• Perspectives sur l’impérialisme russe

    Guerre, fascisation et résistance

    Ilya Budraitskis présente une mise à jour et une perspective de la situation politique actuelle en Russie et de la guerre impérialiste en cours en Ukraine.

    La guerre de l’impérialisme russe en Ukraine ne montre aucun signe d’arrêt. Cet été et cet automne, nous avons assisté à deux offensives, la première de l’Ukraine visant à libérer ses territoires occupés, et une contre-offensive de la Russie pour s’emparer de plus de territoires, qui se poursuit toujours.

    Moscou a récemment lancé une attaque massive à la roquette contre l’Ukraine, visant les civil·es et les infrastructures à la veille du Nouvel An. La ville frontalière russe de Belgorod a été la cible d’attaques de missiles en représailles. La Russie a un demi-million de soldats sur la ligne de front pour défendre son occupation et aura besoin de plus pour l’offensive complète qui pourrait commencer au printemps.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/01/22/perspectives-sur-limperialisme-russe

    #international #russie

  • La Russie de Poutine et l’impérialisme périphérique

    Pourquoi l’agression russe en Ukraine est-elle impérialiste ? Comment peut-on l’interpréter sur la base de l’analyse de l’impérialisme de Lénine et en quoi ces interprétations diffèrent-elles ? Le chercheur en sciences sociales Anatoly Kropivnitskyi se penche sur l’économie politique des empires.

    L’invasion russe de l’Ukraine a divisé la gauche internationale. Cette division s’est avérée moins profonde qu’en 2014, lorsque certaines organisations et certains militants de gauche ont soutenu la déclaration des républiques populaires de Donetsk et de Louhansk, considérant le conflit du Donbass comme un soulèvement populaire. Mais le 24 février 2022, ce sont les troupes russes qui ont franchi la frontière ukrainienne, et non l’inverse. Ayant envahi l’Ukraine, Poutine a privé ses partisans de gauche de la possibilité de débattre du fait de l’agression – par conséquent, ce qui est discuté aujourd’hui n’est pas l’invasion, mais ses causes possibles. Ainsi, certains commentateurs insistent sur le fait que la Russie a été contrainte de lancer son « opération militaire spéciale » et qu’elle est, en fait, engagée dans une guerre défensive contre les États-Unis et l’OTAN sur le territoire ukrainien.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/01/12/la-russie-de-poutine-et-limperialisme-peripher

    #international #russie

  • Ecco quello che hanno fatto davvero gli italiani “brava gente”

    In un libro denso di testimonianze e documenti, #Eric_Gobetti con “I carnefici del duce” ripercorre attraverso alcune biografie i crimini dei militari fascisti in Libia, Etiopia e nei Balcani, smascherando una narrazione pubblica che ha distorto i fatti in una mistificazione imperdonabile e vigliacca. E denuncia l’incapacità nazionale di assumersi le proprie responsabilità storiche, perpetuata con il rosario delle “giornate della memoria”. Ci fu però chi disse No.

    “I carnefici del duce” è un testo che attraverso alcune emblematiche biografie è capace di restituire in modo molto preciso e puntigliosamente documentato le caratteristiche di un’epoca e di un sistema di potere. Di esso si indagano le pratiche e le conseguenze nella penisola balcanica ma si dimostra come esso affondi le radici criminali nei territori coloniali di Libia ed Etiopia, attingendo linfa da una temperie culturale precedente, dove gerarchia, autoritarismo, nazionalismo, militarismo, razzismo, patriarcalismo informavano di sé lo Stato liberale e il primo anteguerra mondiale.

    Alla luce di tali paradigmi culturali che il Ventennio ha acuito con il culto e la pratica endemica dell’arbitrio e della violenza, le pagine che raccontano le presunte prodezze italiche demoliscono definitivamente l’immagine stereotipa degli “italiani brava gente”, una mistificazione imperdonabile e vigliacca che legittima la falsa coscienza del nostro Paese e delle sue classi dirigenti, tutte.

    Anche questo lavoro di Gobetti smaschera la scorciatoia autoassolutoria dell’Italia vittima dei propri feroci alleati, denuncia l’incapacità nazionale di assumere le proprie responsabilità storiche nella narrazione pubblica della memoria – anche attraverso il rosario delle “giornate della memoria” – e nell’ufficialità delle relazioni con i popoli violentati e avidamente occupati dall’Italia. Sì, perché l’imperialismo fascista, suggeriscono queste pagine, in modo diretto o indiretto, ha coinvolto tutta la popolazione del Paese, eccetto coloro che, nei modi più diversi, si sono consapevolmente opposti.

    Non si tratta di colpevolizzare le generazioni (soprattutto maschili) che ci hanno preceduto, afferma l’autore,­ ma di produrre verità: innanzitutto attraverso l’analisi storiografica, un’operazione ancora contestata, subissata da polemiche e a volte pure da minacce o punita con la preclusione da meritate carriere accademiche; poi assumendola come storia propria, riconoscendo responsabilità e chiedendo perdono, anche attraverso il ripudio netto di quel sistema di potere e dei suoi presunti valori. Diventando una democrazia matura.

    Invece, non solo persistono ambiguità, omissioni, false narrazioni ma l’ombra lunga di quella storia, attraverso tante biografie, si è proiettata nel secondo dopoguerra, decretandone non solo la radicale impunità ma l’affermarsi di carriere, attività e formazioni che hanno insanguinato le strade della penisola negli anni Settanta, minacciato e condizionato l’evolversi della nostra democrazia.

    Di un sistema di potere così organicamente strutturato – come quello che ha retto e alimentato l’imperialismo fascista – pervasivo nelle sue articolazioni sociali e culturali, il testo di Gobetti ­accanto alle voci dei criminali e a quelle delle loro vittime, fa emergere anche quelle di coloro che hanno detto no, scegliendo di opporsi e dimostra che, nonostante tutto, era comunque possibile fare una scelta, nelle forme e nelle modalità più diverse: dalla volontà di non congedarsi dal senso della pietà, al tentativo di rendere meno disumano il sopravvivere in un campo di concentramento; dalla denuncia degli abusi dei propri pari, alla scelta della Resistenza con gli internati di cui si era carcerieri, all’opzione netta per la lotta di Liberazione a fianco degli oppressi dal regime fascista, a qualunque latitudine si trovassero.

    È dunque possibile scegliere e fare la propria parte anche oggi, perché la comunità a cui apparteniamo si liberi dagli “elefanti nella stanza” – così li chiama Gobetti nell’introduzione al suo lavoro –­ cioè dai traumi irrisolti con cui ci si rifiuta di fare i conti, che impediscono di imparare dai propri sbagli e di diventare un popolo maturo, in grado di presentarsi con dignità di fronte alle altre nazioni, liberando dalla vergogna le generazioni che verranno e facendo in modo che esse non debbano più sperimentare le nefandezze e i crimini del fascismo, magari in abiti nuovi. È questo autentico amor di patria.

    “I carnefici del duce” – 192 pagine intense e scorrevolissime, nonostante il rigore della narrazione,­ è diviso in 6 capitoli, con un’introduzione che ben motiva questa nuova ricerca dell’autore, e un appassionato epilogo, che ne esprime l’alto significato civile.

    Le tappe che vengono scandite scoprono le radici storiche dell’ideologia e delle atrocità perpetrate nelle pratiche coloniali fasciste e pre-fasciste; illustrano la geopolitica italiana del Ventennio nei Balcani, l’occupazione fascista degli stessi fino a prospettarne le onde lunghe nelle guerre civili jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso; descrivono la teoria e la pratica della repressione totale attuata durante l’occupazione, circostanziandone norme e regime d’impunità; evidenziano la stretta relazione tra la filosofia del regime e la mentalità delle alte gerarchie militari.


    Raccontano le forme e le ragioni dell’indebita appropriazione delle risorse locali e le terribili conseguenze che ne derivarono per le popolazioni, fino a indagare l’inferno, il fenomeno delle decine e decine di campi d’internamento italiani, di cui è emblematico quello di Arbe. Ciascun capitolo è arricchito da una testimonianza documentaria, significativa di quanto appena esposto. Impreziosiscono il testo, oltre ad un’infinità di note che giustificano quasi ogni passaggio – a riprova che nel lavoro storiografico rigore scientifico e passione civile possono e anzi debbono convivere – una bibliografia e una filmografia ragionata che offrono strumenti per l’approfondimento delle questioni trattate.

    https://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/librarsi/ecco-quello-che-hanno-fatto-davvero-gli-italiani-brava-gente
    #Italiani_brava_gente #livre #Italie #colonialisme #fascisme #colonisation #Libye #Ethiopie #Balkans #contre-récit #mystification #responsabilité_historique #Italie_coloniale #colonialisme_italien #histoire #soldats #armée #nationalisme #racisme #autoritarisme #patriarcat #responsabilité_historique #mémoire #impérialisme #impérialisme_fasciste #vérité #résistance #choix #atrocités #idéologie #occupation #répression #impunité #camps_d'internement #Arbe

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    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
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    • I carnefici del Duce

      Non tutti gli italiani sono stati ‘brava gente’. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono ‘i volenterosi carnefici di Mussolini’? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni?
      In Italia i crimini di guerra commessi all’estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent’anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell’inferno. L’hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, ‘buoni italiani’, che scelsero l’orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858151396
      #patrie #patriotisme #Grèce #Yougoslavie #crimes_de_guerre #camps_de_concentration #armes_chimiques #violence #brutalité

  • Lutter contre l’impérialisme multipolaire

    Loin de favoriser les luttes populaires, le déclin de la puissance états-unienne et l’essor de multiples pôles sur la scène mondiale ne font que rebattre les cartes. Cette reconfiguration impériale s’accompagne d’un renforcement du rôle coercitif des États, au service de l’accumulation capitaliste. Les luttes anti-impérialistes doivent avoir un caractère pluraliste et anti-autoritaire.

    Comme l’écrivait Samir Amin en 2006, « les défis auxquels est confrontée la construction d’un véritable monde multipolaire sont plus sérieux que ne le pensent de nombreux “altermondialistes” ». Dix-sept ans plus tard, l’appel lancé par l’économiste franco-égyptien aux nations les invitant à se « déconnecter » de l’ordre économique occidental semble plus que jamais ignoré par les élites politiques du Sud.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/11/07/lutter-contre-limperialisme-multipolaire

    #international

  • Un cas d’école de génocide | Raz Segal
    https://cabrioles.substack.com/p/un-cas-decole-de-genocide-raz-segal

    · Note de Cabrioles : Nous aurions aimé ces denières semaines trouver les forces nécessaires pour visibiliser la situation palestinienne tout en réalisant un dossier sur la pandémie dans le contexte colonial palestinien.

    Nous aurions sûrement traduit des articles de The Pandemic and #Palestine_, le numéro du _Journal of Palestine Studies de 2020 dédié à la #pandémie. Peut-être des extraits de l’interview que sa coordinatrice Danya Qato avait donné à nos camarades de Death Panel. Fouiller dans les articles de Nadia Naser-Najjab qui a donné une conférence The Darkest Side of #Covid-19 in Palestine et publiera en 2024 un livre intitulé Covid-19 in Palestine, The Settler Colonial Context. Enfin nous vous aurions invité à relire l’interview de Danya Cato traduite en 2020 dans À l’encontre et cet article d’ACTA paru en avril 2020 : Le peuple palestinien entre pandémie, harcèlement colonial et autodéfense sanitaire.

    Mais ces forces nous font pour le moment défaut. Pour autant nous ne pouvons nous taire sur ce qui se passe au Moyen Orient ces dernières semaines. Notre voix est faible, mais dans ces moments d’effondrement général il semblerait que chaque voix compte. La pandémie de Covid-19 nous a mis face à deux phénomènes majeurs : la production industrielle de l’insensibilisation à la mort de masse et la complaisance abyssale de la #gauche avec l’#antisémitisme.

    Le premier a de multiples racines dont les principales sont le #colonialisme et le #racisme meurtrier qui structurent le #capitalisme_racial et ses ressorts eugénistes. Racisme, #validisme et #eugénisme sont historiquement inextricables. Les plus de 300 morts par jour de novembre 2020 à avril 2021, et les dizaines de milliers qui ont précédées et suivies, ont pu être d’autant plus facilement acceptées et oubliées qu’elles touchaient d’abord les #classes_populaires racisées, et que depuis des années nous avions été habitué·es au décompte des morts dans la #méditerranée de personnes en exil. En les déshumanisant, en en faisant un rebut.

    Le second phénomène, l’antisémitisme au sein de la gauche, nourrit les rapprochements et dangers les plus corrosifs à force d’être nié par celle-ci. Nous avons vu de larges pans de la gauche et des mouvements #révolutionnaires défilés aux côté d’antisémites assumés, prendre leur défense, relativiser le génocide des Juifves d’Europe. Nous avons vu nombres de camarades se rapprocher de formations fascisantes en suivant cette voie. À travers l’antisémitisme la #déshumanisation des Juifves opère en en faisant non un rebut mais un groupe prétendument homogène qui détiendrait le pouvoir, suscitant des affects de haine d’autant plus féroces.

    Ces deux phénomènes ont explosé ces dernières semaines. À l’#animalisation des palestinien·nes en vue de leur #nettoyage_ethnique est venue répondre la culpabisation par association de toute la #population_israélienne, si ce n’est de tous les Juifves de la terre, aux massacres perpétués par le gouvernement d’#extrême-droite de l’État d’#Israël et les forces capitaliste occidentales.

    La projet de #colonisation de la Palestine est né des menées impérialistes de l’#occident capitaliste et de l’antisémitisme meurtrier de l’#Europe. Ils ne pourront être affrontés séparément. Les forces fascisantes internationales qui prétendent désormais sauver le capitalisme des désastres qu’il a produit par un #nationalisme et un #suprémacisme débridé, se nourrissent de l’intensification de tous les racismes - #islamophobie, antisémitisme, #négrophobie, #antitsiganisme, #sinophobie…- en vue de capturer les colères et de désigner comme surplus sacrifiables des parts de plus en plus larges de la population.

    En #France l’extrême-droite joue habilement de l’islamophobie et de l’antisémitisme structurels, présents jusque dans les rangs de la gauche radical, en potentialisant leurs effets par un jeu de miroirs explosif.

    Face à cela il nous faut un front uni qui refuse la déshumanisations des morts et des #otages israelien·nes tout en attaquant le #système_colonial qui domine et massacrent les palestinien·nes. Il nous faudra également comprendre l’instrumentalisation historique des Juifves et de l’antisémitisme par l’#impérialisme_occidental dans la mise en place de ce système.

    Nous n’avons pas trouvé les forces pour faire ce dossier. Nous republions donc ce texte important de l’historien israélien Raz Segal paru il y a maintenant deux semaines dans la revue Jewish Current. Deux semaines qui semblent aujourd’hui une éternité. Il nous faut nous organiser pour combattre de front la montée incendiaire de l’antisémitisme et de l’islamophobie. Et faire entendre haut et fort :

    Un #génocide est en cours en Palestine.
    Tout doit être fait pour y mettre un terme.

  • La guerre de Gaza et la situation mondiale. Vincent Présumey, 23/10/2023
    https://aplutsoc.org/2023/10/24/la-guerre-de-gaza-et-la-situation-mondiale-vincent-presumey-le-23-10-2023

    Il est indispensable d’intégrer ce qui est pour l’instant la #guerre de #Gaza mais pourrait devenir plus et pire, depuis les 7-8 octobre 2023, à l’analyse globale de la crise mondiale contemporaine. Le plus grand danger intellectuel, et par voie de conséquence politique et moral, serait de croire à un feuilleton déjà connu, tant les forces en présence dans cette région du monde sont observées, mythifiées, assimilées dans les consciences depuis des décennies. Ce danger est aggravé par le fait que la question en surplomb dans la situation mondiale, c’est celle de la #guerre_mondiale. Devant un théâtre où tout le monde croit reconnaître les siens, et devant un danger que l’on préfère souvent ne pas nommer, grande est la tentation de fuir sans phrases, fuir la démarche qui consiste à analyser pour trouver comment agir en intégrant le nouveau et pas en répétant seulement le connu ou ce que l’on croit connaître.

    Réciter les slogans et s’y réfugier n’est plus que conservatisme devant la catastrophe et ne conjure rien du tout. Le pessimisme de la raison et l’optimisme de la volonté, inséparables, devraient être de rigueur.

    Le tournant du 7 octobre 2023 est l’évènement le plus retentissant, au plan mondial, depuis le 24 février 2022. Il ne nous ramène nullement à l’avant 24 février. Au contraire, il nous engage plus encore dans le XXI° siècle des guerres et des révolutions.

    Plan du texte :

    Le cadre dans lequel cette guerre survient.
    « Sud global » contre « Occident », ou le discours de l’impérialisme multipolaire.
    La balance de la justice, vraiment ?
    Le sens historique des #pogroms des 7-8 octobre.
    La nature de la guerre israélienne contre Gaza.
    La place de l’#Iran.
    A propos du « deux poids deux mesures ».
    Le positionnement de Washington et la possibilité sous-jacente de la guerre mondiale.

    ... Qu’il soit nécessaire, pour analyser la place de la guerre engagée le 7 octobre, d’une analyse mondiale intégrant la guerre en Ukraine et reliant les deux guerres, semble [...] tout à fait inenvisageable, voire impensable. Sud global contre Occident impérialiste, telle est la représentation idéologique qui doit submerger tout autre discours, toute autre réflexion

    ... plus riches des dures leçons de l’histoire et des combats anticolonialistes, sont les réflexions de nos camarades ukrainiens propalestiniens, que les pogroms révulsent et qui s’écrient, comme Hanna Perekhoda : « Notre Hamas, nous l’avons eu ! », c’était l’OUN, et cela pourrait être Azov : ces camarades, aux premiers rangs de la lutte de libération nationale, récusent ces organisations, leurs méthodes et leurs crimes, antisémites et antipolonais, récusent tout amalgame mythique entre leur lutte à eux, la guerre de libération actuelle, et la tradition « bandériste », et savent combien la nation ukrainienne a payé et paie cher ces crimes et cet amalgame, « nazi-ukrainien », cette équation raciste que, s’agissant des Palestiniens, Gilbert Achcar croit conjurer en dénonçant leur « nazification », mais qu’il conforte en fait, en montant un échafaudage idéologique pour nous expliquer que les crimes du Hamas, dans sa petite « balance de la justice » qui ne serait soi-disant « pas métaphysique » et pas occidentale, sont des crimes de bonne qualité puisque ce sont des crimes commis du bon côté.

    .... « S’il y a une leçon à tirer de la guerre de libération algérienne, c’est bien que le terrorisme contre les civils dessert les luttes des opprimés et des exclus (...) » - écrivait Mohamed Harbi, qui sait de quoi il parle, dans Hommes et libertés, n°117, janvier-mars 2002.

    .... Pas plus que le Hamas ne combattait l’oppression nationale et coloniale israélienne les 7 et 8 octobre, l’armée israélienne ne « riposte » ou n’exerce des « représailles » visant à « détruire le Hamas » à Gaza. Il s’agit de la plus monstrueuse opération menée contre cette population civile emprisonnée dans un immense ghetto

    .... Beaucoup de commentateurs parlent d’une « seconde #Nakba ». Là encore soyons clairs : c’est pire. L’histoire n’est pas répétition, et tant que le capitalisme conduit biosphère et genre humain à l’abîme, elle est aggravation. C’est pire parce que de plus grande dimension, parce que la population gazaouie n’a pas où aller, l’Égypte fermant ses portes, l’errance au Sinaï, ce vieux mythe n’est-ce pas, signifiant la décimation, pire aussi parce que le nettoyage ethnique en Cisjordanie pourrait bien être le corollaire.

    ... l’Iran. Engagé dans une fuite en avant par peur de la révolution, peur de « Femmes, Vie, Liberté », la caste oligarchique ultra-réactionnaire des mollahs a un programme, un programme de réaction sur toute la ligne, et le génocide du peuple judéo-israélien en fait partie. Il en fait partie, à côté de la répression sauvage en Iran, de l’écrasement des kurdes, de la vassalisation de l’Irak, de l’inféodation du #Liban aux structures mafieuses du #Hezbollah, et du charcutage de la Syrie avec l’expulsion des arabes sunnites d’une grande partie du territoire.

    ... Le rôle contre- révolutionnaire de l’Iran lui a permis d’avoir la tolérance états-unienne, contre la révolution syrienne, et l’alliance russe. .....

    en pdf
    https://aplutsoc.files.wordpress.com/2023/10/la-guerre-de-gaza-et-la-situation-mondiale_vp_2023-10-23.p

    #campisme #Israël #E-U #U.S.A #impérialisme_multipolaire #guerre_en_Ukraine #internationalisme #Gilbert_Achcar #Franz_Fanon #pogroms (by both sides) #Jewish_Voice_for_Peace #crimes_contre_l’humanité #gazaouis

  • Au Haut-Karabakh, l’arme de la faim de l’Azerbaïdjan

    La crise humanitaire qui frappe les Arméniens dans l’enclave disputée s’est brusquement aggravée cet été depuis que Bakou en a bloqué totalement l’accès. L’ancien procureur de la Cour pénale internationale Luis Moreno Ocampo dénonce un « génocide en cours ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/02/au-haut-karabakh-l-arme-de-la-faim-de-l-azerbaidjan_6187566_3210.html
    https://justpaste.it/9wraw

    #Arméniens #Haut-Karabakh #Azerbaïdjan

  • Géographie et #impérialisme. De la Suisse au #Congo entre #exploration géographique et conquête coloniale

    #Gustave_Moynier, cofondateur de la Croix-Rouge, a-t-il également cofondé l’État indépendant du Congo ? Ce régime brutal d’extraction du caoutchouc dirigé par Léopold II voit le jour en 1885 à la suite d’une décennie d’événements exploratoires et conquérants. La Suisse participe à ces événements par le biais des sociétés de géographie dont #Moynier fait partie.
    Loin de se limiter à dévoiler un aspect sombre de la vie de cet homme, l’ouvrage de #Fabio_Rossinelli montre l’intégration – économique, culturelle, voire politique – de la bourgeoisie helvétique à l’#impérialisme_colonial du xIxe siècle. Pour ce faire, l’histoire des associations géographiques en Suisse est analysée en perspective internationale. Jusqu’à la Grande Guerre, ces sociétés représentent, à côté d’autres milieux, des cénacles où se produit un discours raciste accompagné d’actions expansionnistes.

    https://www.alphil.com/livres/1134-1255-geographie-et-imperialisme.html

    #livre
    #colonialisme #Suisse_coloniale #colonialisme_suisse

    pdf en open access :
    https://www.alphil.com/index.php?controller=attachment&id_attachment=261

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    ajouté à la métaliste sur la #Suisse_coloniale :
    https://seenthis.net/messages/868109

    • Book review : Géographie et impérialisme : de la Suisse au Congo entre exploration géographique et conquête coloniale

      What was Switzerland’s role in colonization? If you have ever wondered about this, Rossinelli’s historical account can provide a rich and detailed interpretation of a lesser-known part of the story: the role of Swiss geographic societies and Swiss participation in Belgian King Leopold II’s project to colonize a vast part of central Africa (today’s Democratic Republic of Congo). Rossinelli’s conclusion shows how political the discipline and practice of geography is, bringing geography beyond a technical exercise, showing how expansionist politics by Swiss geography associations were part of a broader dynamic typical of other European geography associations at the time. What makes the Swiss endeavour different is that although Switzerland never formally colonized another country, it supported the efforts of others, benefitting economically from these efforts, while also identifying new places, such as Brazil, for Switzerland’s economic migrants.1 Swiss imperialism, as skilfully demonstrated by Rossinelli, was presented publicly under the guise of a “civilizing” mission of African peoples along with anti-slavery campaigns, led by the Swiss bourgeoisie. But as Rossinelli shows us in great detail, this contradictory mission was often overshadowed by economic and other aspects. How does the author lead us to these conclusions? Rossinelli draws on archival sources to immerse the reader in the national and international meetings in which the imperialistic Swiss projects were discussed and in the texts which these institutions published. The reader often feels as if they have attended a conference in question, knowing the order of events, speakers, and key aspects of their speeches and conclusions.

      The book is divided into four parts. After the introduction, the second part of the book is dedicated to understanding the foundational objectives and operations of eight Swiss geographical associations. Each of these associations held different objectives: some focused on furthering the textile or watch-making markets abroad by using the colonies of other European countries as a place of commerce, other associations were interested in finding places for Swiss to migrate, while yet others focused on collaborating with Swiss missionaries to document local cultures or make natural-history collections. Some of these efforts resulted in Switzerland’s largest collections of ethnographic and natural-history objects. Such collections today contribute to current debates on the restitution of these objects (Sarr and Savoy, 2018), as well as the modern role of these institutions (Vergès, 2023). Rossinelli demonstrates how Switzerland’s geographic associations contributed to imperialistic ideologies and created a pressure from within Switzerland to participate in colonization projects in Africa in particular. The third part of the book reviews and analyses the Swiss production of academic journals, their context, and their influences. Here we see the diffusion of geographic journals throughout Europe and in relation to other European colonization projects.

      In the fourth part of the book, Rossinelli explores how Swiss geographic societies supported one of the largest colonial projects in Africa: that of the former Belgian Congo. The reader finds out how the project was launched internationally through the International African Association, soliciting support of European countries to the king’s private project, including Switzerland. Geographic exploration is seen as a catalyst of colonial expansion in Central Africa. Swiss geographers formed a national chapter to support the initiative and held a series of conferences throughout Switzerland. One of the more interesting roles explored is that of arbitrator. Given that Switzerland had not directly colonized any part of Africa, the country was seen as neutral and able to judge cases of conflict between colonizing countries such as Belgium and Portugal disputing rights to trade at the mouth of the Congo River. During this time, we see Switzerland launch geographic journals as well as the monthly Afrique explorée et civilisée (1879–1894), as part of a communication campaign to the general public. Rossinelli makes connections between Swiss bourgeoisie involvement in both the Red Cross and colonial developments and discusses the role of Swiss banks in the Belgian project.

      I can critique two aspects of this highly engaging and informative work. First, the attention to detail is sometimes to an extreme. The author often opens and closes long detailed parenthetical statements about specific people, events, or places. This sometimes makes reading through parts of the work laborious. But this detail is also at times necessary to make his arguments. Secondly, Rossinelli at times uses the word indigène rather than autochthone to refer to African peoples. This is surprising but perhaps not intentional. In the Francophone literature, especially regarding movements for Indigenous rights and from the United Nations (African Commission on Human and Peoples’ Rights and International Work Group for Indigenous Affairs, 2005; Bellier, 2009), this word is expressly avoided because it links their identity to colonialism. The colonial-era policy of the indigénat, a regime in French colonies which classified Africans as French nationals without citizenship rights, viewed local people as labourers for colonial projects (Tsanga et al., 2022). Even if this book recounts colonial expansion in Africa, the African people affected have histories well beyond their colonial encounters with Europeans: their history does not start or stop with colonialism (Táíwò, 2019), and so the word indigène could have been replaced with autochthone more regularly to strongly signal this issue.

      Throughout the book, Rossinelli interprets the racist history of Swiss geographical associations vis-a-vis Africa, examining why these associations viewed Africa – unlike Asia – as a place without history. The author shows how despite the critical report about the Belgian Congo’s treatment of Congolese people by African-American lawyer George Washington Williams highly reported in European newspapers, the Swiss press defended the Belgian project, insisting that treatment was no worse than that of agricultural workers in Switzerland. Rossinelli also details several racial discourses found in the geographical-society journals, how missionaries were vectors of racism and cultural-superiority exercises, and how cartographic exercises and related reports held a colonial gaze of racial superiority and environmental determinism.

      Rossinelli’s work joins others on the topic of Switzerland and colonization.2 This book situates geographical societies of Switzerland in their colonial roots. And it joins works querying the colonial history of Switzerland (Purtschert and Fischer-Tiné, 2015); racial aspects of colonial history (dos Santos Pinto et al., 2022); and recent efforts focusing on decolonizing it, such as those of the city of Zurich (Brengard et al., 2020), the Musée d’Ethnographie de Genève (de Genève, 2020), requests for removals of colonial-era statues (Fall, 2020), or efforts to decolonize the Zoo Zurich (Sithole et al., 2021). Overall, this work, in all its detail, is a must-read for those who are interested in Switzerland’s imperialist agenda at the time and the various roles it held in Europe’s colonial expansion in Africa.

      https://gh.copernicus.org/articles/78/337/2023

  • Le Chancre du Niger, petit livre de 1939 – jamais réédité
    https://www.cairn.info/revue-roman2050-2006-4-page-17.htm

    Le Chancre du Niger n’a pas eu la fortune du Rôdeur, de L’Âge d’or ou de La Ligne de force. Ce livre de 1939 n’a jamais été réédité. « Ce petit livre », préfacé par Gide, s’inscrit dans une collection, Les Tracts de la NRF, où Gide a publié deux textes retentissants : Retour de l’U.R.S.S. (1936) et Retouches à mon « Retour de l’U.R.S.S. » (1937). Herbart, lui, s’attaque à l’Office du #Niger, un établissement public fondé en 1932 pour irriguer, « coloniser, mettre en valeur et exploiter », aux frais de l’AOF, la vallée du Niger dans ce qui était, à cette époque, le Soudan français et qui s’appelle aujourd’hui le Mali. Fidèle à l’esprit de la collection, #Pierre_Herbart y dénonce en 124 pages « la malfaisance […] d’un système » . Le Chancre du Niger ne se présente pourtant pas comme un pamphlet, mais comme une « étude », une « enquête » qui veut prouver à l’aide de documents et de chiffres. Ce texte tire sa force de la solidité de son information, et aussi, ce que je voudrais montrer, de sa mise en œuvre littéraire. [...]

    #colonisation # exploitation #impérialisme_français #curious_about

  • Indopacifique : l’impérialisme français manœuvre
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/07/26/indopacifique-limperialisme-francais-manoeuvre_725787.html

    Le 24 juillet, Macron a atterri en Nouvelle-Calédonie, première étape d’une tournée qui devait l’emmener au Vanuatu et en Papouasie-Nouvelle-Guinée, une tournée qualifiée d’ historique dans cette région du monde appelée maintenant #Indopacifique.

    La présence dans cette région est devenue une priorité stratégique de l’État français. Alors que la tension monte entre les #États-Unis et la #Chine, que les uns et les autres cherchent à enrôler les pays de la région dans des alliances économiques et militaires, l’impérialisme de second rang qu’est la France veut pouvoir jouer son propre jeu. En s’appuyant sur ses #colonies du #Pacifique, en particulier la Nouvelle-Calédonie et la #Polynésie, il se présente comme un acteur régional et une « puissance d’équilibre », à distance des États-Unis et de la Chine.

    Cette posture lui permet d’avoir l’oreille de certains États, comme l’Inde et l’Indonésie, qui ne veulent pas apparaître comme trop inféodés aux États-Unis, ce qui met les Dassault et autres Thales en bonne position pour vendre leurs armes. Ainsi Macron a reçu à l’Élysée le 14 juillet le président indien Modi au moment où son pays annonçait l’achat de 26 Rafale. De son côté, l’#Indonésie a acheté en 2022 des Mirage d’occasion, tout en s’engageant pour 42 Rafale. Au-delà des ventes d’armes, la possession de ces #territoires_d’Outre-mer permet à la France de s’intégrer à différents traités et forums du Pacifique, et d’obliger les États-Unis à lui faire une petite place dans leurs manœuvres militaires et diplomatiques.

    La #Nouvelle-Calédonie est donc pour l’#impérialisme français une pièce majeure. Outre les abondantes réserves de #nickel et sa vaste zone maritime, elle abrite une base militaire sur la route commerciale à destination de l’Australie et de la Nouvelle-Zélande, d’où partent les navires et avions militaires qui participent aux opérations conjointes avec les États-Unis. Ainsi celles du 19 juillet sur l’#île_de_Guam, baptisées #Elephant_Walk, ont rassemblé États-Unis, #Royaume-Uni, Canada, Australie, Japon et France.

    Il n’est donc pas dans les intentions de l’État français de relâcher ses liens avec ce qui lui reste de colonies. La présence de #Sonia_Backès, anti-indépendantiste caldoche, présidente de la province Sud, la plus riche de l’archipel, au gouvernement de Macron comme secrétaire d’État à la Citoyenneté, est plus qu’un symbole. Mardi 25 juillet, plusieurs dizaines de militants #kanaks se sont rassemblés pour dénoncer la colonisation de leur archipel et s’opposer à la modification du corps électoral, qui donnerait encore plus de poids aux #Caldoches, les colons et descendants de colons de métropole.

    Après avoir reçu les uns et les autres et leur avoir fait moultes promesses, Macron s’envolera vers le Vanuatu, un archipel devenu un enjeu entre États-Unis et Chine, où celle-ci construit de nombreuses infrastructures. Pour riposter, les États-Unis ont annoncé début avril l’ouverture d’une ambassade. Tout le #Pacifique_Sud est devenu le théâtre de cette rivalité croissante. En 2022, le ministre chinois des Affaires étrangères y a fait une tournée, proposant aux États insulaires des millions de dollars d’aides, un projet d’accord de libre-échange, des pactes de sécurité, comme celui passé avec les #îles_Salomon. Les États-Unis quant à eux rouvrent des ambassades et négocient des accords militaires.

    La #Papouasie-Nouvelle-Guinée, ancienne colonie australienne, pays parmi les plus pauvres du monde, était la dernière étape de Macron. En même temps, le secrétaire d’État américain devait se rendre aux Tonga voisines. Le #Pacifique est un nouvel enjeu pour les pays impérialistes. L’#impérialisme_français veut être de la partie.

  • Tribune des généraux (21 avril 2021) : l’État, « une bande d’hommes armés » | Le mensuel
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2021/05/09/tribune-des-generaux-letat-une-bande-dhommes-armes_158764.ht

    La gauche et le mythe de l’armée républicaine

    Les dirigeants du PS, du PC, de La France insoumise ou de la CGT, poussent des cris effarouchés face à la présence de l’extrême droite dans l’armée en prétendant, comme #Jean-Luc_Mélenchon, que cette tribune «  salit l’honneur de l’armée française  ». L’«  honneur de l’armée française  » s’est pourtant exprimé depuis des dizaines d’années en Afrique pour sauvegarder les intérêts de l’#impérialisme_français. L’armée française a couvert et protégé les génocideurs au Rwanda, sauvé la peau de dizaines de dictateurs et d’assassins en Afrique, sans parler de ses sales guerres plus anciennes en Indochine ou en Algérie. Elle a écrasé la Commune de Paris, assassiné des ouvriers à Fourmies en 1891, envahi avec ses chars les carreaux de mine du Nord en grève en 1948… et la liste est longue. En parlant ainsi, en expliquant qu’il faut «  rappeler aux soldats leur devoir d’obéissance due  », Mélenchon montre qu’il est un défenseur de l’armée, c’est-à-dire de l’ordre bourgeois. Les révolutionnaires ne sont pas, eux, pour le respect de «  l’obéissance due  », mais pour les révoltes des soldats contre leurs officiers – et pour la dissolution de l’armée permanente.

    La CGT a publié le 26 avril un communiqué de presse du même tonneau, expliquant que «  la neutralité de l’armée est un principe républicain avec lequel il ne peut être question de transiger  ». Entretenir le mythe d’une «  #armée_républicaine  » qui serait neutre, c’est-à-dire qui ne choisirait pas son camp entre les classes sociales, en faisant semblant d’ignorer que la caste des officiers forme et formera toujours les chiens de garde de l’#ordre_bourgeois, c’est non seulement un mensonge conscient, mais c’est une trahison vis-à-vis de la classe ouvrière. C’est ce genre de propagande qui a conduit, la gauche chilienne il y cinquante ans, à laisser la classe ouvrière désarmée face au général Pinochet, en assurant que l’armée était par nature trop républicaine, trop neutre pour renverser un gouvernement démocratiquement élu.[1]

    Dans son communiqué, la CGT regrette que le «  Conseil supérieur de la réserve militaire, au sein duquel elle siège, n’est plus réuni à la fréquence prévue par les textes  »  ! Autrement dit, il n’y a pas de danger, il y a un bureaucrate de la #CGT au sein du Conseil supérieur de la réserve militaire, et la démocratie est bien protégée.

    La gauche, du #PS au #PCF en passant par la France insoumise, n’a rien su dire d’autre qu’en appeler à Macron et au gouvernement. «  Toujours pas de réaction d’#Emmanuel_Macron et du gouvernement  !  », twittait #Fabien_Roussel, le patron du #PCF, le 24 avril. «  Nous appelons la ministre des Armées à prendre des sanctions exemplaires à l’encontre des signataires de cette tribune qui portent atteinte à l’honneur de l’armée française et aux militaires engagés pour servir la République  », a écrit quant à lui le Parti socialiste dans une résolution votée le 27 avril. Ces partis jouent leur rôle  : prétendre que l’armée a pour fonction de défendre la #République et non les intérêts de la bourgeoisie, et camoufler le fait que Macron, comme n’importe lequel de ses prédécesseurs de gauche comme de droite à la tête de l’État, n’hésiterait pas à mobiliser l’armée contre une explosion sociale si le pouvoir de la #bourgeoisie en dépendait.

    #armée #armée_française #impérialisme #nationalisme #LFI

  • 6 avril 1994 : début du génocide tutsi au Rwanda

    – Rwanda - Les interventions, nullement humanitaires, de l’impérialisme français
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-actuelle-1993/rwanda-les-interventions-nullement

    – Afrique des Grands Lacs - Derrière la crise des réfugiés rwandais, les rivalités des trusts et des impérialismes
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-actuelle-1993/afrique-des-grands-lacs-derriere

    – Le Congo déchiré par les bandes armées... et par des rivalités impérialistes
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-actuelle-1993/le-congo-dechire-par-les-bandes

    – Les relations entre l’impérialisme français et sa zone d’influence africaine
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-actuelle-1993/les-relations-entre-l-imperialisme

    – Congo (ex-Zaïre) - Un pays pillé par les seigneurs de guerre et les trusts impérialistes
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-actuelle-1993/congo-ex-zaire-un-pays-pille-par

    – Génocide au Rwanda : 27 ans de mensonges et de déni sur la complicité de la France
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2021/06/30/genocide-au-rwanda-27-ans-de-mensonges-et-de-deni-sur-la-com

    #Rwanda #génocide #éphéméride #impérialisme_français #impérialisme_belge #République_Démocratique_du_Congo #armée_française

  • "Le coup d’État fasciste en Allemagne" (24 mars 1933)

    Thèses du courant trotskyste majoritaire dans la prison de Verkhnéouralsk (publiées dans Le Bolchevik-léniniste n° 2, 1933)

    Un texte fondamental paru dans Les Cahiers de Verkhnéouralsk (Les bons caractères, pp. 163-206, 2021).

    https://les-passages.ghost.io/le-coup-detat1-fasciste-en-allemagne-le-bolchevik-leniniste-ndeg-

    1 – Le coup d’État contre-révolutionnaire qui a lieu en Allemagne, la contre-révolution de mars, est un événement de la plus haute importance historique… […]
    2 – La #crise_économique_mondiale a profondément ébranlé les fondements de la société capitaliste. Même un Léviathan impérialiste comme les États-Unis tressaille sous ses coups… […]
    3 – Les impérialismes français, britannique, américain n’avaient qu’un seul moyen de préserver l’équilibre interne de Weimar et de Versailles en Allemagne et en Europe : annuler ou reporter la dette de l’Allemagne et lui consentir de nouveaux crédits… […]
    4 – Ce qui créait les conditions d’une montée impétueuse du fascisme dans les esprits, c’était donc l’impasse économique dans laquelle la situation du capitalisme d’après-guerre avait conduit l’Allemagne, la crise économique profonde et le système de #Versailles, dans un contexte de faiblesse de l’avant-garde prolétarienne… […]
    5 – En fin de compte, la contre-révolution de mars signifie la liquidation des vestiges de la révolution du 9 novembre [1918] et du système de Weimar. Mais cela signifie-t-il aussi en même temps le retour au pouvoir des forces sociales et politiques qui gouvernaient l’Allemagne avant la révolution de Novembre, autrement dit une restauration au sens propre et concret ? […]
    6 – La victoire du fascisme allemand marque la fin de l’ère du pacifisme démocratique d’après-guerre et porte un coup dur, peut-être fatal, à la démocratie bourgeoise en tant que forme de domination bourgeoise la plus répandue dans les pays clés du capitalisme… […]
    7 – La contre-révolution de mars se fonde sur le croisement et l’imbrication des facteurs objectifs suivants… […]
    8 – Le fascisme allemand ne « s’implante » pas dans la #république_de_Weimar, il ne se dissout pas en elle, ne s’adapte pas « au cadre et aux formes de la #démocratie_bourgeoise », il les démolit et les envoie au rebut par un coup d’État réalisé en alliance avec les junkers du parti « national », que dirige le président de la République… […]
    9 – Les forces motrices de la contre-révolution de mars sont les cercles les plus réactionnaires et les plus chauvins du capitalisme monopoliste en Allemagne, de l’#impérialisme_allemand qui, à travers son parti fasciste, a transformé en un soutien social la petite bourgeoisie et les travailleurs déclassés… […]
    10 – Il est difficile de déterminer avec précision l’équilibre actuel des forces de classe en Allemagne. Le #coup_d’État est toujours en cours et le rapport des forces change donc d’heure en heure. Une chose est certaine : c’est une classe ouvrière désorientée et divisée qui, avant le coup d’État et depuis, s’est trouvée confrontée et continue de l’être au front uni et consolidé de la réaction… […]
    11 – La fin de l’Allemagne de #Weimar et l’effondrement de l’équilibre européen signifient la mort de la #social-démocratie allemande et le début de la fin pour le réformisme… […]
    12 – Au fil des ans, l’#opposition léniniste a observé avec inquiétude comment se développaient les événements en Allemagne, expliquant constamment l’ampleur qu’ils prenaient et leur très grande importance historique. Elle a constamment et sans relâche signalé quel danger, pour l’ensemble du #mouvement_ouvrier mondial, mûrissait en Allemagne sous la forme du fascisme… […]
    13 – La facilité avec laquelle la #contre-révolution a accompli son coup d’État, la bureaucratie de l’IC l’expliquera, demain bien sûr, par la « passivité » du prolétariat « qui n’a pas voulu accepter » le combat, et non par le fait que ni le Komintern ni la direction du #KPD (sans même parler de la IIe Internationale et du #SPD) n’ont aucunement préparé le prolétariat à résister, n’ont pas opposé de résistance au coup d’État et n’ont pas appelé la classe ouvrière à le faire…
    14 – Même nous, #bolcheviks-léninistes de Russie, avons sous-estimé toute la profondeur de la #dégénérescence de la direction du #Komintern et des partis communistes des principaux pays capitalistes… […]
    15 – La #bureaucratie_stalinienne a fait des avances à Hitler pendant trois ans, le considérant comme le futur maître de l’Allemagne. Par toutes ses actions et celles du Komintern, elle l’a aidé à aller au pouvoir. Elle a mis le pied de #Hitler à l’étrier, comme elle l’avait fait autrefois pour #Tchang_Kaï-chek… […]
    16 – La victoire du fascisme donne-t-elle un répit supplémentaire au capitalisme ? Bien que notre époque soit et reste celle des révolutions prolétariennes, bien que la victoire du fascisme exacerbe à l’extrême les contradictions de classes et interétatiques, la victoire de Hitler n’en renforce pas moins temporairement la domination politique de la bourgeoisie, repoussant quelque peu les dates de la révolution prolétarienne… […]
    17 – Comment, hors d’#Allemagne, y a-t-il le plus de chances que se réorganisent les forces résultant du coup d’État fasciste ?.. […]
    18 – Par ses trahisons en chaîne, le stalinisme a affaibli et désorganisé le prolétariat mondial, dont le soutien a préservé jusqu’à maintenant les vestiges du système d’Octobre… […]
    19 – La victoire du fascisme allemand non seulement ne signifie pas une stabilisation du capitalisme, mais elle porte au contraire toutes ses contradictions à un nouveau niveau, plus élevé… […]
    21 – Le #réformisme s’est épanoui sur la base de la démocratie bourgeoise. La crise de cette dernière a été une crise de la social-démocratie… […]
    22 – Le fascisme se renforce au pouvoir et devient de plus en plus fort d’heure en heure. La #terreur des gardes blancs a déjà commencé… […]
    23 – Le #fascisme est un méandre de l’histoire, une anicroche historique dans la progression générale de la #lutte_de_classe et de la #révolution_prolétarienne mondiale. Mais notre tâche n’est pas de rassurer les masses… […]

    #nazisme #stalinisme #trotskysme #trotskisme #trotsky #militants_trotskystes #isolateur #prison #Sibérie #Verkhnéouralsk #traité_de_versailles

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.

  • Il y a un an (2 mars 2022) : La politique criminelle de Poutine, chef de la bureaucratie russe, face à la pression de l’impérialisme https://journal.lutte-ouvriere.org/2022/03/02/la-politique-criminelle-de-poutine-chef-de-la-bureaucratie-r (#archiveLO)

    Le ministre français des Affaires étrangères, Le Drian, a qualifié Poutine de « semeur de guerres », l’Élysée a parlé de sa « paranoïa » tandis que Biden évoquait son « désir d’empire ». Mais la réalité est que la Russie a vu sa zone d’influence disputée et de plus en plus réduite depuis les années 1990.

    L’impérialisme, surtout l’#impérialisme_américain, le plus puissant, exerce une pression économique et militaire aux marges de la Russie qui crée des rivalités et a déjà provoqué plusieurs guerres. Et si le conflit actuel en Ukraine pourrait être plus grave, il n’en relève pas moins de la même logique.

    Après la dissolution de l’#URSS par ses propres dirigeants en 1991, les républiques ex-soviétiques ont connu une décennie chaotique. Les cercles dirigeants étaient issus de la bureaucratie qui avait usurpé le pouvoir du temps de #Staline, une couche sociale parasitaire de plusieurs millions de membres présents à tous les niveaux de l’appareil d’État. Ils se sont jetés sur tout ce qui dans l’économie pouvait rapporter gros et rapidement. Ils se sont approprié les entreprises les plus rentables et les banques, par des méthodes autoritaires et mafieuses...

    Fortune pour quelques #oligarques, déception pour beaucoup d’autres

    La population des États issus de cette décomposition de l’URSS voyait son niveau de vie s’effondrer à une vitesse vertigineuse. Mais l’enrichissement de quelques hommes à la tête des nouveaux pouvoirs indépendants, ceux qu’on allait appeler les oligarques, a été tout aussi spectaculaire. Cette décennie qui avait des allures de Far-West version orientale se traduisit aussi par la chute des États ex-soviétiques au rang de pays pauvres pour certains, tel le Tadjikistan, et de pays plus ou moins développés mais en voie de régression pour les autres. Au sommet des appareils d’État, les hommes et clans de la bureaucratie les mieux placés pour exploiter la situation à leur profit s’en tiraient brillamment. En revanche les moins chanceux, et surtout la grande masse des bureaucrates petits et moyens qui avaient bénéficié d’une position dominante dans la société soviétique, se retrouvaient déclassés et humiliés.

    C’est dans ce contexte que Poutine arriva au pouvoir en janvier 2000, désigné par son prédécesseur, Eltsine. Ancien officier supérieur du KGB, il s’employa à mettre un coup d’arrêt à cette évolution en rétablissant ce qu’il appela la « verticale du pouvoir ». Pour stopper les volontés indépendantistes qui menaçaient désormais la Fédération de Russie elle-même, il déclencha une deuxième guerre de Tchétchénie, rasa sa capitale Grozny et mit au pas les autorités locales. Il installa dans les régions des gouverneurs à sa botte. Quant aux oligarques, il leur fit comprendre qu’ils devraient eux aussi se soumettre au pouvoir, partager leur mainmise sur certains secteurs stratégiques comme l’énergie, réinvestir en Russie une partie de leur fortune, qu’ils faisaient fuir à l’étranger. Les oligarques qui crurent pouvoir s’y opposer le payèrent, certains de leur vie, d’autres d’années de prison et de la confiscation de leurs trusts. Beaucoup émigrèrent définitivement et les autres firent allégeance pour continuer leurs affaires.

    Si Poutine a ainsi pu rétablir un État fort, c’est fondamentalement parce que le régime autoritaire qu’il incarne depuis déjà vingt-deux ans répond aux intérêts collectifs de sa base sociale, cette bureaucratie qui avait failli tout perdre avec la disparition de l’ancien État. Poutine sut asseoir son pouvoir en permettant aux clans au sommet de l’État de continuer à faire des profits par milliards pour peu qu’ils acceptent son autorité. Mais il le fit aussi en rendant à la bureaucratie dans son ensemble, du haut en bas de la chaîne hiérarchique, la possibilité de vivre de ses prébendes.

    Cette politique était possible du fait de l’héritage de l’#économie_soviétique, des immenses richesses de la Russie. Ses matières premières, le gaz, le pétrole ont vu leur cours exploser dans les années 2000. Les liens subsistaient aussi avec les autres républiques ex-soviétiques qui dataient de l’époque antérieure, celle de l’économie planifiée à l’échelle de l’URSS.

    Retour de l’Etat fort

    Dès les années 1990, l’impérialisme a commencé à avancer ses pions dans tout l’espace ex-soviétique. Le #capitalisme était bien incapable d’assimiler l’économie construite à l’époque soviétique. Mais il était prêt à exploiter ce qui pouvait lui être profitable, c’est-à-dire des marchés où exporter ses capitaux, des matières premières, de la main-d’œuvre qualifiée à moindre coût. Une rivalité s’instaura aussitôt entre la Russie de Poutine, qui cherchait à reconstituer des partenariats avec les ex-­républiques soviétiques en préservant les liens économiques historiques indispensables, et l’impérialisme qui s’efforçait de les attirer aux dépens de la Russie. Symbole de cette politique expansionniste, l’#OTAN, au lieu de se dissoudre comme certains dirigeants américains l’avaient promis à Gorbatchev en 1990, a entouré la #Russie de bases militaires, dans les pays Baltes, en Roumanie, en Pologne.

    La question des relations avec l’#Ukraine, qui a débouché sur la crise de 2014 et en fin de compte sur la guerre actuelle, après d’autres conflits en Géorgie, en Moldavie, en Arménie, illustre cette rivalité. En 2014, l’Union européenne a en effet proposé un accord d’association à l’Ukraine, avec une zone de libre-échange, des mesures de coopération en matière énergétique, nucléaire, etc., à condition que l’Ukraine refuse le partenariat proposé au même moment par la Russie.

    En fait, les États impérialistes, à commencer par les États-Unis, ont évidemment vu la fin de l’URSS d’un œil favorable. Les dirigeants russes qui étaient, de l’aveu de Poutine, tout prêts à coopérer ont dû se rendre compte que l’impérialisme voulait une Russie à genoux, soumise à son bon vouloir et réduite à la portion congrue.

    La #bureaucratie et son chef ne peuvent l’accepter. De plus, avec la crise de l’économie capitaliste, la pression impérialiste s’accroît partout dans le monde, et l’Est de l’Europe ne fait pas exception.

    #Poutine, représentant de l’oligarchie et de toute la bureaucratie russe, est évidemment un ennemi des travailleurs, tout autant que les dirigeants impérialistes. Il est l’ennemi de ceux de son pays comme de ceux de l’Ukraine où il mène la guerre aujourd’hui. Pour autant, la situation actuelle n’est pas due à sa personalité, mais à la guerre économique qui règne sur la planète et qui ne peut manquer, tant que le capitalisme règnera, de se transformer à un moment ou à un autre en guerre tout court.

    #guerre_en_ukraine #impérialisme #oligarchie

  • « Socialisme ou barbarie ? » (Barta, 20 février 1944)

    AVERTISSEMENT

    La guerre est devenue le mal chronique de notre époque. On se propose ici d’exposer aux ouvriers conscients, soucieux de l’avenir de leur classe, les causes réelles de ce fléau et les moyens dont dispose le prolétariat pour y mettre fin.

    Pour bien comprendre l’origine de la guerre, et pour en tirer les déductions indispensables à l’action de classe du prolétariat, il est nécessaire de connaître les causes économiques qui la déterminent ; c’est pourquoi, malgré notre souci constant d’écrire de façon claire et à la portée de tout ouvrier sérieux (même n’ayant pas une éducation politique étendue) notre sujet nous a obligés à nous étendre parfois sur des questions que l’on a rarement l’occasion d’étudier sérieusement et qui exigent, pour être bien comprises, toute l’attention du lecteur.

    Mais seuls les démagogues et les fascistes s’imaginent qu’on peut mener la « masse » (pour laquelle ils ont un profond mépris) avec des mots d’ordre « simples », c’est-à-dire mensongers ; les marxistes au contraire s’assignent pour tâche d’aider la classe ouvrière à dissiper ses illusions entretenues par la bourgeoisie et à prendre conscience du système qui l’opprime et l’exploite.

    L’histoire du mouvement ouvrier a montré que, malgré les difficultés qu’ils rencontrent du fait que le prolétariat, en tant que classe opprimée, manque d’une instruction suffisante, les ouvriers animés du profond désir de créer un monde meilleur, à eux, sont capables de s’élever jusqu’aux plus hautes généralisations théoriques.

    Certes, aujourd’hui, après les défaites subies par la classe ouvrière, et dans les conditions terribles que nous impose la bourgeoisie (journée de 10 heures et sous-alimentation), la majorité des travailleurs a perdu l’habitude de se préoccuper directement et systématiquement de ses intérêts de classe. Mais seuls des ouvriers non-conscients se refuseraient à prêter un minimum d’attention soutenue à une question aussi vitale pour le prolétariat, dans des circonstances où la bourgeoisie saigne chaque jour un peu plus les masses.

    A ceux-là n’est pas destinée cette brochure : nous nous adressons aux ouvriers conscients, et nous leur demandons de nous lire jusqu’au bout.

    20 Février 1944

    *

    QUELLE ÉPOQUE VIVONS-NOUS ?

    Chacun se rend compte que nous vivons une période exceptionnelle de l’histoire du genre humain. Depuis le début du siècle, une série de guerres et de révolutions a continuellement bouleversé de fond en comble la vie des peuples du monde entier, empêchant les hommes de vivre d’une façon normale :

    1904 : guerre impérialiste russo-japonaise ;

    1905 : première #Révolution_russe ;

    1912 : #guerre_balkanique ;

    1914-18 : première guerre impérialiste mondiale, suivie de la série de révolutions qui l’ont endiguée ;

    1917 (Février et Octobre) : Révolution russe ;

    1918 (Novembre) : #Révolution_allemande et écroulement de l’empire austro-hongrois ; révoltes dans l’armée française.

    Puis révolutions et contre-révolutions d’après-guerre :

    1919 : en Hongrie ; 1919-22 : en Italie ;

    1923 : en Allemagne ; 1924 : en Bulgarie ;

    1925-27 : en Chine ...

    A partir de #1929 la #crise_mondiale ouvre la voie vers une deuxième guerre impérialiste, à travers une nouvelle série de conflits intérieurs dans les différents pays capitalistes, conflits qui se terminent par la victoire de la bourgeoisie.

    1931 : chute de la royauté en Espagne ;

    1933 : victoire du #fascisme en Allemagne ;

    1934 (Février) : insurrection des ouvriers de Vienne ;

    1934-38 : grèves générales en France ;

    1936 (Juillet) : Révolution prolétarienne en Espagne.

    Et, 20 ans après la première guerre mondiale, annoncée par la #guerre_Italo-Ethiopienne (1935) et la #guerre_Sino-Japonaise (1937) a commencé en 1939 une deuxième guerre impérialiste dont on ne voit pas encore la fin.

    Comme le montre ce tableau des principaux événements contemporains, dans l’intervalle de deux générations, la courbe des conflits a monté d’une façon vertigineuse. Il ne s’agit plus aujourd’hui de querelles dynastiques, d’appétits de conquêtes de tel ou tel pays, de sécurité des frontières, de guerres laissant la société, en dépit des malheurs et de la misère, suivre sa marche en avant ; le caractère tout à fait spécial de notre époque est qu’à l’intérieur des nations comme à l’extérieur, la société se déchire de plus en plus profondément à travers des bouleversements ininterrompus qui détruisent les richesses et la culture accumulées par l’humanité, saignent et affament les masses et les réduisent à un asservissement moyenâgeux. On dirait que le monde ayant perdu son centre de gravité va retomber avec fracas dans la chaos ; l’humanité entière ne peut plus retrouver l’équilibre et la paix, si ce n’est dans les cimetières...

    D’après les curés de toutes les religions, cette rupture d’équilibre, ces guerres de plus en plus meurtrières, seraient « la punition de nos péchés » ; et déjà les représentants de la bourgeoisie, qui en 14-18 ont mené les peuples au massacre pour la « der des der » et ont sacrifié plus de 10 millions d’hommes depuis Août 1939 pour « la démocratie » ou pour « l’espace vital », parlent d’une troisième guerre mondiale. Ainsi, la guerre à l’échelle mondiale serait un phénomène naturel inhérent à l’existence de la société humaine.

    Mais, des années avant la 1ère guerre mondiale, notre époque d’agonie et de mort a été caractérisée par tous les partis et les syndicats ouvriers comme l’effet du capitalisme dans sa dernière phase, l’impérialisme : « Le capitalisme porte en lui la guerre comme la nuée porte l’orage » (Jaurès).

    En effet, depuis le début du siècle, la capitalisme a profondément modifié sa structure. Fini le capitalisme de libre concurrence, le « laisser-faire, laisser-passer », qui, malgré les crises, les conflits et le chômage temporaires, accomplissait l’équipement industriel du territoire (construction de machines, d’usines, de chemins de fer, de routes, de canaux, de bateaux etc...) et facilitait de plus en plus la vie on développant les forces productives, c’est-à-dire la puissance de l’homme sur la nature ; la supériorité de la grande industrie sur la petite a engendré, par la ruine de cette dernière, le monopole capitaliste. Cette modification de structure du capitalisme lui a enlevé tout caractère progressif et l’a rendu profondément réactionnaire ; les plus grandes inventions, loin d’être utilisées pour accroître la puissance de l’homme sur la nature, et par conséquent son bien-être, servent à la destruction et à la mort, pour le maintien d’un régime condamné.

    Et l’on a pu voir, dans une société soi-disant civilisée, des millions de chômeurs et leurs familles souffrir la misère et la faim tandis que, pour maintenir les prix, les capitalistes procédaient à la destruction systématique des récoltes : aux Etats-Unis on élevait des hannetons pour ravager les plantations de coton ; l’Amérique du Sud brûlait du blé et du café dans les locomotives ; en France on offrait des primes aux vignerons pour arracher les vignes, et les pêcheurs devaient rejeter leur poisson à la mer !...

    Pourquoi l’impérialisme (capitalisme monopoleur) provoque-t-il la destruction des richesses accumulées, la fin de la civilisation et de la culture ; pourquoi la guerre est-elle son mode d’existence, et la paix seulement « une trêve entre deux guerres » (Lénine) ? Nous demandons un peu de patience à notre lecteur ouvrier pour les explications qui suivent : il s’agit de bien comprendre ce qu’est l’impérialisme si l’on ne veut pas tomber dans les pièges de la bourgeoisie et se laisser saigner par elle à l’aide de slogans qui ne veulent rien dire.

    CAPITALISME DE LIBRE CONCURRENCE ET CAPITALISME DE MONOPOLE (IMPERIALISME).

    Jusqu’à la fin du 19ème siècle, les marchés, et en premier lieu le marché national, offraient des possibilités d’écoulement à tous les produits : dans les différentes branches de la production (métallurgie, tissages, etc...) les capitalistes, – grands, moyens et petits – , existaient et « travaillaient » indépendamment les uns des autres ; c’était le capitalisme de libre concurrence.

    Cependant, la concurrence oblige chaque capitaliste à ajouter constamment les profits réalisés (sauf une partie nécessaire à ses dépenses personnelles) au capital initial, pour les réinvestir dans l’industrie (perfectionnements techniques, achat de machines, etc...). Or, l’extension constante de la production de chaque capital individuel augmente à tel point la quantité des marchandises à écouler, que le marché n’est plus capable d’absorber la production de tous les capitalistes. Ceux qui n’arrivent pas à vendre leurs marchandises font faillite ; mais dans cette lutte à mort, ce n’est pas la chance qui décide des survivants : les entreprises ne sont pas de grandeur égale, et le prix de revient est d’autant plus petit que la production est grande. C’est donc la grande entreprise qui possède l’avantage décisif dans la concurrence capitaliste, concurrence de plus en plus acharnée qui aboutit à la ruine des plus faibles au profit des plus forts.

    C’est ainsi que, peu à peu, avec des péripéties diverses, la libre concurrence engendre inévitablement la concentration des capitaux et aboutit à la domination despotique du marché par un seul capital monopoleur.

    Du point de vue de la nouvelle structure du capitalisme, il importe peu que le capital monopoleur (qui domine un, plusieurs ou tous les marchés sans concurrence) appartienne à un seul ou à plusieurs capitalistes, ou à une masse d’actionnaires : l’essentiel est la disparition de l’élément de progrès du système, la concurrence entre les capitalistes d’une même branche.

    On pourrait croire, à première vue, que le capitaliste monopoleur peut « se contenter » de sa position assurée de monopoleur et « renoncer » à gagner des positions capitalistes nouvelles. Mais le capitaliste ne produit pas pour la société : il « travaille » pour réaliser des profits. Et même s’il devenait tout à coup « vertueux » et voulait mettre en pratique la charité chrétienne, du point de vue économique, il le peut encore moins que dans le capitalisme de libre concurrence (où le danger n’était pas de tous les instants, et où les périodes de prospérité pouvaient au contraire lui faire croire qu’il y avait de la place pour tout le monde). La concurrence entre capitalistes indépendants d’une même branche fait place à un antagonisme de tous les instants, cent fois plus âpre, et qui, loin d’être une source de progrès provoque le dépérissement de l’économie, avec la misère et la guerre pour les masses.

    Par exemple, le capitaliste qui monopolise les transports par chemins de fer entre en une lutte de tous les instants avec celui qui monopolise les transports par route ; d’autre part, deux sociétés monopoleuses dont les produits s’écoulent dans le monde entier – les pétroles par exemple – entrent en conflit mortel pour la possession des sources anciennes ou nouvelles de matières premières ; enfin, « la course pour le dollar du consommateur » est un autre élément d’antagonismes entre les monopoles (le consommateur ayant un budget à peu près fixe, il s’agit de savoir comment il répartira ses dépenses : achètera-t-il un livre, ira-t-il au cinéma, ou restera-t-il à la maison pour économiser de quoi s’acheter une bicyclette ?).

    Donc, à peine arrivé au monopole comme terme d’une lutte entre capitalistes indépendants pour accaparer le marché, le capitalisme plonge l’économie entière dans une anarchie encore plus grande qui finalement mène à la ruine de la société.

    En effet, pour se renforcer contre les monopoles qui le menacent, le capitaliste monopoleur est obligé de conquérir des positions capitalistes de plus en plus fortes, et pour cela il doit réinvestir les profits et surprofits réalisés ; or, le processus de concentration s’étant poursuivi dans presque toutes les branches de la production dans les vieux pays capitalistes, ceux-ci n’offrent plus de débouchés pour de nouveaux investissements : les capitaux sont donc exportés au dehors, surtout dans des pays arriérés et aux colonies où les conditions d’une économie retardataire (équipement industriel pour l’exploitation et l’exportation des ressources du pays, matières premières et main-d’œuvre aux plus bas prix) permettent de réaliser des bénéfices fabuleux sur le dos de la population coloniale ou semi-coloniale.

    Ainsi la lutte prend un aspect entièrement nouveau. Il ne s’agit plus d’une concurrence purement économique se terminant par la faillite des capitalistes les plus faibles, comme dans la libre concurrence, mais bien d’une compétition internationale pour la conquête du marché mondial (qui n’est plus extensible) et pour la main-mise sur les branches de production, les sources de matières premières et de main-d’œuvre à bon marché.

    La crise dans le capitalisme du monopole n’est plus un arrêt temporaire de la production (mévente des marchandises) se terminant par une reprise économique puissante : elle devient un élément chronique de la vie économique, provoquant non seulement la destruction volontaire des richesses produites, mais aussi la limitation des moyens de production mis en fonction. La partie décisive des moyens de production, l’industrie lourde, ne trouve plus d’autre « marché » que la guerre, c’est-à-dire la destruction pure et simple de la puissance de production de l’industrie moderne.

    Cet antagonisme à l’échelle mondiale divise le capital monopoleur en groupes financiers : les trusts industriels créent des banques ; les banques créent des trusts d’exploitation ; les groupes fusionnent avec d’autres groupes ; et ainsi se crée tout un réseau de grosses industries et de banques travaillant dans toutes les branches. Voilà comment l’économie mondiale est tombée sous la domination d’une oligarchie capitaliste : les 200 familles en France, les 60 familles aux U.S.A., les Big Five en Angleterre, les Konzern en Allemagne, les Nitsui et les Mitsubishi au Japon, etc...

    Entre ces groupes financiers qui luttent à mort les uns contre les autres, les alliances se font et se défont : c’est là qu’il faut chercher, le secret des alliances et ruptures d’alliances consacrées par les pactes diplomatiques.

    Disposant des richesses du pays qui constitue la base de leur puissance, ainsi que de leurs rapines sur d’autres continents, les capitalistes détiennent tous les leviers de l’Etat, c’est-à-dire non seulement l’armée, la police, les prisons et la justice, mais encore la radio, la presse, l’école et les églises.

    Tous ces moyens leur servent à duper les peuples et à les entraîner dans leurs conflits à l’aide de traditions, de mots d’ordre, et de toute une propagande appropriée. Et de même que, pour défendre ses intérêts, le capitaliste ferme « son » usine comme si c’était sa tabatière, jetant sur le pavé les ouvriers affamés, de même la bourgeoisie, pour défendre ses positions menacées, jette « son » peuple dans le massacre ; car la guerre, qui n’apporte aux masses que la misère et la mort, se solde pour elle par des super-bénéfices.

    En effet, tandis que les ouvriers et les paysans de tous les pays s’entre-tuent soi-disant pour la « der des der », la « démocratie », la « défense des petites nations » ou de l’Empire pour « l’ordre nouveau », « l’espace vital », « le sang contre l’or » et la « défense de la patrie », les champs de bataille sont en réalité un débouché exceptionnel, qui consomme en peu de temps des quantités énormes de « marchandises » (matériel de guerre). C’est ainsi que les masses entraînées dans la course sans fin pour le partage et le repartage du globe, croyant mourir pour la patrie, meurent pour les capitalistes !

    SUPPRESSION DES CONTRADICTIONS DU CAPITALISME
    Les méfaits de la domination économique des trusts, Konzern, banques, ententes et monopoles de toutes portes sur la société, sont depuis longtemps devenus évidents pour les larges masses. Les scandales financiers, la ruine des petites gens et des paysans, l’exploitation féroce et concertée des travailleurs, – qui n’ont plus affaire à un patron dont le sort est lié à celui de l’entreprise, mais au patronat disposant des ressources du capital financier, – ont soulevé contre les capitalistes monopoleurs la haineet la volonté de lutte de tous les exploités.

    Devant la volonté commune de toutes les classes pauvres de museler les banques et les trusts, menace mortelle, la bourgeoisie ne put se sauver qu’on trompant les masses : Mussolini en Italie, Hitler en Allemagne, Roosevelt aux Etats-Unis et Blum en France ont présenté leur politique comme « la fin de la toute-puissance des trusts ». Et même dans la « respectable » Angleterre, gouvernée par les conservateurs, certains ministres du Travail sont parfois obligés d’agiter des projets de « réformes de structure », Pourtant, les trusts n’ont jamais aussi bien prospéré que sous les gouvernements de Mussolini, Hitler, Blum, Roosevelt et Churchill.

    Pourquoi ? Parce que le monopole, le grand capital, n’est pas une excroissance d’un organisme sain, qu’on pourrait couper, ou un abus qu’on pourrait réformer, brider ou contenir : les 200 familles sont le couronnement du système capitaliste, son fruit naturel, comme la poire est le fruit du poirier.

    Il faut donc, pour remettre la société d’aplomb, pour en finir avec les crises permanentes, le chômage permanent, la guerre permanente, détruire le mal à la racine, c’est-à-dire détruire le système capitaliste qui les engendre.

    Qu’est-ce qui caractérise le capitalisme ? C’est la #propriété_privée_des_moyens_de_production : les usines, le sol et le sous-sol, les moyens de transport, les moyens d’échange (banques), les locaux, en un mot tout ce dont l’homme a besoin pour assurer son existence, se trouvent entre les mains d’une petite minorité de bourgeois richissimes qui disposent à leur gré du sort de dizaines de millions d’hommes séparés des moyens de production, prolétarisés.

    A cette contradiction essentielle qui oppose le système capitaliste aux besoins de la société, contradiction entre la production SOCIALE et la propriété PRIVEE s’en ajoute une seconde : le morcellement de l’économie mondiale en fractions soi-disant nationales (en réalité, à part quelques rares exceptions où les frontières délimitent en même temps la nation, presque toutes les frontières (90 %) découpent la même nation en plusieurs tronçons – l’Allemagne de 1918, les Balkans, l’Europe Centrale, l’Irlande, etc... – ou font « vivre » ensemble plusieurs nations antagonistes – l’Allemagne de 1939, les Empires coloniaux d’Afrique et d’Asie, etc...). En fait, ce morcellement de l’économie mondiale n’est qu’un système de frontières et de douanes correspondant au rapport de forces changeant entre les groupes financiers (les 200 familles, les 60 familles, les Konzern, etc...)

    Production SOCIALE et appropriation PRIVÉE capitaliste, économie MONDIALE et son MORCELLEMENT en « fiefs » du capital financier, telles sont donc les causes qui provoquent la ruine de la société.

    La suppression de ces contradictions ne consiste pas en un retour en arrière à un soi-disant « âge d’or », mais dans une audacieuse marche en avant vers le socialisme.

    Le mode de propriété est périmé, mais le mode de production est définitif : il faut donc les harmoniser en abolissant la propriété privée des moyens de production pour restituer ces derniers à la société entière par la DICTATURE DU PROLETARIAT et LA GESTION DIRECTE DES USINES PAR LES TRAVAILLEURS.

    La suppression de la propriété privée des moyens de production n’est pas la suppression de toute propriété : la petite propriété paysanne continuera à exister. Les petits paysans garderont leur terre aussi longtemps qu’ils voudront, jusqu’au moment ou d’eux-mêmes ils estimeront plus avantageuse la grande culture industrialisée.

    Cette révolution économique et sociale ne peut pas éclater et vaincre simultanément dans le monde entier. Elle commence dans le cadre d’un ou plusieurs Etats, mais elle ne peut aboutir à une société harmonieuse que par la victoire de la classe ouvrière dans le monde entier : les ressources de tout le globe sont nécessaires pour bâtir une société sans aucune contradiction économique. Les travailleurs ont pu remarquer au cours de cette guerre qu’aucun pays, si riche qu’il soit en ressources naturelles (comme les Etats-Unis ou l’URSS) ne peut produire à lui seul tout ce que l’homme a découvert ou inventé pour assurer sa domination sur la nature.

    Donc, l’abolition de la propriété privée, le socialisme, implique également la suppression des frontières capitalistes (douanes, passeports, etc...), c’est-à-dire la création des ETATS-UNIS SOCIALISTES DU MONDE.

    STRATEGIE ET TACTIQUE OUVRIERES CONTRE LA GUERRE.

    Aujourd’hui, depuis 5 ans, la guerre ravage les continents, ruine l’économie, sépare les peuples par un fossé de sang, et risque en se prolongeant de ramener la société entière à une nouvelle barbarie sociale.

    Au premier plan de la lutte ouvrière se trouve donc la lutte contre la guerre.

    Mais la guerre, malgré tous les prétextes et les masques que la bourgeoisie utilise pour en camoufler les véritables causes, n’est au fond qu’une lutte entre les différentes bourgeoisies pour les monopoles (guerre pour « l’espace vital » du côté de l’Axe et pour la « défense de l’Empire » du côté des alliés) : AUSSI, LA LUTTE CONTRE LA GUERRE NE PEUT-ELLE ETRE SEPAREE DE LA LUTTE CONTRE LE CAPITALISME. Telle est l’idée fondamentale dont doivent partir les ouvriers conscients qui veulent réellement en finir avec les massacres qui recommencent tous les 20 ans.

    Bien avant la première guerre mondiale, en 1907, la IIème Internationale dénonça au Congrès de Stuttgart le caractère impérialiste de la guerre qui venait. Les délégués des Partis ouvriers de France, d’Allemagne, de Russie, d’Italie, etc..., qui participèrent à ce Congrès, savaient que les différences politiques entre les pays qu’ils représentaient n’étaient pour rien dans les dangers qui menaçaient la paix du monde. Ils prirent la résolution suivante : « Au cas où la guerre éclaterait néanmoins, ils (les représentants ouvriers) ont le devoir de s’entremettre pour la faire cesser promptement et d’utiliser de toutes leurs forces la crise économique et politique créée par la guerrepour agiter les couches populaires les plus profondes et précipiter la chute de la domination capitaliste ».

    En 1912, au Congrès de Bâle, ils réaffirmèrent : « LES TRAVAILLEURS CONSIDERENT COMME UN CRIME DE TIRER LES UNS SUR LES AUTRES POUR LE PROFIT DES CAPITALISTES... »

    Pourtant, quand la guerre éclata « néanmoins », les chefs de la IIème Internationale, pourris par l’opportunisme, non préparés à une lutte dans des conditions entièrement nouvelles (illégalité, lutte extraparlementaire, etc...), cédèrent à la pression de la bourgeoisie et trahirent la classe ouvrière. C’est alors seulement qu’ils découvrirent les prétextes politiques et « idéologiques » qui devaient justifier la cause infâme de leur bourgeoisie : les « socialistes » français appelèrent à la lutte de la « démocratie » (alliée au tsarisme !) contre le « militarisme prussien » et les « socialistes » de l’Allemagne impériale à la lutte contre le knout tsariste...

    Mais ces arguments en faveur de l’union sacrée, mis en avant du jour au lendemain par des chefs aux abois n’étaient que des mensonges.

    La forme politique ne peut pas influencer ou améliorer la structure IMPERIALISTE de l’économie ; tout au contraire, c’est la structure impérialiste de l’économie qui commande les actes de tout gouvernement bourgeois, démocratique, militariste ou fasciste.

    La première guerre mondiale et la présente guerre nous montrent que dans tout conflit impérialiste, c’est précisément la démocratie qui est la première victime. Dans tous les pays impérialistes sans aucune exception s’établit le même régime de militarisation, de contrainte, de terreur policière, de censure, avec suppression de tous les droits ouvriers, pour donner aux trusts l’entière liberté d’action.

    Tandis que les chefs social-patriotes se vautraient dans l’union sacrée et les ministères, les chefs ouvriers restés fidèles au socialisme – Lénine, #Rosa_Luxembourg et Karl Liebkecht en tête – prirent une voie toute opposée.

    Ils dénoncèrent la guerre comme « une guerre impérialiste pour un repartage des richesses du globe entre les forbans capitalistes ». Rejetant l’union sacrée et les crédits de guerre, ils appelèrent les travailleurs de leur pays à fraterniser avec ceux du pays « d’en face » et à renverser leur propre bourgeoisie.

    Nous savons aujourd’hui que c’est eux qui voyaient juste et qu’ils représentaient les véritables aspirations des masses opprimées, car leurs principes et leur action ont conduit à la première victoire prolétarienne (Révolution d’Octobre 1917) et à la formation de la IIIème Internationale (l’Internationale Communiste).

    Quels furent donc leurs principes et leur tactique ?

    #Karl_Liebknecht nous a laissé la meilleure formule de l’internationalisme ouvrier pendant la guerre : « L’ENNEMI DE CHAQUE PROLETARIAT EST DANS SON PROPRE PAYS » ; la tâche des travailleurs est de « balayer chacun devant leur propre porte ».

    Pour #Lénine il s’agissait de « transformer la guerre impérialiste en guerre civile » ; car « si cette guerre n’est pas suivie d’une série de révolutions victorieuses, elle sera suivie à bref délai d’autres guerres ».

    Que celui-ci avait raison, cela a été prouvé non seulement par le fait que les travailleurs russes conquirent la paix grâce à la guerre civile, en renversant la bourgeoisie, mais surtout par le fait que le maintien de la domination impérialiste sur les 5/6ème du globe, a amené une 2ème guerre impérialiste mondiale. Dans un monde où subsistent les liens et les contradictions impérialistes, la paix ne peut être qu’ « une trêve entre deux guerres »...

    La #guerre_civile n’est pas un moyen désespéré auquel on n’a recours qu’à la dernière extrémité : c’est la résolution inébranlable du prolétariat, appuyé sur les masses populaires, d’en finir avec la guerre impérialiste en renversant la bourgeoisie et son Etat (police, justice, corps des officiers, etc...) Sans cette résolution inébranlable de riposter à la guerre impérialiste par la guerre civile, les travailleurs ne doivent pas espérer que c’est la bourgeoisie qui fera quoi que ce soit pour desserrer l’étau qui étouffe les masses ou qui reculera devant n’importe quelle infamie. Tout au contraire, grâce à la guerre impérialiste toujours plus meurtrière, elle mène à l’intérieur sa propre guerre civile destinée à paralyser et à écraser le prolétariat.

    Le mot d’ordre des travailleurs est : A BAS LA GUERRE IMPERIALISTE, VIVE LA GUERRE CIVILE !

    Devant les hésitations de certains chefs « internationalistes » qui étaient paralysés dans leur action pratique par la peur que la lutte révolutionnaire « n’affaiblît le front », Lénine proclama que la défaite de leur propre impérialisme était « un moindre mal » pour les ouvriers.

    Il suffit en effet de comparer le sort de la France après 1918, victorieuse grâce à l’union sacrée, et celui de la Russie révolutionnaire, vaincue et dépouillée de vastes territoires aussi bien par l’impérialisme allemand que par l’impérialisme « allié » : les ouvriers français n’ont plus jamais retrouvé leur niveau de vie d’avant 14, tandis que les travailleurs russes ont créé un pays entièrement nouveau et élevé la Russie arriérée au niveau des pays industriels les plus avancés.

    Mais la défaite de Juin 40 ? La défaite de Juin 40 ne fut pas la conséquence de l’affaiblissement du front par les luttes révolutionnaires dans le pays, mais l’effondrement de l’impérialisme français, entraînant dans sa chute l’ensemble des classes laborieuses.

    Si le prolétariat de France avait pu, grâce à une politique ouvrière juste, mettre à profit la débâcle de son impérialisme en Mai-Juin 40 pour s’emparer du pouvoir, le sort, non seulement du peuple français, mais encore de tous les peuples du monde, aurait été complètement changé, mais le prolétariat n’avait pas été préparé à une telle éventualité par les partis ouvriers.

    Le parti socialiste d’après 1918 était resté définitivement un parti de collaboration et d’union sacrée ; la IIIème Internationale et le Parti communiste français avaient depuis longtemps abandonné la stratégie et la tactique qui avaient permis la victoire des ouvriers et des paysans russes en 1917 et qui avaient mis fin à la 1ère guerre mondiale. L’isolement de la Révolution d’Octobre dans un monde capitaliste a provoqué en URSS l’affaiblissement du prolétariat soviétique, centre de gravité de la IIIème Internationale. Il s’y forma une bureaucratie dirigeante analogue à celle des partis et des syndicats ouvriers occidentaux. Sous son influence, la IIIème Internationale rompit avec l’internationalisme ouvrier : reconnaissance de la « défense nationale » on France (pacte Laval-Staline de 1935, vote des crédits de guerre de Daladier en 1935), pacte Hitler-Staline pour le dépècement de la Pologne, nouvelle « alliance » avec les impérialismes « démocratiques » pour la défense de la « démocratie » contre le fascisme, etc…

    L’abandon de la stratégie et de la tactique révolutionnaires par les chefs de la IIème Internationale en Août 1914 permirent à la bourgeoisie de se maintenir sur les 5/6ème du globe, tandis que le capitalisme n’était renversé par l’internationalisme prolétarien que dans la sixième partie.

    L’abandon des mêmes principes par les chefs soviétiques de la IIIème Internationale a permis à la bourgeoisie de déclencher une nouvelle guerre impérialiste qui est entrée dans sa cinquième année.

    Comme dans la première guerre impérialiste, la seule issue est dans l’application dans la lutte prolétarienne de la stratégie et de la tactique de Liebknecht de Lénine.

    C’EST CETTE TACHE QUE CONTINUE LA IVème INTERNATIONALE !

    LA QUATRIEME INTERNATIONALE ET LA GUERRE
    La lutte de la IVème Internationale contre la guerre continue celle que menèrent la IIème et la IIIème Internationales avant d’être brisées par l’impérialisme mondial.

    Dans tous les pays impérialistes en guerre – quelle que soit leur forme politique (démocratie ou fascisme) – le but fondamental de la IVème Internationale est la FRATERNISATION DES OUVRIERS ET DES PAYSANS SOUS L’UNIFORME. « Refuser de tirer les uns sur les autres pour le profit des capitalistes », fraterniser, voilà l’arme essentielle que possèdent les exploités de tous les pays contre leurs exploiteurs.

    Toute autre attitude, toute réserve ou équivoque à ce sujet, est une trahison pure et simple de la classe ouvrière internationale et des masses laborieuses.

    Mais les pays en guerre ne sont pas tous des pays impérialistes ; menant sa lutte contre la guerre sous le signe de la fraternisation et de l’internationalisme (UNITE DES INTERETS DE TOUS LES PEUPLES CONTRE LA BOURGEOISIE IMPERIALISTE DE TOUS LES PAYS), la IVème Internationale propose aux travailleurs des tâches immédiates différentes SELON LA NATURE IMPERIALISTE OU NON IMPERIALISTE des pays (et non pas selon les formes politiques).

    Là où la guerre met aux prises 2 armées impérialistes soumises au corps des officiers instrument des groupes financiers (par exemple la guerre de 39-40 entre la France et l’Allemagne, ou la guerre actuelle entre les Anglo-Américains et l’Allemagne), la IVème Internationale appelle les travailleurs des deux armées en lutte à cesser de s’entretuer et à fraterniser. Pratiquement, cette fraternisation n’est possible que par la lutte directe des soldats contre leur propre Etat-major et implique donc un affaiblissement du front (impérialiste) de l’armée la plus avancée dans la voie révolutionnaire ; cependant, comme cela a été expliqué au chapitre précédent, la défaite est un moindre mal quand elle est provoquée par la lutte révolutionnaire des ouvriers et des paysans : car pour pouvoir lutter contre l’impérialisme d’un autre pays, les travailleurs d’un pays impérialiste doivent d’abord liquider leur propre impérialisme, QUI NE LEUR EPARGNE PAS CE QUE L’ IMPERIALISME ADVERSE LEUR RESERVE.

    Mais là où la guerre met aux prises une armée impérialiste et une armée non-impérialiste, comme par exemple la guerre entre l’Allemagne et l’URSS, le Japon et la Chine, ou un conflit entre les alliés et « leurs » colonies (Inde, Maroc, etc…), la fraternisation n’implique pas un affaiblissement du front de l’armée non-impérialiste : la IVème Internationale appelle les travailleurs de ces pays (non-impérialistes : URSS ou colonies) à se défendre DE TOUTES LEURS FORCES, malgré leur méfiance ou leur haine pour leur propre gouvernement, contre les armées impérialistes, qui ouvrent la voie au capital financier. Car dans les pays non-impérialistes, les travailleurs qui réussissent à écarter la menace impérialiste, peuvent, de ce fait même, lutter avec succès contre leur propre gouvernement réactionnaire.

    Cette attitude de défense de la part des travailleurs d’un pays non-impérialiste nuit-elle à la fraternisation avec les ouvriers et paysans de l’armée impérialiste qui les a attaqués ?

    NULLEMENT, si leur lutte apparaît clairement à ces derniers comme une lutte pour les intérêts communs des travailleurs de tous les pays contre le capitalisme.

    S’il ne s’est encore rien produit de pareil sur le front germano-soviétique, c’est seulement parce que aux yeux des soldats allemands, le gouvernement soviétique, par son langage et par ses actes (mort aux Boches ! ), ne diffère en rien d’un quelconque gouvernement allié fauteur de la paix impérialiste de Versailles.

    Pour vaincre définitivement l’impérialisme, les travailleurs soviétiques doivent renverser la bureaucratie réactionnaire dirigeante et présenter aux peuples du monde entier leur véritable visage prolétarien.

    Contre la guerre impérialiste mondiale actuelle, la IVème Internationale lutte avec les mots d’ordre suivants :

    Contre la politique chauvine et impérialiste des partis « socialistes » et « communistes » qui divise les travailleurs et sert les intérêts de la bourgeoisie, VIVE L’INTERNATIONALISME OUVRIER !

    A BAS LES « BUTS DE GUERRE » IMPERIALISTES, la Charte de l’Atlantique, « l’ordre nouveau », etc... VIVE LE DROIT DE TOUS LES PEUPLES A DISPOSER D’EUX-MEMES jusque et y compris la séparation de l’État qui les opprime !

    A BAS LA DIPLOMATIE ET LES PACTES SECRETS !

    DÉFENSE DE L’URSS en tant qu’Etat ouvrier PAR LA VICTOIRE DE L’ARMEE ROUGE ET LA REVOLUTION PROLETARIENNE dans tous les pays impérialistes (Allemagne, Angleterre, France, etc...).

    DÉFENSE DE LA CHINE en tant que pays semi-colonial contre le Japon, PAR LA VICTOIRE DE L’ARMEE CHINOISE ET LA REVOLUTION PROLETARIENNE AU JAPON et dans le monde. DÉFENSE DE TOUTES LES COLONIES ET SEMI-COLONIES CONTRE L’IMPERIALISME QUI LES OPPRIME : de l’Inde contre l’Angleterre, de l’Afrique contre les impérialismes alliés, etc...

    A bas l’autarchie européenne de « l’ordre nouveau », à bas la main-mise du capital américain sur l’Europe, VIVENT LES ÉTATS-UNIS SOCIALISTES D’EUROPE ! Seuls les Etats-Unis socialistes assurent la véritable égalité, entre les nations, grandes ou petites.

    Contre la domination du monde entier par deux grandes puissances, VIVENT LES ETATS-UNIS SOCIALISTES DU MONDE !
    LA LUTTE DES TRAVAILLEURS FRANÇAIS CONTRE LA GUERRE

    La déclaration de guerre en Septembre 1939 et la mobilisation, la censure, la défense passive, les réquisitions et la répression qui l’ont marquée, ont réveillé dans les masses la méfiance et l’hostilité contre les dirigeants capitalistes : les travailleurs n’avaient pas oublié les leçons de la première guerre impérialiste, les misères et les souffrances qu’ils avaient endurées pour le seul bénéfice de la bourgeoisie.

    Mais la lutte des masses contre les mesures de dictature et de terreur de #Daladier et #Reynaud (camps de concentration, emprisonnements de milliers de militants ouvriers, dissolution du PC et des groupements internationalistes, mise au pas des syndicats, peine de mort pour la propagande communiste) ne trouva pas un guide dévoué exclusivement aux intérêts des travailleurs : la politique du PC obéissait aux intérêts diplomatiques de la bureaucratie soviétique, et ses tournants décontenançaient périodiquement les masses et les militants. Quant aux éléments internationalistes, ils étaient trop faibles numériquement pour exercer une influence efficace.

    C’est pourquoi, bien que favorable à la révolution, l’attitude des masses (qui repoussèrent d’instinct l’idéologie nationaliste-"démocratique" ou fasciste) ne provoqua pas la chute de la bourgeoisie. Quand l’impérialisme français chancela sous les coups de l’impérialisme allemand, la classe ouvrière, sans direction, ne songea pas à créer les organes d’un Etat ouvrier (Conseils d’ouvriers et soldats), mais se dispersa sur les routes de France...

    L’exode mit fin pour les masses à l’expérience de la guerre « démocratique ». Mais la défaite de l’impérialisme français ne mit pas fin à la guerre. LA GUERRE NE FAISAIT QUE COMMENCER et prit un développement mondial pesant de plus en plus lourdement sur les couches populaires du monde entier. L’économie des pays mêlés à la guerre fut soumise à une rude épreuve. Toutes les ressources furent raflées en vue de la guerre.

    Le pillage de la France par l’impérialisme allemand imposa aux masses une série de souffrances inouïes qui plongèrent brusquement le peuple français dans des conditions de vie insupportables.

    Mais comme la guerre sous la conduite de nos propres impérialistes (la « drôle de guerre ») n’avait pas eu le temps d’engendrer des maux à une si grande échelle, l’état d’esprit, des masses changea par rapport à celui du début de la guerre : les malheurs qui s’abattaient sur le peuple français n’étaient pas dus à la guerre elle même, à la GUERRE TOTALE, dans laquelle victoire ou défaite engendrent les mêmes maux, mais à l’occupation étrangère, aux « Boches ». Les masses crurent d’autant plus facilement les slogans venus de Londres, qu’à partir du début de la guerre entre l’URSS et l’impérialisme allemand le Parti « communiste » se mit à tenir le même langage que les impérialistes alliés.

    Voilà comment aujourd’hui, après quatre années et demie de guerre la classe ouvrière se trouve complètement dépourvue d’une perspective propre et est à la remorque de la bourgeoisie pour une soi-disant guerre de « libération ».

    Que vaut cette politique ? Pour la classe ouvrière, c’est accepter les pires souffrances non pas pour changer définitivement l’ordre des choses, mais dans l’espoir de revenir à la situation qui a précédé la guerre et qui nous y a menés.

    Cependant, quelles seraient les conditions économiques et politiques créées par une victoire alliée ? Peu de travailleurs se font des illusions sur les capitalistes anglais et américains. Mais ils espèrent que leur victoire déterminerait une amélioration de leur niveau de vie et ramènerait le respect des libertés ouvrières.

    Mais cette guerre, comme la première, est une #guerre_impérialiste pour le repartage du monde entre les groupes financiers et pour renforcer l’#exploitation_capitaliste sur les masses. Si les capitalistes anglais et américains luttent contre l’Allemagne impérialiste ce n’est pas pour les peuples, mais pour évincer un concurrent. Ce concurrent n’est pas l’Allemagne seule, mais l’industrie, le capital financier européen (l’Allemagne, la France, l’Italie, la Hollande, la Belgique, etc...).

    Cela signifie que les conditions économiques instaurées par « l’ordre nouveau » (appauvrissement de tous les pays européens au profit des capitalistes allemands) seraient maintenues et aggravées par une victoire des impérialistes alliés : l’Europe entière réduite à la portion congrue constituerait pour les États-Unis un « hinterland » économique.

    En effet, à eux seuls, les #États-Unis, dont la production dans les principales branches représente de 60 à 80 % de la production mondiale, regorgent de capitaux et ont besoin du monde entier pour résoudre leurs propres contradictions économiques et sociales. C’est pour cela que leurs dirigeants les ont précipités dans la guerre. C’est donc s’exposer à de terribles désillusions que de croire que les États-Unis, où le chômage atteignit à un moment donné 12 à 13 millions d’hommes – 10% de la population totale ! – et où les « marches de la faim », le vagabondage et toutes les tares politiques et sociales (persécution des Noirs, associations secrètes du type fasciste bien avant la naissance de Hitler) ont marqué plus que partout ailleurs la décomposition du capitalisme, peuvent assurer la prospérité de l’Europe.

    La ruine irrémédiable de l’Europe peut bien soulager partiellement le capitalisme américain par l’écoulement d’une partie de ses produits industriels sur le continent dévasté. Mais les masses européennes plongées dans la misère, resteront devant l’abondance américaine sans avoir les moyens nécessaires pour payer.

    Et dans ces conditions d’aggravation des contradictions économiques, la #lutte_sociale s’aggraverait aussi : il n’y aura pas de place pour les libertés ni pour un développement pacifique des organisations et des droits ouvriers.

    Comment l’ouvrier conscient doit-il donc orienter la lutte des travailleurs contre la guerre et le capitalisme ?

    Les aspirations profondes des masses, après quatre ans et demi de guerre, de misère et de terreur politique de la bourgeoisie, sont la PAIX, le PAIN et la LIBERTE. Il s’agit d’orienter ces aspirations des ouvriers, de la population pauvre des villes, et des petits paysans VERS DES SOLUTIONS PROLETARIENNES, seules capables de les réaliser.

    Le souci quotidien des travailleurs, c’est le pain. La lutte des ouvriers pour le pain doit être menée avant tout dans les usines, par une lutte pour l’augmentation des salaires. Il faut à chaque occasion tendre à l’unification des mouvements revendicatifs, éviter que les ouvriers des différents ateliers présentent isolément leurs revendications. C’est la grève qui constitue l’arme essentielle de la lutte revendicative. ET LA LUTTE GRÉVISTE POUR L’#AUGMENTATION_DES_SALAIRES CONSTITUE EN MEME TEMPS UN DES MOYENS LES PLUS EFFICACES DE LUTTE CONTRE LA MACHINE DE #GUERRE.

    Mais la situation des ouvriers et des masses laborieuses ira toujours en s’aggravant (jusqu’à la famine) si le ravitaillement continue à se faire par les voies actuelles. Les liens entre la ville et la campagne ont été rompus par la guerre. Les #réquisitions de l’armée d’occupation et l’accaparement du trafic par les gros requins du marché noir avec la complicité des organes d’Etat, grugent les petits paysans et affament les villes. C’est la tâche directe des masses exploitées de la ville et de la campagne de rétablir les liens économiques entre elles. Le seul moyen d’améliorer la situation alimentaire est donc LE CONTRÔLE DU RAVITAILLEMENT PAR LES #COMITES_D'USINE (élus par les ouvriers) ET PAR LES COMITES DE QUARTIER (élus par les ménagères).

    Mais une solidarité définitive entre la ville et la campagne ne peut être établie que si les travailleurs peuvent fournir aux paysans, en échange des produits alimentaires, des produits industriels qui leur sont indispensables.

    Les travailleurs doivent dénoncer à toute la population paysanne et pauvre l’incapacité et la bestialité de la bourgeoisie qui a ruiné le pays pour maintenir sa domination. Ils doivent leur expliquer que seul le PLAN OUVRIER, qui orienterait l’industrie vers les véritables besoins des populations (des tracteurs agricoles et non pas des tanks !) peut mettre un terme aux maux actuels. Ils doivent donc mettre en avant la revendication du RETOUR AUX FABRICATIONS DE PAIX et du #CONTROLE_OUVRIER_SUR_LA_PRODUCTION.

    Or toute tentative d’arracher à la bourgeoisie le morceau de pain quotidien doit inévitablement se heurter aux organes de répression de l’#impérialisme_français et allemand. C’est pourquoi une lutte sérieuse pour le pain pose au premier plan la lutte politique pour le renversement du #régime_de_Vichy et de la #Gestapo.

    Les travailleurs doivent mettre en avant la lutte pour la reconquête des droits de grève, de réunion, d’association et de presse.

    Une telle perspective exige une politique internationaliste visant à obtenir l’appui ou la neutralité des soldats allemands, sans lesquels il n’est pas possible de renverser le régime PAR LES FORCES PROLETARIENNES ET AU PROFIT DES OPPRIMES.

    Mais la lutte contre la dictature politique de la bourgeoisie exige la CREATION DE #MILICES_OUVRIERES EN VUE DE L’ARMEMENT DU PROLETARIAT. Cette tâche peut être réalisée par les travailleurs à condition qu’ils se pénètrent de la nécessité de ne compter que sur eux-mêmes et de ne pas faire confiance à la bourgeoisie française et alliée.

    La réalisation de l’#armement du prolétariat peut faire un grand pas en avant si les travailleurs réfractaires réfugiés dans le maquis, déjà partiellement armés, parviennent à se soustraire au contrôle de l’impérialisme gaulliste et allié par l’élection démocratique des chefs.

    L’orientation de la lutte en ce sens n’a pas une importance vitale seulement pour le présent : Il s’agit avant tout de préparer l’avenir.

    En effet, dans les conditions crées par la guerre et désagrégation de l’économie, tout gouvernement qui s’appuierait sur les organes de l’État bourgeois (corps des officiers, police, haute administration, haute magistrature), se comporterait automatiquement (quelle que soit sa phraséologie) comme celui de Vichy. A travers les luttes pour les objectifs immédiats, les travailleurs conscients doivent donc lutter CONTRE LES ILLUSIONS DU PARLEMENTARISME et APPELER A LA CREATION D’ORGANES VERITABLEMENT DEMOCRATIQUES, LES CONSEILS (SOVIETS) OUVRIERS ET PAYSANS, élus à l’échelle locale, régionale et nationale par les masses en lutte contre l’Etat bourgeois.

    S’appuyant sur ces Comités, le Gouvernement ouvrier et paysan est le gouvernement du peuple par le peuple lui-même. Seul il peut résoudre les problèmes posés par la guerre ; seul il peut punir les criminels qui ont plongé la France dans la IIème guerre mondiale, qui ont détruit les organisations et les libertés ouvrières, qui ont organisé la déportation en Allemagne et fait emprisonner, torturer et tuer des dizaines de milliers de militants ouvriers.

    SEULE LA DICTATURE DU PROLETARIAT PEUT ASSURER AUX MASSES LE PAIN, LA PAIX ET LA LIBERTÉ !

    A BAS LA REPUBLIQUE « DEMOCRATIQUE » ! VIVE LA REPUBLIQUE SOVIÉTIQUE !

    LA NOUVELLE INTERNATIONALE

    Comme nous l’avons vu, les conditions économiques de notre époque rendent nécessaire une lutte prolétarienne unifiée à l’échelle internationale. Les travailleurs d’un pays ne peuvent en aucune façon séparer leur sort des ouvriers des autres pays. Cela, non seulement en vue de l’émancipation sociale par le socialisme, mais même simplement du point de vue de la lutte économique quotidienne des ouvriers. Le niveau de vie des travailleurs de France, de Belgique, d’Allemagne, de Hollande, etc... a son influence sur le niveau de vie des travailleurs de Grande-Bretagne, de même que le niveau de vie des travailleurs de Grande-Bretagne, d’Allemagne, etc... a ses répercussions sur les travailleurs de France et ainsi de suite.

    Il faut donc à la classe ouvrière un Etat-Major international : l’INTERNATIONALE. Mais successivement les travailleurs, entre 1914 et 1933, ont assisté à l’écroulement de la IIème et de la IIIème Internationale. Aussi beaucoup d’ouvriers se demandent-ils avec inquiétude : à quoi bon une nouvelle Internationale ? Ferait-elle mieux que les précédentes ? Faudra-t-il toujours recommencer ?

    Mais la faillite des vieilles internationales n’a rien de décourageant. Aussi longtemps que le #capitalisme n’est pas définitivement renversé, les organisations créées parle prolétariat en vue de la lutte contre la bourgeoisie s’usent dans le combat ; il faut alors en créer de nouvelles.

    La IIème et la IIIème Internationale ont laissé derrière elles une œuvre durable. La #IIème_Internationale a répandu la doctrine socialiste parmi des millions d’ouvriers du monde entier, enracinant ainsi pour toujours la doctrine marxiste comme théorie du mouvement ouvrier. Quant à la #IIIème_Internationale, elle a montré, leçon irremplaçable, comment on renverse la #bourgeoisie et a créé une économie planifiée sur 1/6 du globe. A la IVème Internationale incombe d’achever le travail de la IIème et de la IIIème Internationale en instaurant LA #DICTATURE_DU_PROLÉTARIAT ET LE SOCIALISME DANS LE MONDE ENTIER.

    Que les fatigués et les sceptiques, restent à l’écart les jeunes et les militants ouvriers qui ne veulent pas capituler devant l’impérialisme se mettront à l’école des idées de la IVème Internationale.

    Il faut reconstituer de nouveaux partis ouvriers communistes, sections de la IVème Internationale dans chaque pays. Déjà des milliers d’ouvriers sur tous les continents, dans presque tous les pays, de l’URSS à l’Amérique, et de l’Afrique à la Chine, luttent sous le drapeau de la #IVème_Internationale.

    Car l’#avant-garde_prolétarienne n’est pas faite de militants indépendants de la classe ouvrière. LE PARTI OUVRIER EST L’ŒUVRE DE LA CLASSE OUVRIERE ELLE-MEME, qui se regroupe et prend conscience de sa force et de ses tâches. Dès maintenant, les ouvriers doivent surmonter les terribles conditions dans lesquelles ils vivent et trouver le temps nécessaire pour se consacrer au travail politique révolutionnaire. Dans la confrontation de leurs idées et de leur action, ils feront leur propre éducation démocratique, exerceront leur esprit critique et choisiront les meilleurs d’entre eux pour coordonner leur action et multiplier les liaisons sur une échelle de plus en plus large.

    La classe ouvrière a pour elle le nombre, la place indispensable qu’elle occupe dans la production, et l’incapacité de la bourgeoisie de faire vivre plus longtemps la société. De plus « SA LIBERATION EST CELLE DE L’HUMANITÉ ENTIERE »

    Celle-ci se trouve aujourd’hui devant cette unique alternative : ou bien LA BARBARIE, c’est-à-dire que le prolétariat sera incapable de remplir sa mission historique et alors « le sang et les sueurs des classes laborieuses couleront éternellement dans les vases d’or d’une poignée de riches odieux » (Babeuf), ou bien LE SOCIALISME, c’est-à-dire que le prolétariat SOUS LA CONDUITE DE SON PARTI QU’IL FORGERA A TRAVERS SES EPREUVES, accomplira sa mission par la #révolution_socialiste qui, une fois commencée, se répandra d’un pays à l’autre avec une force irrésistible ; dans ce cas : « Par l’exemple et avec l’aide des nations avancées, les nations arriérées seront emportées aussi dans le grand courant du socialisme. Les barrières douanières entièrement pourries tomberont. Les contradictions qui divisent le monde entier trouveront leur solution naturelle et pacifique dans le cadre des Etats-Unis socialistes, en Europe comme dans les autres parties du monde. L’HUMANITE DELIVREE S’ELEVERA JUSQU’A SA PLEINE HAUTEUR ». (#Léon_Trotsky).

    #révolution_mondiale #deuxième_guerre_mondiale #barbarie #stalinisme #nazisme #impérialisme #communisme #lutte_de_classe #marxisme #léninisme #trotskisme #communisme_révolutionnaire

  • Un article qui aide à penser comment le vocabulaire politico-administratif le plus courant ("métropole", "outre-mer", "DOM-TOM"...) demeure ancré dans une histoire coloniale ne se conjuguant pas seulement au passé.

    « Outre-mer », cet équivoque héritage des colonies

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/01/04/outre-mer-cet-equivoque-heritage-des-colonies_6156517_3232.html

    Par Youness Bousenna, publié le 4 janvier 2023

    La notion d’outre-mer, préférée à partir des années 1930 à celle de « colonie », dérive d’un imaginaire de conquête forgé dans l’Europe chrétienne médiévale. Mettant inévitablement au centre la métropole, cet euphémisme peine à gommer la domination qu’il perpétue.

    Histoire d’une notion

    Si la formule « outre-mer » pour désigner les territoires français éloignés de la métropole semble tenir de l’évidence, ce toponyme se révèle problématique à bien des égards. D’abord parce qu’il mêle 2,8 millions d’habitants sur 120 000 kilomètres carrés en amalgamant les Antilles françaises à Wallis-et-Futuna, la Polynésie à Saint-Pierre-et-Miquelon. Ensuite parce qu’il camoufle un terme aujourd’hui réprouvé, celui de « colonie ».

    Or, l’outre-mer est « indissociablement lié à la colonisation », rappelle le géographe Jean-Christophe Gay. « Dans la seconde moitié du XIXe siècle, il désigne les pays sous domination coloniale européenne. A partir des années 1930, il va être réduit à ceux soumis à l’autorité de la France », écrit-il dans La France d’outre-mer. Terres éparses, sociétés vivantes (Dunod, 2021).

    L’association du latin ultra (« au-delà de ») à la mer, elle, est bien plus ancienne. Attestée au XIe siècle sous la forme ultremer, elle est quelquefois utilisée au sens littéral. Ainsi de l’outremer, ou lapis-lazuli, pierre provenant de l’autre rive de la Méditerranée et dont dérive le bleu outremer. Ou de l’oublié roi carolingien Louis IV d’Outre-mer (936-954), surnommé ainsi pour son éducation à la cour d’Angleterre.

    Mais la généalogie éclaire surtout un legs pesant, fait de conquêtes et d’expansionnisme. Car la terminologie s’enracine avec les croisades, dont Guillaume de Tyr (v. 1130-1185) se fait le chroniqueur dans son Histoire de la terre d’outremer : dès la première expédition, au XIe siècle, les Etats latins fondés au Proche-Orient sont dits « d’outre-mer ».

    Un narratif impérialiste

    Cette trace subsiste sur le drapeau de l’Espagne. En examinant ses armoiries, on distingue les colonnes d’Hercule et sa devise nationale, « Plus ultra », datant de l’empereur Charles Quint (1500-1558). A l’aube de la conquête du Nouveau Monde, cette prescription à aller « toujours plus loin » condense le messianisme guidant l’action de ce nouvel Hercule : les colonnes symbolisant le détroit de Gibraltar ouvrent la voie à une monarchie catholique universelle, qui a vocation à régner partout.

    Ce « Plus oultre » (en ancien français) se retrouve ainsi au centre d’un narratif impérialiste « en faisant de l’espace et de la géographie un passage obligé » et « en mettant en mots la dramaturgie de l’expansion religieuse et économique », détaille l’historienne Louise Bénat-Tachot (revue e-Spania, 2017).

    Malgré ces lourds implicites, « outre-mer » commence à remplacer « colonie » dès les années 1930. Ainsi, le Musée des colonies devient en 1934 le Musée de la France d’outre-mer. La grande bascule intervient en 1946 : lorsque « la Constitution met juridiquement fin à la colonisation et qu’un “ministère de l’outre-mer” se substitue au “ministère des colonies”, “outre-mer” prend son essor et devient une façon euphémisée d’évoquer les colonies », écrit Jean-Christophe Gay, précisant que l’anglais overseas a eu la même fonction.

    L’acronyme DOM-TOM a alors ancré cet usage. Créés en 1946, ces départements et territoires d’outre-mer sont restés, après les indépendances africaines, « les seuls à porter officiellement ce nom, comme dernières possessions françaises hors d’Europe », remarque le chercheur.

    DOM-TOM et tam-tam

    Ce nom n’est pas sans équivoque. En témoigne sa survivance en dépit de la révision constitutionnelle de 2003 qui a rebaptisé l’ensemble DROM-COM (département, région ou collectivité d’outre-mer). « Force est de constater qu’on continue d’utiliser le terme “DOM-TOM, dont le succès, la pérennité et la substantivation sont probablement dus à sa sonorité, rappelant les tam-tams africains et les ambiances tropicales », considère le professeur à l’université Côte d’Azur, qui y voit le signe d’un outre-mer « intimement perçu à travers le filtre de l’exotisme dans l’imaginaire des Métropolitains ». Car un lien colonial persiste dans l’inconscient géographique que l’outre-mer appelle : « Il dessine une étoile, avec en son centre la Métropole, qui continue de dominer et d’organiser l’ensemble. »

    L’implicite dominateur exprimé par la notion de « métropole » rappelle une « subordination qui se prolonge », d’où la préférence croissante pour le mot « Hexagone » et le pluriel « les outre-mer », adopté jusqu’au nom du ministère.

    S’ils l’atténuent, ces termes ne peuvent gommer la « définition exogène » qu’ils imposent : « L’outre-mer est à la France ce que la province est à Paris. On est Provençal, Breton, Alsacien ou Auvergnat, mais c’est par un séjour à Paris et-ou en adoptant le regard du centre qu’on se rend compte qu’on est un provincial », souligne Jean-Christophe Gay. Cette assignation identitaire suscite la critique d’intellectuels, tel Patrick Chamoiseau.

    L’écrivain martiniquais s’élevait dans nos colonnes, en septembre 2022, contre l’existence des DOM-TOM : la loi de 1946 aurait créé la fiction d’un « prolongement identitaire fantasmatique entre l’Hexagone, maintenu “métropole”, et ses survivances d’une expansion colonialiste », précipitant ces territoires dans « une autre fable de même tristesse : celle des “régions ultrapériphériques” de l’Union européenne ». Ce grief offre une clé de lecture parmi d’autres pour comprendre la révolte dans les Antilles françaises provoquée par l’obligation vaccinale fin 2021. Il éclaire aussi l’équation singulière qui fait de la France une exception, puisqu’elle est le pays d’Europe qui a conservé la plus grande part de son empire colonial.

    Youness Bousenna

    #Outre-mer #France #colonialisme

  • La Lutte de classe n°228 (décembre 2022) est en ligne. Avec les textes du Congrès de LO (2022).

    Ou comment comprendre, avec la boussole de l’analyse de classe, dans quel monde nous sommes & vers quoi le capitalisme pourrissant entraine l’humanité entière.

    Au sommaire :

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/le-52e-congres-de-lutte-ouvriere_450517.html
    Le 52e congrès de Lutte Ouvrière

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/le-capitalisme-en-crise-vers-le-chaos_450518.html
    Le capitalisme en crise vers le chaos

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/crise-guerres-et-changements-des-rapports-de-force_450519.ht
    Crise, guerres et changements des rapports de force

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/la-guerre-en-ukraine-une-etape-majeure-dans-lescalade-vers-l
    La guerre en Ukraine, une étape majeure dans l’escalade vers la troisième guerre mondiale

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/combativite-des-masses-et-direction-revolutionnaire_450521.h
    Combativité des masses et direction révolutionnaire

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/situation-interieure_450522.html
    Situation intérieure

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/discussion-sur-les-textes-dorientation_450523.html
    Discussion sur les textes d’orientation

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/12/10/interventions-des-groupes-invites_450524.html
    Interventions des groupes invités

    #guerre_en_Ukraine #Russie #Guerre_mondiale #impérialisme #capitalisme #crise_économique #Haïti #Guadeloupe #Martinique #Italie #Etats-Unis #Turquie #Royaume_Uni #Rassemblement_national #RN #parlementarisme #impérialisme_français #financiarisation, #parasitisme #régimes_autoritaires #NUPES #classe_ouvrière #marxisme #Lutte_Ouvrière (#LO) #congrès

  • Russie - Le laboratoire syrien - ARTE (jusqu’au 30/11/22)
    https://www.arte.tv/fr/videos/108708-000-A/russie-le-laboratoire-syrien

    Six mois après le début de l’offensive russe en Ukraine, le monde s’interroge sur les moyens de contenir l’expansionnisme de Vladimir Poutine. Mais pour comprendre ce conflit aux frontières de l’Europe, il faut tourner son regard vers la Méditerranée. Depuis 2015, la Russie, acteur incontournable du conflit syrien, s’emploie à maintenir son allié historique Bachar el-Assad à la tête du pays à n’importe quel prix. Sur ce territoire transformé en laboratoire de Vladimir Poutine, presque tout l’armement russe a été testé ces dernières années. À maintes reprises, le chef du Kremlin y a aussi mis les Occidentaux à l’épreuve. En 2013, après l’attaque chimique perpétrée par le régime, la reculade de Barack Obama, malgré des menaces préalables, incitera le président russe à annexer la Crimée six mois plus tard. Pour appuyer les soldats syriens sur le terrain, ce dernier envoie aussi les mercenaires de Wagner. En 2015, Moscou officialise son alliance avec Damas et conforte ses positions dans le pays, notamment dans des bases militaires stratégiques, aux portes de l’Otan. À chaque étape de l’expansion russe en Syrie où, en six ans et demi, 63 000 soldats russes ont été déployés pour officiellement contrer les mouvements djihadistes, la communauté internationale n’opposera à Moscou qu’une remarquable passivité, contribuant à anéantir les derniers espoirs de l’opposition au pouvoir de Damas. Selon les ONG, plus de 55 000 Syriens auraient été tués par les bombardements de l’aviation russe, dont à peine 5 000 terroristes.

    #impérialisme_russe

  • Pierre Rimbert, l’Ukraine et le « campisme » | Dominique Vidal
    https://blogs.mediapart.fr/dominique-vidal/blog/280922/pierre-rimbert-lukraine-et-le-campisme-0

    On se serait attendu à ce qu’un article placé en première page du Monde diplomatique rappelle que c’est Vladimir Poutine qui a décidé d’envahir l’Ukraine — et non Zelensky qui a agressé la Russie sur ordre des États-Unis, comme on pourrait le croire en lisant ce texte de Pierre Rimbert. Mais le caractère absurde de cette réécriture de l’histoire va bien au-delà : elle ignore l’existence même de la Russie et de son rôle actif dans cette crise, comme dans les précédentes. Source : Relevé sur le Net...

    • Car la carrière de l’ex-espion, devenu président à la faveur du naufrage politique et personnel de Boris Eltsine, est jalonnée de guerres sanglantes : second bain de sang en Tchétchénie (1999-2000), agression contre la Géorgie au nom des minorités russes d’Abkhazie et d’Ossétie, (2008), appui aux russophones du Donbass et annexion de la Crimée (2014), sauvetage du régime de Bachar Al-Assad (depuis 2015) et enfin invasion de l’Ukraine (2022)…

      Poutine applique donc la maxime de Clausewitz : « La guerre est la poursuite de la politique par d’autres moyens. » Mais il la durcit : pour lui, c’est quasiment le seul moyen. Quitte à recourir à une barbarie peu commune : le siècle de conflit entre juifs et Arabes en Palestine, par exemple, a été le théâtre de nombre d’horreurs, mais je ne connais aucun cas de Palestinien castré au couteau ni de Palestinienne violée par des groupes de jeunes soldats ivres… [hum hum ne pensons ni aux phalangistes libanais, ni aux attentats massacres, ndc]

      Cela va sans dire, mais visiblement mieux en le disant : l’oubli par l’Occident de la promesse faite à Gorbatchev lors de l’unification allemande, l’élargissement de l’OTAN à l’est, les grandes manœuvres autour de l’Ukraine ne sauraient justifier la folle aventure déclenchée par le Kremlin le 22 février 2022 et relancée ces derniers jours, pas plus - évidemment - que la cruauté systémique de l’armée russe et de ses mercenaires.

      #Russie #impérialisme_grand_russe #impérialisme_russe

  • Les secrets d’une puissance invisible

    Derrière une propagande bien rôdée, la #Suisse fait partie des grandes nations impérialistes de ce monde. L’historien #Sébastien_Guex expose les stratégies mises en place pour parvenir à déployer un impérialisme helvétique « masqué ou feutré », ainsi que les dégâts, inhérents à une politique capitaliste, que ce modèle a causé et continue de causer.

    Proportionnellement à sa taille, mais aussi dans l’absolu, la Suisse fait partie des principales puissances impérialistes du monde depuis longtemps. J’y reviendrai. Mais il n’existe guère en Suisse, y compris au sein du mouvement ouvrier ou de la gauche, de conscience directe de ce phénomène. Plusieurs raisons contribuent à l’absence de cette conscience.

    Tout d’abord, la Suisse n’a jamais eu de véritables colonies et n’a donc pas été directement engagée dans la manifestation la plus claire du colonialisme ou de l’impérialisme, c’est-à-dire la guerre coloniale ou la guerre impérialiste.

    Au contraire, la bourgeoisie industrielle et bancaire suisse s’est depuis très longtemps avancée de manière masquée : derrière la neutralité politique, c’est-à-dire avançant dans l’ombre des grandes puissances coloniales et impérialistes (Grande-Bretagne, France, Allemagne, Etats-Unis) ; masquée aussi derrière un discours propagandiste omniprésent essayant et réussissant souvent à faire passer la Suisse pour le pays de la politique humanitaire, à travers la Croix-Rouge, les Bons offices, la philanthropie, etc. ; enfin, masquée par un discours, complémentaire au précédent, que j’ai appelé la « rhétorique de la petitesse » 1, présentant toujours la Suisse comme un David s’affrontant à des Goliath, un petit Etat faible et inoffensif.2

    Pour ces différentes raisons, certains auteurs ont caractérisé l’impérialisme suisse d’impérialisme secondaire. Mais l’expression me semble mal choisie, car elle entretient l’idée que l’impérialisme suisse serait de peu de poids, marginal, bref, beaucoup moins important que l’impérialisme des autres pays. Or la Suisse est une importante puissance impérialiste. Je préfère donc l’expression d’impérialisme masqué ou feutré.

    Au cœur des impérialismes européens

    Depuis des siècles, le capitalisme suisse est au cœur du développement du capitalisme européen. Au XVIe siècle déjà, les grands marchands et banquiers de Genève, Bâle, Zurich, sont au cœur des réseaux internationaux de circulation des marchandises et des crédits. Dès le XVIIe siècle, et surtout au XVIIIe, jusqu’au milieu du XIXe siècle, les milieux capitalistes bâlois, genevois, neuchâtelois, saint-gallois, zurichois, bernois, etc., participent de manière dense à cette immense opération d’exploitation et d’oppression du reste du monde par le capitalisme ouest et sud-européen en plein essor, soit le commerce triangulaire. L’origine de la fortune de la grande famille bourgeoise des de Pury, l’un des inspirateurs du fameux Livre blanc de 1993, vient de l’exploitation de centaines d’esclaves importés de force d’Afrique vers d’immenses domaines agricoles en Amérique.

    En 1900, la Suisse est le pays qui compte le plus de multinationales au monde par milliers d’habitants. Nestlé est probablement la multinationale la plus internationalisée au monde, c’est-à-dire qui compte le plus de filiales à l’étranger. Mais de l’autre côté, les milieux industriels et bancaires suisses sont entravés dans la course à la colonisation du monde par un gros obstacle : ils ne disposent que d’une puissance militaire relativement faible, et surtout, ils n’ont pas d’accès direct aux océans, à la différence de la Hollande ou de la Belgique, pays comparables dont le débouché sur la mer leur a permis de se lancer dans la conquête coloniale.

    Durant la période qui va de la guerre franco-prussienne de 1870 aux débuts de la Première Guerre mondiale, les cercles dirigeants de la Suisse rêvent d’un agrandissement territorial de la Confédération, soit du côté italien soit du côté français, qui leur donnerait accès à la mer (Gênes ou Toulon). En 1914 et 1915 par exemple, ils envisagent sérieusement d’abandonner la neutralité et d’entrer en guerre aux côtés de l’impérialisme allemand dans l’espoir d’obtenir, en cas de victoire, une part du butin, c’est-à-dire un couloir vers la Méditerranée, accompagné de quelques colonies en Afrique.3 Mais ils jugent finalement l’aventure trop risquée, sur le plan intérieur et extérieur, et choisissent de poursuivre dans la voie de la neutralité. Ce choix se révélera rapidement extrêmement payant, puisqu’il permettra aux industriels et banquiers helvétiques de faire de formidables affaires avec les deux camps belligérants.
    Dans l’ombre des puissants

    C’est cette position particulière qui va marquer les formes et aussi le contenu de l’impérialisme suisse depuis la fin du XIXe siècle jusqu’à aujourd’hui : comme la grande bourgeoisie industrielle et bancaire helvétique ne peut pas miser sur l’atout militaire, elle va apprendre et devenir virtuose dans l’art de jouer sur les contradictions entre grandes puissances impérialistes afin d’avancer ses propres pions. Dans ce sens, elle utilise de manière combinée deux atouts :

    - La politique de neutralité, alliée à celle des Bons offices et à la politique humanitaire (Croix-Rouge, etc.) permettent à l’impérialisme suisse de ne pas apparaître comme tel aux yeux de très larges pans de la population mondiale, ce qui lui confère une forte légitimité. Elles lui permettent aussi d’être fréquemment choisie pour jouer les arbitres ou les intermédiaires entre les grandes puissances impérialistes. Camille Barrère, Ambassadeur de France à Berne de 1894 à 1897, avait déjà compris cette stratégie lorsqu’il écrivait : « La marine de la Suisse, c’est l’arbitrage ».4
    – La bourgeoisie industrielle et bancaire suisse est capable d’offrir une série de services spécifiques (secret bancaire, fiscalité plus que complaisante, extrême faiblesse des droits sociaux, etc.), dont les classes dominantes des grandes puissances impérialistes ont fortement besoin, mais qu’elles peuvent difficilement garantir dans leur propre pays, généralement pour des raisons politiques internes. L’impérialisme helvétique ne leur apparaissant pas comme un rival trop dangereux, en raison de sa faiblesse militaire notamment, ces puissances accepteront que le pays s’installe et se spécialise durablement dans plusieurs niches hautement profitables (celle de paradis fiscal et de place financière internationale, en particulier).

    Les exemples qui illustrent la manière et la précocité avec laquelle la bourgeoisie suisse a su avancer ses propres intérêts dans le sillage des grandes puissances impérialistes, en jouant au besoin sur leurs contradictions, sont nombreux. Prenons-en deux :

    - Dès 1828, des Missionnaires bâlois, rapidement suivis par les commerçants d’une société, la Basler Handelsgesellschaft, fondée par le cœur de l’oligarchie bâloise (les familles Burckhardt, Merian, Iselin, Ehinger, Vischer), s’installent sur la côte de l’actuel Ghana. Ils vont jouer un rôle décisif dans la colonisation de cette région par la Grande-Bretagne. Dans les années 1860, ils entreprennent dans ce sens un véritable travail de lobbying, couronné de succès, auprès du Parlement anglais et ils participeront directement à la longue guerre coloniale menée par l’Angleterre contre le Royaume Achanti.5
    - En récompense, les négociants bâlois verront leurs affaires facilitées dans le Ghana placé sous tutelle britannique, de telle sorte que la Basler Handelsgesellschaft devient au début du XXesiècle l’une des plus grandes sociétés au monde d’exportation de cacao (le taux de profit net qu’elle dégage au Ghana atteint 25% en moyenne annuelle entre 1890 et 1910). Une anecdote permet à elle seule de mesurer l’influence acquise dans le pays par les négociants suisses et de montrer à quel point ils le considèrent comme leur pré carré. En mars 1957, le Ghana est la première colonie européenne d’Afrique à conquérir son indépendance. L’événement est historique. Cela n’empêche pas, quatre mois plus tard, lors de la fête organisée par les expatriés helvétiques pour le 1er août 1957, l’orateur suisse de conclure son discours devant des centaines d’invités par ces mots : « Vive le canton suisse Ghana ! ».6
    – Mais en parallèle à la carte anglaise, le capitalisme helvétique sait aussi jouer de la carte allemande ou française. Les Suisses vont même jouer un rôle de premier plan dans la politique coloniale allemande en Afrique, ce qui leur permettra, en retour, de disposer de la bienveillance des autorités coloniales et de développer de florissantes affaires.

    La stratégie évoquée ci-dessus s’est révélée particulièrement efficace, de sorte que la Suisse s’est transformée, au cours du XXe siècle, en une puissance impérialiste de moyenne importance, voire même, dans certains domaines, de tout premier plan. En voici deux illustrations :

    – Les multinationales suisses appartiennent au tout petit nombre des sociétés qui dominent le monde dans une série de branches, que ce soit dans la machinerie industrielle (ABB : 2erang mondial), de la pharmacie (Roche : 2e rang ; Novartis : 4e rang), du ciment et des matériaux de construction (LafargeHolcim : 1er rang), de l’agroalimentaire (Nestlé : 1er rang), de l’horlogerie (Swatch : 1er rang), de la production et de la commercialisation de matières premières (Glencore : 1er rang ; Vitol : 2e rang), de l’assurance (Zurich : 10e rang) ou encore de la réassurance (Swiss Re : 2e rang).
    – Dès la Première Guerre mondiale, la Suisse est également devenue une place financière internationale de premier plan, qui est aujourd’hui la quatrième ou cinquième plus importante au monde. Mais sur le plan financier, l’impérialisme helvétique présente à nouveau une spécificité. Les banques suisses occupent en effet une position particulière dans la division du travail entre centres financiers : elles sont le lieu de refuge de prédilection de l’argent des capitalistes et des riches de la planète entière et se sont donc spécialisées dans les opérations liées à la gestion de fortune.

    Exploitation massive

    Reste à souligner un dernier aspect, très important, de l’impérialisme suisse. Le rapport impérialiste ne consiste pas seulement à aller, comme cela a été dit plus haut, vers la main-d’œuvre taillable et corvéable à merci des pays pauvres. Il consiste aussi à faire venir sur place des travailleur-ses étranger-ères dans des conditions telles qu’ils et elles peuvent être exploité-e-s à peu près aussi férocement. Dans ce domaine également, le patronat helvétique s’est distingué en important massivement une main-d’œuvre immigrée, fortement discriminée par un savant système de permis de séjour axé sur le maintien de la plus grande précarité et par l’absence de droits politiques. Bref, il s’est distingué par l’ampleur de la politique de « délocalisation sur place », selon l’expression parlante d’Emmanuel Terray, qu’il a menée depuis très longtemps. Dès la fin du XIXe siècle, les travailleur-ses étranger-ères en Suisse représentent plus de 10% de la population (16% en 1913). Aujourd’hui, ils/elles constituent environ 25% de la population résidant en Suisse, soit plus de deux millions de personnes, la plupart salariées et n’ayant pas le droit vote fédéral, auxquelles il faut rajouter environ 200 000 travailleur-ses clandestin-e-s exploité-e-s.

    Notes
    1. ↑ Sébastien Guex, « De la Suisse comme petit Etat faible : jalons pour sortir d’une image en trompe-l’œil », in S. Guex (éd.), La Suisse et les Grandes puissances 1914-1945, Genève, Droz, 1999, p. 12.
    2. ↑ Cf. par exemple Documents diplomatiques suisses, vol. 6, pp. 146-148, 166-167 et 240-243.
    3. ↑ Lire Hans-Ulrich Jost, « Le Sonderfall, un mythe bien pratique », Moins ! n°49.
    4. ↑ Cité dans Jean-Claude Allain, « La politique helvétique de la France au début du XXe siècle (1899-1912) », in R. Poidevin, L.-E. Roulet (Dir.), Aspects des rapports entre la France et la Suisse de 1843 à 1939, Neuchâtel, La Baconnière, 1982, p. 99.
    5. ↑ Sébastien Guex, « Le négoce suisse en Afrique subsaharienne : le cas de la Société Union Trading Company (1859-1918) », in H. Bonin, M. Cahen (Dir.), Négoce blanc en Afrique noire, Bordeaux, Société française d’histoire d’outre-mer, 2001, p. 237.
    6. ↑ H. W. Debrunner, Schweizer im kolonialen Afrika, Basel, Basler Afrika Bibliographien, 1991, p. 19.

    https://lecourrier.ch/2020/12/06/les-secrets-dune-puissance-invisible

    #colonialisme #colonialisme_sans_colonies #impérialisme #capitalisme #guerres_coloniales #guerres_impérialistes #bourgeoisie_industrielle #bourgeoisie_bancaire #neutralité #discours #propagande #rhétorique_de_la_petitesse #impérialisme_secondaire #impérialisme_masqué #impérialisme_feutré #banquiers #banques #commerce_triangulaire #histoire #esclavage #de_Pury #multinationales #accès_à_la_mer #industrie #Bons_offices #humanitaire #politique_humanitaire #légitimité #arbitrage #paradis_fiscal #Basler_Handelsgesellschaft #Burckhardt #Merian #Iselin #Ehinger #Vischer #Ghana #Afrique #lobbying #Royaume_Achanti #cacao #finance #délocalisation_sur_place #Pury #Neuchâtel

    ping @cede

    • Intéressant le lien que l’auteur fait entre l’impérialisme suisse dans l’histoire et l’#exploitation des #travailleurs_étrangers sans droits politiques voire sans papiers plus contemporaine :

      Reste à souligner un dernier aspect, très important, de l’impérialisme suisse. Le rapport impérialiste ne consiste pas seulement à aller, comme cela a été dit plus haut, vers la main-d’œuvre taillable et corvéable à merci des pays pauvres. Il consiste aussi à faire venir sur place des travailleur-ses étranger-ères dans des conditions telles qu’ils et elles peuvent être exploité-e-s à peu près aussi férocement. Dans ce domaine également, le patronat helvétique s’est distingué en important massivement une main-d’œuvre immigrée, fortement discriminée par un savant système de permis de séjour axé sur le maintien de la plus grande précarité et par l’absence de droits politiques. Bref, il s’est distingué par l’ampleur de la politique de « délocalisation sur place », selon l’expression parlante d’Emmanuel Terray, qu’il a menée depuis très longtemps. Dès la fin du XIXe siècle, les travailleur-ses étranger-ères en Suisse représentent plus de 10% de la population (16% en 1913). Aujourd’hui, ils/elles constituent environ 25% de la population résidant en Suisse, soit plus de deux millions de personnes, la plupart salariées et n’ayant pas le droit vote fédéral, auxquelles il faut rajouter environ 200 000 travailleur-ses clandestin-e-s exploité-e-s.

      #sans-papiers #droits_politiques #saisonniers

  • Revue L’Information géographique 2013/4 | Cairn.info

    https://www.cairn.info/revue-l-information-geographique-2013-4.htm

    Merci à Françoise Bahoken @fbahoken - quand tu trouves un truc génial comme ça tu peux ausi le mettre sur seenthis ;)

    Matthieu Noucher
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  • Africa4 - Impérialisme numérique ? Depuis une vingtaine d’années, de plus en plus de documents ayant trait au passé africain se retrouvent en ligne. Mais des questions sont posées par le blog Africa4-Regards croisés sur l’Afrique : Qui choisi les archives à numériser ? Quid du reste ? Quelles stratégies d’accès aux contenus numérisés ? Où sont hébergés ces contenus ?
    http://libeafrica4.blogs.liberation.fr/2017/06/14/imperialisme-numerique

    ... les documents disponibles en ligne ne sont en fait qu’un maigre échantillon des rayons de documents conservés dans les archives. D’ailleurs, ces derniers ont tendance à être les plus « célèbres » aujourd’hui ce qui ne veut pas dire que dans cinquante ans les historiens auront d’autres centres d’intérêt. Enfin, ces documents se trouvent souvent dans les archives nationales des pays africains concernés, ce qui veut dire que les plus petits centres d’archives publiques et privées sont délaissés ce qui potentiellement peut avoir un effet déformant sur la recherche.

    Outre le problème historique, cette numérisation en masse pose aussi des problèmes d’accès. De nombreux Africains ne disposent pas d’une connexion Internet suffisante pour visionner ces documents. Tous les Africains n’ont pas accès aux débits Internet des villes du Kenya ou du Ghana. De plus à qui appartiennent ces documents vraiment ? De nombreux pays africains ne disposent pas d’un cadre légal mis à jour pour tenir en compte de l’évolution technologique de ces vingt dernières années. Des questions de souveraineté se posent donc quand des chercheurs non-africains numérisent en masse des documents et les déposent sur des serveurs en Amérique ou en Europe. Ce phénomène a ainsi poussé l’historien Keith Breckenridge à parler d’ « impérialisme numérique ».

    #Afrique #histoire #archives #imperialisme_numérique

  • Complexe militaro-industriel et ventes d’armes
    http://jeunesamisdelaterre.org/complexe-militaro-industriel-et-ventes-darmes

    Le marché de l’armement mondial est concentré entre les mains de 5 pays exportateurs représentant au total entre 70 et 80 % des exportations. Les États-Unis assurent à eux seuls 40 % des exportations d’armes dans le monde. Toutes les initiatives internationales autour du contrôle des armes sont condamnées à l’échec. Source : Les Jeunes Amis de la Terre