• Au-delà des idées préconçues

    https://indicators.nccr-onthemove.ch/au-dela-des-idees-preconcues/?lang=fr
    #Suisse

    3 vidéos...

    Idée préconçue #1
    « Les migrants, ils viennent pour profiter de la Suisse. »
    https://www.youtube.com/watch?time_continue=46&v=cFZywZz03FQ


    #préjugés #idées_reçues #migrations #Suisse #réfugiés #asile #migrants_économiques #économie #travail #éducation

    Idée préconçue #2 :
    « Les migrants, ils viennent de pays pauvres. »
    https://www.youtube.com/watch?v=UQfMN9fmx6M


    #migration_internationale #solde_migratoire #immigration #émigration

    Idée préconçue #3 :
    « Avec autant d’arrivées, il y aura bientôt plus de migrants que de Suisses. »
    https://www.youtube.com/watch?v=ennoIcsthAE


    #démographie #statistiques #chiffres #mobilité #migrations_circulaire

  • Sven Hedin: Recke ohne Rücksicht (http://www.zeit.de/zeit-geschicht...
    https://diasp.eu/p/6968471

    Sven Hedin: Recke ohne Rücksicht

    Männer und Kamele halb verdurstet, schleppte sich der Schwede Sven Hedin durch Asiens Wüsten. Seine Expeditionen machten ihn weltberühmt. Bis er Hitlers Ideen verfiel.

    #sven #hedin #wissen #recke #rücksicht #männer #kamele #schwede #asiens #wüsten #expeditionen #hitler #ideen #news #bot #rss

  • Une « Plastic attack » à Bruxelles pour sensibiliser à la production de déchets RTBF - 4 Avril 2018
    https://www.rtbf.be/info/regions/detail_une-plastic-attack-a-bruxelles-pour-sensibiliser-a-la-production-de-dech

    Après l’Angleterre, c’est au tour de la Belgique de subir sa première « Plastic Attack ». Le principe ? Faire ses courses dans un supermarché, et après avoir payé ses emplettes, tout déballer et empiler les emballages dans des caddies, afin de dénoncer le suremballage dans nos grandes surfaces.Le mouvement est parti du sud-ouest de l’Angleterre, où les militants avaient rempli trois caddies d’emballages en tout genre. 
    https://scontent-cdg2-1.xx.fbcdn.net/v/t31.0-8/29744377_2090077657944469_9026175268796060276_o.jpg?_nc_ca
    La première « Plastic Attack » belge aura lieu ce samedi, dans le magasin AD Delhaize du boulevard Anspach à Bruxelles.
    La communauté spontanée qui s’est développée autour de ce mouvement a prévu des actions similaires ailleurs dans le monde, notamment en Belgique. https://www.facebook.com/pg/PlasticAttack/events/?ref=page_internal
    Après Bruxelles, les militants séviront à Gand, Anvers, Louvain et Malines. « Cela attirera l’attention de Delhaize et des médias nationaux, et fera prendre conscience de l’énorme quantité et du caractère souvent inutile des emballages en plastique (...). En Belgique, la plus grande partie est brûlée, ce qui signifie beaucoup de CO2 qui accélère le réchauffement climatique. Nous voulons que les supermarchés réfléchissent à la façon de réduire l’utilisation des emballages en plastique ! », peut-on lire sur la page Facebook de l’opération organisée dans la capitale. Plus de 500 personnes se sont dites « intéressées » par cet événement initié par le groupe « Plastic Attack Belgium ».

    #supermarché #hypermarché #plastique #pollution #consommation Bonne #idée

    • Je le regarde présentement. Je met mes commentaires au fur et à mesure.

      La partie sur le DRH Dark Vador :
      La sous notation forcée ca donne une idée de ce qui attend l’éducation nationale.
      Ca me fait pensé aux « joies » des « partenariats » public-privé :
      http://www.leparisien.fr/paris-75/apres-les-faux-controles-les-pv-illegaux-la-mairie-de-paris-promet-de-rem

      Accusée mercredi d’avoir effectué des faux contrôles de stationnement afin de remplir les quotas de la mairie de Paris, la société Streeteo est encore prise la main dans le sac.

      La notation est désignée comme principal facteur d’anxiété des employé·es. Selon l’audit de 2012 du CHSCP dont parle l’émission

      Le processus de classement est le principal vecteur d’inquiétude, d’instabilité et de mal être au travail. Il est source de danger pour la santé des salarié·es.

      L’émission dit que 46% des DRH disent qu’illes aggissent de manière contraire à leur éthique et morale mais j’ai pas entendu comment cette stat est obtenue.

      –----
      La partie 2 avec « le coupat » comme dit la voix off est assez vide. La voix off dit que Coupat est plus prolix sur la ZAD ou l’anarchisme mais ne diffuse pas ses parties de l’entretiens.

      –----
      Partie 3 sur Nara une ville de la région de Fukushima ou les habitant·es sont revenus (surtout des retraité·es - belle économie pour les caisses de retraite). Les familles qui retournent à Nara avec des enfants le font pour échappé aux suicides des enfants causé par le harcelement dont illes sont l’objet au japon.
      A coté de ca les idées noires de Franquin étaient plutot optimistes.

  • Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione
    http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2017/11/Atti-del-convegno-FLM-2017.pdf
    #statistiques #chiffres #Italie #migrations #économie #réfugiés #asile #rapport

    –-

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

    • Per la sicurezza conviene garantire un lavoro ai migranti

      La politica del governo sugli immigrati sembra orientata a colpire i bersagli deboli. Ma al di là degli slogan, un rapporto positivo tra immigrazione e sicurezza si costruisce solo promuovendo il lavoro dei migranti nell’economia legale del nostro paese.

      Così si colpiscono i più deboli

      In queste settimane la questione dell’immigrazione continua ad avere un ruolo di primo piano. Appena prima della vicenda della nave Aquarius, c’era stata quella della tragica morte di Sacko Soumali, il giovane maliano sindacalista dei braccianti di San Calogero. Le due questioni sono legate fra loro.

      La controversia sull’Aquarius è molto più che un braccio di ferro sull’onere dell’accoglienza. Rifiutando l’approdo della nave, polemizzando con Malta e poi con la Francia e la Spagna, rilanciando l’allarme sugli sbarchi, il nostro governo ripropone un’impostazione delle relazioni internazionali che guarda al passato. È l’immagine di un mondo di confini di stato almeno apparentemente blindati, di interessi nazionali contrapposti, di bandiere da issare e difendere. Un mondo in cui non c’è posto per i diritti umani universali, ma solo per quelli filtrati dalla sovranità nazionale o dai suoi simulacri.

      Subito dopo aver respinto l’Aquarius, condannando a giorni di navigazione in mare agitato persone già provate da molte vicissitudini, tra cui donne incinte e minori, il governo italiano ha accolto oltre 900 richiedenti asilo salvati dalla marina militare e dalla guardia costiera italiana e altri 40 tratti a bordo dalla marina statunitense. I naufraghi salvati dai militari che innalzano la nostra bandiera sono tollerati e così pure quelli imbarcati dal potente alleato. Il nemico, come nell’Ungheria di Viktor Orban e nella Russia di Vladimir Putin, sono le organizzazioni non governative con base all’estero: i difensori dei diritti umani universali che non arretrano di fronte ai confini nazionali.

      La linea governativa sembra tracciata. Mentre sarà difficile attuare le impegnative promesse elettorali di carattere sociale (reddito di garanzia, sviluppo del Mezzogiorno e controriforma pensionistica), la coalizione a trazione leghista investe su bersagli deboli, e quindi facili da colpire: gli attori umanitari, gli operatori dell’accoglienza e naturalmente i richiedenti asilo, oggetto di un linguaggio ingiusto e irriguardoso.

      Matteo Salvini ha parlato di gente in crociera nel Mediterraneo, malgrado i morti in mare dei recenti naufragi. A quanto risulta dai sondaggi, raccoglie consenso, come in genere avviene a chi eccita sentimenti nazionalisti, ma dà eco ai sentimenti peggiori della pancia del nostro paese e li fomenta. Che i numeri siano drasticamente calati dopo gli accordi con la Libia di Marco Minniti è irrilevante: 15.568 persone sbarcate nel 2018 fino al 15 giugno, contro 65.498 nel 2017 e 55.596 nel 2016 alla stessa data. Gli sbarchi stanno invece crescendo verso Grecia e Spagna, ma anche questo non conta. La retorica della chiusura nazionalista ha bisogno di qualche centinaio di malcapitati a cui chiudere la porta in faccia, additandoli come profittatori e criminalizzando le Ong che li hanno tratti in salvo.

      La tragedia di Sacko Soumali, invece, ha riportato alla ribalta una questione annosa e sempre rimossa, dopo le fiammate di attenzione dovute a qualche drammatico evento: lo sfruttamento degli immigrati nelle campagne meridionali, e non solo. Non necessariamente clandestini, né sbarcati negli ultimi anni, e neppure africani. La periodica ricostruzione delle vergognose baraccopoli mostra un volto inquietante di una componente dell’agricoltura italiana: per reggere sul mercato, ha bisogno di ricorrere al lavoro sottopagato degli immigrati e di farli vivere in condizioni inaccettabili.

      Il lavoro degli immigrati, per fortuna, è anche altro: 2,4 milioni di occupati regolari, tra cui 570 mila titolari di attività economiche. Un gettito fiscale e contributivo che supera ampiamente i costi dell’accoglienza dei rifugiati e dei servizi richiesti dalle famiglie arrivate dall’estero. Ma rimane in gran parte lavoro povero, subalterno. Il lavoro delle “cinque p”: precario, pesante, pericoloso, poco pagato, penalizzato socialmente.

      Tre proposte

      Di tutto questo nel contratto di governo non c’è traccia, come abbiamo già rilevato su lavoce.info. L’immigrazione è declinata soltanto come peso e minaccia per il nostro paese.

      Volendo credere che il confronto con la realtà possa avere la meglio sugli slogan propagandistici, vorrei avanzare tre modeste proposte in tema di immigrazione e lavoro, che investono anche la questione dei rifugiati e richiedenti asilo, pur ricordando che si tratta attualmente di 174 mila persone in accoglienza su 5,5 milioni di immigrati residenti in Italia. Una piccola minoranza, sistematicamente scambiata con l’immigrazione in generale. Senza dimenticare che circa il 40 per cento dei richiedenti riceve una forma di protezione internazionale da parte delle commissioni governative, mentre altri (non si sa quanti, ma si stima circa la metà dei ricorrenti) ottengono ragione in tribunale. Non è vero, quindi, che si tratti per la maggior parte di falsi rifugiati.

      La prima proposta deriva dai fatti di San Calogero: mandare un folto gruppo di ispettori del lavoro, scortati dalle forze dell’ordine, a identificare e denunciare i datori di lavori che sfruttano i braccianti immigrati. Non dovrebbe essere difficile: basta seguire le campagne di raccolta dei prodotti agricoli, vedere dove sorgono le baraccopoli, seguire i pullmini che li portano al lavoro. Eventualmente con i droni. Un governo che promette il carcere agli evasori fiscali dovrebbe dispiegare una severità ancora maggiore con chi calpesta la dignità dei lavoratori.

      La seconda proposta riguarda la riduzione del carico dei richiedenti asilo per le casse dello stato: come in Germania e in Svezia, chi trova un lavoro dovrebbe ricevere un permesso di soggiorno, inizialmente di un anno, ponendo fine alle controversie sulla fondatezza della domanda di asilo. Potrebbe così cominciare una vita autonoma, uscendo dal sistema dell’accoglienza. Non ha senso, come invece avviene oggi, buttare per strada un richiedente asilo che ha trovato lavoro, ma poi si vede negata la domanda di protezione internazionale.

      Infine, per decongestionare il canale dell’asilo e istituire un’alternativa ai rischiosi viaggi attraverso la Libia e poi per mare, oltre a corridoi umanitari più ampi degli attuali, si dovrebbero allargare le possibilità di immigrazione per lavoro stagionale, già previste dalle nostre leggi e dai decreti flussi annuali. Gli Stati Uniti hanno ridotto l’immigrazione non autorizzata dal Messico proprio riaprendo un canale d’immigrazione legale, stagionale, per l’agricoltura. Se le persone potranno entrare, lavorare e tornare al loro paese per ripresentarsi l’anno successivo, saranno meno disposte a rischiare la vita nei viaggi della speranza.
      Al di là degli slogan propagandistici, un rapporto positivo tra immigrazione e sicurezza verrà costruito solo promuovendo il lavoro degli immigrati nell’ambito dell’economia legale del nostro paese.

      http://www.lavoce.info/archives/53685/sicurezza-e-anche-garantire-un-lavoro-legale-ai-migranti

    • Ci rubano il lavoro ? Ecco il rapporto tra immigrazione e occupazione

      La fotografia della situazione in Italia e in Europa nel secondo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni. I paesi con una forza lavoro più qualificata attraggono anche immigrati con maggiore istruzione. Italia maglia nera. A parità di occupazione il divario salariale è persistente negli anni.

      I paesi con una forza lavoro più qualificata attraggono anche immigrati con maggiore istruzione. Al contrario, paesi come l’Italia, che hanno una forza lavoro autoctona con il tasso di istruzione universitaria tra i più bassi in Europa (19 per cento nel nostro paese), hanno anche il più basso tasso di istruzione universitaria tra gli immigrati fra tutti paesi Ue (14 per cento). A sottolinearlo è il secondo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle migrazioni “L’integrazione degli immigrati in Italia e in Europa”, promosso dal centro studi Luca d’Agliano e dal collegio Carlo Alberto. Secondo il report l’Italia oggi non è un Eldorado per chi si muove per motivi di lavoro, e in particolare per chi spera in un’occupazione qualificata.

      Nello specifico, lo studio sottolinea come in Ue l’immigrazione oggi sia ancora un fenomeno fortemente intraeuropeo. Nonostante l’attenzione mediatica, specialmente nel nostro paese, sia focalizzata sugli arrivi via mare, gli immigrati residenti in Europa sono in maggioranza di origine europea. Su 51 milioni totali (il 10 per cento di tutta la popolazione): il 38 per cento è originario di un paese dell’Unione e il 17 per cento di un paese europeo fuori dall’Ue. Mentre il 23 per cento dei migranti è nato in Africa o Medio Oriente, il 12 per cento in Asia e l’11 per cento in America o Oceania.

      l’Italia si contraddistingue anche per altre peculiarità. Innanzitutto il livello di istruzione degli immigrati è il più basso tra quelli riscontrati nei paesi europei, un dato che riflette anche quello dei nativi.

      il divario nel tasso di occupazione tra immigrati e nativi è superiore a 40 punti percentuali per gli immigrati appena arrivati in Italia, ma si azzera entro il sesto anno di residenza. L’assimilazione occupazionale è, dunque, abbastanza rapida. Nonostante questo, però, in media nel 2017, i redditi netti mensili degli immigrati sono inferiori del 26 per cento rispetto a quelli degli italiani, il divario salariale persiste anche a parità di occupazione.

      http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/568293/Ci-rubano-il-lavoro-Ecco-il-rapporto-tra-immigrazione-e-occupazione

      Lien vers le rapport :

      http://dagliano.unimi.it/wp-content/uploads/2018/02/OssMg_2_Report.pdf

      Le rapport contient notamment ces graphiques :


      #statistiques #chiffres #éducation #niveau_d'éducation #marché_du_travail #salaire #inégalités

      Le rapport contient aussi une carte sur la présence de #femmes migrantes en Italie (plus nombreuses que les hommes) :

    • Integrare i rifugiati: è più complesso (e costoso) rispetto agli altri migranti?

      La più recente EU Labour Force Survey (EU LFS), pubblicata nel 2014, mostra che per molti anni dal loro primo ingresso in Europa il tasso di occupazione dei migranti giunti nei paesi europei per motivi umanitari resta molto basso: nei primi cinque anni dall’arrivo quest’ultimo raggiunge appena il 26%. Come è lecito attendersi, invece, i migranti non comunitari giunti in Europa per motivi di lavoro (e che dunque in larga maggioranza hanno già un’offerta di lavoro al loro arrivo) hanno un tasso di occupazione medio del 79% nei primi cinque anni dall’ingresso.

      Con il passare del tempo il tasso di occupazione dei rifugiati tende ad aumentare, convergendo verso quello dei migranti “economici”, ma ci vogliono comunque circa 15 anni prima che superi il 60%. Queste differenze non dipendono solo dalle diverse capacità, qualifiche e predisposizioni dei migranti, ma anche dalle politiche pubbliche dei paesi di arrivo (che spesso pongono limiti legali alla possibilità dei richiedenti asilo di cercare lavoro) e dalla propensione dei datori di lavoro nazionali a utilizzare i richiedenti asilo come manodopera.

      D’altra parte, un migrante umanitario ha diritto a un’accoglienza e a un’assistenza dignitosa, che allo Stato italiano costa circa 11.000 euro l’anno; un costo che prosegue per tutto il periodo di permanenza all’interno del sistema di accoglienza. Anche per questo motivo risulta importante investire in integrazione: diversi studi confermano che il tempo durante il quale un migrante umanitario resta un costo netto per le finanze statali si allunga o si accorcia in funzione della capacità del sistema-paese di integrare gli stranieri legalmente residenti.


      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #intégration #travail #migrants_économiques #réfugiés #taux_d'occupation

    • Macroeconomic evidence suggests that asylum seekers are not a “burden” for Western European countries

      This paper aims to evaluate the economic and fiscal effects of inflows of asylum seekers into Western Europe from 1985 to 2015. It relies on an empirical methodology that is widely used to estimate the macroeconomic effects of structural shocks and policies. It shows that inflows of asylum seekers do not deteriorate host countries’ economic performance or fiscal balance because the increase in public spending induced by asylum seekers is more than compensated for by an increase in tax revenues net of transfers. As asylum seekers become permanent residents, their macroeconomic impacts become positive.

      http://advances.sciencemag.org/content/4/6/eaaq0883.full
      #Europe

    • De l’effet bénéfique des migrations sur l’économie

      Une nouvelle étude macroéconomique révèle que les flux migratoires ont eu un effet positif sur l’économie au cours des trente dernières années en Europe. Plus encore, les demandeurs d’asile ne pèseraient pas sur les finances publiques des pays qui les accueillent. Explications avec l’économiste Hippolyte d’Albis, l’un des auteurs de cette étude.

      https://lejournal.cnrs.fr/articles/de-leffet-benefique-des-migrations-sur-leconomie
      #Europe

    • Rapporto Immigrazione 2017-2018: straniera l’8,5% della popolazione residente

      Ci troviamo di fronte ad una “emergenza culturale” che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo. È necessario mettere in campo tutte le risorse educative capaci di stimolare, da un lato, il necessario approfondimento rispetto a temi che sono ormai cruciali, e dall’altro lato di accompagnare le nostre comunità verso l’acquisizione di una nuova “grammatica della comunicazione” che sia innanzitutto aderente ai fatti e rispettosa delle persone. Papa Francesco non ha mancato di sottolineare che «la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento». In tale contesto “emergenziale” i due organismi della CEI, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, hanno voluto confermare il loro impegno anche attraverso la pubblicazione dell’annuale Rapporto Immigrazione che da oltre 25 anni analizza il fenomeno migratorio nelle sue molteplici dimensioni. L’edizione 2017-2018 presenta molte novità, a partire da una nuova veste grafica che vuole essere più aderente al mutato contesto culturale, in conseguenza del quale la narrazione del fenomeno migratorio è cambiata nello stile e nella forma.

      Italia

      L’Italia, con 5.144.440 immigrati regolarmente residenti sul proprio territorio (8,5% della popolazione totale residente in Italia) si colloca al 5° posto in Europa e all’11° nel mondo. Secondo l’UNHCR tra il 1° gennaio e il 31 agosto 2018 è sbarcato in Italia l’80% di migranti in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Le comunità straniere più consistenti sono quella romena (1.190.091 persone, pari al 23,1% degli immigrati totali), quella albanese (440.465, 8,6% del totale) e quella marocchina (416.531, 8,1%). I cittadini stranieri risultano risiedere soprattutto nel Nord-Ovest della Penisola (33,6%) e a diminuire nel Centro (25,7%), nel Nord-Est (23,8%), nel Sud (12,1%) e nelle Isole (4,8%). Le regioni nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono la Lombardia (1.153.835 cittadini stranieri residenti, pari all’11,5% della popolazione totale residente), il Lazio (679.474, 11,5%), l’Emilia-Romagna (535.974, 12%), il Veneto (487.893, 10%) e il Piemonte (423.506, 9,7%). Le province nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono Roma (556.794, 12,8%), Milano (459.109, 14,2%), Torino (220.403, 9,7%), Brescia (156.068, 12,4%) e Napoli (131.757, 4,3%).
      Il lavoro

      Dai microdati Rcfl-ISTAT al primo semestre 2017 la popolazione immigrata in età da lavoro è di 4.100.826 persone con 15 anni di età ed oltre, delle quali il 59,3% sono occupate e il 30,6% inattive. In particolare, gli occupati stranieri risultano 2.430.409, aumentati rispetto al primo semestre 2016 del +0,9%. Di questi, 1.635.300 sono di nazionalità non-UE (67,3% degli occupati stranieri) e 795.100 lavoratori comunitari (32,7% degli occupati stranieri). Gli stranieri in cerca di occupazione sono 415.229 (10,1% del totale degli stranieri), di cui 283.837 di nazionalità non-UE (67,3% del totale degli stranieri in cerca di occupazione) e 131.392 di nazionalità UE (33,1%). Gli inattivi stranieri sono 1.255.187 (30,6% degli occupati stranieri), di cui 897.411 non-UE (71,5% degli inattivi stranieri) e 333.093 UE (28,5%). Se si considera il periodo che va dal primo semestre 2016 al primo semestre 2017, si osserva un aumento dell’occupazione sia tra gli stranieri (+0,9%) sia tra gli italiani (+0,6%). La quota del lavoro non qualificato negli immigrati è del 35,4%, contro l’8,2% negli occupati italiani. Secondo i dati UnionCamere, le imprese di cittadini nati in un Paese extra-UE al 31 dicembre 2016 sono 366.426, in aumento rispetto al 2015 (+3,5%). La regione con il maggior numero di queste imprese è la Lombardia (69.625, 19,0% del totale nazionale), seguita da Lazio (41.849, 11,4%), Toscana (35.891, 9,8%), Campania (32.931, 9,0%) ed Emilia Romagna (32.418, 8,8%). La Campania è la regione nella quale si registra l’aumento più cospicuo (+11,1%).
      La scuola

      Nell’anno scolastico 2016-2017 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 826.091 (di cui 502.963 nati in Italia, pari al 60,9%), in aumento rispetto all’anno scolastico 2015-2016 di 11.240 unità (+1,4%). Nell’anno scolastico 2016-2017, la scuola primaria accoglie la maggiore quota di alunni stranieri: 302.122, il 36,6% del totale. L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo significativo in ragione del fatto che alcune regioni e province hanno una spiccata capacità attrattiva nei confronti di immigrati che vogliono insediarsi stabilmente con la propria famiglia. Le maggiori incidenze si riscontrano nelle regioni del Nord, con il valore massimo in Emilia Romagna (15,8%), significativamente maggiore del valore nazionale (9,4%), seguita da Lombardia (14,7%) e Umbria (13,8%). Nelle regioni del Centro-Nord il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,5%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud.
      Famiglia e cittadinanza

      Nel corso del 2016 sono stati celebrati 25.611 matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero (12,6% del totale dei matrimoni), in leggero aumento rispetto al 2015 (+0,2%). Nel 56,4% dei casi si tratta dell’unione fra uno sposo italiano e una sposa straniera. A fine 2017 i bambini nati da genitori entrambi stranieri risultano 67.933 (14,8% del totale delle nascite). Diminuisce il numero medio di figli delle cittadine straniere, pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane (1,95 rispetto a 1,27 secondo le stime nel 2017). I dati ISTAT relativi al bilancio demografico nazionale confermano l’aumento dei nuovi cittadini italiani già rilevato negli anni precedenti e che ha condotto l’Italia nel 2015 e nel 2016 ad essere al primo posto tra i Paesi UE per numero di acquisizioni di cittadinanza. Al 31 dicembre 2017, su un totale di 146.605 acquisizioni di cittadinanza di stranieri residenti, il 50,9% riguarda donne. Tali acquisizioni, rispetto alla stessa data del 2016, sono diminuite (-27,3%). Nelle regioni del Nord Italia si registrano tassi di acquisizione di cittadinanza ben al di sopra della media nazionale. Si notino, in particolare, i casi della Valle d’Aosta, del Trentino Alto Adige e del Veneto, ma risulta interessante segnalare tassi di acquisizione superiori alla media nazionale anche in regioni del Centro (Marche) e del Sud (Abruzzo). Riferendosi sempre al 2016, le modalità di accesso alla cittadinanza restano differenti tra uomini e donne. Per gli uomini la modalità più frequente è la residenza (56% dei casi nel 2015), mentre il matrimonio è una modalità residuale (meno del 3%). Nel 2016, diversamente da quanto avveniva in passato, anche per le donne le acquisizioni di cittadinanza per residenza sono state le più numerose (43,9%), superando, seppur di poco, le acquisizioni per trasmissione/elezione (39,3%). Si riduce ulteriormente, anche per le donne, la quota di procedimenti avviati a seguito del matrimonio: nel 2016 questi risultano il 16,8% del totale, mentre nel 2014 risultavano il 25%.
      La religione

      Secondo le più recenti stime della Fondazione ISMU, su un totale di 5.144.440 stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2018, i musulmani sono poco meno di 1 milione e mezzo, pari al 28,2% del totale degli stranieri. I cristiani complessivamente sono il doppio, quasi 3 milioni, in aumento di circa 50 mila unità negli ultimi due anni. Ne consegue che, nel complesso, il 57,7% dei cittadini stranieri residente in Italia è cristiano. Si tratta in maggioranza di ortodossi (1,6 milioni, dei quali quasi 1 milione romeni) e 1,1 milioni di cattolici (tra coloro che migrano dall’Est Europa soprattutto albanesi, una minoranza di romeni e polacchi, filippini tra coloro che migrano dall’Asia, ecuadoriani e peruviani fra i latinoamericani). Fra le nazionalità delle principali comunità religiose locali, il gruppo marocchino è il principale di religione musulmana nelle tre regioni con più cittadini stranieri con tale appartenenza religiosa – Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Per quanto riguarda la nazionalità dei cattolici stranieri, con riferimento alle sole due regioni con oltre 100 mila stranieri residenti con tale appartenenza religiosa – Lombardia e Lazio – al primo posto si collocano i filippini, sia in Lombardia sia nel Lazio, seguiti dai latinoamericani di Perù ed Ecuador in Lombardia e dagli europei comunitari di Romania e Polonia nel Lazio.


      http://www.vita.it/it/article/2018/09/28/rapporto-immigrazione-2017-2018-straniera-l85-della-popolazione-reside/149179
      #école #famille #travail #éducation

      Synthèse du #rapport:
      http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/7824/Sintesi%20per%20giornalisti.pdf
      http://www.caritasitaliana.it/pls/caritasitaliana/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=7824&rifi=guest&rifp=g

  • Réécriture de code vieux de 17 ans - Anna Filina - Forum PHP 2017
    https://www.youtube.com/watch?v=AlkdqUNX4Rw

    Excellente conférence sur des méthodes et des stratégies pour faire du refactoring même de très vieux projets très compliqués. Merci @marcimat !

    #refactoring #programmation #développement #code #bonnes_pratiques #bonne_pratique #tests_unitaires #documentation #PHP et bien sûr 17 ans ça vous dit rien ? #idée_pour_spip !

  • 5 #idées_fausses sur les #réfugiés — La Voix des Jeunes
    http://www.voicesofyouth.org/fr/posts/5-idees-fausses-sur-les-refugies

    De nos jours, le phénomène des réfugiés est plus que jamais une réalité. On compte en effet 65,6 millions d’êtres humains cette année en déplacement forcé, dont 22.5 millions réfugiés [1], contre 65.3millions en 2015. Ainsi, ils occupent une place importante dans les conversations quotidiennes et sont victimes de nombreux #clichés. Je vais nommer les 5 #préjugés qui ressortent le plus souvent selon moi.

  • Confort-plus, une solution libre contre la #dyslexie
    http://confort-plus.orange.com

    Je découvre en jetant un œil au programme de Paris-web cette conférence sur la dyslexie et de manière plus générale sur l’accessibilité
    https://www.paris-web.fr/2017/conferences/dyslexie-des-solutions-numeriques-pour-rendre-le-web-plus-lisible.php

    Ce service offre une vingtaine d’options pour adapter les sites Web à votre besoin : que vous ayez des déficiences visuelles ou une simple fatigue, des problèmes de reconnaissance des mots pour des raisons de dyslexie ou autres, de la difficulté à utiliser une souris ou que vous ne sachiez pas comment paramétrer votre ordinateur, Orange Confort+ vous apporte des solutions : un paramétrage à réaliser une fois et tous les sites Web prendront en compte vos préférences

    Apparemment assez léger à intégrer sur son site (et pourquoi pas dans l’interface privée de Spip ?). L’outil est dispo sur GitHub et en GPL.

  • Il ne faut pas que ça se voit | PrototypeKblog
    https://prototypekblog.wordpress.com/2017/09/26/il-ne-faut-pas-que-ca-se-voit

    On ne croit pas les dépressifs. La #dépression n’est pas acceptée comme une vraie #maladie. C’est pire qu’une maladie. C’est une chose qui est à la fois niée et exploitée. Niée comme si ce n’était pas une maladie, comme si c’était juste un choix, une préférence, une volonté : « Tout ça c’est dans ta tête… Secoue-toi… Souris… Arrête ta comédie… ». Exploitée comme outil d’exclusion, de stigmatisation, de discrimination : « Arrête de nous emmerder… Tu nous tires vers le bas… Casse-toi… Va te faire soigner… ». Ce monde pue. Ce monde est sans pitié. Ce monde est sans répit. Ça ne s’arrête jamais. Je suis fatigué.

    On ne respecte pas les dépressifs. Il n’y a pas de « Depression Pride ». Il n’y a pas de héros dépressifs. Il n’y a pas de quotas pour les dépressifs. Il n’y a pas de place pour les dépressifs. On ne supporte pas les dépressifs. Ce monde se veut beau. Ce monde se croit parfait. Ses gens se croient jeunes et jolis. La tristesse est interdite. Tout va bien. On ne veut pas voir. « Faites un effort, bordel de merde ! »

    On ne prend pas les dépressifs au sérieux. Et, voyez-vous, c’est peut-être idiot, mais être pris au sérieux, c’est très important pour moi. Comprendre. Être compris. Écouter. Être écouté. Et la dépression est le plus court chemin vers le discrédit. Une fois que vous êtes étiqueté « dépressif », tout ce que vous direz par la suite, sur quelque sujet que ce soit, sera ignoré. Tout sera mis sur le compte de la dépression, réelle ou supposée, permanente ou temporaire. « Faut pas l’écouter, il est comme ça, c’est pas important… »

    Se reconnaître dépressif, être connu comme dépressif, être juste considéré comme dépressif, suspecté d’être dépressif, c’est le début de la mort sociale.

    • C’est marrant, l’autrice du blog (je pense que c’est une femme, j’me trompe ?) appelle sa dépression « la petite bête ». Moi perso, j’appelle ça « la broyeuse ». « Ça » te broie la volonté, l’enthousiasme, la joie de vivre, la libido, comme l’impression que toute ta matière grise est passée dans une essoreuse. T’as qu’un seule refuge pour rester en vie : le sommeil ... quand t’arrives à le trouver sinon, tu as l’impression de devenir fou-folle. Quand tu te réveilles, tu te dis que tu as réussi à voler quelques heures à la camarde.
      Une autre image que j’avais chopée dans une revue d’un cabinet médical qui était sensée illustrer le fait que les connexions entre neurotransmetteurs étaient en panne : sur un fond de ciel tempêtueux, une ligne téléphonique (ou électrique) aux fils rompus et sur les poteaux, des corbeaux proférant à grands cris leurs #idées_noires.
      La #dépression n’est pas une maladie imaginaire même si dans l’imaginaire de bon nombre de nos congénères, il suffirait de « se secouer » pour aller mieux.

    • J’aurais pu le deviner en faisant attention et en sélectionnant un critère objectif : l’orthographe ...

      On ne prend pas les dépressifs au sérieux. Et, voyez-vous, c’est peut-être idiot, mais être pris au sérieux, c’est très important pour moi. Comprendre. Être compris . Écouter. Être écouté .

    • Oui, de toute façon, tout ce que dit une personne dépressive est considéré comme non-recevable. Si on daigne vous écouter, ce n’est qu’avec condescendance et il faut pas nous la faire : on s’en aperçoit tout de suite. Encore plus de la part de celles ou ceux qui sont payé-e-s pour ça (médecins, assistantes sociales ... )
      Maintenant, comment accompagner une personne dépressive ? Une écoute bienveillante suffit-elle ? Je ne sais pas, même si ça peut apporter du réconfort dans le sens où le sentiment d’avoir une base arrière solide peut fournir un sentiment de sécurité. Mais il faudra de toute façon se colleter avec la vie professionnelle, le regard des « autres »,et la grosse question bêtement prosaïque de « comment j’vais faire pour mettre à la gamelle si je bosse plus ? ».

  • About - graphql-php
    http://webonyx.github.io/graphql-php

    Une implémentation en PHP d’un serveur GraphQL, et qui permet de l’utiliser avec nos logiques métiers déjà existantes (on implémente suivant notre backend quoi).

    graphql-php is a feature-complete implementation of GraphQL specification in PHP (5.5+, 7.0+). It was originally inspired by reference JavaScript implementation published by Facebook.

    This library is a thin wrapper around your existing data layer and business logic. It doesn’t dictate how these layers are implemented or which storage engines are used. Instead, it provides tools for creating rich API for your existing app.

    #graphql #php #api #développement #web #idée_pour_SPIP

  • Le Comité invisible et les Communs : pourrons-nous encore être « amis » ?
    https://scinfolex.com/2017/08/31/le-comite-invisible-et-les-communs-pourrons-nous-encore-etre-amis

    Sur tous ces points – et bien d’autres – le livre est indéniablement précieux. Mais c’est pourtant une profonde sensation de malaise qui m’a étreint lorsque je l’ai refermé. Car si en apparence l’ouvrage – comme A nos amis le faisait déjà – met constamment en avant le concept « d’amitié » (en affichant l’objectif de « frayer des chemins » ou « d’organiser des rencontres » entre des « mondes amis fragmentés »), il constitue avant tout une expression particulièrement acerbe d’inimitiés, frappant à peu près toutes les composantes du mouvement social. Communistes, syndicalistes, négristes, écologistes, féministes, municipalistes, acteurs de l’Économie Sociale et Solidaire, militants de la Transition : tout le monde y passe successivement, dans un esprit d’excommunication – j’emploie le mot à dessein – traquant la moindre compromission avec le système économique et politique comme motif de disqualification définitive. Ironiquement, les auteurs critiquent la tendance (hélas bien réelle…) des cercles militants à s’entre-déchirer (« Chaque groupuscule s’imagine gratter quelques parts du marché de la radicalité à ses rivaux les plus proches en les calomniant autant qu’il est possible.« ), mais le moins que l’on puisse dire, c’est que le Comité Invisible tombe aussi complètement dans ce travers avec ce livre. Or le mouvement des Communs n’échappe pas à ce petit jeu de massacre et c’est ce qui me pousse à écrire sur Maintenant, parce qu’il me semble que de telles attaques appellent une réponse que je n’ai pour l’instant lue nulle part.

    #idées #commun #comité_invisible #livres

    • Excellent je ne sais pas, mais très intéressante argumentation détaillée. Je n’ai pas trop le temps d’aller très loin, comme souvent, surtout là avec la rentrée, mais je crois que je suis assez d’accord avec la première partie, sur la destitution PLUS l’institution, et non pas que la première.

      En revanche ensuite sur la sortie de l’économie (et contre l’ESS) et sur l’auto-organisation et Lordon, je pense qu’il y a pas mal de choses à redire, notamment parce que ce sont des mots d’ordre et des sujets abordés aussi par d’autres et que Calimaq ne se fixe que sur ce qu’en dit le Comité invisible, sans le mettre en perspective avec ces autres sources.

      Sur la sortie de l’économie, on se rapportera notamment à la lecture marxienne et le renouveau de la critique de la valeur, et sur le fait que le mot d’ordre « sortir de l’économie » signifie généralement sortir de l’économie capitaliste, tout comme Marx critiquait l’économie politique, et non pas « sortir de l’échange » ce qui ne voudrait pas dire grand chose. L’économie au sens moderne, c’est l’économie capitaliste intégrée. @ktche

      Et sur l’auto-organisation et Lordon, il parle de la ZAD, qui est idéologiquement proche des zapatistes sur de nombreux sujets (je ne dirais jamais que c’est pareil évidemment, chaque lieu et chaque temps a ses façons, comme dirait l’autre cagoulé), tout en rapprochant Lordon, alors que c’est exactement l’inverse, et que le livre de Lordon a été extrêmement bien critiqué par Jérôme Baschet dans une perspective zapatiste :
      https://seenthis.net/messages/487414

    • Bonjour. Merci @Rastapopoulos pour ce lien vers cette critique de Lordon, au vu des pratiques politiques au Chiapas. C’est particulièrement éclairant concernant la notion « d’Etat général » dont Lordon tire des conclusions extrêmement générales et fatalistes dans son bouquin concernant les possibilités d’émancipation des groupes. Néanmoins, je ne pense pas que cela invalide la manière dont j’utilise Lordon dans mon billet contre le Comité invisible. Ce qui m’intéresse chez Lordon, c’est sa description de la dynamique des groupes et la manière dont la « puissance de la multitude » est à l’origine d’institutions. Et c’est cela que j’utile contre le mot d’ordre du comité invisible « Destituons le Monde », qui condamne radicalement la notion d’institution. Je ne me réfère à aucun moment au concept d’Etat général dans le billet, qui me met à vrai dire mal à l’aise, et si je m’intéresse aux communs, c’est justement parce que je pense que la pratique instituante peut être porteuse d’émancipation, ce que décrit très bien ce texte sur le Chiapas. Et c’est aussi ce que l’on constate à la ZAD de Notre Dame des Landes. Mais ce n’est pas le point de vue du Comité invisible qui refuse complètement d’entrer dans le jeu institutionnel (sur la base d’un fatalisme très lordonien finalement, même s’ils en tirent des conclusions radicalement opposées). Merci en tout cas pour votre commentaire, car cela m’a permis de comprendre cela.

    • J’ai fait une lecture audio de cette critique qui m’a moi aussi éclairée pour certains passages.
      https://archive.org/details/ComiteInvisibleEtCommuns


      Cependant, pour d’autres passages, et particulièrement ceux concernant la zad, j’avoue être en désaccord pour la façon dont c’est présenté et n’ai pas pu m’empêcher d’intervenir en fin de lecture.
      Là dessus, je trouve le Comité invisible plutôt pertinent dans une partie de ses critiques contre l’institutionnalisation, pour ce que j’en comprends et surtout pour ce je peux observer et entendre à la zad particulièrement ces derniers mois (je reconnais n’avoir lu aucun livre du CI, mais beaucoup d’extraits et beaucoup, beaucoup, de critiques....)

      Présenter les « zadistes » comme une entité qui décide est tout aussi faux qu’affirmer que la zad est gérée aussi par des composantes comme l’acipa et le cedpa. Le texte « Label zad et autres sornettes » paru en novembre 2015, est selon moi le plus représentatif de l’esprit « zad »... qui n’existe pas ;)
      https://nantes.indymedia.org/articles/32327 (aller directement aux point 4, 5 et 6)

      Certes tout le monde a, en principe, la possibilité de s’exprimer, voire, de peser dans les décisions qui seront appliquées comme « collectives », cependant comme n’importe où ailleurs, tout le monde n’est pas d’accord et les principes ont parfois des relents normalisants qui braquent plus souvent qu’à leurs tours.

      La plupart d’entre nous connaissons la zad « de présentation », celle qu’il a fallu nettoyer aussi, et dont certain-e-s voudraient encore plus de « bonne présentation », comme si de ça dépendait le fait de se faire accepter... Je vous passe beaucoup de choses dont je ne me sens pas de parler ici, en particulier sur « l’assemblée du mouvement », bien que l’acipa, elle, ne se gène pas pour le faire et en claquer la porte, mais essayer de trouver un terrain d’entente entre des éleveurs et des anti-spécistes, entre des tendances « viriles » et des féministes aguerries... c’est juste pas possible ! Le seul est unique texte dit collectif est celui que l’on surnomme les 6 points :
      http://zad.nadir.org/spip.php?article4629
      Pour le reste ce sont des émanations de groupes plus ou moins grands, plus ou moins représentatifs et du coup, plus ou moins acceptées. Mais les critiques qui en ressortent ne sont pas sur une modalité de désaccords politiques binaires, évidents pour quiconque habite là bas, mais bien sur la FORME et le FOND employées pour les prises de décision. Et l’institutionnalisation est clairement dénoncée dans des textes qui apparaissent, hélas, ailleurs, n’étant pas toujours acceptés sur le site web de la zad. En voici deux récents que j’ai trouvé (im)pertinents et très significatifs :
      https://nantes.indymedia.org/articles/38183
      https://nantes.indymedia.org/articles/38201

      Tout ça pour dire que les tentatives de calquer des recettes « démocratiques » telles qu’on les connait ne marchent vraiment pas toujours, et que oui, Lordon est déconnecté des néo-zapatistes comme beaucoup le sont des « zadistes »... Et qu’à Nantes où je vis, le #greenwashing a complétement récupéré les entreprises sincères de gens s’étant lancés dans l’EEs ou autres aménagements politiques. Alors oui, vraiment, régulièrement, je comprends les coups de gueules.

  • La gestion des médias avec Drupal 8
    https://www.flocondetoile.fr/blog/la-gestion-des-medias-avec-drupal-8

    « La gestion des médias a été identifiée comme une des priorités lors de la dernière DrupalCon (Nouvelle Orléans 2016). Si nous pouvions disposer sur Drupal 7 de quelques modules contribués offrant une expérience utilisateur sans égal pour la gestion des médias, Drupal 8 était encore orphelin il y a peu d’une solution équivalente. »

    #media_image_Drupal_D8_clevermarks

  • Boeri : “Bisogna dire la verità agli italiani : senza immigrati l’Inps crollerebbe”

    Valgono 70 miliardi di contributi in 20 anni. Il presidente dell’istituto di previdenza: “Chiudere le frontiere significherebbe una manovra economica in più ogni anno”

    http://www.lastampa.it/2017/07/04/economia/boeri-bisogna-dire-la-verit-agli-italiani-senza-immigrati-linps-crollerebbe-SryiT6oW4Tu2aonINATLmM/pagina.html

    #INPS #asile #migrations #réfugiés #économie #Etat_social #welfare_state #assurances_sociales #Italie

    –—

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »... :

    https://seenthis.net/messages/971875

    • Contro i migranti una consapevole e scientifica pulizia etnica

      Presentando la relazione annuale INPS, Tito Boeri ha infatti affermato, fra le tante cose, che senza il lavoro degli immigrati perderemmo 38 miliardi di euro in 22 anni. Una vera debacle per la nostra economia. Per Boeri, chiudere le frontiere sarebbe un disastro per il nostro già pericolante sistema di welfare, visto che i migranti che arrivano sono sempre più giovani e il loro aumento compensa il vertiginoso calo delle nascite in Italia. Uno svecchiamento che senza gli immigrati non ci sarebbe e porterebbe a un collasso sociale ed economico. Non dimentichiamo che i migranti contribuiscono inoltre all’11% del Pil nazionale.

      http://ilmegafono.org/2017/07/08/migranti-scientifica-pulizia-etnica

    • È vero che chiudere le frontiere distruggerebbe il nostro sistema di protezione sociale?

      Lo ha affermato il 4 luglio 2017 il presidente dell’Inps Tito Boeri, e noi abbiamo chiesto a Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin, ricercatori della Fondazione Leone Moressa, di approfondire questo tema con ulteriori dati. Ne emerge un quadro complesso e molto interessante.

      http://openmigration.org/analisi/e-vero-che-chiudere-le-frontiere-distruggerebbe-il-nostro-sistema-di-

    • Sorpresa: più immigrati, meno spesa sanitaria

      È vero che gli immigrati sfruttano i sistemi di welfare dei paesi di arrivo? Gli stranieri che risiedono in Italia sono mediamente più giovani della popolazione italiana. Ed è più bassa la loro domanda di servizi sanitari, facendo scendere la spesa.

      Immigrati e welfare: prendono o lasciano?

      Da tempo è in corso un intenso dibattito sugli effetti socio-economici dell’immigrazione, accompagnato da una diffusa percezione che gli immigrati siano un peso perché sfruttano i sistemi di welfare nei paesi di arrivo. In un recente lavoro di ricerca mostriamo che in Italia l’aumento di 1 punto percentuale della quota di cittadini stranieri sulla popolazione totale porta, in media, a una riduzione della spesa sanitaria regionale pro capite di circa 70 euro.
      L’Italia si è trasformata in “paese di immigrazione” rapidamente e in tempi abbastanza recenti. All’inizio degli anni Duemila, gli immigrati regolari erano meno del 3 per cento della popolazione totale, mentre nel 2015 rappresentavano oltre l’8 per cento, con una distribuzione non uniforme tra regioni (figura 1).

      Oltre il 90 per cento degli stranieri proviene dai paesi che l’Istat definisce “a forte pressione migratoria” e a basso reddito. Sulla scelta del nostro paese come destinazione potrebbero quindi influire i maggiori benefici e la migliore accessibilità ai servizi assistenziali, sanitari ed educativi rispetto ai paesi di origine (“welfare magnet effect”). Tali fattori potrebbero tradursi in oneri più elevati per la spesa sanitaria nelle regioni che ospitano più immigrati.

      L’impatto sulla spesa sanitaria regionale

      Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo analizzato l’effetto della presenza di immigrati regolari sulla spesa sanitaria pubblica delle regioni italiane durante il periodo 2003-2015.
      Dopo aver controllato per i possibili nessi di causalità inversa tra le due variabili e per le imposte regionali destinate al finanziamento della spesa sanitaria, e dopo aver rimosso altri fattori di attrazione per gli immigrati, troviamo che all’aumentare del numero di stranieri residenti sulla popolazione regionale si osserva, in media, una riduzione della spesa sanitaria pro capite. Il risultato è coerente con le stime contenute nel bilancio fiscale dell’immigrazione per la regione Lombardia per il 2016, secondo cui la spesa sanitaria regionale pro capite per gli stranieri era pari a meno di tre quinti di quella complessiva (rispettivamente, 1.053 e 1.807 euro), e con quelle relative al costo dei ricoveri in Emilia Romagna nel 2015, mediamente più basso per i cittadini stranieri rispetto a quelli italiani (rispettivamente, 2.426 e 3.521 euro).
      La relazione negativa è confermata quando: i) ci concentriamo sugli immigrati dai paesi a “forte pressione migratoria”; ii) escludiamo potenziali distorsioni dovute alla presenza di rifugiati e richiedenti asilo negli ultimi anni; iii) teniamo conto della crisi economica e delle misure di consolidamento fiscale che hanno riguardato il nostro paese, influenzando anche il settore sanitario.

      Conta la struttura demografica

      In primo luogo, dai meccanismi che potrebbero spiegare la relazione negativa, abbiamo escluso effetti di spiazzamento verso la spesa sanitaria privata dovuti al possibile congestionamento dei servizi pubblici. Secondo, la relazione negativa tra immigrazione e spesa sanitaria è confermata anche quando si tiene conto del diverso grado di efficienza dei sistemi sanitari regionali, ossia l’effetto non è attribuibile alla concentrazione degli immigrati nelle regioni che offrono servizi sanitari in modo meno costoso. Terzo, abbiamo valutato la presenza di barriere all’entrata, come la lingua, che potrebbero limitare l’accessibilità degli stranieri al sistema sanitario pubblico. A prescindere dall’utilizzo dei mediatori culturali, la spesa sanitaria pro capite diminuisce in tutte le regioni con l’aumento degli immigrati.
      Ciò che appare determinante è invece la struttura demografica degli immigrati, che si differenzia notevolmente da quella della popolazione nativa (figura 2).

      Le stime indicano che, a parità di stranieri sulla popolazione totale, l’effetto negativo sulla spesa sanitaria regionale è attribuibile alla quota di immigrati in età lavorativa (15-64 anni). Sembra quindi all’opera un meccanismo di “selezione positiva”: gli stranieri che risiedono in Italia sono mediamente più giovani della popolazione italiana e sono fonte di una minore domanda di servizi sanitari, determinando un minore impatto sulla spesa.

      Le sfide per il futuro

      Il cosiddetto “effetto migrante sano” sembra essere più marcato per l’Italia che per gli altri paesi europei. Tuttavia, anche il buono stato di salute dei nostri stranieri potrebbe deteriorarsi nel tempo, a causa dell’esposizione a fattori di rischio come povertà, impiego in occupazioni pericolose, malsane e degradanti e stili di vita poco salutari.
      Dato il non trascurabile contributo economico che gli immigrati apportano in Italia, politiche per migliorare il loro accesso ai servizi sanitari potrebbero consentire non solo di favorire l’integrazione socio-economica, ma di affrontare meglio la sfida dell’invecchiamento demografico nel nostro paese. Allo stesso tempo, i risultati della nostra ricerca indicano come sinora l’immigrazione abbia costituito un fattore di contenimento, anziché di aggravio, della spesa sanitaria pubblica.

      https://www.lavoce.info/archives/57523/sorpresa-dove-gli-immigrati-sono-di-piu-la-spesa-sanitaria-scende
      #santé

  • Why Migration Will Not Destroy the #Welfare_State

    As part of the series ‘The Cost of Fair Refugee Policies,’ Behzad Yaghmaian argues that economists’ warnings that migration will undermine European welfare states are based on the same mistaken assumptions common to the anti-immigrant movements roiling the continent.

    https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2017/06/02/why-migration-will-not-destroy-the-welfare-state
    #économie #coûts #migrations #asile #réfugiés #préjugés #mythe #Etat_providence

    –—

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »... :

    https://seenthis.net/messages/971875

    • « Migrations internationales et solidarités locales »

      Interview à #Mouhoud autour de son #livre
      L’immigration en France


      https://www.fayard.fr/documents-temoignages/limmigration-en-france-9782213704357

      3 idées :
      1. A l’échelle du monde, migration = relativement faible…

      Entre 1870 et 1910 : 6,5% de la population mondiale était migrante —> ça a été la grande période de la migration internationale
      Depuis 1960 : 2,5 à 3,5%.
      En termes absolus, par contre, les migrations ont augmenté durant les 20 dernières années, pour deux motifs :
      – Migrations humanitaires et migrations liées à des chocs (ex la chute du mur de Berlin) et à des conflits
      – Migrations familiales
      Très peu par contre pour des motifs de travail, car la migration de travail a été bloquée depuis les années 1970.
      Il y a donc eu un changement de la nature des flux migratoires

      2. Mythe : invasion du Sud au Nord

      Il y a 250 millions de migrants dans le monde.
      – 40-45% de migrations Sud  Sud (en très grande majorité, des migrations de conflit et de choc)
      – 40% de migrations Sud  Nord (surtout des migrations économiques et des liens coloniaux)
      – 20% de migrations Nord  Nord
      Pour ce qui est des réfugiés, 80% des flux sont Sud  Sud.

      Les migrations économiques traversent les frontières, les migrations humanitaires sont plutôt des migrations de voisinage.

      3. Plus un pays est pauvre, moins il envoie des ressortissants à l’étranger… plus le taux de qualification des (rares) personnes qui arrivent est élevé

      C’est une idée-reçue qu’on « reçoit la misère du monde ».

      1960-1974 : L’immigration a été importée par les entreprises (mines, industrie textile, bâtiment, automobile, etc.) Les recruteurs sélectionnaient des gens non pas car ils étaient qualifiés, mais justement parce qu’ils n’étaient pas qualifiés, mais pour leur force physique.
      Les frais pour partir étaient prise en charge par les pays d’accueil. Il y avait la libre circulation, pas de frein à l’immigration de travail.
      Les migrations étaient non-qualifiées et les personnes partaient des anciennes colonies vers les anciennes métropoles comme une sorte de continuité historique du lien économique de domination.

      A partir de 1974 : Avec la fermeture des frontières, le coût de mobilité (coût de transport, coût avant le départ et à l’arrivée) est devenu prohibitif. A partir du moment où vous agumentez les coûts de mobilité fortement, les pays pauvres vont présenter des taux d’expatriation (part des migrants par rapport à la population) très faible, et quand les pays deviennent à revenu intermédiaire, alors le taux d’expatriation augmente. Et quand les pays rattrapent les pays développés, le taux d’expatriation diminue.

      Donc il est faux de dire que les migrants viennent des pays pauvres, ils viennent surtout des pays à revenu intermédiaire.

      Décomposition du taux d’expatriation par niveau de qualification :
      Dans les pays du Sud les plus pauvres, le taux d’expatriation des qualifiés va avoisiner les 50-60%. Dans les pays à revenu intermédiaire des qualifiés est beaucoup plus faible, pour la Chine c’est 5-6%. C’est beaucoup en masse absolue, mais rapporté à la population chinoise de qualifiés c’est en dessous de 10%.

      Mythe « Les immigrés prennent le travail des autochtones »

      Premier consensus de la littérature économique : l’immigration a peu d’impact sur le marché du travail local des pays d’accueil.

      L’emploi ou le taux de chômage est déterminé par d’autres facteurs beaucoup plus importants : la démographie du pays, les jeunes en âge de travailler, la question de la qualification, de la formation, la question des demandes par les entreprises, etc.

      Deuxième consensus : Les migrations n’ont pas un impact négatif sur le travail ni sur le salaire des autochtones car leurs caractéristiques ne tons pas les mêmes que celles des autochtones, ils sont en complémentarité.
      Quand les migrants arrivent, ils vont occuper des tâches d’exécution, même pour les gens qualifiés. Ces tâches vont permettre aux autochtones de se replier sur des tâches mieux rémunérées. L’effet est donc légèrement positif : environ une augmentation de 5% des salaires des autochtones.

      Les mythes qui font dire le contraire…
      – L’approche néoclassique du marché du travail où l’on considère que quand il y a un afflux de population sur le marché du travail, l’offre de travail par les travailleurs excède la demande par les employés, et à ce moment le salaire baisse. Mais c’est sans compter l’existence de protection sur le marché du travail, l’existence des législations, du SMIC, etc. Dans un marché qui n’existe pas, si les travailleurs migrants et autochtones étaient strictement identiques entre eux, alors on pourrait avoir un effet de pression à la baisse des salaires, quand l’offre de travail excède la demande, mais c’est le marché du travail est un marché protégé et reglementé et donc quand les travailleurs arrivent, ils ne contribuent pas à la réduction du salaire car ils sont complémentaires aux autochtones. Par contre, les vagues d’immigration peuvent se concurrencer entre elles.
      – Deuxième thèse, celle résuscitée par les approches d’une soit-disant gauche, la notion de « armée industrielle de réserve » de Marx. Ces thèses de concurrence à la baisse des salaires ont été conçues dans un contexte historique où l’exode rural poussaient par millions les personnes dans les villes dû notamment au progrès technique dans l’agriculture qui a mis au chômage des millions d’ouvriers agricoles ou de paysans. Là : pas de protection du marché du travail, des salaires journaliers, et effectivement la main-d’œuvre était comme une marchandise, et on pouvait mettre en concurrence entre eux les travailleurs. Cette thèse n’est pas confirmée par les faits aujourd’hui. Ce n’est pas l’immigration qui est à l’origine des baisses des salaires, c’est la déprotection des marchés du travail.

      Autre mythe : les migrations pèsent sur les budgets publics et sociaux

      Préalable : Les migrants sont sous-représentés dans les âges qui consomment et ne travaillent pas, et sur-représentés dans les âges en âge de travailler (72% des migrants sont en âge de travailler au niveau mondial, contre 56% poru la population non-migrante).

      Et ces personnes contribuent plus qu’ils ne reçoivent. Et puisqu’il y a moins d’enfants et de vieux, l’effet global eset positif de 5 à 10 milliards selon les années, mais qui peut être légèrement négatif dans les périodes de crise.

      Les migrants subissent un peu plus les effets de la crise que les non-migrants.

      Et les migrants contribuent à accroître la taille du gâteau, en contribuant au marché des biens.

      Les réfugiés qui arrivent coûtent davantage dans un premier temps, car ils n’ont pas le droit de travailler quand ils sont demandeurs d’asile… Pour cela, la politique d’accueil est fondamentale, notamment en augmentant leur niveau de formation, les compétences linguistiques (car généralement ils sont qualifiés, mais ils ne parlent pas la langue). Raccourcir les délais pour obtenir le statut de réfugié permet aussi aux réfugiés de rentrer vite sur le marché du travail. A ce moment-là, l’effet positif va l’emporter sur le coût transitionnel que les pays d’accueil doivent payer au départ.
      La migration économique, par contre, n’a pas de coût, car les migrants arrivent pour travailler et ils rentrent d’emblée sur le marché du travail.

      Alternatives/propositions

      Les propositions doivent être plus efficaces tout en respectant la règle de l’équité.

      Si vous mettez des migrants dans des situations de précarité juridique, avec des multiplications de statuts, vous les mettez dans des situations de précarité qui ne leur fait pas prendre des risques pour investir, pour se projeter dans l’avenir. Vous les mettez dans une situation où leur efficacité est moindre. Il y a un gain à la stabilité juridique, il y a un gain à l’application des droits, car sinon les gens sont mis dans des situations de précarité, voire de clandestinité forcée.

      La dureté de la politique, n’est pas une dureté, c’est simplement une trappe à la clandestinité.

      La première chose à faire c’est donc d’appliquer les droits et aller loin dans la reconnaissance de statuts à long terme, une fois qu’on a été sélectionné.

      Il n’y a pas de gain dans la politique de précarité des migrants, il y a des gains dans un politique d’accueil et de reconnaissance et amélioration des statuts.

      Le droit de vote des étrangers est quelque chose qui solidifie une communauté à la communauté d’accueil, donc ça a des effets favorables.

      Et il faut créer des autorités indépendantes, composées d’experts et de partenaires sociaux qui publieraient des rapports et qui seraient des organes de recours.

      http://www.radiocampusamiens.fr/migrations-internationales-et-solidarites-locales-leco-locale-27-o

    • #Olivier_Besancenot : « Gauche et migrants, parlons clairement ! »

      "Dans le capitalisme mondialisé, la règle d’or de l’économie de marché n’a pas changé : c’est encore le capital, et non l’immigration – même « instrumentalisée » –, qui fait pression sur les salaires des travailleurs français ou étrangers."

      https://www.nouvelobs.com/des-idees-et-des-actes/20181012.OBS3851/olivier-besancenot-gauche-et-migrants-parlons-clairement.html

    • Penser l’immigration : #Olivier_Besancenot et #Danièle_Obono

      Pourquoi cette rencontre ? Parce que trois tweets. Le premier, signé Jean-Luc Mélenchon : « Nous disons : honte à ceux qui organisent l’immigration par les traités de libre-échange et qui l’utilisent ensuite pour faire pression sur les salaires et les acquis sociaux1 ! » Le second, quatre jours plus tard, en réponse au précédent et signé Olivier Besancenot : « Ce ne sont pas les immigrés qui font pression sur les salaires, mais le taux de profit que les capitalistes extirpent du travail des salariés, français ou immigrés, en France comme dans le monde entier. » Le troisième, enfin, signé Danièle Obono et invitant vivement Besancenot à relire le livre I du Capital de Marx et à s’unir contre Macron. Puisqu’il n’est d’échange que de vive voix et de débat qu’au prix du refus du « pour ou contre », nous avons convié l’ancien candidat NPA à la présidentielle, postier et auteur de 10 ouvrages, ainsi que la députée France insoumise, ancienne bibliothécaire et préfacière d’un recueil de Trotsky, à s’entretenir — loin des réductions médiatiques — sur la question migratoire. Comment penser l’immigration à l’heure de la poussée nationaliste aux quatre coins du globe ?


      https://www.revue-ballast.fr/penser-limmigration-olivier-besancenot-et-daniele-obono

    • « Migrants contre retraités » : le théâtre des intox de Marine Le Pen et ses cadres

      Au Rassemblement national, on multiplie les déclarations mensongères sur les supposés privilèges des migrants, dans une stratégie qui semble délibérée.

      Tactique délibérée d’intox ou tentative obstinée de rattraper une bourde ? Marine Le Pen et les cadres du Rassemblement national (RN) martèlent depuis des jours, contre toute évidence, qu’un migrant peut toucher davantage de prestations de l’Etat qu’un retraité modeste français.

      Peu leur importe que leurs affirmations soient systématiquement démenties : ils maintiennent leur constat avec aplomb, quitte à remanier discrètement leur argumentaire au fil de l’eau. Une stratégie déjà éprouvée à plusieurs reprises, qui leur permet d’imposer un thème dans le débat public sur la base d’une déclaration outrancière. Retour en quatre actes sur un cas d’école.
      Acte I : la comparaison douteuse de Marine Le Pen

      Pour Marine Le Pen, la séquence « migrants contre retraités » commence le 24 février, dans le Nord. Dans son discours de lancement de la campagne pour les européennes, la présidente du RN feint de s’étonner qu’un « migrant fraîchement débarqué puisse toucher davantage qu’un retraité modeste qui a travaillé et cotisé toute sa vie ».

      Il faut peu de temps pour que de nombreux médias montrent, chiffres à l’appui, que c’est faux. Les propos de l’ancienne candidate à la présidentielle posent deux problèmes principaux :

      d’abord, les droits d’une personne étrangère qui arrive en France sont beaucoup plus restreints qu’elle ne le prétend. Il existe bien des aides, mais celles-ci sont versées à certains publics et sous conditions ;

      surtout, elles sont loin de rivaliser avec le minimum social garanti aux plus de 65 ans en France : l’allocation de solidarité aux personnes âgées (ASPA, l’ex-minimum vieillesse), qui s’élève à 868 euros par mois pour une personne seule.

      Acte II : des justifications bancales

      Mais il en faut plus pour déstabiliser Mme Le Pen, qui persiste et signe dans un droit de réponse publié sur son blog le 26 février. Bien qu’elle y affirme maintenir sa déclaration, elle y opère, en réalité, un premier glissement sémantique : il n’est plus vraiment question d’évoquer l’ensemble des immigrés (256 000 titres de séjour délivrés par an), mais les seuls demandeurs d’asile qui réclament le statut de réfugié (113 000 dossiers).

      Marine Le Pen se focalise sur cette catégorie, probablement parce qu’elle est la plus accompagnée. Les aspirants réfugiés bénéficient, en effet, d’une aide spécifique, l’allocation pour demandeur d’asile (ADA), pour compenser leur interdiction de travailler pendant le traitement de leur demande.

      Sauf que cela ne suffit toujours pas : l’ADA ne représente que 204 euros par mois, bien loin du minimum garanti aux retraités par l’ASPA. Alors, la dirigeante politique y ajoute d’autres avantages accordés aux demandeurs d’asile en matière de logement, de santé ou de transports dans certaines collectivités.

      Et elle compare désormais leur sort à une population bien spécifique de retraités français : des personnes assez modestes, selon elle, pour toucher l’ASPA, mais pas assez pour recevoir d’autres aides. Un raisonnement tiré par les cheveux, puisqu’il occulte que la grande majorité de ces retraités ont droit à la couverture maladie universelle complémentaire (CMU-C) et aux aides au logement (et que tous ont le droit à la protection universelle maladie).

      Acte III : des tracts truffés d’erreurs

      Face à une nouvelle salve de rectificatifs, le Rassemblement national ne désarme pas. Sébastien Chenu, porte-parole du mouvement, reprend l’argumentaire de sa présidente dans un tract diffusé sur les réseaux sociaux le 28 février. On y trouve, cette fois, un tableau comparatif censé démontrer une fois pour toutes l’affirmation de Mme Le Pen, calculs à l’appui :

      Le problème, c’est que le raisonnement est une nouvelle fois entaché d’erreurs. Ainsi, le titre du tract prétend toujours évoquer la situation d’un « migrant fraîchement débarqué », mais c’est une nouvelle fois des seuls demandeurs d’asile dont il est question. Le document souffre aussi de grossières erreurs et omissions, par exemple, le fait qu’un retraité très modeste peut prétendre à l’aide personnalisée au logement (APL). Sébastien Chenu finira d’ailleurs par supprimer son tweet, avant de publier une deuxième version du tract :

      Ce document est, cependant, tout aussi mensonger. Il prend, en effet, l’exemple fictif d’une « retraitée française qui paye ses impôts, son logement et sa santé » et ne toucherait que le minimum vieillesse : 868 euros par mois.

      Le problème, c’est qu’une personne seule dans cette situation pourrait tout à fait prétendre à l’accès aux soins gratuits – ses revenus sont inférieurs au plafond pour prétendre à la CMU-C. Par ailleurs, si elle est locataire, elle pourrait selon toute vraisemblance être éligible à l’APL, à hauteur d’environ 250 euros par mois selon les cas. Enfin, elle ne paierait ni taxe d’habitation ni impôt sur le revenu, du fait de ses faibles revenus.

      Malgré cela, le tract en question est allègrement relayé par les cadres du RN dans les jours qui suivent.
      Acte IV : la méthode Coué

      Jordan Bardella, le chef de file du RN pour les élections européennes, est pourtant contraint de changer une nouvelle fois de braquet le 4 mars. Confronté sur le plateau de France 2 au caractère mensonger de ses chiffres, M. Bardella ne pointe plus du doigt les demandeurs d’asile (qui résident sur le territoire de façon régulière), mais les « clandestins ».

      Mais là encore, la machine à intox fonctionne à plein : M. Bardella affirme que ces clandestins seraient « hébergés gratuitement » à leur arrivée en France (c’est faux), et qu’ils bénéficient de soins gratuits (c’est vrai, avec l’aide médicale d’Etat), contrairement aux retraités français (c’est faux, ces derniers bénéficient de la protection universelle maladie, voire d’une couverture complémentaire). Les « clandestins », c’est-à-dire les personnes qui résident en France de manière irrégulière, ne sont pas éligibles aux minima sociaux.

      « Nous maintenons cette affirmation (…) et nous continuerons de le dire, car c’est la vérité, je crois », conclut, malgré tout, M. Bardella.

      En définitive, les cadres du Rassemblement national ne sont pas parvenus à démontrer l’affirmation initiale de Marine Le Pen. Contrairement à ce qu’elle laissait entendre, les aides sociales sont réservées à certaines catégories de migrants, sous conditions. Et surtout, les retraités les plus défavorisés ne sont pas moins bien protégés par l’Etat français que les ressortissants étrangers.

      Ces précisions ne sont pas accessoires car elles touchent au cœur des sujets abordés. Lorsqu’elle cible les supposés « privilèges » accordés aux migrants, Mme Le Pen refuse, en réalité, de nommer la réelle cible de ses propos : les demandeurs d’asile.
      Une stratégie bien rodée

      Marine Le Pen a déjà utilisé les mêmes recettes par le passé pour imposer ses thèmes dans le débat politique en lançant des intox grossières avant de remanier son propos. Elle a ainsi accusé en janvier Emmanuel Macron de vouloir céder à l’Allemagne le siège de la France au Conseil de sécurité de l’ONU en signant le traité d’Aix-la-Chapelle. La présidente du RN a depuis répété ce mensonge malgré les démentis publiés dans la presse, tout en réorientant sa critique sur un sujet bien plus large : la coordination des politiques étrangère et militaire de Paris et de Berlin.

      En décembre, la présidente du RN avait aussi proposé d’expulser tous les « fichés S » étrangers. Face aux critiques sur une mesure inapplicable, elle avait répondu sur Twitter qu’il était possible d’expulser « des étrangers radicalisés qui représentent un danger ». Ce qui est, cette fois, tout à fait faisable, mais est déjà pratiqué dans les faits, et très éloigné de sa proposition d’origine.

      Le débat de l’entre-deux-tours de la présidentielle 2017 qui opposait Marine Le Pen à Emmanuel Macron avait bien illustré cette stratégie du mensonge. A l’époque, l’équipe des Décodeurs du Monde avait relevé pas moins de dix-neuf intox relayées par la candidate face à son concurrent. Une enquête de BuzzFeed News a montré par la suite qu’il s’agissait d’une tactique délibérée. Le sondeur Damien Philippot avait conseillé à Mme Le Pen dans une note de « dégrader l’image de Macron, quitte à perdre en crédibilité ».

      https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2019/03/05/migrants-contre-retraites-le-theatre-des-intox-du-rassemblement-national_543
      #retraités #Le_Pen #FN #Marine_Le_Pen #mensonges

    • Non, l’immigration ne plombe pas les finances de la #Belgique

      Il s’agit d’une petite musique récurrente. L’immigration met en péril l’#État_providence. L’afflux de réfugiés met à mal notre sécurité sociale. Dans la dernière ligne droite de cette campagne, L’Echo a confronté ces affirmations à la réalité des faits. Les études ne manquent pas. Et tirent toutes dans la même direction.

      C’est l’un des chevaux de bataille de Bart De Wever. Que le président des nationalistes flamands lâche à longueur d’interview. On ramasse l’idée : il faut choisir entre des frontières ouvertes et un État providence. Autrement dit, l’immigration met en péril finances et fondements de la sécurité sociale. Cela ressemble à du bon sens ? Méfiance. Parce que ce qui revêt les atours de la vérité n’est pas toujours vrai.

      L’immigration plombe-t-elle les finances de la Belgique ? L’avantage, c’est que de nombreuses études ont déjà tenté d’approcher la réponse à cette question. Avant d’en faire le tour, un petit préambule. Ces études ne sont pas prédictives et ne tentent pas d’esquisser le futur ; elles se basent sur les expériences du passé afin d’en tirer des enseignements.

      Par ailleurs, l’approche est purement économique, se focalisant sur les finances publiques et l’emploi. D’autres considérations peuvent bien sûr entrer en ligne de compte. Potentiellement négatives, liées « au capital social, la confiance ou la solidarité entre les citoyens », illustre Frédéric Docquier. Ou positives, qu’il s’agisse d’innovation ou de « diversité des biens consommables ». Autant d’aspects qui font « l’objet d’analyses beaucoup moins consensuelles », écrivait, fin 2015, ce chercheur au FNRS et professeur à l’UCLouvain, dans la revue « Regards économiques ». Quelque part, la bonne nouvelle est là : sur l’impact économique, consensus il y a. Allons-y donc.

      Asile

      L’immigration fait parler d’elle depuis des lustres. Mais ce qui a ravivé le débat, c’est la « crise de l’asile » qui a chauffé les esprits européens, essentiellement en 2015 et 2016. À ce stade, une définition s’impose. Il faut distinguer « migrations volontaires et forcées », insistent Jean-Michel Lafleur et Abdeslam Marfouk dans leur ouvrage « Pourquoi l’immigration ? » (téléchargeable gratuitement sur le site de l’ULiège), paru fin 2017. « Les demandeurs d’asile sont ceux qui traversent une frontière internationale afin de demander la protection selon les termes de la Convention de Genève de 1951 ». Qui oblige les États, foi de son article premier, à protéger toute personne « craignant avec raison d’être persécutée du fait de sa race, de sa religion, de sa nationalité, de son appartenance à un certain groupe social ou de ses opinions politiques ». Un demandeur d’asile n’est donc pas un migrant économique.
      Une crise ?

      Les chiffres le montrent : essentiellement en 2015 et 2016, l’Europe a enregistré un pic de demandes d’asile (voir notre infographie ci-contre). Qui a, dans une certaine mesure, percolé jusqu’en Belgique. Un afflux certes vigoureux, mais pas plus massif que ce que l’Europe, et la Belgique, ont déjà connu par le passé, rappelle la Banque nationale en 2016, dans une étude portant sur les conséquences économiques de l’afflux de réfugiés en Belgique. « Trois grandes vagues d’immigration dues aux réfugiés ont déjà été observées. »

      1993 : chute du mur de Berlin et Bosnie ;
      2000 : Kosovo et campagne de régularisation ;
      2011 : campagne de régularisation.

      Autrement dit, on ne navigue pas en eaux inconnues. Ni en plein tsunami.
      Quel impact sur les finances publiques ?

      « La question ne se pose pas en termes de finances publiques !, soupire Abdeslam Marfouk, chargé de recherche à l’Institut wallon de l’évaluation, de la prospective et de la statistique (Iweps) et maître de conférence à l’ULiège. L’accueil des demandeurs d’asile constitue un devoir moral et une obligation juridique. L’intérêt économique ne peut être pris en compte. Sinon quoi ? On sélectionne en fonction du profil socioéconomique ? En accordant notre protection uniquement aux plus jeunes ? En laissant de côté les vieux ou ceux qui ont perdu un membre ? »

      Mais pour qui entend tout de même parler de coûts, la démarche est aisée. « L’essentiel, c’est le budget alloué à Fedasil », l’agence fédérale pour l’accueil des demandeurs d’asile. Qui perçoit une dotation qui a, au cours de la dernière décennie, évolué entre 261,8 et 579,1 millions d’euros, comme le retrace notre infographie. Le FMI ne dit pas autre chose, lui qui estime que le coût de l’accueil a oscillé entre 0,07% et 0,11% du PIB entre 2014 et 2016.

      Une facture qui doit être relativisée, pointe le tandem Lafleur-Marfouk. Pour une série de raisons. Même en 2016, alors que la dotation de Fedasil a presque doublé pour atteindre 579,1 millions, ce montant ne représente jamais que 0,26% des dépenses des administrations publiques belges. Une paille plutôt qu’une poutre, qui est par ailleurs en grande partie réinjectée dans l’économie belge, « dans la mesure où ce budget couvre essentiellement les salaires du personnel, ainsi que les dépenses en biens ou services ». Et puis, roublarde, la Belgique a décidé de comptabiliser les dépenses liées à l’accueil des demandeurs d’asile en tant qu’aide publique au développement. « Faisant d’elle-même le principal bénéficiaire de son aide », sourit Abdeslam Marfouk.

      Et sur le marché du travail ?

      Afin d’approcher l’impact économique de l’afflux de réfugiés, la BNB a simulé, en 2016, un « choc d’offre de travail » – celui provoqué par la population réfugiée âgée de 15 à 64 ans. Parce que, oui, une étude menée par l’ULB et la KUL montre que, quatre ans après l’obtention du statut de réfugié, les anciens demandeurs d’asile affichent le même taux d’emploi que les natifs partageant de semblables caractéristiques individuelles. Un choc d’emploi donc. Qui, s’il creuse un fifrelin le déficit sur le très court terme, s’avère plutôt indolore, voire très légèrement positif sur le moyen terme pour l’économie belge. Rien de très surprenant, au final. « L’observation des chocs passés ne révèle pas d’effet perceptible sur notre économie », remarque-t-on du côté de l’UCLouvain.
      Immigration

      Voilà pour la « crise » récente, qui a donc toutes les chances de s’avérer économiquement indolore. Dans la foulée, posons la même question pour l’immigration dans son ensemble – certains partis ne se gênant pas pour le faire, autant frotter leurs affirmations à la réalité.

      Selon la définition des Nations Unies, « est immigrée toute personne qui vit dans un pays dans lequel elle n’est pas née », rappelle la paire Lafleur-Marfouk. Chiffres à la clef. En 2016, la catégorie « immigrés » comptait 1,8 million de têtes de pipe, soit quelque 16,1% de la population belge – parmi eux, 727.961 personnes disposant de la nationalité belge.
      Quel impact sur les finances publiques ?

      Le coût de l’immigration ? À nouveau, Abdeslam Marfouk lève le sourcil. « Quatre immigrés sur dix vivant en Belgique sont des citoyens belges. Or, quand on parle de l’impact de l’immigration sur les finances publiques, on parle aussi d’eux ; immigrés ne rime pas avec étrangers. Cela a un côté stigmatisant. Si moi, je me mettais à demander combien coûte à la collectivité tel ou tel groupe de la population, on trouverait cela choquant. Mais ici, les immigrés sont quelque part tenus de se justifier. »

      Quoi qu’il en soit, lorsqu’il s’agit d’étudier l’impact fiscal de l’immigration, toutes les voix concordent : la Bible, c’est une étude bouclée en 2013 par l’OCDE (que vous pouvez consulter ici). Qui manie la prudence : l’impact fiscal varie « en fonction des hypothèses retenues et de la méthodologie utilisée ». Afin d’effectuer des comparaisons internationales, l’OCDE a opté pour un modèle de comptabilité statique. En gros, il s’agit de dresser le solde entre les contributions apportées par les immigrés et les transferts dont ils bénéficient. Une approche simple, mais non sans nœuds à trancher. Doit-on ainsi tenir compte du système de retraites, où « les pensions sont étroitement liées aux cotisations antérieures » et qui reposent, essentiellement, sur des transferts entre générations ? Autre question piège : quid de certaines dépenses de l’État qui ne varient pas en fonction du nombre d’individus ? Quelle part de ces dépenses non personnalisables – comme la Défense – imputer à la population immigrée ?

      Malgré ces pincettes, les enseignements tirés par l’OCDE sur les années 2007 à 2009 sont édifiants. On vous en livre quelques-uns. Dont celui-ci : l’incidence fiscale de l’immigration « est généralement faible et de l’ordre de zéro en moyenne dans l’ensemble de la zone OCDE ».

      Et en Belgique ? Cela dépend des hypothèses retenues. Le scénario de base aboutit à un solde positif en faveur de l’immigration, à hauteur de 0,76% du PIB. Le scénario le plus optimiste culmine à 0,96% du PIB, tandis que le plus conservateur est le seul à valser dans le rouge léger, avec un coût de 0,43% du PIB. Et encore, ses hypothèses relatives aux dépenses non personnalisables sont jugées trop sévères par l’UCLouvain, qui opte pour la voie du milieu, débouchant sur un impact positif quelque part entre 0,3% et 0,5% du PIB.

      Autre enseignement : si, dans la plupart des pays, « l’impact fiscal net des migrants est moins favorable » que celui des natifs, c’est essentiellement parce que leurs impôts et cotisations sont plus faibles, et non qu’ils montreraient une plus forte « dépendance aux prestations sociales ». Même en Belgique, où le Conseil supérieur de l’emploi montre que si, parmi la population des 20 à 64 ans, les immigrés non européens affichaient en 2014 un taux de chômage (19%) nettement plus costaud que celui des natifs (7%), seuls 44% de leurs demandeurs d’emploi inoccupés bénéficiaient d’allocations de chômage, contre 79% pour les natifs.

      Allez, encore un pour la route. « L’emploi est le principal déterminant de la contribution fiscale des immigrés, surtout dans les pays ayant une protection sociale généreuse. » Particulièrement en Belgique, qui reste l’un des marchés de l’emploi les plus discriminants envers les immigrés d’origine non européenne, comme l’illustrent notre infographie (en fin de texte) et les quelques chiffres énoncés ci-dessus. Aussi l’Organisation de coopération et de développement économiques estime-t-elle que si les immigrés affichaient le même taux d’emploi que les autochtones, la contribution fiscale de l’immigration pourrait y gagner jusqu’à 1% de PIB !

      Brossons, un peu trop rapidement, les causes de ce handicap : faible reconnaissance des diplômes, connaissance limitée de la langue du pays d’accueil, non-détention de la nationalité, faible taux d’activité des femmes ou encore discriminations. Un point d’attention qui est, de toutes parts et depuis belle lurette, rappelé à la Belgique.

      Soulignons enfin que l’on attend une nouvelle étude de la BNB pour la mi-2020, le délai initial d’avril 2019 n’ayant pu être tenu.
      Et sur le marché du travail ?

      Dans la foulée, tant la BNB que l’UCLouvain se sont intéressées à l’impact sur le marché du travail en Belgique. Au vu de la complémentarité entre natifs et immigrés, les recherches concluent à un effet neutre, voire à une incidence positive sur l’emploi des natifs, explique la BNB. Même si « des effets néfastes peuvent se révéler sur certains segments », comme les jeunes ou les immigrés déjà établis sur le territoire – ceux-ci étant plus semblables aux « primo-arrivants ». Côté salaires, l’UCLouvain s’est penchée sur les années ‘90, et a confronté ses résultats à la période 2000-2007. Conclusion ? « L’effet sur le salaire moyen des natifs est positif, entre 0% et 1% ; celui sur le salaire des travailleurs peu qualifiés varie de 0,6% à 1,2%. »
      Qu’en retenir ?

      De tout ceci, un principe semble se dessiner. Si quelqu’un tente de tisser un lien entre la stabilité du système de protection sociale et l’immigration, c’est surtout qu’il a envie d’avancer ses vérités sur la seconde, et que son propos ne vise ni la Sécu, ni les #finances_publiques. Bon à savoir. Surtout en cette période.

      https://www.lecho.be/dossiers/elections-2019/non-l-immigration-ne-plombe-pas-les-finances-de-la-belgique/10126178.html
      #marché_du_travail #travail

    • Welfare Migration

      This chapter reviews and discusses major theories and empirical studies about the welfare magnet hypothesis, i.e. whether immigrants are more likely to move to countries with generous welfare systems. Although economic theory predicts that welfare generosity affects the number, composition and location of immigrants, the empirical evidence is rather mixed. We offer possible explanations for the existence of such mixed evidence and highlight that the literature so far has overlooked the presence of different migration regimes, as well as the possibility of reverse causality between welfare spending and immigration.

      https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2039636

  • Pratique de l’espace et idénetité.

    Beaucoup idées pour de futurs projets cartographiques

    « Spatiality and Temporality » International Conference – Interdisciplinary Research Foundation
    http://spatiality.temporality.irf-network.org

    We are pleased to announce the Call for Papers for the upcoming “Spatiality and Temporality” International Conference. The conference is addressed to academics, researchers and professionals with a particular interest related to the conference topic. We invite proposals from various disciplines including philosophy, history, sociology, anthropology, culture studies, literature and architecture.

    The conference will explore spatiality and temporality as fundamental categories of human experience and cognition and it will discuss various interpretations of these categories and complex relations between them. The conference will also examine conceptions and perceptions of time and space in relation to memory, historical and social change, technological innovations, interactivity and cultural differentiation.

    Papers are invited on topics related, but not limited, to:

    time and space boundaries
    monuments and historical sites
    globalization and urban spaces
    places made by nature
    ruins and forgotten places
    heterotopias and heterochronies
    toponymy and topoanalysis
    cartography and mapmaking

    #cartographie #cartoexperiment #idées_nouvelles #espace #territoire

  • Moving to a System #Font Stack in 2017
    https://woorkup.com/system-font

    With the font-family property with web fonts, you typically have your primary font and one or two fallback fonts. With system fonts, you have to include all of the different operating systems, and therefore you have to stack quite a few more fonts. This is why it is called a “system font stack.”

    Davantage d’exemples intéressants (Medium, Github…) dans cet article cité ici : https://seenthis.net/messages/528287

  • Le général de Gaulle trône au panthéon de Macron
    https://www.mediapart.fr/journal/france/130417/le-general-de-gaulle-trone-au-pantheon-de-macron

    Candidat « progressiste » qui veut tout incarner, la gauche et la droite, la modernité comme l’« esprit français », #Emmanuel_Macron mobilise dans ses discours et entretiens un panthéon hétéroclite de figures politiques et intellectuelles. À commencer par… le général de Gaulle, sa référence favorite.

    #France #Charles_de_Gaulle #Culture #idées #Paul_Ricœur