• #coworking et projets collaboratifs, quel mode d’emploi ?
    https://metropolitiques.eu/Coworking-et-projets-collaboratifs-quel-mode-d-emploi.html

    Dans la dernière décennie, l’offre d’espaces de travail partagés s’est démultipliée et inscrite dans les politiques d’attractivité. Au-delà du modèle économique et de la mise en commun des services, ces lieux peuvent-ils faire émerger une sociabilité de travail spécifique favorable à l’activité et à l’innovation ? Des initiatives singulières d’espaces de travail partagés (ou coworking) s’inscrivent en opposition à la logique de marché (Blein 2016) et puisent dans l’idéal-type du tiers-lieu. Initialement définis #Terrains

    / #tiers-lieux, coworking, #urbanisme, #innovation

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/ferchaud_huberts.pdf

  • #Héritage et #fermeture. Une #écologie du #démantèlement

    Nous dépendons pour notre subsistance d’un « monde organisé », tramé par l’#industrie et le #management. Ce monde menace aujourd’hui de s’effondrer. Alors que les mouvements progressistes rêvent de monde commun, nous héritons contre notre gré de #communs moins bucoliques, « négatifs », à l’image des fleuves et sols contaminés, des industries polluantes, des chaînes logistiques ou encore des #technologies_numériques. Que faire de ce lourd #héritage dont dépendent à court terme des milliards de personnes, alors qu’il les condamne à moyen terme ? Nous n’avons pas d’autre choix que d’apprendre, en urgence, à destaurer, fermer et réaffecter ce #patrimoine. Et ce, sans liquider les enjeux de #justice et de #démocratie. Contre le front de #modernisation et son anthropologie du projet, de l’#ouverture et de l’#innovation, il reste à inventer un art de la #fermeture et du #démantèlement : une (anti)écologie qui met « les mains dans le cambouis ».

    https://www.editionsdivergences.com/livre/heritage-et-fermeture
    #livre #effondrement #pollution #anti-écologie #écologie

  • #grenoble : des Minibox pour garer son #Vélo en toute sécurité en bas de chez soi
    http://carfree.fr/index.php/2021/04/20/grenoble-des-minibox-pour-garer-son-velo-en-toute-securite-en-bas-de-chez-so

    La Métropole de Grenoble et Métrovélo proposent depuis 2018 une nouvelle solution de #stationnement pour les vélos : les Minibox. Ces installations inédites en France prennent la forme de petites boites Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #innovations

  • Vaccin contre le Covid-19 : « L’opération Warp Speed, un succès américain »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/04/16/vaccin-contre-le-covid-19-l-operation-warp-speed-un-succes-americain_6077029

    « Warp Speed », que l’on pourrait traduire par « vitesse de l’éclair », est une expression tirée de l’imaginaire de la science-fiction : c’est la vitesse permettant de passer d’un espace-temps à un autre, en faisant fi, science-fiction oblige, des règles connues de la physique qui interdisent de voyager plus vite que la lumière. Tout est dit dans cette appellation. Urgence, urgence absolue. Oublier les contraintes, se bouger. Pragmatisme et vitesse.
    Trois idées-clés ont été mobilisées dans cette opération hors norme.
    Partir d’un large portefeuille de pistes de solution, d’où qu’elles viennent ; et les mener toutes de front en mettant le paquet – 11 milliards de dollars (environ 9,20 milliards d’euros) –, en pariant sur plusieurs chevaux. Il en sortira bien des gagnants, le plus vite sera le mieux.
    Certains grands industriels de la pharmacie n’ont pas d’expérience sur les vaccins ? Peu importe ! Qu’ils tentent leur chance, on les soutient aussi ! Il faut acheter une technologie étrangère ? Peu importe, on se la procure tout de suite. Pfizer n’est pas leader dans les vaccins, BioNTech est une start-up allemande, qui plus est fondée par deux biologistes turcs immigrés ? Et alors ? On les finance aussi ! (Pzifer refusera les financements, mais pas une précommande de 300 millions de doses). Moderna est une start-up américaine dirigée par un Français, et alors ? Peu importe qu’il y ait des échecs, y compris de Sanofi et de GlaxoSmithKline, pourtant eux aussi financés, si d’autres sortent un ou deux vaccins très vite.

    #Covid-19#migrant#migration#etatsunis#sante#recherche#innovation#entreprise#immigrant

  • La città post-pandemica non potrà esistere senza giustizia sociale e spaziale

    Dove eravamo arrivati

    Parlare oggi di rigenerazione urbana e innovazione sociale non può avere lo stesso significato di qualche mese fa. È chiaro come l’emergenza pandemica lascerà un segno sia sulla capacità delle comunità urbane di attivarsi, sia sulla possibilità delle istituzioni di sostenerle.

    La letteratura sull’innovazione sociale sottolinea da tempo come le forme di innovazione sociale si attivino soprattutto in aree urbane a forte capitale sociale e che abbiano già sperimentato forme di attivazione dal basso; troviamo inoltre innovazione sociale soprattutto in quelle aree urbane capaci di favorire spazi di relazione caratterizzati da diversità sociale e culturale. Esiste quindi una relazione problematica tra innovazione sociale e diseguaglianze urbane.

    Le ricerche condotte in questi anni hanno inoltre dimostrato che l’innovazione sociale ha un forte bisogno di spazio e delle istituzioni per potersi ancorare e definire progettualità durature nel tempo e potenzialmente inclusive.
    Quali cambiamenti

    Capitale sociale, spazi in disuso, presenza delle istituzioni. L’emergenza pandemica avrà sicuramente un impatto su come questi 3 “ingredienti” dell’innovazione sociale si comporranno nei territori.

    Ci troveremo probabilmente di fronte ad una città mutata, dove le diseguaglianze sono destinate ad aumentare con un impatto su come il capitale sociale e la presenza di vuoti urbani saranno distribuiti nello spazio. Ci troveremo presumibilmente di fronte ad un aumento della dotazione di spazi vuoti, in maniera simile a quanto accadde dopo la crisi del 2008, ma ancora non conosciamo le geografie dell’abbandono e nemmeno le traiettorie con cui le società riabiteranno le città e le aree interne.

    Abbiamo di fronte un enorme spazio di opportunità. Quello di ripensare alla rigenerazione urbana via innovazione sociale non più come un insieme di pratiche, di sperimentazioni. Ma come una componente essenziale della pianificazione urbana se pensiamo che la città post-pandemica debba moltiplicare i suoi anticorpi per combattere le forme crescenti di diseguaglianze sociali e nell’accesso ai servizi pubblici di base.
    Nuove infrastrutture di comunità

    Questo orizzonte di opportunità si è intravisto in pieno lockdown alcuni mesi fa. In tantissimi comuni, in piena emergenza, gli spazi di rigenerazione sono diventati infrastrutture di comunità, servendo i territori e le persone più in difficoltà. Luoghi in cui lasciare la spesa sospesa, dove organizzare i volontari per le distribuzioni di quartiere, dove raccogliere fondi per le famiglie più in difficoltà. In diversi casi si sono create delle collaborazioni inedite tra comunità e istituzioni, andando oltre le classiche frammentazioni tra corpi sociali, per rispondere ad una emergenza sanitaria senza precedenti. Anche la collaborazione tra città e comuni più piccoli su scala metropolitana è spesso stata facilitata dai legami a rete tra questi spazi di comunità. Una infrastruttura sociale importante che in diversi casi ha saputo uscire dai confini comunali.

    In una crisi epocale, ‘le iniziative di innovazione sociale si sono moltiplicate uscendo spesso da classici steccati di appartenenza perché al centro è sembrato tornare l’essere umano più che le categorie a cui appartiene’. In un articolo scritto su The Guardian in piena pandemia, Richard Sennett aveva aperto ad alcuni interessanti ragionamenti in questo senso.

    Le esperienze di innovazione sociale, in particolare in emergenza Coronavirus, mostrano che lo spazio conta: spazi innesco specifici o sistemi di spazi da cui partono azioni variegate con effetti territoriali più o meno rilevanti. Senza spazi a cui ancorare il lavoro di comunità, tante azioni di mutuo aiuto non sarebbero state attivate in emergenza Coronavirus.

    È all’interno di spazi che abbiamo visto organizzarsi le comunità. Spazi che sono diventati infrastrutture di prossimità: luoghi capaci non solo di essere spazi di welfare, ma di essere infrastrutture per le istituzioni che hanno provato ad adattarsi per rispondere meglio all’emergenza. Non è un caso che la VII Commissione del Parlamento italiano abbia per la prima volta riconosciuto con una risoluzione il ruolo degli spazi rigenerati a base culturale come vere e proprie infrastrutture sociali a cui le istituzioni si possono ancorare per definire percorsi di welfare innovativi.

    Nella situazione eccezionale che ha portato a collaborare oltre i soliti steccati di appartenenza, spazi abitativi, servizi socio-sanitari, servizi educativi e religiosi, spazi commerciali e spazi abitativi hanno dimostrato la potenzialità, insieme, di generare o catalizzare forme di capitale sociale. In ognuno di questi spazi è stato mobilitato capitale sociale da utilizzare in chiave di cambiamento, a riprova del fatto che quando parliamo di innovazione sociale, si intendono processi capaci di rigenerare a partire dal supporto di tutte le infrastrutture sociali e spazi di welfare presenti sul territorio.
    Le sfide alla pianificazione urbana

    Come questo scritto ha provato a far vedere, gli spazi di rigenerazione urbana via innovazione sociale hanno dimostrato un valore potenziale nuovo. Quello di essere finalmente riconosciuti anche per il loro valore di presidi e infrastrutture di comunità, capaci di mettere in campo forme inedite di sostegno e di welfare, in collaborazione con le istituzioni e altri corpi intermedi.

    A maggior ragione in questo momento torna al centro la necessità per la pianificazione urbana di riconoscere il valore di questo micro-spazi di relazione. Siamo di fronte alla necessità di un cambio di paradigma, non solo per le forme di analisi urbana e territoriale. La pianificazione ha sempre di più il compito di definire possibili traiettorie di cambiamento di cui soggetti diversi si possono appropriare per definire forme di collaborazione anche inedite con la pubblica amministrazione. La pianificazione è posta di fronte sempre di più alla necessità di facilitare processi più che solo progettarli e in quest’ottica lo spazio di prossimità appare come una palestra per l’azione importante. La pianificazione, in particolare in emergenza, necessita di tempi di azione diversi, di saper lavorare per scenari intermedi senza perdere un orizzonte di cambiamento.

    Il Comune di Bologna, spesso pioniere in questo campo, ha lavorato alla definizione di un Piano Urbanistico Generale che identifica 24 strategie di prossimità in cui gli spazi di innovazione sociale diventano occasioni stabili di interazione, luoghi importanti non solo per l’analisi dei bisogni ma anche per definire future traiettorie di trasformazione. Spazi intermedi di progettazione dove poter davvero mettere al valore su scala di prossimità proposte su più settori (abitare, economia, sociale, ambiente, infrastrutture) senza però rinunciare ad una pianificazione su scala più ampia, quella urbana.

    Nella città post-pandemica, il concetto di giustizia sociale e spaziale riprenderà ancora più senso. Porre attenzione (e quindi intervenire) sull’inserimento differenziato allo spazio abitativo, allo spazio pubblico e alla sfera pubblica, alle opportunità lavorative, nonché al reale coinvolgimento nei processi di policy, significa agire in alcune dimensioni sociali e materiali che sono all’origine delle diseguaglianze urbane.

    Sono questi alcuni dei ragionamenti che ci hanno portato, anche quest’anno, a rivedere l’offerta formativa di Master U-Rise dell’Università Iuav di Venezia, potenziandole l’interdisciplinarietà e la capacità progettuale. Perché un professionista che vuole lavorare in ambienti complessi non può rinunciare ad essere allo stesso tempo riflessivo e pratico, a mantenere uno sguardo alto sul mondo ma sapendone maneggiare gli attrezzi giusti una volta sul campo.

    https://www.che-fare.com/urise-citta-post-pandemica-giustizia-sociale-spaziale

    #Elena_Ostanel
    #villes #coronavirus #pandémie #post-pandémie #urban_matter #urbanisme #géographie_urbaine #innovation_sociale #régénération_urbaine #inégalités #friches_urbaines #vide #planification_urbaine #justice_sociale
    #TRUST #master_TRUST

    • Le projet #Neighbourchange de Elena Ostel

      #Neighbourchange

      In and beyond Europe today we witness strengthened structural spatial divisions within city neighbourhoods, with increased inequality and sharper lines of division. Neighbourhoods are increasingly diverse in socio-economic, social and ethnic terms, but many differences also exist in lifestyles, attitudes and activities. Continuing immigration and increasing socio-economic and ethnic concentration in neighbourhoods question social cohesion in local societies worldwide.

      In Europe, high rates of unemployment, austerity and poverty make diverse neighbourhoods and local societies increasingly complex and contested. The polarisation of urban space exacerbates and ethnic concentration in neighbourhoods overlaps with situations of social exclusion and deprivation.

      Against this backdrop, we witness a stalled urban regeneration investment as well as the welfare state provisions across many European cities and disadvantaged neighbourhoods, with finance enormously inhibited outside core economic areas following the 2007 financial crisis; more importantly, dissimilar top-down revitalisation strategies have resulted in new urban dynamics and urban tensions, gentrification processes and social exclusion.

      In this context, urban neighbourhoods have become a privileged unit of policy intervention where community-based initiatives have been experimented with the aim to produce social cohesion and transforming power relations and socio-spatial inequalities. Social innovation has become a buzzword often associated to community-led regeneration processes.

      But the efficacy of community-based initiatives inspired by a social innovative approach needs to be further assessed in a condition when the State is constantly retreating.

      https://www.elenaostanel.com/neighbourchange

  • Violente paix. What is violent in urban narrative ?

    Auteurs et autrices : Equipe pédagogique et étudiants du master du Master « International Development Studies (IDS) », Institut d’urbanisme et de géographie alpine et « Création artistique », UFR LLASIC
    Type : Restitution d’atelier recherche-création

    Le quartier de la Presqu’île est stratégique dans la formation de Grenoble en tant que métropole de l’innovation et a intégré l’agenda de la transition écologique des projets urbains de la métropole.
    Le cours est construit sur un atelier immersif et expérimental pour questionner les espaces de la ville et le récit de la #transition, par la #performance. Le récit hégémonique de la transition est questionné par la composition immédiate en danse, par la cartographie à partir d’#exploration_urbaine (#dérive), par le débat sur les concepts de violence, #conflit et #paix, et le rôle qu’ils jouent dans la construction de l’#imaginaire_urbain et qui informe nos interactions quotidiennes dans l’espace. Ce questionnement conduit à proposer des #contre-récits.
    Nous évoquons les situations de violence invisibilisée, d’assignation à la violence de certaines catégories de la population, d’incorporation de normes, d’écriture du #récit national et du besoin de contre-récits de la transition, de la #modernité, de l’#innovation et de l’#espace_public.

    En 2019, l’édition de cet atelier a donné lieu à un livret qui présente la démarche de l’équipe pédagogique et les productions par les étudiant·es des Master in « International Development Studies (IDS) », Institut d’urbanisme et de géographie alpine et « Création artistique », UFR LLASIC

    https://www.modop.org/portfolio-item/violente-paix
    #violente_paix #Presqu'île #Grenoble #recherche-création #violence #paix #atelier_pédagogique #ressources_pédagogiques #villes #urban_matter #géographie_urbaine #urbanisme

  • Les étudiants d’AgroParisTech occupent leur école pour la sauver des promoteurs
    https://reporterre.net/Les-etudiants-d-AgroParisTech-occupent-leur-ecole-pour-la-sauver-des-pro

    Depuis 1826, la célèbre école d’ingénieur AgroParisTech est installée sur un domaine de plus d’une centaine d’hectares, dans les Yvelines. Depuis mardi 16 mars, les étudiants occupent le site, dont ils ont bloqué les entrées, pour s’opposer à sa vente à des promoteurs.

    « Notre devoir : sauver deux cents ans d’histoire. » Accrochées aux barreaux de l’imposant portail recouvert de lierre, les banderoles donnent le ton. Troncs d’arbres et parpaings condamnent tout accès à l’enceinte. Derrière les murs hauts de trois mètres, s’échappent quelques notes de guitare. Depuis mardi 16 mars, les étudiants de l’école d’ingénieur AgroParisTech se sont barricadés dans leur domaine de Thiverval-Grignon, à l’ouest de Paris. Ils réclament d’être entendus par le ministère de l’Agriculture, propriétaire du site, bien décidé à le vendre.

    Lundi 15 mars, près de trois cents étudiants se sont réunis en assemblée générale. À l’issue des discussions, ils ont procédé à un scrutin pour choisir ou non de bloquer le site. Et le résultat est sans appel : 82 % des votes approuvaient le recours à cette stratégie. « À partir de là, nous avons commencé à organiser le blocus, dit Boris, étudiant de première année. On a passé la nuit à construire des barricades et à murer les sept accès au site pour que les fourgons de police ne puissent pas entrer. » Au petit matin, « la prise de la “Loge” », fief des vigiles en temps paisible, marquait la réussite cet assaut non violent.

  • Innovations, emplois, inégalités
    https://laviedesidees.fr/Innovations-emplois-inegalites.html

    Les innovations vont-elles faire disparaître le travail ? Leurs effets varient considérablement selon les travailleurs et leur niveau de qualification, se révélant généralement plus favorables aux plus qualifiés, au détriment des moins qualifiés.

    #Économie #inégalités #emploi #innovation
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/200210316_innovation.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/200210316_innovation.pdf

  • Bribes d’autres voies :

    "L’idée choc étudiée en Islande : et si on retirait aux banques la capacité de créer de la monnaie ?" http://www.latribune.fr/economie/international/l-idee-choc-etudiee-en-islande-et-si-on-retirait-aux-banques-la-capacite-d

    "La révolution du système monétaire en Islande peut-être pour demain" https://mrmondialisation.org/une-revolution-du-systeme-monetaire-en-islande

    "L’Islande envisage une révolution monétaire" http://www.gaullistelibre.com/2015/04/lislande-envisage-une-revolution.html

    "L’Islande a laissé ses banques faire faillite, et jeté des banquiers en prison. Et voici ce qui s’est produit" http://www.express.be/business/fr/economy/lislande-a-laisse-ses-banques-faire-faillite-et-jete-des-banquiers-en-prison-et-voici-ce-qui-sest-produit/214182.htm

    "Oubliez tout ce que vous croyez savoir sur l’Islande post-crise : France 2 réécrit l’histoire" http://www.acrimed.org/article4652.html

    Des Pirates à l’assaut de l’Islande, par Philippe Descamps (Le Monde diplomatique, octobre 2016)
    http://www.monde-diplomatique.fr/2016/10/DESCAMPS/56432

    #Islande #Monnaie
    http://zinc.mondediplo.net/messages/9951#message14442

    Le banquier, l’anarchiste et le bitcoin, par Edward Castleton (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/CASTLETON/54957
    #Monnaie #Innovations #Alternatives #Socialisme #Finance

    –Et si la banque centrale nous faisait un joli cadeau pour Noël ?
    http://www.lenouveleconomiste.fr/et-si-la-banque-centrale-nous-faisait-un-joli-cadeau-pour-noel%e2

    « Pourquoi pas la rediriger vers les ménages, et des investissements utiles par exemple pour ralentir le réchauffement climatique, sujet qui est, paraît-il, d’une actualité brûlante : cet argent pourrait aider les gens à isoler leur maison ou acheter un véhicule électrique ?

    Et, justement, le site européen QE4People (http://www.qe4people.eu) vient de lancer une pétition dans ce sens, déjà signée par 71 économistes. Il a calculé que si la monnaie créée par la BCE était destinée aux ménages, cela ferait 175 euros par citoyen européen par mois.

    Le 23 septembre devant le Parlement européen, le président de la banque centrale n’a pas dit non a priori, a même dit que l’idée était étudiée, y compris par la BCE, mais qu’il fallait regarder si elle était compatible avec les traités européens (lesquels ne disent rien à ce sujet) »

    #BCE #UE #BCE_QE

    Les banques centrales envisagent de distribuer de l’argent aux gens - Express [FR]
    http://fr.express.live/2016/03/31/les-banques-centrales-envisagent-de-distribuer-de-largent-aux-gens
    http://fr.express.live/wp-content/uploads/sites/2/2016/03/000_WAS2005010725401.jpg

    -"Les banques centrales du monde envisagent de plus en plus d’employer une stratégie appelée “hélicoptère monétaire“, qui consiste à imprimer de l’argent pour le distribuer directement au secteur privé (entreprises ou ménages) afin de stimuler l’activité économique et la demande, rapporte le blog américain The Economic Collapse." ;
    –"Cette réflexion est révélatrice de l’inquiétude qui règne, face aux faibles résultats obtenus par les instruments de politiques monétaires traditionnels, écrit-il. Depuis 2008, les banques centrales ont en effet réduit 637 fois les taux d’intérêt, et injecté 12.300 milliards de dollars dans l’économie mondiale au travers de multiples politiques d’assouplissement quantitatif (“QE”). Mais la croissance est restée anémique, tandis que les dettes souveraines ont explosé. En Europe, 16 pays sont entrés en déflation."

    #Monnaie #Hélicoptère_monétaire


    Les Suisses voteront pour ôter aux banques leur pouvoir de création monétaire. Par Romaric Godin
    http://www.latribune.fr/economie/international/les-suisses-voteront-pour-oter-aux-banques-leur-pouvoir-de-creation-moneta

    -"Cette initiative dispose du soutien de plusieurs économistes, suisses et européens. Mais elle fait, on s’en doute, l’objet de vives critiques de la part du secteur bancaire helvétique, qui est, avec près de 12 % du PIB suisse, un des piliers de l’économie nationale. Mais Reinhold Harringer estime que l’initiative va permettre au secteur de revenir à une activité « plus traditionnelle et plus solide. » Il cite le cas de banques comme la banque postale suisse, qui, sans avoir la possibilité de créer de la monnaie, réalisent de bons bénéfices. Reste que, pour les géants bancaires comme Credit Suisse ou UBS, qui vivent sur les activités de marché, le coup pourrait être rude et ils pourraient ainsi décider de quitter le pays. Mais l’initiative semble viser un changement de système : mieux vaut des banques plus modestes, mais plus utiles, que des géants bancaires instables et qui font peser un risque continuel sur les comptes publics." ;
    –"L’initiative n’est, il est vrai, pas fondée sur du sable. Elle s’inscrit dans une longue histoire. C’est, dans les années 1930, l’économiste Irving Fisher, qui avait lancé la proposition dans le cadre du « plan de Chicago » proposé au président Franklin Delano Roosevelt. Ce dernier a rejeté cette proposition, mais elle a été reprise par plusieurs économistes, dont le monétariste Milton Friedman. Cette idée a cependant été progressivement oubliée sous le triomphe de la financiarisation de l’économie. C’est la crise de 2007-2008 qui la fait revivre avec notamment une étude de deux économistes du FMI, Jaromir Benes et Michael Kumhof, qui reprennent et valident les thèses d’Irving Fisher, voyant dans le retrait aux banques de la création monétaire, un moyen de dynamiser la croissance en réduisant les risques de crise." ;

    #QU #Islande #Suisse #Monnaie #Banque_Centrale #Politique_monétaire #Economie #Banques #Finance #Bulles_spéculatives #Crédit

    –-"Ni protectionnisme, ni néolibéralisme mais une « relocalisation ouverte », base d’une nouvelle internationale" - Basta !
    http://www.bastamag.net/Ni-protectionnisme-ni-neoliberalisme-mais-une-relocalisation-ouverte-base-

    Décevant de voir ici une rhétorique usée jusqu’à la corde par les orthodoxes médiatiques : homme de paille et anathèmes. Ce qui donne : #Protectionnisme égal repli-sur-soi-égoiste-entretenant-la-logique de-compétition-de-tous-contre-(presque)-tous.

    A part ça, plus intéressant :

    -"Or, l’enjeu n’est pas de trouver des palliatifs pour adoucir la tyrannie de l’économie, ni de réguler l’économie. Il s’agit bien de sortir la religion de l’économie, de nous libérer de ces addictions, de faire des « pas-de-côté » et de questionner le sens de nos productions bien plus que d’en protéger leur localisation." ;

    –" Il s’agit de sortir de la logique de l’économie toute puissante. En finir avec une économie décisionnaire de nos vies" ;

    –"L’enjeu est de revenir à de vraies questions. Celles du sens de nos vies" ;

    –"Est-ce à dire que toutes les idées derrière le terme de protectionnisme sont inutiles ? Non, si nous en utilisons certaines comme des outils de transition au service d’une relocalisation désormais nécessaire de l’économie, mais dans une logique d’ouverture et d’altruisme, de dialogue et de manière concertée."
    (Bon, soit je manque d’attention soit il aurait fallu commencer par faire le tri, je ne sais pas.) ;

    –"La relocalisation ouverte signifie clairement la remise en cause du primat de l’économie, du travail comme valeurs centrales de nos sociétés mais aussi la repolitisation de la société afin que nos sociétés deviennent autonomes et responsables.

    « La folle valse des crevettes, pêchées au Danemark et décortiquées au Maroc pour des raisons de coût de main d’œuvre, ou le yaourt à la fraise dont les ingrédients parcouraient en 1992 plus de 9 000 kilomètres, ont contribué à construire chez moi un certain scepticisme sur la marche du monde », rappelle l’ingénieur Philippe Bihouix" ;

    –"On pourrait par exemple penser les limites par des distances au lieu des frontières, et ainsi donner naissance à des territoires superposés et reliés, au lieu de territoires juxtaposés et étrangers. C’est ce que l’on voit apparaître avec les projets dits transfrontaliers qui s’inscrivent dans des territoires écologique et de vie."

    Poulet ivoirien : la filière se remplume
    https://www.francetvinfo.fr/sante/alimentation/poulet-ivoirien-la-filiere-se-remplume_2732591.html
    #Afrique #Agriculture #Protectionnisme

    –-
    #Alternatives #Innovations

    alternatives | Mr Mondialisation
    https://mrmondialisation.org/tag/alternatives

    La carte de France des alternatives écologiques et sociales - Basta !
    http://www.bastamag.net/La-carte-de-France-des

    Alternatives concrètes - Basta !
    http://www.bastamag.net/Alternatives-concretes

    Inventer - Basta !
    http://www.bastamag.net/Inventer

    #Démocratie #Institutions :
    #DataGueule S4E14 - Démocratie représentative : suffrage, Ô désespoir ! IRL
    http://irl.nouvelles-ecritures.francetv.fr/datagueule-S4E14-1.

    Un processus de vote pour faire de Nuit Debout une réelle démocratie participative – Gazette debout
    https://gazettedebout.org/2016/05/07/un-processus-de-vote-pour-faire-de-nuit-debout-une-reelle-democratiqu

    Aux urnes, citoyens : si l’élection présidentielle avait eu lieu au jugement majoritaire, voilà qui serait le président | Atlantico.fr (Le titre est trompeur)
    http://www.atlantico.fr/decryptage/aux-urnes-citoyens-election-presidentielle-avait-eu-lieu-au-jugement-major

    Noter pour mieux voter ?, par Charles Perragin (Le Monde diplomatique, octobre 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/10/PERRAGIN/58013
    #Sciences_Politiques #Sondages

    "« Au-delà de la qualification au second tour, le premier tour de la présidentielle donne aussi une photographie des rapports de forces entre les familles politiques, ainsi que l’importance de divers enjeux de société (écologie, immigration, sécurité…). Cette photographie sera importante pour la suite, non seulement pour négocier des portefeuilles ministériels ou des alliances aux élections suivantes, mais plus généralement pour la perception que la société a d’elle-même », rappelle Karine van der Straeten, de l’École d’économie de Toulouse.

    Selon le politiste Nicolas Sauger, dont le travail s’articule autour des transformations historiques de la compétition politique, « [...] Il faut garder à l’esprit qu’un mode de scrutin différent aurait aussi des répercussions en amont, sur les discours politiques, la structure des partis et, plus généralement, sur la façon de faire de la politique ». On peut aussi s’interroger sur la façon dont une presse avide de spectacle et de prescriptions pourrait s’en saisir."

    Pour la république sociale, par Frédéric Lordon (Le Monde diplomatique, mars 2016)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2016/03/LORDON/54925

    Et si l’on refondait le droit du travail…, par Alain Supiot (Le Monde diplomatique, octobre 2017)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2017/10/SUPIOT/58009

    #Islande
    http://zinc.mondediplo.net/messages/4349

  • Intervention du Président Emmanuel Macron dans le cadre de l’Agenda de Davos organisé par le World Economic Forum.
    https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2021/01/26/intervention-du-president-emmanuel-macron-dans-le-cadre-de-lagenda-de-davos-o

    Voici un échange qui a eu lieu le 26 janvier entre Schwab et Macron autour de la « Grande Réinitialisation ».
    C’est édifiant. Ça permet de comprendre un peu les lignes qui vont être défendues dans les années à venir sur la question du dérèglement climatique...

    Pr. Klaus SCHWAB
    Monsieur le Président, ça me donne justement une raison de vous demander : je sais votre intérêt pour toutes les nouvelles technologies, pour ce qu’on appelle la quatrième révolution industrielle, mais dans toute sa conception, disons, le numérique joue un très grand rôle.
    Comment voyez-vous l’impact de la puissance de l’écosystème numérique sur tout ce que vous avez dit ?

    Le Président de la République
    Je pense qu’il y en a plusieurs. Le premier, c’est que nous sommes en effet en train de multiplier les révolutions, quand on parle de numérique. Il y a plusieurs révolutions en une. Nous sommes au début de plusieurs révolutions technologiques qui nous font complètement changer de dimension. On a la révolution de l’intelligence artificielle, qui va totalement changer la productivité et même aller au-delà du pensable dans énormément de verticaux, de l’industrie à la santé en passant à l’espace. À côté de la révolution de l’intelligence artificielle, il y en a une deuxième qui, pour moi, est totalement fondamentale, qui est celle du quantique, qui va là aussi, par la puissance de calcul et la capacité d’innovation, profondément changer notre industrie, en changeant l’industrie des capteurs et donc ce qu’on peut faire dans l’aéronautique, ce qu’on peut faire dans le civil, changer totalement la réalité du cyber, par exemple ; et notre puissance de calcul, ce qui veut dire aussi la capacité qu’on a à résoudre des problèmes. Je prends l’épidémie que nous sommes en train de vivre, l’intelligence artificielle et le quantique sont des instruments de gestion, de transformation de gestion de l’épidémie. C’est-à-dire que vous pourrez régler des problèmes qui aujourd’hui prennent des semaines, en un jour. Vous pourrez régler des problèmes de diagnostic, peut-être en quelques secondes, grâce au croisement de l’imagerie médicale et de l’intelligence artificielle. Et donc dans la grande famille de ce qu’on appelle le numérique, on a en fait une convergence entre des innovations, celles du numérique, qui est au fond, quand on appelle ça génériquement, des réseaux sociaux et d’une hyper connectivité avec celle de l’intelligence artificielle et des technologies quantiques.

    Le mariage de tout ça fait que nous allons rentrer dans une ère d’accélération de l’innovation, de rupture très profonde d’innovation et donc de capacités à commoditiser certaines industries et créer de la valeur très vite. Par rapport à ce que j’ai dit, qu’est-ce que cela a comme impact ? Un, on va continuer à innover et à accélérer. C’est sûr. Deux, il y aura des impacts en termes d’ajustement sociaux et il nous faut les penser dès maintenant. C’est-à-dire que le sujet des inégalités sociales va être encore plus prégnant dans un monde comme celui que je viens d’évoquer parce que nous aurons des impacts, des ajustements qui seront réels et qui sont à penser dès maintenant. Trois, tout cela a des impacts en termes démocratiques qui sont massifs. Et donc si vous voulez, pour moi, ces innovations vont être des accélérateurs de nos problèmes sur le plan social et démocratique. L’expérience américaine des dernières semaines l’a montré sur le plan démocratique, si besoin était. Quatre, la bonne nouvelle c’est que je pense que sur la résilience de nos systèmes et la réponse à la crise climatique, on a sans doute sous-estimé l’apport de l’innovation et je pense aussi que toutes ces technologies vont nous permettre, beaucoup plus vite, de répondre aux défis climatiques.

    Et donc si je regarde, que je prends deux pas de recul par rapport à tout ce qu’on est en train de se dire, je pense que nos économies vont devoir de plus en plus investir dans ces innovations et il faut y aller à fond. Je pense que si on s’y prend bien et qu’on coopère entre nous, ces innovations vont nous permettre de créer de la valeur, de répondre aux défis économiques. Elles vont nous permettre, je l’espère, je le crois possible, de répondre plus vite aux défis climatiques. Et c’est aussi pour ça que moi je crois à ce que j’appelle l’économie du mieux, la réponse climatique par l’innovation plutôt que par l’arrêt des activités. Mais elles vont nous poser des problèmes sur lesquels nous n’avons pas assez réfléchi en termes démocratiques, en termes de libertés publiques et d’augmentation des inégalités sociales dans nos différentes nations.

    #innovation #dérèglement_climatique #Séparatisme #Apocalypse_Joyeuse #Technophilie #eugénisme

  • Il racconto dell’omicidio di #Agitu_Ideo_Gudeta evidenzia il razzismo democratico dei media italiani

    L’imprenditrice #Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa il 29 dicembre nella sua casa a #Frassilongo, in provincia di Trento. Da subito si è ipotizzato si trattasse dell’ennesimo femminicidio (72 donne dall’inizio del 2020), anche in ragione del fatto che in passato la donna era stata costretta a querelare un uomo per #stalking. In quell’occasione Gudeta aveva chiesto di considerare l’aggravante razziale, dato che l’uomo, un vicino di casa, la chiamava ripetutamente “negra”, ma il giudice aveva respinto la richiesta del suo avvocato. Il giorno successivo all’omicidio, il suo dipendente #Adams_Suleimani, – un uomo ghanese di 32 anni – ha confessato il crimine, aggravato dal fatto che l’ha violentata mentre era agonizzante. Il movente sarebbe un mancato pagamento.

    Gudeta era nata ad Addis Abeba, in Etiopia, 42 anni fa. Non era più una “ragazza”, come hanno scritto alcune testate. La sua prima permanenza in Italia risale a quando aveva 18 anni, per studiare nella facoltà di Sociologia di Trento. Era poi tornata in Etiopia, ma nel 2010 l’instabilità del Paese l’ha costretta a tornare in Italia. Nello Stato africano si è interrotto solo pochi giorni fa il conflitto tra il Fronte di Liberazione del Tigré e il governo centrale etiope – i tigrini sono una minoranza nel Paese, ma hanno governato per oltre trent’anni senza far cessare gli scontri tra etnie – cha ha causato violazioni dei diritti umani, massacri di centinaia di civili e una grave crisi umanitaria.

    Proprio le minacce dei miliziani del Fronte di Liberazione avevano spinto Agitu Ideo Gudeta a tornare in Italia. La donna aveva infatti denunciato le politiche di #land_grabbing, ossia l’accaparramento delle terre da parte di aziende o governi di altri Paesi senza il consenso delle comunità che le abitano o che le utilizzano per mantenersi. Per questo motivo il governo italiano le ha riconosciuto lo status di rifugiata. In Trentino, dove si era trasferita in pianta stabile, ha portato avanti il suo impegno per il rispetto della natura, avviando un allevamento di ovini di razza pezzata mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, e recuperando alcuni ettari di terreni in stato di abbandono.

    Il caseificio che aveva aperto rivelava già dal nome – La capra felice – il suo credo ambientalista e il suo antispecismo, ricevendo riconoscimenti da Slow Food e da Legambiente per l’impegno promosso con la sua azienda e il suo negozio. Agitu Ideo Gudeta era un nome noto nel movimento antirazzista italiano, ma oggi viene usata – persino dai Verdi – per presentare il Trentino come terra di accoglienza, in un tentativo di nascondere la xenofobia di cui era oggetto. Le origini della donna e del suo assassino stupratore sono sottolineate da tutti e precedono la narrazione della violenza, mettendola in secondo piano, salvo evidenziarla in relazione alla provenienza dell’omicida, che per una volta non è un italiano, né un compagno o un parente.

    Alla “ragazza” è stata affibbiata in tutta fretta una narrazione comune a quella che caratterizza altre donne mediaticamente esposte, come le attiviste Greta Thunberg e Carola Rackete, la cooperante Aisha Romano o la giornalista Giovanna Botteri, basata su giudizi e attacchi basati perlopiù su fattori estetici. Razzismo, sessismo e classismo si mescolano in questa storia in cui la violenza – quella del vicino di casa, quella del suo assassino, quella del governo etiope – rischiano di rimanere sullo sfondo, in favore del Grande gioco dell’integrazione. A guidarlo è come sempre un trionfalismo tipico dei white saviour (secondo una definizione dello storico Teju Cole del 2012), come se esistesse un colonialismo rispettabile: insomma, in nome della tolleranza, noi italiani doc abbiamo concesso alla donna un riparo da un Paese povero, di una povertà che riteniamo irrimediabile. Usiamo ormai d’abitudine degli automatismi e un lessico che Giuseppe Faso ha definito razzismo democratico, in cui si oppongono acriticamente migranti meritevoli a migranti immeritevoli, un dualismo che sa vedere solo “risorse” o “minacce all’identità nazionale”.

    Così il protagonismo di Agitu Ideo Gudeta viene improvvisamente premiato, trasformando lei in una migrante-eroina e il suo aguzzino nel solito stupratore non bianco, funzionale solo al “Prima gli italiani”. Ma parlare di Agitu Ideo Gudeta in termini di “integrazione” è un insulto alla sua memoria. Considerarla un simbolo in questo senso conferma che per molti una rifugiata sarà rifugiata per sempre e che una “migrante” non è altro che una migrante. La nostra stampa l’ha fatto, suggerendo di dividere gli immigrati in buoni e cattivi, decorosi e indecorosi, e trattando i lettori come se fossero tutti incapaci di accogliere riflessioni più approfondite.

    Parallelamente però, un governo che come i precedenti accantona la proposta di legge sulla cittadinanza favorisce un racconto privo di sfumature, che rifiuta in nome di una supposta complessità non affrontabile nello sviscerare questo tema. Forse se avessimo una legge sulla cittadinanza al passo con i tempi, e non una serie di norme che escludono gli italiani di seconda generazione e i migranti, potremmo far finalmente progredire il ragionamento sulla cosiddetta convivenza e sulla coesione sociale ed esprimerci con termini più adeguati. Soprattutto chi è stato in piazza a gridare “Black Lives Matter”, “I can’t breathe” e “Say Their Names” oggi dovrebbe pretendere che la notizia di questo femminicidio venga data diversamente: in Trentino una donna di nome Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa e violentata. Era diventata un’imprenditrice di successo nel settore caseario dopo essersi opposta alle politiche di land grabbing in Etiopia. Era un’attivista e un’ambientalista molto conosciuta. Mancherà alla sua comunità.

    https://thevision.com/attualita/agitu-gudeta-razzismo

    #féminicide #racisme #Italie #meurtre #femmes #intersectionnalité #viol #réfugiés #accaparement_des_terres #Trentin #éleveuse #élevage #Pezzata_Mòchena #chèvrerie #chèvres #La_capra_felice #xénophobie
    #white_saviour #racisme_démocratique
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    Le site web de la #fromagerie de Agitu Ideo Gudet :


    http://www.lacaprafelice.com

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    NB :
    Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Murdered Agitu Ideo Gudeta, an example of environmental preservation and female entrepreneurship in Italy.

      Agitu was found dead in her home in #Val_dei_Mocheni, Trentino, Italy. The entrepreneur and shepherdess from Ethiopia would turn 43 on January 1st.
      An employee of her company confessed the murder followed by rape.

      One of the main news in the Italian media, the murder of Agitu brought much indignation. Especially among women. In Italy, a woman is murdered every three days, according to a report from Eures.

      “When will this massacre of women end? When? Today, feminicide has extinguished the smile of a dear and sweet sister. Rest in peace Agitu. We will miss you a lot”, twitted the Italian writer with SomaIi origin Igiaba Sciego.

      Agitu, originally from Addis Ababa, was born into a tribe of nomadic shepherds. She went to Rome to study Sociology when she was 18 years old and returned to Ethiopia. However, she left her country again in 2010, fleeing threats for her commitment by denouncing “land grabbing” by multinationals.

      In Italy, in Valle dei Mocheni, Trentino, she began to preserve a goat species in extinction, the #Mochena goat.

      An example of female entrepreneurship, she set up the company “La capra felice” (The happy goat) producing cheeses and cosmetic products with goat’s milk.

      She has become an example of organic and sustainable production.

      Agitu’s work has been recognized throughout Italy, her story published in many medias, she attended different events and has been rewarded for her commitment to preserving goats and her production of organic products. One of the awards was the Slow Cheese Resistenza Casearia award, in 2015.

      It was not the first time that Agitu had her life under threat in the hands of men. She publicly denounced her neighbour for stalking, racially motivated threats and aggression. For months she was threatened by a man and one of the reasons was that she offered work and apprenticeship for refugees from African origins. “This neighbour does not like the colour of our skin and does what it can to create confusion,” she said at an interview.

      On December 29, her life was taken by a man who worked for her, shepherding her goats. According to him, for financial reasons. The man confessed to the crime and also revolted that he had committed rape after the attack. The man beat her in her head with a hammer. He was arrested.

      Agitu was found lifeless after friends called the police because they thought it was strange that she didn’t come to a meeting and didn’t answer the phone.

      The murder is a tragic end for a woman who brought so many good things into the world.

      Until when will we lose our sisters to violence?

      Rest in peace Agitu. We will never forget your legacy.

      https://migrantwomenpress.com/agitu-ideo-gudeta-murdered/amp/?__twitter_impression=true

      #montagne

    • Grâce à une amie qui connaissait Agitu je viens de connaître une autre facette de cette histoire. Un drame dans le drame, dont je ne peux/veux pas parler ici.

    • Le féminicide d’Agitu Ideo Gudeta choque l’Italie

      Ce 29 décembre, Agitu Ideo Gudeta, une réfugiée éthiopienne de 42 ans, a été retrouvée morte à son domicile, dans le nord de l’Italie, annonce La Repubblica. Elle était connue dans tout le pays grâce à son activité, couronnée de succès, d’éleveuse de chèvres et avait été à de nombreuses reprises médiatisée.

      Une célèbre bergère

      Selon le quotidien local Il Dolomiti, Agitu Gudeta était devenue « la bergère la plus célèbre des vallées du Trentin ». Et son histoire n’était pas banale. En 2010, elle avait dû fuir l’Éthiopie à cause de son activité de militante environnementaliste. Elle subissait des menaces de poursuites judiciaires et des menaces de mort car elle s’opposait à l’accaparement des terres par certaines multinationales.

      A 30 ans, toute seule dans un nouveau pays et dans la région réputée inhospitalière du Trentin, elle avait commencé une autre vie, avec ses 180 chèvres et sa propre entreprise prospère de fromages bio baptisée « La Capra Felice », la chèvre heureuse. Elle avait choisi de protéger une espèce rare, la chèvre Mochena, qui survit dans cette vallée isolée.
      Insultes et menaces racistes

      Avec sa réussite, c’est à d’autres menaces qu’elle avait dû faire face : des menaces et insultes racistes de la part de ses voisins. Elle avait été agressée physiquement également. Elle avait porté plainte contre l’un d’eux qui avait été condamné en janvier à 9 mois sous liberté conditionnelle.

      https://www.youtube.com/watch?v=CF0nQXrEJ30&feature=emb_logo

      https://www.rtbf.be/info/dossier/les-grenades/detail_le-feminicide-d-agitu-ideo-gudeta-choque-l-italie?id=10664383

    • Trentino, uccisa in casa Agitu Gudeta, la rifugiata etiope simbolo dell’integrazione

      Scappata dal suo Paese, aveva fondato l’azienda agricola «La capra felice» nella Valle dei Mocheni dove allevava animali a rischio di estinzione.

      L’hanno trovata senza vita all’interno della sua casa di Frassilongo (Trentino), colpita con violenza alla testa. Un omicidio, hanno confermato i carabinieri che nel tardo pomeriggio sono giunti sul posto, chiamati dai vicini e stanno lavorando per ricostruire l’accaduto.

      È finito così - forse con un colpo di martello - il sogno di Agitu Ideo Gudeta, pastora etiope che avrebbe compiuto 43 anni il giorno di Capodanno e che si era data l’obiettivo di salvare dall’estinzione (e anche dagli attacchi dell’orso) la capra mochena, una specie che sopravvive in una valle isolata della Provincia di Trento dove la donna aveva trovato casa.

      Ma il suo problema - aveva denunciato un paio di anni fa - più che gli orsi erano i vicini: «Mi insultano, mi chiamano brutta negra, dicono che me ne devo andare e che questo non è il mio posto» aveva denunciato ai carabinieri, raccontando anche pubblicamente la sua storia. Le indagini perà si concentrerebbero su un giovane africano dipendente dell’azienda ’La Capra Felice’. A quanto pare, l’uomo - che non è quello che l’aveva minacciata ed aggredita - avrebbe avuto dissidi con Agitu per motivi economici. A dare l’allarme ai carabinieri sono stati alcuni vicini a loro volta chiamati da un uomo con il quale la vittima aveva un appuntamento al quale non si era presentata.

      Sul caso delle minacce arrivò la solidarietà del presidente della giunta provinciale, all’epoca Ugo Rossi: «Il fatto che Agitu, da rifugiata, abbia avviato la sua attività agricola sul nostro territorio dimostra che il Trentino crede nell’accoglienza e nella solidarietà». Una storia di minacce e danneggiamenti, finita in tribunale con la condanna a 9 mesi per lesioni di un uomo del posto che aveva sempre liquidato la faccenda come una lite fra vicini: «Il razzismo non c’entra». La donna quindi aveva ripreso a girare i mercati del Trentino per vendere i prodotti realizzati con il latte delle sue cinquanta capre, con il furgone che sulla fiancata riportava il nome dell’azienda agricola: «La capra felice».

      Agitu Gudeta era fuggita in Italia nel 2010 e aveva ottenuto lo status di rifugiata e dopo qualche anno era riuscita ad avviare la sua azienda agricola a Frassilongo scommettendo sulle capre mochene. Nel 2017 aveva partecipato all’incontro «Donne anche noi», raccontando la sua storia di migrante arrivata in Italia. Originaria della capitale Addis Abeba, era stata costretta a lasciate l’Etiopia perché a causa del suo impegno contro l’accapparramento delle terre da parte di alcune multinazionali era stata oggetto di minacce di morte.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/29/news/trentino_trovata_morta_agitu_gudeta_donna_42enne_simbolo_di_integrazione_

    • Tributes paid to Ethiopian refugee farmer who championed integration in Italy

      Agitu Ideo Gudeta, who was killed on Wednesday, used abandoned land to start a goat farming project employing migrants and refugeesTributes have been paid to a 42-year-old Ethiopian refugee and farmer who became a symbol of integration in Italy, her adopted home.

      Agitu Ideo Gudeta was attacked and killed, allegedly by a former employee, on her farm in Trentino on Wednesday.

      Gudeta had left Addis Ababa in 2010 after angering the authorities by taking part in protests against “land grabbing”. Once in Italy, she tenaciously followed and realised her ambition to move to the mountains and start her own farm. Taking advantage of permits that give farmers access to abandoned public land in depopulated areas, she reclaimed 11 hectares (27 acres) around an old barn in the Mòcheni valley, where she founded her La Capra Felice (The Happy Goat) enterprise.

      Gudeta started with a herd of 15 goats, quickly rising to 180 in a few years, producing organic milk and cheese using environmentally friendly methods and hiring migrants and refugees.

      “I created my space and made myself known, there was no resistance to me,” she told Reuters news agency that year.

      “Agitu brought to Italy the dream she was unable to realise in Ethiopia, in part because of land grabbing,” Gabriella Ghermandi, singer, performer, novelist and friend of Gudeta, told the Guardian. “Her farm was successful because she applied what she had learned from her grandparents in the countryside.

      “In Italy, many people have described her enterprise as a model of integration. But Agitu’s dream was to create an environmentally sustainable farm that was more than just a business; for her it also symbolised struggle against class divisions and the conviction that living in harmony with nature was possible. And above all she carried out her work with love. She had given a name to each one of her goats.”

      In a climate where hostility toward migrants was increasing, led by far-right political leaders, her success story was reported by numerous media outlets as an example of how integration can benefit communities.

      “The most rewarding satisfaction is when people tell me how much they love my cheeses because they’re good and taste different,” she said in an interview with Internazionale in 2017. “It compensates for all the hard work and the prejudices I’ve had to overcome as a woman and an immigrant.”

      Two years ago she received death threats and was the target of racist attacks, which she reported to police, recounting them on her social media posts.

      But police said a man who has confessed to the rape and murder of the farmer was an ex-employee who, they said, allegedly acted for “economic reasons”.

      The UN refugee agency said it was “pained” by Gudeta’s death, and that her entrepreneurial spirit “demonstrated how refugees can contribute to the societies that host them”.

      “Despite her tragic end, the UNHCR hopes that Agitu Ideo Gudeta will be remembered and celebrated as a model of success and integration and inspire refugees that struggle to rebuild their lives,” the agency said.

      “We spoke on the phone last week’’, said Ghermandi. “We spent two hours speaking about Ethiopia. We had plans to get together in the spring. Agitu considered Italy her home. She used to say that she had suffered too much in Ethiopia. Now Agitu is gone, but her work mustn’t die. We will soon begin a fundraising campaign to follow her plan for expanding the business so that her dream will live on.”

      Gudeta would have turned 43 on New Year’s Day.

      https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/01/tributes-paid-to-ethiopian-refugee-farmer-who-championed-integration-in

    • Dalla ricerca di eroi alla costruzione di progetti comunitari. Perché è importante cambiare narrazione

      Del bisogno di eroi

      La storia del passato, così come la cronaca quotidiana, pullula di storie di eroi che troneggiano nell’immaginario collettivo. Quello di eroi ed eroine è un bisogno antico, che riflette la necessità di costruire cognitivamente il mondo reale per mezzo di narrative che ci permettano di affidare ruoli e connotati chiari a singoli individui e gruppi sociali, soddisfacendo il nostro bisogno di certezze che affonda le radici tanto nella mitologia classica quanto nel pensiero cristiano e che sostengono la costruzione della nostra moralità culturale e senso dell’etica.

      Si tratta però di un bisogno che è ancora largamente presente nelle società contemporanee, a dispetto dei progressi indotti dal processo di formazione del diritto moderno, che ha portato a distinguere in maniera netta tra ciò che è lecito e ciò che lecito non è. Questo processo non è infatti riuscito, se non in astratto attraverso artifici teorici, a superare la dimensione individualistica (Pisani, 2019). Di qui il perdurare del bisogno di eroi, che continua a essere percepito come rilevante perché offre un’efficace e facile via di fuga. Consente, talvolta inconsapevolmente, di banalizzare situazioni e fenomeni complessi, interpretarli in maniera funzionale alla nostra retorica e giustificare l’inazione.

      Se l’obiettivo è però innescare profondi cambiamenti sociali all’insegna di una maggiore giustizia sociale e lotta alle profonde disuguaglianze del nostro tempo, allora non è di singoli eroi che si dovrebbe andare alla ricerca, ma di una diversa narrazione che faccia assegnamento sull’impegno autentico delle comunità. Comunità locali che sono sempre più chiamate a svolgere un ruolo rilevante nella costruzione sia di sistemi di welfare di prossimità, sia di nuovi modelli di produzione a larga partecipazione, in risposta a una pluralità di bisogni e sfide incompiute che spaziano dall’inclusione di persone vulnerabili fino alla gestione di beni comuni come la salute, il territorio, l’energia.[1]

      Quest’articolo prende le mosse da una convinzione di fondo. Nonostante il ruolo importante che svolgono nel generare benessere sociale, le comunità locali stentano ad essere riconosciute come protagoniste di un processo di cambiamento.

      Responsabile della loro scarsa visibilità e incisività non è solo l’insufficiente riconoscimento politico, ma anche una narrazione incoerente di cui si fanno sovente portatrici anche le organizzazioni di terzo settore che gli interessi delle comunità promuovono. Una narrazione spesso incentrata sul culto di singole personalità che, mettendo in ombra l’ancoraggio comunitario, rischia di incrinare l’impatto generativo del terzo settore.

      Dopo una riflessione sul perché bisognerebbe diffidare delle narrazioni idealizzate e sugli effetti del pathos degli eroi, l’articolo si sofferma su un caso specifico, quello di Agitu Ideo Gudeta, assassinata sul finire del 2020 da un suo collaboratore. Quindi, prendendo le mosse da questa drammatica vicenda, gli autori si soffermano sulle ragioni che farebbero propendere per la sostituzione degli eroi con progetti collettivi, sollecitando le organizzazioni di terzo settore, in primis, a cambiare narrazione.
      Pathos degli eroi

      Gli esempi di persone, professionisti e politici che sono stati idealizzati in virtù di reali o presunti talenti o gesta sono molteplici e coinvolgono frange della società civile – sia conservatrici e reazionarie, sia progressiste – così come il mondo della politica. Eroi che, spesso in virtù di altrettante semplificazioni, da figure mitologiche sono stati di punto in bianco trasformati in demoni o in capri espiatori, lasciando volutamente in ombra la complessità dei contesti, le relazioni, le fragilità, le emozioni e i comportamenti, spesso controversi, che accompagnano ogni essere umano, sia nei momenti di gloria, sia in quelli più bui.

      Nell’ambiente conservatore spicca la parabola di Vincenzo Muccioli, santificato negli anni ’80 come salvatore di migliaia di giovani spezzati dall’eroina, e poi demonizzato dai mezzi di informazione, prescindendo da un’analisi approfondita della sua controversa iniziativa. Tra gli esempi di persone e professionisti che sono stati santificati e poi travolti da un’onda di retorica colpevolista vi sono gli infermieri e i medici, celebrati come supereroi allo scoppio della pandemia Covid-19, passati nel secondo lockdown ad essere additati come appestati e untori, quando non complici di una messa in scena.[2]
      Emblematico è anche il caso dei volontari, portati puntualmente alla ribalta della cronaca come angeli durante catastrofi e crisi naturali, per poi svanire nel nulla in tempi non emergenziali, a dispetto del loro prezioso contributo quotidiano per migliorare la qualità della vita delle persone più vulnerabili.[3]
      Con riferimento all’ambiente più militante e progressista si distingue Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, passato dall’essere innalzato a mito dell’accoglienza dalla stampa e dal sistema SPRAR, in virtù dell’esperienza pionieristica sperimentata dal suo Comune, a essere abbandonato e attaccato da una parte dei media. Il cambio di atteggiamento nei confronti di Lucano coincide con la controversa vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto per favoreggiamento dell’immigrazione e per la gestione di progetti di accoglienza, dopo che il suo Comune è stato per anni pressato dal Viminale e dalla Prefettura affinché ospitasse un gran numero di richiedenti asilo, rifiutati da altri progetti di accoglienza (Procacci, 2021). Nel mondo della politica istituzionale primeggia l’attuale santificazione di Mario Draghi, acclamato come unico possibile salvatore di un Paese al collasso dopo essere stato considerato un simbolo dei poteri finanziari forti negli anni della crisi economica globale (Dominjanni, 2021).
      Perché diffidare degli eroi?

      Le ragioni che portano a diffidare degli eroi sono molteplici. I riflettori accesi esclusivamente sulla dimensione dell’eccellenza[4]
      distolgono l’attenzione da tutto ciò che condiziona le azioni dell’eroe, come i contesti istituzionali e ambientali, incluso il bagaglio di risorse, non solo economiche ma anche sociali e culturali, su cui il singolo fa assegnamento. A influenzare i percorsi che portano alle presunte gesta eccezionali di chi viene incoronato come eroe, ci sono comunità e organizzazioni, più o meno coese, composte da una pluralità di individui che si relazionano tra di loro per contribuire, in base al ruolo ricoperto, al raggiungimento di obiettivi condivisi. Anche le scelte dell’imprenditore più autoritario e accentratore, sono condizionate dalle persone e dall’ambiente con cui è interconnesso. Il potenziale innovativo non è quindi un dono che gli dei fanno a pochi eletti (Barbera, 2021), ma un processo complesso che per essere compreso appieno presuppone un’analisi articolata, che ricomprende una pluralità di elementi economici, sociali e relazionali. Elementi che le analisi fondate sugli eroi nella maggior parte dei casi ignorano, riconducendo sovente il successo dell’iniziativa idealizzata esclusivamente a un’intuizione del singolo.

      A fomentare una narrazione personalistica ha contribuito lo storytelling che ha fatto dell’innovazione il mantra dominante (Barbera, 2021). Responsabile è principalmente la retorica di stampo neoliberista, incentrata sul mito dell’imprenditore individuale, che ha assoggettato la maggior parte dei campi del sapere, arrivando a giustificare le disuguaglianze poiché conseguenti a un processo liberamente accettato dove ognuno ha pari opportunità di accesso al mercato e alla proprietà (Piketty, 2020). Di qui la riconversione del cittadino in homo oeconomicus, orientato non più allo scambio come nel liberismo classico, bensì alla valorizzazione di sé stesso in quanto capitale umano (Dominjianni, 2017). Una parte della letteratura sul management del terzo settore ha introiettato questa logica, proiettandola nella figura eroica dell’imprenditore sociale (Waldron et al., 2016; Miller et al., 2012; Dacin et al., 2011; Short et al., 2009; Zahra et al., 2009; Bornstein, 2007; Martin, Osberg, 2007; Austin et al., 2006).[5]
      Sottolineando il connubio tra tratti etici e competenze creative e leadership, che permetterebbero all’imprenditore sociale di assumersi i rischi necessari a raggiungere obiettivi sociali straordinari, questa letteratura ha trascurato i processi organizzativi e decisionali che sono alla base del funzionamento delle diverse organizzazioni (Petrella, Battesti, 2014).

      Il culto degli eroi ha così contribuito ad allontanare l’attenzione da alcune caratteristiche precipue di associazioni e cooperative, tra cui in primis l’adozione di modelli di governo inclusivi ad ampia partecipazione, che dovrebbero favorire il coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse nei processi decisionali, in rappresentanza dei diversi gruppi sociali che abitano un territorio (Sacchetti, 2018; Borzaga e Galera, 2016; Borzaga e Sacchetti, 2015; Defourny e Borzaga, 2001).[6]
      Ciò si verifica, ad esempio, quando una organizzazione di terzo settore costituita su basi democratiche, è identificata con il nome di un singolo eroe: un fondatore, un religioso che – anche quando non ricopra effettivamente cariche formali apicali – si riconosce come ispirazione e figura carismatica. Sono casi in cui talvolta il percorso di sviluppo dell’ente passa in secondo piano rispetto a quello di un singolo individuo il cui nome è di per sé evocativo dell’intera organizzazione.
      Gli effetti delle narrazioni eroicizzate

      L’immediata spendibilità comunicativa delle narrazioni fondate su figure eroiche spiega perché esse siano largamente preferite da una parte rilevante della politica, da molti osservatori e dalla quasi totalità degli operatori dell’informazione rispetto a studi analitici volti a comprendere i fenomeni sociali e a rendere conto ai cittadini e agli attori esterni delle scelte di policy compiute. Di qui l’incapacità di comprendere le problematiche che affliggono la società contemporanea e la proiezione artificiale in una figura erta a simbolo, non senza implicazioni negative.
      Allontanano dall’individuazione di possibili soluzioni

      Oltre a offuscare il contesto di appartenenza, la retorica dell’azione straordinaria allontana l’attenzione da quello che dovrebbe essere il corretto funzionamento di qualsiasi sistema, a livello macro, così come a livello micro. Nelle narrazioni incentrate sugli eroi non c’è spazio né per analisi valutative comparate, né tantomeno per riflessioni su come dovrebbe funzionare, ad esempio, un’organizzazione.

      Scoraggiando la correttezza analitica su temi di rilevanza pubblica e disincentivando qualsiasi tipo di studio volto a misurare l’efficacia di singole iniziative di welfare o il loro impatto sull’occupazione e il benessere della collettività, le narrazioni eroicizzate impediscono di indagare la realtà in maniera approfondita. Di conseguenza, non consentono di comprendere le implicazioni, non solo economiche ma anche in termini di efficacia, che sono connesse alle diverse soluzioni di policy.

      La tendenza ad analizzare la realtà in maniera superficiale, spesso in nome di un’imperante “politica del fare”, ci allontana quindi dall’individuazione di possibili soluzioni ai problemi che affliggono le società contemporanee. I riflettori accesi su una singola esperienza nel campo delle dipendenze hanno per molto tempo impedito un confronto serio sull’efficacia degli interventi di riabilitazione sperimentati dalle diverse realtà di accoglienza, non solo in termini di disintossicazione, ma anche di reinserimento nel tessuto sociale delle persone accolte. L’esaltazione della figura di Vincenzo Muccioli ha contribuito a trascurare negli anni ‘80 le oltre 300 iniziative di accoglienza di tossicodipendenti che in quegli stessi anni stavano sperimentando percorsi di riabilitazione alternativi basati sull’ascolto individuale, la responsabilità e la condivisione comunitaria. Realtà che, basandosi su uno scambio tra contributi volontari e competenze professionali (sociologici, psicologi, educatori, psichiatri, ecc.), prendevano le mosse a partire dall’esperienza di organizzazioni già radicate come il Gruppo Abele, San Benedetto al Porto e la Comunità di Capodarco, così come nuove esperienze, tra cui il Ceis, Exodus, Saman, Villa Maraini a Roma e la comunità Betania a Parma (De Facci, 2021). Tra le tante comunità di accoglienza e recupero nate tra gli anni ’70 e ’80, particolarmente interessante è quella trentina di Camparta, che è stata recentemente raccontata da alcuni dei suoi protagonisti. Promossa su iniziativa di uno psicoterapeuta d’impronta basagliana e animata da ideali libertari e comunitari, Camparta ha sperimentato un metodo di riabilitazione olistico, fondato su un percorso di ricerca interiore, confronto e rifondazione culturale a tutto campo (I ragazzi di Camparta, 2021).

      La narrazione fortemente polarizzata tra posizioni idealizzate pro e anti migranti continua a impedire un’analisi rigorosa e sistematica del fenomeno migratorio che possa fornire utili indicazioni di policy su come andrebbe gestita l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati entro una visione di sviluppo locale piuttosto che secondo una logica emergenziale. L’idealizzazione di Mimmo Lucano ha distolto l’attenzione dalle tante altre esperienze di accoglienza di cui l’Italia è ricca. Iniziative che, prendendo in alcuni casi ispirazione dall’iniziativa pionieristica di Riace, hanno saputo innescare processi di sviluppo a livello locale grazie ad una proficua collaborazione tra enti di terzo settore e enti locali (Galera, Borzaga, 2019; Lucano, 2020).

      Coprendo le nefandezze e le carenze di un sistema sanitario al collasso, la celebrazione di medici e infermieri come angeli durante il primo lockdown ha ritardato una riflessione quanto mai necessaria su come dovrebbe essere riformato il sistema sanitario per renderlo maggiormente in grado di gestire le attuali sfide socio-sanitarie, così come quelle all’orizzonte per effetto dell’allevamento industriale intensivo, del massiccio impiego di antibiotici in allevamento e dei cambiamenti climatici (Galera, 2020; Tamino, 2020).

      A livello organizzativo, le narrazioni incentrate sull’azione straordinaria degli eroi imprenditori incoraggiano sistematicamente sia l’adozione di strumenti di management, sia l’adesione a culture organizzative che, svilendo la componente della partecipazione, indeboliscono la capacità del terzo settore di incidere a livello locale; e influenza, in modo negativo, pure le politiche, laddove, ad esempio nelle scelte di finanziamento, venga privilegiata l’idea “innovativa”[7]
      rispetto alla capacità di costruire legami di comunità e di rafforzare soggetti collettivi e inclusivi.

      A livello di sistema, l’impatto generativo del terzo settore è nondimeno minato dall’incapacità – insita in ogni idealizzazione – di discernere tra elementi non trasferibili, perché legati a particolari condizioni congiunturali e di contesto favorevoli, ed elementi “esportabili”. Tra questi, ad esempio, modelli di servizio, strumenti di lavoro, strategie di collaborazione o forme dell’abitare che, essendo stati sperimentati con esiti positivi, potrebbero essere modellizzati e replicati su più ampia scala, qualora liberati dal giogo dell’eroe.
      Forniscono l’alibi per rifugiarsi nell’inazione

      Tra i gruppi idealizzati rientrano i volontari e gli operatori impegnati in prima linea nelle situazioni emergenziali generate da catastrofi naturali. Nel caso dei volontari, la tendenza predominante è mitizzarne il coinvolgimento durante le emergenze e ignorarne sistematicamente il contributo nella vita quotidiana a sostegno delle persone più vulnerabili o del territorio che abitiamo per contenerne la fragilità.

      Tra gli esempi di mobilitazioni di volontari idealizzate vi sono quelle avvenute in occasione di nubifragi e terremoti. Tra queste l’alluvione che nel 1966 cosparse Firenze di acqua e fango, causando gravissimi danni sia alle persone sia al patrimonio artistico (Silei, 2013). Ulteriori esempi di mobilitazioni comunitarie sono rappresentati dal terremoto del 2012 in Emilia e dall’alluvione di Genova nel 2014. Catastrofi naturali che hanno attivato una catena di solidarietà in grado di compensare, almeno in parte, l’assenza di un’organizzazione centralizzata capace di gestire opportunamente le emergenze.

      L’uso di espressioni improprie come “angeli” e “eroi” mette tuttavia in ombra la normalità dell’azione di milioni di cittadini che nelle associazioni o individualmente nei loro posti di lavoro, in strada o su internet, chiedono l’attenzione delle istituzioni, anche prima delle emergenze, denunciano gli abusi e si battono per i propri diritti (Campagna #nonsonoangeli, 2014).[8]
      La mitizzazione dei volontari nei momenti di crisi non solo svilisce il loro prezioso contributo nella quotidianità. Appigliandosi al pretesto che l’impegno sia appannaggio di pochi eletti, l’idealizzazione offre ai così detti “cittadini ordinari” l’alibi per rifugiarsi nell’inazione.
      Scoraggiano la costruzione di un sistema valoriale alternativo

      Il pathos suscitato dagli eroi offre nondimeno la scorciatoia per non impegnarsi nella costruzione di un sistema valoriale coerente con i principi e i valori dichiarati. Il sistema di riferimenti valoriali riprodotto dall’eroe permette, infatti, di aggregare consenso in maniera immediata, senza alcuna fatica. Diversamente, un percorso di produzione valoriale sociale in grado di innescare cambiamenti consapevoli richiederebbe sia un impegno rilevante in termini di ascolto, confronti e negoziazioni volti a tracciare un itinerario di azione condiviso, sia tempi considerevoli.

      Di qui l’effimera illusione che l’eroe, consentendo di conseguire approvazione e sostegno nel breve termine, possa aiutarci a sostenere il nostro sistema valoriale in maniera più efficace. Le storie di eroi ci mostrano, invece, come i sistemi basati sull’idealizzazione siano nel medio e lungo periodo destinati a produrre l’effetto contrario. Creando una frattura netta tra gli eroi e i non eroi, influenzano in senso antisociale i comportamenti collettivi e individuali (Bonetti, 2020). E così facendo, ci allontanano da quello che dovrebbe essere il modello di società più rispondente al sistema valoriale che vorremmo promuovere.
      Incoraggiano la polarizzazione tra “buoni” e “cattivi”

      Di conseguenza, oltre a non contribuire a risolvere spinosi problemi sociali, le narrazioni idealizzate favoriscono una polarizzazione tra “buoni” e “cattivi” in cui le posizioni contrapposte si alimentano a vicenda, compromettendo il dialogo e la gestione dei conflitti.

      La tendenza a polarizzare è una prassi diffusa nel settore dell’informazione, incline a esaltare o distruggere personaggi simbolo (Sgaggio, 2011), così come tra opinionisti, osservatori, ricercatori, esperti e tra le organizzazioni della società civile.

      Quella della polarizzazione e categorizzazione è tuttavia una tendenza a cui siamo tutti soggetti, spesso inconsapevolmente. Siamo attratti maggiormente da notizie e informazioni che siano in grado di confermare le nostre interpretazioni del mondo, mentre siamo respinti magneticamente da tutto ciò che mette in discussione le nostre certezze o alimenta dubbi. Elaborare messaggi che si allineano con le nostre ideologie richiede, non a caso, uno sforzo cognitivo considerevolmente minore rispetto alla messa in discussione delle nostre sicurezze (Michetti, 2021).

      L’inclinazione a semplificare e categorizzare è in una certa misura una reazione incontrollata, indotta dall’esigenza di difenderci dal bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti sistematicamente. Una reazione che rischia di essere esasperata dallo stato emotivo di vulnerabilità a livello individuale e collettivo in cui ci troviamo a causa della pandemia. L’essere più fragili ci rende, infatti, più facilmente preda di abbagli e simboli in cui proiettare paure, ambizioni e desideri di cambiamento in positivo.
      Esasperano le fragilità delle persone idealizzate

      In mancanza della consapevolezza di essere oggetto di idealizzazione, la mitizzazione può avere conseguenze deleterie anche sulla persona idealizzata. Come alcune storie di eroi ci mostrano, l’idealizzazione può portare a una progressiva esasperazione di fragilità latenti e, nei casi estremi, a una dissociazione cognitiva. Di qui lo sviluppo – nelle persone borderline – di disturbi narcisistici e megalomani, che possono accelerare la caduta del mito, sempre al varco quando vi è un processo di santificazione in atto.[9]

      A prescindere dall’evoluzione dell’idealizzazione, delle competenze, talenti o accuse di cui può essersi macchiato il presunto eroe, si tratta di un percorso a termine, nella maggior parte dei casi destinato a lasciare spazio alla solitudine non appena la stagione della gloria si esaurisce, talvolta accompagnata dalla dissacrazione della figura dell’eroe.
      Il caso della pastora Agitu Ideo Gudeta e della “Capra Felice”

      La recente idealizzazione della pastora etiope Agitu Ideo Gudeta, titolare dell’azienda agricola “La Capra Felice”, esaltata a seguito della sua uccisione, confermano il bisogno compulsivo di eroi che affligge una rilevante fetta di società, in questo caso quella più militante e attenta alla giustizia sociale, ai valori della solidarietà e dell’antirazzismo. La sua storia è molto conosciuta.

      Agitu Ideo Gudeta nasce nel 1978 in Etiopia. Emigra in Italia per motivi di studio ma, appena laureata, torna nella sua terra d’origine per combattere contro il land-grabbing. Dopo aver ricevuto pesanti minacce per il suo impegno contro le multinazionali, rientra come rifugiata in Italia e avvia in Trentino un allevamento di ovini di razza pezzata mòchena, una specie autoctona a rischio di estinzione, e un caseificio, La Capra Felice, i cui prodotti biologici e gli intenti ambientalisti la portano ad ottenere riconoscimenti anche da Slow Food e da Legambiente. Per la sua attività Agitu Ideo Gudeta recupera un pascolo di oltre 10 ettari in stato di abbandono e occupa nel corso degli anni numerosi giovani richiedenti asilo e rifugiati.

      Quello di Agitu Ideo Gudeta è un racconto ineccepibile di cui tanti attivisti si sono innamorati, estrapolando pezzi della sua storia che calzavano a pennello con la loro retorica. Il suo percorso ha trovato terreno fertile nelle narrazioni sull’inclusione, nelle analisi di buone pratiche di imprenditoria migrante e femminista, nelle storie di rivitalizzazione di aree interne, negli esempi di recupero di specie animali autoctone a rischio di estinzione, e nella lotta contro il land-grabbing.

      La maggior parte delle analisi, in particolare quelle realizzate dopo la sua uccisione, si è tuttavia limitata ad una descrizione superficiale che ha sottovalutato le caratteristiche di un contesto contraddistinto da una molteplicità di sfide e criticità legate in primo luogo al settore di attività, la pastorizia, notoriamente a rischio di sfruttamento per le caratteristiche intrinseche a tutte le attività agricole. Si tratta di attività esposte a una molteplicità di fattori di incertezza; a quelli produttivi e di mercato si aggiungono rischi climatici, ambientali e istituzionali legati al cambio di normative e regolamenti, che condizionano fortemente le entrate economiche, specie delle aziende agricole di piccole dimensioni.

      Tra le caratteristiche di contesto rientra anche il tipo di territorio: la Valle Dei Mòcheni, un’area alpina periferica dove esistono ancora regole antiche che governano i rapporti tra i membri della comunità. Infine, un ulteriore elemento di complessità è legato alla tipologia di lavoratori impiegati dalla Capra Felice: richiedenti asilo e rifugiati, ovvero persone fragili che mostrano, in generale, un’alta vulnerabilità spesso dovuta a disturbi post-traumatici da stress (Barbieri, 2020).[10]
      Queste sfide e criticità si sono intrecciate con le difficoltà legate a un processo di sviluppo imprenditoriale che la Capra Felice ha intrapreso in un momento di grave instabilità e recessione economica.

      A dispetto delle drammatiche circostanze in cui i fatti si sono svolti, la retorica che potremmo chiamare della beatificazione seguita all’uccisione di Agitu Ideo Gudeta non ha lasciato alcuno spazio alla riflessione critica. Non solo le istituzioni pubbliche e gli operatori dell’informazione, ma anche molti politici e organizzazioni di terzo settore si sono rifugiati nella facile consacrazione dell’eroina, piuttosto che interrogarsi sulle fragilità dell’ambiente in cui Agitu Ideo Gudeta operava, sulle difficoltà incontrate da lei e dai suoi collaboratori, e persino sulle concause che potrebbero aver portato alla sua uccisione.

      Mentre si sono sprecate le parole per “eroicizzarla”, nessuno si è interrogato sulla qualità del lavoro, sul tipo di relazione lavorativa che la Capra Felice instaurava con i giovani richiedenti asilo e sull’esito dei loro percorsi di integrazione.

      Chi erano e che ruolo avevano i collaboratori della Capra Felice? Quanti richiedenti asilo hanno lavorato nel corso degli anni e in che misura e da chi erano seguiti nei loro percorsi di inclusione? Qual era il turn over dei lavoratori stranieri? Che rapporto avevano i collaboratori della Capra Felice con il territorio e la comunità locale? Dove vivono e lavorano ora gli ex lavoratori? Nel caso di lavoratori particolarmente fragili, qual era il ruolo dei servizi sociali e sanitari? Il percorso di sviluppo imprenditoriale della Capra Felice è stato seguito da qualche incubatore di impresa e, in caso negativo, perché no?

      Queste sono solo alcune delle domande su cui si sarebbe dovuto a nostro avviso interrogare qualsiasi osservatore non superficiale, interessato a comprendere e a sostenere i percorsi di accoglienza e inclusione sociale e lavorativa delle persone fragili.
      Progetti collettivi al posto di eroi e eroine

      La storia tragica di Agitu Ideo Gudeta sembra essere anche la storia di una società debole e fallimentare nel suo complesso, non solo di un’onda retorica che ha attraversato i mezzi di informazione e i social network per creare al suo centro l’eroina.

      Il fatto che la sua morte abbia generato un bisogno di santificazione e una gogna mediatica nei confronti dell’accusato, invece che sollecitare cordoglio e un esame di coscienza collettiva, smaschera un vuoto su cui forse varrebbe la pena riflettere.

      Un vuoto che può essere riempito solo con azioni concrete e durevoli, che siano il frutto di progetti collettivi a livello comunitario. A questo scopo, servono iniziative di autentica condivisione che aiutino a governare la complessità, a riconoscere le situazioni di fragilità e a prevenire e gestire i conflitti che inevitabilmente abitano i contesti sociali (Sclavi, 2003). A supporto di queste iniziative, c’è bisogno di una nuova narrazione, autentica e costruttiva, che sia innanzi tutto capace di apprendere dagli errori e dai fallimenti affinché le falle del nostro tessuto sociale non permettano più il perpetrarsi di simili tragedie. Quindi, una narrazione che non rifugge il fallimento e non lo percepisce come un pericolo da mascherare a qualsiasi costo, ma come un’opportunità di crescita e di cambiamento.

      Rispetto a quella che nutre gli eroi, è un tipo di narrazione di senso, incline ad alimentare una responsabilità collettiva e una nuova consapevolezza sociale, che può favorire un ribaltamento valoriale in senso solidale. È però una narrazione molto più faticosa da sviluppare. Presuppone, infatti, un’azione collettiva impegnativa in termini di relazioni, negoziazioni e confronti, che deve giocoforza poggiare sulla creazione di spazi di aggregazione e di collaborazione. Questa nuova narrazione non può che nascere da un rinnovato impegno civico di ciascuno di noi, in quanto cittadini responsabili che, praticando la solidarietà, prefigurano un cambiamento e un futuro possibile dove la cittadinanza attiva non è l’eccezione ma la costante.[11]

      Di qui la necessità di sostituire l’emulazione verbale e la ben sedimentata narrativa dell’eroe, normativamente accettata da un uso millenario, con un nuovo ordine normativo significante della realtà.
      Come sostenere la creazione di comunità accoglienti e inclusive

      La crisi della democrazia rappresentativa, la sfiducia nei partiti e l’allontanamento dalla politica hanno da tempo acceso i riflettori sulla società civile, organizzata e non, in quanto spazio di discussione e confronto, finalizzato non solo ad elaborare efficaci strategie in risposta a bisogni sempre più complessi, ma anche a prevenire e gestire le fragilità umane e i conflitti tra gruppi sociali contrapposti.

      Di fronte alla crisi epocale dei modelli politici e produttivi tradizionali, sono sempre più numerosi i dibattiti su come, in quale misura e attraverso quali strumenti, le comunità locali possano intervenire concretamente sulle profonde disuguaglianze economiche, sociali, territoriali che affliggono il nostro Paese, ribaltando i paradigmi dominanti e innescando cambiamenti profondi a vantaggio dei più deboli e della collettività.

      La storia, quella più lontana e quella più recente, ci mostra come spesso la forza della comunità risieda nel bagaglio di valori, tradizioni e relazioni fiduciarie, che sono radicati nel tessuto sociale e vissuto collettivo. Ed è questo bagaglio relazionale e valoriale che ha permesso in moltissimi casi alle comunità di sopravvivere e rigenerarsi nel corso della storia, spesso a seguito di eventi traumatici come calamità naturali, crisi economiche e sanitarie. Ma la storia ci riporta anche molti esempi di comunità in cui la valorizzazione delle identità locali ha originato fenomeni di chiusura particolaristica. Comunità esclusiviste che si sono e in molti casi continuano a identificare l’altro con il male (Bonomi, 2018; Langer, 1994).

      La comunità locali sono, quindi, lontane dall’essere sempre e comunque virtuose.

      Cosa fa pertanto la differenza tra una comunità e l’altra? Per diventare accoglienti e inclusive, le comunità devono potersi esprimere attraverso quelle organizzazioni della società civile che sono proiettate verso il bene comune e si avvalgono del coinvolgimento di una pluralità di portatori di interesse, in rappresentanza dei diversi pezzi di società che abitano un territorio. Sono quindi le organizzazioni di terzo settore maggiormente radicate sul territorio che andrebbero sostenute dalle politiche pubbliche all’interno di una cornice collaborativa in cui, anziché gestire prestazioni per conto dell’ente pubblico (Borzaga, 2019), il terzo settore dovrebbe configurarsi come un attivatore di risposte sociali innovative, che fanno leva sulla prossimità ai territori e alle persone, incluse quelle vulnerabili e disinformate, normalmente ai margini delle dinamiche di cambiamento (Manzini, 2018).

      Se è vero, come da più parti sottolineato, che la politica è in gran parte responsabile dello scarso riconoscimento della società civile organizzata, l’insufficiente apprezzamento del suo valore aggiunto è ascrivibile anche ad alcune prassi, culture e comportamenti organizzativi messi in atto dalle stesse organizzazioni di terzo settore. Tra questi, una retorica – quella degli eroi – incoerente con la loro natura, che ha generato atteggiamenti autoreferenziali e ha alimentato uno scollamento di molte organizzazioni di terzo settore dalle loro comunità di appartenenza. Una delle sfide che il terzo settore dovrebbe far propria è, quindi, a nostro avviso l’archiviazione, una volta per tutte, della retorica dell’eroe e dell’eroina e la sua sostituzione con una narrazione autentica e costruttiva che sia in grado di alimentare un’attiva partecipazione della cittadinanza alla gestione del bene comune.

      DOI: 10.7425/IS.2021.02.10

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      Note

      La nozione di bene comune fa riferimento all’insieme delle risorse necessarie allo sviluppo della persona ed all’esercizio dei suoi diritti fondamentali. Presuppone condizioni di eguaglianza nell’accesso o utilizzo degli stessi. Sul concetto di beni comuni si rimanda ai lavori di E. Olstrom [tra cui: Olstrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge UK]. Nel sistema italiano una definizione di riferimento è quella formulata dalla Commissione Rodotà nel 2008: “Cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”.
      https://nti.apet118.it/home
      “Quanto vale il volontariato in Italia? Istat, CSVnet e FVP lanciano la prima sperimentazione del Manuale ILO sul lavoro volontario”: https://www.csvnet.it/csv/storia/144-notizie/1226-quanto-vale-il-volontariato-in-italia-istat-csvnet-e-fvp-lanciano-i-dati
      Di qui l’elogio di chi ce la fa e “merita” (Piketty, 2020). Per un’analisi critica del “merito” si rimanda a Sandel (2020).
      Con riferimento alle critiche si veda John McClusky (2018).
      Modelli di governance che sono supportati da vincoli normativi o statutari – come il vincolo alla non distribuibilità degli utili (non-profit distribution constraint) e l’asset lock – pensati per garantire la sopravvivenza nel tempo dell’inclusività e dell’interesse generale perseguito.
      Approccio che vede l’intervento sociale in analogia all’innovazione tecnologica, dove una mente geniale, chiusa nel suo garage, inventa qualcosa che rivoluziona la vita di tutti.
      La campagna #nonsonoangeli prese avvio all’indomani dell’ultima alluvione di Genova dall’esigenza di ridefinire il ruolo del volontariato e della percezione di questi per i media, promuovendo da un lato una comunicazione meno stereotipata dell’impegno dei cittadini, in caso di emergenza e non, per il bene comune, e dall’altro una conoscenza del volontariato e della solidarietà così come queste si manifestano. https://nonsonoangeli.wordpress.com/2016/06/08/roma-8-giugno-2016-on-sono-angeli-il-volontariato-tra-stere
      Si veda a questo proposito: https://socialimpactaward.net/breaking-the-myth-of-hero-entrepreneurship - http://tacklingheropreneurship.com
      Si veda anche: https://mediciperidirittiumani.org/studio-salute-mentale-rifugiati - https://archivio.medicisenzafrontiere
      https://www.cesvot.it/comunicazione/dossier/hanno-detto-di-nonsonoangeli

      https://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/articolo/dalla-ricerca-di-eroi-alla-costruzione-di-progetti-comunitari

      #héros #narration #imaginaire_collectif #récit #moralité_culturelle #éthique #justice_sociale #contre-récit #communautés_locales #pathos #individualisation #Lucano #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #excellence #storytelling #innovation #néo-libéralisation #libéralisme #management #leadership #figure_charismatique #charisme #Riace #idéalisation #polarisation #simplification #catégorisation #fragilisation #solitude #Capra_Felice #responsabilité_collective #société_civile

  • #Police attitude, 60 ans de #maintien_de_l'ordre - Documentaire

    Ce film part d´un moment historique : en 2018-2019, après des affrontements violents entre forces de l´ordre et manifestants, pour la première fois la conception du maintien de l´ordre a fait l´objet de très fortes critiques et d´interrogations insistantes : quelle conception du maintien de l´ordre entraîne des blessures aussi mutilante ? N´y a t-il pas d´autres manières de faire ? Est-ce digne d´un État démocratique ? Et comment font les autres ? Pour répondre à ces questions, nous sommes revenus en arrière, traversant la question du maintien de l´ordre en contexte de manifestation depuis les années 60. Pas seulement en France, mais aussi chez nos voisins allemands et britanniques, qui depuis les années 2000 ont sérieusement repensé leur doctrine du maintien de l´ordre. Pendant ce temps, dans notre pays les autorités politiques et les forces de l´ordre, partageant la même confiance dans l´excellence d´un maintien de l´ordre « à la française » et dans le bien-fondé de l´armement qui lui est lié, ne jugeaient pas nécessaire de repenser la doctrine. Pire, ce faisant c´est la prétendue « doctrine » elle-même qui se voyait de plus en plus contredite par la réalité d´un maintien de l´ordre musclé qui devenait la seule réponse française aux nouveaux contestataires - lesquels certes ne rechignent pas devant la violence, et c´est le défi nouveau qui se pose au maintien de l´ordre. Que nous apprend in fine cette traversée de l´Histoire ? Les approches alternatives du maintien de l´ordre préférées chez nos voisins anglo-saxons ne sont sans doute pas infaillibles, mais elles ont le mérite de dessiner un horizon du maintien de l´ordre centré sur un rapport pacifié aux citoyens quand nous continuons, nous, à privilégier l´ordre et la Loi, quitte à admettre une quantité non négligeable de #violence.

    https://www.dailymotion.com/video/x7xhmcw


    #France #violences_policières
    #film #film_documentaire #Stéphane_Roché #histoire #morts_de_Charonne #Charonne #répression #mai_68 #matraque #contact #blessures #fractures #armes #CRS #haie_d'honneur #sang #fonction_républicaine #Maurice_Grimaud #déontologie #équilibre #fermeté #affrontements #surenchère #désescalade_de_la_violence #retenue #force #ajustement_de_la_force #guerilla_urbaine #CNEFG #Saint-Astier #professionnalisation #contact_direct #doctrine #maintien_de_l'ordre_à_la_française #unités_spécialisées #gendarmes_mobiles #proportionnalité #maintien_à_distance #distance #Allemagne #Royaume-Uni #policing_by_consent #UK #Angleterre #Allemagne #police_militarisée #Irlande_du_Nord #Baton_rounds #armes #armes_à_feu #brigades_anti-émeutes #morts #décès #manifestations #contestation #voltigeurs_motoportés #rapidité #23_mars_1979 #escalade #usage_proportionné_de_la_force #Brokdorf #liberté_de_manifester #innovations_techniques #voltigeurs #soulèvement_de_la_jeunesse #Malik_Oussekine #acharnement #communication #premier_mai_révolutionnaire #Berlin #1er_mai_révolutionnaire #confrontation_violente #doctrine_de_la_désescalade #émeutes #G8 #Gênes #Good_practice_for_dialogue_and_communication (#godiac) #projet_Godiac #renseignement #état_d'urgence #BAC #brigades_anti-criminalité #2005 #émeutes_urbaines #régime_de_l'émeute #banlieue #LBD #flashball #lanceur_de_balles_à_distance #LBD_40 #neutralisation #mutilations #grenades #grenade_offensive #barrage_de_Sivens #Sivens #Rémi_Fraisse #grenade_lacrymogène_instantanée #cortège_de_tête #black_bloc #black_blocs #gilets_jaunes #insurrection #détachement_d'action_rapide (#DAR) #réactivité #mobilité #gestion_de_foule #glissement #Brigades_de_répression_des_actions_violentes_motorisées (#BRAV-M) #foule #contrôle_de_la_foule #respect_de_la_loi #hantise_de_l'insurrection #adaptation #doctrine #guerre_civile #défiance #démocratie #forces_de_l'ordre #crise_politique

  • #Mobilizon. Vos #événements. Vos groupes. Vos données.
    https://framablog.org/2020/10/27/mobilizon-vos-evenements-vos-groupes-vos-donnees

    Mobilizon, c’est notre outil libre et fédéré pour libérer nos événements et nos groupes des griffes de #Facebook. Après deux ans de travail, nous publions aujourd’hui la première version de ce logiciel, accompagnée de toute une série d’outils pour que … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #Communaute #contributopia #Degooglisons #Event #framameet #Framasoft #GAFAM #Innovation #Internet #MeetUp #Planet #RezoTIC

  • #Mobilizon. Your events. Your groups. Your data.
    https://framablog.org/2020/10/27/mobilizon-your-events-your-groups-your-data

    Mobilizon is our free-libre and federated tool to free events and groups from the clutches of #Facebook. After two years of work, today we are releasing the first version of this software, along with a whole series of tools so … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #Communaute #contributopia #Degooglisons #English #événements #Event #framameet #Framasoft #GAFAM #Innovation #Internet #MeetUp #Planet #RezoTIC

  • [Roman Photo] Visite guidée de #Mobilizon
    https://framablog.org/2020/10/27/roman-photo-visite-guidee-de-mobilizon

    « Concrètement, c’est quoi Mobilizon ? Comment cet outil libre et fédéré peut-il m’aider à progressivement me passer de #Facebook pour mes groupes, pages et #événements ? Et où je vais pour m’y retrouver, pour m’inscrire ? » Répondons à ces questions avec beaucoup d’images, … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #Communaute #contributopia #Degooglisons #Event #framameet #Framasoft #GAFAM #Innovation #Internet #MeetUp #Planet #RezoTIC

  • [Photo Novel] Guided tour of #Mobilizon
    https://framablog.org/2020/10/27/photo-novel-guided-tour-of-mobilizon

    « OK, so, what is Mobilizon ? How can this free and federated tool help me to progressively do without #Facebook for my groups, pages and events ? And where do I go to get started, where do I sign up ? » Let’s answer … Lire la suite­­

    #Contributopia #ActivityPub #Communaute #contributopia #Degooglisons #English #événements #Event #framameet #Framasoft #GAFAM #Innovation #Internet #MeetUp #Planet #RezoTIC

  • Thread by florian_krammer on Thread Reader App – Thread Reader App
    https://threadreaderapp.com/thread/1310372301314101250.html

    Sur les #vaccins en cours de fabrication ;

    Concernant les vaccins “modernes”, dont certains selon une technique inédite (vaccin à ARN) :

    ...these injected vaccines are poor inducers of mucosal antibodies in the upper respiratory tract which is mostly protected by secretory IgA1. This might lead to immunity that protects the lung (mild/no disease) but still allows for infection and potentially for onward transmission of the virus.

    Concernant les classiques vaccins vivants atténués :

    .... live attenuated vaccines might be much better in inducing sterilizing immunity in the upper respiratory tract.

    Et...

    Unfortunately, only three live attenuated vaccines are in development for SARS-CoV-2 and they are far behind.

    Donc,

    By not developing live attenuated vaccines we might end up with vaccines that protect us from disease but not infection and we might still be able to pass on the virus to others.

    #innovation #progrès

  • #Léonore_Moncond’huy, une maire écologiste qui ne fait pas de vagues

    Elue en juin, la jeune édile #EELV de #Poitiers, ancienne scoute, place les idéaux de #concertation, de #bienveillance et d’#exemplarité au cœur de sa #gouvernance.

    Comment faut-il appeler Léonore #Moncond'huy ? Madame le maire, madame la maire, madame la mairesse ? Inévitable question dès lors qu’une femme prend les commandes d’une commune. La première intéressée l’a posée directement aux habitants de Poitiers. C’était une semaine avant le premier tour des municipales, le 8 mars, date de la Journée internationale des droits des femmes. Sondées par son équipe de campagne sur un marché du centre-ville et dans un quartier populaire, 430 personnes ont placé en tête « madame la maire . « C’était aussi ma préférence. Mais, si une autre appellation avait été choisie, je l’aurais tout aussi bien adoptée », confie la nouvelle élue.

    L’anecdote paraîtrait anodine si elle ne témoignait pas de l’importance qu’accorde Léonore Moncond’huy à la démocratie locale, l’un des trois « piliers » de sa campagne victorieuse, avec l’écologie et la justice sociale. En battant le maire sortant Alain Claeys (Parti socialiste, PS), le 28 juin, la tête de liste Europe Ecologie-Les Verts (EELV) du projet Poitiers collectif a défié tous les pronostics, au sein même de sa famille politique. Le PS détenait la ville depuis 1977. Jamais Poitiers (88 000 habitants) n’avait été dirigé par une femme. Et jamais par quelqu’un d’aussi jeune : 30 ans.

    Son score flatteur 42,83 % contre 35,60 % pour Alain Claeys et 21,56 % pour le candidat La République en marche (LRM), Anthony Brottier a jeté une lumière vive sur cette inconnue, simple conseillère régionale de la Nouvelle-Aquitaine. L’une de ses toutes premières mesures n’a fait qu’accentuer la curiosité à son égard : en décidant de baisser d’un tiers son indemnité de maire, ramenée à 3 500 euros net par mois afin de réduire l’écart avec les conseillers municipaux , Léonore Moncond’huy a vu son nom faire le tour du Web.

    « Cela me plaisait d’envoyer un message de sobriété », raconte-t-elle ce matin-là, derrière la façade Second Empire de l’hôtel de ville. Un vitrail représentant Aliénor d’Aquitaine illumine le salon d’honneur, situé au même étage que son bureau. Dans un coin, un éventail de photos personnelles : n’y figurent ni parent, ni enfant, ni même de selfie avec une personnalité politique. Mais uniquement des clichés de l’équipe de campagne.

    « Biberonnée à l’éducation populaire »

    Sacrée campagne, au demeurant. Sa victoire, Léonore Moncond’huy la doit autant à un phénomène de dégagisme, qui a mis fin au règne d’Alain Claeys, en place depuis 2008, qu’à une stratégie électorale innovante, dont la matrice est l’éducation populaire. Scoute depuis l’âge de 11 ans chez les Eclaireuses et Eclaireurs unionistes de France, elle a gravi tous les échelons au sein de cette association protestante centenaire, de « louvette » à membre du conseil d’administration poste dont elle démissionnera d’ailleurs prochainement, tout comme de son mandat régional, afin de se consacrer pleinement à Poitiers.

    « J’ai été biberonnée à l’éducation populaire, qui a davantage nourri mon parcours politique que ne l’a fait mon parcours académique », confie cette multidiplômée deux licences, deux masters qui travaillait jusqu’ici comme coordinatrice de projets dans un bureau d’études oeuvrant dans l’aide au développement. Créé par un petit groupe d’amis non encartés, à l’exception d’elle, Poitiers collectif s’est donné des airs de laboratoire politique, deux ans durant. Son credo : transposer à une campagne électorale des techniques empruntées aux mouvements de jeunesse.

    Ont ainsi été mis en oeuvre toute une gamme d’ « outils d’intelligence partagée » - « gestion par consentement », « élection sans candidat », « communication bienveillante », « cercles de médiation » -, bien connus des responsables de MJC et de centres socioculturels. « L’idée était de casser les codes du passé afin de redonner confiance aux électeurs dans la politique », explique l’ex-directeur de campagne, Charles Reverchon-Billot, salarié d’une association d’éducation populaire et compagnon de Léonore Moncond’huy à la ville.

    Déclinée à travers moult tables rondes, manifs à vélo et autres happenings, la méthode a bousculé les habitudes politiciennes, Poitiers collectif refusant par exemple de dénigrer les listes concurrentes, pour mieux communiquer sur son programme. « On nous a taxés de Bisounours », s’en désole encore Léonore Moncond’huy, elle-même nommée tête de liste à l’issue d’un processus très emblématique de cette nouvelle façon de faire.

    Fin 2019, une réunion « houleuse » de cinq heures, passée notamment à remplir des fiches types sur le profil du candidat idéal, était alors arrivée à ses fins : coopter une ou un postulant qui n’avait pas eu le droit de s’autodéclarer préalablement. Une voix s’était levée, dans la nuit, pour proposer le nom de Léonore Moncond’huy, malgré son « double handicap » d’être adhérente à un parti (sacrilège !) et de posséder une expérience d’élue (bis). « Ce qui a plaidé, c’est que je sois jeune et femme, et très impliquée dans le mouvement », se rappelle l’impétrante malgré elle, pas mécontente cependant d’avoir été désignée.

    L’esprit « sociocul » de la campagne plane aujourd’hui sur l’hôtel de ville, comme en témoignent les appellations des nouvelles délégations municipales. Charles Reverchon-Billot est ainsi devenu maire adjoint aux « droits culturels », terme englobant l’ensemble des droits humains universels. Un élu a hérité d’un portefeuille tout aussi abstrait, baptisé « ville accueillante », un autre est assigné au « patrimoine à énergie positive », celui-ci à la « commande publique responsable ...

    Le « zéro déchet », la « bientraitance animale » et l’ « éducation nature » sont aussi, désormais, des délégations en tant que telles. Tout comme l’ « innovation démocratique », attribuée à la première adjointe. Celle-ci porte un projet majeur de la nouvelle équipe, dont la moyenne d’âge tourne autour de 40 ans : créer, d’ici un an, une « assemblée citoyenne » de 150 habitants, qui aura son mot à dire au conseil municipal.

    L’idée fait sourire amèrement l’ancien maire Alain Claeys, 72 ans, initiateur de diverses structures participatives durant sa mandature. « Beaucoup d’horizontalité est nécessaire à la vie démocratique mais il faut aussi de la verticalité, ne serait-ce que pour décider », formule-t-il, façon de dire qu’il doute de la capacité de sa remplaçante à diriger une majorité plurielle mêlant militants de gauche (EELV, Génération Ecologie, PCF, Génération.s, Nouvelle Donne, A nous la démocratie !) et société civile.

    Férue de langues étrangères et de théâtre contemporain, Léonore Moncond’huy le sait : son inexpérience et sa jeunesse lui seront rappelées au moindre faux pas. A ceux qui la trouveraient trop lisse, elle explique être « radicale sur le fond, et non sur la forme », persuadée « que le meilleur moyen d’avancer n’est pas la confrontation, mais de mettre tout le monde autour d’une table . La concertation, la bienveillance, l’exemplarité : autant d’idéaux façonnés au sein des Eclaireurs.

    Une véritable profession de foi, le scoutisme. Des étoiles brillent dans ses yeux pour évoquer la rosée du matin qui scintille devant la tente et les Chamallows qui caramélisent sur le feu de camp : « Je ne connais rien de mieux pour souder un groupe et redonner confiance en l’humanité. » Léonore Moncond’huy ne croirait pas aux vertus de la vie au grand air, jamais elle n’aurait affecté sa première enveloppe de maire (200 000 euros) à l’envoi en vacances, cet été, de 1 500 enfants et adultes n’ayant pas les moyens de partir.

    La même année que ses débuts chez les scouts, la collégienne remporte sa toute première élection en accédant au conseil communal des jeunes (CCJ) de Poitiers, version junior du conseil municipal. Elle poursuivra avec le bureau des jeunes, réservé aux plus de 15 ans. L’organisation de voyages en Europe de l’Est et un sondage auprès des adolescents d’un quartier promis à la réhabilitation figurent parmi ses réalisations. « C’est par la pratique qu’elle a forgé ses convictions », se souvient Karine Trouvat, l’animatrice du CCJ.

    « Elle sait où elle va »

    Sa mère, professeure documentaliste ayant connu un mandat de conseillère municipale (Verts) entre 2004 et 2007, a aussi joué un rôle, en l’emmenant manifester avec elle, enfant, contre la mise en service de la centrale nucléaire de Civaux (Vienne). Son père, professeur de littérature française du XVIIe siècle à l’université de Poitiers, lui a appris « à ne pas compter [ses] heures » et à donner « du sens aux projets . En 2014, la liste Verte de Christiane Fraysse cherche une petite main pour les municipales.La fille d’Elisabeth et de Dominique est embauchée. « Elle a été une secrétaire hors pair, se souvient Robert Rochaud, militant écolo de la première heure, aujourd’hui adjoint aux finances. Je la trouvais alors plus brillante que Cécile Duflot quand elle a pris la tête des Verts à 31 ans. »

    Tout ira ensuite très vite. Elle adhère à EELV dans la foulée des municipales, se fait élire aux régionales de fin 2015 puis est propulsée, deux ans plus tard, à la coprésidence du groupe écologiste du conseil régional, partie prenante de la majorité. Elle s’y distinguera par ses prises de parole musclées, réclamant au président socialiste Alain Rousset de verdir sa politique. « Ce qui frappe, chez elle, c’est une intelligence au cordeau qui lui permet d’allier radicalité et responsabilité. Elle sait où elle va », loue Nicolas Thierry, future tête de liste EELV aux régionales de mars 2021.

    Pour sa ville, « Léonore du Poitou » - qui a refusé de cumuler avec la présidence de l’agglomération Grand Poitiers, confiée à la maire divers gauche de Migné-Auxances, Florence Jardin voit grand. Et vert. Elle compte planter 200 000 arbres, créer un « centre éducation nature », freiner le développement des zones commerciales, fermer l’aéroport... « La transition écologique ne peut pas être douce et gentille, nous sommes dans l’urgence. J’appartiens à la première génération politique qui va devoir gérer un héritage dont elle n’est pas responsable », martèle celle que rien n’indigne plus, actuellement, que la mode des SUV. Une autre de ses initiatives, sitôt maire, fut de suspendre le permis de construire d’un projet immobilier, jugé insuffisamment vertueux sur le plan environnemental.

    Mais l’euphorie des premiers jours a aussi entraîné une légère cacophonie au sein de sa majorité. Une adjointe s’est ainsi demandé, sur Twitter, s’il n’était pas temps de modifier le terme d’ « école maternelle », trop « genré » - tollé sur les réseaux sociaux. Une autre, dans La Nouvelle République, s’est aventurée à évoquer l’introduction de temps de « non-mixité » dans les équipements sportifs sujet brûlant s’il en est... Et quand Le Monde a rencontré Robert Rochaud, celui-ci a certifié que la ville annulerait la commande d’une oeuvre d’art d’un montant de 200 000 euros, passée par l’équipe précédente. Rétropédalage deux jours plus tard : « Rien n’est encore décidé... »

    Léonore Moncond’huy sait aussi que la communication jouera un rôle primordial tout au long de son mandat. Ne l’a-t-elle pas démontré en promettant, il y a deux mois, de participer à un tournoi de basket si l’un de ses Tweet atteignait plus de 1 000 « like », et un Retweet du joueur NBA et ex-Poitevin Evan Fournier ce qui fut fait en quelques heures ? Le tournoi s’est déroulé début septembre, au Jardin des plantes. Avant d’entrer sur le terrain (et subir deux défaites sans appel), madame la maire s’est plu à citer Kobe Bryant, légende des parquets disparue en janvier dans un accident d’hélicoptère : « On n’abandonne pas, on ne bat pas en retraite, on ne fuit pas. On résiste et on conquiert. » Parole de scout.

    https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/09/23/leonore-moncond-huy-une-maire-ecologiste-qui-ne-fait-pas-de-vagues_6053222_8

    #démocratie_locale #écologie #justice_sociale #Verts #salaire #sobriété #éducation_populaire #Poitiers_collectif #droits_culturels #ville_accueillante #patrimoine_à_énergie_positive #commande_publique_responsable #zéro_déchet #bientraitance_animale #éducation_nature #innovation_démocratique #assemblée_citoyenne #horizontalité #verticalité #scoutisme #transition_écologique #responsabilité

  • Recherche : la majorité adopte une loi rejetée par le monde universitaire

    Les députés ont adopté jeudi la loi de programmation de la recherche voulue par le gouvernement. Le monde universitaire, qui doit organiser une rentrée en pleine pandémie, est très hostile à un projet qui ne répond en rien aux besoins pressants.

    « Scandaleux, difficile, déprimant. » Voilà comment Marie Sonnette, sociologue à l’université d’Angers et membre active du collectif « Facs et labos en lutte », a vécu le vote par les députés de la loi de programmation pluriannuelle de la recherche, dite LPPR.

    Présenté en juillet devant le conseil des ministres après plusieurs reports, le texte a en effet été adopté jeudi à l’Assemblée nationale en première lecture. Depuis son annonce jusqu’au début de l’actuelle navette parlementaire, il a suscité de vives oppositions, dont l’expression a notamment été favorisée par la mobilisation plus vaste contre la réforme des retraites.

    Cette dernière semaine, un avis quasi unanime et « au vitriol » du Conseil économique, social et environnemental (Cese) a conforté l’hostilité au texte d’une large majorité de l’enseignement supérieur et de la recherche, dont avaient déjà témoigné les prises de position de centaines de directeurs de laboratoires, ou les grèves ayant affecté des dizaines d’universités ainsi que de nombreuses revues académiques. Par contraste, il ne s’est récemment trouvé que cinq professeurs au Collège de France – une des institutions les plus privilégiées – pour défendre explicitement la loi dans une tribune au Monde.

    Pour la maîtresse de conférences contactée par Mediapart, le spectacle est logiquement pénible de voir le même projet adopté « par 68 personnes dans une salle [les députés qui siégeaient – ndlr], en prétendant que la recherche sera géniale sur les dix prochaines années, alors qu’on sait que les financements restent sous-dimensionnés et la précarité toujours aussi massive. Ce dont on a besoin, on le crie depuis longtemps et rien dans la loi n’apporte de réponse. »

    Du côté de la majorité, on reconnaît d’ailleurs la portée limitée du texte. « On ne va pas faire la révolution, mais nous allons quand même lever des blocages », concédait Danièle Hérin, députée LREM et rapporteuse générale du texte cette semaine à l’Assemblée. Une posture sobre en comparaison de l’emphase de Frédérique Vidal, ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche, qui a évoqué dans l’hémicycle des « moyens massifs », censés rattraper une « décennie perdue ».

    À première vue, les chiffres peuvent effectivement impressionner. Il s’agit d’engager 25 milliards d’euros de crédits supplémentaires au cours des dix prochaines années. Une perspective cependant très incertaine, ce que n’a pas manqué de relever le Conseil d’État dans son examen préalable. « Avec un tel horizon, la portée de la programmation des crédits budgétaires ne peut être que limitée, spécialement en fin de période », écrit le Conseil, avant de souligner le risque d’insincérité d’un tel engagement.

    « Pourquoi 10 ans ?, renchérit la députée communiste Elsa Faucillon. On ne voit pas la couleur de l’investissement à court terme. Les députés de la majorité entretiennent ce leurre entre engagements pérennes et engagements lointains. » Car pour 2021, seuls 400 millions d’euros supplémentaires sont prévus, et 800 millions en 2022, soit 5 % de l’enveloppe globale.

    « J’étais favorable à mettre davantage d’argent dès la première année, répond Danièle Hérin, mais comme le plan de relance va permettre d’investir 2 milliards par an supplémentaires, et que des sources de financement régionales et européennes vont arriver, je pense que cela reste raisonnable. » Mais là encore, l’addition est brouillonne puisque les six milliards sur trois ans du plan de relance ne sont pas uniquement dédiés à la recherche mais aussi à l’innovation, en sachant qu’au sein même de la recherche, le privé est concerné autant que le public.

    « On pilote à vue », s’inquiètent également les parlementaires socialistes, qui regrettent l’absence de « trajectoire budgétaire » dans celui adopté jeudi. L’objectif officiel d’investir 1 % du PIB dans la recherche publique ne serait selon eux pas tenu, en raison de simulations budgétaires trop faibles et calculés hors inflation. « On veut construire une belle maison, mais on prend le risque de se retrouver avec un appartement un peu minable à la fin », résume la présidente du groupe des députés PS, Valérie Rabault.

    La majorité n’en démord pas et vante les augmentations salariales concrètes à venir, pour des professions notoirement sous-payées au regard de leur niveau de diplôme. « Plus aucun chercheur ne pourra démarrer sa carrière à moins de deux fois le Smic, contre 1,4 fois le Smic aujourd’hui, soutient la députée LREM Valérie Gomez-Bassac, également rapporteuse du texte. Nous allons aussi verser des primes, entre 1000 et 1300 euros par an pour les titulaires en poste. Les doctorants verront leur allocation de recherche augmenter de 30 % d’ici 2023. Et nous financerons 20 % de thèses en plus. »

    Des salaires légèrement améliorés, par la voie de primes majoritairement, contre un statut encore un peu plus détricoté ? La méthode n’est pas nouvelle, elle guide la transformation de la fonction publique depuis plusieurs décennies, créant des formes nouvelles d’emploi public à tour de bras. « Ces dispositifs sont facultatifs, précise Danièle Hérin. Chacun des établissements sera libre de choisir les outils qui lui conviennent pour remplir ses objectifs. » Libre, mais dans un cadre budgétaire qui restera contraint...

    De nouvelles voies sont donc au programme pour retenir les talents en France, selon le gouvernement. D’une part les « chaires juniors », sur lesquelles pourront postuler les jeunes chercheurs, sur le modèle des « tenure track » du système anglo-américain. Soit un contrat de six ans maximum, parallèle au processus d’intégration comme maître de conférences, et qui pourra, sans obligation, déboucher sur une titularisation comme professeur d’université. « Une procédure de titularisation dérogatoire au droit de la fonction publique », a estimé le CESE, qui risque de mettre encore plus les chercheurs en concurrence.

    D’autre part, les CDI de mission, qui permettront de recruter un chercheur sur la durée d’un projet de recherche. L’exemple souvent brandi par la majorité est celui des études spatiales, où une équipe pourrait recruter quelqu’un sur les vingt années que pourrait durer la mission… si celle-ci est bien financée. Joli tour de passe-passe rhétorique, ce CDI pouvant s’arrêter à tout moment, a glosé l’opposition. « Vous pouvez continuer à nous expliquer qu’il est sécurisant et qu’il n’est pas précaire, a remarqué la députée France insoumise Muriel Ressiguier lors de l’examen de ce point en commission. Ça ne change pas le sens de ce qu’il est réellement : un contrat précaire dont personne ne veut. »

    Sans bouleverser totalement les équilibres, la loi entérine surtout le principe d’une recherche « par projet », où il faut constamment se saisir de son bâton de pèlerin afin de trouver des ressources financières, auprès de l’Agence nationale de la recherche (ANR), de l’Europe, des régions, ou des contributeurs privés. « Nous augmentons aussi la part du soutien de base aux structures de 10 % », plaident les défenseurs du texte au Parlement, sans démentir le fait que l’ANR ne devienne le principal opérateur de financement de la recherche.
    La difficile résistance au rouleau compresseur managérial

    Cette « logique de mise en concurrence des formations et des chercheurs », explique à Mediapart la sociologue Séverine Chauvel, s’inscrit dans « la grande course aux classements » internationaux qui sert de guide à la politique de recherche française. « Il y a de l’argent annoncé dans le LPPR mais on ne souhaite pas qu’il soit injecté de cette façon, et en négligeant autant la question d’enseignement. Le vrai problème, poursuit la maîtresse de conférences à l’Université Paris-Est-Créteil, c’est que nous sommes déjà sous-dotés alors qu’on anticipe une ascension démographique des étudiants. Ce qui manque, ce sont des postes et des financements pérennes. »

    Or, ces dernières années, les crédits pérennes sont déjà passés de 65 à 61 % des sommes totales allouées. « Dans ce texte, on peut tout à faire imaginer que ce ratio s’inverse, prévient la socialiste Valérie Rabault. C’est très grave quand on veut faire de la recherche de long terme. » À cet égard, le PS a d’ailleurs beaucoup à se faire pardonner.

    Pendant sa campagne présidentielle de 2012, François Hollande avait en effet relayé les nombreuses critiques contre une gestion managériale de la recherche, débouchant sur une mise en concurrence généralisée au détriment de la stabilité et des libertés académiques. Loin de contrecarrer la tendance, son quinquennat a pourtant été marqué par une forte continuité avec les années Sarkozy déjà mal vécues par les enseignants-chercheurs.

    Physicien et professeur à l’université Paris-Diderot, Bruno Andreotti confirme que le PS a accumulé un « passif énorme » avec ce mandat présidentiel. Dans les années précédentes, rappelle-t-il, la recherche par projets avait pu paraître séduisante à certains proches du milieu socialiste, et être légitimée dans le contexte d’une réaction contre le mandarinat universitaire, cherchant à émanciper les jeunes chercheurs de titulaires au pouvoir excessif. Depuis, la logique managériale (et la précarisation l’accompagnant) s’est étendue à l’ensemble de l’enseignement supérieur et de la recherche.

    À l’occasion du vote de la loi LPPR, le groupe socialiste animé par Valérie Rabault s’est donc efforcé d’accomplir un travail de fond, consistant non seulement à porter la critique contre la LPPR mais aussi à formuler « 25 propositions pour la recherche, les chercheurs et les universités », dessinant un contre-projet de loi alternatif à celui de la Macronie. Une démarche facilitée par la présence d’Isabelle This Saint-Jean au secrétariat national des études du PS : elle-même universitaire, elle est une ancienne présidente du collectif « Sauvons la recherche » et fut très mobilisée en 2009 contre la politique de la droite en la matière.

    Les collectifs en lutte contre la LPPR ont par ailleurs vu leurs combats relayés par les députés de la France insoumise et du parti communiste, dénonciateurs d’une loi « mortifère ». La discussion du texte a aussi été l’occasion pour eux de formuler des contre-propositions, Muriel Ressiguier ayant par exemple déposé des amendements en faveur d’« un plan d’investissement dans l’enseignement supérieur », du « recrutement de nouveaux enseignants-chercheurs » et d’« une politique de reconnaissance renforcée du doctorat ».

    Les équilibres à l’Assemblée ne laissaient cependant aucun doute sur l’issue du vote et les marges de négociation du texte. « Il n’y avait aucun moyen de passer quoi que ce soit et on le savait, d’où le faible travail de lobbying des universitaires », constate Bruno Andreotti, qui souligne la différence avec les années Hollande, lorsque les élus écologistes, notamment Isabelle Attard, constituaient des relais possible pour corriger la politique socialiste.

    De façon plus générale, souligne-t-il à Mediapart, les parlementaires ayant une véritable connaissance technique du système et du dossier se compteraient sur les doigts d’une seule main. « Le spectacle de la discussion à l’Assemblée était en dessous de tout, notamment lorsque des rapporteurs lisent des notes préparées par le cabinet de la ministre, dont on s’aperçoit qu’ils ne comprennent rien. »

    La critique d’une ignorance de leur métier revient d’ailleurs souvent dans la bouche des universitaires interrogés par Mediapart. Séverine Chauvel estime ainsi que la LPPR a été l’occasion, de la part de la majorité au pouvoir, de « mensonges » mais aussi de « propos attestant une méconnaissance totale de l’enseignement supérieur ». La pilule passe d’autant plus mal dans le contexte chaotique à l’université, en pleine rentrée marquée par la pandémie (lire notre article sur « la grande débrouille »).

    « On bosse comme des fous pour faire fonctionner nos universités dans des conditions catastrophiques, confirme Marie Sonnette. Et dans cette rentrée que nous avons l’impression de vivre un peu comme sur le Titanic, tout continue comme si de rien n’était, sans consultation des enseignants-chercheurs, hormis des responsables d’instance. » Concentrée sur la recherche plutôt que sur les conditions de travail et d’apprentissage des étudiants, la LPPR apparaît ainsi en décalage profond avec le vécu des premiers concernés, sans dessiner le moins du monde un horizon qui les rassure.

    Outre le découragement de celles et ceux qui auraient pu envisager une carrière dans le milieu (lire ce témoignage), les titulaires en viennent à parler entre eux de « démission », chose impensable il y a quelques années à peine, tant les postes d’enseignement et de recherche sont convoités et exigent de sacrifices avant d’être obtenus. Avant qu’une éventuelle vague d’« exit » se matérialise, les mobilisations devraient se poursuivre, en particulier si un répit s’annonce après les errements de la rentrée. Les réflexions sur les modalités d’action se poursuivent et des résistances sont à attendre, veut croire Séverine Chauvel. En dépit des échecs essuyés, Marie Sonnette relève que sans mobilisation, la LPPR aurait été « encore plus violente » et la réforme des retraites serait déjà passée.

    Il reste que l’enseignement supérieur et la recherche sont des secteurs tellement fragmentés et divisés par ses multiples tutelles et formes de contrats, que le rouleau compresseur managérial peut y faire son œuvre avec d’autant plus de facilité.

    « La mobilisation de 2009 avait été la plus importante depuis Mai-68, et elle n’a débouché sur rien, cela a laissé des traces », ajoute Bruno Andreotti, qui estime par ailleurs qu’« on ne se défend ni plus, ni mieux, ni moins mal que les réseaux ferrés, les journalistes du service public, les hôpitaux, qui se font démolir leurs métiers comme nous. Sans innovation politique, il ne peut pas se passer grand-chose. »

    En attendant les futures échéances politiques nationales, la loi de programmation de la recherche doit être discutée à la fin du mois prochain au Sénat.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/260920/recherche-la-majorite-adopte-une-loi-rejetee-par-le-monde-universitaire?on

    #LPPR #recherche #France #université #facs #assemblée_nationale #première_lecture #vote #loi_de_programmation_pluriannuelle_de_la_recherche #adoption #hostilité #financement #budget #salaire #primes #fonction_publique #ESR #enseignement_supérieur #chaires_juniors #tenure_track #titularisation_dérogatoire ##titularisation #concurrence #CDI_de_mission #contrat_précaire #précarisation #recherche_par_projet #ANR #résistance #classements #classements_internationaux #postes #financements_pérennes #libertés_académiques #liberté_académique #logique_managériale #ignorance #mensonges #méconnaissance #conditions_de_travail #découragement #démission

    Ajouté à la métaliste :
    https://seenthis.net/messages/820330

    • L’Assemblée en marche derrière Vidal : préparons la riposte !

      Aujourd’hui 24 septembre 2020, 48 député·es ont voté en faveur de la « loi de programmation de la recherche pour les années 2021 à 2030 » (LPPR) après trois séances mêlant l’incompétence, le cynisme et la suffisance. Cette loi, dont l’examen se fait en procédure accélérée conformément au souhait du gouvernement, a donc été adoptée en première lecture par l’Assemblée nationale. Prochaine étape : le Sénat vers la mi-octobre.

      Au fil des prises de parole et des amendements, adoptés ou rejetés par des député·es LREM réduit·es au rôle de pousse-bouton, nous avons vu se clarifier encore l’objectif de destruction de l’université et de la recherche publiques, de casse de notre service public.

      Pour connaître le détail de ces « discussions », vous pouvez notamment vous replonger dans les fils Twitter du Groupe Jean-Pierre Vernant – le 1er jour, le 2ème jour et le 3ème jour – ou lire les publications d’Academia à ce sujet.

      Dans l’ensemble, le texte a peu changé lors de l’examen et les rares modifications ont été pour le pire. Ainsi, un amendement adopté facilite la marchandisation du titre de docteur, au détriment des chercheur·ses qui conduisent réellement des recherches doctorales – il a finalement été neutralisé in extremis. Dans le même temps a été rejeté un amendement qui visait à graver dans le marbre les libertés académiques, afin d’offrir des garanties minimales pour la liberté de recherche des chercheur·ses précaires.
      L’article 13, intégré à la section IV intitulée « renforcer les interactions de la recherche avec l’économie et de la société », permet non seulement de privatiser les fruits de la recherche publique, mais il autorise même les chercheur·ses et enseignant·es-chercheur·ses à devenir associé·es ou dirigeant·es d’une société valorisant les travaux… d’un·e collègue.
      Bref : c’est bien un projet de loi de précarisation et de privatisation de la recherche.

      Ce projet de LPPR (nous ne voyons aucune raison de changer la dénomination de ce projet de loi dont le contenu ne fait qu’empirer) s’inscrit également dans la lignée xénophobe de « Bienvenue en France ». L’article 7 met ainsi en place des dérogations au droit du travail pour les chercheur·ses étrangèr·es accueilli·es dans le cadre d’un séjour de recherche, que les universités peuvent désormais faire travailler sans leur fournir de contrat de travail, ni payer leurs cotisations sociales. Le projet de loi en fait donc officiellement des travailleur·ses de seconde classe. Dans le même esprit l’amendement 609, adopté, prévoit que des « formules de financement à la carte, telles que des coupons, pourront être définies pour soutenir le développement des missions d’expertise de doctorants auprès de petites et moyennes entreprise ». Par chance, c’est un amendement au rapport annexé, sans grande valeur légale, mais son adoption, conformément aux désirs de la Ministre, est éloquente.

      Pour en savoir plus sur les amendements adoptés, voici une très bonne analyse d’Academia.

      En ce jeudi 24 septembre, nous avons donc des raisons d’être inquièt·es et en colère. Le cœur de ce projet demeure extrêmement dangereux : il promet d’accroître les inégalités dans l’enseignement supérieur, d’aggraver la précarité, de renforcer les inégalités de genre et les autres dominations structurelles, de mettre l’existence même de notre service public en péril et de détruire les conditions dont nous avons besoin pour produire de la science. Tous ces éléments sont notamment documentés dans cette note des économistes atterré·es.

      Toutefois, il nous faut être lucides. Nos combats ont déjà porté des fruits : la LPPR n’est pas aujourd’hui ce qu’elle aurait été sans notre mobilisation. Bien des éléments que nous dénoncions (comme les modulations de service pour les enseignant·es-chercheur·ses) ont été sortis du projet de loi. Les mobilisations des précaires ont imposé l’inscription de la mensualisation des vacataires dans la loi. Certes, ce n’est pas assez : nous voulons la fin des vacations, des créations massives de postes et des moyens pérennes.
      Retenons tout de même cet enseignement : l’organisation collective et la lutte paient !

      Or, les collectifs se reforment partout et les avis très défavorables à la LPPR arrivent de toutes parts. Mardi 22 septembre, le Conseil économique social et environnemental (CESE) a adopté à l’unanimité (de la CGT au Medef !) un avis très défavorable au projet de loi, dont les préconisations principales se rapprochent des nôtres : des postes et des financements pérennes. Le même jour, plus de 800 directions de laboratoires, réunies au sein de l’Assemblée des directions de laboratoires, publiaient une tribune dans Le Monde, défendant un « l’ouverture de postes permanents et une meilleure dotation des laboratoires en moyens stables ».

      Où que nous soyons, quel que soit notre statut ou notre fonction : nous ne sommes pas seul·es !

      Cette rentrée 2020 se déroule dans des conditions catastrophiques, mettant cruellement en lumière la précarité et la pauvreté des étudiant·es, mais aussi le manque de moyens et de titulaires – enseignant·es-chercheur·ses comme BIATSS – dans les universités. Nos collègues, camarades et ami·es sont de plus en plus nombreux·ses à n’en plus pouvoir, à être submergé·es par l’écœurement, à quitter l’ESR.

      Mais lundi 21, malgré ce contexte, nous étions plusieurs centaines devant l’Assemblée !

      Ce vote de l’Assemblée est pour nous tou·tes le signal de la remobilisation. Dans les facs et les labos, des réunions et des assemblées générales s’organisent. Pour les nourrir, vous pouvez retrouver ici une sélection d’informations, d’analyses et d’outils militants autour de la LPPR et des autres attaques que subissent l’université et la recherche.

      Nous allons continuer d’interpeler les parlementaires, de dénoncer les conditions indécentes dans lesquelles nous devons accueillir les étudiant·es, de refuser la généralisation de la compétition de tou·tes contre tou·tes et la précarisation de la majorité au profit de quelques privilégié·es tou·tes puissant·es. Nous nous le devons à nous-mêmes, nous le devons à nos collègues et camarades les plus précaires. Nous le devons à l’ensemble de la société.

      Nous nous organisons, nous renforçons nos liens, nos solidarités. Nous construisons patiemment, minutieusement, le rapport de force qui, seul, pour sauver notre service public.

      Pour organiser la suite de la mobilisation, une rencontre nationale dématérialisée pour l’université et la recherche publiques aura lieu le 1er octobre 2020, de 18h à 20h, ici sur Discord. Ouverte à tou·tes, elle nous permettra de construire la prochaine grande mobilisation, au moment du passage de la loi au Sénat (mi-octobre).

      https://universiteouverte.org/2020/09/24/une-bataille-perdue-a-lassemblee-preparons-les-victoires-contre-l

    • LPpR : 48 voix pour, toute la communauté universitaire contre - 23 septembre 2020

      Il aura suffi de deux jours et demi à une poignée de députés pour voter cette loi.
      Que la communauté universitaire rejette en masse (sauf quelques carrièristes), ainsi que le CESE, le HCE, même le CÉ…

      Mais nous les voyons.

      les Valérie Gomez-Bassac, Pierre-Alain Raphan (qui confond doctorant et jeune chercheur), Danièle Hérin (qui ose « Une nouvelle voie de recrutement s’ouvre pour garder et dénicher des talents » les tocards déjà en poste ont apprécié) … qui votent CONTRE un amendement pourtant bien innocent :

      Les libertés académiques sont le gage de l’excellence de la recherche française. La liberté d’expression doit être garantie, en toutes circonstances, au bénéfice des enseignants chercheurs. Rejeté

      Et dès le lendemain, à la surprise générale :

      Thierry Coulhon doit être proposé par le président de la République pour la présidence du Hcéres le 15/10/2020, selon plusieurs sources proches du dossier contactées par @NewsTankHER, le 23/09


      Allégorie d’un poste à moustaches

      Et nous ??

      Pour contrer la LPPR, il faudrait que nous, universitaires, arrêtions d’en jouer le jeu. On ne candidate plus aux AAP délétères, on laisse l’ANR mourir à petit feu, on ne recrute plus de vacataires, on compte toutes nos heures pour faire les 1608 réglementaires et pas une de plus.
      On ne recrute plus de post-docs. On ne se réjouit plus d’avoir des sous pour financer un précaire 6 mois. On ne candidate pas à des financements doctoraux en faisant rentrer à la hache le projet dans une thématique et un vocabulaire start-up nation.
      On arrête de trouver qu’un jeune docteur qui n’a pas fait X années à l’étranger, n’a pas enseigné 432 heures, n’a pas écrit 4 articles dans des revues à comité de lecture, n’est pas compétent pour être MCF.
      Spoiler : on ne le fera jamais. Et cela m’interroge depuis longtemps. Les lois qui détruisent l’université depuis 15 ans, nous avons protesté contre, puis nous les avons sagement mises en œuvre.
      Nous pointons tous nos efforts pour faire tourner la boutique dans des conditions délétères, mais fort peu le fait que nous faisons aussi cela même que nous dénonçons.

      http://www.sauvonsluniversite.fr/spip.php?article8791
      #LPR

    • L’#université_résiliente : lettre ouverte à Frédérique Vidal

      À l’occasion d’une visite de Frédérique Vidal en Alsace, des personnels « résilients » de l’Université de Strasbourg adressent à la ministre une lettre ouverte dans laquelle ils l’alertent sur des conditions de travail déplorables. « La vraie résilience dans nos facultés et laboratoires, c’est le #démerdentiel permanent », écrivent-ils.

      Madame la Ministre,

      Vous visitez ce 1er octobre les universités alsaciennes, sous le signe de la « résilience », la résilience de notre territoire à la crise sanitaire, la capacité de résistance de notre recherche et de notre économie, à travers un appel à projet qui a pour intitulé ce nouveau mot de la lingua néolibérale : « #Résilience ».

      « Résilience, résilience… », le mot est à la mode, dans toutes les bouches, sous toutes les plumes. Un mot magique, suffisamment souple et désémantisé pour laisser entrevoir un espoir de renaissance et masquer toute la souffrance que les choix politiques de votre gouvernement ont provoquée. Un mot à nous endormir debout, seulement destiné à rendre une politique acceptable et un avenir désirable. Mais cet avenir est celui de l’enfer néolibéral, fait de précarité, de concurrence et de souffrance au travail. Madame la ministre, il en va de votre « résilience » comme de votre « excellence » et de vos « gouvernances », dont vos amis et vous-même avez la bouche pleine : un vernis posé par le libéralisme sur la réalité quotidienne que vivent les personnels de l’université et de la recherche.

      Alors, quelques-uns de ces personnels aimeraient vous dire très concrètement, en ce jour de célébration de l’Universelle Résilience dans les salons feutrés du Cardo et du Nouveau Patio, avec quelques invités triés sur le volet, en quoi consiste la résilience ordinaire de milliers d’agents de l’enseignement supérieur et de la recherche.

      La vraie résilience, c’est d’avoir suppléé aux carences de l’État en organisant pendant le confinement des collectes d’argent pour acheter des ordinateurs aux plus démunis et mis en place des livraisons de repas à des étudiants qui mouraient de faim.

      La vraie résilience, c’est d’avoir dû improviser un protocole sanitaire les premiers jours de la rentrée universitaire parce que votre ministère n’a pas été capable de travailler cet été à une circulaire destinée à protéger la santé des personnels et des étudiants.

      La vraie résilience, c’est de devoir désinfecter un bureau ou des tables avec un kleenex parce qu’il n’y a plus de papier.

      La vraie résilience, c’est de se protéger avec des masques achetés sur nos propres deniers et de les offrir à des étudiants qui n’ont pas les moyens de laver l’unique masque tissu qu’ils possèdent.

      La vraie résilience, c’est de refuser de faire cours dans un amphi bondé ou dans une salle sans fenêtre et de partir seul à la recherche d’une solution qui limite la prise de risque pour nous-mêmes et nos étudiants.

      La vraie résilience pour les composantes et laboratoires, c’est de devoir s’équiper en matériel sanitaire sur leurs propres crédits de fonctionnement et devoir s’organiser seuls parce que les services centraux n’ont plus les moyens d’organiser quoi que ce soit et que les budgets sont à sec.

      La vraie résilience dans nos facultés et laboratoires, c’est le démerdentiel permanent.

      La vraie résilience, c’est aussi, pour tous les chercheurs, de trouver la force de chercher encore un peu, après des journées entières consacrées à accomplir des tâches bureaucratiques aliénantes et inutiles ou à répondre à des appels à projets pour avoir des crédits.

      La vraie résilience, c’est d’emmener tous les soirs du travail chez soi, et pour certains d’accepter de travailler 70 ou 80 heures par semaine pour pallier le manque de postes et de personnels, afin que le système ne s’effondre pas totalement.

      La vraie résilience, c’est d’utiliser au quotidien, dans certains laboratoires, des sorbonnes* non conformes et de mettre ainsi en danger la santé et la vie des doctorants et des personnels.

      La vraie résilience, pour les représentants des personnels, c’est de devoir consacrer de plus en plus de temps à accompagner des personnels en souffrance, souvent victimes de pression au travail, de burn out ou de harcèlement, personnels à peine ou mal soutenus par une institution, qui est devenue elle-même une machine à briser les collectifs de travail et à briser des vies professionnelles et personnelles.

      La vraie résilience, pour les milliers de personnels précaires sans lesquels l’université et la recherche ne pourraient pas fonctionner, c’est d’accepter de travailler pour la moitié du salaire qu’ils devraient avoir, dans des conditions déplorables, et de continuer à se battre pour renouveler ou trouver un contrat qui aura les apparences de la décence.

      Face à l’insupportable que vous cautionnez et alimentez, Madame la ministre, les personnels et étudiants des universités auront bientôt complètement oublié ce que veut dire votre mot de « résilience ». Ils n’utilisent déjà plus votre langage et se souviennent de ce que signifie le mot « résistance » et les actions auxquelles ce mot renvoie.

      Madame la ministre, vous avez abandonné l’université. Comme Valérie Pécresse et Geneviève Fioraso avant vous, vous avez trahi l’idée même d’Université. Vous la destinez aux intérêts du privé et avec votre LPR vous nous promettez un enfer de précarité, dont nous ne voulons pas.

      Vous comprendrez qu’en ce jour nous ayons quelque difficulté à vous souhaiter la bienvenue. Nous vous prions néanmoins de bien vouloir accepter nos salutations les plus résilientes.

      Quelques personnels résistants de l’université de Strasbourg

      *Une sorbonne est une enceinte ventilée et enveloppante qui aspire les polluants et les rejette à l’extérieur. Elles équipent principalement les laboratoires de chimie. Un nombre considérable de sorbonnes ne sont pas aux normes dans les universités et les organismes de recherche. Les crédits ne sont pas suffisants pour les remplacer.

      https://blogs.mediapart.fr/pascal-maillard/blog/011020/l-universite-resiliente-lettre-ouverte-frederique-vidal

      #lettre_ouverte

    • LPPr : menaces sur une science indépendante et plurielle

      L’#innovation est « avant tout un mécanisme économique et non scientifique. Comme pour tout investissement, sa raison d’être demeure la #rentabilité et la conquête d’un #marché solvable ». Ces propos, tenus par Henri Guillaume et Emmanuel Macron en 2007 (1), guident de toute évidence l’inquiétant projet de loi de programmation pluriannuelle de la recherche (LPPR).

      https://www.ldh-france.org/wp-content/uploads/2020/10/HL191-Actualit%C3%A9-5.-LPPR-menaces-sur-une-science-ind%C3%A9pendante-e

    • #Sondage sur le projet de LPR

      La Conférence de présidents de sections et CID du Comité national (CPCN) réunie le 11 septembre 2020 a décidé de sonder la communauté scientifique sur certains éléments jugés centraux contenus dans le projet de loi de programmation de la recherche. Ce projet de loi est en cours d’examen par le Parlement. La CPCN constate qu’en l’état le projet de loi ne répond pas aux attendus qu’elle avait formulés le 17 janvier 2020, attendus qui s’appuyaient sur un diagnostic et des propositions adoptées le 4 juillet 2019 en session extraordinaire par le Comité national. La CPCN s’interroge sur les actions à entreprendre si la loi est adoptée sans tenir compte des attentes de la communauté scientifique. Le questionnaire vise à sonder l’opinion de la communauté. Pour en savoir plus sur la loi, nous avons listé ici un certain nombre de contributions et de points de vue.

      mercredi 16/09/20 - 16:08 - 0 réponses - lancement du sondage
      mercredi 07/10/20 - 23:59 - 10 321 réponses (parmi 31 134 connexions au questionnaire) - clôture du sondage

      D’après le rapport « L’état de l’Emploi scientifique en France », l’effectif total de R&D du secteur des administration était de 177 199 en 2015. On en déduit que près de 17% des collègues a été informé de ce sondage et y a prêté attention (plus de 30 000 connexions). Parmi ceux-ci, plus d’un tiers à rempli le formulaire (plus de 10 000 réponses).
      Répartition par statuts

      Une question concernait le statut des répondants. Le graphique qui suit permet de constater une diversité de situations. Les enseignants-chercheurs et les chercheurs forment l’effectif le plus important sans que ce soit une surprise étant donné que le questionnaire a été rédigé (et donc pensé) par les présidents du Comité national qui sont sur ces statuts. Pour autant les nombres de doctorants, personnels contractuels, IT et BIATTSS ne sont pas négligeables et montrent que l’intérêt pour une loi de programmation est largement diffusé au sein de la communauté

      Répartition par disciplines

      Une des questions du sondage porte sur le champ disciplinaire dans lequel travaille le répondant. Ce champ disciplinaire est mesuré par le numéro de section du Comité national. Les sections numérotées de 1 à 41 couvrent la totalité des disciplines scientifiques. La répartition des réponses est donnée dans le graphique qui suit. L’enseignement à tirer de ce graphique est que la totalité des disciplines a été sondée. Certaines ont des effectifs (EPST+Universités) plus nombreux que d’autres, ce qui explique pour partie les différences dans le nombre de réponses.

      Taux de réponse des chercheurs CNRS

      2 615 réponses sont faites par des chercheurs du CNRS ce qui représente près de 25% de l’effectif total. Ce taux de réponse est variable d’une section à l’autre comme indiqué sur le graphique suivant. Les couleurs correspondent à la répartition des sections par instituts du CNRS. Tous les grands domaines scientifiques ont participé à plus de 15% des effectifs.

      Attentes de programmation

      Les sondés étaient invités à indiquer quatre priorités de financement. Ils ont classé ces quatre priorités en commençant par (1) la plus importante.

      Sans équivoque, les sujets qui ressortent sont le financement de base des laboratoires, l’emploi de titulaires et les rémunérations de tous les personnels. Un autre sujet d’importance concerne le financement de toutes les thèses et l’augmentation de leur nombre.

      Remarque d’importance : alors même que le nombre d’IT et de BIATSS qui ont répondu au sondage est faible au regard de celui des chercheurs et enseignant-chercheurs, la demande d’augmentation de l’emploi IT et BIATSS exprimée par les sondés est à un haut niveau. 6 608 réponses mettent l’augmentation de l’emploi IT et BIATSS parmi les 4 priorités. La communauté est bien consciente que ces emplois ont fortement baissé ces dernières années et que cela pose des problèmes majeurs dans les laboratoires et les universités.

      On remarque par ailleurs un très faible taux de réponse en faveur de primes individualisées.

      ANR

      On constate sur le tableau précédent que l’augmentation du budget de l’ANR n’est pas une priorité forte. Ce résultat se retrouve dans les réponses indiquées sur le graphique qui suit (réponses à la question "L’augmentation envisagée du budget de l’ANR est"). Dans quasiment tous les cas, les répondants complètent leur appréciation sur l’augmentation du budget de l’ANR prévue dans la LPR en insistant sur l’importance de « mettre la priorité sur les financements de base » ou de ne pas opérer cette augmentation « au détriment des soutiens de base des laboratoires ». L’augmentation du budget de l’ANR est majoritairement (52%) jugée être un aspect négatif du projet de loi. Il manque clairement, aux yeux des répondants, une mesure forte en faveur de l’augmentation des crédits de base des laboratoires.

      Nature des emplois

      L’attente en termes de programmation est dans une très large mesure en faveur de l’augmentation d’emplois de titulaires (tableau précédent). Cela se retrouve dans le graphique qui suit (réponses à la question "Dans le projet de loi, la programmation de l’emploi de titulaires est"). 74% des réponses indiquent que la loi ne répond pas aux attentes sur le sujet. 39% des réponses jugent la programmation insatisfaisante et/ou trop incertaine. 35% la jugent très insatisfaisante.

      Ce résultat est corroboré par les réponses relatives à l’article 3 sur les « agents en voie de titularisation » DR ou PR calqués sur les recrutements appelés « Tenure Tracks » dans le système anglo-saxon. 77% des réponses est critique quant à cette mesure. 34% estime que c’est "Une mauvaise initiative si elle diminue les recrutements en Chargés de recherche et Maitres de conférences. 43% estime que c’est "Une très mauvaise initiative".

      Le même constat se retrouve dans l’opinion au sujet des CDI de mission. Ils recueillent 71% d’opinions négatives, dont pour moitié si c’est au détriment des emplois de titulaires.

      Ampleur de l’effort budgétaire

      Pour finir cette première analyse des résultats nous donnons l’appréciation sur l’effort budgétaire du projet de loi de programmation. Plus de la moitié (54%) des réponses indiquent que la programmation financière est « trop faible » ou « vraiment insiffisante ».

      Conclusion provisoire

      L’analyse du sondage n’est pas terminée. Il est anticipé de tirer des conclusions définitives. Cependant, cette première analyse confirme que pour la communauté scientifique la programmation projetée n’est pas à la hauteur des enjeux. L’augmentation budgétaire prévue n’est pas suffisante et il manque :

      une programmation de la hausse des dotations de bases aux laboratoires (qui rappelons-le ne sont pas des dotations automatiques mais attribuées dans un dialogue avec les établissements de tutelle des laboratoires après évaluation par les pairs),
      une programmation de la hausse de l’emploi de titulaires, dont un fort besoin d’emplois d’ingénieurs et techniciens.

      La réponse du gouvernement, qui sur ce dernier point répond par l’embauche d’agents contractuels et autres contrats précaires (hausse estimée à 15 000 dans l’annexe de la loi, soit 10% de hausse), n’est pas en phase avec les attentes de la communauté. Le Comité national s’est impliqué depuis février 2019 dans l’élaboration collective d’un diagnostic et de propositions pour la recherche. Les principales propositions qu’il a formulées sont à nouveau confirmées par ce sondage.

      https://www.c3n-cn.fr/sondageLPR

    • Note technique sur la programmation budgétaire

      Le projet de loi de programmation de la recherche pour les années 2021 à 2030, portant diverses dispositions relatives à la recherche et à l’enseignement supérieur (LPR) –initialement loi de programmation pluriannuelle de la recherche (LPPR) –sera examiné fin octobre au Sénat. Le gouvernement annonce un effort « exceptionnel », « sans précédent », de 25 milliards d’euros, en faveur de la recherche. Le projet de loi LPR s’accompagne d’un protocole d’accord « rémunérations et carrières 2021-2030 » décrit par la ministre F. Vidal comme rien moins que « le plus grand plan de revalorisations et de promotions des carrières scientifiques depuis des décennies ».Dans cette note technique, nous exposons la réalité de la programmation budgétaire de ce projet de loi, en examinant successivement : (1) le budget total programmé pour la recherche (programmes 150, 172 et 193 couverts par la LPR), (2) la part prévue pour l’Université (programme 150), (3) l’articulation au niveau budgétaire entre la LPR et la loi de réforme des retraites —telle qu’elle était prévue avant sa suspension temporaire, dans le contexte de sa reprise annoncée.

      http://rogueesr.fr/wp-content/uploads/2020/10/Note_programmation_budgetaire.pdf
      #budget

    • Info du budget LPR :

      Le projet de loi de finances 2021 apporte une preuve supplémentaire de l’insincérité budgétaire de la loi de programmation de la recherche. Du point de vue du ministère, les “crédits de la mission Enseignement Supérieur et Recherche du Projet de Loi de Finance ( #PLF2021) mentionnent une augmentation de 600 millions € sur les crédits du ministère et de 400 millions € pour la première marche de la #LoiRecherche.” Cependant, chacun peut vérifier dans le projet de loi de finance 2021 [] que les crédits de paiement de cette mission décroissent de 28,664 milliards € à 28,488 milliards €, soit -0,6%.

      Le rapport Rapin de la commission des finances du Sénat [*], déplore le jeu de bonneteau budgétaire du ministère, lié à la dette contractée par la France auprès de l’Agence spatiale européenne (ESA). Cette dette prise en compte, l’évolution budgétaire est évaluée à +104 millions € (+0,36%). Une fois l’inflation soustraite (estimée par l’INSEE à 0,7% en 2020), le budget de l’enseignement supérieur et de la recherche baisse donc de 100 millions €, environ.

      En conséquence, ni le glissement vieillesse technicité (0,45% en moyenne), ni le plan de revalorisations et de promotions des carrières scientifiques dont s’enorgueillit le MESRI ne sont financés.

      [] page 211

      http://www.assemblee-nationale.fr/dyn/15/textes/l15b3360_projet-loi.pdf

      [*] page 30 et 31

      http://www.senat.fr/rap/a20-032/a20-0321.pdf

      Reçu via la mailing-list Rogueesr du 26.10.2020

    • Malgré le vote de la loi recherche, ses opposants ne désarment pas

      L’Assemblée a adopté la loi recherche mardi, mais n’a pas éteint la contestation. Depuis la ministre se retrouve face à un front syndical uni, des présidents d’universités étant sommés d’expliquer leur soutien à ce texte.

      Pas de répit pour Frédérique Vidal. Le vote de sa loi de programmation pour la recherche à l’Assemblée hier n’a pas éteint les revendications des chercheurs, bien au contraire.

      Mercredi matin, les organisations syndicales, toutes les organisations syndicales, ont boycotté la réunion du Conseil national de l’enseignement supérieur et de la recherche. Elles « dénoncent la méthode employée par le gouvernement pour faire passer en force le texte de la loi de programmation de la recherche » et elles « demandent l’ouverture de négociations pour une autre loi de programmation et un plan pour l’emploi scientifique titulaire construits avec l’ensemble des acteurs et actrices de l’ESR ». Bref, la ministre est appelée à revoir sa copie.

      Les seuls soutiens de Frédérique Vidal dans l’élaboration de cette loi, les présidents des plus grosses universités sont aussi dans le viseur. La communauté leur demande de se positionner individuellement et publiquement sur le texte de loi. Ainsi, Michel Deneken, président de l’Université de Strasbourg, a-t-il reçu un courrier de la part du Doyen de sa faculté de Droit, s’enquerant de son avis sur ce texte et sur la méthode suivie pour son élaboration. « Cette information influencera, à n’en point douter, le choix de nombreux membres de notre communauté universitaire dans la perspective prochaine des élections des conseils centraux », menace la lettre.

      L’Université de Strasbourg est membre de l’Udice, l’association des dix « grandes universités de recherche pluridisciplinaires françaises », qui a défendu la LPR et notamment l’article décrié ouvrant un nouveau mode de recrutement des enseignants-chercheurs dans le but « de recruter les meilleurs candidats aux postes d’enseignants-chercheurs ».

      Tout au long des débats autour de cette LPR le gouvernement et ses maigres soutiens ont joué cette musique. Le but de cette loi serait de permettre de recruter des stars, jettant ainsi le discrédit sur les personnes recrutées actuellement.

      Libération a discuté avec un chercheur français, répondant aux critères d’excellence du gouvernement. Sylvain Deville est lauréat en 2011 de la très réputée bourse du conseil européen de la recherche qui lui a octroyé 1,5 million d’euros sur 5 ans pour ses recherches sur les matériaux. Aujourd’hui directeur de recherche au CNRS, il est pourtant opposé à cette loi.

      « Depuis l’épuisement de mon financement ERC, je fais comme tout le monde, je dépose des demandes de financement partout. En quatre ans, je n’ai pu obtenir que deux bourses de thèses qui touchent à leur fin. Cette loi met l’accent sur les appels à projet comme mode de distribution des moyens. Il n’y a pas d’engagement sur les budgets pérennes ni sur l’emploi. Nous sommes les seuls fonctionnaires à qui on ne donne pas les moyens d’exercer leur métier une fois recruté, déplore-t-il. Pour ce chercheur « Les signaux envoyés par la loi sont très négatifs, nous le paierons à long terme. Il est de plus en plus difficile de convaincre les jeunes de se lancer dans une carrière scientifique. Ce que nous demandons, ce sont des financements pérennes et un horizon pas trop bouché pour ceux qui viennent après nous ».

      Un appel intersyndical est lancé pour le 24 novembre pour que la LPR ne soit pas appliquée.

      https://www.liberation.fr/sciences/2020/11/18/malgre-le-vote-de-la-loi-recherche-ses-opposants-ne-desarment-pas_1805944

  • « Entre lampe à huile et chemins de fer, une histoire des techniques falsifiée a la cote au gouvernement » - Jean-Baptiste Fressoz
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/09/23/entre-lampe-a-huile-et-chemins-de-fer-une-histoire-des-techniques-falsifiee-

    La peur que le train aurait suscitée à ses débuts, argument utilisé pour dénigrer les craintes actuelles sur la 5G, est un mythe entretenu depuis un siècle et demi, rapporte dans sa chronique l’historien Jean-Baptiste Fressoz.

    Chronique. On pourrait croire que la sortie d’Emmanuel Macron sur la 5G, les amish et la lampe à huile n’était qu’un propos en l’air, une bêtise prononcée sans trop y penser. Il faut voir le discours en entier pour se convaincre du contraire : il s’agit en fait de sa « punchline » , inscrite dans ses notes et destinée à provoquer des applaudissements que le président prend le temps de savourer. C’est le seul élément que la presse a retenu de cette longue autocongratulation sur l’innovation, la French Tech, et « l’écosystème régulatoire ».

    Au sein du gouvernement, des ministres partagent cette pensée peu complexe. Ainsi, le secrétaire d’Etat aux transports, Jean-Baptiste Djebbari – un ancien pilote de jet privé qui promouvait, il y a peu, le développement des lignes interrégionales – attribue le refus de l’innovation à une sorte d’atavisme. Au début des chemins de fer, expliquait-il à la télévision, les Français auraient été effrayés que le train ne rende « sourd et aveugle » .

    Bêtisier médical

    Cette histoire est un mythe. On trouve certes dans les manuels d’obstétrique de brefs passages sur les dangers des longs voyages (en voiture comme en train) et des trépidations pour les femmes proches du terme de leur grossesse. De même, des médecins conseillaient aux lecteurs de reposer leur vue, mais cela n’avait rien de spécifique aux chemins de fer.

    En 1863, Louis Figuier (1819-1894), le grand vulgarisateur des sciences du XIXe siècle, en profite pour composer un petit bêtisier médical. Il mentionne, sans donner de référence, des accusations proférées par de doctes médecins : les chemins de fer causeraient des avortements et des troubles nerveux. La construction du mythe se poursuit en Allemagne.

    En 1889, l’historien allemand Heinrich von Treitschke (1834-1896) mentionne, sans plus de références, un rapport de 1835 du collège médical de Bavière qui conseillerait d’interdire les chemins de fer car leur vitesse faramineuse pourrait causer un « delirium furiosum » aux passagers. Cette anecdote connaît un succès extraordinaire. On la retrouve, par exemple, reprise par Hitler dans Mein Kampf ainsi que dans différents travaux historiques sur la révolution industrielle, à chaque fois mentionnée à propos des « résistances au progrès ».

    En France, elle est colportée par le comte de Villedeuil (1831-1906) dans sa monumentale Bibliographie des chemins de fer (1906), où il ajoute, parmi les conséquences du voyage en train, « la danse de Saint-Guy » produite par les trépidations. Il évoque aussi la cécité – les chemins de fer « enflammeraient la rétine » –, toujours sans donner de référence… malgré les 826 pages que compte ce recueil bibliographique.

    Ridiculiser tout débat

    En 1957, un article de L’Express , à l’occasion des cent vingt ans de l’inauguration de la ligne Paris-Saint-Germain, expliquait que, dans les années 1840, des « pythies sinistres » annonçaient que les chemins de fer « provoqueraient des maladies nerveuses, voire l’épilepsie et la danse de Saint-Guy » , qu’ils « enflammeraient la rétine et feraient avorter les femmes enceintes » . L’auteur ajoute : « Ce ne sont pas là les marmonnements de rebouteux, mais des prophéties communiquées publiquement à l’Académie de médecine. » Les historiens n’ont évidemment trouvé aucun rapport dans les archives, ni en Bavière ni à l’Académie de médecine…

    Notons pour conclure qu’en 1860, alors que naissait la rumeur d’une crainte liant folie et chemins de fer, les tribunaux commençaient à indemniser les traumatismes nerveux causés par les accidents ferroviaires, ce qui n’avait rien à voir avec la danse de Saint-Guy. En fait, les innombrables plaintes, procès et pétitions ne s’opposaient pas aux chemins de fer mais aux accidents qu’ils provoquaient et aux compagnies soupçonnées de faire des économies au détriment de la sécurité des voyageurs. La sécurité actuelle des systèmes ferroviaires est l’heureuse héritière de ces contestations.

    Entre la lampe à huile et les chemins de fer, l’histoire des techniques a décidément la cote au gouvernement, mais c’est une histoire falsifiée servant à ridiculiser tout débat. Car peu importe si les applications de la 5G sont encore floues, si les émissions de CO2 liées au numérique (déjà 4 % du total mondial) pourraient doubler d’ici à 2025, ou si les seuils de pollution électromagnétique sont définis par des experts financés par l’industrie des télécoms.

    La 5G doit se faire car, comme le dit notre président, « c’est le tournant de l’innovation » . Et puisqu’il appelle à un débat de « citoyens éclairés » sur la 5G, peut-être pourrait-il commencer par éviter les clichés technophiles les plus éculés.

  • Organizing amidst Covid-19


    Organizing amidst Covid-19: sharing stories of struggles
    Overviews of movement struggles in specific places

    Miguel Martinez
    Mutating mobilisations during the pandemic crisis in Spain (movement report, pp. 15 – 21)

    Laurence Cox
    Forms of social movement in the crisis: a view from Ireland (movement report, pp. 22 – 33)

    Lesley Wood
    We’re not all in this together (movement report, pp. 34 – 38)

    Angela Chukunzira
    Organising under curfew: perspectives from Kenya (movement report, pp. 39 – 42)

    Federico Venturini
    Social movements’ powerlessness at the time of covid-19: a personal account (movement report, pp. 43 – 46)

    Sobhi Mohanty
    From communal violence to lockdown hunger: emergency responses by civil society networks in Delhi, India (movement report, pp. 47 – 52)
    Feminist and LGBTQ+ activism

    Hongwei Bao
    “Anti-domestic violence little vaccine”: a Wuhan-based feminist activist campaign during COVID-19 (movement report, pp. 53 – 63)

    Ayaz Ahmed Siddiqui
    Aurat march, a threat to mainstream tribalism in Pakistan (movement report, pp. 64 – 71)

    Lynn Ng Yu Ling
    What does the COVID-19 pandemic mean for PinkDot Singapore? (movement report, pp. 72 – 81)

    María José Ventura Alfaro
    Feminist solidarity networks have multiplied since the COVID-19 outbreak in Mexico (movement report, pp. 82 – 87)

    Ben Trott
    Queer Berlin and the Covid-19 crisis: a politics of contact and ethics of care (movement report, pp. 88 – 108)
    Reproductive struggles

    Non Una Di Meno Roma
    Life beyond the pandemic (movement report, pp. 109 – 114)
    Labour organising

    Ben Duke
    The effects of the COVID-19 crisis on the gig economy and zero hour contracts (movement report, pp. 115 – 120)

    Louisa Acciari
    Domestic workers’ struggles in times of pandemic crisis (movement report, pp. 121 – 127)

    Arianna Tassinari, Riccardo Emilia Chesta and Lorenzo Cini
    Labour conflicts over health and safety in the Italian Covid19 crisis (movement report, pp. 128 – 138)

    T Sharkawi and N Ali
    Acts of whistleblowing: the case of collective claim making by healthcare workers in Egypt (movement report, pp. 139 – 163)

    Mallige Sirimane and Nisha Thapliyal
    Migrant labourers, Covid19 and working-class struggle in the time of pandemic: a report from Karnataka, India (movement report, pp. 164 – 181)
    Migrant and refugee struggles

    Johanna May Black, Sutapa Chattopadhyay and Riley Chisholm
    Solidarity in times of social distancing: migrants, mutual aid, and COVID-19 (movement report, pp. 182 – 193)

    Anitta Kynsilehto
    Doing migrant solidarity at the time of Covid-19 (movement report, pp. 194 – 198)

    Susan Thieme and Eda Elif Tibet
    New political upheavals and women alliances in solidarity beyond “lock down” in Switzerland at times of a global pandemic (movement report, pp. 199 – 207)

    Chiara Milan
    Refugee solidarity along the Western Balkans route: new challenges and a change of strategy in times of COVID-19 (movement report, pp. 208 – 212)

    Marco Perolini
    Abolish all camps in times of corona: the struggle against shared accommodation for refugees* in Berlin (movement report, pp. 213 – 224)
    Ecological activism

    Clara Thompson
    #FightEveryCrisis: Re-framing the climate movement in times of a pandemic (movement report, pp. 225 – 231)

    Susan Paulson
    Degrowth and feminisms ally to forge care-full paths beyond pandemic (movement report, pp. 232 – 246)

    Peterson Derolus [FR]
    Coronavirus, mouvements sociaux populaires anti-exploitation minier en Haïti (movement report, pp. 247 – 249)

    Silpa Satheesh
    The pandemic does not stop the pollution in River Periyar (movement report, pp. 250 – 257)

    Ashish Kothari
    Corona can’t save the planet, but we can, if we listen to ordinary people (movement report, pp. 258 – 265)
    Food sovereignty organising

    Dagmar Diesner
    Self-governance food system before and during the Covid-crisis on the example of CampiAperti, Bologna (movement report, pp. 266 – 273)

    URGENCI
    Community Supported Agriculture is a safe and resilient alternative to industrial agriculture in the time of Covid-19 (movement report, pp. 274 – 279)

    Jenny Gkougki
    Corona-crisis affects small Greek farmers who counterstrike with a nationwide social media campaign to unite producers and consumers on local level! (movement report, pp. 280 – 283)

    John Foran
    Eco Vista in the quintuple crisis (movement report, pp. 284 – 291)
    Solidarity and mutual aid

    Michael Zeller
    Karlsruhe’s “giving fences”: mobilisation for the needy in times of COVID-19 (movement report, pp. 292 – 303)

    Sergio Ruiz Cayuela
    Organising a solidarity kitchen: reflections from Cooperation Birmingham (movement report, pp. 304 – 309)

    Clinton Nichols
    On lockdown and locked out of the prison classroom: the prospects of post-secondary education for incarcerated persons during pandemic (movement report, pp. 310 – 316)

    Micha Fiedlschuster and Leon Rosa Reichle
    Solidarity forever? Performing mutual aid in Leipzig, Germany (movement report, pp. 317 – 325)
    Artistic and digital resistance

    Kerman Calvo and Ester Bejarano
    Music, solidarities and balconies in Spain (movement report, pp. 326 – 332)

    Neto Holanda and Valesca Lima [PT]
    Movimentos e ações político-culturais do Brasil em tempos de pandemia do Covid-19 (movement report, pp. 333 – 338)

    Margherita Massarenti
    How Covid-19 led to a #Rentstrike and what it can teach us about online organizing (movement report, pp. 339 – 346)

    Dounya
    Knowledge is power: virtual forms of everyday resistance and grassroots broadcasting in Iran (movement report, pp. 347 – 354)
    Imagining a new world

    Donatella della Porta
    How progressive social movements can save democracy in pandemic times (movement report, pp. 355 – 358)

    Jackie Smith
    Responding to coronavirus pandemic: human rights movement-building to transform global capitalism (movement report, pp. 359 – 366)

    Yariv Mohar
    Human rights amid Covid-19: from struggle to orchestration of tradeoffs (movement report, pp. 367 – 370)

    Julien Landry, Ann Marie Smith, Patience Agwenjang, Patricia Blankson Akakpo, Jagat Basnet, Bhumiraj Chapagain, Aklilu Gebremichael, Barbara Maigari and Namadi Saka,
    Social justice snapshots: governance adaptations, innovations and practitioner learning in a time of COVID-19 (movement report, pp. 371 – 382)

    Roger Spear, Gulcin Erdi, Marla A. Parker and Maria Anastasia
    Innovations in citizen response to crises: volunteerism and social mobilization during COVID-19 (movement report, pp. 383 – 391)

    Breno Bringel
    Covid-19 and the new global chaos (movement report, pp. 392 – 399)

    https://www.interfacejournal.net/interface-volume-12-issue-1

    #mouvements_sociaux #résistance #covid-19 #confinement #revue #aide_mutuelle #Espagne #résistance #Irlande #Kenya #impuissance #sentiment_d'impuissance #faim #violence #Delhi #Inde #féminisme #Wuhan #Pakistan #PinkDot #LGBT #Singapour #solidarité_féministe #solidarité #Mexique #care #Berlin #Allemagne #queer #gig_economy #travail #travail_domestique #travailleurs_domestiques #Italie #Egypte #travailleurs_étrangers #Karnataka #distanciation_sociale #migrations #Suisse #route_des_Balkans #Balkans #réfugiés #camps_de_réfugiés #FightEveryCrisis #climat #changement_climatique #décroissance #Haïti #extractivisme #pollution #River_Periyar #Periyar #souveraineté_alimentaire #nourriture #alimentation #CampiAperti #Bologne #agriculture #Grèce #Karlsruhe #Cooperation_Birmingham #UK #Angleterre #Leipzig #musique #Brésil #Rentstrike #Iran #droits_humains #justice_sociale #innovation #innovation_sociale

    ping @isskein @karine4

  • Municipales 2020 : quel bilan pour les candidatures citoyennes, malgré la forte abstention
    https://www.bastamag.net/municipales-2020-listes-citoyennes-bilan-abstention-Toulouse-Grenoble-Mont

    Ils et elles viennent de vivre leur premier engagement dans une campagne électorale au sein de listes qui se revendiquent comme citoyennes. Pour le podcast « Pensez les luttes », Radio Parleur et Bastamag donnent la parole à ces candidats et candidates pour tirer le bilan de ces élections municipales et de leurs propres expériences. Quelles perspectives pour la démocratie directe, participative ? Quel avenir pour les valeurs portées par ces listes citoyennes dont l’écologie ? Avec : Pierre (...) #Inventer

    / #Politique, Élections , #Innovation_politique

    #Élections_

  • Le « modèle Preston », ou comment une ville peut reprendre la main sur son économie, ses emplois et son bien-être
    https://www.bastamag.net/Municipales-modele-Preston-budgets-municipaux-emplois-locaux-cooperatives-

    La nouvelle génération de maires écologistes ou issus d’alliance de gauche qui vient d’être élue pourraient s’inspirer du modèle expérimenté à Preston au Royaume-Uni ou à Cleveland aux Etats-Unis : s’appuyer sur les marchés publics, la création de banques régionales et de coopératives de salariés pour « relocaliser » leurs budgets, et éviter qu’ils ne s’évaporent dans la globalisation financière. Explications. Un soir de printemps en 2013, deux conseillers municipaux de gauche ont franchi la porte du Grey Friars, (...) #Inventer

    / #Alternatives_concrètes, #Innovation_politique, #Europe, #Enquêtes, #Services_publics, A la (...)