren für abgelehnte Asylbewerber außerhalb der EU einrichten wollen. In österreichischen Medienberichten war zuletzt mehrfach von Albanien als möglichem Standort die Rede.

    https://www.welt.de/newsticker/news1/article177463654/Fluechtlinge-Oesterreich-plant-mit-einigen-EU-Laendern-Aufnahmelager-ausserhalb
    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #Albanie #hotspots (sorte de hotspot en dehors de l’UE) #Autriche #Danemark

    –----

    voir la métaliste sur les tentatives d’externalisation de la procédure d’asile de différents pays européens dans l’histoire :
    https://seenthis.net/messages/900122

    • C’est à la même occasion de la proposition d’un #axe contre l’immigration illégale...

      Les ministres de l’Intérieur allemand, autrichien et italien créent un « axe » contre l’immigration illégale

      « A notre avis, il faut un axe des volontaires dans la lutte contre l’immigration illégale », a annoncé le chancelier autrichien #Sebastian_Kurz, mercredi.


      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/les-ministres-de-l-interieur-allemand-autrichien-et-italien-creent-un-a
      #Allemagne #Italie

    • L’Autriche et le Danemark veulent ouvrir des camps d’expulsés aux portes de l’UE

      Selon le premier ministre danois, Copenhague est en discussion avec Vienne et « d’autres pays » de l’Union pour la mise en place d’un « nouveau régime européen de l’asile ».

      Leurs divisions et la pression des populistes font décidément naître les idées les plus renversantes parmi les dirigeants européens quant au traitement à réserver aux demandeurs d’asile et au refoulement de ceux qui ne peuvent prétendre à celui-ci.

      Mardi 5 juin, le premier ministre danois, Lars Lokke Rasmussen, a annoncé que son pays était en discussion avec l’Autriche – qui assumera bientôt la présidence tournante de l’Union – et « d’autres pays » pour la mise en place d’un « nouveau régime européen de l’asile ». Point central du dispositif : la création de « centres communs de réception et d’expulsion en Europe ». En clair, des camps de rétention, où se retrouveraient des migrants ne pouvant prétendre à une demande d’asile, ou ne pouvant être rapidement renvoyés.

      M. Rasmussen n’a pas mentionné la possible localisation de ces camps. Ils ne seraient pas, selon lui, « sur la liste des destinations préférées des migrants et des passeurs ». Il s’agirait en fait, selon plusieurs sources, de l’Albanie et du Kosovo, candidats à l’adhésion à l’UE. Le premier ministre a évoqué des contacts « avec d’autres dirigeants européens » et se disait « optimiste », quant à la mise en place d’un projet pilote « d’ici à la fin de l’année ». Les premières discussions auraient en fait eu lieu à Sofia, en marge du sommet entre les dirigeants des Vingt-Huit et cinq pays des Balkans occidentaux, le 17 mai.

      Les sociaux-démocrates et les populistes du Parti du peuple danois (Dansk Folkeparti, DF) – ces derniers soutiennent M. Rasmussen au Parlement – ont fait savoir qu’ils étaient favorables à la proposition du premier ministre. La formation populiste avait déjà proposé de transformer une île inhabitée du royaume, située en dehors du territoire de l’Union, en centre de détention pour les déboutés. La ministre libérale de l’immigration, Inger Stojberg, avait répondu qu’elle était « toujours prête à examiner de bonnes idées », même si celle-ci présentait « des défis pratiques et légaux ».

      Paris semble tomber des nues

      A Bruxelles, mercredi, le chancelier conservateur autrichien Sebastian Kurz présentait avec son gouvernement les principaux axes de sa présidence, qui démarrera le 1er juillet. Il aurait voulu que toute l’attention soit portée sur sa volonté de renforcer les frontières extérieures de l’Union et sur ses propositions pour le budget post-Brexit – ses deux priorités.

      Or, il a évidemment été interrogé sur les propos de M. Rasmussen et a dû les confirmer, tout en ajoutant prudemment qu’il ne s’agissait pas d’un projet porté par sa future présidence mais « d’une initiative émanant d’un cercle restreint auquel le Danemark appartenait ». Quels autres Etats membres seraient concernés ?

      Les Pays-Bas, semble-t-il, mais la diplomatie néerlandaise affirmait, jeudi, ne pas vouloir se prononcer sur la concrétisation du projet. La Belgique, elle, n’aurait pas été consultée même si, lundi, lors d’une réunion des ministres européens de l’intérieur et de la migration, son secrétaire d’Etat, le nationaliste flamand Theo Francken, avait évoqué la nécessité d’empêcher l’accostage des bateaux en Europe – « push back » – et proclamé « la mort » du règlement de Dublin. Celui-ci oblige les pays de première arrivée (Italie et Grèce surtout) à enregistrer un migrant avant son transfert éventuel vers un autre Etat membre.

      L’Allemagne ? Mme Merkel aurait été « approchée » mais, jeudi, lors d’un congrès du Parti populaire européen, à Munich, elle insistait surtout sur le contrôle des frontières extérieures de l’Union et suggérait la nécessité de reproduire, avec d’autres pays tiers, l’accord conclu avec la Turquie pour la gestion des migrants. La famille des conservateurs européens prône toujours la relocalisation de demandeurs d’asile dans l’Union, à partir de pays tiers. Un proche de la chancelière ne cachait pas son scepticisme l’égard des plans de Copenhague et Vienne.

      La France, alors ? Sa diplomatie semble tomber des nues. Paris œuvre à un texte pour sortir le dossier migratoire de l’ornière mais ne pourrait accepter l’idée de camps de rétention. « Inimaginable », aussi, dit une source diplomatique, de voir des pays des Balkans se ranger à de telles initiatives, même en échange d’un coup de pouce financier ou d’une accélération de l’examen de leur dossier d’adhésion.

      Bruxelles inquiète des dérives

      Du côté de la Commission européenne – dont le président, Jean-Claude Juncker, recevait mercredi M. Kurz – la réponse est embarrassée. Le collège résume les projets en question à des « initiatives nationales », en soulignant qu’il serait préférable d’avoir une approche européenne, fondée sur « les valeurs » de l’Union.

      Bruxelles s’inquiète surtout des dérives du débat et redoute la multiplication des incidents avec la future présidence autrichienne, susceptible de rallier les voix de la Hongrie, de la Pologne ou d’autres Etats membres, hostiles à l’accueil des demandeurs d’asile.

      De précédents projets visant à la création de centres « d’accueil », sur le territoire libyen notamment, avaient été prudemment écartés. L’idée d’ouvrir des camps dans des pays européens, hors UE, portée par le ministre autrichien de l’intérieur, Herbert Kickl, poids lourd du FPÖ (Parti autrichien de la Liberté) est vue comme un nouvel obstacle à toute solution consensuelle.

      M. Kickl a aussi promis d’augmenter le nombre des personnes reconduites aux frontières. En 2017, 11 974 déboutés du droit d’asile ont quitté l’Autriche et 58 % d’entre eux ont été éloignés de force. Le ministre a également confirmé la mise en place d’une nouvelle police des frontières et annoncé que son pays ne participerait plus au programme de répartition des réfugiés arrivés en Grèce et en Italie. Il souhaite d’ailleurs que désormais, plus aucune demande d’asile ne soit étudiée sur le sol européen.

      https://www.lemonde.fr/europe/article/2018/06/08/l-autriche-et-le-danemark-veulent-ouvrir-des-camps-d-expulses-aux-portes-de-
      #Kosovo

    • L’étonnante proposition de #Donald_Tusk sur les réfugiés

      Le président du Conseil européen Donald Tusk envisage la création de centres en dehors de l’UE pour distinguer rapidement les personnes éligibles à l’asile et les migrants économiques qui ne peuvent y prétendre, ressort-il d’un projet de conclusions qu’il a fait parvenir aux chefs d’Etats et de gouvernement européens dans la perspective du sommet des 28 et 29 juin.

      Cette proposition, avancée par M. Tusk pour sortir de l’impasse sur la question migratoire, est un « #potentiel_game-changer », d’après un diplomate européen.

      Ces « plateformes régionales de débarquement » permettraient d’accueillir des personnes sauvées en mer alors qu’elles essayaient de rejoindre l’UE. Elles seraient gérées en coopération avec le Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (UNHCR) et l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

      Le document ne précise toutefois pas où elles se situeraient. Une source européenne a néanmoins précisé qu’elles étaient envisagées « en dehors de l’UE » sans donner plus de détails.

      La Tunisie et l’Albanie sont régulièrement citées comme étant susceptibles d’accueillir de telles installations. Le secrétaire d’Etat belge à l’Asile et la Migration, Theo Francken (N-VA), avait d’ailleurs récemment suggéré de ramener les migrants secourus en mer vers le pays du Maghreb pour ensuite les trier. Une idée similaire avait aussi été avancée dès 2016 par le dirigeant ultranationaliste hongrois Viktor Orban.

      Outre la création de ces « plateformes », Donald Tusk propose aux dirigeants de renforcer les moyens financiers consacrés à la lutte contre la migration illégale et d’offrir un soutien plus important aux garde-côtes libyens. Il souligne aussi la nécessité d’une coopération accrue avec des pays d’origine et de transit des migrants, pour éviter de connaître à nouveau un afflux comparable à celui de 2015.

      Les « plateformes de débarquement » seraient destinées aux migrants qui, malgré toutes ces mesures, tenteraient la traversée de la Méditerranée et seraient « secourus dans le cadre d’opérations de recherche et de sauvetage ».

      Les chefs d’Etat et de gouvernement se pencheront en détail sur les propositions de M. Tusk lors du sommet des 28 et 29 juin. Ils aborderont également l’épineuse question de la réforme du règlement de Dublin, pierre angulaire du régime d’asile européen.

      Après trois ans de palabres, les 28 Etats membres de l’UE ne sont en effet pas parvenus à s’accorder sur une réforme de ce texte, dont les failles ont été révélées lors de l’afflux massif et soudain de migrants dans l’Union en 2015.

      Ce règlement, qui détermine l’Etat membre responsable d’une demande d’asile dans l’UE, fait pour l’heure peser une pression démesurée sur les pays de « première entrée », en particulier l’Italie et la Grèce. Les chances qu’un compromis se dégage sur ce point lors du sommet semblent toutefois infimes, pour ne pas dire inexistantes.

      http://www.lalibre.be/actu/international/l-etonnante-proposition-de-donald-tusk-sur-les-refugies-5b29222e5532a296888d

      autre mot barbare : #potentiel_game-changer

    • L’axe commence à se mettre en place...

      Germany and Austria start joint police work to combat illegal migration

      The Austrian and German federal police and the Bavarian state police plan for the first time this Friday to work together in their border area to assess ways they can combat increasing illegal immigration and crime. The authorities will start by taking a closer look at rail traffic.

      https://www.thelocal.de/20180601/germany-and-austria-strengthen-borders-to-combat-risky-illegal-migration

    • Migranti, Conte: «In autunno vertice sulla Libia». E intanto a Innsbruck asse con Germania e Austria

      Il premier: «Invierò una lettera da spedire a Juncker e a Tusk». Intanto, intesa a tre per arginare i flussi migratori in modo da far arrivare in Europa solo chi fugge da una guerra.

      «Il merito dell’Italia è stato riuscire a ricondurre in un quadro unitario organico vari aspetti di un fenomeno complesso e avere compreso che il fenomeno della gestione dei flussi migratori non è emergenziale». Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in conferenza stampa alla fine del vertice Nato. «Stiamo organizzando una conferenza in Italia sulla Libia in autunno per dar seguito a quella di Parigi», ha aggiunto il premier,«il processo di stabilizzazione non può riguardare solo l’Italia ma nemmeno soltanto Macron». Sulla Libia, ha spiegato invece Conte, «c’è tanto da fare, il Paese va affiancato» nel suo percorso di stabilizzazione che porti alle elezioni. Ma Conte ha avvertito che «se arriviamo troppo presto alle elezioni, si rischia di avere il caos totale. Bisogna prima creare le condizioni sociali ed economiche necessarie per reggere l’impatto di un sistema democratico».

      «Presto una lettera a Juncker e Tusk»

      Il presidente del Consiglio ha affermato poi di non aver parlato di Libia con Trump a Bruxelles: lo farà nel dettaglio nella sua prossima visita negli Usa. «Il problema», ha detto, «non è modificare il regolamento di Dublino» che è «asfittico come approccio, è assolutamente inadeguato. I principi delle Conclusioni Ue attestano che è superato». Conte ha parlato di una lettera da spedire a Juncker presidente della Commissione europea e a Tusk a capo del Consiglio europeo: «Nella mia lettera si chiederà che anche Sophia, anche questa missione internazionale sia adeguata alle conclusioni del Consiglio Ue. E così per le altre». «La mia lettera partirà molto presto, non so a che punto è Juncker ma appena rientrerò a Roma lavorerò a questo». «L’ultima notizia», ha poi detto, «è che la nave Diciotti si sta avviando in porto. Abbiamo dato indicazione di individuare le persone o i migranti che si sono resi responsabili di atti che contrastano con le nostre leggi».

      Il vertice a tre

      In mattinata, sul tema migranti era già stato protagonista Matteo Salvini, ministro dell’Interno. Un’intesa a tre, un «asse di volenterosi» guidato da Austria, Germania e Italia per arginare i flussi migratori. È ciò che è emerso dall’incontro trilaterale fra Salvini e gli omologhi tedeschi e austriaci, Horst Seehofer e Herbert Kickl a Innsbruck, che precede il vertice Ue. Si tratta di un’intesa per frenare le partenze di migranti e gli sbarchi, in modo da far giungere in Europa solo chi fugge da una guerra.

      Salvini: «Proposte italiane diventano proposte europee»

      «Le proposte italiane su migranti diventano proposte europee: contiamo che finalmente l’Europa torni a difendere i confini e il diritto e alla sicurezza dei 500 milioni di europei» ha detti Matteo Salvini. «Con i colleghi di Austria e Germania - ha spiegato al termine dell’incontro - abbiamo affrontato il grande problema degli arrivi: se si riducono questi si risolvono anche i problemi minori interni tra le nazioni e non ci sarà alcun problema alle frontiere». «Meno migranti, meno sbarchi e meno morti» ha poi aggiunto. «Chiederemo sostegno alle autorità libiche, dare a Tripoli il diritto ai rimpatri e la redistribuzione delle quote degli arrivi. Chiederemo alle missioni internazionali di non usare l’Italia come unico punto d’arrivo e il sostegno nelle operazioni di soccorso, protezione e riaccompagnamento di migliaia di clandestini nei luoghi di partenza. Credo quindi - ha detto poi Salvini - che questo nucleo di amicizia e di intervento serio concreto ed efficiente di Italia, Germania ed Austria, possa essere un nucleo che darà un impulso positivo a tutta Europa per riconoscere il diritto di asilo a quella minoranza di donne e bambini che fuggono dalle guerre ed evitare l’arrivo e la morte di decine di migliaia di persone che non scappano da nessuna guerra».

      «Proteggere le frontiere esterne all’Unione Europea»

      A fargli eco il ministro dell’Interno tedesco Seehofer:«I tre Paesi si sono messi d’accordo per controllare l’immigrazione. Vogliamo introdurre ordine nella politica migratoria ma garantire un approccio umanitario e proteggere effettivamente le frontiere esterne dell’Unione Europea». «Sarebbe importante - sottolinea poi il ministro - che l’intera Unione europea decidesse qualcosa. Noi possiamo avere delle iniziative, ma l’Unione europea deve avere un’opinione comune. Sono ottimista e qui abbiamo l’occasione di procedere in una direzione positiva». E il ministro dell’Interno austriaco Kickl sottolinea come «questo asse di volenterosi può prendere iniziative ma è l’intera Unione Europea che deve intervenire». «Le cose sono relativamente semplice - aggiunge - noi tre siamo d’accordo sul fatto che vogliamo mettere ordine» e «mandare il chiaro messaggio che in futuro non dovrebbe essere possibile calpestare il suolo europeo se non si ha il diritto alla protezione». Previsto un nuovo incontro a Vienna sempre fra i ministri dell’Interno di Italia Germania e Austria il prossimo 19 luglio.


      https://www.corriere.it/politica/18_luglio_12/migranti-asse-germania-austria-fermare-sbarchi-6ba33c18-859b-11e8-b570-8bf3

  • Gisti | « Hotspots » : le gouvernement grec maintient sa politique de confinement des migrants
    https://asile.ch/2018/04/30/gisti-hotspots-le-gouvernement-grec-maintient-sa-politique-de-confinement-des-

    Statuant sur un recours du Conseil grec pour les réfugiés, le Conseil d’Etat grec a considéré le 17 avril 2018 comme illégale et discriminatoire la pratique des autorités grecques de bloquer les migrants arrivant par la mer depuis la Turquie dans les cinq îles où, depuis le début de l’année 2016, l’Union européenne a installé […]

  • Je vais mettre ici quelques informations et documents que j’ai trouvé concernant la question de la prise d’ #empreintes_digitales de demandeurs d’asile, notamment de la part de l’#Italie et de la #Grèce, en vue de leur #enregistrement et #identification dans la base de données #Eurodac.
    C’est pour la préparation d’un chapitre de livre que je suis en train d’écrire, mais je me dis qu’il s’agit d’informations qu’il est bien garder quelque part, sachant que pas tout va in fine rentrer dans le chapitre...

    NB : Il y a déjà des informations sur ce sujet sur seenthis :
    https://seenthis.net/recherche?recherche=%23r%C3%A9fugi%C3%A9s+%23empreintes_digitales

    Les informations compilées ici n’ont pas un vrai ordre chronologique ou logique. L’ordre est dicté par l’avancée de mes recherches... chaotiques...

    cc @isskein

    • Hotspots and Relocation Schemes: the right therapy for the Common European Asylum System?

      The arrivals observed throughout 2015 have been concentrated in both Greece – accounting for more than 800,000 in 2015 alone – and Italy. These two “frontline” states, have been faced with the formidable logistical challenge of organising the first reception and identification of migrants. A full implementation of Dublin and EURODAC would have made the challenges even more difficult. Frontline states would have been responsible for fingerprinting all arriving persons, receiving their claims, and in most cases – given that Dublin assigns responsibility primarily to the state of first entry – processing them as well as organizing long-term reception or return.

      Many of these responsibilities have remained virtual. A large number of those who arrived on Greek shores in particular have moved on to other Member States via the “Balkan route” without filing a claim or even being identified there. Failed identification in the first state of entry raised security concerns and rendered the Dublin system practically inapplicable vis-à-vis the frontline states – nothing new in respect of Greece, already “excised” from the Dublin system by the European Court of Human Rights in 2011. Destination and transit states reacted with a flurry of unilateral responses ranging from the temporary reintroduction of checks at internal borders, to the erection of barbed wire fences, to the announcement of national ‘caps’ on the number of persons who would be admitted to claim asylum.

      http://eumigrationlawblog.eu/hotspots-and-relocation-schemes-the-right-therapy-for-the-common-
      #hotspots #relocalisation

    • The Reform of Dublin III regulation

      Another salient criterion is irregular entry (Art . 13 DRIII). Its effective operation would shift responsibility to States located at the Southern and Eastern borders of the Union – to an unmanageable extent in Greece in 2015 . This has not happened owing to the extreme i nefficiency of the Dublin system ( see below). Also, as acknowledged by the Commission , the fear of incurring overwhelming responsibilit ies has motivated border States not to register arriving persons – before, and more visibly during the “crisis” of 2015 – undermining the effective operation of the criterion.

      A ce paragraphe est ajoutée une note :

      See in particular April 2016 Communication (footnote 2 ), p. 4. See also European Commission (2007). Dublin II Evaluation (footnote 11 ), p. 9. The Commission has launched infringement proceedings against i.a. Italy and Greece for their alleged failure to systematically fingerprint irregular arrivals: see European Commission (2015). Managing the refugee crisis: State of play of the im plementation of the priority actions under the European Agenda on Migration, COM (2015) 510, 14 October 2015, p. 11 and Annex 6. Available from: http://www.refworld.org/docid/563201fc4.html .

      http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/571360/IPOL_STU(2016)571360_EN.pdf

    • Managing the Refugee Crisis: State of Play of the Implementation of the Priority Actions under the European Agenda on Migration (14.10.2015)

      Effectively managing the pressure of migratory flows on some parts of the shared external Schengen border accompanied by steps to prevent secondary movements and the immediate return to the country of relocation of relocated persons found in another Member State. The other essential component is action to secure swift return, voluntary or forced, of people not in need of international protection and who do not therefore qualify for relocation. The p riority actions set out by the Commission focused heavily on the operational working of the se measures .requires both responsibility and solidarity on the part of all Member States. The rapid roll - out of the ’hotspot’ approach is providing support to the most affected Member States to ensure the proper reception, identification and processing of arrivals. In parallel, the measures proposed by the Commission and adopted by the Council to relocate 160,000 people in clear need of international protection . This will allow for a significant, if partial, reduction of the pressure on the most affected Member States. It is of crucial importance that the se parallel measures will now be fully implemented, with the fingerprinting of all migrants, the prompt selection and relocation of asylum applicants and adequate reception capacities,

      http://www.refworld.org/docid/563201fc4.html

    • Et voilà le résultat avec la mise sur pied des hotspots :

      COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT AND THE COUNCIL on the State of Play of Implementation of the Priority Actions under the European Agenda on Migration (10.02.1016)

      With strong, dedicated EU support, Greece and Italy started to set up – and in some cases completed – hotspots 3 to ensure screening, identifi cation and fingerprinting of third country nationals arriving irregularly at the external EU border. Registration is a crucial first step in the control and management of the flows. The hotspots are designed to ensure integrated teams of border agents operate in dedicated facilities, 24 hours a day and seven days a week. Everyone arriving in the external borders should be registered, fingerprinted and have their documents checked against national and international security databases. Third country nationa ls arriving irregularly should then be channelled into one of three processes: the national asylum syst em, the European relocation system or the return system. The proportion of migrants whose fingerpri nts are included in th e Eurodac database has risen in Greece from 8% in September 2015 to 78 % in January 2016, and in Italy from 36% to 87% over the same period 4 . These figures are expected to improve further as the hotspots become more fully operational.

      The rules on registration, identification, fi ngerprinting and security screening of arrivals need to be applied effectively and systematically.

      Par rapport à la Grèce :

      Reception capacities should be increased, supporting both humanita rian needs and better management of inflows – with EU funding already in place to help to achie ve swiftly the 50,000 target agreed at the Western Balkans Leaders’ Meeting. Standardised procedures for all stages of the process should be applied and full deployment of Eurodac fingerprinting machines completed. There must also be no gaps in EU support: the agencies should be present on all islands.

      Et par rapport à l’Italie :

      The Commission is ready to organise an innovative mobile hotspot team (with agents from Frontex and EASO) in Eastern Sicily to support the identification, fingerprinting and provision of information to migrants who cannot be disembarked in the designated hotspot ports, to help plug gaps in the fingerprinting and registration of migrants beyond the hotspots.

      Both Greece and Italy have faced the problem of a refusal by migrants to be fingerprinted. National legislation will have to be amended as a matter of priority an d all operational steps taken to ensure that all migrants are finge rprinted – including as a last resort through a proportionate use of coercion – and all secondary movements of unidentif ied and unregistered migrants are avoided. Progress has been made, but this should be accelerated to ensure full 100% coverage of identification and registration of all entries by the March Eur opean Council.

      To help manage the refugee crisis effectively, leaders at the February European Council should commit to: • The urgent completion of the set-up of hotspots in Greece and Italy to ensure the registration of and support to migrants and refugees in line with the principle that no one should arrive in the EU without having been properly registered and fingerprinted, with dedicated EU support to secure increased reception capacity and fully functioning asylum and return procedures;

      https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/EN/1-2016-85-EN-F1-1.PDF

    • Connais-tu les travaux du projet de recherche « Processing Citizenship », et notamment les contributions de Annalisa Pelliza ?

      https://processingcitizenship.eu/team/annalisa-pelizza

      https://easst.net/article/processing-citizenship-digital-registration-of-migrants-as-co-production-of-i

      In this first stage of investigation, we are also interested in the chain of artefacts deployed at Hotspots that translate previous identities into new European-readable ones. This line of investigation is key in light of recent developments in the European migration landscape. The goal of the so called “Hotspot approach”, introduced in 2015, is to operationally support frontline Member States (i.e., Greece and Italy) in “swiftly identify[ing], register[ing] and fingerprint[ing] incoming migrants” (Commission, 2015a: 1). Hotspots are thus the first step in the procedure of sorting migrants into three alternative paths: “relocation” or “resettlement” to another Member State (for those identified as in clear need of international protection), or “return” to the country of legal residence (for those who are not deemed in need of protection). They can be conceived as “routers” that create “early entrenchments” (Star and Lampland, 2009) in sorting individuals, liminal situations in which past identities are assessed and translated into proto-decisions.

      http://www.4sonline.org/blog/post/how_government_databases_create_european_readable_identities_for_migrants

      On July 20 2015 – one month before the growing number of migrants crossing the Balkans pushed some countries to declare a state of emergency – the European database containing fingerprints of asylum seekers, called Eurodac, was rendered interoperable with national police authorities’ databases Europe-wide. From that moment, Member States’ police forces could query European data sources not only to grant citizenship rights, but also to preserve order in their national territory. An almost unnoticed technical switch in the Eurodac system marked a major shift in personal data exchange policy Europe-wide.

    • Question posée le 9 avril 2018 via la mailing-list Migreurop :

      Dans le cadre de nos séances d’informations juridique pour les migrants en transit au hub Humanitaire de Bruxelles, nous entendons régulièrement que l’Italie ne mettrais pas systématiquement les empreintes prises dans le système commun mais nous ne trouvons rien de fiable sur ce sujet. Quelqu’un du réseau peut nous éclaircir sur cette pratique, svp ?

      Voici la réponse reçue via la même mailing-list (auteure de la réponse "Tata) :

      Il n’existe pas de réponse claire à cette question cruciale. Mais j’ai quelques éléments d’infos qui peuvent un peu éclairer. En l’espace de 6 mois, entre avant et après la mise en place des hotspots, le taux officiel d’identification est passé de 8 à 100%. Donc officiellement la réponse est non. Cette rumeur est donc devenue beaucoup moins vraie après la mise en place des hotspots.

      Ceci dit :

      – il y a des gens qui arrivent en petit bateau, ailleurs, ne se font pas intercepter et ne donnent pas leurs empreintes
      – il y a des gens qui réussissent d’une maniere ou d’une autre à ne pas les donner, ou elles ne sont pas lisibles
      – il y a des erreurs de la part de la police et des empreintes pas très nettes
      – Les personnes sont enregistrées en cat. 2 et s’ils acceptent de rester en italie, une deuxieme fois en cat. 1. S’ils ne sont qu’en catégorie 2 (une seule prise d’empreintes), alors il arrive que les prefectures du moins en france n’en tiennent pas compte. Il arrive aussi qu’il y ait eu un laps de temps de plus d’un an entre ce pré-enregistrement et la demande d’asile dans un autre pays. Dans ce cas là, un article du reg dublin dit que si preuve de présence de 5 mois, alors plus de procédure dublin. Mais il n’est pas très clair s’il arrive que les personnes passent en cat normale de demandeur d’asile grâce à ça. Bcp d’amis dont c’est le cas se sont retrouvés sans soucis en ce qui concerne dublin.

      Conclusion (toujours la même) : c’est une question de chance ! (mais celle-ci s’est drastiquement réduite avec les hotspots).

    • Implementing the Common European Asylum System: Commission escalates 8 infringement proceedings

      The Commission is today urging Greece, Croatia and Italy to correctly implement the Eurodac Regulation (Regulation (EU) No 603/2013), which provides for effective fingerprinting of asylum seekers and transmission of data to the Eurodac central system within 72 hours. Effective implementation of the Eurodac Regulation is essential for the functioning of the Dublin system and EU relocation schemes. The European Commission sent administrative letters to Greece, Croatia and Italy in October. Two months later, concerns have not been effectively addressed. The European Commission has therefore decided today to send Letters of Formal Notice to Greece, Croatia and Italy (the first step of an infringement procedure).

      http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6276_EN.htm

  • Anti-Torture Committee calls for a co-ordinated European approach to address mass migratory arrivals in Italy

    The European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (#CPT) published today a report on an ad hoc visit conducted in Italy to examine the situation of foreign nationals deprived of their liberty in the so-called “hotspots” and immigration detention centres, in a context of large-scale arrivals from North Africa. The CPT recognises the significant challenges faced by the Italian authorities regarding the influx of new arrivals by sea. It also acknowledges the substantial efforts in carrying out rescue operations and in providing shelter and support to the hundreds of thousands of refugees, asylum seekers and migrants currently present in the country. In this framework, the CPT recalls the need for a co-ordinated European approach and support system to address the phenomenon of mass migratory arrivals.

    CPT’s delegation visited the “hotspots” in #Lampedusa, #Pozzallo and in #Trapani (#Milo), as well as a mobile “hotspot” unit at #Augusta ’s port. Further, it was able to observe a disembarkation procedure at Trapani’s harbour. The Council of Europe experts also visited the closed removal centres (Centri di Permanenza per i Rimpatri, CPRs) in #Caltanissetta, #Ponte_Galeria (#Rome) and #Turin, as well as holding facilities at #Rome Fiumicino’s Airport.

    https://www.coe.int/en/web/portal/-/anti-torture-committee-calls-for-a-co-ordinated-european-approach-to-address-ma
    #hotspots #Italie #asile #migrations #réfugiés #rapport #mobile_hotspots #hotsports_mobiles #port #débarquement #CPR (ex #CIE) #détention_administrative #rétention #aéroport #santé

    Lien vers le rapport:


    https://rm.coe.int/16807b6d56

  • La frontière est mobile : la preuve par Dublin et l’Irlande

    La frontière est une donnée mouvante : pour le migrant « #dubliné », qui sera renvoyé dans le premier pays atteint en Europe, ou pour l’Irlande elle-même qui pourrait, Brexit oblige, voir se poser de nouveau la question de sa limite avec le Royaume-Uni.

    La frontière est simultanément différenciée et sélective. Elle peut être #barrière au franchissement et à l’accueil de certains, perçus comme indésirables, et ouverte au franchissement pour d’autres, exemptés de contrôles et toujours bienvenus ; elle peut être ouverte aux flux de marchandises et de capitaux, en les attirant même par des différentiels savamment promus, et fermée à ceux de la migration et du refuge.

    On nous la présente volontiers comme nécessaire, pas seulement comme moyen d’un projet collectif et de l’établissement d’une juridiction, mais comme une condition de l’être au monde pour une collectivité. La métaphore de la #peau ou de la #membrane est ainsi couramment utilisée et admise, y compris dans une rhétorique qui se veut positive, humaniste et réaliste. La peau ou la membrane est la condition de l’être au monde du #corps vivant, lui permettant de se délimiter par une enveloppe, mais aussi de percevoir, d’interagir et d’échanger, tout en restant cohérente en tant qu’organisme. Très bien, mais qu’est-ce que cette métaphore basée sur l’unité et l’indivisibilité intrinsèque du corps ou de la cellule a à voir avec un groupe humain ? Rien ! Le groupe humain, la communauté, la collectivité est par définition construite. Si elle définit une #identité, elle n’en épuise jamais les possibilités d’#appartenance des êtres qui la constituent et qui peuvent être simultanément membres d’autres groupes. En ce sens, elle peut cohabiter avec d’autres identités qui la transcendent, elle peut aussi évoluer vers d’autres regroupements construits ou choisis, plus grands, plus petits, autres. Elle peut aussi, et doit même si elle veut rester dynamique et dans le monde, toujours s’ouvrir, échanger et accueillir. Si la frontière est donc évolutive par nature, elle n’est pas vivante, car elle ne peut être essentialisée ni érigée en principe unique d’#appartenance, pas plus que la collectivité ou la communauté, dont elle n’est qu’une modalité pratique d’existence à un moment donné, dans un contexte donné. La frontière est ainsi variable et évolutive, elle est une modalité politique matérielle d’un projet, d’une intention et d’un #récit_collectif. Mais voilà qu’encore un autre aspect de sa nature contemporaine apparaît au grand jour avec deux événements qui nous viennent tous deux d’#Irlande. C’est-à-dire des confins nationaux qui ont réussi leur arrimage dans un projet européen qui les englobe, projet qui a aujourd’hui ses propres frontières, celles-ci passant justement par l’Irlande.

    Le règlement européen dit de Dublin (en fait, une suite d’accords et de conventions du même nom qui font système) introduit une innovation majeure dans le traitement de la migration extra-européenne et des demandes d’asile. Le premier pays officiellement atteint est celui dont relève le ou la réfugié(e) pour l’examen de sa demande d’accueil ou de permis de séjour. Autrement dit, le franchissement d’autres #frontières_internes à l’Europe ne garantit nullement la possibilité de voir sa demande considérée là où on se trouve dans un territoire que l’on a gagné. Pour les migrants qui ne disposent pas de visa même temporaire leur permettant d’arriver par un aéroport, la frontière se trouve avec les technologies biométriques sur le bout de leurs doigts ou inscrite dans leur iris, traces qui les ramèneront là où ils ont été enregistrés, quelles que soient les frontières franchies ultérieurement. Fini le mythique franchissement, même illégal d’une frontière qui fait que l’on relève d’une autre juridiction. Fini le pied de nez aux forces de l’ordre poursuivantes que l’on sème définitivement en atteignant l’autre côté. Fini le sentiment de nouvelles possibilités, même provisoire, que son franchissement procure, fini l’accès même temporaire à une juridiction, un système, une société rêvée et désirée. Elle n’est plus de l’autre côté de sa propre frontière, elle est inaccessible, car la frontière est ailleurs. La frontière est là où vous étiez lorsque vous en avez franchi une autre. Elle est aussi inscrite dans votre corps en connexion avec une base de données. Elle est mobile et ubiquiste.

    Elle l’est d’autant plus que le système de Dublin s’inscrit dans un dispositif plus large encore. Un dispositif qui repousse les frontières de l’Union au-delà et en deçà de son territoire. Au #Niger aujourd’hui même, le ministre de l’Intérieur français se félicite de voir désormais des routes migratoires vers l’Europe coupées. C’est que la sous-traitance officielle du #filtrage ou de la #rétention migratoire aux voisins que sont le #Maroc, la #Libye ou la #Turquie se doit d’être toujours plus repoussée vers l’amont des #routes_migratoires, vers l’extérieur de l’Union. La frontière mobile de l’Europe est dans le #Sahara aussi. Mais la frontière apparaît au même moment là ou on ne l’attendait pas dans la #mer_Egée, entre les « #hotspots » de la zone grise des #îles grecques qui ourlent la côte turque, îles devenues zone frontalière avec une nouvelle frontière qui les séparent du reste de l’Europe. On est loin de Dublin, certes, à l’autre bout de l’Union exactement, mais c’est bien le système du même nom qui s’y déploie.

    Mais voilà aussi l’Irlande rattrapée, cette fois indirectement (avec les frasques du Royaume-Uni avec lequel l’île est partagée) mais concrètement par la mobilité de la frontière. Un #Brexit improbable destiné à rassurer en renforçant et reconstruisant des frontières, des vraies, des fixes déboucherait-il lui aussi sur la frontière mobile ? A priori, c’est simple, on sort de l’Europe et on récupère ses frontières, intégralement, les siennes chez soi ! Oui, mais lesquelles ? Celles que l’on a projetées à Calais ? Non, sûrement pas ! Celles que l’on a projetées à Gibraltar ? Ah non ! surtout pas. Mais celles qui incluent notre Irlande du Nord, ça oui. Pas si vite ! les accords inter-irlandais, ceux si précieux pour la paix dans notre province, prévoient autre chose, ils prévoient la frontière ouverte. Alors la frontière en deçà de notre #Irlande_du_Nord, nous séparant d’elle ? Ah ! sûrement pas. Soit, mais il ne reste alors que la frontière… mobile, celle qu’on ne voulait plus !

    La frontière est mobile, qu’on se le dise ! Qu’on le dise surtout aux populistes qui la vendent comme fantasme d’une réalité intemporelle et comme rempart à toutes les peurs ! Les réfugiés eux le savent déjà, à leurs dépens.

    http://www.liberation.fr/debats/2018/04/08/la-frontiere-est-mobile-la-preuve-par-dublin-et-l-irlande_1641946
    #frontières #frontière_mobile #asile #migrations #réfugiés #Dublin #Règlement_Dublin #frontière_ouverte #frontière_fermée #biométrie

  • Country Report : Italy

    The updated AIDA Country Report on Italy documents developments in the asylum procedure, reception conditions, detention of asylum seekers and content of international protection throughout 2017.
    The year 2017 has been chatacterised by media, political and judicial crackdown on non-governmental organisations (NGOs) saving lives at sea, and by the implementation of cooperation agreements with African countries such as Libya, while barriers to access to the territory have also been witnessed at the northern borders of the country, against the backdrop of increasing arrivals from Austria.
    Severe obstacles continue to be reported with regard to access to the asylum procedure in Italy. Several Police Headquarters (Questure) in cities such as Naples, Rome, Bari and Foggia have set specific days for seeking asylum and limited the number of people allowed to seek asylum on a given day, while others have imposed barriers on specific nationalities. In Rome and Bari, nationals of certain countries without a valid passport were prevented from applying for asylum. In other cases, Questure in areas such as Milan, Rome, Naples, Pordenone or Ventimiglia have denied access to asylum to persons without a registered domicile, contrary to the law. Obstacles have also been reported with regard to the lodging of applications, with several Questure such as Milan or Potenza unlawfully refusing to complete the lodging of applications for applicants which they deem not to be in need of protection.
    Since December 2017, Italy has established a specific Dublin procedure in Questure in the Friuli-Venezia Giulia region bordering Austria and Slovenia, with support from EASO. According to that procedure, as soon as a Eurodac ‘hit’ is recorded, Questure move the lodging appointment to a later date and notify a Dublin transfer decision to the persons concerned prior to that date. Applicants are therefore subject to a Dublin transfer before having lodged their application, received information on the procedure or had an interview.
    Despite a continuing increase in the capacity of the SPRAR system, which currently counts over 35,000 funded places, the vast majority of asylum seekers are accommodated in temporary reception centres (CAS). CAS hosted around 80% of the population at the end of 2017. In Milan, for example, the ratio of SPRAR to CAS is 1:10.
    Destitution remains a risk of asylum seekers and beneficiaries of international protection. At least 10,000 persons are excluded from the reception system. Informal settlements with limited or no access to essential services are spread across the entire national territory.
    Throughout 2017, both due to the problems related to age assessment and to the unavailability of places in dedicated shelters, there have been cases of unaccompanied children accommodated in adults’ reception centres, or not accommodated at all. Several appeals have been lodged to the European Court of Human Rights against inappropriate accommodation conditions for unaccompanied children.
    Five pre-removal centres (CPR) are currently operational, while a new hotspot has been opened in Messina. However, substandard conditions continue to be reported by different authorities visiting detention facilities, namely the hotspots of Lampedusa and Taranto and the CPR of Caltanissetta and Ponte Galeria.
    The hotspots of Lampedusa and Taranto have been temporarily been closed as of March 2018.

    http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/report-download/aida_it_2017update.pdf
    #Italie #asile #migrations #réfugiés #procédure_d'asile #hotspots #Dublin #frontières #procédure_accélérée #vulnérabilité #pays_sûr #relocalisation #hébergement #logement #éducation #travail #santé #rétention #détention_administrative #naturalisation #liberté_de_mouvement #rapport #refoulement #push-back

    Intéressant, lien avec la #frontière_sud-alpine (#Côme #Milan #Vintimille) :

    Particularly as regards Taranto , as reported by the Senate , among the 14,576 people transiting through the hotspot from March to October 2016 , only 5,048 came from disembarkations while the majority (9,528 ) were traced on Italian territory, mainly at border places in Ventimiglia , Como and Milan , and forcibly taken to Taranto to be identified. Some o f them were asylum seekers accommodated in reception centre in the place they were apprehended and who, after being again identified, were just released out of the hotspot without any ticket or money to go back to their reception centres.

    v. aussi la carte de #Gwendoline_Bauquis, produite dans le cadre de son mémoire de master : « Géopolitique d’une crise de la frontière – Entre #Côme et #Chiasso, le système européen d’asile mis à l’épreuve » (2017)


    #cartographie #visualisation

  • Un communiqué du Département de justice et police suisse qui date de 2016, mais que je mets ici pour archivage :
    #Simonetta_Sommaruga en Italie pour une visite de travail

    Berne, 25.11.2016 - La conseillère fédérale Simonetta Sommaruga a rencontré aujourd’hui à Rome le ministre italien de l’Intérieur Angelino #Alfano pour une discussion de travail consacrée à la politique migratoire. Madame Sommaruga a salué les efforts déployés par l’Italie, en collaboration avec les autres États Dublin, et proposé de renforcer le soutien apporté par la Suisse. La cheffe du Département fédéral de justice et police (DFJP) s’est rendue dans l’après-midi à Tarante, où se trouve l’un des quatre centres d’accueil et d’enregistrement de migrants (hotspot) sur territoire italien, pour s’y faire une idée précise du fonctionnement d’une telle infrastructure.

    Ce qui m’intéresse surtout, c’est cette phrase :

    La discussion entre les deux ministres a porté sur différents aspects de la politique migratoire. La conseillère fédérale a salué l’engagement de l’Italie, notamment en ce qui concerne l’enregistrement des réfugiés.

    https://www.admin.ch/gov/fr/accueil/documentation/communiques.msg-id-64685.html
    #Dublin #asile #migrations #réfugiés #Sommaruga #empreintes_digitales #enregistrement #Italie #hotspots

  • ITALIE ISOLÉE DANS LA TEMPÊTE MIGRATOIRE
    Article de JÉRÔME GAUTHERET

    Sur les 600 000 migrants arrivés en Italie depuis 2014, la plupart ont traversé la #Méditerranée. Des milliers d’autres y ont péri. L’île de #Lampedusa, avant-poste de l’accueil, est débordée par cette crise humanitaire fortement liée au chaos qui règne en #Libye.

    On rejoint le jardin public en poussant les portes d’une grille qui ne ferme plus depuis longtemps. Puis, après une courte promenade au milieu des agaves et des myrtes, on arrive à un étrange réseau de grottes sommairement aménagées à proximité d’un vieux puits. L’endroit est à peine mentionné par les guides de voyage, mais il mérite qu’on s’y arrête : en effet, le vrai cœur de Lampedusa est là, en ces vestiges
    à peine entretenus d’un sanctuaire millénaire, témoignage unique de ce qu’était l’île avant sa colonisation systématique, au début du XIXe siècle.

    LAMPEDUSA, UNE ÎLE AU CENTRE DU MONDE

    Avant de devenir un paradis touristique perdu au milieu de la Méditerranée, à 150 kilomètres des côtes tunisiennes, en même temps que, pour le monde entier, le symbole de l’odyssée des centaines de milliers de migrants qui, chaque année, bravent tous les dangers pour atteindre l’Europe, Lampedusa a été un havre, un lieu de repos pour les marins de toutes origines qui sillonnaient la mer.

    Marchands phéniciens, arabes ou grecs, chevaliers francs revenant de croisade, pirates barbaresques, pêcheurs en détresse : Lampedusa était leur île. Elle appartenait à tous et à personne. Chacun, du roi de France revenant de Terre sainte au plus humble pêcheur, venait s’abriter ici durant les tempêtes, prier ses dieux et reprendre des forces, en attendant l’accalmie. Aujourd’hui, une chapelle dédiée à
    la Vierge a été aménagée dans la pierre, à deux pas de la grotte, et les habitants viennent, de loin en loin, y déposer quelques fleurs ou prier, dans un calme absolu.

    La " porte de l’Europe ", pour reprendre le nom d’une œuvre d’art installée sur une plage faisant face à l’infini, à la pointe sud de Lampedusa, peut bien être présentée comme une des extrémités de l’Union européenne, un bout du monde exotique. Mais, dès que l’on pose le pied sur l’île, on est assailli par le sentiment inverse : celui d’être au centre d’un espace fluide, au sein duquel les populations ont navigué de rive en rive, depuis toujours. L’impression est encore plus
    saisissante lorsqu’on observe, grossièrement sculptées dans la roche, les traces de ce passé enfoui.

    L’homme qui nous conduit dans ce sanctuaire, un matin d’hiver, s’appelle Pietro Bartolo. Il est né sur l’île en 1956, il en est parti à 13 ans et y est revenu au milieu des années 1980, une fois achevées ses études de médecine. C’est lui qui a fondé, un peu à l’écart du bourg, le petit hôpital qui, aujourd’hui encore, constitue le seul lieu d’assistance, sur terre comme sur mer, à plus de 100 milles nautiques (185 km) à la ronde.

    En tant que directeur de l’#hôpital de Lampedusa, il a accueilli, ces dernières années, des dizaines de milliers de candidats à l’exil sur le quai minuscule qui tient lieu de débarcadère, et les a soignés. Il a aussi eu la terrible responsabilité d’ouvrir, du même geste, des centaines et des centaines de ces grands sacs verts dans lesquels on
    ramène à terre les corps des naufragés. Un film documentaire sorti en 2016, nominé pour l’Oscar, Fuocoammare. Par-delà Lampedusa, dans lequel il jouait son propre rôle, lui a valu une notoriété internationale. A sa manière, lui aussi est devenu un symbole.

    Comme c’est courant ici, l’histoire familiale de Pietro Bartolo est africaine autant qu’italienne. A l’exemple de ces milliers de Siciliens poussés par la misère qui, pendant des décennies, ont pris la mer en sens inverse des migrants d’aujourd’hui pour chercher du travail dans les colonies et protectorats d’Afrique du Nord, la famille de sa mère s’était installée un temps en Tunisie. Cette multitude d’odyssées ordinaires, dont le souvenir est entretenu par les histoires familiales, explique une bonne part des différences de perception du phénomène migratoire entre le nord et le sud de l’Italie.

    LE TEMPS DES " TURCS "

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, #Pietro_Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    Le gouvernement, lui, ne considère pas encore le phénomène comme préoccupant. D’autant plus que, depuis le début des années 1990, l’#Italie a la tête ailleurs. L’arrivée dans les Pouilles, au printemps et en été 1991, de plusieurs dizaines de milliers d’Albanais fuyant la ruine de leur pays a provoqué un choc terrible. Le 8 août, le #Vlora, un cargo venu du port albanais de Durres, est entré dans celui de Bari avec à son bord 20 000 migrants, bientôt installés dans l’enceinte du stade de la ville. La désorganisation est totale : le maire multiplie les appels aux dons et à la solidarité, tandis qu’à Rome le gouvernement cherche un moyen de renvoyer chez eux ces arrivants illégaux… Rien ne sera plus jamais comme avant.

    A l’aune de ce bouleversement venu des Balkans, qui force l’Italie, pour la première fois de son histoire, à se poser la question de l’accueil et de l’intégration, les arrivées sporadiques à Lampedusa ne sont pas perçues au départ comme beaucoup plus qu’une anecdote. Selon les souvenirs des habitants, les migrants venaient surtout des côtes tunisiennes, ils étaient jeunes et en relative bonne santé. La plupart du temps, la traversée était assurée par des passeurs, payés une fois le but atteint. Bref, la route de la #Méditerranée_centrale vivait à l’heure d’une migration "artisanale".

    Mais au fil du temps, dans les années 2000, le phénomène change de nature et d’échelle. "Il ne s’agit pas seulement de géopolitique. Il s’est produit un changement anthropologique dans la jeunesse africaine il y a une quinzaine d’années", assure le vice-ministre italien des
    affaires étrangères et de la coopération, Mario Giro, qui, avant d’entrer en politique, a consacré de nombreuses années à des missions en Afrique comme responsable des questions internationales de la Communauté de Sant’Egidio. "Avant, il s’agissait de projets collectifs : une famille se cotisait pour envoyer un de ses fils en Europe, dit-il. Désormais, ce sont des #hommes_seuls qui décident de
    partir, parce qu’ils considèrent que partir est un droit. Dans les villes africaines, la famille a subi les mêmes coups de la modernité que partout dans le monde. Ces jeunes gens se sont habitués à penser seuls, en termes individuels. Dans leur choix, il y a une part de vérité – les blocages politiques – et la perception que l’avenir n’est pas dans leur pays. Alors, ils partent."
    #facteurs_push #push-factors

    Des gouvernements européens essaient de passer des accords avec les Etats africains pour qu’ils arrêtent en Afrique les candidats à l’Europe, ce qui a pour effet de criminaliser l’activité des #passeurs. Des réseaux de plus en plus violents et organisés se mettent en place.

    VIE ET MORT DE MOUAMMAR KADHAFI

    Un acteur central du jeu régional comprend très tôt le parti à tirer de ce phénomène, face auquel les pays européens semblent largement démunis. C’est le chef de l’Etat libyen, Mouammar #Kadhafi, qui cherche depuis le début des années 2000 à retrouver une forme de respectabilité internationale, rompant avec la politique de soutien au terrorisme qui avait été la sienne dans les années 1980 et 1990.
    Grâce aux immenses recettes de la rente pétrolière, dont il dispose dans la plus totale opacité, le Guide libyen multiplie les prises de participation en Italie (Fiat, Finmeccanica) et les investissements immobiliers. Il entre même au capital du club de football le plus prestigieux du pays, la Juventus de Turin. En contrepartie, le groupe énergétique ENI, privatisé à la fin des années 1990 mais dans lequel l’Etat italien garde une participation importante, conserve le statut d’Etat dans l’Etat dont il jouit en Libye depuis la période coloniale (1911-1942).

    Bientôt, la maîtrise des flux migratoires devient un aspect supplémentaire dans la très complexe relation entre la Libye et l’Italie. " De temps en temps, tous les deux ou trois ans, Kadhafi réclamait de l’argent pour la période coloniale. Et quand ça n’allait pas assez bien pour lui, il faisait partir des bateaux pour se rappeler à nous. C’était devenu pour lui un moyen de pression de plus, et ça signifie également qu’en Libye, des réseaux étaient déjà en place", se souvient Mario Giro.
    #chantage

    Entamées à l’époque du deuxième gouvernement Prodi (2006-2008), et émaillées de moments hauts en couleur – comme cette visite privée à Tripoli du ministre des affaires étrangères italien Massimo D’Alema, un week-end de Pâques 2007, au terme de laquelle Kadhafi a affirmé que l’Italie lui avait promis de construire une autoroute traversant le pays d’est en ouest –, les négociations sont poursuivies par le gouvernement de Silvio Berlusconi, revenu aux affaires au printemps 2008. Elles débouchent sur la signature d’un accord, le 30 août de la même année. En échange de 5 milliards d’euros d’investissements sur vingt-cinq ans et d’#excuses_officielles de l’Italie pour la #colonisation, le dirigeant libyen s’engage à cesser ses reproches, mais surtout à empêcher les départs de migrants depuis ses côtes. Plus encore, les migrants secourus dans les eaux internationales seront ramenés en Libye, même contre leur gré et au mépris du droit de la mer.
    #accord_d'amitié

    L’Eglise et plusieurs ONG humanitaires peuvent bien chercher à alerter l’opinion sur les conditions dans lesquelles sont ramenés à terre les candidats à la traversée, ainsi que sur les innombrables violations des droits de l’homme en Libye, elles restent largement inaudibles. Le colonel Kadhafi peut même se permettre de pittoresques provocations, comme ses visites officielles à Rome en 2009 et 2010, où il appelle publiquement à l’islamisation de l’Europe. Le gouvernement Berlusconi, embarrassé, n’a d’autre solution que de regarder ailleurs.

    L’irruption des "#printemps_arabe s", début 2011, va faire voler en éclats ce fragile équilibre. Le soulèvement libyen, en février 2011, un mois après la chute du président tunisien Ben Ali, est accueilli avec sympathie par les chancelleries occidentales. Mais en Italie, on l’observe avec préoccupation. "Bien sûr, l’Etat libyen de Kadhafi n’était pas parfait, concède #Mario_Giro. Mais il y avait un Etat… Dans les premiers mois de 2011 – je travaillais encore pour Sant’Egidio –, alors que la France semblait déjà décidée à intervenir en Libye, le ministre des affaires étrangères du Niger m’a demandé d’organiser une entrevue avec son homologue italien, Frattini. Nous étions trois, dans un bureau du ministère, et il nous a expliqué point par point ce qu’il se passerait en cas de chute de Kadhafi. Le chaos en Méditerranée, les armes dans tout le Sahel… Tout s’est passé exactement comme il l’a dit. Mais personne n’a voulu l’écouter". Il faut dire qu’en ce début d’année 2011, le prestige international de l’Italie est au plus bas. Très affaiblie économiquement et victime du discrédit personnel d’un Silvio Berlusconi empêtré dans les scandales, l’Italie est tout simplement inaudible.

    En mai 2011, les membres du G8, réunis à Deauville, appellent Mouammar Kadhafi à quitter le pouvoir. "Lors de ce sommet, Silvio Berlusconi a plusieurs fois tenté de prendre la défense du Guide libyen, mettant en avant son aide sur le dossier des migrants et le fait qu’il s’était amendé et avait tourné le dos au terrorisme", se souvient un diplomate français, témoin des discussions. "Mais
    personne n’en a tenu compte." Le chef libyen, chassé de Tripoli en août, mourra le 20 octobre, à Syrte. Quatre semaines plus tard, le gouvernement Berlusconi 4 cessait d’exister.

    Sur le moment, entre l’euphorie de la chute de la dictature et le changement d’ère politique en Italie, ces tensions entre puissances semblent négligeables. Il n’en est rien. Au contraire, elles ne cesseront de resurgir dans le débat, nourrissant en Italie un procès durable contre la #France, accusée d’avoir déstabilisé la situation en Méditerranée pour mieux laisser l’Italie en subir, seule, les conséquences.

    CHAOS EN MÉDITERRANÉE

    Car dans le même temps, les "printemps arabes" provoquent un bouleversement de la situation en Méditerranée. Une fois de plus, c’est à Lampedusa que les premiers signes de la tempête apparaissent. Sur cette île minuscule, en hiver, on compte à peine 5 000 habitants d’ordinaire. Là, ce sont plus de 7 000 personnes venues de #Tunisie qui y débarquent en quelques jours, entre février et mars 2011. La population les accueille avec les moyens du bord, dans des conditions très précaires. Des "permis temporaires de séjours" de trois mois
    sont délivrés aux arrivants par les autorités italiennes. Ainsi, les candidats à l’exil pourront-ils circuler aisément dans tout l’espace Schengen. Plus de 60 000 migrants débarqueront en 2011 ; la grande majorité d’entre eux ne resteront pas en Italie.
    #migrants_tunisiens

    Passé les mois de désorganisation ayant suivi la chute du président tunisien #Ben_Ali, Rome et Tunis concluent en 2012 un #accord_de_réadmission, formalisant le retour au pays des migrants d’origine tunisienne expulsés d’Italie. Assez vite, se met en place une coopération qui, de l’avis de nos interlocuteurs dans les deux pays, fonctionne plutôt harmonieusement.

    En revanche, en Libye, du fait de la déliquescence du pouvoir central, Rome n’a pas d’interlocuteur. Dans un pays livré aux milices et à l’anarchie, des réseaux de trafiquants d’êtres humains s’organisent à ciel ouvert. Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. "J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis."

    En une dizaine de jours, l’opération "#Mare_Nostrum" est mise sur pied. Concrètement, il s’agit d’une opération navale, à la fois militaire et humanitaire, visant à lutter contre les réseaux de passeurs, tout en évitant la survenue de nouveaux drames. Ses effets sont immédiats : en moins d’un an, plus de 100 000 migrants sont secourus et le nombre de morts diminue spectaculairement. Pourtant, le gouvernement Renzi, qui succède à Letta un an plus tard, décide d’y mettre un terme, à l’automne 2014. "Ça ne coûtait pas très cher, environ 8 millions d’euros par mois, et nous avons sauvé des centaines de vie avec ce dispositif, tout en arrêtant de nombreux trafiquants, avance Enrico Letta pour défendre son initiative. Mais très vite, Mare Nostrum a été accusée de provoquer un #appel_d'air… "

    De fait, en quelques mois, le nombre de départs des côtes africaines a explosé. Surtout, une évolution capitale se produit : peu à peu, les passeurs changent de stratégie. Pour ne pas voir leurs bateaux saisis, plutôt que de chercher à gagner un port italien, ils se contentent, une fois arrivés à proximité des eaux italiennes, de débarquer les migrants à bord de petites embarcations, les laissant ensuite dériver
    jusqu’à l’arrivée des secours. La marine italienne, trouvant les migrants en situation de détresse, n’a alors d’autre choix que d’appliquer les règles immuables du #droit_de_la_mer et de les conduire en lieu sûr.

    La suppression de Mare Nostrum par le gouvernement Renzi vise à sortir de cet engrenage. En novembre 2014, est annoncée l’entrée en vigueur de l’opération "#Triton", coordonnée par l’agence européenne #Frontex. Un dispositif de moindre envergure, financé par l’Union européenne, et dans lequel la dimension humanitaire passe au second plan. Las, le nombre de départs des côtes libyennes ne diminue pas. Au contraire, en 2015, plus de 150’000 personnes sont secourues en mer. En 2016, elles seront 181’000. Et pour suppléer à la fin de Mare Nostrum, de nouveaux acteurs apparaissent en 2015 au large des côtes libyennes : des navires affrétés par des #ONG humanitaires, aussitôt
    accusés, eux aussi, de former par leur présence une sorte d’appel d’air facilitant le travail des trafiquants d’êtres humains.

    L’ITALIE PRISE AU PIÈGE

    Pour Rome, les chiffres des secours en mer sont bien sûr préoccupants. Mais ils ne disent pas tout du problème. L’essentiel est ailleurs : depuis la fin de 2013, les pays limitrophes de l’Italie (#France et #Autriche) ont rétabli les contrôles à leurs frontières. Là où, jusqu’alors, l’écrasante majorité des migrants empruntant la route de la Méditerranée centrale ne faisaient que traverser le pays en direction du nord de l’Europe, ils se trouvent désormais bloqués sur le sol italien, provoquant en quelques années l’engorgement de toutes les structures d’accueil. Et les appels répétés à la solidarité européenne se heurtent à l’indifférence des partenaires de l’Italie, qui eux-mêmes doivent composer avec leurs opinions publiques, devenues très hostiles aux migrants.
    #frontière_sud-alpine

    Considéré jusque-là comme un impératif moral par une large part de la population, l’accueil des demandeurs d’asile est l’objet de critiques croissantes. En 2015, en marge du scandale "#Mafia_capitale ", qui secoue l’administration de la commune de Rome, l’Italie découvre que plusieurs coopératives chargées de nourrir et d’héberger les migrants se sont indûment enrichies. S’installe dans les esprits une l’idée dévastatrice : l’#accueil des réfugiés est un "#business " juteux plus qu’une œuvre humanitaire.
    #mafia

    Deux ans plus tard, une série de procédures à l’initiative de magistrats de Sicile en vient à semer le doute sur les activités des ONG opérant en Méditerranée. Le premier à lancer ces accusations est le procureur de Catane, Carmelo #Zuccaro, qui dénonce en avril 2017 – tout en admettant qu’il n’a "pas les preuves" de ce qu’il avance – les ONG de collusion avec les trafiquants. Après trois mois de rumeurs et de fuites organisées dans la presse, début août 2017, le navire de l’ONG allemande #Jugend_Rettet, #Iuventa, est placé sous séquestre, tandis qu’il a été enjoint aux diverses organisations de signer un "code de bonne conduite", sous le patronage du ministre de l’intérieur, Marco #Minniti, visant à encadrer leurs activités en mer. La plupart des ONG, dont Médecins sans frontières, quitteront la zone à l’été 2017.
    #code_de_conduite

    Tandis que le monde entier a les yeux tournés vers la Méditerranée, c’est en réalité en Libye que se produit, mi-juillet, une rupture majeure. En quelques jours, les départs connaissent une chute spectaculaire. Moins de 4000 personnes sont secourues en mer en août, contre 21’000 un an plus tôt, à la même période. La cause de ce coup d’arrêt ? Le soutien et l’équipement, par Rome, des unités libyennes
    de #gardes-côtes, qui traquent les migrants jusque dans les eaux internationales, au mépris du droit de la mer, pour les reconduire dans des camps de détention libyens. Le gouvernement italien conclut une série d’accords très controversés avec différents acteurs locaux en
    Libye.
    #accord #gardes-côtes_libyens
    v. aussi : http://seen.li/cvmy

    Interrogé sur les zones d’ombre entourant ces négociations, et les témoignages venus de Libye même affirmant que l’Italie a traité avec les trafiquants, Marco Minniti nie la moindre entente directe avec les réseaux criminels, tout en mettant en avant l’intérêt supérieur du pays, qui n’arrivait plus, selon lui, à faire face seul aux arrivées. "A un moment, confiait-il fin août 2017 à des journalistes italiens, j’ai eu peur pour la santé de notre démocratie."

    De fait, l’accueil de 600’000 migrants depuis 2014 et l’attitude des partenaires européens de l’Italie, qui ont poussé à l’ouverture de "#hotspots" (centres d’enregistrement des migrants) en Sicile et dans le sud de la Péninsule, sans tenir leurs engagements en matière de #relocalisation (à peine 30 000 réfugiés arrivés en Italie et en Grèce concernés à l’automne 2017, contre un objectif initial de 160’000), a nourri le rejet de la majorité de centre-gauche au pouvoir. Il a alimenté le discours xénophobe de la Ligue du Nord de Matteo Salvini et la montée des eurosceptiques du Mouvement 5 étoiles. A quelques jours des élections du 4 mars, celui-ci est au plus haut dans les sondages.

    Depuis l’été, les départs des côtes africaines se poursuivent
    sporadiquement, au gré de la complexe situation régnant sur les côtes libyennes. Resteque des centaines de milliers de candidats à l’exil – ils seraient de 300’000 à 700’000, selon les sources – sont actuellement bloqués en Libye dans des conditions humanitaires effroyables. Pour le juriste sicilien Fulvio Vassallo, infatigable défenseur des demandeurs d’asile, cette politique est vouée à l’échec, car il ne s’agit pas d’une crise migratoire, mais d’un mouvement de fond. "Pour l’heure, l’Europe affronte le problème avec
    la seule perspective de fermer les frontières, explique-t-il. Et ça, l’histoire des vingt dernières années nous démontre que c’est sans espoir. Ça n’a pas d’autre effet que d’augmenter le nombre de morts en mer."

    Depuis 2014, selon les chiffres du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, 13’500 personnes au moins ont trouvé la mort en mer, sur la route de la Méditerranée centrale. Sans compter la multitude de ceux, avalés par les eaux, dont on n’a jamais retrouvé la trace.


    http://www.lemonde.fr/international/article/2018/02/23/l-italie-seule-dans-la-tempete-migratoire_5261553_3210.html

    Un nouveau mot pour la collection de @sinehebdo sur les mots de la migration : #Les_Turcs

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, Pietro Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    #histoire

    #abandon de l’Italie :

    Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. « J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis. »

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #frontières

    • C’est une manière de classer les étrangers en mouvement ou en attente de statut par le pays d’accueil.
      Migrants pour étrangers en mouvement. Immigrés pour étrangers sur le territoire national quelque soit leur statut.
      Demandeur d’Asile pour ceux qui font une demande de protection.
      Réfugiés pour ceux qui ont obtenu cette protection.
      Sans papiers pour ceux qui n’ont pas encore obtenu un statut qu’ils aient fait la demande ou non. Le terme administratif en France est ESI, étranger en situation irrégulière.
      Exilés pour ceux qui ont quitté leur pays d’une manière volontaire ou involontaire avec ce qui implique de difficultés et de sentiment d’éloignement de son pays.

    • Solidarietà Ue: gli altri paesi ci hanno lasciati da soli?

      Tra settembre 2015 e aprile 2018 in Italia sono sbarcate quasi 350.000 persone. A fronte di ciò, i piani di ricollocamento d’emergenza avviati dall’Unione europea prevedevano di ricollocare circa 35.000 richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi Ue: già così si sarebbe dunque trattato solo del 10% del totale degli arrivi. Inoltre i governi europei avevano imposto condizioni stringenti per i ricollocamenti: si sarebbero potuti ricollocare solo i migranti appartenenti a nazionalità con un tasso di riconoscimento di protezione internazionale superiore al 75%, il che per l’Italia equivale soltanto a eritrei, somali e siriani. Tra settembre 2015 e settembre 2017 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia meno di 21.000 persone provenienti da questi paesi, restringendo ulteriormente il numero di persone ricollocabili. Oltre a queste limitazioni, gli altri paesi europei hanno accettato il ricollocamento di meno di 13.000 richiedenti asilo. La solidarietà europea sul fronte dei ricollocamenti “vale” oggi dunque solo il 4% degli sforzi italiani e, anche se si fossero mantenute le promesse, più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia.

      Oltre al fallimento dei ricollocamenti, neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una minima parte delle spese italiane: nel 2017, per esempio, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio.

      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #aide_financière

  • HCR | Grèce : situation des femmes et enfants réfugiés
    https://asile.ch/2018/02/20/hcr-grece-situation-femmes-enfants-refugies

    Le HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, est très préoccupé par les déclarations de certains demandeurs d’asile dénonçant harcèlement et violences sexuels dans les centres d’accueil situés sur les îles grecques qui ne respectent pas les normes d’accueil requises. Le HCR se félicite toutefois des mesures prises par le gouvernement en vue de […]

  • #Follow_the_money : What are the EU’s migration policy priorities ?

    Take a closer look at the data, however, and it becomes clear how the EU prioritizes among its many goals. By following the money from the EU we can see which areas the union puts the most emphasis on when it comes to migration policy. The numbers show that stopping migrants along the way is at least equally important as changing the underlying causes of migration.

    For a start, the largest amount of the #Trust_Fund money does not got to where the majority African migrants are coming from. By a large margin, Eritrea, Nigeria and Somalia are the three countries most African asylum seekers came from between 2012 and 2016.

    The greatest amount of money from the EU Emergency Trust Fund, however, goes elsewhere.The biggest single recipients are Niger, Mali, Senegal, Libya, and Ethiopia. Contrast that with Somalia, which ranks 9, Nigeria 10 and Eritrea - the country with the most African asylum applicants to the EU – is 20th out of 26 EUTF recipient countries. In other words, the country most in need of EU funds to fight the root causes of migration is far down on the list of countries actually receiving those funds.

    #Niger #Sénégal #Libye #Ethiopie :


    –-> donc pas les pays d’origine !

    Despite these long-term benefits, humanitarian groups, experts and local media criticized the Trust Fund for focusing too much on tightening border controls and preventing migration instead of addressing the root causes of flight in the countries of origin.

    For a better understanding of what the EU means by “improving migration management” it’s helpful to look at the projects it funds. Libya, for example, is home to the project with the single largest EUTF budget of 90 million euros aimed at “managing mixed migration flows.” The average project for migration management receives 14 million.

    #Libye

    Untangling mixed migration flows is EU jargon for distinguishing between streams of refugees (people each EU country is obliged to protect under the Geneva Convention) and other migrants (which each EU country is free to accept or reject). The easiest way to do so would be to set up registration centers outside the EU to determine eligibility for asylum before migrants set foot in the EU. This idea has been brought up in the past by EU-leaders like the French President Emmanuel Macron.

    #catégorisation #tri #hotspots #Macron

    When we follow the EU money trail, we see that the budget of the European Border and Coast Guard authority #Frontex skyrocketed over the last years. The budget position “Joint Operations” is the largest item on the expenditure list - and quadrupled since 2012 (from 32 million euros to 129 million euros). Since 2016, the budget also included a position on “#Return_Support”. It had a budget of 39 million in 2016 and was increased to 53 million in 2017 (an increase of 30 percent), making it the second biggest position on Frontex’ budget.

    #renvois #expulsions

    http://m.dw.com/en/follow-the-money-what-are-the-eus-migration-policy-priorities/a-42588136?maca=en-Twitter-sharing&xtref=https%253A%252F%252Ft.co%252FKPKKngT4
    #migrations #développement #asile #migrations #réfugiés #UE #EU #Europe #push-factors #facteurs_push #Emergency_Trust_Fund
    cc @isskein

    • Diverting EU aid to stop migrants

      Ahead of Europe’s development ministers meeting in Estonia on 11 September, Global Health Advocates research in Senegal and Niger shows that EU development aid is misused and diverted through the EU Emergency Trust Fund for Africa.

      Development aid is meant to fund long-term programmes aimed at the eradication of poverty in line with partner countries’ own development priorities. However, the EU Emergency Trust Fund for Africa – a rather new instrument launched hastily by the EU and backed with close to €3 billion in development funds – does exactly the opposite: it prioritises quick fixes driven by Europe’s short-term domestic priorities, with little involvement of local governments let alone civil society actors.

      Findings from the report published today reveal untransparent processes in-country, bypassing most good governance principles. No public calls for proposals, no consultation of local actors, no eligibility guidelines, prioritisation of short term projects and the development of retroactive strategies once most funds are disbursed.

      Fanny Voitzwinkler, Head of the EU Office of Global Health Advocates, says: “Everyone we met in Niamey and Dakar agreed: the EU Trust Fund is first-and-foremost a political communication tool to show citizens the EU is responding fast to the so-called ‘migration crisis‘. Using development aid money as a bargaining chip to leverage African countries’ cooperation on migration tarnishes the image of the EU as a global development actor.”

      Beyond the questionable use of development funds to address what is considered a political emergency in Europe, the EU is literally outsourcing the control of migration to countries such as Libya and Niger, to ensure migrants are no longer able to leave the northern shores of the African continent. Most concerning is that some countries have de facto boosted their domestic security spending over basic social services like health and education.

      The NGO also warns against possible spill over-effects of the EU-driven effort to reduce migratory pressure to Europe. Repressive measures to curb migration are depriving communities of economic opportunities in the Agadez region of Niger without providing viable alternatives in already unstable environments. The EU’s eagerness to rapidly stem migration flows has taken precedence over seeking sustainable solutions for the local population.

      Global Health Advocates is urging the EU to delink its political dialogue on migration from its development agenda, acknowledging that migration is a positive driver of development. In the spirit of European’s core founding values of tolerance, solidarity and respect for human dignity, the EU should actively support and promote a more nuanced narrative on migration and mobility, anchored in facts and reality.

      Ms. Voitzwinkler concludes: “If the EU Trust Fund is not realigned to reflect a genuine partnership between the EU and African countries, promoting policies that can foster a positive development impact of mobility, the EU should stop replenishing the Fund.”


      http://www.ghadvocates.eu/en/diverting-eu-aid-to-stop-migrants

      Pour télécharger le #rapport:

      http://www.ghadvocates.eu/wp-content/uploads/2017/09/Misplaced-Trust_FINAL-VERSION.pdf

  • SBARCHI, I DATI 2017. 120mila migranti giunti lo scorso anno in Italia

    Sono stati complessivamente poco più di 171mila nel 2017 i migranti giunti via mare sulle coste dei Paesi del Mediterraneo. Si tratta del numero più basso da quando ha avuto inizio nel 2014 il significativo flusso di ingressi via mare verso l’Europa. Il principale Paese di approdo nel Mediterraneo nel 2017 è stato l’Italia con quasi 120mila migranti sbarcati, il 70% di tutti gli arrivi via mare in Europa. Il 2015 fu invece l’anno della Grecia, che raccolse l’84% degli arrivi, mentre nel 2016 gli sbarchi sulle isole greche subirono un significativo ridimensionamento: Italia e Grecia accolsero rispettivamente 181mila (50%) e 174mila (48%) migranti. I dati emergono da un’analisi della Fondazione Ismu, Iniziative e studi sulla multietnicità di Milano.
    Il Paese del Mediterraneo che ha visto aumentare in modo rilevante gli arrivi nel 2017 è stato la Spagna, sulle cui coste sono approdati circa 21mila migranti, con un aumento del 160% rispetto al 2016. Per quanto riguarda la provenienza dei migranti arrivati via mare, tra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco in Italia nel 2017 hanno prevalso Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio e Bangladesh. In Grecia sono giunti soprattutto siriani, iracheni e afghani. In Spagna, via mare e via terra, sono arrivati soprattutto migranti dal Marocco, dall’Algeria, dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea.
    Anche nel 2017 è rimasto significativo il numero di persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare: si stimano 3.116 migranti morti o dispersi nelle acque del Mediterraneo e principalmente nella più pericolosa rotta del Mediterraneo Centrale dal Nord Africa-Libia all’Italia.

    Il quadro italiano
    Sono quasi 120mila i migranti sbarcati nel 2017 sulle coste italiane, di cui 15.731 minori stranieri non accompagnati. Rispetto all’anno precedente, quando sono stati registrati 181.436 sbarchi, v’è stato un calo del 34,2%. Le richieste d’asilo nel 2017 sono state 130mila, con un lieve aumento rispetto all’anno precedente (+5,4%); le istanze sono state presentate soprattutto da nigeriani, bangladesi, pakistani, gambiani e ivoriani. Le domande d’asilo esaminate sono state oltre 80mila, 10mila meno rispetto al 2016. Al 60% (47.839 casi) del totale richiedenti asilo non è stata riconosciuta alcuna forma di protezione. È cresciuto il numero di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, che nel 2017 ha costituito l’8,5% degli esiti, mentre si è fortemente ridimensionata la protezione sussidiaria, concessa nel 2016 a oltre 11mila migranti e nel 2017 a 5.800. Una domanda su quattro ha avuto come esito la protezione umanitaria.
    Al 31 dicembre 2017 sono stati trasferiti dall’Italia in un altro Paese UE 11.464 richiedenti protezione internazionale. I Paesi dove sono stati trasferiti sono Germania (dove è stato ricollocato il 43% dei migranti), Svezia (10,6%) e Svizzera (7,8%).

    http://www.cinformi.it/index.php/it/news_ed_eventi/archivio_news/anno_2018/sbarchi_i_dati_2017/(offset)/0/(limit)/4/(sb)/312
    #arrivées #statistiques #asile #migrations #Italie #chiffres #Méditerranée #Italie #2017

    v. aussi pour les mois/années précédents: http://seen.li/d6bt

    • Un tweet intéressant de l’#OIM / #IOM, 02.03.2018 :

      Migrant arrivals by #Mediterranean sea in Italy in 2018 are the lowest in 5 years, our @MillmanIOM says:

      https://twitter.com/UNmigration/status/969701973736947712

      La personne qui commente les chiffres dit que jamais les arrivées ont été si peu nombreuses... voici ce qu’il dit, je transcrit :

      “This is the lowest we have seen in the five years we have been compiling this data month by month with the Italian Ministry of Iterior. I can just tell you that in 2014, in the first two months almost 7700 people arrived. In 2015, in the first two months almost 7900. Over 9000 in 2016, over 13’000 in 2017. It’s pretty important I think, because Italians will vote this weekend. Immigration is a huge issue obviously, and to be able to report that arrivals are less than half of last year’s at this time and the lowest in five years I think it’s rather important. Our total for the year so far is 3’730. This week we took migrants back to #Benin, #Mali and #Niger. As I understood it we’ve done a total of 26 countries that we’ve returned from Libya this year, so I think that has had some impact on the flows to Italy.”

      (By the way, peut-être qu’un bref rappel des morts en Méditerranée et des conditions dégradantes en Libye auraient aussi été une bonne chose à rappeler... Mais mieux vaut se vanter des « #retours_volontaires » vers les pays d’origine)

      #renvois #expulsions #retour_volontaire

      cc @isskein

    • Demandes d’asile dans les États membres de l’UE - 650 000 primo-demandeurs d’asile enregistrés en 2017 - Syriens, Irakiens et Afghans demeurent les principaux demandeurs

      En 2017, 650 000 primo-demandeurs d’asile ont introduit une demande de protection internationale dans les États membres de l’Union européenne (UE), soit quasiment deux fois moins qu’en 2016, quand 1 206 500 primo-demandeurs d’asile ont été enregistrés, et à un niveau comparable à celui enregistré en 2014, avant les pics de 2015 et 2016.


      http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/8754398/3-20032018-AP-FR.pdf/f7bca4e4-ab6d-40cb-ae35-1b2e9e71017c

      Les statistiques dans le document pdf d’Eurostat :
      http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/8754398/3-20032018-AP-FR.pdf/f7bca4e4-ab6d-40cb-ae35-1b2e9e71017c

    • Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonchè sulle condizioni di trattamento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate


      #nationalités #2016 #2017


      #régions

      #hotspots:

      #MNA #mineurs_non_accompagnés

      J’ai reçu ce rapport via email, que je ne trouve pas sur internet... mais j’ai fait des copies d’écran des graphiques.

    • « Voyages du désespoir », un rapport du HCR sur les mouvements de réfugiés en Europe

      Malgré la diminution globale du nombre de réfugiés et de migrants arrivés en Europe l’année dernière, les dangers auxquels nombreux d’entre eux sont confrontés dans certaines situations ont augmenté comme l’indique un nouveau rapport du HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, qui décrit l’évolution des tendances dans leurs déplacements.

      Selon le rapport « Voyages du désespoir », le nombre d’arrivées en Italie par la mer, principalement en provenance de la Libye, a considérablement diminué depuis juillet 2017. Cette tendance s’est poursuivie au cours du premier trimestre 2018, avec une baisse de 74 pour cent par rapport à l’année dernière.

      La traversée vers l’Italie s’est par contre révélée de plus en plus dangereuse et le taux de mortalité des candidats à la traversée depuis la Libye a grimpé à 1 personne sur 14 au cours du premier trimestre 2018, alors qu’il était de 1 sur 29 au cours de la même période en 2017.

      Par ailleurs, on a également observé au cours des derniers mois une détérioration très préoccupante de la santé des nouveaux arrivants en provenance de la Libye, avec un nombre plus important de personnes dans un état de grande faiblesse, amaigries et globalement en mauvais état de santé.

      Si le nombre total des traversées de la Méditerranée est resté bien en deçà de celui de 2016, le HCR a également constaté une recrudescence des arrivées en Espagne et en Grèce sur la fin de l’année 2017.

      En 2017, l’Espagne a observé une augmentation de 101 pour cent par rapport à 2016 et a recensé 28 000 nouveaux arrivants. Les premiers mois de 2018 indiquent une tendance similaire, avec une augmentation de 13 pour cent des arrivées par rapport à l’année dernière. Les Marocains et les Algériens constituent désormais les deux principales nationalités, mais les Syriens forment toujours l’essentiel des arrivées par les frontières terrestres de l’Espagne.

      En Grèce, le nombre total d’arrivées par la mer a diminué par rapport à 2016, mais on a cependant observé une recrudescence de 33 pour cent entre mai et décembre de l’année dernière, avec 24 600 arrivants par rapport à 18 300 au cours de la même période en 2016. La majorité d’entre eux étaient originaires de Syrie, d’Irak et d’Afghanistan, et comprenait un grand nombre de familles avec des enfants. Les demandeurs d’asile arrivés en Grèce par la mer ont vécu de longues périodes d’attente sur les îles grecques, dans des conditions de surpeuplement difficiles.

      Le renforcement des restrictions en Hongrie a poussé de nombreux réfugiés et migrants à emprunter d’autres routes pour traverser l’Europe, indique le rapport. Ainsi, certains passent de Serbie en Roumanie tandis que d’autres passent de la Grèce en Albanie, puis au Monténégro et en Bosnie-Herzégovine pour rallier la Croatie.

      « Les voyages des réfugiés et migrants vers l’Europe et à travers celle-ci restent parsemés de dangers », a déclaré Pascale Moreau, la Directrice du bureau du HCR pour l’Europe. On estime que plus de 3 100 personnes ont perdu la vie en mer l’année dernière pendant la traversée vers l’Europe, et ce chiffre était de 5 100 en 2016. Depuis le début de l’année 2018, 501 personnes se sont ajoutées à la liste des morts ou des disparus.

      À ceux qui ont péri en mer, s’ajoutent au moins 75 autres personnes décédées le long des routes terrestres qui suivent les frontières extérieures de l’Europe ou alors qu’elles traversaient l’Europe en 2017, et les rapports sur la poursuite des refoulements sont profondément préoccupants.

      « Il est vital pour les personnes qui nécessitent une protection internationale d’avoir accès au territoire ainsi qu’à des procédures de demande d’asile rapides, justes et efficaces. Gérer ses frontières et offrir une protection aux réfugiés conformément aux obligations internationales des États ne sont pas des objectifs qui s’excluent ou sont incompatibles », a ajouté Pascale Moreau.

      Le rapport du HCR souligne également les abus et les pratiques d’extorsion que subissent les réfugiés et migrants aux mains des trafiquants, des passeurs ou des groupes armés sur les différentes routes vers l’Europe.

      Les femmes, et surtout celles qui voyagent seules, ainsi que les enfants non accompagnés sont particulièrement exposés au risque de subir des violences sexuelles et sexistes sur les routes vers l’Europe, ainsi qu’à certains endroits au sein de l’Europe.

      Plus de 17 000 d’enfants non accompagnés sont arrivés en Europe en 2017. La plupart de ces enfants sont arrivés en Italie par la mer, et 13 pour cent d’entre eux étaient des enfants voyageant seuls, une tendance similaire à celle de 2016.

      Le rapport du HCR signale toutefois des progrès encourageants quant au nombre de personnes réinstallées en Europe l’année dernière, avec une augmentation de 54 pour cent par rapport à 2016. La majorité de ces 26 400 réfugiés étaient des Syriens (84 pour cent) réinstallés depuis la Turquie, le Liban et la Jordanie. Parmi les pays européens, ce sont le Royaume-Uni, la Suède et l’Allemagne qui en ont accueilli le plus grand nombre.

      Un autre développement positif à la fin de l’année dernière a vu le HCR commencer à faciliter l’évacuation de réfugiés vulnérables de la Libye vers le Niger et de la Libye vers l’Italie.

      « Les évacuations depuis la Libye et l’augmentation des opportunités de réinstallation que nous avons observées l’année dernière sont d’excellentes nouvelles. Il subsiste toutefois des obstacles significatifs qui entravent l’accès à des voies sûres et légales, dont le regroupement familial, pour les personnes nécessitant une protection internationale, et nous appelons à une plus grande solidarité », a déclaré Pascale Moreau.

      Le rapport formule également des recommandations supplémentaires quant à la nécessité de renforcer la solidarité entre les États au sein de l’Europe ainsi qu’avec les pays de premier asile et de transit, afin d’améliorer la qualité de l’accueil — tout particulièrement l’accueil des enfants séparés et non accompagnés, et de ceux qui ont survécu à la violence sexuelle et sexiste — et de mieux protéger les enfants.

      http://www.unhcr.org/fr/news/press/2018/4/5acf30b3a/voyages-desespoir-rapport-hcr-mouvements-refugies-europe.html
      #Grèce #Italie #Espagne #mortalité #mourir_aux_frontières #décès #femmes #réinstallation #MNA #mineurs_non_accompagnés #corridors_humanitaires #desperate_journeys

      Lien vers le #rapport :
      https://data2.unhcr.org/en/documents/download/63039


      #parcours_migratoires #routes_migratoires #Albanie #Monténégro #Bosnie

    • Calo degli arrivi: continuerà?

      Nei primi quattro mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Si tratta di un trend del tutto in linea con il calo verificatosi negli ultimi sei mesi del 2017 (-75% rispetto allo stesso periodo del 2016). I dati relativi ai primi mesi dell’anno (quelli invernali) risultano tuttavia poco indicativi del livello dei flussi nei mesi successivi. Gli sbarchi iniziano a crescere solo da aprile e raggiungono un picco tra giugno e agosto, seguendo un tipico trend stagionale.

      L’andamento degli sbarchi nel mese di aprile può dunque essere considerato un primo segnale di quanti arrivi potrebbero essere registrati nel corso di tutto l’anno. Particolare attenzione meritano, al riguardo, gli avvenimenti di metà aprile, quando in quattro giorni sono sbarcate 1.500 persone.

      È comunque necessaria un’ulteriore dose di prudenza, perché ai trend stagionali si affiancano anche le decisioni e le politiche degli attori coinvolti lungo la rotta. Il 2017 lo dimostra: fino al 15 luglio dell’anno scorso gli sbarchi sulle coste italiane erano stati circa il 30% in più rispetto al 2016, e proprio da metà luglio, nel periodo dell’anno in cui solitamente si registrano più arrivi, è iniziato il calo degli sbarchi che prosegue a tutt’oggi.

      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415

    • Calo degli arrivi: meno morti in mare?

      Il calo delle partenze ha ridotto drasticamente il numero assoluto di persone che perde la vita durante la traversata: se la frequenza delle morti in mare dei primi sette mesi dell’anno scorso fosse rimasta invariata nella restante parte del 2017, a fine anno si sarebbero registrate 4.155 morti – un livello comparabile a quello degli anni precedenti. Al contrario, se la frequenza delle morti in mare nei nove mesi successivi al calo degli sbarchi restasse costante per altri tre mesi, si registrerebbero circa 1.250 morti in un anno: una riduzione del 70%.

      L’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha tuttavia fatto notare come, tra gennaio e marzo 2018, il già alto rischio della traversata lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sia quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dal 3,3% al 5,8%). Ma in realtà questo aumento sembra dipendere più dalle condizioni meteorologiche invernali e da singoli casi “eccezionali” che dagli avvenimenti e dalle politiche alla base del calo degli sbarchi. Infatti, estendendo il confronto all’intero periodo del calo degli sbarchi (16 luglio 2017 - 30 aprile 2018) e confrontandolo con lo stesso periodo dell’anno precedente si nota sì un incremento, ma molto meno significativo: dal 2,6% al 3,0%.


      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #mortalité

    • Que cache la baisse des arrivées de personnes migrantes en méditerranée centrale ?

      Les États membres de l’Union européenne se félicitent depuis quelques mois de la baisse des arrivées sur les côtes européennes et de celle du nombre de personnes migrantes mortes ou disparues en Méditerranée. Mais que cache cette chute spectaculaire ?

      https://www.lacimade.org/cache-baisse-arrivees-de-personnes-migrantes-mediterranee-centrale
      #Méditerranée_centrale

  • SIREAS | Externalisation de la politique migratoire de l’UE : l’accord avec la Turquie
    https://asile.ch/2018/02/02/sireas-externalisation-de-politique-migratoire-de-lue-laccord-turquie

    À l’heure où les médias annoncent une rétrogradation des relations entre l’Union européenne et la Turquie, où des milliers de personnes sont en attente dans des conditions de vie très difficiles dans le camp de Moria en Grèce, l’article de Teresa Bevivino nous rappelle les enjeux importants de l’accord signé en mars 2016 entre l’Union […]

  • Nearly 13,000 migrants and refugees registered at Moria camp in 2017

    A total of 12,726 migrants and refugees, hailing form 64 countries in the Middle East, Asia, Africa, South America and even the Caribbean, were registered at the official processing center on Lesvos last year.

    According to official figures from the hot spot at Moria on the eastern Aegean island, 40 percent of the arrivals processed at the center were men, 24 percent were women and 36 percent were minors.

    In terms of ethnicities, the Moria camp processed 5,281 Syrians, 2,184 Afghans and 1,800 Iraqis. It also received 826 people from Congo, 352 from Cameroon, 341 from Iran and 282 from Algeria. The remaining 1,660 asylum seekers came from 57 other countries, the data showed.


    http://www.ekathimerini.com/225403/article/ekathimerini/news/nearly-13000-migrants-and-refugees-registered-at-moria-camp-in-2017
    #statistiques #chiffres #arrivées #Grèce #Moria #Lesbos #hotspots #asile #migrations #réfugiés
    cc @isskein

    • MSF : des enfants tentent de se suicider dans le camp de Moria en Grèce

      Le camp de réfugiés de Moria sur l’île grecque de Lesbos a été à plusieurs reprises au centre de la crise migratoire européenne, mais les conditions de vie désastreuses semblent s’être encore détériorées. Luca Fontana, co-coordinateur des opérations de Médecins sans frontières (MSF) sur l’île, raconte notamment à InfoMigrants le désespoir des jeunes demandeurs d’asile.

      #Surpeuplement. #Violence. #Saleté. Ce ne sont là que quelques-uns des mots utilisés pour décrire le camp de migrants de Moria, en Grèce, à Lesbos. Dans une interview accordée à InfoMigrants, Luca Fontana, le co-coordinateur des opérations sur l’île pour MSF, a déclaré que des enfants y tentent même de mettre fin à leurs jours. « Il y a des enfants qui essaient de se faire du mal ainsi que des enfants qui ne peuvent pas dormir à cause d’idées suicidaires », explique-t-il. Ces enfants sont souvent traumatisés par les conflits qu’ils ont connus dans leur pays d’origine. Et les mauvaises conditions de vie dans le camp de Moria, qu’il décrit comme une « jungle », ne font qu’aggraver leur situation.

      Manque d’#accès_aux_soins de santé mentale

      « Nous dirigeons un programme de santé mentale pour les #enfants, avec des groupes de thérapie et des consultations pour les cas les plus graves », raconte-t-il. « Mais le problème est qu’il n’y a pas de psychologue ou de psychiatre pour enfants sur l’île : ils n’ont donc pas accès aux soins médicaux parce qu’ils ne sont pas transférés à Athènes pour y recevoir des soins spécialisés. »

      La clinique de santé mentale de MSF est située à #Mytilene, la capitale de Lesbos, et l’organisation est la seule ONG qui fournit des soins psychologiques à la population migrante de l’île. A la clinique, les enfants dessinent pour exorciser les traumatismes qu’ils ont subis dans leur pays, pendant l’exil ou en Europe.

      Les demandeurs d’asile sur l’île ont fui la Syrie, l’Afghanistan, l’Irak, le Soudan et le Congo, des pays où la guerre est souvent une réalité quotidienne.

      Bien qu’il y ait eu des tentatives de suicide, aucune n’a abouti, précise Luca Fontana.

      Les temps d’attente pour les services de base sont longs, les conditions de vie « horribles »

      Les migrants doivent attendre longtemps avant d’obtenir des #soins médicaux, car le camp est surpeuplé. La capacité d’accueil est de 3 000 personnes, mais ils sont plus du triple, dont beaucoup vivent dans des tentes. Surtout, près de 3 000 occupants sont des enfants.

      A Moria, il y a très peu de #toilettes - environ 1 toilette pour 50 à 60 personnes. Les migrants reçoivent trois repas par jour, mais l’attente est longue. « Ils faut parfois attendre trois heures par repas. Les gens doivent se battre pour la nourriture et les services médicaux. »

      En juillet, MSF a lancé sur son site web plusieurs demandes d’aide urgentes. L’ONG souhaite que les personnes vulnérables soient déplacées vers des logements plus sûrs, pour « décongestionner le camp ».

      http://www.infomigrants.net/fr/post/11769/msf-des-enfants-tentent-de-se-suicider-dans-le-camp-de-moria-en-grece
      #suicides #santé_mentale #tentative_de_suicide

    • Réaction de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop (11.09.2018):

      En effet le camp de Moria est plus que surpeuplé, avec 8.750 résidents actuellement pour à peine 3.000 places, chiffre assez large car selon d’autres estimations la capacité d’accueil du camp ne dépasse pas les 2.100 places. Selon le Journal de Rédacteurs,(Efimerida ton Syntakton)
      http://www.efsyn.gr/arthro/30-meres-prothesmia
      Il y a déjà une liste de 1.500 personnes qui auraient dû être transférés au continent, à titre de vulnérabilité ou comme ayant droit à l’asile,mais ils restent coincés là faute de place aux structures d’accueil sur la Grèce continentale. Les trois derniers jours 500 nouveaux arrivants se sont ajoutés à la population du camp. La plan de décongestionn du camp du Ministère de l’immigration est rendu caduc par les arrivées massives pendant l’été.
      La situation sanitaire y est effrayante avec des eaux usées qui coulent à ciel ouvert au milieu du camp, avant de rejoindre un torrent qui débouche à la mer. Le dernier rapport du service sanitaire, qui juge le lieu impropre et constituant un danger pour la santé publique et l ’ environnement, constate non seulement le surpeuplement, mais aussi la présence des eaux stagnantes, des véritables viviers pour toute sorte d’insectes et de rongeurs et bien sûr l’absence d’un nombre proportionnel à la population de structures sanitaires. En s’appuyant sur ce rapport, la présidente de la région menace de fermer le camp si des mesures nécessaires pour la reconstruction du réseau d’eaux usées ne sont pas prises d’ici 30 jours. Le geste de la présidente de la Région est tout sauf humanitaire, et il s’inscrit très probablement dans une agenda xénophobe, d’autant plus qu’elle ne propose aucune solution alternative pour l’hébergement de 9,000 personnes actuellement à Moria. N’empêche les problèmes sanitaires sont énormes et bien réels, le surpeuplement aussi, et les conditions de vie si effrayantes qu’on dirait qu’elles ont une fonction punitive. Rendons- leur la vie impossible pour qu’ils ne pensent plus venir en Europe...

    • La prison dans la #prison_dans_la_prison : le centre de détention du camp de Moria

      Nous proposons ici une traduction d’un article publié initialement en anglais sur le site Deportation Monitoring Aegean (http://dm-aegean.bordermonitoring.eu/2018/09/23/the-prison-within-the-prison-within-the-prison-the-detent) le 23 septembre 2018. Alors que la Commission européenne et les principaux États membres de l’Union européenne souhaitent l’implantation de nouveaux centres de tri dans et hors de l’Europe, il semble important de revenir sur le système coercitif des #hotspots mis en place depuis deux ans et demi maintenant.

      Depuis la signature de l’accord UE-Turquie le 18 mars 2016, il est interdit aux migrants arrivant de Turquie sur les îles grecques – sur le sol de l’UE – de voyager librement à l’intérieur de la Grèce. Leur mouvement est limité aux petites îles de Lesbos, Chios, Leros, Samos ou Kos où se trouvent les hotspots européens. Certaines personnes ont été contraintes de rester dans ces « prisons à ciel ouvert » pour des périodes allant jusqu’à deux ans dans l’attente de la décision concernant leur demande d’asile. De nombreux migrants n’ont d’autres possibilités que de vivre dans les hotspots européens tels que le camp de Moria sur l’île de Lesbos pendant toute leur procédure d’asile. Tandis que l’apparence des fils de fer barbelés et les portes sécurisées donnent aux camps une apparence de prison, la majorité des migrants est en mesure de passer librement par les entrées sécurisées par la police du camp. Après leur enregistrement complet, les demandeurs d’asile sont techniquement autorisés à vivre en dehors du camp, ce qui n’est cependant pratiquement pas possible, principalement en raison du nombre limité de logements et de la possibilité de payer des loyers.

      Certaines personnes ne sont pas seulement obligées de rester sur une île dans un #camp, mais sont également détenues dans des centres de détention. À Lesbos, par exemple, les nouveaux arrivants sont régulièrement détenus à court terme au cours de leur procédure d’enregistrement dans un camp spécial du camp de Moria. En outre, ce camp dispose également d’une prison, appelée “#centre_de_pré-renvoi” (« #pre-removal_centre ») située dans l’enceinte du camp. Il s’agit d’une zone hautement sécurisée qui contient actuellement environ 200 personnes, avec une capacité officielle de détenir jusqu’à 420 personnes [AIDA]. Les détenus sont des migrants, tous des hommes, la plupart d’entre eux étant venus en Europe pour obtenir une protection internationale. Ils sont détenus dans un centre de pré-renvoi divisé en différentes sections, séparant les personnes en fonction de leurs motifs de détention et de leurs nationalités / ethnies. La plupart du temps, les détenus sont enfermés dans des conteneurs et ne sont autorisés à entrer dans la cour de la prison qu’une ou deux fois par jour pendant une heure. En outre, d’anciens détenus ont fait état d’une cellule d’isolement où des personnes pourraient être détenues en cas de désobéissance ou mauvais comportement pendant deux semaines au maximum, parfois même sans lumière.

      Motifs légaux de détention

      L’article 46 de la loi n°4375/2016 (faisant référence à la loi n°3907/2011 et transposant la directive d’accueil 2016/0222 dans le droit national) prévoit cinq motifs de détention des migrants : 1) afin de déterminer leur identité ou leur nationalité, 2) pour « déterminer les éléments sur lesquels est fondée la demande de protection internationale qui n’ont pas pu être obtenus », 3) dans le cas « où il existe des motifs raisonnables de croire que le demandeur introduit la demande de protection internationale dans le seul but de retarder ou d’empêcher l’exécution de décision de retour » (les décisions de retour sont en réalité largement adressées aux nouveaux arrivants et sont suspendues ou révoquées pour la durée de la procédure d’asile), 4) si la personne est considérée comme « constituant un danger pour la sécurité nationale ou l’ordre public » ou 5) pour prévenir le risque de fuite [Loi 4375/2016, art.46]. Cette diversité de motifs légaux de détention ouvre la possibilité de garder un grand nombre de personnes en quête de protection internationale dans des lieux de détention. Les avocats signalent qu’il est extrêmement difficile de contester juridiquement les ordonnances de détention, entre autre parce que les motifs des ordonnances de détention sont très vagues.

      Pour les demandeurs d’asile, la durée de la détention est généralement limitée à trois mois. Cependant, elle peut être prolongée si, par exemple, des accusations pénales sont portées contre eux (cela peut par exemple se produire après des émeutes dans le centre de détention). La détention des migrants dont la demande d’asile a été rejetée ou des personnes qui se sont inscrites pour un retour volontaire peut dépasser trois mois. Dans certains cas, les personnes doivent rester particulièrement longtemps en détention et dans un état d’incertitude lorsque leur demande d’asile et leur recours sont rejetés, mais qu’elles ne peuvent pas être expulsées car la Turquie refuse de les reprendre. Les avocats peuvent généralement accéder à la détention sur la recommandation du service d’asile, même s’il n’existe pas de motivation particulière justifiant la détention. À Lesbos, mis à part la participation de quelques avocats, l’assistance judiciaire pour contester les ordonnances de détention est presque inexistante, ce qui renvoi à un manque de possibilités et à des problèmes systématiques dans la manière dont les tribunaux traitent les « objections à la détention ».

      Détention en pratique – Le projet pilote visant certaines nationalités

      De nombreuses personnes sont détenues dans le centre de pré-renvoi après que leur demande d’asile ait été rejetée ou déclarée irrecevable et après avoir perdu le recours contre cette décision. D’autres sont détenus parce qu’ils ont accepté le soi-disant « retour volontaire » dans leur pays d’origine avec l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) et sont enfermés dans l’attente de leur transfert dans un autre centre fermé situé sur le continent dans l’attente de leur déportation [voir notamment cet article sur les retour volontaires]. Un autre moyen extrêmement problématique utilisé pour détenir des demandeurs d’asile est la classification comme danger pour la sécurité nationale ou l’ordre public. La circulaire de police « Gestion des étrangers sans-papiers dans les centres d’accueil et d’identification (CRI) » illustre bien l’aspect pratique de cette loi. Dans le document, les termes « comportement enfreignant la loi » ou « comportement offensant » sont utilisés comme motif de détention. La circulaire de police, par exemple, énumère des exemples de « comportement enfreignant la loi », tel que « vols, menaces, blessures corporelles, etc. ». Par conséquent, le classement d’une personne qui a commis des infractions mineures et pouvant ainsi être détenu, est laissé à la discrétion de la police. Les avocats rapportent que le paragraphe est souvent utilisé dans la pratique pour détenir des personnes qui ne respectent pas les limites géographiques imposées.

      En outre, la possibilité de détenir des personnes en supposant qu’elles demandent l’asile afin d’éviter ou d’entraver la préparation du processus de retour ou d’éloignement est largement utilisée comme justification de la détention. Dans la pratique, la décision de mise en détention dépend souvent des chances présumées qu’un demandeur d’asile se voit accorder un statut de protection, ce qui est également lié à l’appartenance nationale du demandeur d’asile. En fait, cela conduit à la détention automatique de migrants appartenant à certains milieux nationaux immédiatement après leur arrivée. Alors que la Commission européenne recommande fréquemment une utilisation accrue de la détention des migrants afin de faciliter les retours, la détention spécifique basée sur la nationalité remonte à un soi-disant projet pilote qui est reflété dans la circulaire de la police locale grecque de juin 2016 mentionnée ci-dessus. Dans ce document, le ministère de l’Intérieur décrit les migrants d’Algérie, de Tunisie, du Maroc, du Pakistan, du Bangladesh et du Sri Lanka comme des “étrangers indésirables” au “profil économique”, dont les données doivent être collectées non seulement dans le système d’information Schengen, mais également dans une base de données grecque appelée “Catalogue d’État pour les étrangers indésirables” (EKANA). Ce projet pilote comportait deux phases et a finalement été étendu à toutes les personnes dont le taux d’acceptation de l’asile – établi par nationalité – est statistiquement inférieur à 25%. Cela s’applique à de nombreuses personnes originaires de pays africains et était également utilisé auparavant pour les Syriens. (Les Syriens avaient un taux de rejet élevé parce que leur demande d’asile était souvent déclarée irrecevable, la Turquie étant considérée comme un pays sûr pour les Syriens.)

      Ce processus arbitraire contredit fortement l’idée de la Convention de Genève de donner aux individus les droits d’un examen impartial et individualisé de leur demande d’asile. En outre, en détention, les demandeurs d’asile ont moins accès aux conseils juridiques et sont soumis à de fortes pressions, ce qui multiplie d’autant les conditions d’être ré-incarcéré ou déporté. Dans de nombreux cas, ils ne disposent que d’un à deux jours pour préparer leur entretien d’asile et ne sont pas en mesure d’informer les avocats de leur prochain entretien d’asile, car ils ont une priorité dans les procédures. Ces facteurs réduisent considérablement leurs chances de bien présenter leur demande d’asile lors des auditions afin d’obtenir le statut de protection internationale. Pendant leur détention, ils sont souvent menottés lors de l’enregistrement et de l’entretien, ce qui les stigmatise comme dangereux et suggère un danger potentiel à la fois pour le demandeur d’asile et pour le premier service d’accueil / d’asile. Une personne, par exemple, a déclaré avoir été menottée au cours de son interrogatoire, le laissant incapable de prononcer un seul mot lors de son enregistrement où il aurait été crucial d’exprimer clairement sa volonté de demander l’asile.

      La rationalité de la détention de demandeurs d’asile présentant un faible taux de reconnaissance semble viser à les rejeter et à les expulser dans les trois mois de leur détention – ce qui n’a même pas été réalisé jusqu’à présent dans la plupart des cas. Au lieu de cela, cela aboutit principalement à une procédure automatique de détention injustifiée. Des ressortissants de nationalités telles que l’Algérie et le Cameroun sont arrêtés directement à leur arrivée. Ils sont simplement condamnés à attendre l’expiration de leurs trois mois de détention et à être libérés par la suite. Une fois libérés, ils se retrouvent dans le camp surpeuplé de Moria, sans aucun lieu ou dormir ni sac de couchage, et ils ne savent pas où trouver une orientation dans un environnement où ils ne sont pas traités comme des êtres humains à la recherche de protection, mais comme des criminels.

      Conditions de détention

      Dans le centre de pré-renvoi, les détenus manquent de biens de première nécessité, tels que des vêtements et des produits d’hygiène en quantité suffisante. À part deux jours par semaine, leurs téléphones sont confisqués. Les visites ne peuvent être effectuées que par des proches parents et – s’ils sont assez chanceux – par un avocat et par deux personnes travaillant pour une société de santé publique. Malgré leur présence, de nombreux détenus ont signalé de graves problèmes de santé mentale et physique. Dans certains cas, les personnes malades sont transférées à l’hôpital local, mais cela dépend de la décision discrétionnaire de la police et de sa capacité à l’escorter. Plusieurs détenus ont décrit des problèmes tels que fortes douleurs à la tête, insomnie, crises de panique et flashbacks similaires aux symptômes de l’état de stress post-traumatique, par exemple. Certains détenus s’automutilent en se coupant lourdement le corps et certains ont tenté de se suicider. Bien que les personnes classées comme vulnérables ne soient pas censées être détenues, il y a eu plusieurs cas où la vulnérabilité n’a été reconnue qu’après des semaines ou des mois de détention ou seulement après leur libération.

      Certaines personnes sortant du centre de pré-renvoi ont déclaré être des survivants de torture et de peines de prison dans leur pays, ce qui explique souvent pourquoi elles ont fui en Europe pour rechercher la sécurité mais se retrouvent à nouveau enfermés en Grèce. Les examens médicaux ont montré que certaines personnes détenues dans le centre de pré-renvoi étaient des mineurs. Bien qu’ils aient répété à plusieurs reprises qu’ils étaient mineurs, ils ont été retenus pendant encore de nombreuses semaines jusqu’à ce que l’évaluation de l’âge soit finalisée. D’autres personnes sont maintenues en détention, bien qu’elles parlent des langues rares telles que le krio, pour laquelle aucune traduction n’est disponible et, par conséquent, aucun entretien d’asile ne peut être mené.

      Les histoires d’individus dans le centre de pré-renvoi de Moria

      Ci-après, quelques comptes rendus récents de migrants sur leur détention dans le centre de pré-renvoi de Moria sont illustrés afin de mettre en évidence l’impact du régime de détention sur le destin de chacun. Un jeune Camerounais a été arrêté au centre de pré-renvoi de Moria, dès son arrivée dans le cadre du projet pilote. Il a signalé qu’il avait tenté de se suicider dans la nuit du 7 au 8 septembre, mais que son ami l’avait empêché de le faire. Il était en détention depuis la fin du mois de juin 2018. Il se plaignait d’insomnie et de fortes angoisses liées aux expériences du passé, notamment la mort de son frère et la crainte que son enfant et sa mère fussent également décédés. Il a reporté la date de son entretien d’asile à quatre reprises, car il se sentait mentalement incapable de mener l’entretien à son terme.

      Un ressortissant syrien de 22 ans, arrivé à Lesbos avec de graves problèmes de dos, a été arrêté au centre de pré-renvoi de Moria après s’être inscrit pour un “retour volontaire”. En Turquie, il avait été opéré à la suite d’un accident et le laissant avec des vis dans le dos. Il a décidé de retourner en Turquie, car il a constaté que l’opération chirurgicale nécessaire pour retirer les vis ne pouvait être effectuée que sur place. Le 18 juillet, il aurait été sévèrement battu par un officier de police dans le centre de détention du camp. Le même jour, des volontaires indépendants ont porté plainte dans un bureau de conciliation grec. Un médiateur lui a rendu visite le 20 juillet et lui a demandé s’il déposait officiellement plainte, mais il a refusé par crainte des conséquences. Quatre jours plus tard seulement, le 24 juillet, l’homme a été expulsé.

      Un Pakistanais a été arrêté le 18 avril sur l’île de Kos après le rejet de l’appel effectué contre le rejet de sa demande d’asile en première instance. Quelques mois plus tard, il a été transféré au centre de pré-enlèvement situé dans le camp de Moria, sur l’île de Lesbos. Les autorités voulaient l’expulser vers la Turquie, mais le pays ne l’a pas accepté. L’homme a déclaré qu’il vomissait régulièrement du sang et souffrait toujours d’une crise cardiaque qu’il avait subie un an auparavant. Selon son récit, les autorités lui avaient promis de le conduire à l’hôpital le 10 septembre. Cependant, il a été transféré au centre de pré-renvoi d’Amygdaleza, près d’Athènes, le 9 septembre, où il attend maintenant son expulsion vers le Pakistan.

      Quatre jeunes individus qui affirment être des ressortissants afghans mais qui ont été classés comme Pakistanais lors du dépistage par FRONTEX ont été arrêtés bien qu’ils se soient déclarés mineurs. L’un d’entre eux avait été arrêté sur le continent dans le centre de pré-renvoi d’Alledopon Petrou Ralli et avait été transféré au centre de renvoi de Lesbos au bout d’un mois. Il a ensuite été contraint d’y rester quelques mois de plus, avant d’être finalement reconnu comme mineur par le biais d’une évaluation de son âge puis libéré avec une autre personne également reconnue comme mineure. Une des personnes était considérée comme un adulte après l’évaluation de l’âge et le résultat pour la quatrième personne est toujours en attente.

      L’expulsion d’un ressortissant algérien détenu dans le centre de pré-renvoi à Lesbos a été suspendue à la dernière minute grâce à la participation du HCR. Il était censé être renvoyé en Turquie le 2 août, six heures seulement après le deuxième rejet de sa demande d’asile, ce qui le laissait dans l’impossibilité de contester la décision devant les instances judiciaires au moyen d’une prétendue demande d’annulation. Il a été amené à l’embarcadère pour la déportation et n’a été enlevé à la dernière minute que parce que le HCR a indiqué qu’il n’avait pas eu la chance d’épuiser ses recours légaux en Grèce et qu’il risquait d’obtenir un statut vulnérable. Cependant, compte tenu de l’absence d’avocats à Lesbos, des coûts et du travail charge de la demande en annulation, il ne put finalement s’opposer à l’expulsion et ne fut déporté que deux semaines plus tard, le 16 août.

      L’impact de la politique de détention

      L’utilisation généralisée de nouvelles possibilités juridiques de détenir des migrants a atteint une nouveau seuil à la frontière extérieure de l’UE dans la mer Égée. La liberté de mouvement est progressivement restreinte. Des milliers de personnes sont obligées de rester dans la zone de transit de l’île de Lesbos pendant de longues périodes et la plupart d’entre elles n’ont d’autres choix que de vivre dans le hotspot européen de Moria. D’autres sont même détenus dans le centre de détention situé dans le camp. Au niveau de l’UE, la pression augmente pour imposer des mesures de détention. La loi grecque, qui repose finalement sur la directive de l’UE sur l’accueil, offre de meilleures possibilités de maintenir les migrants en détention. Dans la mise en œuvre pratique, ils sont largement utilisés principalement pour les migrants de sexe masculin. Plus que pour faciliter les retours – qui sont relativement peu nombreux – les mesures de détention remplissent une fonction disciplinaire profonde. Ils créent une forte insécurité et de la peur.

      En particulier, le fait d’être arrêté immédiatement à l’arrivée envoie un message fort à la personne touchée, tel qu’il est exprimé dans la circulaire de la police : Vous êtes un « étranger indésirable ». Il s’agit d’une stigmatisation prédéterminée bien que la procédure d’asile n’ait même pas encore commencé et que les raisons pour lesquelles une personne soit venue sur l’île soient inconnues. Les personnes affectées ont déclaré se sentir traitées comme des criminels. Dans de nombreux cas, ils ne comprennent pas les motifs procéduraux de leur détention et sont donc soumis à un stress encore plus grand. Les personnes qui ont déjà été détenues arbitrairement dans leur pays d’origine et lors de leur périple signalent des flashbacks et des problèmes psychologiques résultant des conditions de détention pouvant conduire à de nouveaux traumatismes.

      Même s’ils sont finalement libérés, ils sont toujours dans un état mental d’angoisse permanente lié à la peur constante de pouvoir être arrêtés et expulsés à tout moment, sans aucune option légale pour se défendre. Ces politiques de détention des migrants ne visent pas à résoudre les problèmes de la prétendue “crise des réfugiés”. Au lieu de cela, ils visent avec un succès limité à faire en sorte que l’accord UE-Turquie fonctionne et à ce qu’au moins une partie des migrants rentrent en Turquie. Au niveau local, les politiques de détention sont en outre avant tout des mesures d’oppression, conçues pour pouvoir prévenir les émeutes et soi-disant pour “gérer” une situation qui est en fait “impossible à gérer” : la concentration de milliers de personnes – dont beaucoup souffrent de maladies psychologiques telles que des traumatismes – pendant des mois et des années dans des conditions de vie extrêmement précaires sur une île où les gens perdent progressivement tout espoir de trouver un meilleur avenir.

      https://cevennessansfrontieres.noblogs.org/post/2018/10/24/la-prison-dans-la-prison-dans-la-prison-le-centre-de
      #détention #prison #centre_de_détention #hotspot

    • Moria: la crisi della salute mentale alle porte d’Europa

      Migliaia di persone vivono ammassate in tende, suddivise in base al gruppo etnico di appartenenza. Siamo a Moria, sull’isola di Lesbo, il centro per migranti tristemente noto per le terribili condizioni in cui versa e per i problemi di salute delle persone che ospita. Tra gli assistiti dal International Rescue Committee 64% soffre di depressione, il 60% ha pensieri suicidi e il 29% ha provato a togliersi la vita. Marianna Karakoulaki ci racconta i loro sogni, le speranze e la realtà che invece sono costretti a vivere.

      In una delle centinaia di tende fuori da Moria, il centro di accoglienza e identificazione sull’isola greca di Lesbo, tre donne siriane parlano della vita nel loro paese prima della guerra e delle condizioni sull’isola. Temono che le loro dichiarazioni possano compromettere l’esito delle loro richieste di asilo, perciò non vogliono essere identificate né fotografate. Ma sono più che disposte a raccontare le esperienze che hanno vissuto dal loro arrivo a Moria.

      Quando parlano della Siria prima della guerra, a tutte e tre brillano gli occhi; lo descrivono come un paradiso in terra. Poi però è arrivata la guerra e tutto è cambiato; sono dovute fuggire.

      Due di loro sono sbarcate sull’isola sette mesi fa, mentre l’altra è qui solo da un mese. Quando passano a descrivere Moria e la vita che conducono qui, i loro occhi si riempiono di lacrime. Moria è un luogo orribile, paragonabile alla Siria devastata dalla guerra.

      “Se avessi saputo com’era la situazione qui, sarei rimasta in Siria sotto ai bombardamenti. Almeno lì avevano case al posto di tende”, dichiara la più anziana.

      Da quando è stata adottata la dichiarazione UE-Turchia per arrestare il flusso dei migranti in Europa, in Grecia è stato avviato il meccanismo europeo degli hotspot. Questo approccio era stato presentato per la prima volta con l’Agenda europea sulla migrazione 2017, ed è sostanzialmente basato sulla creazione di centri di accoglienza e identificazione nelle zone in cui arrivano i rifugiati. Fra queste c’è l’isola di Lesbo, e Moria è stato usato come centro di accoglienza per i rifugiati, diventando di fatto il primo hotspot greco. In un certo senso, la dichiarazione UE-Turchia ha legittimato l’approccio complessivo dell’Unione Europea al fenomeno migratorio.

      Moria è anche il più tristemente noto degli hotspot greci, per via del sovraffollamento e delle terribili condizioni di vita. Al momento della pubblicazione di questo articolo, più di 5800 persone risiedono in un’area che ha una capacità massima di 3100. Già base militare, oggi ha gli stessi abitanti di una cittadina greca, ma le condizioni di vita sono inadatte per chiunque. Si verificano regolarmente rivolte e aggressioni, e i rifugiati temono per la propria incolumità. A causa del sovraffollamento, gli operatori hanno allestito centinaia di tende in una zona chiamata Oliveto, che a prima vista sembra suddivisa in zone, ciascuna abitata da un gruppo etnico diverso.
      Una crisi della salute mentale

      Le organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno condannato la situazione a Moria e ribadito la necessità di un decongestionamento. Un rapporto pubblicato a settembre dall’IRC (International Rescue Committee, Comitato internazionale di soccorso) ha sottolineato i gravi costi per la salute mentale dei rifugiati e parla di una vera e propria crisi.

      I dati forniti nel rapporto sono impressionanti. Dei 126 assistiti da IRC, il 64% soffre di depressione, il 60% ha pensieri suicidi e il 29% ha provato a togliersi la vita; il 15% ha invece compiuto atti di autolesionismo, mentre il 41% presenta sintomi di disturbo da stress post traumatico e il 6% manifesta sintomi di psicosi.

      La più anziana delle tre donne è arrivata in Grecia insieme alla famiglia, fra cui il figlio ventenne. Lo ricorda in Siria come un giovane attivo e pieno di amici, ma quando è arrivato in Grecia la sua salute mentale è peggiorata per via delle condizioni del campo. Un giorno, mentre era da ore in fila per un pasto, è stato aggredito e pugnalato. Non è mai più tornato a fare la fila. Ha anche pensieri suicidi ed esce a stento dalla sua tenda.

      Ascoltando il suo racconto, la più giovane delle tre donne dice di riconoscere alcuni degli stessi sintomi nel comportamento di suo marito.

      “Mio marito aveva già problemi di salute mentale nel nostro paese. Ma gli hanno dato del paracetamolo”, racconta.

      Le esperienze vissute dai rifugiati di Moria prima e durante la fuga dai paesi di origine possono essere traumatiche. Alcuni di loro sono stati imprigionati, torturati o violentati. Le condizioni di vita nell’hotspot possono amplificare questi traumi.

      Secondo Alessandro Barberio, psichiatra di Medici senza frontiere e del Dipartimento di salute mentale di Trieste, chi arriva sull’isola ha già patito grandi avversità nel paese di origine. Tuttavia l’assenza di alloggi adeguati, le attese interminabili e le condizioni deplorevoli possono riportare alla luce traumi passati o crearne di nuovi.

      “Quelli che arrivano qui, prima o poi – ma spesso dopo poco tempo – iniziano a manifestare sintomi di psicosi. Credo che ciò sia legato ai grossi traumi vissuti in patria e poi alle condizioni di vita dell’hotspot di Moria, che possono facilmente scatenare sintomi psicotici e non sono disturbi da stress post traumatico”, spiega.

      Barberio definisce poi negative e controproducenti le condizioni di vita all’interno del campo.

      L’assenza di speranze e di qualsiasi aspettativa, l’assenza di risposte, di diritti e della più elementare umanità sono legate ai traumi dei rifugiati e al tempo stesso li aggravano. Fra i sintomi che Barberio ha riscontrato nei pazienti ci sono disorientamento, stato confusionale, incapacità di rapportarsi agli altri o partecipare alle attività quotidiane. I traumi passati, unitamente alle condizioni attuali, possono portare i pazienti a sentire voci o a sperimentare visioni.

      “So riconoscere quel che vedo, e sto assistendo a nuovi casi di persone con sintomi psichiatrici. Si tratta di persone che non erano già pazienti psichiatrici. I loro sintomi, sebbene legati a eventi traumatici passati, sono del tutto nuovi.”
      Mancano le garanzie di base per la salute mentale

      Morteza* vive nella parte superiore dell’Oliveto, nella zona afgana del campo, che sembra essere stata dimenticata dalle autorità e dagli operatori in quanto occupa una proprietà privata. Ci vive insieme alla sorella, al cognato e ai loro bambini. Prima viveva in Iran, dove i diritti degli afgani erano fortemente limitati; poi si è trasferito in Afghanistan da adulto, ma è dovuto fuggire in seguito a un attacco dei talebani in cui è rimasto ferito.

      Morteza soffre di depressione e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Quando viveva in Iran seguiva una terapia farmacologica per tenere a bada i sintomi, ma una volta arrivato in Grecia ha dovuto interromperla. Le farmacie del luogo non accettavano la sua ricetta, e all’ospedale di Mitilene, dove ha richiesto una visita, gli hanno prospettato un’attesa di mesi.

      “L’ADHD può essere molto problematica per gli adulti. Non riesco a concentrarmi, mi interrompo mentre parlo perché dimentico cosa volevo dire. Mi scordo le cose di continuo, e questo mi preoccupa in vista del colloquio per l’asilo. Devo annotarmi tutto in un taccuino”, spiega, mostrandomi un mazzetto di post-it gialli che porta sempre con sé.

      Nel campo di Moria vengono prestate le cure di base, ma le condizioni di sovraffollamento hanno messo in ginocchio i servizi sanitari. Stando al rapporto dell’IRC, le autorità statali greche responsabili della gestione di Moria sono incapaci di fornire sostegno ai rifugiati, non potendo venire incontro alle loro necessità di base, fra cui la salute fisica e mentale.

      Morteza appare disperato. La sua salute mentale è peggiorata e pensa ogni giorno al suicidio. Il suo colloquio per la richiesta di asilo è fissato per la primavera del 2019, ma lui sembra aver perso ogni speranza.

      “Lo so che non resterò qui per sempre, ma quando vedo i diritti umani calpestati non vedo la differenza rispetto a dove mi trovavo prima. Come posso continuare ad avere speranze per il futuro? Non voglio restare intrappolato su quest’isola per anni”, spiega.
      Una crisi europea

      Benché l’anno scorso varie ONG abbiano lanciato un appello congiunto per decongestionare l’isola e migliorare le condizioni dei rifugiati, ciò appare impossibile. Da quando è stata adottata la dichiarazione UE-Turchia sulla migrazione, i rifugiati sono soggetti a restrizioni di movimento, per cui non possono lasciare l’isola finché non hanno completato la procedura di asilo o se vengono dichiarati vulnerabili. Tuttavia, stando al rapporto dell’IRC, “i cambiamenti continui dei criteri di vulnerabilità e le rispettive procedure operative fanno temere l’insorgere di una tendenza alla riduzione del numero di richiedenti asilo riconosciuti come vulnerabili”.

      Il sistema di accoglienza ai rifugiati dell’Unione Europea costringe i rifugiati di Lesbo a un processo che ha conseguenze dirette sulla loro vita e un impatto potenzialmente gravissimo sulla loro salute mentale. Senza una strategia o una pianificazione ad hoc da parte delle autorità greche per risolvere tale crisi, i rifugiati sono abbandonati in un limbo.

      Secondo Alessandro Barberio, il soggiorno prolungato sull’isola nelle condizioni attuali priva le persone di tutti i sogni e le speranze che potevano nutrire per il futuro.

      “I rifugiati non hanno la possibilità di pensare che domani è un altro giorno, perché sono bloccati qui. Naturalmente c’è chi è più bravo a resistere, chi si organizza in gruppi, chi partecipa a varie attività, ma alla fine della giornata devono tutti rientrare a Moria”, dice.

      Per le tre donne siriane Moria è un luogo terrificante. Temono per la loro incolumità, temono per la salute dei figli e dei mariti. Ma dato che sono siriane, prima o poi potranno lasciare Moria e forse trovare asilo in Grecia.

      Per Morteza, invece, le cose saranno sempre più difficili e lui sembra già saperlo. Mentre ascolta musica metal sul telefono, parla del suo unico sogno: andare all’università e studiare filosofia, materia secondo lui in grado di guarire l’anima.

      Dal nostro ultimo incontro, Morteza è fuggito dall’isola.

      https://openmigration.org/analisi/moria-la-crisi-della-salute-mentale-alle-porte-deuropa/?platform=hootsuite

    • Lesbos à bout de souffle

      A Lesbos, en Grèce, où se trouve le plus grand camp de migrants d’Europe, la pression monte. Depuis la signature d’un accord avec la Turquie en 2016, les demandeurs d’asile n’ont pas le droit de quitter l’île sans autorisation. Problème ? Les démarches administratives sont très longues, et en attendant leur entretien, les individus restent confinés dans un camp surpeuplé où les conditions sanitaires sont très difficiles. Résultat, Médecins Sans Frontières est confronté à de nombreux problèmes de santé mentale. Le système, à bout de souffle, ne tient que grâce au travail des nombreuses ONG locales tandis que l’Europe reste impuissante.

      https://guitinews.fr/video/2019/05/25/hot-spots-2-lesbos-a-bout-de-souffle
      #vidéo

  • Je pensais avoir archivé sur seenthis un article (au moins) qui montrait qu’une partie des personnes rapatriées (#retours_volontaires), par l’#OIM (#IOM) notamment, du #Niger et de #Libye vers leurs pays d’origine reprenaient la route du Nord aussitôt...
    Mais je ne retrouve plus cet article... est-ce que quelque seenthisien se rappelle de cela ? ça serait super !
    #renvois #expulsions #migrations #réfugiés #retour_volontaire

    J’étais presque sûre d’avoir utilisé le tag #migrerrance, mais apparemment pas...

    • #merci @02myseenthis01, en effet il s’agit d’articles qui traitent du retour volontaire, mais non pas de ce que je cherche (à moins que je n’ai pas loupé quelque chose), soit de personnes qui, une fois rapatriées via le programme de retour volontaires, décident de reprendre la route de la migration (comme c’est le cas des Afghans, beaucoup plus documenté, notamment par Liza Schuster : https://www.city.ac.uk/people/academics/liza-schuster)

    • Libya return demand triggers reintegration headaches

      “This means that the strain on the assistance to integration of the country of origin has been particularly high because of the success, paradoxically of the return operation,” said Eugenio Ambrosi, IOM’s Europe director, on Monday (12 February).

      “We had to try, and we are still trying, to scale up the reintegration assistance,” he said.

      Since November, It has stepped up operations, along with the African Union, and helped 8,581 up until earlier this month. Altogether some 13,500 were helped given that some were also assisted by African Union states. Most ended up in Nigeria, followed by Mali and Guinea.

      People are returned to their home countries in four ways. Three are voluntary and one is forced. The mixed bag is causing headaches for people who end up in the same community but with entirely different integration approaches.

      “The level of assistance and the type of reintegration assistance that these different programmes offer is not the same,” noted Ambrosi.

      https://euobserver.com/migration/140967
      #réintégration

      Et une partie de cet article est consacrée à l’#aide_au_retour par les pays européens :

      Some EU states will offer in-kind support, used to set up a business, training or other similar activities. Others tailor their schemes for different countries of origin.

      Some others offer cash handouts, but even those differ vastly.

      Sweden, according to a 2015 European Commission report, is the most generous when it comes to cash offered to people under its voluntary return programme.

      It noted that in 2014, the maximum amount of the in-cash allowance at the point of departure/after arrival varied from €40 in the Czech Republic and €50 in Portugal to €3,750 in Norway for a minor and €3,300 in Sweden for an adult.

      Anti-migrant Hungary gave more (€500) than Italy (€400), the Netherlands (€300) and Belgium (€250).

      However, such comparisons on cash assistance does not reveal the full scope of help given that some of the countries also provide in-kind reintegration support.

    • For Refugees Detained in Libya, Waiting is Not an Option

      Niger generously agreed to host these refugees temporarily while European countries process their asylum cases far from the violence and chaos of Libya and proceed to their resettlement. In theory it should mean a few weeks in Niger until they are safely transferred to countries such as France, Germany or Sweden, which would open additional spaces for other refugees trapped in Libya.

      But the resettlement process has been much slower than anticipated, leaving Helen and hundreds of others in limbo and hundreds or even thousands more still in detention in Libya. Several European governments have pledged to resettle 2,483 refugees from Niger, but since the program started last November, only 25 refugees have actually been resettled – all to France.

      As a result, UNHCR announced last week that Niger authorities have requested that the agency halt evacuations until more refugees depart from the capital, Niamey. For refugees in Libya, this means their lifeline to safety has been suspended.

      Many of the refugees I met in Niger found themselves in detention after attempting the sea journey to Europe. Once intercepted by the Libyan coast guard, they were returned to Libya and placed in detention centers run by Libya’s U.N.-backed Government of National Accord (GNA). The E.U. has prioritized capacity building for the Libyan coast guard in order to increase the rate of interceptions. But it is an established fact that, after being intercepted, the next stop for these refugees as well as migrants is detention without any legal process and in centers where human rights abuses are rife.

      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/03/12/for-refugees-detained-in-libya-waiting-is-not-an-option

      #limbe #attente

      #réinstallation (qui évidemment ne semble pas vraiment marcher, comme pour les #relocalisations en Europe depuis les #hotspots...) :

      Several European governments have pledged to resettle 2,483 refugees from Niger, but since the program started last November, only 25 refugees have actually been resettled – all to France.

    • “Death Would Have Been Better” : Europe Continues to Fail Refugees and Migrants in Libya

      Today, European policies designed to keep asylum seekers, refugees, and migrants from crossing the Mediterranean Sea to Italy are trapping thousands of men, women and children in appalling conditions in Libya. This Refugees International report describes the harrowing experiences of people detained in Libya’s notoriously abusive immigration detention system where they are exposed to appalling conditions and grave human rights violations, including arbitrary detention and physical and sexual abuse.

      https://www.refugeesinternational.org/reports/libyaevacuations2018

      #rapport

      Lien vers le rapport :

      The report is based on February 2018 interviews conducted with asylum seekers and refugees who had been evacuated by UNHCR from detention centers in Libya to Niamey, Niger, where these men, women, and children await resettlement to a third country. The report shows that as the EU mobilizes considerable resources and efforts to stop the migration route through Libya, asylum seekers, refugees and migrants continue to face horrendous abuses in Libya – and for those who attempt it, an even deadlier sea crossing to Italy. RI is particularly concerned that the EU continues to support the Libyan coast guard to intercept boats carrying asylum seekers, refugees and migrants and bring them back to Libyan soil, even though they are then transferred to detention centers.

      https://static1.squarespace.com/static/506c8ea1e4b01d9450dd53f5/t/5ad3ceae03ce641bc8ac6eb5/1523830448784/2018+Libya+Report+PDF.pdf
      #évacuation #retour_volontaire #renvois #Niger #Niamey

    • #Return_migration – a regional perspective

      The current views on migration recognize that it not necessarily a linear activity with a migrant moving for a singular reason from one location to a new and permanent destination. Within the study of mixed migration, it is understood that patterns of movements are constantly shifting in response to a host of factors which reflect changes in individual and shared experiences of migrants. This can include the individual circumstance of the migrant, the environment of host country or community, better opportunities in another location, reunification, etc.[1] Migrants returning to their home country or where they started their migration journey – known as return migration—is an integral component of migration.

      Return migration is defined by the International Organization for Migration (IOM) as the act or process of going back to the point of departure[2]. It varies from spontaneous, voluntary, voluntary assisted and deportation/forced return. This can also include cyclical/seasonal return, return from short or long term migration, and repatriation. Such can be voluntary where the migrant spontaneously returns or assisted where they benefit from administrative, logistical, financial and reintegration support. Voluntary return includes workers returning home at the end of their labour arrangements, students upon completion of their studies, refugees and asylum seekers undertaking voluntary repatriation either spontaneously or with humanitarian assistance and migrants returning to their areas of origin after residency abroad. [3] Return migration can also be forced where migrants are compelled by an administrative or judicial act to return to their country of origin. Forced returns include the deportation of failed asylum seekers and people who have violated migration laws in the host country.

      Where supported by appropriate policies and implementation and a rights-based approach, return migration can beneficial to the migrant, the country of origin and the host country. Migrants who successfully return to their country of origin stand to benefit from reunification with family, state protection and the possibility of better career opportunities owing to advanced skills acquired abroad. For the country of origin, the transfer of skills acquired by migrants abroad, reverse ‘brain drain’, and transactional linkages (i.e. business partnerships) can bring about positive change. The host country benefits from such returns by enhancing strengthened ties and partnerships with through return migrants. However, it is critical to note that return migration should not be viewed as a ‘solution’ to migration or a pretext to arbitrarily send migrants back to their home country. Return migration should be studied as a way to provide positive and safe options for people on the move.
      Return migration in East Africa

      The number of people engaging in return migration globally and in the Horn of Africa and Yemen sub-region has steadily increased in recent years. In 2016, IOM facilitated voluntary return of 98,403 persons worldwide through its assisted voluntary return and re-integration programs versus 69,540 assisted in 2015. Between December 2014 and December 2017, 76,589 refugees and asylum seekers were assisted by humanitarian organisations to return to Somalia from Kenya.

      In contexts such as Somalia, where conflict, insecurity and climate change are common drivers for movement (in addition to other push and pull factors), successful return and integration of refugees and asylum seekers from neighbouring countries is likely to be frustrated by the failure to adequately address such drivers before undertaking returns. In a report titled ‘Not Time To Go Home: Unsustainable returns of refugees to Somalia’,Amnesty International highlights ongoing conflict and insecurity in Somalia even as the governments of Kenya and Somali and humanitarian agencies continue to support return programs. The United Nations has cautioned that South and Central parts of Somalia are not ready for large scale returns in the current situation with over 2 million internally displaced persons (IDPs) in the country and at least half of the population in need of humanitarian assistance; painting a picture of returns to a country where safety, security and dignity of returnees cannot be guaranteed.

      In March 2017, the Kingdom of Saudi Arabia ordered all undocumented migrants to regularize their status in the Kingdom giving them a 90-day amnesty after which they would face sanctions including deportations. IOM estimates that 150,000 Ethiopians returned to Ethiopia from Saudi Arabia between March 2017 and April 2018. Since the end of the amnesty period in November 2017, the number of returns to Ethiopia increased drastically with approximately 2,800 migrants being deported to Ethiopia each week. Saudi Arabia also returned 9,563 Yemeni migrants who included migrants who were no longer able to meet residency requirements. Saudi Arabia also forcibly returned 21,405 Somali migrants between June and December 2017.

      Migrant deportations from Saudi Arabia are often conducted in conditions that violate human rights with migrants from Yemen, Somalia and Ethiopia reporting violations. An RMMS report titled ‘The Letter of the Law: Regular and irregular migration in Saudi Arabia in a context of rapid change’ details violations which include unlawful detention prior to deportation, physical assault and torture, denial of food and confiscation of personal property. There were reports of arrest and detention upon arrival of Ethiopian migrants who had been deported from Saudi Arabia in 2013 during which the migrants were reportedly tortured by Ethiopian security forces.

      Further to this, the sustainability of such returns has also been questioned with reports of returnees settling in IDP camps instead of going back to their areas of origin. Such returnees are vulnerable to (further) irregular migration given the inability to integrate. Somali refugee returnees from Kenya face issues upon return to a volatile situation in Somalia, often settling in IDP camps in Somalia. In an RMMS research paper ‘Blinded by Hope: Knowledge, Attitudes and Practices of Ethiopian Migrants’, community members in parts of Ethiopia expressed concerns that a large number of returnees from Saudi Arabia would migrate soon after their return.

      In November 2017, following media reports of African migrants in Libya being subjected to human rights abuses including slavery, governments, humanitarian agencies and regional economic communities embarked on repatriating vulnerable migrants from Libya. African Union committed to facilitating the repatriation of 20,000 nationals of its member states within a period of six weeks. African Union, its member states and humanitarian agencies facilitated the return of 17,000 migrants in 2017 and a further 14,000 between January and March 2018.[4]
      What next?

      Return migration can play an important role for migrants, their communities, and their countries, yet there is a lack of research and data on this phenomenon. For successful return migration, the drivers to migration should first be examined, including in the case of forced displacement or irregular migration. Additionally, legal pathways for safe, orderly and regular migration should be expanded for all countries to reduce further unsafe migration. Objective 21 of the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (Draft Rev 1) calls upon member states to ‘cooperate in facilitating dignified and sustainable return, readmission and reintegration’.

      In addition, a legal and policy framework facilitating safe and sustainable returns should be implemented by host countries and countries of origin. This could build on bilateral or regional agreements on readmissions, creation of reception and integration agencies for large scale returns, the recognition and assurance of migrant legal status, provision of identification documents where needed, amending national laws to allow for dual citizenship, reviewing taxes imposed on the diaspora, recognition of academic and vocational skills acquired abroad, support to vulnerable returnees, financial assistance where needed, incentives to returnee entrepreneurs, programs on attracting highly skilled returnees. Any frameworks should recognize that people have the right to move, and should have their human rights and dignity upheld at all stages of the migration journey.

      http://www.mixedmigration.org/articles/return-migration-a-regional-perspective

    • Reçu via la mailing-list Migreurop, le 20.09.2018

      Niamey, le 20 septembre 2018

      D’après des témoignages recueillis près du #centre_de_transit des #mineurs_non_accompagnés du quartier #Bobiel à Niamey (Niger), des rixes ont eu lieu devant le centre, ce mardi 18 septembre.

      A ce jour, le centre compterait 23 mineurs et une dizaine de femmes avec des enfants en bas âge, exceptionnellement hébergés dans ce centre en raison du surpeuplement des structures réservées habituellement aux femmes.

      Les jeunes du centre font régulièrement état de leurs besoins et du non-respect de leurs droits au directeur du centre. Certains y résident en effet depuis plusieurs mois et ils sont informés des services auxquels ils devraient avoir accès grâce à une #charte des centre de l’OIM affichée sur les murs (accès aux soins de santé, repas, vêtements - en particulier pour ceux qui sont expulsés de l’Algérie sans leurs affaires-, activité récréative hebdomadaire, assistance légale, psychologique...). Aussi, en raison de la lourdeur des procédures de « #retours_volontaires », la plupart des jeunes ne connaissent pas la date de leur retour au pays et témoignent d’un #sentiment_d'abandon.

      Ces derniers jours certains jeunes ont refusé de se nourrir pour protester contre les repas qui leur sont servis (qui seraient identiques pour tous les centres et chaque jour).
      Ce mardi, après un vif échange avec le directeur du centre, une délégation de sept jeunes s’est organisée et présentée au siège de l’OIM. Certains d’entre eux ont été reçus par un officier de protection qui, aux vues des requêtes ordinaires des migrants, s’est engagé à répondre rapidement à leurs besoins.
      Le groupe a ensuite rejoint le centre où les agents de sécurité du centre auraient refusé de les laisser entrer. Des échanges de pierres auraient suivi, et les gardiens de la société #Gadnet-Sécurité auraient utilisé leurs matraques et blessé légèrement plusieurs jeunes. Ces derniers ont été conduits à l’hôpital, après toutefois avoir été menottés et amenés au siège de la société de gardiennage.

      L’information a été diffusée hier soir sur une chaine de télévision locale mais je n’ai pas encore connaissance d’articles à ce sujet.

      Alizée

      #MNA #résistance #violence

    • Agadez, des migrants manifestent pour rentrer dans leurs pays

      Des migrants ont manifesté lundi matin au centre de transit de l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM). Ce centre est situé au quartier #Sabon_Gari à Agadez au Niger. Il accueille à ce jour 800 migrants.

      Parmi eux, une centaine de Maliens. Ces migrants dénoncent la durée de leurs séjours, leurs conditions de vie et le manque de communication des responsables de l’OIM.


      https://www.studiotamani.org/index.php/magazines/16726-le-magazine-du-21-aout-2018-agadez-des-migrants-maliens-manifest
      #manifestation #Mali #migrants_maliens

  • New Paper Identifying Emerging Hot Spots of Deforestation | Blue Raster
    https://www.blueraster.com/publication-emerging-hot-spots

    Published in Environmental Research Letters, the study lays out the data-analysis workflow Blue Raster developed to identify trends in tree-cover loss in Brazil, Indonesia, and the Democratic Republic of Congo (DRC) between 2000 and 2014. Using Esri’s emerging hot spot analysis and big data analysis techniques, Blue Raster identified persistent, accelerating, and new hot spots of tree-cover loss, as well as cold spots of diminishing loss. New forest policies such as logging moratoria and incentives were linked with reduced forest clearing, whereas timber harvesting, road-building, and agricultural land clearing were associated with hot spots.

    http://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/aa5a2f

    #forêt #déforestation #cartographie

  • Le faux semblant des #hotspots

    L’« approche hotspots » est l’une des réponses à ce que l’Union européenne a appelé la « crise migratoire » de 2015. Elle consiste à apporter l’appui d’agences européennes (essentiellement le bureau européen d’appui en matière d’asile (BEAA) et l’agence Frontex) dans des zones situées à la frontière extérieure de l’UE et confrontées, selon la formule de la Commission européenne, à des « pressions migratoires démesurées » pour s’assurer que tous les migrants qui pénètrent sur le territoire européen sont identifiés, enregistrés et que leur cas est traité en fonction de leur situation : prise en charge des personnes éligibles à l’asile, renvoi des autres. L’« approche hotspots » s’est rapidement traduite, dans les deux pays où elle a été déployée, l’Italie et la Grèce, par la création de centres de confinement – lorsqu’il ne s’est pas agi de centres de détention –, générateurs de violences, surpeuplés et sous-équipés, où le tri des arrivants s’effectue au mépris des règles européennes et internationales en matière d’accueil des demandeurs d’asile et de traitement de leurs demandes. Cet article se propose de décrire le cadre juridique incertain de l’« approche hotspots » et sa mise en œuvre dans les deux pays concernés depuis sa mise en place fin 2015, ainsi que les conséquences qu’elle a entraînées sur les droits fondamentaux des personnes. Il montre que ce dispositif, complété par le mécanisme de « relocalisation » des demandeurs d’asile et la conclusion de l’accord migratoire entre l’UE et la Turquie de 2016, participe d’une stratégie ancienne des pays européens de tenir à distance les exilés qui cherchent à rejoindre l’Europe, fût-ce au prix du contournement des principes qui les engagent au plan régional avec la Charte des droits fondamentaux de l’UE et Convention européenne des droits de l’homme, et international avec la Convention de Genève sur les réfugiés.

    https://revdh.revues.org/3375
    #asile #migrations #réfugiés

    • #Frontex condemned by its own fundamental rights body for failing to live up to obligations

      Frontex, the EU’s border agency, has been heavily criticised for failing to provide adequate staff and resources to its own Fundamental Rights Office, a problem that “seriously hinders the Agency’s ability to deliver on its fundamental rights obligations.”

      The criticisms come in a report from the Consultative Forum on Fundamental Rights, an independent advisory body made up of experts from other EU agencies, international organisations and NGOs.

      As well as noting an ongoing “reluctance” to provide the Fundamental Rights Office with “sufficiently qualified staff,” the Consultative Forum report raises concerns over Frontex’s role at the Serbian-Hungarian border, a failure to update and effectively implement codes of conduct and a complaints mechanism, and the lack of independent monitoring of forced return operations coordinated by the agency.

      See: Frontex Consultative Forum on Fundamental Rights - Fifth Annual Report (pdf): http://statewatch.org/news/2018/may/eu-frontex-consultative-forum-on-fundamental-rights-report-2017.pdf

      Fundamental rights sidelined

      While the Consultative Forum exists to provide “independent advice” to Frontex’s executive director and management board and is staffed voluntarily, the Fundamental Rights Officer is a Frontex official tasked with “contributing to the Agency’s fundamental rights strategy… monitoring its compliance with fundamental rights and… promoting its respect of fundamental rights.”

      The Officer has to oversee a large organisation - Frontex foresaw (pdf: https://frontex.europa.eu/assets/Key_Documents/Programming_Document/2018/Programming_Document_2018-2020.pdf) having 352 staff at the end of 2017, and 418 by the end of this year - yet “lacks the minimum capacity to carry outs its role,” according to the Consultative Forum, with just four staff working alongside the officer and one member of secretarial staff.

      The report states that “the lack of adequate staffing seriously hinders the Agency’s ability to deliver on its fundamental rights obligations including on key areas such as Frontex operational activities, the newly established complaints mechanism or the protection of children.”

      The Consultative Forum has come up against its own problems in attempting to carry out its tasks. According to Article 70(5) of the Frontex Regulation adopted in 2016, “the consultative forum shall have effective access to all information concerning the respect for fundamental rights.”

      Yet the report complains that the Forum “continues to face serious and further limitations” on access to information, “particularly in relation to relevant operational reference and guiding documents.” Despite “repeatedly raising this concern with Frontex management,” it is yet to receive a “final response or constructive proposal.”

      Given that Frontex operational documents have included (http://www.statewatch.org/news/2017/feb/eu-frontex-op-hera-debriefing-pr.htm) instructions for border guards to target “migrants from minority ethnic groups, and individuals who may have been isolated or mistreated during their journey,” the need for access to such information by fundamental rights monitoring bodies is clear.

      In this regard, the Consultative Forum highlights that “external oversight” - for example by the European and national parliaments and civil society groups - “remains of particular importance”.

      The Hungarian-Serbian border

      In November 2016 the Consultative Forum recommended that Frontex teams be withdrawn from the Hungarian-Serbian border due to fundamental rights concerns, but the Executive Director rebuffed the proposal, arguing that Frontex’s presence can “minimise potential risks related to the use of force” and can assist in documenting “circumstances on the ground.”

      Indeed, the positive effect of Frontex presence on national border guards has been noted elsewhere - following a trip to the Bulgarian-Turkish border, French MEP Marie-Christine Vergiat reported NGOs as saying that “whenever a Frontex officer was involved in a [Bulgarian border guard] patrolling group, there were no abuses.” (http://bulgarianpresidency.eu/marie-christine-vergiat-teaming-bulgarian-turkish-border-guards-)

      However, given the European Commission’s decision to launch an infringement procedure against Hungary for new asylum legislation that includes automatic detention, limitations on legal assistance and measures for automatic expulsion, the Forum reasserted its recommendation.

      The agency has apparently “significantly reduced the number of deployed officers and assets in Hungary,” according to the report, but a number remain in place and the Consultative Forum warns that the developments in Hungarian law and practice “have further exacerbated the risks of Frontex being involved in serious fundamental rights violations.”

      Complaints mechanism and codes of conduct

      The need for Frontex to establish a complaints mechanism so that individuals can seek redress for potential fundamental rights violations that they may have suffered during operations coordinated by the agency is a long-standing issue (https://www.ombudsman.europa.eu/activities/speech.faces/en/73745/html.bookmark), and the 2016 Regulation (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1624) introduced such a mechanism (in Article 72), to be overseen by the agency in cooperation with the Fundamental Rights Officer.

      There is now, however, a need to implement this mechanism and the Consultative Forum’s report notes that:

      “The rules should, among other points, provide further details on the respective roles of the different actors involved in the procedure, specify the timeframe for the processing of complaints, and provide for the possibility of anonymous complaints. In this context the Consultative Forum reiterates its calls for the allocation of more technical staff and means to the Fundamental Rights Officer.”

      The Forum also highlights the agency’s decision to discard its recommendations on the ’Code of Conduct for all persons participating in Frontex activities’, which would have seen the inclusion of “specific references to omissions or failures to act or to the prohibition to obey or obligation not to comply with and report instructions that are illicit or against international, EU or national legislation, the Code of Conduct or the legal framework of the activity.”

      The agency is also redrafting its ’Code of Conduct for Return Operations and Return Interventions’, which is expected to be adopted this year. The Forum notes that it is “essential to strengthen the wording relating to the legal framework and, in particular, fundamental rights obligations such as the right to an effective remedy,” and makes a number of specific proposals.

      Monitoring of forced return operations

      In 2017 the agency coordinated and/or co-financed 341 forced return operations - 150 national return operations (involving just one Member State), 153 joint return operations (involving one or more Member State) and 38 collecting return operations, in which the authorities of non-EU states are involved in the “collection” of their own nationals.

      Of these 341 operations, a human rights monitor accompanied 188 of them, just 41% of the total, but nevertheless an increase on the previous year. However, the report indicates that a particularly low number of national return operations - 20 of 150 - were monitored.

      The report also notes 50 “readmission” operations from Greece to Turkey conducted by Frontex, in the framework of the EU-Turkey deal. Only 22 of these were monitored. The Forum recommends treating readmission operations in the same way as return operations, “in order to make use of the already existing standards for return operations (code, monitoring, escorts training, etc.).”

      The list goes on

      Other problems for the Consultative Forum in 2017 include a failure to prioritise the revision of Frontex’s fundamental rights strategy (now foreseen for adoption sometime this year), the need to “mainstream” gender perspectives and issues into Frontex activities, and some issues with the terminology deployed in the Africa-Frontex Intelligence Community reports, such as references to “illegal” migrants and referring to operations by the Libyan Coast Guard as “rescues”.

      Elsewhere, the Consultative Forum notes good progress made on updating measures to try to ensure the protection of children and migration and the identification of minors at risk of abuse. Nevertheless, for an agency whose “mission” is “to promote, coordinate and develop European border management in line with the EU fundamental rights charter,” it seems that the former is being given priority over the latter.

      http://statewatch.org/news/2018/may/eu-frontex-fr-rep.htm

      #droits_fondamentaux #droits_humains #condamnation #frontières #asile #migrations #réfugiés

  • Au Tchad, des réfugiés espèrent être sélectionnés pour pouvoir enfin rejoindre la France

    L’Office français de protection des réfugiés et apatrides a sélectionné 240 Centrafricains et Soudanais dans le cadre du plan d’accueil du président Emmanuel Macron.

    Le recrutement de réfugiés africains qu’on vient auditionner sur leur continent est une première pour la France. Le 27 juillet, Emmanuel Macron, sachant impossible d’ouvrir dans l’immédiat des hot spots en Libye, avait annoncé l’organisation de « missions de protection dans les pays du Sahel ». Le sommet de l’Elysée du 28 août en a scellé le principe avec les présidents tchadien et nigérien.

    http://www.lemonde.fr/societe/article/2017/10/28/au-tchad-des-refugies-esperent-etre-selectionnes-pour-pouvoir-enfin-rejoindr
    #externalisation #procédure_d'asile #migrations #réfugiés #France #asile #Tchad #OFPRA #hotspots #Niger
    cc @isskein

    • L’Ofpra a mené sa première mission d’identification de réfugiés au Tchad

      L’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra) a mené, cette semaine, au Tchad, sa première mission d’identification de réfugiés éligibles à l’asile en France. Une délégation cet organisme français a entendu plus de 200 personnes. Il s’agit de la première mise en œuvre de la décision du président français, Emmanuel Macron, de mener, dans le Sahel, une identification de réfugiés éligibles au droit d’asile et qui éviteraient ainsi la dangereuse route illégale de la Libye et de la Méditerranée.

      http://www.rfi.fr/afrique/20171028-france-tchad-niger-ofpra-tchad-niger-refugies-droit-asile-emmanuel-macr