• La #liberté_académique menacée dans le monde : « Les universitaires ont intérêt à s’exprimer ouvertement avant qu’il ne soit trop tard »

    En 2006, un citoyen sur deux vivait dans une zone de liberté académique, cette proportion est désormais d’un sur trois. Budgets universitaires en berne, difficultés pour s’exprimer sur des sujets sensibles… Dans un contexte d’#érosion_démocratique, la tendance est alarmante pour la #connaissance et le #bien_commun. Entretien avec #Katrin_Kinzelbach, spécialiste en politique internationale des droits de l’homme, à l’initiative de l’#indice annuel de liberté académique.

    (#paywall)

    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2024/04/01/la-liberte-academique-menacee-dans-le-monde-les-universitaires-ont-interet-a
    #université #monde #facs #recherche #libertés_académiques #statistiques #dégradation #chiffres

    • #Academic_freedom_index

      Based on assessment of the de facto protection of academic freedom as of December 2023, the Academic Freedom Index Update 2024 provides an overview of the state of academic freedom in 179 countries and territories. In line with previous AFI reports, this year’s data demonstrates that academic freedom is under threat globally. Using the concept of growth and decline episodes at country level, this year’s update shows that 23 countries are in episodes of decline in academic freedom, but academic freedom is increasing in only ten countries. 3.6 billion people now live in countries where academic freedom is completely restricted. Taking a longer time period into account by comparing 2023 data with that of fifty years ago, we note more optimistically that academic freedom expanded in 56 countries.

      https://www.youtube.com/watch?v=gOj_1B2PIlE


      https://academic-freedom-index.net
      #rapport

    • L’état de la liberté académique dans le monde

      Basé sur une évaluation de la protection de facto de la liberté académique en décembre 2023, l’Academic Freedom Index Update 2024 donne un aperçu de l’état de la liberté académique dans 179 pays et territoires

      Conformément aux précédents rapports de l’AFI, les données démontrent que la liberté académique est menacée à l’échelle mondiale. Le rapport 2024 montre que 23 pays connaissent des épisodes de déclin de la liberté académique. Celle-ci n’augmente que dans dix pays. 3,6 milliards de personnes vivent désormais dans des pays où la liberté académique est totalement restreinte. En prenant en compte une période plus longue, en comparant les données de 2023 avec celles d’il y a cinquante ans, on constate malgré tout que la liberté académique s’est étendue dans 56 pays.

      L’Academic Freedom Index (AFI) couvre actuellement 179 pays et territoires et fournit l’ensemble de données le plus complet sur le thème de la liberté académique. L’AFI évalue les niveaux de facto de liberté académique à travers le monde sur la base de cinq indicateurs :

      - liberté de recherche et d’enseignement
      - liberté d’échange et de diffusion académique
      - autonomie institutionnelle
      - intégrité du campus
      - liberté d’expression académique et culturelle

      L’AFI repose sur des évaluations réalisées par 2 329 experts nationaux dans le monde entier, des questionnaires standardisés et un modèle statistique bien établi, mis en œuvre et adapté par le projet V-Dem. Le projet V-Dem est connu pour générer des données solides sur diverses dimensions de la démocratie. L’Academic Freedom Index utilise une méthode de modèle de mesure bayésienne pour l’agrégation des données : il fournit non seulement des estimations ponctuelles, mais rend également compte de manière transparente de l’incertitude de mesure dans l’évaluation globale de la liberté académique. Il est recommandé pour les utilisateurs de prendre en compte cette incertitude lorsqu’ils comparent les scores entre pays et dans le temps. Il est possible d’en savoir davantage sur ces recherches en consultant le site Web. De plus, un article d’introduction explique plus en détail la conception de cet index.

      Les données de l’Indice de liberté académique sont conservées dans l’ensemble de données V-Dem, qui comprend les évaluations de la démocratie les plus complètes et les plus détaillées au monde, ainsi que les données de l’AFI. La dernière version de l’ensemble de données et les documents de référence associés peuvent être téléchargés gratuitement sur le site Internet de V-Dem (pp. 238-243 & 322 Codebook). Mais il faut au préalable s’inscrire sur le site.

      Pour en savoir plus sur l’état actuel de la liberté académique dans le monde, on peut se référer à la mise à jour de l’ Indice de liberté académique et explorer les données sur la carte interactive.

      https://cartonumerique.blogspot.com/2024/04/liberte-academique.html
      #cartographie #visualisation

  • La #nouvelle du jeudi 20:42
    https://framablog.org/2024/01/25/la-nouvelle-du-jeudi-2042

    Chaque jour de cette semaine, à 20:42, une nouvelle de 2042 concoctée avec amour par les participant⋅es des ateliers #solarpunk #UPLOAD de l’Université Technologique de #Compiègne (UTC). Aujourd’hui, sous le regard étonné des enfants de 2042, une exposition sur Compiègne … Lire la suite­­

    #Communs_culturels #Enjeux_du_numérique #UPLOAD #atelier #Democratie #écriture #indices #LowTech #oligarchie #PIB #Politique #représentation #RIP #Sante #soin #Solarpunk #UTC #Voitures

  • Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

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  • Le saviez-vous ? L’IPS est un indice fortement genré. – Affelnet
    https://affelnet.fr/2021/12/11/le-saviez-vous-lips-est-un-indice-fortement-genre
    Affelnet est l’algorithme d’affectation des élèves au lycée (l’équivalent de Parcoursup pour les études supérieures) qui utilise (entre autres) l’IPS, Indice de Position Sociale créé par la Direction de l’Evaluation, de la Prospective et de la Performance (!)

    Quelques exemples d’indices IPS genrés :

    Les éléments suivants sont tirés des deux éléments de définition de la norme IPS :

    Exemples relatifs à l’indice Croisé (Couples) :
    Il y a une décote de 58,2% de points (soit 53 points) de moins quand c’est la mère qui est « Chômeurs n’ayant jamais travaillé » et le père qui est « Non renseignée (inconnue ou sans objet) » que dans le cas symétrique ;
    Il y a une décote de 52,6% de points (soit 51 points) de moins quand c’est la mère qui est « Personnes diverses sans activité professionnelle » et le père qui est « Anciens employés et ouvriers » que dans le cas symétrique ;
    Il y a une décote de 40,3% de points (soit 27 points) de moins quand c’est la mère qui est « Personnes diverses sans activité professionnelle » et le père qui est « Ouvriers agricoles » que dans le cas symétrique ;
    Il y a une décote de 39,2% de points (soit 38 points) de moins quand c’est la mère qui est « Chômeurs n’ayant jamais travaillé » et le père qui est « Anciens employés et ouvriers » que dans le cas symétrique ;
    Il y a une décote de 34,4% de points (soit 42 points) de moins quand c’est la mère qui est « Ouvriers qualifiés » et le père qui est « Contremaîtres, agents de maîtrise » que dans le cas symétrique.

    #IPS #Indice_de_Position_Sociale #Affelnet #éducation

  • #Salaire des #fonctionnaires : « On entre dans une logique de #contractualisation et de #liberté »

    Selon le spécialiste de la réforme de l’Etat #Luc_Rouban, la #conférence_sur_les_perspectives_salariales des fonctionnaires qui s’ouvre mardi pourrait acter la mise en place d’une nouvelle architecture de la fonction publique.

    Alors que la ministre de la transformation et de la fonction publiques, Amélie de Montchalin, ouvre, mardi 21 septembre, une conférence sur les #perspectives_salariales des fonctionnaires, le spécialiste de la réforme de l’Etat Luc Rouban, directeur de recherches au CNRS, chercheur au Centre d’études de la vie politique française de Sciences Po (Cevipof), montre que cela sous-tend une transformation profonde de la #fonction-publique.

    A six mois de la présidentielle, ouvrir une conférence de six mois sur la rémunération des fonctionnaires, est-ce un gadget politique ou le début d’un vrai travail de fond ?

    C’est le début d’un vrai travail de fond. S’il s’agissait d’un gadget politique, le calendrier serait particulièrement mal choisi. Des promesses faites aujourd’hui n’engagent à rien… Ce serait même plutôt un mauvais calcul politique.

    Là, il s’agit de régler un problème de fond. La disparition d’un certain nombre de #corps (celui des préfets, des inspections, etc.) amorce une réforme plus large de la fonction publique française. Celle-ci sort d’un #modèle_corporatif et se dirige vers un #modèle_d’emploi, comme dans la plupart des pays européens.

    C’est-à-dire ?

    L’existence de corps fait que le parcours des fonctionnaires est prévu à l’avance. Là, on fait sauter le #verrou_corporatif, et une nouvelle architecture de la fonction publique se met en place, avec une relation plus individualisée entre l’agent et l’employeur. Cela permet une plus grande #mobilité pour les fonctionnaires. Mais cela remet aussi en cause tout le système de #rémunération et de #progression. Il faut donc d’autres règles générales pour encadrer cette nouvelle situation, situation dans laquelle le jeu stratégique entre les #syndicats et le #gouvernement est brouillé.

    Car on sort également de l’habitude du grand rendez-vous salarial annuel tournant autour de la question de l’augmentation générale du #point_d’indice, avec une application corps par corps. On entre dans une logique de #contractualisation et de #liberté. Le poids de l’#avancement pèse sur le fonctionnaire à titre individuel beaucoup plus qu’avant : ce sera à lui de se préparer, de chercher des formations, de rédiger un bon CV, de solliciter un autre ministère ou un autre établissement public, d’accepter d’être mis en #concurrence avec d’autres agents ou des candidats venant du privé.

    On se rapproche de la logique du privé. C’est plus compliqué pour le fonctionnaire, mais les corps conduisent aussi à ce qu’après quelques années, on se retrouve bloqué dans son avancement. Vous arrivez à 45, 50 ans et vous n’avez plus beaucoup d’avenir. Il est souvent impossible d’accéder à l’#indice_salarial le plus élevé, et cela nourrit de la #frustration et du #mécontentement.

    Le système est donc bien à bout de souffle, comme le dit #Amélie_de_Montchalin ?

    Jusqu’à Nicolas Sarkozy, on faisait des augmentations générales, et on s’arrangeait avec les #primes. C’est une fausse #individualisation. Le système est bloqué et s’auto-reproduit : la #hiérarchie, des grands corps au sommet jusqu’aux fonctionnaires de catégorie C, est figée. Pourtant, la crise sanitaire a mis en lumière le caractère essentiel des #emplois_d’exécution. On commence donc à s’interroger sur la #hiérarchie_sociale et l’#utilité relative des uns et des autres dans la fonction publique.

    Dans la perspective de la présidentielle, tout cela représente-t-il un atout pour Emmanuel Macron afin de séduire les 5,6 millions de fonctionnaires, quand la socialiste Anne Hidalgo propose de doubler le salaire des enseignants ?

    Il peut se démarquer face à la proposition d’Anne Hidalgo, qui reste quantitative et très spécifique, en proposant une refonte qualitative concernant l’ensemble des fonctionnaires qui associe la question des #rémunérations à celle du déroulement des #carrières, des #qualifications et des #conditions_de_travail. Cela lui permet de faire du « en même temps » puisqu’il peut aussi se présenter comme quelqu’un de responsable qui cherche à préserver les équilibres budgétaires ou, du moins, à limiter les déséquilibres.

    En mécontentant donc l’électorat de droite, essentiel pour le candidat Macron, qui souhaite diminuer la dépense publique ?

    L’électorat de droite n’est pas totalement néolibéral… Même à droite, on défend le service public et l’Etat-providence. Le patronat a applaudi les mesures exceptionnelles qui ont protégé les entreprises et les salariés. Les Français ont conscience que le #service_public assure un minimum de #cohésion_sociale, ne serait-ce que par les forces de sécurité. Il existe une demande très forte de protection et d’intervention publique. La droite parlementaire fait une erreur stratégique en reprenant la logique néolibérale de 2017. Elle dit qu’il faut diminuer les dépenses, et donc, le nombre de fonctionnaires, mais sans proposer de réflexion sur l’architecture interne de la fonction publique et sur ses métiers. C’est donc un moyen pour Emmanuel Macron de se démarquer, ici aussi.

    https://www.lemonde.fr/politique/article/2021/09/20/salaire-des-fonctionnaires-on-entre-dans-une-logique-de-contractualisation-e
    #fonctionnariat #néo-libéralisme

  • #Développement_humain (2020)

    - L´#indice_de_développement_humain et ses composantes
    – L´évolution de l´indice de développement humain
    – L´indice de développement humain ajusté aux #inégalités
    – L´indice de développement de #genre
    – L´indice d´#inégalités_de_genre
    – Indice de #pauvreté multidimensionnelle : pays en développement
    – Tendances démographiques
    #Santé
    – Niveaux d´#instruction
    #Revenu_national et composition des ressources
    #Travail et #emploi
    #Sécurité_humaine
    #Mobilité humaine et flux de capitaux
    – Qualité du développement humain
    – Inégalités femmes-hommes sur le cycle de vie
    – Autonomisation des #femmes
    #Durabilité_environnementale
    – Viabilité socio-économique

    http://www.cartostat.eu/dr=2020_developpement_humain/F/TABLEAU.html

    #cartothèque #cartes #visualisations #développement_humain
    #ressources_pédagogiques #statistiques #chiffres #monde
    #inégalités #démographie #éducation #mobilité_humaine #dette #tourisme #migrations #téléphone #téléphone_mobile #mortalité_infantile #paludisme #tuberculeuse #VIH #HIV #scolarisation #alphabétisation #PIB #chômage #réfugiés #IDPs #déplacés_internes #suicide #suicides #violence_domestique #violence_conjugale #alimentation #déficit_alimentaire #espérance_de_vie #lits_d'hôpitaux #soins #médecin #PISA #électricité #eau_potable #assainissement #travail_domestique #accouchement #contraception #congé_maternité #combustibles_fossiles #CO2 #émissions_de_CO2 #forêt #engrais #industrie_agro-alimentaire #pollution #pollution_atmosphérique #hygiène #dépenses_militaires #armée #pauvreté

    ping @reka

  • Contre l’obsolescence des smartphones et des machines à laver, l’indice de réparabilité devient obligatoire
    https://reporterre.net/Contre-l-obsolescence-des-smartphones-et-des-machines-a-laver-l-indice-d

    Depuis le 1er janvier, un indice de réparabilité doit figurer sur les descriptifs de cinq appareils, dont les smartphones et les machines à laver. Objectif : inciter les consommateurs à choisir des produits durables et les fabricants à privilégier l’écoconception. Reste à veiller à ce qu’il tienne ses promesses. Le smartphone que l’on est contraint d’abandonner parce que les mises à jour ont été arrêtées sur ce modèle. La machine à laver indémontable dont seule une pièce est usée, qui finit à la benne. Le (...)

    #smartphone #écologie #technologisme #obsolescence

  • Pour les voyageurs d’affaires, la reprise ne s’annonce pas de tout repos
    https://www.lemonde.fr/emploi/article/2020/07/15/pour-les-voyageurs-d-affaires-la-reprise-ne-s-annonce-pas-de-tout-repos_6046

    Qui plus est, le risque sanitaire demeure dans de nombreux pays. « Ce n’est pas le moment d’aller en Amérique du Sud… », pointe Michel Dieleman. Un risque d’autant moins à négliger par les employeurs que, selon la jurisprudence, tout accident survenu lors d’un déplacement professionnel est présumé être un accident du travail. « L’employeur qui envoie un salarié en voyage d’affaires a une obligation de résultats en matière de santé et de sécurité, pas seulement de moyens, martèle Jean-Jacques Richard. Si, malheureusement, un salarié en déplacement décède du fait de la maladie, l’employeur s’expose à des poursuites judiciaires ».
    Pour rassurer les voyageurs et leurs employeurs sur la gestion du risque sanitaire, les hôteliers, les transporteurs et les autres acteurs du tourisme d’affaires ont mis en œuvre les grands moyens. Nettoyage renforcé des poignées de portes ou des ascenseurs, port du masque par le personnel… Une initiative parmi d’autres : afin d’informer les voyageurs d’affaires sur le respect des protocoles sanitaires par les hôteliers, la centrale d’achat CDS Groupe a déployé un « indice Covid-19 » dans son outil de réservation. Dans l’aérien, Emirates va jusqu’à faire passer des tests Covid-19 à ses passagers. Au-delà du risque sanitaire, International SOS interpelle sur l’émergence de nouveaux dangers consécutifs à la crise du Covid-19, comme la « poussée de mouvements populistes et nationalistes ». (...)
    « Il convient de faire une analyse précise de la situation et des conditions sécuritaires dans chaque pays, met en garde Jean-Jacques Richard. S’assurer aussi que le salarié est bien couvert par les assurances rapatriement, et bien le sensibiliser au respect des règles sanitaires. »

    #Covid-19#migrant#migration#risquesanitaire#rapatriement#indicecovid#voyagedaffaire#droit#protocolesanitaire

  • #Fonctionnaires : le #gel du #point_d’indice prévu jusqu’en 2022 - Challenges
    https://www.challenges.fr/economie/fonctionnaires-le-gouvernement-table-sur-un-gel-du-point-d-indice-jusqu-e
    #enfoirés
    #gel_ou_vaseline ?
    #mythos
    500 millions en 2021 pour les #enseignants, mais ensuite —>

    « Ce sont quelques lignes passées inaperçues qui pourraient faire du bruit dans la fonction publique. Dans un rapport de novembre, le Conseil d’orientation des #retraites (#COR) a lâché une petite bombe qui concerne la paie de quelque 5 millions de fonctionnaires. Selon ce document, qui établit des prévisions financières concernant les retraites et s’appuie sur des données du ministère du #Budget, le #gouvernement table en effet sur un gel du #point d’#indice, qui sert de base au calcul de la #grille des #traitements des fonctionnaires, jusqu’en #2022. »

    • Une petite bombe passée inaperçue : le gouvernement table sur une progression de la rémunération moyenne des fonctionnaires moins rapide que le salaire moyen français jusqu’en 2025 et un gel du point d’indice jusqu’en 2022.

  • SUSTAINABLE DEVELOPMENT INDEX
    https://www.sustainabledevelopmentindex.org

    The Sustainable Development Index (SDI) measures the ecological efficiency of human development, recognizing that development must be achieved within planetary boundaries. It was created to update the Human Development Index (HDI) for the ecological realities of the Anthropocene.

    The SDI starts with each nation’s human development score (life expectancy, education and income) and divides it by their ecological overshoot: the extent to which consumption-based CO2 emissions and material footprint exceed per-capita shares of planetary boundaries. Countries that achieve relatively high human development while remaining within or near planetary boundaries rise to the top.

    SDI results for 2015, the most recent year of complete data, can be found in the map and table below. While some countries score reasonably well, none reach over 0.9. Results for 1990-2015 can be found on the time series page. Disaggregated data can be viewed on the bubble charts page. To receive updates and new data releases as they become available, please sign up here.

    #indice #index #développement_durable #développement_soutenable #développement #environnement

  • Où le trait de côte a-t-il le plus reculé en Bretagne ? - Bretagne - LeTelegramme.fr
    https://www.letelegramme.fr/bretagne/ou-le-trait-de-cote-a-t-il-le-plus-recule-en-bretagne-28-11-2019-124448


    Sur le littoral au large de Lampaul-Ploudalmézeau
    Le Télégramme/Le Télégramme/Esri, i-cubed, USDA, USGS, AEX, GeoEye, Getmapping, Aerogrid, IGN, IGP, UPR-EGP, and the GIS User Community

    S’adapter face au changement du littoral, c’est l’enjeu d’un rapport remis ce jeudi au gouvernement. Ces dernières décennies, le tracé de la côte a déjà fortement changé dans certaines zones de Bretagne.

    Sur fond de changement climatique, comment envisager l’avenir à proximité de la mer ? Voilà la question à laquelle doit répondre un rapport parlementaire remis ce jeudi à la ministre de la Transition écologique Elisabeth Borne. Sujet crucial : selon une étude qui vient de paraître, 300 millions de personnes sont menacées, à travers le monde, par les changements qui vont toucher ce tracé côtier. Et les projections sont d’autant plus préoccupantes que certaines transformations récentes de notre littoral sont déjà bien visibles.
    Le ministère de la Transition écologique surveille l’érosion du littoral à partir, notamment, de l’évolution du « #trait_de_côte ». Le trait de côte ? Il s’agit de la frontière entre la zone littorale et la terre toujours découverte, dans des conditions et coefficients de marée classiques. Les périodes comparées varient selon les zones. En Bretagne, elles vont d’un laps de temps de cinq à six décennies. Concrètement, les organismes de l’État comparent l’ancien tracé de la côte, et son tracé relevé le plus récemment. Cette association permet d’évaluer le nombre de mètres d’avancées ou de recul de la mer, zone par zone. En Bretagne, certaines zones précises affichent des reculs très marqués.

    La baie d’Audierne
    Parmi les zones les plus concernées : la bande littorale qui borde la baie d’Audierne (29). Entre 1952 et 2011, le recul va jusqu’à 1,8 mètre par an sur certains points. C’est notamment le cas à proximité de l’étang de Trunval, ainsi qu’au nord de la pointe de la Torche. Sur cette deuxième zone, le recul peut également atteindre 1,5 à 1,7 m par an.

    La Grève de Goulven
    Autre zone au recul moins marqué mais malgré tout notable : la Grève de Goulven, entre Plounéour-Trez et Plouescat (29). À proximité de Lanevez, le tracé a reculé de 0,7 à 1,20 mètre par an entre 1952 et 2009.

    Lampaul-Ploudalmézeau
    Sur la côte nord toujours, la baie de Lampaul-Ploudalmézeau marque aussi un recul notable, avec 500 à 700 mètres annuels de recul de 1952 à 2009.

    La Barre d’Étel
    Près d’Étel et Erdeven (56), la côte a reculé de 600 à 900 mètres autour des dunes d’Erdeven. Comme pour les exemples précédents, la morphologie de cette portion de la côte explique en partie cette évolution. L’étude Géolittoral souligne que les côtes basses sableuses représentent quatre cas sur dix des environnements naturels examinés, et qu’elles présentent les taux d’évolution les plus importants, à la fois en recul et en avancée de la côte.

    La modification du littoral n’est en effet par uniforme. Si la mer avance dans les terres à certains endroits, elle recule à d’autres. C’est le cas, par exemple, dans l’anse de Dinan, près de la presqu’île de Crozon (29). Malgré tout, sur l’ensemble de la France, près de 20 % du trait de côte naturel est en recul. Cela correspond à environ 30 km² de terre disparus sur une période de 50 ans. En Bretagne, le Finistère est le plus concerné : la surface perdue en cinquante ans, entre 1960 et 2010, y est estimée à plus d’un kilomètre carré.

    Et près de chez vous ?
    Explorez l’évolution du trait de côte en Bretagne sur les dernières décennies dans la carte interactive ci-dessous. Le tracé en pointillé représente l’ancien tracé côtier ; celui en jaune correspond au relevé le plus récent. Les aplats de couleur correspondent à l’importance du recul (en rouge) ou de l’avancée (en vert)
    https://www.letelegramme.fr/static/ftp/dossier/data/carte/trait-de-cote/index.html

  • #Pollution_de_l'air : vers un nouvel #indice.
    https://www.banquedesterritoires.fr/conference-des-villes-nous-avons-plein-de-competences-mais-nous

    Après avoir mentionné la création de zones à faibles émissions (ZFE) dans 15 métropoles d’ici à 2020, la ministre de la Transition écologique a annoncé la création d’un nouvel indice de la #qualité de l’air. « J’ai décidé de suivre les recommandations du Conseil national de l’air et de réviser l’indice officiel de mesure de la qualité de l’air », a affirmé Élisabeth Borne. « Dans les prochaines semaines, nous publierons un arrêté fixant un nouveau mode de calcul, a-t-elle précisé. Il sera plus local, afin de répondre aux attentes sur la qualité de notre environnement en proximité. Surtout, ce nouvel indice prendra en compte les #particules_ fines, inférieures à 2,5 micromètres qui pénètrent plus facilement dans notre organisme et impactent notre santé. »

  • Pauvreté: la misère des indicateurs

    Alors que l’#ONU s’était félicitée de la diminution de l’#extrême_pauvreté de moitié, la pauvreté, elle, aurait au contraire augmenté depuis 1990. Tout dépend des critères retenus.

    Eradiquer l’extrême pauvreté et réduire de moitié la pauvreté dans le monde. Tels sont les deux premiers buts que se sont fixés les Nations Unies d’ici à 2030 dans le cadre des Objectifs du développement durable (#Agenda_2030). Est-ce réaliste ? Tout dépend de la façon dont seront calculés les résultats !

    En 2015, l’ONU avait annoncé avoir atteint sa cible fixée en l’an 2000 : l’extrême pauvreté avait été réduite de moitié. Pourtant, son mode de calcul est largement contesté aujourd’hui. Non seulement, il n’est pas aisé de mesurer la pauvreté, mais la méthode choisie peut répondre avant tout à des considérations idéologiques et politiques.

    Selon le multimilliardaire #Bill_Gates, s’appuyant sur les chiffres de l’ONU, le monde n’a jamais été meilleur qu’aujourd’hui. Selon d’autres voix critiques, la pauvreté a en réalité progressé depuis les années 1980. Où est la vérité ?

    Le Courrier a voulu en savoir davantage en interrogeant #Sabin_Bieri, chercheuse au Centre pour le développement et l’environnement de l’université de Berne. La spécialiste était invitée récemment à Genève dans le cadre d’une table ronde consacrée à la lutte contre la pauvreté, organisée par la Fédération genevoise de coopération.

    L’ONU s’était félicitée de la réduction de l’extrême pauvreté de moitié (Objectifs du millénaire). Est- ce que cela correspond à la réalité des faits ?

    Sabin Bieri : Si l’on prend le critère qu’elle a choisi pour l’évaluer (élaboré par la #Banque_mondiale), à savoir un revenu de 1,25 dollar par jour pour vivre (1,9 à partir de 2005), c’est effectivement le cas, en pourcentage de la population mondiale. Mais pour arriver à ce résultat, la Banque mondiale a dû modifier quelques critères, comme considérer la situation à partir de 1990 et pas de 2000.

    Ce critère de 1,9 dollar par jour pour évaluer l’extrême pauvreté est-il pertinent justement ?

    Ce chiffre est trop bas. Il a été choisi en fonction de quinze pays parmi les plus pauvres du monde, tout en étant pondéré dans une certaine mesure par le pouvoir d’achat dans chaque pays. Ce seuil n’est vraiment pas adapté à tous les pays.

    Et si une personne passe à trois dollars par jour, cela ne signifie pas que sa qualité de vie se soit vraiment améliorée. De surcroît, la majeure partie de cette réduction de l’extrême pauvreté a été réalisée en #Chine, surtout dans les années 1990. Si on enlève la Chine de l’équation, la réduction de l’extrême pauvreté a été beaucoup plus modeste, et très inégale selon les continents et les pays. On ne peut donc plus s’en prévaloir comme un succès de la politique internationale ! L’extrême pauvreté a beaucoup augmenté en #Afrique_sub-saharienne en particulier.

    Tout cela est-il vraiment utile alors ?

    Il est pertinent de parvenir à une comparaison globale de la pauvreté. Je vois surtout comme un progrès le discours public qui a émergé dans le cadre de ces Objectifs du millénaire. La réduction de l’extrême pauvreté est devenue une préoccupation centrale. La communauté internationale ne l’accepte plus. Un débat s’en est suivi. Accepte-t-on de calculer l’extrême pauvreté de cette manière ? Comment faire autrement ? C’est là que j’y vois un succès.

    Dans ses travaux, le chercheur britannique #Jason_Hickel considère que la Banque mondiale et l’ONU ont choisi ces chiffres à des fins idéologiques et politiques pour justifier les politiques néolibérales imposées aux pays du Sud depuis la fin des années 1980. Qu’en pensez-vous ?

    Ce n’est pas loin de la réalité. Ce sont des #choix_politiques qui ont présidé à la construction de cet #indice, et son évolution dans le temps. La Banque mondiale et le #Fonds_monétaire_international ont mené des politiques d’#austérité très dures qui ont été vertement critiquées. Si on avait montré que la pauvreté avait augmenté dans le même temps, cela aurait questionné l’efficacité de ces mesures. Au-delà, ces #chiffres sur l’extrême pauvreté sont utilisés par nombre de personnalités, comme le professeur de l’université d’Harvard #Steven_Pinker pour justifier l’#ordre_mondial actuel.

    Certains experts en #développement considèrent qu’il faudrait retenir le seuil de 7,4 dollars par jour pour mesurer la pauvreté. A cette aune, si l’on retire les performances de la Chine, non seulement la pauvreté aurait augmenté en chiffres absolus depuis 1981, mais elle serait restée stable en proportion de la population mondiale, à environ 60%, est-ce exact ?

    Oui, c’est juste. Nombre de pays ont fait en sorte que leurs citoyens puissent vivre avec un peu plus de 2 dollars par jour, mais cela ne signifie pas qu’ils aient vraiment augmenté leur #standard_de_vie. Et le plus grand souci est que les #inégalités ont augmenté depuis les années 1990.

    Une mesure plus correcte de la pauvreté existe : l’#Indice_de_la_pauvreté_multidimensionnelle (#IPM). Qui l’a développé et comment est-il utilisé aujourd’hui dans le monde ?

    Cet indice a été créé à l’université d’Oxford. Adapté par l’ONU en 2012, il est composé de trois dimensions, #santé, #éducation et #standard_de_vie, chacune représentée par plusieurs indicateurs : le niveau de #nutrition, la #mortalité_infantile, années d’#école et présence à l’école, et le #niveau_de_vie (qui prend en compte l’état du #logement, l’existence de #sanitaires, l’accès à l’#électricité, à l’#eau_potable, etc.). L’indice reste suffisamment simple pour permettre une #comparaison au niveau mondial et évaluer l’évolution dans le temps. Cela nous donne une meilleure idée de la réalité, notamment pour les pays les moins avancés. Cela permet en théorie de mieux orienter les politiques.

    https://lecourrier.ch/2019/06/13/pauvrete-la-misere-des-indicateurs
    #indicateurs #pauvreté #statistiques #chiffres #ressources_pédagogiques #dynamiques_des_suds

    ping @reka @simplicissimus

    • J’explique régulièrement que l’argument monétaire est globalement de la grosse merde pour évaluer la pauvreté. Ce qu’on évalue, en réalité, c’est la marchandisation de populations qui étaient jusqu’à présent épargnées et donc une réelle augmentation de la pauvreté inhérente au fonctionnement du capitalisme.

      Un exemple simple pour comprendre : une famille de petits paysans qui vivent plus ou moins en autosuffisance.

      Ils ont un toit sur la tête (mais pas forcément l’eau courante et l’électricité) et ils cultivent et élèvent une grande part de leur alimentation. Les excédents ou produits d’artisanat permettent éventuellement d’acquérir des merdes modernes sur le marché monétarisé, mais majoritairement, ils échangent avec des gens comme eux.
      Ils sont classés extrêmement pauvres par la BM, parce qu’ils n’ont pas 2$/jour.

      Maintenant, ils sont dépossédés de leur lopin de terre, expulsés par le proprio ou à la recherche d’une vie plus moderne en ville.
      En ville, ils n’ont plus de toit sur la tête et tous leurs besoins fondamentaux sont soumis à la nécessité d’avoir de l’argent. S’ils se prostituent ou louent leur bras pour les jobs pourris et dangereux que personne ne veut, ils pourront éventuellement gagner assez pour manger un jour de plus (pas pour se loger ou subvenir à leurs besoins vitaux), ils n’auront jamais été aussi démunis et proches de la mort, mais du point de vue de la BM, ils sont sortis de la grande pauvreté parce qu’ils se vendent pour plus de 2$/jour.

      L’IPM est mieux adapté, mais je doute qu’on l’utilise beaucoup pour se vanter du soit-disant recul de la pauvreté dans le monde !

    • En fait, si, en France, être pauvre prive de l’accès à beaucoup de choses.
      Prenons le RSA 559,74€ pour une personne seule, moins le forfait logement de 67,17 (en gros 12% du montant), soit, royalement 492,57€ → 16,42€/jour pour les mois à 30 jours.

      Ceci n’est pas de l’argent de poche. En admettant que l’on touche l’APL au taquet, ce qui n’est jamais évident, on peut ajouter 295,05€ max d’APL à Paris et 241,00 pour un bled quelconque de province. Comparez avec le montant des loyers pratiqués, le prix des factures (eau, énergie, au même prix pour tout le monde) et demandez-vous comment fait la personne pour seulement se nourrir correctement.

    • Être pauvre monétairement est surtout du au fait que seules les banques sont autorisées a créer la monnaie (€)
      Mais rien nous empêche de créer notre propre monnaie (sans banque ni état), une monnaie créée à égalité par les citoyens pour les citoyens. Un vrai Revenu Universel n’est pas compliqué a mettre en place, ce sont seulement des chiffres dans des ordinateurs (comme pour l’€).
      Une nouvelle monnaie pour un nouveau monde ;)
      https://www.youtube.com/watch?v=SjoYIz_3JLI

  • L’idée selon laquelle le #petit_déjeuner est le #repas le plus important vient-elle d’un #lobby ?

    Que ce soit par nos parents ou les publicités, l’affirmation selon laquelle le petit-déjeuner est le repas le plus important de la journée est constamment répétée. Pourtant, encore aujourd’hui, les effets de ce repas sur la santé sont débattus.

    L’idée, très répandue, selon laquelle le petit-déjeuner est le repas le plus important de la journée apparaît la toute première fois au début du XXe siècle, sous la plume de Lenna F. Cooper, dans les pages d’un magazine de santé américain de l’époque nommé #Good_Health.

    « A bien des égards, le petit-déjeuner est le repas le plus important de la journée, car c’est le repas qui nous fait commencer la journée, écrit ainsi cette diététicienne dans les pages du mensuel publié en août 1917. Il ne devrait pas être consommé précipitamment, et toute la famille devrait y participer. Et surtout, il doit être composé d’aliments faciles à digérer, et équilibré de telle façon que les différents éléments qui le composent sont en bonnes proportions. Ça ne devrait pas être un repas lourd, il devrait contenir entre 500 et 700 calories ».

    Le journal dans lequel écrit Lenna F. Cooper n’est pas anodin. Good Health appartient à #John_Harvey_Kellogg, qui en est également le rédacteur en chef. Et Lenna F. Cooper est la protégée du Dr Kellogg.

    Une idée dans l’air du temps

    Cette idée ne sort pas de nulle part. Elle naît avec un changement des habitudes alimentaires au tournant du XXe siècle, alors que les pays occidentaux sont en pleine révolution industrielle, selon Alain Drouard, historien et sociologue de l’alimentation. C’est à cette période que naît le concept de petit-déjeuner tel qu’on le connaît aujourd’hui.

    « Avant cette période, dans les milieux ruraux, bien sûr les personnes avaient des prises alimentaires pour rompre le jeûne de la nuit, mais ce n’était pas ritualisé, explique le professeur Drouard. Les aliments qu’on associe maintenant au petit-déjeuner n’étaient pas encore répandus. »

    On consomme alors le matin ce qu’il restait dans le garde-manger ou les restes du dîner de la veille. Mais alors que de plus en plus de monde quitte la campagne et les champs pour se rendre en ville travailler dans des emplois sédentaires à l’usine ou dans des bureaux, beaucoup de travailleurs commencent à se plaindre d’indigestion. Leur régime est inadapté.

    « A cette même époque, un discours d’inspiration scientifique fleurit. Des médecins commencent à se lever contre l’industrialisation de l’alimentation, aux Etats-Unis comme en France, pour préconiser un retour à une alimentation riche en céréales, et généralement plus saine et naturelle », explique Alain Drouard.

    Le docteur, inventeur et nutritionniste John H. Kellogg est très investi dans cette recherche du meilleur mode de vie possible, ce qu’il appelle « #biologic_living » (« mode de vie biologique »). Directeur du #sanatorium de #Battle_Creek dans le Michigan, il dispense aux personnes aisées des traitements allant de la #luminothérapie à l’#hydrothérapie, selon les principes de #santé (physique et morale) de l’#Eglise_adventiste_du_septième_jour. Il prescrit à ses patients des régimes à base d’aliments fades, faibles en gras et en viande. C’est dans ce contexte-là qu’en 1898, le docteur Kellogg invente les #cornflakes, les pétales à base de farine de maïs, à l’origine un moyen pour lui de combattre l’#indigestion.

    Son frère, #Will_Keith_Kellogg, voit le potentiel commercial dans les cornflakes et en 1907 il décide de la commercialiser pour le grand public. Les #céréales Kellogg’s sont nées. Et le petit-déjeuner, soutenu par les thèses de nutritionnistes comme Kellogg, prend son essor, alors même que les céréales de petit-déjeuner envahissent le marché.

    Il faut toutefois attendre 1968 pour que la #multinationale s’installe en France et y commercialise ses céréales.

    Cent ans après une idée qui persiste via la recherche

    Cent ans après l’affirmation de Lenna F. Cooper, l’idée selon laquelle le petit-déjeuner est le repas le plus important de la journée persiste. Elle est toujours très présente dans le milieu de la recherche en nutrition. De nombreuses études ont été menées depuis cette époque qui lient la prise régulière d’un petit-déjeuner à une bonne santé, à une perte de poids ou même à de plus faibles risques de problèmes cardiaques ou de diabète.

    Mais les méthodes utilisées dans ces recherches ne sont pas toujours très convaincantes. Une étude américaine de 2005 établit par exemple un lien entre le fait de manger un petit-déjeuner et le fait d’avoir un faible #indice_de_masse corporelle (#IMC). Mais il ne s’agit pas ici d’étudier les résultats provoqués par un changement d’habitudes alimentaires. L’étude compare simplement deux groupes aux habitudes différentes. Ce faisant, toutes les variables qui entrent en jeu pour déterminer si la cause du faible ICM est la prise régulière d’un petit-déjeuner, ne sont pas prises en compte. L’étude établit donc une corrélation, un lien entre ces deux facteurs, mais pas un véritable un lien de causalité. De nombreuses études utilisent des méthodes similaires.

    En janvier, une méta-analyse, c’est-à-dire une étude compilant les données de beaucoup d’autres études, a été publiée sur le sujet. Et les chercheurs concluent n’« avoir trouvé aucune preuve soutenant l’idée que la consommation d’un petit-déjeuner promeut la perte de poids. Cela pourrait même avoir l’effet inverse ».

    Tout cela ne veut pas dire que le petit-déjeuner est mauvais pour la santé. Plusieurs recherches ont par exemple prouvé que manger un petit-déjeuner était bénéfique dans le développement de l’enfant. Mais trop de variables entrent en jeu pour pouvoir affirmer que prendre un petit-déjeuner est effectivement une pratique essentielle à notre bonne santé. La définition même de ce qui constitue un petit-déjeuner varie grandement selon les études, car l’heure à laquelle ce repas est pris ou sa composition peut beaucoup changer entre les sujets observés.
    Beaucoup d’études… financées par les géants du secteur

    Il existe un autre problème. « Beaucoup, si ce n’est presque toutes, les études qui démontrent que les personnes qui mangent un petit-déjeuner sont en meilleure santé et maîtrisent mieux leur poids que ceux qui n’en mangent pas sont sponsorisées par Kellogg’s ou d’autres compagnies de céréales », explique la nutritionniste Marion Nestle sur son blog Food Politics.

    Par exemple, une étude française du Crédoc (Centre de recherche pour l’étude et l’observation des conditions de vie) citée en 2017 par Libération, qui soulignait le fait que « le petit-déjeuner est en perte de vitesse, sauf le week-end », était entièrement financée par Kellogg’s. Une revue systématique de 2013 sur les bienfaits du petit-déjeuner pour les enfants et les adolescents, financée par Kellogg’s, relevait que sur les quatorze études qu’ils analysaient, treize avaient été financées par des compagnies de céréales.

    Une autre méta-analyse a été lancée en 2018 par une équipe de recherche internationale, The International Breakfast Research Initiative (Ibri). Composée de chercheurs de plusieurs pays, l’équipe cherche à analyser les différents types de petits-déjeuners et leurs apports en nutriments grâce à des données récoltées dans tous les pays respectifs des chercheurs, dans le but de déterminer des recommandations nutritionnelles précises pour le plus grand nombre.

    Ce travail est financé par le groupe Cereal Partners Worldwide, une coentreprise spécialisée dans la distribution de céréales créée en 1991 par Nestlé et Général Mills, le sixième groupe alimentaire mondial qui commercialise entre autres 29 marques de céréales (qui finance d’ailleurs directement le versant canadien et américain de l’étude).

    Toutes ces recherches peuvent ultimement servir à la publicité de Kellogg, de Nestlé et d’autres marques. « Et quelle est la source principale d’information des Français en matière de nutrition ? C’est la publicité. Qui détient les budgets publicitaires les plus importants ? Les groupes alimentaires. Il y a encore quelques années, ça dépassait le milliard d’euros », remarque Alain Drouard.

    En résumé : L’idée selon laquelle le petit-déjeuner est le repas le plus important de la journée est effectivement liée à l’industrie des produits de petits-déjeuners, et notamment des céréales. Si depuis le développement de cette idée de nombreuses recherches ont été menées pour prouver cette affirmation, beaucoup de ces études montrent moins une véritable cause entre la prise régulière d’un petit-déjeuner et une bonne santé, que des liens, parfois contradictoires. Et une grande part de ces recherches sont sponsorisées par de grands groupes agroalimentaires comme #Kellogg's ou #Nestlé.

    https://www.liberation.fr/checknews/2019/06/09/l-idee-selon-laquelle-le-petit-dejeuner-est-le-repas-le-plus-important-vi
    #alimentation #idée_reçue #imaginaire

    • La vie moderne ne respecte rien des besoins des personnes : ni sommeil, ni bouffe, ni repos, ni socialisation, rien.
      Le truc est de nous transformer en robots, de peur de leur laisser la place.

      J’avais fait des expériences sur moi à la fin de l’adolescence et début de l’âge adulte. Un bon repas salé dans l’heure qui suit le lever est ce qu’il y a de plus efficient.
      Le mieux a été l’inversion des repas français : diner le matin et petit dej le soir. Ni lourdeur, ni coup de pompe, de l’énergie et un poids idéal sans y penser.

  • S&P 500 share index notches up record-breaking winning streak - BBC News
    https://www.bbc.com/news/business-45262911

    The S&P 500 share index, which tracks the 500 biggest public companies in America, has hit a new milestone.

    The benchmark index on Wednesday marked 3,453 days since its prior low-point, set on 9 March 2009, when the world was reeling from the financial crisis.

    By many counts, that is the longest run without a fall of 20% or more in index history, a “bull” run in market-jargon.

    Overall the index has risen almost 325% in the period, lifted by companies such as Apple, Microsoft and Amazon.

    #finance #spéculation #corporations #multiunationales #bourse #indice #index

  • Un classement des villes globales : le Global power city index 2017 — Géoconfluences

    http://geoconfluences.ens-lyon.fr/actualites/veille/global-power-city-index

    Le Global power city index est un indicateur d’intégration des métropoles à la mondialisation proposé par l’Institut pour des stratégies urbaines de la Mori Memorial Foundation. Parmi les membres du comité en charge de ce travail, on retrouve Saskia Sassen et trois récipiendaires du prix Vautrin Lud : Peter Hall (2001), Allen J. Scott (2003), Michael Batty (2013). Le classement repose sur 70 indicateurs répartis en 5 domaines : économie, recherche et développement, interaction culturelle, vivabilité, environnement, et accessibilité. Comme souvent dans ce type de travaux, c’est moins le résultat et le classement des villes en lui même qui sont intéressants que la méthode employée, la discussion que peut soulever cette méthode, et le discours que cela produit autour des villes mondiales : des témoignages de maires de villes concernées (Amsterdam, Vienne), sont ainsi reproduits sur la page internet du rapport.

    #urban_matter #ville #agglomération #index #indice #développement_urban

  • These Are the World’s Most Miserable Economies - Bloomberg

    https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-02-14/most-miserable-economies-of-2018-stay-haunted-by-inflation-beast

    L’idée du « #misery_index » est plutôt intéressante #indice #index #misère_économique mais misery ou miserable en fançais doit sans doute se traduire par autre chose que « misérable », je pense à calamiteu·se, malheureu·se, piteu·se voire lamentable. Je me souviens vaguemen que c’est un faux-ami

    Rising prices are more of a threat to the global economy this year than joblessness, according to Bloomberg’s Misery Index, which sums inflation and unemployment outlooks for 66 economies.

    Venezuela marks its fourth year as the world’s most miserable economy, with a score that’s more than three times what it was in 2017. Thailand again claimed “least miserable” status, though the nation’s unique way of calculating unemployment makes No. 2 Singapore worth noting. Elsewhere, Mexico looks to make big strides this year as inflation becomes more manageable, while Romania absorbs more misery for the opposite reason.

    #indice #index #indicateur #statistique #critère #urban_matter

  • Global Hunger Index highlights South Asia’s social misery - World Socialist Web Site

    https://www.wsws.org/en/articles/2017/11/03/hung-n03.html

    http://ebrary.ifpri.org/utils/getfile/collection/p15738coll2/id/131422/filename/131628.pdf

    http://www.globalhungerindex.org/#map

    http://www.globalhungerindex.org

    et une figure #otto_neurath oriented

    The 2017 Global Hunger Index (GHI), released last month by the International Food Policy Research Institute, reported that “millions of people” worldwide are “experiencing chronic hunger” and “many places are suffering acute food crises and even famine.”

    The report singled out South Asia and African countries south of the Sahara as the regions worst affected. Their overall GHI scores, which measure total undernourishment and stunting, wasting and mortality among children under five years of age, were 30.9 and 29.4 respectively.

    #indice #Index #faim #agriculture #nourriture #data #statistiques

  • Appréhender les tragédies dans un monde sans dieu
    https://infokiosques.net/spip.php?article1489

    Quels sont les liens entre la connaissance des fossiles et l’appréhension de la tragédie ? Entre chercher à comprendre et prétendre expliquer ? Entre le punk et la théorie de l’évolution ? C’est pour discuter de ces questions que ce texte #A été écrit par Greg Graffin, chanteur de Bad Religion et chercheur en biologie de l’évolution. Il y développe la vision du monde naturaliste qui lui permet de construire sa réflexion logique en se passant de dieu.

    A

    / #Religions_et_croyances, Indice (Lyon)

    #Indice_Lyon_
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/Tragedies-16p-A5-fil.pdf
    https://infokiosques.net/IMG/pdf/Tragedies-16p-A5-cahier.pdf

  • Index
    https://www.bti-project.org/en/index

    #indice #index - approche intéressante (résolumenbt libérale) avec un atlas d’une forme originale (j’ai fait quelques copies d’écran)

    Transformation Index

    The Bertelsmann Stiftung’s Transformation Index (BTI) analyzes and evaluates the quality of democracy, a market economy and political management in 129 developing and transition countries. It measures successes and setbacks on the path toward a democracy based on the rule of law and a socially responsible market economy.

    In-depth country reports provide the basis for assessing the state of transformation and persistent challenges, and to evaluate the ability of policymakers to carry out consistent and targeted reforms. The BTI is the first cross-national comparative index that uses self-collected data to comprehensively measure the quality of governance during processes of transition.

    

    #démocratie #droits_humains #économie Indice #Index #mesure_statistique

  • Pollution de la Seiche : le nettoyage de la rivière a commencé - France 3 Bretagne
    http://france3-regions.francetvinfo.fr/bretagne/ille-et-vilaine/pollution-seiche-nettoyage-riviere-commence-1318377.htm

    lus d’une semaine après la découverte d’une pollution dans la Seiche, les pêcheurs et les riverains attendaient toujours de voir Lactalis réagir. Ce 29 août, une entreprise mandatée par l’entreprise et composée d’une trentaine de personnes a entamé le nettoyage de la rivière. Elle doit notamment retirer les cadavres des poissons morts asphyxiés par centaines, une opération qui devrait prendre plusieurs jours.

    Selon des relevés topographiques, cette pollution s’étend désormais sur 17 kilomètres. La fédération pêche d’Ille-et-Vilaine rapporte que des oiseaux morts ont également été retrouvés sur les berges, comme des hérons.

    Un incident technique à l’origine de la pollution

    Vendredi dernier, l’usine Lactalis de Retiers a confirmé un incident technique (survenu le 18 août) dû à un défaut du processus de production, lequel a entraîné un déversement anormal de lactose brut dans la rivière, du fait de la saturation de la station d’épuration de l’entreprise.

    Je suis pour le retour du pilori médiatique ! 11 jours pour agir et avoir le temps de polluer une rivière, la honte.

    #Lactalis_pollueur
    premier groupe laitier et fromager mondial
    voila où ça mène

    https://seenthis.net/messages/624973

  • Le gel du point d’indice de la #Fonction_publique, prémisse d’une nouvelle baisse générale des salaires...
    http://reformeraujourdhui.blogspot.com/2017/07/le-gel-du-point-dindice-de-la-fonction.html

    Les syndicats de la Fonction publique ont accueilli avec déception et colère l’annonce du ministre de l’Action et des comptes publics, Gérald Darmanin, concernant le gel de la valeur du point d’indice servant à calculer la rémunération des fonctionnaires.Ce n’est finalement qu’une demi-surprise car cette annonce qui considère les agents publics comme une variable d’ajustement des comptes publics n’est que la continuation de la politique menée sous la présidence de François Hollande…Le pouvoir d’achat des fonctionnaires a été laminé par le gel du point d’indice de 2010 à 2016. Il n’a pas été rattrapé par sa #hausse de 1,2 % en deux fois (0,6% en juillet 2016 et 0,6% en janvier 2017) qui était avant tout une simple mesure pré-électorale prise dans le cas d’une candidature de François Hollande à l’élection (...)

    #ajustement #indice #inflation #prix #salaire #échelle_mobile