• #Ospiti_in_arrivo, la risposta ai bisogni delle persone migranti che raggiungono #Udine

    Lo scorso anno l’associazione ha fornito quasi 1.300 pasti tra persone stabili nella città e altre appena arrivate dalla rotta balcanica e in viaggio verso altre destinazioni. Oltre all’attività in strada, i volontari e le volontarie garantiscono l’apertura di una scuola di italiano, uno sportello per il lavoro e una costante attività di sensibilizzazione

    “Una risposta dal basso che negli anni si è fatta via via sempre più articolata e puntuale”. Così descrive le sue attività Ospiti in arrivo, associazione di Udine che giorno dopo giorno ha visto crescere l’impegno dei “suoi” soci. Garantisce supporto a chi è in transito dopo essere arrivato dalla “rotta balcanica”, dà modo a chi sceglie di restare di partecipare a una scuola di italiano e accedere a uno sportello di orientamento al lavoro. A questo si aggiungono le iniziative culturali per sensibilizzare la cittadinanza: tante attività che sono confluite in un report pubblicato a fine dicembre. “Racchiudere quanto fatto nel 2023 era fondamentale per diverse ragioni -racconta Davide Castelnovo, attivista dell’associazione nata nel 2014 in risposta all’aumento dei flussi in Friuli-Venezia Giulia delle persone provenienti soprattutto da Afghanistan e Pakistan-. Da un lato informare la cittadinanza sulla nostra attività per far capire meglio di che cosa ci occupiamo, dall’altro avere in mano dati statistici più elaborati sui flussi che interessano la nostra città”.

    Nel 2023 Ospiti in arrivo ha incontrato 762 persone, con il picco più rilevante che è stato registrato nel primo trimestre: i principali Paesi di provenienza dei transitanti sono stati Bangladesh (22,9%), Marocco (18,8%%), Afghanistan (14,9%), Pakistan (10,9%) e India (9,9%). Nel 97% dei casi si è trattato di uomini soli e quasi l’80% di loro era di passaggio. “Un dato molto interessante che sfugge alle statistiche ufficiali di questura e prefettura e non avremmo ottenuto senza il lavoro di raccolta informazioni della nostra équipe di strada”, sottolinea Castelnovo.

    I volontari e le volontarie dell’associazione si recano in diversi punti nevralgici della città, soprattutto in stazione, tre volte alla settimana: offrono un tè, un pasto caldo (in totale 1.298 in un anno) e beni di prima necessità come coperte. Solo il 20% delle persone supportate, come detto, è stabile a Udine e di queste il 14% è di nazionalità italiana. E sotto questo punto di vista, il 2023 è stato un anno di attività intense anche per l’impossibilità di accedere all’accoglienza per chi richiede asilo. “Circa 200 persone vivono per strada per l’assenza di posti e trasferimenti -prosegue l’attivista- con un grosso problema relativo anche alle condizioni di chi vive nella caserma Cavarzerani (ne abbiamo parlato qui). Nei primi mesi dello scorso anno, poi, abbiamo garantito supporto anche a chi dormiva nelle tende all’esterno del centro (Cara) di Gradisca d’Isonzo”.

    Una fetta rilevante delle energie dei circa 50 attivisti è dedicata poi alla la “Refugees public school”, una scuola di italiano gratuita avviata nel 2015 in collaborazione con il circolo Arci MissKappa che mette a disposizione i locali di via Bertaldia. Nel 2023 i numeri sono raddoppiati: 2.250 presenze, per quasi la metà di minorenni. Le lezioni si tengono due volte alla settimana e hanno la durata di due ore ciascuna: una decina di insegnanti volontari segue all’incirca 20-30 allievi che vengono suddivisi in piccoli gruppi. In totale sono state 1.440 le ore di formazione linguistica garantita soprattutto a persone provenienti da Pakistan (36,5%), Albania (23,1%), Egitto (13%), Bangladesh (10,6%) e Kosovo (6,7%).

    In seguito all’arrivo dei profughi ucraini Ospiti in arrivo ha dato avvio, grazie alla collaborazione della Ong Terre des Hommes, a corsi specificamente pensati per donne e bambini: mentre le mamme imparano la lingua italiana, i figli vengono aiutati nei compiti o in attività di gioco se in età non scolare. Sono state 1.319 le presenze in totale: principalmente persone ucraine (30%) ma via via anche di altre nazionalità. Soprattutto sudanese (30%). “Numeri elevati che dimostrano quanto sia importante l’impegno dei nostri volontari”, osserva Castelnovo. Oltre alla scuola, a partire da quest’anno l’associazione ha attivato uno sportello per supportare le persone straniere nella ricerca del lavoro: il sabato mattina, su appuntamento, i richiedenti asilo possono recarsi al circolo MissKappa dove i volontari li aiutano a compilare e inviare il curriculum.

    Ospiti in arrivo non riceve finanziamenti pubblici ma porta avanti le sue attività con l’aiuto di privati, anche coinvolgendo attivamente la cittadinanza. Ogni mercoledì, infatti, presso il circolo Arci MissKappa vengono raccolti beni di prima necessità come coperte e prodotti per l’igiene personale. Ma non solo. Un’altra colonna portante dell’impegno dell’associazione passa attraverso la sensibilizzazione e la formazione. A inizio settembre 2023 si è svolta la quinta edizione di “Diritti in festa”, festival che accende ogni anno i riflettori sul tema dei diritti umani (c’eravamo anche noi di Altreconomia). “Speriamo che il report aiuti ancor di più a capire alla città di che cosa ci occupiamo -conclude Castelnovo- perché lo facciamo e soprattutto quali sono i ‘frutti’ del nostro impegno: ogni anno sempre più intenso”.

    https://altreconomia.it/ospiti-in-arrivo-la-risposta-ai-bisogni-delle-persone-migranti-che-ragg

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #solidarité #Italie

  • À la frontière italo-slovène, les migrants oubliés de la route balkanique

    L’extrême nord-est de l’Italie est la porte d’entrée dans le pays des migrants qui ont traversé l’Europe par la route des Balkans. Des centaines d’entre eux se retrouvent à survivre dans la rue. Les associations dénoncent un abandon de l’État.

    La Piazza della Libertà s’illumine des halos jaunes des réverbères. À mesure que les heures s’égrènent dans la nuit, de petits groupes d’hommes s’installent près des bancs verts. Ils sont presque tous afghans ou pakistanais, emmitouflés avec les moyens du bord, contraints de vivre à la rue depuis quelques jours pour les plus chanceux, quelques mois pour les autres. Juste en face, c’est la gare et ses promesses de poursuivre la route à bord d’un wagon chaud plutôt qu’à pied.

    S’y croisent ceux qui sont montés à bord à Ljubljana ou à Zagreb, les capitales slovène et croate, direction Trieste, et ceux qui poursuivent leur voyage vers l’Europe du Nord, avec Milan ou Venise comme étapes suivantes.

    Ce soir-là, une quinzaine d’Afghans arrivent tout juste de la frontière slovène, à moins de dix kilomètres du centre-ville de Trieste. Ils sont venus à pied. L’un d’eux, visiblement heureux d’être arrivé, demande à son ami de le prendre en photo, pouces vers le haut, dans l’air gelé des températures à peine positives. Demain ou après-demain, promet-il, il continuera sa route. En attendant, les autres lui indiquent le Silos, un ensemble de grands entrepôts de l’époque austro-hongroise s’étendant derrière la gare et devenus le refuge insalubre et précaire d’environ quatre cents migrants.

    Aziz Akhman est l’un d’eux. Ce Pakistanais de 32 ans a fui les attentats aux voitures piégées, l’insécurité et les rackets qui gangrènent sa région d’origine, à la frontière avec l’Afghanistan. Quand son magasin a été incendié, il est parti. « J’ai mis quatre mois à arriver en Italie, explique-t-il. J’ai déposé une demande d’asile. » Chaque nuit, seule une fine toile de tente le sépare de la nuit glacée qui enveloppe le Silos. Les heures de sommeil sont rares, grignotées par le froid de l’hiver.

    « La vie ici est un désastre », commente Hanif, un Afghan de 25 ans qui passe, lui aussi, ses nuits au Silos. Son rêve, c’est Montbéliard (Doubs), en France. « Tous mes amis et certains membres de ma famille vivent là-bas. J’y ai passé six mois avant d’être renvoyé en Croatie », raconte le jeune homme, qui avait donné ses empreintes dans le pays et y a donc été expulsé en vertu des accords de Dublin. À peine renvoyé en Croatie, vingt jours plus tôt, il a refait le chemin en sens inverse pour revenir en France. Trieste est juste une étape.

    « Ici convergent aussi bien ceux qui sont en transit que ceux qui restent », explique Gian Andrea Franchi. Ce retraité a créé l’association Linea d’Ombra avec sa femme Lorena Fornasir à l’hiver 2019. « On s’est rendu compte que de nombreuses personnes gravitaient autour de la gare et qu’une bonne partie dormait dans les ruines du vieux port autrichien, se remémore-t-il en pointant la direction du Silos. Ils ne recevaient aucune aide et vivaient dans des conditions très difficiles. » Depuis, l’association distribue des vêtements, des couvertures, des tentes, offre des repas et prodigue des soins médicaux.

    Sur l’un des bancs, Lorena Fornasir a déployé une couverture de survie dont les reflets dorés scintillent dans la pénombre. « Quand ces hommes arrivent, ils ont souvent les pieds dans un tel état qu’on dirait qu’ils reviennent des tranchées », explique cette psychothérapeute à la retraite qui panse, soigne, écoute chaque soir ceux qui en ont besoin.

    « Ceux qui dorment au Silos sont tous tombés malades à cause des conditions dans lesquelles ils vivent, c’est une horreur là-bas : ils ont attrapé des bronchites, des pneumonies, des problèmes intestinaux, et beaucoup ont d’énormes abcès dus aux piqûres d’insectes et aux morsures de rats qui s’infectent », poursuit Lorena Fornasir, avant d’aller chercher dans sa voiture quelques poulets rôtis pour les derniers arrivés de la frontière slovène, affamés et engourdis par le froid. Les soirs d’été, lorsque le temps permet de traverser les bois plus facilement, ce sont parfois près de cinq cents personnes qui se retrouvent sur celle que le couple de retraités a rebaptisée « La Place du Monde ».
    Une crise de l’accueil

    Dans les bureaux de l’ICS, Consortium italien de solidarité, Gianfranco Schiavone a ces chiffres parfaitement en tête et ne décolère pas. Derrière l’écran de son ordinateur, il remonte le fil de ses courriels. Devant lui s’ouvre une longue liste de noms. « On a environ 420 demandeurs d’asile qui attendent une place d’hébergement ! », commente le président de l’ICS, fin connaisseur des questions migratoires dans la région. « Depuis un an et demi, ces personnes sont abandonnées à la rue et ce n’est pas à cause de leur nombre, particulièrement élevé… Au contraire, les arrivées sont modestes », explique-t-il en pointant les chiffres publiés dans le rapport « Vies abandonnées ».

    En moyenne, environ quarante-cinq migrants arrivent chaque jour à Trieste. Le chiffre est plutôt stable et pourrait décroître dans les semaines à venir. La neige a souvent ralenti les départs en amont, le long des passages boisés et plus sauvages de la route balkanique.

    Selon les estimations de l’ICS, entre 65 et 75 % des migrants qui arrivent à Trieste repartent. Le quart restant dépose une demande d’asile. Selon les règles en vigueur en Italie, les demandeurs d’asile sont hébergés dans des centres de premier accueil, le temps que les commissions territoriales examinent leur demande. L’ICS gère deux de ces centres, installés à quelques centaines de mètres de la frontière slovène. Les migrants devraient y rester quelques jours puis être redispatchés dans d’autres régions au sein de centres de plus long accueil.

    Faute de redistribution rapide, les centres d’accueil temporaire sont pleins et les nouveaux arrivants se retrouvent à la rue, dépendant uniquement du système d’hébergement d’urgence, déjà sursollicité par les SDF de la ville. À Trieste même, les près de 1 200 places d’hébergement à long terme disponibles pour les demandeurs d’asile sont toutes occupées.

    « On ne se retrouve pas avec quatre cents personnes arrivées en une journée qui ont mis en difficulté le système d’accueil, regrette Gianfranco Schiavone, mais avec de petits groupes volontairement laissés à la rue dont l’accumulation, jour après jour, a fini par donner ce résultat. » Il livre l’analyse suivante : « Ces conditions de vie poussent ces personnes vers la sortie. Le premier objectif est de réduire au maximum le nombre de demandeurs d’asile que l’État doit prendre en charge. Le deuxième, plus politique, est de créer une situation de tension dans l’opinion publique, de donner l’image de centaines de migrants à la rue et d’entretenir l’idée que les migrants sont vraiment trop nombreux et que l’Italie a été abandonnée par l’Europe. »

    Interrogée, la préfecture n’a pas souhaité répondre à nos sollicitations, renvoyant vers le ministère de l’intérieur. Le cabinet du maire, lui, renvoie aux prises de position déjà exprimées dans la presse locale. La position de l’édile de la ville est sans appel : il ne fera rien.
    L’accord Albanie-Italie suspendu

    Récemment, un important dispositif policier a été déployé dans la région. Le 18 octobre, après l’attentat contre des supporteurs suédois à Bruxelles, le gouvernement de Giorgia Meloni a décidé de fermer sa frontière avec la Slovénie. Le traité de Schengen a été provisoirement suspendu pour prévenir d’éventuelles « infiltrations terroristes » via la route balkanique.

    « C’est nécessaire, en raison de l’aggravation de la situation au Moyen-Orient, l’augmentation des flux migratoires le long de la route balkanique et surtout pour des questions de sécurité nationale », a justifié la cheffe du gouvernement. 350 agents ont été déployés dans le Frioul-Vénétie Julienne, le long des 230 kilomètres de la frontière italo-slovène. Initialement prévus pour dix jours, les contrôles aux frontières ont déjà été prolongés deux fois et sont actuellement en vigueur jusqu’au 18 janvier 2024.

    Avec ce tour de vis sur sa frontière orientale, l’Italie tente de maintenir une promesse qu’elle ne parvient pas à tenir sur son front méditerranéen : verrouiller le pays. Car après l’échec de sa stratégie migratoire à Lampedusa en septembre, Giorgia Meloni a redistribué ses cartes vers les Balkans. À la mi-novembre, la cheffe du gouvernement s’est rendue en visite officielle à Zagreb pour discuter, notamment, du dossier migratoire. Mais son dernier coup de poker, c’est l’annonce d’un accord avec l’Albanie pour y délocaliser deux centres d’accueil pour demandeurs d’asile.

    L’idée est d’y emmener jusqu’à 3 000 personnes, immédiatement après leur sauvetage en mer par des navires italiens. Sur place, la police albanaise n’interviendra que pour la sécurité à l’extérieur du centre. Le reste de la gestion reste entièrement de compétence italienne. La mise en service de ces deux structures a été annoncée au printemps. Le dossier semblait clos. À la mi-décembre, la Cour constitutionnelle albanaise a finalement décidé de suspendre la ratification de l’accord. Deux recours ont été déposés au Parlement pour s’assurer que cet accord ne viole pas les conventions internationales dont est signataire l’Albanie. Les discussions devraient reprendre à la mi-janvier.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/080124/la-frontiere-italo-slovene-les-migrants-oublies-de-la-route-balkanique
    #Slovénie #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #route_des_Balkans #Balkans #Trieste #sans-abrisme #SDF #hébergement #réfugiés_pakistanais #réfugiés_afghans #Silos #Linea_d’Ombra #solidarité #ICS

  • Sulla differenziata dei rifiuti tessili l’Italia è ancora all’anno zero

    Dal primo gennaio 2022 è entrato in vigore l’obbligo di raccolta separata per i vecchi vestiti che vengono gettati. A oggi sono poche le esperienze sui territori: manca una regia a livello nazionale che permetta alla filiera di strutturarsi

    Nonostante l’attenzione maniacale degli abitanti di Capannori (LU) per ridurre la produzione di rifiuti e per differenziare il più possibile le singole frazioni, una quota significativa di vecchie magliette, jeans e giacche dismessi perché troppo stretti o fuori moda continuava a sfuggire alla raccolta. “Già da tempo avevamo i cassonetti dedicati, ma da un’analisi sui materiali presenti nei sacchi ‘grigi’ è emerso che i tessili rappresentavano ancora il 15% della frazione indifferenziata”, spiega ad Altreconomia l’assessore comunale all’Ambiente, Giordano Del Chiaro-. Così abbiamo deciso di togliere i cassonetti e a luglio 2022 abbiamo avviato la raccolta porta a porta”.

    Ai cittadini viene consegnato un apposito sacco trasparente -che viene ritirato ogni due mesi- dove possono mettere indumenti, scarpe, borse, coperte, cuscini, lenzuola e tovaglie senza preoccuparsi delle loro condizioni: è possibile, infatti, conferire anche capi danneggiati o usurati. “La sperimentazione è andata bene, anche per merito dei cittadini di Capannori che sono molto sensibili a questi temi -sottolinea l’assessore-. Nel 2023 il porta a porta è diventato strutturale per questa frazione e si inserisce all’interno di un progetto più ampio: attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) abbiamo ottenuto un finanziamento da cinque milioni di euro per l’attivazione di centro di selezione con una capacità di trattamento di 6.500 tonnellate l’anno”.

    Qui si svolgeranno le attività di selezione dei capi, separando quelli rovinati da quelli in buone condizioni, i maglioni di lana dai jeans, i vestiti invernali da quelli estivi e così via con l’obiettivo di incanalarli separatamente lungo la filiera più corretta: il riutilizzo (ad esempio la commercializzazione sul mercato second hand), il riciclo (il recupero della fibra per produrre nuovi capi o l’utilizzo del materiale tessile di scarto per realizzare imbottiture) o, in quota residua, per tutto quello che non è possibile utilizzare altrimenti, lo smaltimento.

    Quella di Capannori è una delle poche novità che si sono registrate nel settore da quando, il primo gennaio 2022, è entrato in vigore l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili in base a quanto previsto dal decreto legislativo 116/2020 con cui l’Italia ha anticipato di tre anni l’attuazione di uno dei decreti contenuti nel “Pacchetto di direttive sull’economia circolare” adottato dall’Unione europea nel 2018. “Non si sta facendo nulla per organizzare la raccolta differenziata a livello nazionale, che però dovrà tassativamente entrare in vigore nel 2025 in base a quanto previsto dalle normative europee -commenta Rossano Ercolini, presidente della Rete Zero Waste Europe-. Da un punto di vista operativo sono stati due anni persi, anche se alcune realtà hanno iniziato a porsi il problema e a sperimentare modelli”.

    “L’assenza di una norma di riferimento pone tutti in una situazione di attesa che non aiuta le aziende e ovviamente neanche l’ambiente” – Giancarlo Dezio

    A fronte dell’obbligo di avvio della raccolta differenziata non sono stati approvati i provvedimenti necessari a strutturare la filiera. Aziende e consorzi sono quindi ancora in fase di attesa: “Abbiamo sollecitato i ministeri interessati a redigere un testo attorno al quale potersi confrontare per rendere a tutti gli effetti operativa la gestione dei prodotti tessili -spiega ad Altreconomia Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecotessili, consorzio nato nel 2021 per iniziativa di Federdistribuzione-. L’assenza di una norma di riferimento pone tutti in una situazione di attesa che non aiuta le aziende e ovviamente neanche l’ambiente”. Oltre a Ecotessili, in questi anni hanno preso vita anche altre realtà, tra cui Re.Crea, coordinato dalla Camera nazionale della moda, Cobat Tessile e Retex.Green, lanciato dal Sistema moda Italia (Smi) ed Erion.

    A questo si aggiunge il fatto che solo a inizio luglio 2023 la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta per la revisione della Direttiva quadro sui rifiuti (tra cui i tessili) che comprende anche la creazione di sistemi di Responsabilità estesa del produttore (Erp) obbligatori e armonizzati tra tutti i Paesi dell’Unione: sul modello di quanto avviene, ad esempio, per i rifiuti elettrici ed elettronici, i marchi di moda e i produttori tessili saranno tenuti a pagare un contributo per ogni capo immesso sul mercato, che andrà poi a coprire i costi di raccolta, selezione, riutilizzo e riciclo. Una proposta accolta con favore dalla Federazione europea di organizzazioni ambientaliste (European environmental bureau) che invita la Commissione a fissare obiettivi ambiziosi: “L’Ue si è impegnata a fermare la fast fashion. Ora è giunto il momento di una politica veramente trasformativa, che stabilisca contributi adeguati -ha dichiarato Emily Macintosh, senior policy officer della federazione per il settore tessile-. Non possiamo regalare ai brand un lasciapassare per continuare a produrre in eccesso capi di bassa qualità progettati per una breve durata di vita e aspettarci di riciclare quantità sempre maggiori di rifiuti tessili”. I tempi per l’approvazione della direttiva però si prospettano lunghi, anche alla luce delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del giugno 2024.

    Tra chi guarda con attenzione a quello che succede a Bruxelles ci sono anche le tante realtà del mondo della cooperazione sociale cui, da anni, molti Comuni italiani o municipalizzate affidano la raccolta di questa frazione. “Quaranta realtà che aderiscono a Confcooperative Federsolidarietà raccolgono circa 50mila tonnellate di rifiuti tessili, quasi un terzo del totale a livello nazionale. Sono presenti in 11 Regioni e attraverso questa attività creano occupazione per oltre cinquemila lavoratori, di cui 1.500 persone con disabilità o soggetti svantaggiati -spiega ad Altreconomia il presidente Stefano Granata-. Abbiamo preso consapevolezza della nostra forza e delle competenze accumulate in questi anni sui tanti territori in cui siamo presenti: abbiamo una rete capillare e diffusa, ma quello che ci manca è dare una risposta più strutturata alle fasi successive della filiera.

    Sono 50mila le tonnellate di rifiuti tessili che raccolgono le quaranta realtà aderenti a Confcooperative Federsolidarietà, circa un terzo del totale a livello nazionale. Sono presenti in 11 Regioni e attraverso questa attività creano occupazione per oltre cinquemila lavoratori, di cui 1.500 persone con disabilità o soggetti svantaggiati

    Per questo vogliamo crescere ancora, anche per creare più posti di lavoro, e nel corso del 2024 daremo vita a un’associazione per riunire tutte le nostre realtà attive nel settore”. Tra quelle che hanno iniziato a tracciare un percorso virtuoso lungo i passaggi successivi alla raccolta c’è Vestisolidale, una delle nove cooperative della rete Riuse attiva in circa 400 Comuni delle province di Milano, Varese, Monza e Brianza, Bergamo e Brescia che nel corso del 2022 ha raccolto e avviato al recupero circa 13mila tonnellate di rifiuti tessili. “A oggi il sistema è stato incentrato sulla presenza di cassonetti dedicati all’abbigliamento in buone condizioni, mentre tutto il resto spesso finiva nell’indifferenziata -spiega Matteo Lovatti, presidente di Vestisolidale-. In un anno noi mediamente raccogliamo 4,5 chili per abitante, ma le stime parlano di un immesso al consumo di 20 chili all’anno per persona. La sfida è riuscire a intercettare quella differenza”.

    Ma la raccolta non è tutto. Già da alcuni anni, infatti, Vestisolidale gestisce negozi per la vendita diretta di capi second hand e nel 2024 metterà in funzione anche uno stabilimento con sede a Rho, Comune alle porte di Milano, per la selezione e la preparazione del materiale tessile per le successive fasi di lavorazione: “L’impianto è stato autorizzato per trattare 20mila tonnellate di materiale all’anno e a regime contiamo di assumere una trentina di dipendenti”, aggiunge Lovatti. L’occhio esperto dei selezionatori permette di andare a dividere quei capi che possono essere re-immessi in commercio da quelli che invece devono essere destinati al riciclo e, più nel dettaglio, di separare le singole fibre che possono così essere trasformate in “materia prima-seconda” per la produzione di nuovi capi in cotone, lana o cachemire rigenerato.

    “Focalizzarsi sulla gestione dei rifiuti e non su come e quanto si produce significa ignorare il vero problema. La circolarità rischia di essere una scappatoia” – Dario Casalini

    “In Italia è presente una rete molto forte di realtà che hanno una grande esperienza e professionalità in merito al riutilizzo della frazione tessile -sottolinea Raffaele Guzzon, presidente del consorzio Erion, che riunisce realtà come Amazon, Artsana e Save the Duck-. Ma quello su cui vogliamo puntare è garantire la corretta gestione delle frazioni non riutilizzabili e che non possono essere re-immesse sul mercato del second hand: guardiamo ad esempio alle aziende che si stanno specializzando nel riutilizzo degli scarti tessili per produrre imbottiture o materiali fonoassorbenti”.

    Chi invece prova a fare un passo indietro e osservare la questione della gestione dei rifiuti tessili nel suo complesso è Dario Casalini, già docente di Diritto pubblico, oggi amministratore delegato del marchio di maglieria Oscalito 1936 e fondatore della rete Slow Fiber, una realtà che vuole essere un’alternativa al fenomeno dilagante del fast fashion. “Preoccuparsi solo dell’ultima fase di vita dei capi d’abbigliamento è come curare un mal di testa senza intervenire sulle cause -spiega-. Focalizzarsi sulla gestione dei rifiuti tessili e non su come e quanto si produce significa ignorare il vero problema. Tutta l’attenzione che, anche a livello europeo, si sta mettendo sulla circolarità è positiva, ma c’è il rischio che possa essere una scappatoia per consentire al sistema della moda di continuare a operare come sta facendo ora”.

    https://altreconomia.it/sulla-differenziata-dei-rifiuti-tessili-litalia-e-ancora-allanno-zero
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  • Sauvetages en mer : l’Italie immobilise à nouveau l’Ocean Viking pour 20 jours - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54234/sauvetages-en-mer--litalie-immobilise-a-nouveau-locean-viking-pour-20-

    Sauvetages en mer : l’Italie immobilise à nouveau l’Ocean Viking pour 20 jours
    Par La rédaction Publié le : 02/01/2024
    Le navire SOS Méditerranée est bloqué au port de Bari pendant vingt jours pour n’avoir pas respecté l’instruction des autorités italiennes de rentrer le plus vite possible après un sauvetage en Méditerranée.
    Bis repetita. Les autorités italiennes ont immobilisé pour la deuxième fois cet hiver l’Ocean Viking, le navire humanitaire de SOS Méditerranée, à Bari (sud-est de l’Italie), a annoncé dimanche 31 décembre l’ONG basée à Marseille, dans le sud-est de la France. Le bateau est accusé d’avoir changé de cap après des sauvetages. Il sera immobilisé 20 jours.
    La nouvelle loi italienne dont parle l’ONG - plus précisément le décret Piantedosi - régit les activités des navires de sauvetage en Méditerranée et oblige les ONG à se rendre « sans délai » au port de débarquement assigné par les autorités italiennes juste après un premier sauvetage. Les autorités italiennes accusent l’Ocean Viking « de ne pas avoir respecté l’instruction de se diriger sans délai, à la vitesse maximale et en suivant une route directe vers le lieu sûr », en l’occurrence Bari, qu’elles lui avaient assigné.
    Au cours de trois opérations, le navire avait secouru mercredi 244 migrants au large de la Libye, parmi lesquels huit femmes, dont deux enceintes, 18 mineurs non accompagnés et quatre enfants de moins de quatre ans.Alors qu’il se dirigeait vers le port italien, l’Ocean Viking a reçu une nouvelle alerte concernant au moins 70 personnes en détresse à bord d’une embarcation de fortune située à 15 miles nautiques (24 km) de distance. Une mise à jour de la position démontrera que l’embarcation se situait finalement à 60 miles nautiques (97 km), relate l’association.L’Ocean Viking n’étant plus en mesure de porter assistance, il a « immédiatement repris sa trajectoire » vers le port de Bari qu’il a « atteint sans délai supplémentaire », précise l’ONG, évoquant un changement de cap « mineur ». Ces personnes n’ont finalement pas été secourues par l’Ocean Viking, explique l’association à l’AFP, sans pouvoir préciser si elles ont pu être sauvées."En l’absence d’aucune indication qu’un autre navire viendrait au secours de ces personnes en détresse, nous n’avions tout simplement pas d’autre choix légal et moral que de répondre à cette alerte. Toute autre décision aurait constitué une violation du droit international", relève l’ONG.
    Le 15 novembre déjà, les autorités italiennes avaient ordonné une immobilisation de 20 jours du navire et lui avaient demandé de payer une amende de 3 300 euros. Leur tort : avoir porté secours à deux embarcations en détresse sans en avoir reçu l’autorisation en amont par les autorités compétentes.Dans son communiqué, SOS Méditerranée avait là encore justifié sa démarche. « Nous avons constamment communiqué de façon transparente et proactive avec toutes les autorités compétentes tout au long de nos missions de recherche et de sauvetage, tout en cherchant activement leur coordination [...] Laisser des naufragés à la dérive en mer est non seulement illégal au regard du droit maritime international mais aussi inhumain ». Au total, en 2023, l’Ocean Viking a subi trois immobilisations. En juillet 2023, les autorités italiennes avaient identifié des problèmes concernant les « radeaux de survie » du bateau humanitaire et demandait son immobilisation « pour une durée indéterminée ». SOS Méditerranée a secouru plus de 39 000 personnes en Méditerranée depuis 2016, principalement en Méditerranée centrale, la route migratoire la plus dangereuse du monde. En 2023, 2 340 migrants y sont morts noyés en tentant de rejoindre l’Europe, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM).

    #Covid-19#migrant#migration#italie#routemigratoire#mediterranee#oceanvicking#OIM#humanitaire#décretpiantedosi#sante#mortalite

  • a une totale défiance envers les ceusses qui font mais ne pensent pas ; elle leur préfère (de loin !) celleux qui pensent mais ne font pas. Quid des ceusses qui pensent et qui font ? Ha ha, c’est comme les fourmis de dix-huit mètres avec un chapeau sur la tête, ça n’existe pas ! Dans le dictionnaire de la Dictatature du punkàchiennariat, action et lucidité sont antonymes !

    Rappelez-vous encore une fois de Valéry et de son « Que de choses il faut ignorer pour agir » : quand on a le moindre Savoir, la plus petite clairvoyance, on s’assoit là où l’on est et l’on attend la fin du monde.

    (Ceci était un message subliminal à l’attention des zigotos qui procèdent présentement à des énièmes travaux d’on-ne-sait-trop-quoi dans le village : iels ne s’activent pas parce qu’il y a besoin de s’activer ni pour que quelque chose soit mieux « après » — nous savons d’expérience que les chantiers ne débouchent toujours que sur d’autres chantiers —, iels s’activent juste pour ne pas penser. Et la planète, pendant ce temps ? Gagné, elle en crève. Toute idée mise en œuvre est mortifère.)

    #IteMissaEst.

  • Quando l’arte di strada rigenera. Dentro le “Trame” di #Grosseto

    Contro la desertificazione del centro storico della città maremmana, il collettivo #Clan ha immaginato nel 2020 il #festival_Trame, con l’obiettivo di ridare colore alle serrande chiuse. Chiamando a dipingerle artisti da tutta Italia.

    “Serrande chiuse per arte aperta” è il modo più immediato per descrivere Trame, il festival di arte urbana che dal 2020 sta contribuendo alla rigenerazione del centro storico di Grosseto, la “Kansas City” di Luciano Bianciardi, una città di circa 80mila abitanti persa in mezzo alla Maremma, in una delle zone meno antropizzate d’Italia. Quattro edizioni dell’evento hanno permesso di trasformare 50 serrande, grazie ad artisti arrivati da tutta Italia tramite residenze finalizzate alla rigenerazione territoriale.

    Trame è un’iniziativa del Collettivo libero anti noia (Clan) e nasce dall’osservazione di un contesto comune a molti altri centri urbani. “Il Collettivo è nato nel 2012 da un gruppo di amici per promuovere e diffondere la cultura in tutte le sue forme, dall’attività artistica alla promozione del territorio. Abbiamo una sede in centro dal 2018, grazie al progetto ‘Pop up lab’, promosso dal Comune di Grosseto e dalla Regione Toscana per contrastare la desertificazione dei centri storici. Quando ci siamo insediati in questa ‘viettina tremenda’ ci siamo resi conto che la maggior parte delle saracinesche erano abbassate, ormai le persone vivono altrove, i servizi sono rarefatti”, sottolinea Giada Breschi, tra i fondatori di Clan.

    “A Grosseto il centro è la nuova periferia, che le persone non frequentano anche perché -continua- non ha senso passeggiare di fronte alle serrande chiuse”. A meno che queste non diventino delle vere opere d’arte, come hanno immaginato i soci di Clan, due dei quali, Giada e Mara, lavorano per l’associazione culturale. “La prima edizione di Trame, nel 2020, l’anno della pandemia da Coivd-19, è stata senz’altro la più difficile, anche perché dovevamo ‘confrontarci’ con la diffidenza dei proprietari degli immobili -ricorda Breschi-. Edizione dopo edizione, però, tutti si sono resi conto che le opere sono realizzate da professionisti e in tanti hanno iniziato a proporci le loro serrande. Inizialmente abbiamo fatto degli appelli ma anche proposto un questionario online, per capire quali tipologie di azioni risultavano più gradite ai cittadini come esempi di riqualificazione. Abbiamo poi attaccato cartelli su tutti i garage del centro storico: ‘Vuoi trasformare la tua serranda in un’opera d’arte?’. Con tutti i proprietari stringiamo un accordo”.

    Gli artisti invece arrivano a Grosseto grazie a una call nazionale. Ogni edizione di Trame ha avuto un tema. Quella del 2023, ad esempio, è stata “Facciamo tempesta”, dove la tempesta e ciò che scuote e scardina lo status quo, tanto più importante in provincia, “dove ci si sente tagliati fuori dai centri dove le cose accadono e le uniche burrasche che sembrano colpirci sono quelle che il cambiamento, invece che alimentarlo, lo affogano”, spiega il documento elaborato da Clan.

    Sono 50 le serrande di Grosseto “trasformate” dalle quattro edizioni del festival

    Nel 2023 sono stati selezionati otto artisti, sulla base dei progetti inviati. Grazie al contributo della Fondazione CR Firenze, che sostiene il progetto, vengono ospitati a Grosseto per tre giorni e ricevono un rimborso per le spese di viaggio, vitto e alloggio oltre a quelle per dipingere. “Arrivano qui sapendo di trovare le serrande pronte, perché la pulizia e anche il ripristino del fondo lo facciamo noi”, spiega Breschi.

    In questi anni hanno lavorato nella città toscana alcuni nomi importanti della street art italiana, come Luogo Comune, Exit/Enter e Ginevra Giovannoni, in arte Rame 13. “Ogni intervento dialoga con il palazzo, con le vie, questo è un elemento a cui teniamo molto e su cui concentriamo la nostra attività a livello curatoriale”, sottolinea Breschi. Per completare l’azione di rigenerazione territoriale, i soci di Clan accompagnano le persone attraverso il museo a cielo aperto organizzando il “Trame street tour”.

    “Ogni intervento dialoga con il palazzo, con le vie, questo è un elemento a cui teniamo molto e su cui concentriamo la nostra attività a livello curatoriale” – Giada Breschi

    “Anche se tramite il nostro sito chiunque può scoprire in autonomia tutte le serrande -racconta Breschi- a noi piace di più raccontare le storie degli artisti ed è bello farlo attraverso i più giovani, a partire dai laboratori di mediazione artistica che teniamo nelle scuole. Tornando a casa con questa ‘scoperta’, i bambini poi portano i genitori a fare il giro delle serrande: le mappe le costruiamo insieme a loro. Lavoriamo dalle materne alle superiori, con laboratori ovviamente differenziati. Alle secondarie di secondo grado dopo il tour si chiede agli insegnanti di far vedere i documentari che pubblichiamo per ogni edizione, chiedendo loro poi di collegare l’arte contemporanea locale al super-contemporaneo delle serrande. A quelli delle medie chiediamo invece di realizzare una loro idea di street art”.

    In inverno i laboratori si tengono al Molino Hub, un centro di promozione culturale e artistica ricavato all’interno delle Mura medicee della città: un altro dei progetti del Collettivo libero anti noia che il 2 dicembre 2023 ha ospitato l’atto finale di Trame 2023, con la presentazione del docu-film realizzato durante la quarta edizione del festival di arte urbana e della nuova street art map, per camminare nel centro storico di Grosseto con altri occhi.

    https://altreconomia.it/quando-larte-di-strada-rigenera-dentro-le-trame-di-grosseto
    #Italie #street-art #art_de_rue #graffitis #festival #régénération_urbaine #villes #urban_matter #centre-ville #désertification #art

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • La #guerre et sa légende
    https://laviedesidees.fr/La-guerre-et-sa-legende

    Florence Alazard plonge dans le monde de la guerre au XVIe siècle à travers le portrait de Giovanni de’ Medici, devenu après sa mort un personnage de légende : « Jean des Bandes Noires ». Cette biographie tisse, avec précautions et clarté, le portrait d’une #Italie meurtrie par la guerre. À propos de : Florence Alazard, Jean des Bandes Noires. Un condottière dans les guerres d’Italie, Passés composés

    #Histoire #Renaissance
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20231229_medici.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20231229_medici.pdf

  • Nel Mediterraneo non esistono stragi minori

    Mem.Med sul naufragio del 27 ottobre 2023 a #Marinella_di_Selinunte.

    Ahmed, Kousay, Bilel, Wael, Oussema, Souhé, Yassine, Sabrin, Fethi, Ridha, Yezin, Bilel, Mahdi questi sono i nomi di alcune delle persone scomparse a seguito del naufragio avvenuto a Marinella Selinunte in Sicilia (TP) il 27 ottobre 2023.
    Non numeri: erano circa 60 persone partite con un peschereccio da una spiaggia poco lontana da Mahdia, città costiera della Tunisia nord orientale. Sulla rotta per la Sicilia, verso Mazara, avevano viaggiato per alcuni giorni, uomini, donne e minori, tuttə di nazionalità tunisina. Poi, proprio poco prima di arrivare, il viaggio si è arrestato improvvisamente. Alcune persone sono riuscite a sopravvivere e a nuotare fino alla riva, altre hanno perso la vita, non soccorse in tempo, in una dinamica che ricorda molto quella che ha caratterizzato il massacro avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023.

    L’indagine è ancora in corso, i fatti non sono chiari ma, da quanto ricostruito, sembrerebbe che a poca distanza dalla riva della spiaggia di Marinella di Selinunte, il peschereccio si sarebbe incagliato in una secca e questo avrebbe provocato il ribaltamento dell’imbarcazione e il successivo annegamento di diverse persone cadute in acqua.

    Nei giorni successivi 6 corpi sono stati recuperati dalla capitaneria di Porto, dalla Guardia Costiera e dai Vigili del fuoco: 5 corpi rinvenuti sulla spiaggia di Marinella di Selinunte e 1 sulla spiaggia di Triscina. Le persone disperse sarebbero almeno 10. Perciò il totale delle persone rimaste uccise sono tra le 15 e le 20.

    Le persone sopravvissute, minori e adulte, sono le uniche a conoscere le dinamiche dell’evento: hanno visto i corpi dellə loro compagnə galleggiare a pochi metri dalla riva e hanno dichiarato che moltə di loro sono rimastə in acqua mentre i soccorsi hanno tardato ad arrivare.
    Nonostante fossero decine le persone disperse, le ricerche dei corpi si sono fermate tre giorni dopo il tragico evento. Le persone sopravvissute sono state ricollocate nei centri siciliani di Porto Empedocle, Milo e Castelvetrano o sono partite in autonomia verso altre mete europee.
    La ricerca di verità

    La procura di Marsala sta conducendo un’inchiesta sull’accaduto. I 6 corpi, tutti maschili, sono stati inizialmente trasferiti a Palermo e sottoposti ad autopsia, nonché a prelievo del DNA e a raccolta dei dati post mortem per l’eventuale identificazione. Dopodiché sono stati riportati a Castelvetrano, 5 sono stati collocati nell’obitorio dell’ospedale locale e 1 al cimitero.

    A pochi giorni dall’accaduto ci siamo recate nel luogo della strage dove, sulla spiaggia deserta e bagnata dalla pioggia, giaceva riverso su un fianco il peschereccio di legno tunisino, semi abbattuto dalla mareggiata.
    Sulla battigia, tutto intorno al relitto, giacevano i resti dell’imbarcazione in pezzi e decine di indumenti delle persone che viaggiavano su quel peschereccio, alcuni oggetti personali e cibo. Uno scenario di guerra. Una guerra senza indignazione, senza riflettori. Consumata nel silenzio assoluto rotto solo dalle onde del mare e dalla pioggia.
    Sappiamo che capita spesso che gli oggetti delle persone in viaggio finiscono in fondo al mare o restano perduti nella sabbia. Quasi sempre le autorità non predispongono la loro conservazione e spesso le famiglie o le comunità di appartenenza non sono in loco per poterli recuperare per tempo. Così quegli oggetti così preziosi si trasformano in pezzi di una memoria mossa via dalle onde.


    Diverse sono le famiglie che nel corso delle settimane passate ci hanno contattato per avere supporto nella ricerca dellə parenti ancora dispersə nella strage del 27.10.2023. Ancora una volta, in mancanza di un efficace sistema di raccolta delle richieste, a livello locale e internazionale, le famiglie sperimentano un non riconoscimento di quella violenza e una delegittimazione delle perdite e del lutto: non se ne parla mediaticamente, le grandi organizzazioni non si attivano, le istituzioni tardano a rispondere, nonostante le famiglie rivendichino con forza verità e giustizia.
    Anche in questa circostanza, i tempi necessari all’identificazione delle salme sono lunghi e incerti, proprio in ragione del fatto che non c’è un lavoro coordinato e le procedure sono frammentate tra più attori: Procura, Medicina legale, Polizia giudiziaria, Consolato tunisino.

    Tra le segnalazioni che ci sono arrivate ci sono quelle delle famiglie di Adem e Kousay, giovani rispettivamente di 20 e 16 anni, originari di Teboulba e Mahdia.

    Adem, Kousay e la lotta delle famiglie

    Qualche settimana fa, in una giornata di novembre, ci siamo recate a Teboulba nella casa tunisina della famiglia di Adem. Sedute in cerchio nel cortile, mentre calava il tramonto, abbiamo ripercorso i fatti dell’evento e abbiamo aggiornato le famiglie delle informazioni raccolte in Sicilia.
    A partecipare all’incontro non c’erano solo la madre, la sorella, il padre e i parenti prossimi di Adem, ma anche tutta la comunità di quartiere, che da settimane vive con angoscia e rabbia questa sparizione.

    Omaima, la sorella di Adem, era seduta al centro del cerchio e pronunciava i nomi delle persone disperse, contandole sulla punta delle dita, come in una preghiera ripetuta.
    Tante sono state le domande poste: Perché non sono stati soccorsi? Erano arrivati, erano a pochi metri da terra! Le autorità hanno continuato a cercarli? È possibile che ci voglia tanto tempo per sapere se Adem è tra quei corpi? Lo vogliamo indietro, lo vogliamo vedere, vogliamo sapere.

    La famiglia ci ha raccontato anche che le autorità tunisine hanno fatto pressione sui genitori dellə giovani accusandoli di essere responsabili del viaggio in mare. Uno dei familiari è stato più volte convocato presso gli uffici di polizia locali per difendersi da queste accuse. Non hanno trovato un colpevole tra i sopravvissuti allora incolpano noi! ha detto il padre di Adem.

    Non è la prima volta che questo accade. Il processo di criminalizzazione della migrazione dal sud al nord del Mediterraneo, se non può colpire i cosiddetti presunti scafisti tra coloro che sopravvivono, scarica sulle famiglie delle persone disperse responsabilità da cui queste sono chiamate a difendersi in un momento tanto violento come quello che caratterizza la scomparsa di unə familiare in mare.
    Sappiamo bene che il silenzio permea le conseguenze di queste necropolitiche che si muovono verso un indirizzo sempre più securitario nella gestione delle migrazioni: il nuovo Patto UE sulla Migrazione legittima abusi e respingimenti che renderanno ancora più mortali le frontiere. Le morti in aumento sono strumentalizzate ai fini di implementare politiche di maggior chiusura, condannando inoltre chi sopravvive alle frontiere a essere reclusə e detenutə e chi cerca di fare luce sulla violenza ad essere destinatariə di una repressione feroce.
    Non è normale morire in frontiera

    Il naufragio di Selinunte è uno di quelli che non destano attenzione, che non infiammano i programmi televisivi, che non fanno scalpore. Sono morte “solo” 6 persone e ci sono “solo” una decina di persone disperse. Non si parla di morte violenta o di strage, si è parlato di incidente: è un naufragio “minore”. Avvenuto nello stesso mese in cui si celebra la Giornata nazionale della memoria per non dimenticare le vittime della migrazione, questo evento – come moltissimi altri – non ha però goduto della stessa attenzione dei “grandi” naufragi e la sua visibilità è dipesa solo grazie al lavoro di alcune brave giornaliste.
    Eppure questa strage, come le altre, interpella responsabilità politiche e collettive: è avvenuta a poche centinaia di metri dalle coste siciliane, a causa della negazione del diritto a muoversi e per assenza di soccorso di persone in difficoltà che prendono la via del mare. Come è avvenuto anche pochi giorni fa al largo della Libia, dove hanno perso la vita almeno 61 persone.
    Come Cutro e Lampedusa, anche questa è una strage da ricordare, una strage che si somma a tante altre sconosciute o rimosse, che insieme fanno migliaia di vite barbaramente spezzate.

    La stessa indifferenza ha colpito le morti delle persone i cui corpi nelle ultime settimane hanno raggiunto l’Isola di Lampedusa, come ha raccontato l’associazione Maldusa che opera sull’isola. Tra il 10 e il 17 novembre sono stati almeno 4 i naufragi e almeno 4 le persone che risultano disperse. Il 20 novembre un altro naufragio ha causato la morte di almeno una bimba di 2 anni e altri dispersi. Il 22 novembre un’altra barca di ferro è naufragata provocando la morte di almeno una donna ivoriana di 26 anni.

    La lotta dellə sopravvissutə e dellə familiarə ci ricorda che non esistano naufragi o stragi “minori”. Con loro ci opponiamo all’idea di una gerarchia delle vite determinata da privilegi attribuiti arbitrariamente ma accettati e normalizzati dall’opinione pubblica.

    Adem, Kousay e le altre 20 persone disperse partite il 26 ottobre da Mahdia non ci sono più e forse non torneranno. Sono ancora in corso gli accertamenti per determinare l’identità delle salme e, attraverso l’esame del DNA, attestare con certezza se Adem e Kousay sono tra i cadaveri recuperati.
    Ci sono però i loro nomi, le loro storie e, soprattutto, c’è la lotta delle loro famiglie: la madre di Adem, di cui suo figlio porta inciso il nome nel tatuaggio sul petto. Il padre di Adem che deve difendersi dai tentativi di criminalizzazione.

    Voglio sapere se il corpo appartiene a mio fratello. E poi voglio che si faccia giustizia, ha detto la sorella Oumaima guardandoci negli occhi, prima che lasciassimo il cortile della loro casa di Teboulba. Il suo volto infervorato non ci ha lasciato dubbi:

    Il loro dolore e la loro rabbia non sono minori a nessuno.

    https://www.meltingpot.org/2023/12/nel-mediterraneo-non-esistono-stragi-minori
    #27_octobre_2023 #Italie #naufrage #décès #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #morts_en_mer #Sicile #identification #ceux_qui_restent #Selinunte

  • Méditerranée : plus de 350 migrants secourus en deux jours, environ 600 atteignent Lampedusa - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54159/mediterranee--plus-de-350-migrants-secourus-en-deux-jours-environ-600-

    Méditerranée : plus de 350 migrants secourus en deux jours, environ 600 atteignent Lampedusa
    Par La rédaction Publié le : 28/12/2023
    De nombreuses opérations de sauvetage ont eu lieu en Méditerranée centrale mardi et mercredi : plus de 350 personnes ont été secourues tandis que plus de 600 ont atteint par elles-mêmes l’île italienne de Lampedusa. En moins de 24 heures, l’Ocean Viking de l’ONG SOS Méditerranée a effectué trois sauvetages en Méditerranée. Le port italien de Bari, situé dans la région des Pouilles, a été désigné comme port sûr pour les 244 exilés à bord du navire humanitaire. La première opération de sauvetage a eu lieu en pleine nuit « sur instruction d’un navire de patrouille des garde-côtes libyens », a indiqué l’ONG. Durant cette opération, 122 personnes, dont huit mineurs non accompagnés, « ont été secourues d’une embarcation en bois surchargée dans la zone de recherche et de sauvetage libyenne ». Quelques heures plus tard, l’Ocean Viking a porté assistance à une embarcation en bois à double pont - surchargée elle aussi - que l’équipage avait repéré depuis la passerelle. Cette fois-ci, sous coordination des autorités italiennes, « 106 personnes, incluant huit femmes, dont deux enceintes, et quatre enfants » ont été prises en charge.
    Enfin, alors que l’opération était toujours en cours, le Colibri 2, l’avion de reconnaissance de l’ONG Pilotes Volontaires, a repéré une embarcation de fortune à quelques milles nautiques, poussant l’Ocean Viking à poursuivre les sauvetages. « Seize personnes ont alors été secourues », indique l’ONG. Au final, l’Ocean Viking aura donc porté assistance à 244 migrants. Les autorités italiennes ont ensuite désigné Bari comme lieu sûr. Dans le même temps, l’équipage du Sea-Eye 4, de l’ONG allemande Sea-Eye, a sauvé un total de 106 personnes, dont près de 40 mineurs. « Les deux bateaux ont été repérés par l’équipage (…) dans la zone maltaise de recherche et de sauvetage, au sud de Lampedusa », indique l’ONG sur Facebook, précisant que le port sûr qui lui avait été attribué était celui de Brindisi, dans le sud de l’Italie.
    Ces multiples sauvetages interviennent alors que les arrivées se multiplient à Lampedusa. Rien que mardi et mercredi, 619 migrants, dont 57 mineurs non accompagnés, sont arrivés sur l’île italienne. Selon l’agence ANSA, il y aurait parmi eux des Tunisiens, Égyptiens, Syriens, Soudanais, Ivoiriens, Ghanéens, Nigérians ou encore des Libériens. Environ 300 d’entre eux ont été évacués du hotspot de l’île vers Porto Empedocle, en Sicile. L’île de Lampedusa, de par sa position géographique, fait souvent face à une forte pression migratoire et est régulièrement sous les projecteurs médiatiques. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, et la Première ministre italienne, Giorgia Meloni, s’étaient même rendues sur place en septembre pour réaffirmer leur volonté de lutter contre les réseaux de passeurs et augmenter les expulsions des migrants non éligibles à l’asile.
    Pour rappel, la traversée de la Méditerranée centrale est la route migratoire la plus dangereuse au monde. Selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), depuis 2014, plus de 25 000 migrants y sont morts noyés ou portés disparus en tentant de rejoindre l’Europe. En 2023, plus de 2 600 personnes sont mortes ou portées disparues en Méditerranée. La rédaction tient à rappeler que les navires humanitaires (Ocean Viking, Sea Watch, Mare Jonio...) sillonnent une partie très limitée de la mer Méditerranée. La présence de ces ONG est loin d’être une garantie de secours pour les migrants qui veulent tenter la traversée depuis les côtes africaines. Beaucoup d’embarcations passent inaperçues dans l’immensité de la mer. Beaucoup de canots sombrent aussi sans avoir été repérés. La Méditerranée reste aujourd’hui la route maritime la plus meurtrière au monde.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#lampedusa#mediterranee#routemigratoire#OIM#ONG#humanitaire#traversee#mortalite

  • Libye : 1 500 migrants vont être évacués vers l’Italie - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54164/libye--1-500-migrants-vont-etre-evacues-vers-litalie

    Plus de 90 migrants ont été évacués de Libye vers l’Italie le 25 novembre 2022, par un vol humanitaire. Crédit : HCR
    Par La rédaction Publié le : 28/12/2023
    Un corridor humanitaire a été acté entre Rome et Tripoli pour assurer l’évacuation de 1 500 personnes de la Libye vers l’Italie. Les transferts, qui s’étaleront sur trois ans, visent en priorité les femmes, enfants et personnes vulnérables. Mille cinq cents migrants demandeurs d’une protection internationale vont pouvoir être évacués de Libye vers l’Italie. Un protocole d’accord entre Rome et Tripoli actant ces évacuations a été signé le 20 décembre, annonce le Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR). Les transferts s’étaleront sur trois ans.
    L’ouverture de ce corridor humanitaire engage la coopération des ministères de l’Intérieur et des Affaires étrangères des deux pays, du HCR, mais aussi des organisations civiles comme l’ONG Arci, et religieuses comme la Communauté de Sant’Egidio et la Fédération des Églises évangéliques.
    Les transferts s’adressent aux personnes contraintes de fuir « en raison de la guerre et de la violence et qui se trouvent temporairement en Libye », décrit le HCR dans son communiqué du 20 décembre. Quels profils seront prioritaires ? En premier lieu, « des enfants, des femmes victimes de trafic, des personnes qui ont survécu à la violence et à la torture et des personnes dans des conditions de santé graves », qui seront identifiées par les différents acteurs engagés dans le protocole. Une fois en Italie, sur les 1 500 personnes évacuées, 600 seront intégrées au système italien d’accueil et d’intégration (SAI), financées par le ministère de l’Intérieur, détaille l’agence de Nations Unies.
    La majorité, soit 900 personnes, sera quant à elle prise en charge par des associations « selon le modèle du corridor humanitaire et réparties sur tout le territoire national » souligne le communiqué. Des quotas ont déjà été déterminés par le protocole : la Communauté de Sant ’Egidio accueillera 400 exilés, l’Arci 300, et la Fédération des Églises évangéliques, 200. Le dernier protocole de ce type avait été signé en 2021. Il faisait lui-même suite à un précédent accord, acté en 2017. En six ans, le HCR comptabilise ainsi près de 1 400 réfugiés et demandeurs d’asile évacués ou réinstallés de Libye vers l’Italie, « grâce à des mécanismes d’évacuation ou via des couloirs humanitaires ».
    D’autres corridors humanitaires ont été mis en place par l’Italie, au-delà de la Libye. Ainsi, selon la Communauté de Sant’Egidio, plus de 5 000 demandeurs d’asile de Libye, du Liban et du Pakistan sont arrivés en Italie depuis le lancement de ces couloirs en 2016. Un mécanisme encore largement insuffisant selon Médecins sans frontières. Dans un rapport publié en juin 2022, intitulé « Out of Libya », l’ONG soulignait que « les rares voies de sortie légale vers des pays sûrs mises en place par le HCR et l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) sont très lentes et restrictives. (...) L’accès à ce service est quasiment inexistant en dehors de Tripoli et dans les centres de détention et le nombre de places dans les pays de destination est très limité ».
    En outre, les autorités libyennes imposent aussi des restrictions. Elles « ne nous autorisent pas à inclure dans nos programmes plus que les neuf nationalités qu’ils considèrent comme ’vulnérables’ », déplorait MSF. Ainsi, seuls les ressortissants palestiniens, yéménites, syriens, somaliens, érythréens ou soudanais ont une chance d’embarquer un jour dans les avions humanitaires ou de réinstallation", dénonçait par exemple à l’été 2022 Djamal Zamoum, alors chef de mission adjoint du HCR en Libye, auprès d’InfoMigrants.
    Néanmoins, l’agence des Nations Unies « procède, à titre exceptionnel, à l’enregistrement d’un nombre très limité de réfugiés d’autres nationalités lorsqu’il s’avère que ceux-ci sont extrêmement vulnérables et exposés à des risques de violations accrus », nuançait Caroline Gluck, porte-parole du HCR en Libye. Pour autant, les évacuations restent « une mesure salvatrice et un signe important de solidarité et d’humanité (...) Nous devons continuer à travailler ensemble pour élargir les voies sûres, y compris la réinstallation, permettant aux réfugiés de reconstruire leur vie dans la sécurité et la dignité », soutient Chiara Cardoletti, représentante du HCR pour l’Italie, à propos du nouvel accord signé le 20 décembre. Le HCR estime qu’en cette fin d’année 2023, « plus de 2,4 millions de réfugiés » dans le monde seraient prioritaires pour une réinstallation. Soit une « augmentation de 36 % par rapport aux exigences de 2022 », note l’agence.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#libye#HCR#corridorhumanitaire#sante#refugie#vulnerabilite

  • Méditerranée : le nouveau navire de Sea-Watch porte secours à 119 migrants, dont un enfant de 3 ans - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/54124/mediterranee--le-nouveau-navire-de-seawatch-porte-secours-a-119-migran

    Méditerranée : le nouveau navire de Sea-Watch porte secours à 119 migrants, dont un enfant de 3 ans
    Par La rédaction Publié le : 26/12/2023
    L’équipage du Sea-Watch 5 a secouru 119 exilés, dont 32 mineurs, lors du réveillon de Noël. À l’issue du sauvetage, le navire s’est vu attribuer le port de Marina di Carrara, à plus de 1 150 kilomètres du lieu des sauvetages. Le but des autorités ? « Éloigner les navires de sauvetage de la zone d’opération afin de ne plus pouvoir secourir les personnes en détresse », dénonce l’ONG. À l’heure où des millions de familles s’apprêtaient à fêter Noël, le réveillon s’est déroulé en pleine mer Méditerranée pour l’équipage du Sea-Watch 5. Le 24 décembre dans la soirée, les humanitaires ont porté secours à 119 migrants en détresse, dont 32 mineurs, répartis sur deux canots au large de la Tunisie. Le plus jeune rescapé est âgé de 3 ans seulement.
    La première opération a permis de secourir 55 personnes entassées dans un canot pneumatique. Lors du second sauvetage, 64 autres exilés ont été secourus. Si tous les naufragés sont sains et saufs, « nombre d’entre eux souffrent d’épuisement, de déshydratation et de brûlures chimiques dues aux mélanges de carburant et d’eau de mer qui se forment dans les petits bateaux », précise un communiqué. Tous ont été pris en charge sur le pont du Sea-Watch 5, tout nouveau navire de l’ONG allemande. Parti d’Espagne en novembre dernier, il peut accueillir jusqu’à 500 naufragés.
    Le soir des sauvetages, le navire était stationné au sud de l’île italienne de Lampedusa. Il avait participé, la veille, aux recherches d’un bateau de pêche chargé d’environ 150 personnes. Ce dernier a finalement été secouru par deux patrouilleurs des garde-côtes italiens. Quelques heures après les deux opérations de secours du 24 décembre, les autorités italiennes ont assigné au Sea-Watch 5 le port de Marina di Carrara, dans l’extrême nord de l’Italie. Soit à plus de 1 150 km du lieu de sauvetage. « Le but de ces ports reculés est d’éloigner les navires de sauvetage de la zone d’opération afin de ne plus pouvoir secourir les personnes en détresse », dénonce l’ONG sur X (ex-Twitter). Aucun navire humanitaire ne sillonne actuellement la zone de recherche et de sauvetage (SAR zone) située au large de la Libye.
    L’attribution des ports de débarquement est ordonnée dans le cadre du décret Piantedosi, qui régit les activités des navires d’ONG en mer. Depuis sa mise en application, il y a un an, il complique considérablement le travail des humanitaires. Une de ses mesures oblige par exemple les associations à se rendre « sans délai » au port de débarquement assigné par les autorités italiennes juste après un premier sauvetage. Mais en partant immédiatement après l’opération de secours, les navires laissent « la zone déserte, les États européens ayant renoncé à leurs responsabilités de sauvetages en mer, déplorait auprès d’InfoMigrants en novembre Margot Bernard, coordinatrice de projet adjointe à bord du Geo Barents de Médecins sans frontières (MSF). C’est une grande source de frustration pour nous, et surtout, cela nous fait craindre une augmentation des naufrages invisibles », ces embarcations « fantômes » qui sombrent en mer sans que personne ne le sache. Dans la nuit du 14 au 15 décembre, 61 personnes sont mortes noyées au large des côtes libyennes. Alertés au sujet du naufrage de l’embarcation dans la soirée, aucun pays – Italie, Malte, Libye – ne s’est rendu sur place. Ce n’est que plusieurs heures plus tard, sur ordre de l’Italie, qu’un navire commercial est finalement intervenu pour porter secours à 25 rescapés, qui ont ensuite été ramenés en Libye. L’Ocean Viking de SOS Méditerranée se trouvait près du lieu du naufrage seulement 24 heures auparavant. Mais le navire humanitaire, qui avait porté assistance à 26 personnes le 13 décembre, avait été forcé de quitter la zone par les autorités italiennes : Rome lui avait attribué le port de Livourne (nord-ouest de l’Italie), distant d’un millier de kilomètres, pour y débarquer les migrants. SOS Méditerranée avait pourtant averti sur X que son absence en mer pourrait avoir de lourdes conséquences, alors qu’une « tempête de force 8 » était prévue ce week-end du 15 décembre. D’après le porte-parole du bureau de coordination méditerranéen de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), Flavio di Giacomo, « 2 271 personnes sont mortes en Méditerranée centrale en 2023, soit 60 % de plus qu’au cours de la même période l’année dernière ».

    #Covid-19#migrant#migration#OIM#UE#italie#libye#mediterranee#traversee#sante#ONG#SAR#sauvetage

  • Salut à toi, jeune #stagiaire en #alternance ! Aujourd’hui, je vais te parler d’un truc essentiel dans le quotidien d’un chef de projet #IT, c’est quelque chose qui peut sacrément impacter ta #productivité si tu ne le maîtrises pas : la gestion des #emails ou #courriels. Alors c’est parti, accroche-toi : c’est la méthode #Inbox Zéro pour gérer ses #mails.
    https://michelcampillo.com/blog/3179.html

  • MADE IN ITALY PER REPRIMERE IN EGITTO: Rapporto annuale sulle esportazioni di armi italiane all’Egitto nel 2022

    Sistemi di difesa prodotti in Italia vengono esportati in Egitto ogni anno, dove vengono utilizzati dalle forze armate e di sicurezza egiziane, che operano in un clima di impunità in cui non sono in vigore meccanismi di tutela adeguati, e il principio di proporzionalità nell’uso della forza viene sistematicamente derogato.

    Il rapporto «Made in Italy per Reprimere in Egitto: il Ruolo delle Armi Piccole e Leggere italiane delle Violazioni dei Diritti Umani in Egitto» traccia la fornitura di #SALW dall’Italia all’Egitto tra il 2013 e il 2021, evidenziando il nesso tra commerci d’arma e deterioramento dei diritti umani a partire dalla documentazione dell’uso delle SALW prodotte in Italia nelle gravi violazioni dei diritti umani ed atti di repressione interna compiuti da attori statali egiziani.

    Il rapporto «Made in Italy per Reprimere in Egitto: Rapporto Annuale sull’Export di Armi italiane all’Egitto nel 2022» inizia una serie di analisi annuali delle esportazioni di sistemi d’arma italiani all’Egitto. Monitorare l’andamento delle esportazioni di armi significa vigilare sull’osservanza dello Stato italiano dei propri obblighi derivanti dalla normativa su diritti umani e vendita di armi, per richiamarlo alle proprie responsabilità per la complicità nella crisi dei diritti umani in Egitto.

    Il Rapporto 2022 fa luce sul notevole aumento del valore delle esportazioni di materiale bellico all’Egitto, pressoché raddoppiato rispetto all’anno precedente. Il materiale autorizzato all’esportazione nel 2022 include un ampio numero di pezzi di ricambio, ma anche TNT, un componente chiave usato nella produzione di mine antiuomo, nonostante l’Italia sia parte del Trattato di Ottawa.

    https://www.egyptwide.org/publication/made-in-italy-to-suppress-in-egypt-2
    #Egypte #Italie #armes #commerce_d'armes #armement #exportation #rapport #2022 #EgyptWide

    • “Made in Italy per reprimere in Egitto”. Così l’Italia continua vendere armi al regime

      Nel 2022 il nostro Paese ha autorizzato l’esportazione di armi a Il Cairo per 72 milioni di euro. Con 11 licenze sulle 16 concesse Leonardo ha il peso maggiore ma nell’elenco figurano anche #Beretta e #Rheinmetall_Italia. I ricercatori di EgyptWide lanciano l’allarme sull’uso delle armi “leggere” per la repressione del dissenso

      Nonostante le frequenti denunce sulla violazione dei diritti umani in Egitto, l’Italia continua a vendere armi al regime di Abdel Fattah al-Sisi. Nel 2022, ultimo anno per cui sono disponibili dati aggiornati, il valore delle armi autorizzate per l’esportazione verso Il Cairo hanno raggiunto un valore pari a 72,7 milioni di euro. Una cifra che si va a sommare ai circa 262 milioni di euro di strumentazioni belliche che sono state consegnate al Paese Nordafricano dopo essere state vendute negli anni precedenti.

      È quanto emerge dal report “Made in Italy per reprimere in Egitto” curato dai ricercatori di EgyptWide, iniziativa italo-egiziana per i diritti umani e le libertà civili, basato sui dati contenuti nell’ultima Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, pubblicata con grande ritardo solo a metà luglio 2023 dalla presidenza del Consiglio dei ministri.

      Nel corso del 2022 sono state rilasciate 16 licenze per l’esportazione di armi verso l’Egitto: nonostante il valore totale aggregato risulti visibilmente diminuito rispetto ai picchi del 2019 e del 2020 (anni in cui sono stati toccati rispettivamente gli 871 e i 991 milioni di euro) il dato per il 2022 mostra un raddoppio rispetto all’anno precedente. Occorre però precisare che i picchi toccati nel 2019 e nel 2020 sono stati trainati principalmente da due importanti commesse per la fornitura di 32 elicotteri prodotti da #Leonardo Spa e di due fregate #Fremm costruite da #Fincantieri.

      Nel 2022 l’Egitto sale al sedicesimo posto tra gli importatori di armi ed equipaggiamento bellico di produzione italiana (guadagnando due posizioni rispetto all’anno precedente). Tra i produttori che hanno ottenuto nuove le licenze per l’export figurano Leonardo (primo esportatore in Egitto con 11 licenze), Fabbrica d’armi Beretta e Rheinmetall Italia.

      Il report curato da EgyptWide evidenzia poi il caso di #Simmel_Difesa (azienda specializzata nella produzione di munizioni di grosso calibro) che ha ottenuto il via libera all’export verso Il Cairo dell’esplosivo denominato “#Composto_B”. “È un componente primario di proiettili di artiglieria, razzi, bombe a mano, mine terrestri e altre munizioni -si legge nel rapporto-. Nonostante l’Italia abbia aderito alla Convenzione di Ottawa, nel 2022 ha comunque esportato in Egitto una quantità non chiara di Tnt, che è l’esplosivo più comunemente usato nelle mine anticarro e antiuomo”.

      I ricercatori non sono in grado di affermare con certezza la quantità di esplosivo autorizzata ma si tratta comunque di un elemento preoccupante “alla luce del fatto che la fame di esplosivi utilizzati in operazioni militari offensive da parte dell’Egitto appare ingiustificata, dato che il Paese non è attualmente in guerra, ma solleva anche notevoli preoccupazioni per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro lungo le catene di approvvigionamento”.

      Questi dati si inseriscono poi all’interno di uno scenario particolarmente allarmante, ovvero l’utilizzo di armi piccole e leggere (#Small_arms_and_light_weapons, Salw) da parte delle forze di sicurezza egiziane in operazioni che hanno portato alla violazione dei diritti umani nel Paese e che EgyptWide ha documentato in un precedente report pubblicato a maggio 2023. Nel rapporto si evidenzia come tra il 2013 e il 2021 (ultimo anno per cui erano disponibili dati aggiornati) il nostro Paese abbia venduto a Il Cairo armi leggere per un valore compreso tra i 18,9 e i 19,2 milioni di euro. L’elenco comprende oltre 30mila revolver e pistole, più di 3.600 fucili e oltre 470 fucili d’assalto a cui si aggiunge un numero non precisato di carabine, mitragliatrici, munizioni, parti di ricambio e attrezzature per la direzione del tiro, tecnologie militari e software.

      “I modelli italiani di armi piccole e leggere #Beretta_70/90, #Benelli_SuperNova_Tactical e #Beretta_92FS sono stati utilizzati da militari e forze di sicurezza egiziane per intimidire e disperdere civili nell’ambito di operazioni di sicurezza urbana; fucili Beretta 70/90 sono stati impiegati dalle forze speciali ad #Al-Nahda e #Rabaa_Al-Adawiya, durante il massacro del 2013 in cui hanno perso la vita quasi mille civili”, si legge nel rapporto.

      La vendita di queste armi è avvenuta nonostante le conclusioni del Consiglio d’Europa dell’agosto 2013 con le quali i Paesi dell’Unione avevano concordato una sospensione delle forniture militari verso l’Egitto alla luce delle gravi violazioni dei diritti umani. A seguito della destituzione del governo di Mohamed Morsi, infatti, la presa del potere da parte di al-Sisi quell’anno ha segnato l’inizio di una stagione di terrore e di progressivo deterioramento dei diritti nel Paese. Basti ricordare il massacro di Rabaa dell’agosto 2013 in cui hanno perso la vita quasi settecento manifestanti, il rapimento e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni, il conflitto a bassa intensità che dal 2014 interessa la penisola del Sinai e che ha gravi ripercussioni sulla popolazione civile. Per non parlare delle molte leggi che reprimono il dissenso da parte dei media e delle Ong indipendenti, fino a quella antiterrorismo che autorizza indirettamente esecuzioni extragiudiziali e garantisce ampia impunità agli agenti delle varie forze di polizia e dell’esercito.

      Eppure, nonostante la gravità di questa situazione l’export di piccole armi “made in Italy” non si è mai fermato. Dal 2013 al 2014 il valore totale delle esportazioni dall’Italia all’Egitto è quasi raddoppiato, passando da 17,2 a 31,7 milioni di euro; nel 2015 aveva raggiunto i 37,6 milioni di euro. A seguito dell’omicidio Regeni, avvenuto nel 2016, si registra una contrazione, ma già nel 2018 il valore autorizzato all’export per le piccole armi aveva toccato quota 69 milioni di euro.

      Ma in quali mani sono finite queste pistole e questi fucili? EgypWide “ha riscontrato le prove di un consistente abuso” a partire dal 2013, “tra cui anche le prove dell’uso di armi italiane in violazione dei diritti umani commesse da attori statali”. Sono diversi i casi ricostruiti dai ricercatori indipendenti, a partire dall’uccisione di un gruppo di sospetti disarmati nel Nord del Sinai a febbraio 2018: la fonte è un video pubblicato su YouTube dall’esercito egiziano in cui si mostra l’uccisione di un gruppo di presunti terroristi. “Nel video si vede un piccolo distaccamento dell’esercito egiziano che apre il fuoco con fucili Beretta”, scrivono i ricercatori.

      Armi italiane sarebbero state usate anche nella repressione di proteste di piazza, a partire da quelle di al-Nahda e Rabaa avvenute a Il Cairo il 14 agosto 2013: “Un video pubblicato dal quotidiano online el-Badil mostra le forze di polizia egiziane equipaggiate con fucili Beretta 70/90 mentre aggrediscono un manifestante disarmato”. Ulteriori prove fotografiche -immagini scattate dall’agenzia Getty Immages- mostrano poliziotti armati di fucili Benelli M3T.

      “Il gravissimo stato dei diritti umani in Egitto implica che il Paese dovrebbe essere annoverato tra quelli in cui esiste un rischio significativo che gli armamenti di importazione vengano utilizzati per commettere gravi violazioni dei diritti umani -concludono gli autori del report-. L’analisi del materiale audiovisivo presentata in questo rapporto mostra armi piccole e leggere fabbricate in Italia e impiegate nella repressione interna, in atti che includono l’uso eccessivo della forza contro manifestanti, nonché l’impiego su larga scala in processi più ampi di securitizzazione e militarizzazione dello spazio pubblico, che finiscono per limitare le libertà di movimento e di riunione pacifica”.

      https://altreconomia.it/made-in-italy-per-reprimere-in-egitto-cosi-litalia-continua-vendere-arm
      #droits_humains #répression

  • Meloni, Musk et Michael Ende
    https://www.heidi.news/monde/en-italie-elon-musk-se-fait-le-porte-voix-de-l-extreme-droite

    Sujet d’enquête : quel relation existe entre le monde inventé par le gentil auteur anthroposophe Ende (en français : la fin) et le nouveau fascisme néolibéral ?

    Depuis la transformation de l’avocat de gauche et anthroposophe Otto Schily en ministre d’intérieur de la RFA on se doutait qu’il y a un lien bizarre entre anrhroposophes, fascistes et l’impérialisme états-unien. Depuis le triomphe de l’idéologie « objectiviste » d’Ayn Rand, une sorte d’anti-humanisme plus radical que l’anti-semitisme éliminatoire nazi, au sein de l’élite de la silicon valley on voit un peu plus clair.

    Toujours est-il un mystère que cache l’auteur pacifiste et anti-raciste de sombre et avide de sang dans son oeuvre. Il doit bien y avoir in élément dans son idéologie qui encourage sa récupération par les fratelli d’Italia.

    A Rome, Elon Musk se fait le porte-voix de l’extrême droite

    Le milliardaire était l’invité d’honneur de la fête annuelle du parti de la Première ministre italienne Giorgia Meloni. L’occasion de mettre en garde contre la crise de la dénatalité ou le wokisme. Et de se faire une nouvelle fois le porte-voix des idées portées par l’extrême droite.

    C’était l’invité star de l’événement. Samedi 16 décembre, le milliardaire Elon Musk est monté sur la scène du festival « Atreju », la fête annuelle à Rome des jeunes militants de Fratelli d’Italia, le parti de la Première ministre italienne Giorgia Meloni. Un an après la montée au pouvoir de la leader d’extrême droite, l’événement était particulièrement attendu. Et le parti s’est payé un invité de marque.

    Pendant quatre jours, cette grande kermesse – qui emprunte son nom au héros du roman fantastique « L’histoire sans fin » – réunit des personnalités politiques, des sportifs et des journalistes. Cette année, le Premier ministre conservateur britannique Rishi Sunak et le leader de Vox, l’extrême droite espagnole, Santiago Abascal étaient aussi sur la liste des invités.

    Pourquoi c’est important ? Dans le monde de la droite conservatrice radicale, Elon Musk est un personnage « prestigieux », observe Fabio Chiusi, journaliste et auteur de « L’uomo che vuole risolvere il futuro », un ouvrage dans lequel il livre une analyse de la pensée du patron de Tesla et SpaceX.

    Il partage avec l’extrême droite « l’idée d’une liberté d’expression [absolue], la bataille contre la crise démographique et contre le wokisme », continue le journaliste. Créé à partir du mot anglais woke (éveillé), ce terme a été galvaudé depuis quelques années par des courants de droite conservatrice pour décrédibiliser les militants de gauche.

    Et peu importe si le patron de Tesla et SpaceX prospère avec les voitures électriques détestées par Matteo Salvini, chef de la Lega, ou s’il est en faveur de la gestation pour autrui que Giorgia Meloni tient en horreur. L’extrême droite évite les sujets qui fâchent. Et pour le reste, elle « peut dire que ses idées sont partagées par celui qui change le monde », commente Fabio Chiusi.

    La survie de l’humanité. C’est qu’Elon Musk en est convaincu : le politiquement correct, la dénatalité ou encore un certain usage de l’intelligence artificielle mettent en péril le futur de l’humanité. Et la vision politique incarnée par les partis conservateurs, comme Fratelli d’Italia, peut en assurer la survie.

    Samedi, c’est donc avec l’un de ses onze enfants dans les bras qu’il s’est présenté devant le public italien. « Faire des enfants permet de créer une nouvelle génération. Et il n’y en aura pas si les gens ne font pas d’enfants », a-t-il déclaré depuis la scène du Château Saint-Ange, à Rome, provoquant une vague d’applaudissements. En 2022, l’Italie a atteint un record historique en descendant sous la barre des 400’000 naissances. Un an après son arrivée au pouvoir, Giorgia Meloni assurait avoir fait de la dénatalité une « priorité absolue ».

    Et à l’instar de la Première ministre italienne, Elon Musk estime que l’immigration n’est pas une solution à la crise démographique. « Il faut faire plus d’Italiens pour sauver la culture d’Italie », a-t-il insisté.

    Ensuite, le milliardaire a mis en garde contre le « virus de l’esprit woke » qui, selon lui, s’empare des États-Unis et bientôt de l’Italie. Avant de ravir son audience en affirmant que « le changement climatique ne constitue pas une menace si grave à court terme ». Et s’il a assuré être « écologiste », il estime qu’il n’est pas possible de « se passer du pétrole et des énergies fossiles dans un avenir immédiat ».

    Un porte-voix des droites conservatrices et radicales. Ce n’est pas la première fois qu’Elon Musk s’affiche aux côtés de responsables politiques de droite conservatrice. En juin, il avait d’ailleurs déjà rencontré la Première ministre italienne, mais aucun détail n’avait filtré de leur entretien.

    Début novembre, il avait été interviewé par le Premier ministre britannique en personne, sur la réglementation, les risques et les opportunités de l’IA, à l’occasion d’un grand sommet sur le sujet. Un entretien que la presse britannique avait qualifié de « gênant ». Considéré par beaucoup comme un « gourou », Elon Musk est traité comme « un chef d’Etat » sauf que le milliardaire ne sert que ses intérêts, observe Fabio Chiusi. Contrairement aux politiques, « la Constitution ne l’oblige pas à servir les intérêts de la collectivité », continue-t-il.

    Outre-Atlantique, Elon Musk a également exprimé son soutien au nouveau président argentin Javier Milei. « La prospérité est sur le point d’arriver en Argentine », a-t-il écrit après sa victoire le 19 novembre.

    Enfin, c’est lui qui a permis à Donald Trump de faire son grand retour sur le réseau X (ex-Twitter), dont il avait été banni juste après les violents affrontements du Capitole, en janvier 2021. Selon Le Monde, « Elon Musk a dérivé vers une haine des démocrates et des progressistes et se trouve désormais aux confins de l’extrême droite complotiste et antisémite ».

    Parfois il suffit de consulter d’autres versions de Wikipedia pour obtenir des indices.
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Die_unendliche_Geschichte

    Andreas von Prondczynsky sah Die unendliche Geschichte als „im Netz bürgerlicher Moral und ökonomischer Zweckrationalität“ befangene Mischung von „christologischem Mystizismus“ und „Sozialkritik in der Orientierung romantischer Denkweise“. Ende übe Kritik am Vernunft-Mythos, wie er sowohl der technologischen Rationalität als auch einer ökonomisierten Subjektivität zugrunde liege. Im Widerspruch dazu verfolge er jedoch in diffusen „Mysterien der Alten“ vernunftorientierte bürgerliche Tugenden.

    Hermann Bausinger deutete die beiden Bücher Michael Endes, „Die unendliche Geschichte“ und „Momo“, als Eskapismus, der von narzisstischen, an der Zukunft zweifelnden Jugendlichen begierig aufgenommen wird und ihnen zur Flucht in die Unverbindlichkeit verhilft. Die präzise Trennung von Gut und Böse in Endes Phantastik ließe eine geschlossene Welt entstehen, in der nichts sinnlos, alles von Bedeutung erscheine und fern realistischer Konflikte zu folgenloser Identifikation einlade. Er sprach in Zusammenhang mit Endes Werken von „Placebo-Effekten“. Die Leser sähen in Endes Erzählungen ihr Bedürfnis nach positiven Weltentwürfen befriedigt, so dass sie ihnen Wirkungen zuschrieben, deren Muster im Text gar nicht angelegt seien.

    Von ihm und anderen Kritikern wurde Die unendliche Geschichte als Aufforderung zur Weltflucht angesehen. Dem widerspricht Růžena Sedlářová. Das Buch mache deutlich, dass der Autor nicht die Phantasie der realen Welt überordnen, sondern beide in Einklang bringen wolle, etwa indem Koreander zu Bastian in Kapitel XXVI. sagt: „Es gibt Menschen, die können nie nach Phantásien kommen […] und es gibt Menschen, die können es, aber sie bleiben für immer dort. Und dann gibt es noch einige, die gehen nach Phantásien und kehren wieder zurück. So wie du. Und die machen beide Welten gesund.“ Hier sehe man die Lehre von der Harmonie der Gefühle und der Vernunft, oder der Phantasie und der Realität, oder des Unbewussten und Bewussten. Ohne Kenntnis beider Ebenen sei es nicht möglich, zur Ganzheit zu gelangen. Bastian hätte so in dieser Geschichte seine Schattenseiten kennenlernen und sie auch überwinden und dadurch ein besserer Mensch werden können.

    Andere Literaturkritiker warfen Ende die scheinbare Naivität seiner Botschaft vor. In seinem Roman Momo etwa fände man eine ärgerliche „Romantisierung der Armut“. Darüber hinaus mündeten alle kritischen Befunde Endes in der Empfehlung, mit Selbstfindung, Selbsterkenntnis und Selbstveränderung als vorbildlichen Lebensmustern die Schäden der Zivilisation zu beheben.

    Ces citations fournissent quelques informations sur le mécanisme qui relie le monde imaginaire d’inspiration anthoposophique de Michael Ende aux besoins d’une organisation de jeunesse neofasciste. Tout le monde aime bien s’enfuir dans des psysages fantaisistes et c’est là ou les joueurs de flute fachos récupèrent les jeune âmes sans défense. Les lacunes intellectuelles de Ende induit par son penxhant pour le Steinerisme en font apparamment un outil propice. Le choix des neoconnard italien est dans doute tombé sur Ende plutôt que sur Tolkien à cause de la proximité historique et culturelle de l’Italie et de l’Allemagne. Harry Potter aurait pu faire l’affaire mais les coùts de la licence nécessare et les choix politique de son auteure ont protégé l"apprenti sorcier de cette mésalliance.

    Et non, Ende et ses romans ne sont pas fascistes, seulement un peu kitsch :-)

    #USA #Italie #anthoposophie #fascisme #silicon_valley #objectivisme

    • Je n’associe pas l’œuvre de Michael Ende au fascisme.

      C’est par Périphéries que j’ai découvert son roman Momo :

      À la recherche des heures célestes
      https://www.peripheries.net/article320.html

      Il faut croire que Michael Ende, plus ou moins consciemment, partageait la foi de Thierry Fabre dans l’héritage méditerranéen : sa Momo est une petite fille solitaire qui a élu domicile sous les ruines d’un amphithéâtre romain à l’abandon, en périphérie d’une grande ville du Sud. Pauvre et sans instruction, elle dispose pourtant d’un trésor inestimable : elle a du temps à profusion. Du jour où ils font sa connaissance, les habitants de la ville s’attachent profondément à elle. Ils viennent la voir pour lui parler, et, même si elle ne dit rien, elle écoute avec une telle intensité qu’ils voient leurs problèmes résolus. Les enfants adorent se retrouver à l’amphithéâtre pour jouer, car ils ne jouent jamais aussi bien que quand elle est avec eux. C’est que le don d’écoute de Momo va de pair avec une imagination puissante, qui n’est pas sans lien avec sa capacité à écouter l’univers entier :

      « Certains soirs, après le départ de tous ses amis, elle restait assise, longtemps encore, seule au milieu de son vieil amphithéâtre au-dessus duquel, telle une coupole, s’étendait le ciel étoilé : elle écoutait le grand silence. Elle avait alors l’impression d’être assise au milieu d’une immense oreille cherchant à capter les bruits dans le monde des étoiles. C’était comme si elle écoutait une musique très douce et très puissante à la fois qui lui allait mystérieusement droit au cœur. »

      Autrement dit, Momo possède comme personne le secret de cette « musicalité de l’être » dont parle aussi Thierry Fabre. Mais un jour, d’étranges « hommes en gris » commencent à hanter les rues de la ville. Peu à peu, ils persuadent les habitants que leurs occupations quotidiennes - bavarder avec les clients quand ils sont coiffeurs ou restaurateurs, chanter dans une chorale, s’occuper de leur vieille mère, rendre visite à une amante secrète, jouer, dormir, rêvasser en regardant par la fenêtre... - représentent des « pertes de temps ». Ils leur proposent d’ouvrir un compte dans leur « caisse d’épargne du temps ». Dès lors, Momo ne reconnaît plus ses amis : ils désertent l’amphithéâtre, passent leur vie à courir sans savoir derrière quoi, n’ont plus de temps à se consacrer les uns aux autres. L’obsession de la rentabilité et de la réussite matérielle, le repli sur soi, l’acrimonie, dominent les relations sociales.

    • Justement, c’est complètement kitsch , on aime ou on n’aime pas.


      Je préfère La Cité des dragons qui est davantage terre à terre malgré l’histoire de la transformation de la mechante institutrice dragon en dragon blanc de la sagesse.
      C’est aussi kitsch mais moins ésothérique, et c’est plein d’ironie et d’éléments de parodie.
      Enfin, l’héroïne pricipale est un petite locomotive à vapeur. C’est imbattable.
      Puis dans le deuxième volume il y a une parodie des fascistes, les 13 corsaires voleurs d’enfants qui sont tellement bêtes qu’ils ne comprennent pas qu’ils ne sont que 12. Dans ces histoires simples l’auteur se passe de prèsque tout élément surnaturel et ésothérique, au contraire même les dragons sont comme tout le monde. Seulement les forces de la nature sont folles, un peu comme dans la physique quantique.

  • Trieste capolinea: diventare adulti lungo la rotta balcanica
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Italia/Trieste-capolinea-diventare-adulti-lungo-la-rotta-balcanica-229074

    Trieste, città di frontiera, è l’ultima fermata della rotta balcanica. Nel 2023 i dati hanno registrato un incremento degli arrivi dei minori non accompagnati. Cosa vuol dire crescere lungo la rotta balcanica? Cosa succede una volta arrivati a Trieste? Un’analisi

  • MSF dénonce « des violences sans fin » dans les centres de détention de migrants à Tripoli
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/12/19/msf-cesse-ses-operations-en-libye-et-denonce-des-violences-sans-fin-dans-les

    MSF dénonce « des violences sans fin » dans les centres de détention de migrants à Tripoli
    Propos recueillis par Nissim Gasteli (Tunis, correspondance)
    Médecins sans frontières (MSF) a mis un terme à sa mission à Tripoli en décembre, après plus de huit années de présence sur place à soigner et apporter une assistance humanitaire aux migrants, réfugiés et demandeurs d’asile enfermés dans les centres de détention de la capitale libyenne. L’organisation publie à cette occasion un rapport sur les violences perpétrées sur les migrants détenus par les responsables des centres d’Abou Salim et Ain Zara. De retour de Libye, Julie Melichar, responsable des affaires humanitaires de MSF et autrice du rapport, dénonce dans un entretien au Monde, un « cycle de violences sans fin sponsorisé par l’Union européenne ».
    A quoi ressemblent ces centres de détention ?
    Ce ne sont pas des prisons comme on les imagine, ce sont d’énormes hangars surpeuplés, localisés à différents endroits de Tripoli et dans le reste du pays, où s’entassent des milliers d’hommes, de femmes et d’enfants, principalement originaires d’Afrique de l’Ouest, du Soudan, d’Erythrée, de Syrie, de Palestine… Il y a beaucoup d’enfants et de mineurs non accompagnés, les plus jeunes sont nés dans les centres. En 2022, un quart de nos patients avait moins de 19 ans.
    Comment ces personnes se retrouvent-elles détenues ?
    La majorité des personnes interceptées en mer en tentant de fuir la Libye et ramenées de force par les garde-côtes libyens grâce au soutien matériel et financier de l’Union européenne finissent dans ces centres de détention. Il y a aussi des personnes arrêtées arbitrairement dans l’espace public, chez elles, sur leur lieu de travail, parfois lors de campagnes d’arrestations de masse.
    Ces détentions sont totalement arbitraires. Les personnes sont arrêtées sans réelle raison et n’ont aucun moyen de contester leur détention ou de connaître sa durée. Leur seule solution est alors de tenter de fuir au péril de leur vie ou de payer d’importantes sommes d’argent à travers un système informel d’extorsion pour être libérées. Les différents rapports de l’ONU à ce sujet sont clairs : plusieurs de ces centres sous la responsabilité officielle des autorités pénitentiaires sont une entreprise dans laquelle sont impliquées des milices armées, responsables de divers trafics.
    Quelles sont les conditions de vie dans ces centres ?
    Les conditions sont désastreuses. Les gens dorment le plus souvent à même le sol. La nourriture est de mauvaise qualité et trop faible en quantité. L’eau manque, pour boire comme pour se laver. Les biens de première nécessité aussi : les femmes ont été obligées de fabriquer des protections hygiéniques avec des vieux tee-shirts ou des bouts de couvertures sales et des couches pour leurs enfants avec des sacs plastiques. L’hygiène est catastrophique : les toilettes débordent souvent car elles ne sont pas adaptées à un si grand nombre de personnes. Je vous laisse imaginer l’odeur qui règne dans ce genre de lieu, c’est inhumain. Nous avons traité énormément de cas d’insomnies, de pensées suicidaires, de traumatismes psychologiques, de maladies de la peau, gastro-intestinales, directement liés à ces conditions inhumaines et aux mauvais traitements.
    Ces personnes sont aussi soumises à d’autres formes de violence…
    La liste des atteintes aux droits humains est malheureusement très longue. Nous avons recueilli de nombreux témoignages de violences sexuelles et de viols dans la prison d’Abou Salim. Quand les femmes et enfants arrivent à la prison, les gardes les forcent à se déshabiller, procèdent à des fouilles, en cherchant jusqu’entre leurs jambes et dans les couches des bébés, en touchant leurs zones intimes.Dans tous les centres, nous avons observé des violences indiscriminées, des personnes battues avec des barres de fer, des tuyaux, des bâtons. Certains sont parfois soumis, sous la menace, au travail forcé. A Ain Zara, en 2023, on nous a rapporté cinq décès du fait de violences ou d’un manque d’accès à des soins médicaux.
    L’Union européenne (UE) a-t-elle une responsabilité dans cette situation ?
    Au fil des années, l’UE et certains Etats membres, dont l’Italie, ont mis en place un système pour s’assurer que les personnes ne puissent plus arriver sur son territoire depuis la Libye. Ils ont pour cela soutenu les garde-côtes libyens financièrement et matériellement, en leur livrant des bateaux. Des dizaines de milliers de personnes qui tentent de fuir le pays sont ainsi interceptées et renvoyées de force, en violation complète du droit international car le pays n’est pas considéré comme sûr. Elles y subissent des violences sans fin, qualifiées par l’ONU de « crimes contre l’humanité », puis tentent à nouveau de s’enfuir avant d’être interceptées. J’ai rencontré des personnes qui ont été renvoyées dix fois en Libye.
    Ce dont MSF a été témoin dans les centres est la conséquence directe des politiques d’externalisation des frontières et du contrôle migratoire mis en place par l’UE. Elle est l’architecte de ce cycle de violences sans fin dans lequel se trouvent coincées des milliers de personnes.
    Pourquoi avoir attendu de partir de Libye pour dénoncer ces violations ?
    Nous sommes fondamentalement opposés à la détention arbitraire des personnes exilées en Libye et en apportant des soins dans ces centres, il y a le risque de légitimer voire faciliter l’existence de ce système. Cependant, il y avait un impératif humanitaire à tenter d’améliorer tant que possible leurs conditions médicales et humanitaires. A plusieurs reprises, MSF a dénoncé la situation dans ces centres, mais ça a toujours été un exercice d’équilibriste rempli de dilemmes éthiques pour maintenir un accès à ces personnes qui ont besoin d’aide et s’assurer de protéger nos collègues libyens.
    Aujourd’hui, il y a un risque que les centres de détention deviennent des trous noirs complets parce que les seuls acteurs qui restent présents dans ces centres sont largement financés par des fonds européens et n’ont donc pas l’indépendance qu’a MSF pour dénoncer les graves atteintes aux droits humains.
    Nissim Gasteli(Tunis, correspondance)

    #Covid-19#migrant#migration#libye#italie#UE#MSF#centredetention#violence#sante#demandeurasile#refugie

  • #Mimmo_Lucano lancia il suo movimento «modello Riace»

    Invitata tutta la sinistra. L’ex sindaco non si candiderà alle europee. Semmai ci riproverà alle comunali

    Il progetto è ambizioso. Provare a ricomporre i mille pezzi sparsi della sinistra dispersa. Ricucire le tante anime che in questi anni non si parlano e quando lo fanno litigano tra loro. Mimmo Lucano ha scelto cosa farà da grande. Ha in mente di costruire una sua area politica. Se si farà partito oppure movimento fluido ancora non è chiaro.

    Una cosa è certa. Ha convocato tutti coloro i quali in Italia sono stati sempre al suo fianco. Palazzo Pinnarò, nel centro del borgo jonico, è pronto ad ospitare i tanti pezzi del mosaico della sinistra. Il 20 dicembre è la data cerchiata. Lucano ci crede. Non si candiderà alle europee. Semmai dovesse farlo sarà per le comunali di Riace, da sindaco dopo lo stop del 2018 per il vincolo del terzo mandato. L’ex primo cittadino riacese ha invitato tutta la sinistra all’happening. Unione popolare e la lista pacifista di Santoro hanno detto che parteciperanno. Anche Sinistra Italiana manderà un esponente della segreteria nazionale malgrado ritenga velleitaria al momento una riunificazione della sinistra. L’appello «#Riace_per_l’Italia» sta girando in questi giorni nei tavoli delle segreterie. Dopo la quasi assoluzione dell’11 ottobre, Lucano ha riunito a metà novembre i suoi fedelissimi per interrogarsi sul suo futuro. La festa del 29 ottobre per ringraziare chi è stato sempre al suo fianco, anche durante l’odissea giudiziaria, si era rivelata un successo politico e di partecipazione. Duemila persone da tutta Italia stipate nelle piazze del “villaggio globale” di Riace. E anche una presenza significativa della sinistra politica, da Potere al Popolo e Unione popolare fino al Pd (Elly Schlein aveva inviato in terra di Calabria Marta Bonafoni).

    Nell’incontro con il suo inner circle la scelta è dunque ricaduta sull’idea di costruire un’area politica che si ispiri al “modello Riace”. Perchè «l’esperienza riacese – si legge nel documento – non è solo un esperimento compiuto di società multietnica che ha creato benessere; è anche un ambulatorio che fornisce servizi sanitari pubblici e gratuiti a tutti, un turismo responsabile e non invasivo, un artigianato che crea lavoro, un rivoluzionario modello di gestione dei rifiuti, un innovativo sistema idrico che valorizza e privilegia esclusivamente l’acqua pubblica. Questa è stata Riace in questi anni». Partire dunque dalla Calabria per attraversare tutte le contraddizioni di un Paese ormai disumanizzato che erige muri, costruisce campi di internamento per migranti in Albania, tesse rapporti e mercimoni con le bande libiche e le autocrazie del Maghreb. Con la vana illusione di poter bloccare le migrazioni dando fiumi di denaro a paesi terzi per gestire i flussi di disperati, anche se questo si traduce in violenze, torture e, alla fine, in tragedie come quella, immane, di Steccato di Cutro.

    Il “popolo di Riace” prova cosi a cimentarsi nell’agone politico dando il suo contributo per la riorganizzazione del campo della sinistra. Partendo dalle esperienze sociali, associative, di movimento. Il progetto a cui guarda questo nuovo soggetto in fieri è quello spagnolo con l’esperienza di Sumar, il rassemblement che ha mescolato in un unico contenitore comunisti, altermondialisti, verdi, movimenti. E che ha dimostrato che unire le sinistre non solo è doveroso, ma anche possibile, persino vincente. Lucano sta girando l’Italia in questi giorni, dalla Sicilia a Torino passando per Roma, con due iniziative, nel quartiere Quadraro e al centro sociale Spin Time. L’idea è quella di creare dei nodi territoriali regionali facendo leva sulla rete di solidarietà creatasi nei mesi febbrili del processo. Appuntamento, dunque, a Riace alla vigilia di natale. Vedremo quale sarà il regalo per la sinistra sotto l’albero.

    https://ilmanifesto.it/mimmo-lucano-lancia-il-suo-movimento-modello-riace
    #Domenico_Lucano #Riace #accueil #Italie #Calabre #modèle_Riace #mouvement #gauche

  • Patrick Poivre d’Arvor mis en examen pour viol
    https://www.telerama.fr/television/patrick-poivre-d-arvor-mis-en-examen-pour-viol-7018564.php

    Publié le 19 décembre 2023 à 20h40

    Le journaliste, qui nie les faits, est poursuivi pour “viol par une personne abusant de l’autorité que lui confère sa fonction” sur des faits remontants à 2009. De nombreuses autres femmes avaient témoigné pour des faits prescrits.

    #it_has_begun (si seulement... ;-) )

  • (16-17.12.2023)

    ⛰️💥 Ce week-end, nous étions plus de 2000 dans les #Alpes_Apuanes pour lutter contre l’extractivisme et défendre un autre avenir pour nos montagnes.


    Dans les Apuanes, en #Italie, de nombreux collectifs de citoyens se battent contre un modèle mortifère d’exploitation du territoire, qui crée d’énormes #profits mais concentrés dans les mains de quelques-uns, au détriment de la #santé des gens et du vivant

    🏗 Ici, l’#industrie_du_marbre a façonné la ville et les montagnes en fonction de ses intérêts économiques. Comme cela a été rappelé lors de la conférence, chaque année, plus de 5 millions de tonnes de #marbre sont extraites des carrières, dont la plupart finissent dans les mains de #multinationales pour produire du #carbonate_de_calcium, une poudre utilisée dans les dentifrices, les médicaments et l’industrie alimentaire... on est bien loin de l’utilisation qu’en faisait Michelangelo pour son art !

    💧 Ces processus d’extraction ont un impact élevé sur les écosystèmes, les nappes phréatiques et les eaux des rivières, et augmentent le #risque_hydrogéologique dans une zone déjà extrêmement délicate, avec des conséquences dévastatrices pour la ville de #Carrare, qui a été à plusieurs reprises le théâtre de graves inondations

    Les premiers à payer sont donc les citoyens et les mineurs eux-mêmes, soumis à des travaux extrêmement lourds avec un risque élevé d’accidents - dont le dernier s’est produit ce samedi matin.

    Les Alpes Apuanes sont ainsi l’emblème d’un système extractif.

    Mais n’en est-il pas de même dans le reste des Alpes ? Alors que nos glaciers fondent à grande vitesse et que les événements extrêmes se multiplient partout, au lieu de tout faire pour prévenir et réduire les dégâts, on va dans le sens inverse, pour s’accaparer un maximum de ressources, et extraire jusqu’au dernier centime. Qu’il s’agisse de retenues de neige artificielle, de stations de ski ou de méga-événements sportifs, c’est toujours la même logique extractiviste sans limite qui domine..

    (Photo de la manifestation de Michele Lapini)

    https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:7142511937828937728
    #résistance #manifestation #extractivisme #marbre #Alpes #montagne

    • Carrara, una giornata per le Apuane

      Oggi si è tenuta la giornata nazionale “Le montagne non ricrescono. Fermiamo l’estrattivismo in Apuane e ovunque”: quasi 500 persone al convegno della mattina, in migliaia al corteo del pomeriggio.

      «Questo convegno che ha aperto la due giorni di riflessione e proposta sulle Apuane ha reso evidente come oggi il sistema estrattivo non rispetti nessuna delle tre gambe della sostenibilità: quella ambientale, quella sociale e quella economica. Le norme che regolano l’attività estrattiva esistono, ma se non vengono rispettate sono assolutamente inutili. Il loro rispetto è la prima cosa che vogliamo chiedere. Dopo la giornata di oggi, è necessario che tutti coloro che hanno a cuore questo territorio, la popolazione, le associazioni e gli operatori, si uniscano in una sola voce con un obiettivo primario: il Parco regionale delle Alpi Apuane deve diventare nazionale, questo è l’unico sistema per garantire salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile a questo territorio, sottraendolo a pressioni locali».

      Con queste parole il Presidente generale del Cai Antonio Montani ha concluso questa mattina a Carrara, davanti a quasi 500 persone, il convegno che ha aperto la giornata nazionale “Le montagne non ricrescono. Fermiamo l’estrattivismo in Apuane e ovunque”.

      Una giornata promossa dal Club alpino italiano, con la Commissione centrale tutela ambiente montano e il Gruppo regionale Cai Toscana, Arci, Athamanta, Comitato Comunità Civica della Cappella di Seravezza (LU), Coordinamento ambientalista apuoversiliese e Italia Nostra, riuniti nell’"Assemblea per l’accesso alla montagna". Oltre a loro, sono state un centinaio le realtà aderenti alla giornata, tra cui diverse Sezioni Cai.

      Tra coloro che stamane hanno portato il proprio saluto, il presidente del Cai Toscana Giancarlo Tellini, che ha evidenziato come il concetto di “estrattivismo”, che non vada confuso con “estrazione”: «si tratta di un sistema che vede il mondo imprenditoriale legato alle cave, appoggiato dalla politica locale, perseguire il proprio interesse economico ignorando gli impatti ambientali della propria attività, un costo che viene scaricato sulla collettività. Pensiamo, ad esempio, alle sorgenti d’acqua, sempre più inquinate a causa della marmettola».
      Tellini ha poi sottolineato l’attuale presenza di una settantina di cave nel Parco Regionale delle Alpi Apuane, all’interno delle aree contigue di cava. «Questo non è accettabile, questo territorio è il simbolo della peggiore gestione ambientale possibile».

      I contenuti del convegno

      Le relazioni sono state di Maura Benegiamo (Ricercatrice dell’Università di Pisa), Matteo Procuranti (Blanca Teatro), Nadia Ricci (Presidente Federazione Speleologica Toscana), Ildo Fusani (Circolo Arci Chico e Marielle), Rossanna Giannini (Comitato Civico La Cappella) e Alessandro Gogna (alpinista e storico dell’alpinismo).

      I concetti chiave espressi sono stati innanzitutto che nel modello estrattivista gli interessi privati vengono confusi con i bisogni sociali. Questo sistema totalizza ogni aspetto della vita del territorio, compresi quelli identitari e culturali, oltre a essere incompatibile con il vincolo paesaggistico e con l’idea di conservazione del patrimonio naturale per le generazioni future.
      Tutto ciò nonostante il fatto che fino al 95% del materiale estratto sia di scarto. Questo materiale, infatti, ha comunque un importante mercato, in quanto da esso si ricava il carbonato di calcio.
      Si deve scavare meno dunque, e solo quello che la comunità è in grado di lavorare e valorizzare.

      Ampio spazio ha ricevuto la già citata marmettola, che, oltre a inquinare la maggior parte delle sorgenti d’acqua delle Apuane, riduce la porosità degli ammassi rocciosi e occlude i condotti, aumentando in modo improvviso la portata dei corsi d’acqua e, di conseguenza, il rischio idraulico. Non è mancata la denuncia dei sentieri Cai interrotti o cancellati a causa delle attività estrattive nelle aree che li intercettano, un fatto che ostacola l’accesso e la frequentazione da parte degli escursionisti e contrasta lo sviluppo di economie sostenibili alternative.

      Si è parlato anche di lavoro, con la disoccupazione che, dal 2009 al 2021 nella provincia di Massa Carrara, è stata quattro volte superiore alla media regionale e due volte sopra quella nazionale. Dato dovuto anche al fatto che, con i nuovi sistemi di escavazione, la forza lavoro richiesta nelle cave sia in costante diminuzione.

      L’ultimo intervento, quello di Alessandro Gogna, ha posto l’accento sul concetto di limite, che deve valere non solo per l’alpinismo e per il turismo montano, ma anche per l’attività estrattiva. Il limite presuppone umiltà, nei confronti degli altri, di se stessi, ma anche dell’ambiente in cui viviamo. Un limite che non viene imposto, ma che ognuno dovrebbe scegliere per non offendere la natura e l’umanità intera.

      Il corteo e la giornata di domenica

      In più di un migliaio, nel pomeriggio, hanno partecipato al corteo che, dallo Stadio dei Marmi, si è snodato lungo le vie del centro cittadino, con la partecipazione di diverse Sezioni Cai. I manifestanti hanno voluto ribadire che estrattivismo non sia sinonimo di estrazione, bensì sia un modello che concentra i profitti nelle mani di pochi, socializzandone i costi.

      Domani la manifestazione continua con tavoli di approfondimento e dibattito diffusi in diversi spazi sociali e circoli della città, con l’obiettivo di avviare un percorso collettivo che sia in grado di dialogare con la comunità proponendo alternative sostenibili per questi territori montani.

      https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/carrara-una-giornata-per-le-apuane

  • Rovesciare l’ipocrisia del sistema di #Accoglienza
    https://www.meltingpot.org/2023/12/rovesciare-lipocrisia-del-sistema-di-accoglienza

    Il presente comunicato è scritto dallə attivistə delle scuole di italiano e degli sportelli di supporto legale degli spazi sociali del Nord-Est. Come tali, ci riconosciamo nei valori e nelle pratiche dell’antirazzismo, antisessismo e antifascismo. Siamo una rete di realtà autogestite che operano in diversi territori e sono attive da molti anni. Muovendo da questi principi, portiamo avanti le nostre attività nel tentativo di formare spazi di comunità nuovi e aperti. Il nostro agire vede la lingua come strumento di emancipazione, autodeterminazione e autorealizzazione, necessario e imprescindibile. L’insegnamento della lingua italiana non deve essere garantito in modo elitario e (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #A_proposito_di_Accoglienza #Corsi_di_lingua_italiana #Iscrizione_anagrafica #Italia #Razzismo_e_discriminazioni #Solidarietà_e_attivismo

  • #Padova. L’appello-denuncia sul centro d’accoglienza temporaneo all’ex aeroporto Allegri
    https://www.meltingpot.org/2023/12/padova-lappello-denuncia-sul-centro-daccoglienza-temporaneo-allex-aeropo

    A settembre scorso la Prefettura di Padova ha allestito un centro temporaneo di prima #Accoglienza di persone migranti, per sopperire alla carenza di posti letto nei CAS locali. Il luogo scelto è l’Aeroporto Allegri, dove le persone sono alloggiate in container da quattro persone ciascuno (6x3x2.8 metri quadri). Inoltre, vi è un modulo separato per la mensa e uno per il bagno. Inizialmente, la Prefettura aveva chiesto alla Croce Rossa la disponibilità ad essere l’ente gestore. In seguito alla risposta negativa della CRI, che si è resa disponibile solo ad effettuare gli screening sanitari, la gestione è attualmente in (...)

    #Comunicati_stampa_e_appelli #Notizie #A_proposito_di_Accoglienza #Decreto_Piantedosi #DL_10_marzo_2023,n._20_Decreto_Cutro #Italia #Minori_e_Minori_Stranieri_Non_Accompagnati #Solidarietà_e_attivismo #Veneto