• Sulle tracce della Storia

    Attraverso azioni di #guerriglia_odonomastica, il collettivo bolognese #Resistenze_in_Cirenaica accende i riflettori su una delle pagine più buie della Storia italiana: l’epoca coloniale.

    Padre Reginaldo Giuliani, Antonio Locatelli, Duca d’Aosta, Tripoli e Amba Alagi sono figure e luoghi legati al colonialismo italiano. Questo, però, non è l’unico aspetto che condividono. A tutti loro, infatti, Bolzano ha dedicato anche una strada: via Giuliani, via Locatelli, via Amba Alagi, via Duca d’Aosta si trovano nei pressi di piazza Vittoria; via Tripoli è un po’ più nascosta e sorge nelle vicinanze di via Fago. Se su alcuni monumenti che rimandano a una delle pagine più buie della Storia italiana – come il Monumento alla Vittoria o il bassorilievo di Piffrader – sono stati operati dei processi di ricontestualizzazione storica, rispetto all’odonomastica il dibattito culturale e accademico – a Bolzano come in tantissime altre città italiane – non ha prodotto ancora interventi concreti a livello strutturale.

    Di fronte a questo generale rimosso collettivo, in Italia e in Europa, si segnalano alcune eccezioni. Nel 2017, per esempio, il comune di Udine ha eliminato piazza Cadorna, modificandone l’odonimo in piazzale Unità d’Italia. Lo stesso anno a Madrid ha avuto luogo un lavoro di risignificazione ancora più profondo, quando l’amministrazione comunale ha eliminato 52 odonimi intitolati a Franco e ad altri personaggi della dittatura. A Berlino, invece, l’articolo 5 del Berliner Straßengesetzes prevede per legge la ridenominazione delle strade con riferimenti a “pionieri e sostenitori del colonialismo, della schiavitù e delle ideologie razziste-imperialiste”. A fianco di queste poche iniziative istituzionali, nell’ultimo decennio sono germogliate anche realtà che, coniugando ricerca e attivismo, intervengono con azioni di guerriglia odonomastica dal forte impatto storico, politico e sociale. L’esperienza che ha fatto da apripista a questo tipo di operazioni è quella del collettivo Resistenze in Cirenaica (RIC) di Bologna.

    Il rione resistente

    “Partendo dalle strade e dai luoghi dedicati al colonialismo italiano, Resistenze in Cirenaica intende operare una profonda critica storica e avviare processi di condanna politica per colmare il vuoto prodotto dalla rimozione delle tracce del colonialismo nella Storia, nella cultura e nella psiche del Paese”. Lo scrittore, traduttore e regista Jadel Andreetto, insieme a Mariana Eugenia Califano fondatore e anima del collettivo bolognese, descrive così gli obiettivi principali del cantiere culturale permanente nato nel 2015. A Bologna, il rione Cirenaica fu edificato durante gli anni della guerra italo-turca del 1910-1911. Proprio per celebrare l’impresa coloniale in Tripolitania e Cirenaica, nel 1913 una delibera del Consiglio Comunale approvò gli odonimi via Tripoli, via Bengasi, via Libia, via Due Palme, via Zuara, via Homs, via Cirene per il reticolo di strade comprese tra via San Donato e via San Vitale. “Nel 1949, la giunta comunale guidata dal sindaco Dozza, però, modificò i nomi delle strade della Cirenaica: il racconto condiviso dalla collettività non avrebbe più celebrato i luoghi del colonialismo fascista, ma avrebbe onorato i partigiani che contribuirono alla Liberazione di Bologna”, spiega Andreetto. Via Tripoli divenne via Paolo Fabbri, via Bengasi via Giuseppe Bentivogli, via Zuara prese il nome di via Massenzio Masia, via Due Palme quello di Mario Musolesi e così via. Solo un odonimo rimase immutato: via Libia.

    Questo è il terreno da cui nasce Resistenze in Cirenaica. L’uso del plurale è d’obbligo, perché, come puntualizza Andreetto, “plurale e meticcia fu la Resistenza al nazifascismo in Italia: tra i partigiani, infatti, c’erano persone Nere, disertori tedeschi, polacchi, turchi di origine ebraica, addirittura mongoli”. Le prime tracce dell’iniziativa risalgono al 2012, quando nel rione venne costruito un palazzo adiacente a uno spazio verde, fino a quel momento gestito autonomamente dagli abitanti della zona. “La proprietà dell’immobile avrebbe voluto includere nell’area di sua competenza anche il giardinetto, ma il quartiere si oppose con una mobilitazione trasversale”, racconta Andreetto. Il giardino rimase uno spazio pubblico, ma a questo punto necessitava di un’intitolazione. Sulla scia di quanto accaduto nel 1949, il quartiere propose di intitolarlo a Lorenzo Giusti, ferroviere e partigiano anarchico. “Avevamo già preparato una targa – ricorda l’attivista, – ma il Comune ne appose una diversa, la cui descrizione recitava ‛amministratore comunale’, poiché Giusti fu anche assessore”. I residenti della Cirenaica non poterono fare altro che coprire questa scritta con un adesivo che definiva Giusti “partigiano anarchico”, in linea con la volontà della famiglia e con la Storia del rione.

    Tre anni dopo la conquista di questo giardino, il 15 settembre 2015, il collettivo organizzò poi il primo trekking urbano lungo le strade della Cirenaica, a cui parteciparono 3.500 persone. Utilizzando un formato che intrecciava narrazione e performance musicale, Andreetto e soci raccontarono le storie “doppie” delle vie del rione, quelle legate al passato coloniale e quelle dei partigiani da cui ancora oggi prendono il nome. “L’obiettivo finale della nostra prima azione fu via Libia, l’unica ad aver mantenuto l’odonimo legato al colonialismo”, ricorda Adreetto. La notte prima dell’evento gli attivisti modificarono i cartelli ufficiali lungo tutta la via e, così, al mattino la Cirenaica si svegliò con una nuova strada, via Vinka Kitarović, in onore della partigiana croata che, dopo essere stata deportata in Italia, fuggì dalla prigionia e si unì alla Resistenza.

    La guerriglia odonomastica

    “Questa prima azione fu importante e non la rinneghiamo, ma capimmo subito che per raccontare in maniera più efficace la Storia avremmo dovuto percorrere una strada diversa”, afferma Andreetto. La rinominazione, quindi, è un’azione che oggi il collettivo utilizza solo in situazioni specifiche. Accade, per esempio, ogni otto marzo, quando il gruppo reintitola informalmente “piazzetta delle Partigiane” lo spazio che il Comune ha battezzato “piazzetta degli Umarells” o quando individua un luogo ancora “senza nome”, come capitato per lo spiazzo dedicato informalmente a Sylvia Pankhurst, giornalista inglese che per prima denunciò le violenze del colonialismo italiano in Etiopia, o a Violet Gibson, la donna anglo-irlandese che il 7 aprile 1926 sparò a Benito Mussolini e che dopo il fallito attentato venne estradata a Londra e rinchiusa nell’Ospedale per malattie mentali di Northampton, dove morì nel 1956.

    Una delle azioni a cui Resistenze in Cirenaica ricorre ancora spesso, invece, è la risignificazione delle vie. “Le parole sono incantesimi e quindi, attraverso il suo odonimo, ogni spazio che attraversiamo ci racconta una storia”, riprende Andreetto. Pertanto per esorcizzare il male evocato da un odonimo, per esempio “Libia”, il Collettivo agisce una “magia bianca”, attraverso un adesivo descrittivo – “luogo di crimini del colonialismo italiano” – e un QR Code che ne racconta la Storia. In questi dieci anni, inoltre, il gruppo bolognese ha dato vita anche a diversi progetti multimediali. Viva Zerai! è la mappa interattiva dei luoghi di una sterminata “topografia colonialista” fatta di edifici, monumenti, odonimi, lapidi e fantasmi che incarnano nel paesaggio l’eredità coloniale italiana. Secondo coordinate analoghe si muove anche Bennywise, una cartina dell’Italia in cui vengono segnalate le città che hanno dato e riconfermato la cittadinanza onoraria a Mussolini e ad altri gerarchi fascisti.

    Andreetto confessa che “ricostruire il quadro delle città ‛infestate’ è un’operazione complessa, perché non esiste un archivio ufficiale o un elenco completo e le informazioni sono spesso frammentarie”. Le segnalazioni pervenute a RIC, quindi, provengono perlopiù da privati cittadini e dalla stampa locale di tutta Italia. A oggi è emerso un quadro per certi versi curioso: ci sono città che dopo il 1945 hanno immediatamente revocato la cittadinanza a Mussolini – Napoli, Matera, Latina – e altre invece che anche in tempi recenti l’hanno riconfermata. Tra queste molte città governate dal centrosinistra, come Bologna, secondo cui la revoca costituirebbe un’operazione di cancel culture. “Noi siamo convinti che sia esattamente il contrario: togliendo le onorificenze a chi ne è indegno si sollecita la Storia e si incentiva un dibattito, mentre è proprio mantenendole che si evita il confronto critico con il passato e, quindi, lo si cancella”, sottolinea l’attivista.

    La Federazione delle Resistenze

    Accendendo i riflettori su una questione ancora molto attuale, il lavoro di Resistenze in Cirenaica ha catturato l’attenzione di collettivi e gruppi di altre città, portando presto la pratica della guerriglia odonomastica oltre i confini del capoluogo emiliano. Il primo contatto con l’“esterno” avviene nel 2020, poco prima del lockdown, quando RIC viene contattata da alcuni cittadini di Reggio Emilia, interessati a intervenire sui nomi coloniali delle strade della propria città. È il primo tassello di un puzzle più grande che prende il nome di Federazione delle Resistenze e che oggi conta molte città, tra cui Padova, Milano, Carpi, Lodi, Salò, Brescia, Roma e Palermo. La base del lavoro delle Resistenze è il rigore storico, ma l’ambito in cui si muove ciascuna esperienza è soprattutto la strada. Questo approccio ritorna anche nelle collaborazioni che gli attivisti della Cirenaica hanno instaurato con diverse Università di tutto il mondo – dall’Italia alla Germania, dalla Serbia agli Stati Uniti. “In questi momenti condividiamo le nostre pratiche in una parte teorica e con dei workshop, ma poi chiediamo ai partecipanti di portare in strada le loro conoscenze attraverso azioni di guerriglia odonomastica”, spiega Andreetto.

    È quanto successo, per esempio, in occasione di una conferenza che RIC ha tenuto alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca. Qui, dopo aver partecipato a una lezione, gli studenti hanno guidato due trekking urbani lungo le vie e i monumenti della città dedicati al colonialismo. Ovviamente, la guerriglia odonomastica va declinata in base al contesto in cui ci si trova ad agire. "A Belgrado, operare in strada può essere particolarmente rischioso per via della presenza di gruppi di estrema destra legati a doppia mandata con la Russia, e quindi insieme alla realtà locale e a uno storico serbo abbiamo pianificato un intervento che fosse innocuo per chi lo avrebbe allestito e, successivamente, per chi ne avrebbe usufruito”. Da questo incontro è scaturito il progetto Landmark-Question mark, che ha visto le strade della capitale serba tappezzate con un punto di domanda rosso e un QR Code, che permetteva di accedere ai contenuti storici.

    “Il lavoro accademico è fondamentale, ma la Storia è viva e deve tornare a circolare in strada. Ed è proprio in questa dimensione on the road che continueremo a operare”, conclude Andreetto. Attualmente Resistenze in Cirenaica è impegnato nell’Operazione Guastafeste – “progetto nato per decostruire il mito nazionalista, colonialista e guerrafondaio dell’impresa di Fiume e della figura di D’Annunzio” – e porta avanti varie collaborazioni con altre realtà italiane e internazionali interessate ad applicare i princìpi della guerriglia odonomastica nella propria città. Ad aprile, il collettivo bolognese toccherà anche Bolzano, per una due giorni allo Spazio autogestito 77 (vedi infobox). Un impegno che non conosce sosta, quello di Resistenze in Cirenaica, ma d’altra parte, se le iniziative di un piccolo gruppo di persone partito da un rione di Bologna continuano a riverberarsi in tutto il mondo, appare evidente che la guerriglia odonomastica nelle sue varie declinazioni sia ancora oggi una pratica necessaria per contrastare le tenebre della rimozione storica e le narrazioni tossiche che infestano le nostre città.

    https://salto.bz/it/article/31032025/sulle-tracce-della-storia
    #toponymie #toponymie_coloniale #Italie #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces_coloniales #noms_de_rue #Bologne #Bologna

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  • Comme une guerre qui ne finissait jamais

    Deux vieux Piémontais de la province de #Cuneo racontent leur XXe siècle. Des vies de migrants, dans ces mêmes #montagnes qui marquent la #frontière entre France et Italie, et qui sont aujourd’hui franchies par des milliers d’Africains en quête d’une vie meilleure.
    Lus par deux jeunes Italiens vivant et travaillant à Marseille, les #récits_de_vies de ces deux Piémontais, recueillis dans les années 1970 par Nuto Revelli (1919-2004), anthropologue autodidacte, racontent la #pauvreté et la migration, le franchissement des frontières, le travail et la guerre, la circulation des cultures et des langues, l’attachement de l’exilé au pays natal plus qu’à la patrie. Ils sont accompagnés d’archives de différentes époques, qui renvoient à la migration comme constante historique de cette #frontière_alpine. Des enregistrements conservés au Mucem et des prises de son contemporaines in loco (#Briançonnais et #Valle_Stura) reconstruisent des paysages sonores réalistes.

    https://soundcloud.com/user-897145586/comme-une-guerre-qui-ne-finissait-jamais-raphael-botiveau


    #giorno_della_marmotta
    #guerre #migrations #réfugiés #Matteo_Renzi #Matteo_Salvini #catégorisation #histoire #Piémont #montagne #Italie #France #frontières
    #podcast #audio #Alpes_Maritimes #pas_de_la_mort #travail #décès #mourir_aux_frontières #frontières_sud-alpine #jour_de_la_marmotte #Oulx #Marmora

  • Chi chiede asilo torna in Italia : l’accordo con Tirana è carta straccia

    La Corte d’appello della capitale non convalida il trattenimento a #Gjader di un cittadino del Marocco: mancano i requisiti del protocollo. Ma Piantedosi esulta per il primo rimpatrio di un migrante del Bangladesh che, comunque, è dovuto ripassare da Roma.

    C’è un buco nella seconda fase del protocollo Roma-Tirana: se un migrante trasferito da un Cpr italiano a quello di Gjader fa domanda d’asilo non può essere trattenuto in Albania. Lo ha stabilito ieri la Corte d’appello della capitale nel primo caso di questo tipo, per un uomo del Marocco. Una sentenza esplosiva che manda in cortocircuito il nuovo tentativo del governo di riempire i centri d’oltre Adriatico.

    DOPO LA RICHIESTA di protezione internazionale, infatti, serve una nuova udienza di convalida della detenzione e siccome riguarda un richiedente asilo la competenza passa dal giudice di pace alla Corte d’appello. Che ieri ha stabilito l’assenza di requisiti per il trattenimento in Albania. L’uomo dovrà essere riportato in Italia e andrà anche liberato, difficile ci siano i tempi tecnici per un’altra udienza.

    Dei primi 40 migranti trasferiti dal territorio nazionale l’11 aprile tre erano già stati rimandati indietro nei giorni scorsi. Due per ragioni sanitarie e uno per il ricorso pendente al momento della deportazione. Un “irregolare” di origini algerine è stato invece spedito a Gjader l’altro ieri. Erano quindi in 38 nel centro alla decisione della Corte sul trentenne marocchino, difeso dagli avvocati Donato Pianoforte e Ginevra Maccarrone.

    L’UOMO ERA ARRIVATO in Italia nel 2021. Nel 2023 ha ricevuto una condanna penale. Dopo averla scontata non è stato liberato, ma è finito nel Cpr di Potenza. Da là lo hanno portato a Gjader, dove ha chiesto asilo per la prima volta. In 24 ore la commissione ha risposto negativamente, consegnandogli un diniego. La domanda è stata esaminata seguendo la procedura prevista per chi si trova in detenzione amministrativa. Procedura «accelerata» ma diversa da quella «accelerata di frontiera», riservata a chi non è mai entrato nel territorio nazionale. Come le persone salvate in acque internazionali e mandate in Albania nei primi tre round di trasferimenti: il target iniziale del progetto.

    Poi a fine marzo, per scavalcare lo stop dei giudici sul tema «paesi sicuri», il governo ha modificato la legge di ratifica del protocollo estendendo l’uso dei centri agli “irregolari”. Per l’esecutivo l’ampliamento di funzioni è possibile senza toccare l’accordo con Tirana perché quel testo consente la permanenza in Albania «al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o rimpatrio». Le prime per i richiedenti mai entrati in Italia, le seconde per gli “irregolari” destinatari di espulsione già sul territorio nazionale. Ma se il migrante chiede asilo successivamente si crea un terzo caso che richiede, appunto, un’altra procedura. Sta qui il buco, l’errore di sistema. Il cittadino marocchino era alla prima richiesta, parzialmente diversa sarebbe una «domanda reiterata», presentata dopo uno o più dinieghi. Anche in questo caso, però, l’esame seguirebbe un iter accelerato ma non «di frontiera».

    IL CASO DI IERI era prevedibile, già il 12 aprile il manifesto aveva scritto che ci sono varie strade per invocare quel controllo giurisdizionale che il governo vuole evitare a tutti i costi. Chiedere asilo era la seconda di tre. Potrebbe sembrare l’ennesimo cavillo giuridico, uno di quelli evocati dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi alla presentazione del decreto, ma succede esattamente il contrario. È l’esecutivo che, con la sponda della Commissione Ue, sta giocando sul filo di leggi nazionali, dettato costituzionale e normative europee per provare ad attuare un progetto che solleva numerose illegittimità dal punto di vista dei diritti fondamentali.

    In primis il diritto alla libertà personale che non a caso i costituenti hanno messo al riparo dagli abusi dell’autorità con la doppia riserva, di legge e di giurisdizione, prevista dall’articolo 13 della Costituzione. La verità è che il progetto Albania è sempre più un test sui margini di arbitrio del potere esecutivo. Una dinamica preoccupante, soprattutto guardando a ciò che avviene negli Usa di Trump: non a caso sullo stesso terreno dell’immigrazione.

    SEMPRE ieri, giusto tre ore dopo il deposito della sentenza, Piantedosi ha annunciato: «Primo rimpatrio dall’Albania di un cittadino straniero trattenuto a Gjader». È un uomo del Bangladesh di 42 anni con precedenti, ritenuto «socialmente pericoloso». Dal Viminale, però, confermano che tutti i rimpatri devono avvenire dall’Italia. Quindi il migrante è stato spedito in Albania la settimana scorsa, parcheggiato per un po’, riportato indietro e poi rimpatriato.

    L’unico successo della mossa potrebbe essere distogliere l’attenzione da quanto stabilito dalla Corte d’appello. Per qualche giorno forse funzionerà. Ma da ieri le fondamenta del protocollo Albania sono ricominciate a crollare.

    https://ilmanifesto.it/chi-chiede-asilo-torna-in-italia-laccordo-con-tirana-e-carta-straccia

    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #Italie #Albanie #justice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

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  • But We Built Roads for Them. The Lies, Racism and Amnesia that Bury Italy’s Colonial Past

    In the fiery political debates in and about Italy, silence reigns about the country’s colonial legacy. By reducing the European colonial sweep to Britain and France, Italy has effectively concealed an enduring phenomenon that lasted close to 80 years (1882 to 1960). It also blots out the history of the countries it colonized in Northeastern Africa.

    Italian colonial history began in 1882 with the acquisition of Assab Bay and came to a formal end only on July 1, 1960, when the Italian flag was lowered in Mogadishu, Somalia. It began well before Mussolini’s rise to power and lasted for many years thereafter. It involved both the Kingdom of Italy in the liberal period and the Republic of Italy after World War II.

    #Francesco_Filippi challenges the myth of Italians being “good” colonialists who simply built roads for Africans. Despite extensive historiography, the collective awareness of the nations conquered and the violence inflicted on them remains superficial, be it in Italy or internationally. He retraces Italy’s colonial history, focusing on how propaganda, literature and popular culture have warped our understanding of the past and thereby hampered our ability to deal with the present.

    As in his previous No. 1 Italian bestseller Mussolini Also Did A Lot of Good, Filippi pits historical facts against tenacious popular myths about Italy and Italy’s colonial history.

    https://www.barakabooks.com/catalogue/italy-built-roads
    #colonialisme_italien #modernité #Italie #colonialisme #histoire_coloniale #mensonges #racisme #propagande #passé_colonial #livre

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  • En Tunisie, « le retour volontaire », nouvelle voie pour de nombreux migrants
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2025/04/18/en-tunisie-le-retour-volontaire-nouvelle-voie-pour-de-nombreux-migrants_6597

    En Tunisie, « le retour volontaire », nouvelle voie pour de nombreux migrants
    Par Mustapha Kessous (El Amra, Tunisie, envoyé spécial) et Nissim Gasteli (Tunis, correspondance)
    Cette fois, c’est fini. « Le voyage est cassé », lâchent-ils. L’esprit est vide, les poches aussi. Pour ces Sénéglais, Ivoiriens ou Sierra-Léonais, les plages non loin d’El Amra, près de la ville de Sfax, dans le centre-est de la Tunisie, est devenu le terminus de leur « aventure ». L’Europe, leur ultime désir, reste encore une chimère. Toujours Inaccessible.
    Pour eux, une autre voie se dessine, celle d’un retour au pays. Une idée jusqu’alors impensable qu’ils commencent à évoquer du bout du bout des lèvres. Que faire d’autre ? Rejoindre l’île italienne de Lampedusa à partir des plages de Chebba ou Salakta est devenu presque impossible. Depuis le 1er janvier, seuls 432 migrants y sont parvenus, à bord d’embarcations de fortune, selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Ils étaient plus de 18 000 sur la même période, il y a deux ans.
    Cette chute vertigineuse des traversées clandestines s’explique par l’accord signé à l’été 2023 entre la Tunisie et l’Union européenne (UE). Avec 260 millions d’euros d’aides afin de renforcer, entre autres, les garde-côtes tunisiens, la route maritime est désormais verrouillée. « On est coincés », déplore Fatoumata Camara, une Guinéenne de 27 ans, qui tente, en ce début de soirée, de réchauffer sur sa poitrine sa fille Maryam, née il y a trois mois.
    Elles vivent dehors dans une zone boisée quasi inhabitée à l’entrée de Sfax, adossées à un muret de pierres, avec une dizaine d’autres compatriotes. En regardant son bébé s’agiter – les nuits glaciales l’empêchent de dormir –, Mme Camara s’en prend à elle-même : « Pourquoi je suis partie ? Je n’ai plus rien au pays. Les tentatives de prendre la mer ont échoué. »
    Elle se tait. Une minute, puis deux. « J’ai dépensé des milliers d’euros. Avec cette somme, j’aurais pu faire des choses chez moi. Ce voyage n’en vaut pas la peine. On a perdu notre temps, il faut rentrer », martèle-t-elle. Pour cette coiffeuse qui a quitté Conakry, il y a presque deux ans, « cette politique de nous empêcher de partir a réussi. Ils [l’UE et l’Etat tunisien] ont gagné ».Assis chacun sur le couvercle rouillé d’une boîte de conserve, Hassan Traoré, 22 ans, et Omar Touré, 28 ans, l’écoutent dans un silence chargé de chagrin. Eux aussi veulent rentrer en Guinée. C’est bien plus qu’une envie : ils ont entamé les démarches auprès de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui propose aux migrants découragés par le blocage sécuritaire de financer leurs retours vers leurs pays respectifs.
    « OIM ». L’acronyme de cette agence rattachée aux Nations unies est dans de nombreuses bouches. Des taudis informels installés sur les champs d’oliviers près d’El Amra jusqu’à Tunis, les « voyageurs », comme ils se nomment, cherchent à rencontrer les employés de l’organisation.Au lendemain du démantèlement de l’immense camp du « kilomètre 30 », le 4 avril, certains ont accouru à son antenne de Sfax pour y déposer une demande de retour volontaire – qui comprend la prise en charge du billet d’avion, des nuitées dans un hôtel avant le départ et une aide médicale. Mais la tâche est ardue, notamment pour ceux qui vivent loin de la ville : les taxis sont chers et les louages (minibus) n’acceptent pas les « Noirs », disent certains.
    « Rentrer au pays est une humiliation. Je n’irai pas au village, je ne veux pas qu’on se moque de moi, qu’on dise que j’ai échoué, confie Hassan Traoré, en jetant un œil sur un post-it jaune sur lequel est écrit son numéro de dossier, déposé le 10 avril. Mais je suis fatigué. »Fatigué par deux années d’enfer à traverser les déserts algérien et libyen, éreinté par un mois dans une prison sfaxienne pour « séjour irrégulier », épuisé de demander à ses proches au pays de l’argent pour manger… Alors quand l’agent de l’OIM lui a demandé « Hassan Traoré, voulez-vous retourner en Guinée ? Vous n’y êtes pas forcé », il a répondu sans hésiter : « Oui, je veux me retourner. » Et il a signé le document validant sa décision.
    Combien de migrants ont accepté ce retour volontaire ? « Seulement 1 544 » depuis le début de l’année, a indiqué le président tunisien, Kaïs Saïed, dans un communiqué, publié fin mars, pressant l’OIM d’intensifier le rythme. En réalité, l’agence onusienne ne ménage pas sa peine. D’après les statistiques communiquées par l’OIM au Monde, plus de 250 000 migrants bloqués dans six pays de transit vers l’Europe – Maroc, Algérie, Tunisie, Libye, Egypte et Niger – ont été rapatriés chez eux grâce à ce programme depuis 2013. Près de 50 000 rien qu’en 2024, année record.
    En outre, selon les données transmises par la Commission européenne au Monde, Bruxelles a très largement augmenté sa contribution au budget de l’OIM, passant de 85,7 millions d’euros en 2014 à près de 600 millions d’euros en 2024. En dix ans, l’institution a ainsi reçu près de 3,2 milliards d’euros de fonds européens pour différents programmes, dont celui « des retours volontaires » que certains migrants comparent à un système de « déportation ». Ce à quoi un porte-parole de la Commission européenne riposte assurant que ces retours sont « libres et éclairés
    L’Italie a décidé, début avril, d’allouer 20 millions d’euros pour rapatrier les Subsahariens présents en Algérie, Tunisie et Libye vers leurs pays d’origine respectifs, toujours en coopération avec l’OIM. En juin 2023, la France avait octroyé 25,8 millions d’euros d’aide bilatérale à la Tunisie pour « contenir le flux irrégulier de migrants et favoriser leur retour dans de bonnes conditions », avait déclaré Gérald Darmanin, alors ministre de l’intérieur, lors de sa venue à Tunis.
    « Toutes ces sommes d’argent sont insuffisantes », s’emporte Tarek Mahdi, député de Sfax. Ce proche du président Saïed plaide pour une réévaluation à la hausse des aides et la mise en place d’« un pont aérien » entre la Tunisie et les pays d’origine des migrants afin d’« accélérer » leur retour.« Pour beaucoup de fonctionnaires internationaux, le retour volontaire est perçu comme un dispositif humanitaire, un pis-aller face à des situations qu’ils ont contribué à provoquer », résume Camille Cassarini, chercheur à l’Institut de recherche sur le Maghreb contemporain, à Tunis.
    Depuis plusieurs années, ce programme essuie de nombreuses critiques des défenseurs des droits humains à cause des conditions dans lesquelles il est proposé. « Nous avons toujours remis en question le caractère volontaire de ces retours, car ces personnes migrantes sont interdites de se déplacer, de travailler, d’être hébergées, elles sont privées de tout droit », explique Romdhane Ben Amor, porte-parole du Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES), qui décrit l’OIM comme une « agence au service des politiques migratoires européennes », dénonçant « la complicité de l’Etat » tunisien.
    D’ailleurs, en Libye, le Haut-Commissariat aux droits humains des Nations unies avait jugé en 2022 qu’en « raison de l’absence de consentement libre, préalable et éclairé et de voies alternatives viables, sûres et régulières pour la migration », de nombreux migrants sont « effectivement contraints d’accepter des retours ».
    Au Monde, l’OIM reconnaît « que les options offertes aux migrants confrontés à la perspective d’un retour peuvent être limitées et ne pas correspondre aux souhaits de l’individu ». Toutefois, elle défend ce choix « préférable », car « l’aide au retour représente souvent une solution salvatrice pour de nombreux migrants qui vivent dans des conditions particulièrement déplorables ».
    « Salvatrice ? » C’est ce que ressent Omar Touré, ce Guinéen qui vivote à l’entrée de Sfax : il se sent soulagé. Il a averti sa mère pour lui dire qu’il allait rentrer. « Elle a pleuré », lance-t-il. Sept années qu’il a quitté son pays. « Ce voyage, c’est une maladie psychologique. Mentalement et physiquement, nous sommes enfermés », argue-t-il. Maintenant, il attend un appel de l’OIM pour lui proposer un départ pour Conakry. Cela peut prendre des semaines ou des mois : l’agence doit vérifier son identité avec les autorités de son pays – il a déchiré ses papiers au début de son voyage – avant que celui-ci ne lui délivre un passeport. Omar Touré a juré, une fois sur ses terres, qu’il dirait « la vérité » aux plus jeunes : ne pas tenter d’aller en Europe. « La mort vous accompagne tout au long de ce voyage, clame-t-il. C’est une fausse route. »

    #Covid-19#migrant#migration#OIM#UE#retour#rapatriement#sante#santementale#guinee#italie#tunisiie

  • #Mozzarella, le #fromage de la souffrance

    La mozzarella di bufala - ou mozzarella au lait de bufflonne - est un produit premium apprécié au-delà des frontières italiennes dont la couleur blanche évoque l’innocence. Et pourtant, coté production, la pureté n’est pas toujours au rendez-vous dans les exploitations de #Campanie.

    Plus de 90 % de la mozzarella de bufflonne #AOP italienne provient de Campanie. Malgré une demande européenne en hausse, de nombreux éleveurs de bufflonnes luttent pour survivre. Paolo Carlino pâtit de la hausse des #prix du fourrage et de l’énergie. Sans parler d’un autre fléau, la #brucellose_bovine, qui a décimé la moitié de son troupeau qui comptait trois cents bêtes. Même si son #élevage en stabulation lui garantit un rendement laitier supérieur à celui généré par l’élevage en pâturage (quelque 1 000 litres par buffle et par an), sa marge a fondu de 50 à 10 % ces dernières années. Avec des conséquences désastreuses pour toute sa famille.

    Cette pression sur les prix et la production se répercute souvent sur la santé des animaux. Francesco Ceccarelli, défenseur des animaux et membre de l’ONG « Essere Animali », documente à l’aide de caméras cachées et de drones les manquements parfois graves des élevages de buffles en Italie, afin d’alerter les autorités locales et les milieux politiques européens. Les veaux mâles sont assimilés à des déchets, ils sont inutilisables pour la production de lait et la viande de buffle ne fait pas recette.

    Antonio Palmieri est passé en bio il y a 30 ans. Un pari risqué à l’époque, car cette agriculture n’avait pas encore le vent en poupe. Aujourd’hui, sa ferme fait figure de parc d’attractions pour la mozzarella di bufala bio. Trente mille visiteurs s’y croisent chaque année. Bien qu’il s’engage en faveur d’une mozzarella irréprochable, il lui arrive de faire quelques concessions sur le bien-être animal lorsque les bénéfices sont en jeu.

    https://www.arte.tv/fr/videos/111749-018-A/arte-regards
    #mozzarella_di_bufala #bufflonne #agriculture #exploitation #Italie #coûts #agriculture_biologique #mozzarella_di_bufala_campana #vidéo

  • Il “clima di terrore” tra i lavoratori dei centri per migranti in Albania

    Riservatezza e “obbligo di fedeltà” sono alcune delle clausole che i dipendenti di Medihospes Albania hanno dovuto sottoscrivere per iniziare a lavorare nelle strutture di #Shëngjin e #Gjadër. Gli operatori lamentano cattiva gestione e licenziamenti improvvisi. A un anno dall’aggiudicazione dell’appalto, la prefettura di Roma e il gestore non hanno ancora firmato il contratto. Mentre il governo ha riavviato i trasferimenti nella massima opacità. La nostra inchiesta.

    “Firmando il contratto abbiamo dovuto accettare una clausola che prevede ‘l’obbligo di fedeltà’: all’interno dei centri c’era un clima di terrore”, dice Arben, nome di fantasia di un ex dipendente della Cooperativa #Medihospes, l’ente gestore delle strutture per migranti di Shëngjin e Gjadër, in Albania, volute dal Governo Meloni. Un castello di carta retto da silenzio e “fedeltà” che poche informazioni fanno crollare in fretta.

    Documenti ottenuti da Altreconomia dimostrano infatti la confusionaria gestione del ministero dell’Interno dopo la frettolosa apertura di metà ottobre 2024, quando i centri erano in gran parte inagibili. A pochi mesi di distanza, la sostanza non è cambiata: il nuovo avvio dell’11 aprile è avvenuto nel buio più totale e ancora senza un contratto esistente tra la prefettura di Roma e Medihospes.

    Riavvolgiamo però il nastro per capire che cosa è successo. Esattamente un anno fa, il 16 aprile 2024, viene aggiudicato l’appalto da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri e quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si reca in Albania il 5 giugno 2024 per inaugurarli, l’apertura sembra imminente. Non è così: tutto resta fermo per settimane con l’esecutivo che posticipa di mese in mese l’apertura. Poi, in pochissimi giorni arriva un’accelerazione.

    L’8 ottobre avviene il doppio passaggio di “consegna” della struttura di Gjadër, il cuore del progetto albanese che prevede oltre 800 posti tra l’hotspot, il Cpr e la sezione destinata al carcere: il ministero della Difesa italiano, che ha svolto i lavori, consegna le strutture alla prefettura di Roma che a sua volta ne affida la gestione a Medihospes. Il documento, ottenuto da Altreconomia, sottolinea che l’avvio è parziale e “in via d’urgenza” ma il motivo dell’improvvisa fretta del governo non è indicato. Quel che è lampante, invece, è il ritardo dei lavori come dimostra la mappa allegata al verbale di inizio attività in cui vengono delimitate le aree ancora oggetto di cantiere che coprono gran parte del perimetro dei centri.

    I problemi non sono solo relativi agli spazi inagibili. Con una nota del 14 ottobre 2024, a tre giorni dall’arrivo dei primi migranti intercettati in mare, Medihospes indica alla prefettura tutte le criticità di un avvio della gestione così precipitoso. “Sono state consegnate all’ente gestore due palazzine alloggi ma, come poi verificato nelle ore successive presso il sito di Gjadër, solo una è utilizzabile dal personale atteso che la seconda è priva di letti”. I posti destinati ad alloggi per l’ente gestore “da capitolato risultano essere 60” mentre al 14 ottobre erano stati consegnati “soli 24 posti e non 48”, come era stato evidentemente pattuito. Secondo la cooperativa ciò rappresenta una “enorme criticità che comporta un notevole aggravio dei costi per la conseguente sistemazione del personale trasfertista”.

    Ancora. “Il numero delle aree destinate a spogliatoio del personale dell’ente gestore risulta assolutamente insufficiente”. Un’altra criticità è l’assenza di un locale da destinare a mensa o sala per la distribuzione dei pasti, così come l’affidamento a Medihospes della gestione di una “control room” non rientrante nelle prestazioni previste dal capitolato e dagli atti di gara. Solo per questa attività, comunicata all’ente gestore a sette giorni dall’avvio del servizio, serviranno un totale di 336 ore settimanali per le operazioni di videosorveglianza, antintrusione, antincendio, gestione di accessi e la filodiffusione.

    La cooperativa si mette addirittura a disposizione per fornire servizi non previsti del bando di gara, compresa la citata “control room”. Il confine tra gestione e sorveglianza si fa così progressivamente sempre più labile. Tanto che l’ente segnala le problematiche relative ai “varchi con cancelli motorizzati, non essendoci cancelli pedonali per entrare nei singoli lotti”. Medihospes sottolinea che “l’apertura frequente dei cancelli carrabili aumenterebbe il rischio di tentativi di fuga dal singolo lotto verso le aree comuni”, auspicando la realizzazione di “cancelli metallici dotati di tornello” così da garantire un maggior controllo.

    Insomma, i centri allora sono ancora lontani dall’essere pronti ma il 15 ottobre, mentre la nave Libra sta trasportando le prime persone soccorse al largo di Lampedusa verso le coste albanesi, arriva la firma del “verbale di esecuzione anticipata”. La giustificazione indicata dalla prefettura è “l’esigenza e l’urgenza di assicurare nell’interesse pubblico l’avvio del servizio di accoglienza e dei servizi connessi”.

    “La mancata firma del contratto sembra testualmente fondarsi su ragioni di urgenza che tuttavia sono correlate all’interesse pubblico di vedere avviati i centri -osserva Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista di Milano e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)– con una formulazione che suona solo tautologica e lascia inspiegata la ragione stessa dell’urgenza, a fronte di un protocollo della durata di cinque anni e di un contratto di gestione della durata di due anni prorogabile per altri due”. Un contratto che ancora oggi, a un anno di distanza, non sembra essere stato firmato.

    La confusione organizzativa poi ha avuto effetti negativi soprattutto sui lavoratori assunti da Medihospes, che a luglio 2024 ha aperto una filiale con sede a Tirana. “Ho siglato il contratto la notte prima dell’arrivo della nave Libra, non ho avuto neanche il tempo per leggere attentamente tutte le clausole”, riprende Arben, che racconta di non aver mai neanche ricevuto una copia dell’originale. “Ci è stata consegnata solo la fotocopia ma due mesi dopo la firma”, aggiunge, raccontando poi nel dettaglio come ha vissuto la prima operazione del governo. “Quando le prime persone sono arrivate sembravano spaventate, con gli sguardi assenti e sopraffatti dalle informazioni ricevute nell’hotspot di Shëngjin. Anche per noi è stato difficile seguire queste procedure”.

    Dopo il primo sbarco non sono stati solo i migranti ad affrontare la confusione ma anche gli operatori albanesi che non avevano ricevuto alcuna formazione. “Ci è stato detto di mantenere un ruolo di osservazione durante quella operazione. Non conoscevamo altri colleghi, né avevamo una visione d’insieme sul funzionamento dei centri. Fino alla fine di dicembre non abbiamo avuto nemmeno un ufficio”, sottolinea l’ex lavoratore, criticando la cattiva gestione e il caos della prima operazione avvenuta in fretta e furia. Tanto che i turni di lavoro sono stati forniti ai lavoratori molto tardi. “Tra le nove e le dieci della sera prima, e questo è accaduto anche nella seconda operazione”, spiega Arben.

    Inoltre, la prima formazione dello staff, durante la quale i lavoratori sono stati istruiti su tutte le procedure che si svolgono a Shëngjin e Gjadër con esercizi di simulazione sarebbe avvenuta solo una settimana dopo il primo trasferimento. Le sessioni informative sarebbero state condotte da Benedetto Bonaffini, imprenditore di Messina e già vicepresidente nazionale della Federazione italiana esercenti pubblici e turistici (Fiepet) di Confesercenti nonché colui che ha supportato Medihospes (allora Senis Hospes, come raccontato qui) a implementare le proprie attività nella città siciliana, soprattutto nell’ambito dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

    I lavoratori albanesi assunti da Medihospes nei primi mesi di attività nei centri sono stati 99. Il contratto che hanno firmato ha stringenti clausole di riservatezza e fedeltà

    Nonostante gli esorbitanti investimenti per i centri stimati in 800 milioni di euro, i lavoratori hanno poi lamentato l’assenza di condizioni adeguate di base per il personale, tra cui il fatto che hanno dovuto viaggiare a proprie spese per coprire i venti chilometri di distanza che separano l’hotspot di Shëngjin ai centri di Gjadër. “Il mio turno più lungo è durato dalle otto del mattino alle undici di sera, anche se per legge non possiamo lavorare più di 12 ore -denuncia il lavoratore-. La cooperativa ci ha pagato tutti gli straordinari che abbiamo lavorato, ma non ci ha riconosciuto l’aumento del 25% del salario per le ore extra dopo le 19 previsto dal contratto”.

    Sulla base di una lista interna di lavoratori ottenuta da Altreconomia, Medihospes Albania avrebbe assunto 99 lavoratori nei primi mesi di attività dei centri. Tra ottobre 2024 e metà gennaio 2025 sono stati contrattualizzati dieci mediatori, 14 informatori legali, sette operatori sociali e altri professionisti sanitari e amministrativi. Uno di questi ci ha mostrato il contratto di lavoro, basato sul diritto albanese, evidenziando le stringenti clausole di riservatezza che hanno costretto molti dei suoi colleghi a non parlare con i giornalisti. L’articolo 11 s’intitola “Riservatezza”, quello successivo “Obbligo di fedeltà” e prevede il dovere dei lavoratori a “mantenere segrete tutte le informazioni relative all’attività del datore di lavoro, informazioni di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di impiego presso il datore di lavoro”. Anche dopo la fine del rapporto di lavoro.

    Oltre al contratto, i lavoratori hanno dovuto firmare poi un codice di condotta, ovvero un documento interno che stabilisce le linee guida per garantire standard etici e professionali. Quest’ultimo li obbliga a consegnare il telefono all’ingresso del centro e a riporlo in un armadietto chiuso a chiave per utilizzarlo solo durante le pause, tranne nei casi in cui abbiano presentato al direttore del centro la richiesta di tenere il cellulare per esigenze di salute. Se non rispettano il codice di condotta, le persone assunte rischiano di incorrere in sanzioni che vanno dall’ammonimento scritto alla risoluzione del contratto. Come sostengono diversi ex dipendenti sentiti da Altreconomia, i rischi di infrangere il dovere di riservatezza ha fatto sì che si diffondesse paura nel denunciare potenziali abusi per timore di azioni legali o di licenziamento da parte dell’ente gestore.

    “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio” – Arben

    Licenziamento che è comunque arrivato, per molti di loro, a metà febbraio. Infatti, dopo la conclusione dei primi tre mesi di contratto a gennaio 2025, alcuni dipendenti sono stati richiamati in vista del terzo tentativo del governo italiano di trasferire i migranti dopo i due “fallimenti” di ottobre. Ai lavoratori è stato fatto firmare un contratto di sei mesi ma le cose non hanno funzionato come il Governo Meloni auspicava: il 31 gennaio tutti e 43 i migranti portati in Albania hanno fatto rientro in Italia su decisione del Tribunale di Roma, che ha applicato la legge. “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia -sottolinea Arben-. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio”. La “giustificazione” data dall’ente gestore è stata fatta risalire a “una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di cassazione”, come si legge nella comunicazione di interruzione del contratto di lavoro inviata ai dipendenti da Walter Balice, l’amministratore di Medihospes Albania.

    L’ennesimo tentativo di rendere operativi i centri è iniziato come detto l’11 aprile di quest’anno con il trasferimento a Gjadër di 40 persone straniere rinchiuse nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani. Due sono già tornate in Italia ma è una delle poche informazioni note. L’operazione è infatti avvenuta nella più totale opacità. “Non abbiamo potuto avere accesso alla lista di chi è rinchiuso e ci sono già stati gravi atti di autolesionismo -racconta Rachele Scarpa, parlamentare del Partito democratico che ha visitato i centri il 16 aprile-. Sul contratto, invece, l’ente gestore non ha potuto rispondere altro che ‘no comment’”.

    I nodi critici rimangono così molti. Non si sa se è previsto un importo minimo garantito a Medihospes per questi mesi di stop forzato delle strutture ma soprattutto la prefettura oggi sembra trovarsi in una posizione scomoda con l’ente gestore, vista la mancata firma del contratto a un anno dall’aggiudicazione dell’appalto. La prefettura di Roma non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, così come la cooperativa che si è limitata a dire che “essendo un fornitore” non gli è permesso commentare quello che succede nei centri in Albania.

    https://altreconomia.it/il-clima-di-terrore-tra-i-lavoratori-dei-centri-per-migranti-in-albania
    #Albanie #Italie #externalisation #travail #conditions_de_travail #contrat_de_travail #Medihospes_Albania #licenciement #sous-traitance #privatisation #obbligation_de_loyauté #migrations #réfugiés #asile #control_room #Benedetto_Bonaffini #code_de_conduite #Walter_Balice

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • A propos de Non mi sono fatto niente, de Maurizio Gibo Gibertini
    https://lundi.am/Sur-la-necessite-de-deserter-2

    « 12 décembre 1972. Nous sommes en tête à chanter "Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare, Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare" et à charger au cri de bataille des Zengakuren japonais, adapté pour l’occasion "Schiaccetrà (celèbre vin liquoreux des Cinq Terres) Banzai Banzai Banzai" »

    « Les Cercles de jeunes prolétaires ont comme pratique centrale l’autoréduction : factures, concerts, cinéma, spectacles. Droit à la culture et devoir pour les artistes de contribuer à une générique ”caisses des luttes” .

    (…) Désormais, j’en suis convaincu : l’antifascisme militant, aussi radical qu’il soit dans les pratiques, reste tout entier à l’intérieur de la dialectique démocratique. Il fait de nous la première ligne de la République née de la Résistance, de fait, il ne la met pas en discussion.
    Les luttes ouvrières elles-mêmes, qui, dans leur autonomie, refus de la hiérarchie de fabrique, blocage des marchandises, etc, expriment une rupture nette de la logique capitaliste, sont ensuite ramenée à la défense constitutionnelle dans les moments de ”synthèse de masse” [les grand-messes syndicales] »

    #Italie #autonomie #livre

  • Tunisie : des camps de migrants subsahariens démantelés après une campagne virulente
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2025/04/05/tunisie-demantelement-de-camps-de-migrants-subsahariens-apres-une-campagne-v

    Tunisie : des camps de migrants subsahariens démantelés après une campagne virulente
    Le Monde avec AFP
    Ils étaient devenus une épine dans le pied des autorités. La Tunisie a démantelé, vendredi 4 avril, des camps de fortune dans lesquels vivaient des milliers de migrants venus d’Afrique subsaharienne, après une virulente campagne sur les réseaux sociaux qui réclamait le départ de ces personnes en situation irrégulière. Les camps étaient installés au milieu d’oliveraies dans les régions d’El Amra et de Jebeniana, dans le centre-est du pays, et suscitaient un fort mécontentement chez les habitants des villages environnants.
    En tout, une vingtaine de milliers de migrants, divisés en plusieurs camps informels, avaient érigé des tentes dans les champs, a déclaré, vendredi soir, à l’Agence France-Presse le porte-parole de la garde nationale, Houssem Eddine Jebabli. Depuis jeudi, environ 4 000 personnes de plusieurs nationalités ont notamment dû quitter le camp du « kilomètre 24 », l’un des plus grands de la région, a-t-il ajouté. D’autres camps informels ont été évacués dans la même zone et les opérations se poursuivront sur les jours à venir, a-t-il précisé.
    Selon lui, des personnes vulnérables et des femmes enceintes ont été prises en charge par les autorités sanitaires. Interrogé sur le sort du reste des milliers de migrants, il a annoncé qu’une partie s’était « dispersée dans la nature ». D’après lui, de nombreuses personnes ont émis le souhait d’un retour volontaire dans leur pays.
    Vendredi soir, là où se tenait le camp du « kilomètre 24 », on pouvait distinguer dans l’obscurité des paires de chaussures, des restes de nourriture ou un baluchon d’effets personnels aux côtés de tas d’objets et de matelas brûlés.« De nombreux dossiers étaient devant la justice en raison de l’occupation de propriétés privées » comme les oliveraies, « il était de notre devoir de retirer toutes les formes de désordre », a affirmé M. Jebabli.Fin mars, le président tunisien, Kaïs Saïed, avait appelé l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) à intensifier ses efforts pour assurer les « retours volontaires » des migrants irréguliers vers leurs pays.
    Le sujet des migrants originaires d’Afrique subsaharienne fait l’objet de vives tensions en Tunisie. Le pays est un point de passage pour des milliers de réfugiés désireux de rejoindre les côtes italiennes.
    En février 2023, le président Saïed avait dénoncé l’arrivée « de hordes de migrants subsahariens » menaçant, selon lui, de « changer la composition démographique » du pays. Les mois suivants, des migrants avaient été chassés de leurs logements et de leurs emplois informels. Plusieurs ambassades africaines avaient procédé au rapatriement express de leurs ressortissants, à la suite d’agressions.

    #covid-19#migration#migrant#tunisie#subsaharien#italie#OIM#camp#droit#sante#vulnerabilite#expulsion

  • Adriano Celentano - L’Unica Chance (HD).mp4
    https://www.youtube.com/watch?v=q3QAKVJ0abY

    #1973 #tube_du_printemps

    Quel che ci conviene ormai è di non mangiare più
    solamente questa chance ci è rimasta, e nulla più

    Chance, l’unica chance
    chance, l’unica chance

    Non c’è scampo ormai per noi è inquinato anche il menù
    non c’è niente che puoi bere solo l’acqua della pioggia

    Ma, poi se non piove
    ma, poi se non piove

    La salute se ne va in compagnia del criminale
    che per qualche lira in più ci sofistica il mangiare

    Lei, lei se ne va
    lei, lei se ne va

    È inutile ormai che la tavola apparecchi
    perché io lo so come un falco in agguato
    nel tuo piatto troverai il nemico

    Ecco qui signori miei, questa è la situazione
    chi di voi vuol’ suicidarsi, basta ch’entri in un negozio

    A fare la spesa
    a fare la spesa
    nanananananananana...

    Ma vi dico in verità, che un vantaggio abbiamo poi
    se una vipera ci morde il cuore, lei anzi che noi

    Muore, muore lei
    muore, muore lei
    muore, muore lei
    nanananananananana...

    #écologie #eau #nourriture #pollution #déhanché #danse #chorégraphie

    #Lola_Falana

  • L’#Italie annonce une enveloppe de 20 millions d’euros pour financer des « #retours_volontaires » depuis la #Tunisie, la #Libye et l’#Algérie

    Rome a annoncé mercredi un programme de 20 millions d’euros pour aider 3 300 migrants en situation irrégulière en Tunisie, Libye et Algérie à rentrer chez eux. Ces « retours volontaires » organisés par l’Organisation internationale des migrations (OIM) « s’inscrivent dans une stratégie plus large visant à lutter contre l’immigration illégale », s’est félicité le ministre italien de l’Intérieur, #Matteo_Piantedosi.

    L’Italie a annoncé, mercredi 2 avril, le versement d’une #allocation de 20 millions d’euros pour financer le retour volontaire vers leurs pays d’origine des migrants en situation irrégulière présents en Tunisie, en Libye et en Algérie, a indiqué le ministère italien des Affaires étrangères dans un communiqué.

    Une enveloppe qui a également ravi le ministre de l’Intérieur italien Matteo Piantedosi. « Aujourd’hui, j’ai participé [...] à la Commission mixte de coopération au développement […] au cours de laquelle a été approuvé le programme de rapatriement volontaire assisté de 3 300 migrants d’Algérie, de Tunisie et de Libye vers leurs pays d’origine », peut-on lire sur son compte X.

    Ces 3 300 retours volontaires seront chapeautés et mis en œuvre par l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM).

    « Cette initiative, en collaboration avec l’OIM, s’inscrit dans une stratégie plus large visant à lutter contre l’immigration illégale et à renforcer la coopération et le développement dans les pays d’origine des migrants », a encore écrit Matteo Piantedosi.

    Ce n’est pas la première fois que l’Italie soutient des programmes de lutte contre l’immigration clandestine en Afrique du Nord. En 2024, Giorgia Meloni, la cheffe du gouvernement, s’était déjà déplacée plusieurs fois en Tunisie pour encourager les « retours volontaires » et ainsi enrayer les traversées de la Méditerranée vers les côtes italiennes.

    La situation délétère en Tunisie pousse depuis plusieurs mois les migrants à fuir le pays par n’importe quel moyen. Beaucoup envisagent de traverser la Méditerranée pour rejoindre au plus vite - et quels que soient les risques - l’île italienne de Lampedusa. Depuis le discours anti-migrants du président Kaïs Saïed en février 2023 accusant les exilés d’être la source de violences et de crimes, ces derniers sont harcelés par la population et les autorités.

    Conséquence de cette violence : les retours ont explosé. Sur l’ensemble de l’année 2024, l’OIM a accompagné 7 250 migrants subsahariens vivant en Tunisie à rentrer « volontairement » dans leur pays, avait indiqué fin janvier le secrétaire d’État tunisien auprès du ministre des Affaires étrangères, de la Migration et des Tunisiens à l’étranger, Mohamed Ben Ayed. C’est quasiment trois fois plus qu’en 2023, où ils étaient 2 557 à rentrer depuis la Tunisie vers leur pays d’origine, et 1 614 migrants en 2022.

    La Tunisie a toutefois redemandé la semaine dernière à l’OIM - et aux différentes ONG présentes dans le pays - de faire davantage : « seulement » 1 500 personnes ont été rapatriées depuis le début de l’année, a déclaré la présidence dans un communiqué le 27 mars.

    Les difficultés liées aux rapatriements

    L’OIM promeut aussi son programme de retours volontaires dans de nombreux pays africains, comme au Niger, au Maroc ou encore en Libye où des milliers d’exilés subissent toujours de graves exactions dans les prisons officielles ou officieuses du pays... Sur l’ensemble de l’année 2024, l’OIM a pu rapatrier 16 207 migrants coincés en Libye. C’est plus qu’en 2023 où seuls 9 300 migrants avaient quitté le pays via l’agence onusienne.

    Mais ces retours dans les pays d’origine sont loin d’être évidents à mettre en œuvre. De manière générale, l’OIM est tributaire des processus imposés par les États d’origine pour délivrer les #laissez-passer. Il faut, en effet, obtenir leur feu vert avant de renvoyer les migrants. En attendant ces accords, les migrants peuvent attendre leur rapatriement pendant des mois voire des années.

    Au Niger, par exemple, les retards s’accumulent et les migrants perdent parfois patience. « Il y a des raisons pour lesquelles les retours ne peuvent pas avoir lieu dans un court délai […] Les raisons peuvent inclure la situation politique dans le pays d’origine, les délais pour obtenir les documents de voyage pour ceux qui n’en ont pas, la logistique liée à l’organisation des vols […] », expliquait déjà en 2022 l’OIM à InfoMigrants.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63771/litalie-annonce-une-enveloppe-de-20-millions-deuros-pour-financer-des-
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #IOM #aide_financière #rapatriements #déportations #retour_volontaire

    • En Tunisie, « le retour volontaire », nouvelle voie pour de nombreux migrants

      Face au verrouillage de la route maritime vers l’île italienne de Lampedusa, l’Organisation internationale pour les migrations propose aux volontaires de financer leurs retours vers leurs pays respectifs.

      Cette fois, c’est fini. « Le voyage est cassé », lâchent-ils. L’esprit est vide, les poches aussi. Pour ces Sénéglais, Ivoiriens ou Sierra-Léonais, les plages non loin d’El Amra, près de la ville de Sfax, dans le centre-est de la Tunisie, est devenu le terminus de leur « aventure ». L’Europe, leur ultime désir, reste encore une chimère. Toujours Inaccessible.

      Pour eux, une autre voie se dessine, celle d’un retour au pays. Une idée jusqu’alors impensable qu’ils commencent à évoquer du bout du bout des lèvres. Que faire d’autre ? Rejoindre l’île italienne de Lampedusa à partir des plages de Chebba ou Salakta est devenu presque impossible. Depuis le 1er janvier, seuls 432 migrants y sont parvenus, à bord d’embarcations de fortune, selon le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Ils étaient plus de 18 000 sur la même période, il y a deux ans.

      Cette chute vertigineuse des traversées clandestines s’explique par l’accord signé à l’été 2023 entre la Tunisie et l’Union européenne (UE). Avec 260 millions d’euros d’aides afin de renforcer, entre autres, les garde-côtes tunisiens, la route maritime est désormais verrouillée. « On est coincés », déplore Fatoumata Camara, une Guinéenne de 27 ans, qui tente, en ce début de soirée, de réchauffer sur sa poitrine sa fille Maryam, née il y a trois mois.

      Elles vivent dehors dans une zone boisée quasi inhabitée à l’entrée de Sfax, adossées à un muret de pierres, avec une dizaine d’autres compatriotes. En regardant son bébé s’agiter – les nuits glaciales l’empêchent de dormir –, Mme Camara s’en prend à elle-même : « Pourquoi je suis partie ? Je n’ai plus rien au pays. Les tentatives de prendre la mer ont échoué. »

      « Il faut rentrer »

      Elle se tait. Une minute, puis deux. « J’ai dépensé des milliers d’euros. Avec cette somme, j’aurais pu faire des choses chez moi. Ce voyage n’en vaut pas la peine. On a perdu notre temps, il faut rentrer », martèle-t-elle. Pour cette coiffeuse qui a quitté Conakry, il y a presque deux ans, « cette politique de nous empêcher de partir a réussi. Ils [l’UE et l’Etat tunisien] ont gagné ».

      Assis chacun sur le couvercle rouillé d’une boîte de conserve, Hassan Traoré, 22 ans, et Omar Touré, 28 ans, l’écoutent dans un silence chargé de chagrin. Eux aussi veulent rentrer en Guinée. C’est bien plus qu’une envie : ils ont entamé les démarches auprès de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui propose aux migrants découragés par le blocage sécuritaire de financer leurs retours vers leurs pays respectifs.

      « OIM ». L’acronyme de cette agence rattachée aux Nations unies est dans de nombreuses bouches. Des taudis informels installés sur les champs d’oliviers près d’El Amra jusqu’à Tunis, les « voyageurs », comme ils se nomment, cherchent à rencontrer les employés de l’organisation.

      Au lendemain du démantèlement de l’immense camp du « kilomètre 30 », le 4 avril, certains ont accouru à son antenne de Sfax pour y déposer une demande de retour volontaire – qui comprend la prise en charge du billet d’avion, des nuitées dans un hôtel avant le départ et une aide médicale. Mais la tâche est ardue, notamment pour ceux qui vivent loin de la ville : les taxis sont chers et les louages (minibus) n’acceptent pas les « Noirs », disent certains.

      Intensifier le rythme

      « Rentrer au pays est une humiliation. Je n’irai pas au village, je ne veux pas qu’on se moque de moi, qu’on dise que j’ai échoué, confie Hassan Traoré, en jetant un œil sur un post-it jaune sur lequel est écrit son numéro de dossier, déposé le 10 avril. Mais je suis fatigué. »

      Fatigué par deux années d’enfer à traverser les déserts algérien et libyen, éreinté par un mois dans une prison sfaxienne pour « séjour irrégulier », épuisé de demander à ses proches au pays de l’argent pour manger… Alors quand l’agent de l’OIM lui a demandé « Hassan Traoré, voulez-vous retourner en Guinée ? Vous n’y êtes pas forcé », il a répondu sans hésiter : « Oui, je veux me retourner. » Et il a signé le document validant sa décision.

      Combien de migrants ont accepté ce retour volontaire ? « Seulement 1 544 » depuis le début de l’année, a indiqué le président tunisien, Kaïs Saïed, dans un communiqué, publié fin mars, pressant l’OIM d’intensifier le rythme. En réalité, l’agence onusienne ne ménage pas sa peine. D’après les statistiques communiquées par l’OIM au Monde, plus de 250 000 migrants bloqués dans six pays de transit vers l’Europe – Maroc, Algérie, Tunisie, Libye, Egypte et Niger – ont été rapatriés chez eux grâce à ce programme depuis 2013. Près de 50 000 rien qu’en 2024, année record.

      En outre, selon les données transmises par la Commission européenne au Monde, Bruxelles a très largement augmenté sa contribution au budget de l’OIM, passant de 85,7 millions d’euros en 2014 à près de 600 millions d’euros en 2024. En dix ans, l’institution a ainsi reçu près de 3,2 milliards d’euros de fonds européens pour différents programmes, dont celui « des retours volontaires » que certains migrants comparent à un système de « déportation ». Ce à quoi un porte-parole de la Commission européenne riposte assurant que ces retours sont « libres et éclairés », organisés en « toute sécurité et dignité ».

      L’Italie a décidé, début avril, d’allouer 20 millions d’euros pour rapatrier les Subsahariens présents en Algérie, Tunisie et Libye vers leurs pays d’origine respectifs, toujours en coopération avec l’OIM. En juin 2023, la France avait octroyé 25,8 millions d’euros d’aide bilatérale à la Tunisie pour « contenir le flux irrégulier de migrants et favoriser leur retour dans de bonnes conditions », avait déclaré Gérald Darmanin, alors ministre de l’intérieur, lors de sa venue à Tunis.

      « Un pis-aller »

      « Toutes ces sommes d’argent sont insuffisantes », s’emporte Tarek Mahdi, député de Sfax. Ce proche du président Saïed plaide pour une réévaluation à la hausse des aides et la mise en place d’« un pont aérien » entre la Tunisie et les pays d’origine des migrants afin d’« accélérer » leur retour.

      « Pour beaucoup de fonctionnaires internationaux, le retour volontaire est perçu comme un dispositif humanitaire, un pis-aller face à des situations qu’ils ont contribué à provoquer », résume Camille Cassarini, chercheur à l’Institut de recherche sur le Maghreb contemporain, à Tunis.

      Depuis plusieurs années, ce programme essuie de nombreuses critiques des défenseurs des droits humains à cause des conditions dans lesquelles il est proposé. « Nous avons toujours remis en question le caractère volontaire de ces retours, car ces personnes migrantes sont interdites de se déplacer, de travailler, d’être hébergées, elles sont privées de tout droit », explique Romdhane Ben Amor, porte-parole du Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES), qui décrit l’OIM comme une « agence au service des politiques migratoires européennes », dénonçant « la complicité de l’Etat » tunisien.

      Dire « la vérité » aux plus jeunes

      D’ailleurs, en Libye, le Haut-Commissariat aux droits humains des Nations unies avait jugé en 2022 qu’en « raison de l’absence de consentement libre, préalable et éclairé et de voies alternatives viables, sûres et régulières pour la migration », de nombreux migrants sont « effectivement contraints d’accepter des retours ».

      Au Monde, l’OIM reconnaît « que les options offertes aux migrants confrontés à la perspective d’un retour peuvent être limitées et ne pas correspondre aux souhaits de l’individu ». Toutefois, elle défend ce choix « préférable », car « l’aide au retour représente souvent une solution salvatrice pour de nombreux migrants qui vivent dans des conditions particulièrement déplorables ».

      « Salvatrice ? » C’est ce que ressent Omar Touré, ce Guinéen qui vivote à l’entrée de Sfax : il se sent soulagé. Il a averti sa mère pour lui dire qu’il allait rentrer. « Elle a pleuré », lance-t-il. Sept années qu’il a quitté son pays. « Ce voyage, c’est une maladie psychologique. Mentalement et physiquement, nous sommes enfermés », argue-t-il.

      Maintenant, il attend un appel de l’OIM pour lui proposer un départ pour Conakry. Cela peut prendre des semaines ou des mois : l’agence doit vérifier son identité avec les autorités de son pays – il a déchiré ses papiers au début de son voyage – avant que celui-ci ne lui délivre un passeport. Omar Touré a juré, une fois sur ses terres, qu’il dirait « la vérité » aux plus jeunes : ne pas tenter d’aller en Europe. « La mort vous accompagne tout au long de ce voyage, clame-t-il. C’est une fausse route. »

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2025/04/18/en-tunisie-le-retour-volontaire-nouvelle-voie-pour-de-nombreux-migrants_6597

  • Mafias et pouvoir. XIXe-XXIe siècles

    La mafia naît sur les décombres du « #régime_féodal » mais c’est avec l’avènement de la démocratie et du #capitalisme qu’elle connaît son essor. En #Italie, elle s’enracine très tôt et doit sa prospérité à des « pactes scélérats » passés avec une fraction de l’#élite politique et sociale.
    Le présent livre reconstitue l’#histoire de ces #sociétés_secrètes et de leur expansion à travers le continent européen. Il visite leur berceau et en retrouve les premiers acteurs, aristocrates véreux, fermiers parvenus, tueurs à la botte… Il interroge les accointances de ces « #sectes_criminelles » avec la démocratie naissante et les suit dans leur conquête de l’Amérique. Il révèle aussi l’échec du #fascisme à éradiquer cette plaie mafieuse. Avec la #guerre_froide, on découvre la mutation affairiste des #réseaux_mafieux et leurs méthodes pour parasiter l’#économie_libérale. C’est l’époque de l’explosion du #trafic_de_drogue et des #paradis_fiscaux, où se côtoient boss criminels, hommes politiques, industriels et financiers. Avec la chute du Mur, de nouvelles nébuleuses se font jour en Europe, y compris en France, qui utiliseront ce « modèle ».
    Le phénomène mafieux n’est pas consubstantiel à la démocratie, écrit #Jacques_de_Saint_Victor, et pas davantage au capitalisme ; mais il est le mieux à même de tirer profit des insuffisances de l’une et de l’autre.

    https://www.librairie-gallimard.com/livre/9782073098870-mafias-et-pouvoir-xixe-xxie-siecles-jacques-de-sa
    #mafia #histoire #démocratie #livre #féodalisme

  • #Migrations, #énergie : la méthode italienne qui séduit l’Afrique du Nord

    La France perd de l’influence en Algérie, et cela profite à l’Italie. Le gouvernement de #Giorgia_Meloni a un plan pour l’#Afrique_du_Nord, axé sur les #hydrocarbures et la migration. Le courant passe bien d’Alger à Tunis ou Tripoli. Prochaine étape pour Rome : la #Mauritanie. Entretien avec Anne Marijnen, maîtresse de conférences en Science politique, Université Paris 8, laboratoire Cresppa.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63683/migrations-energie--la-methode-italienne-qui-seduit-lafrique-du-nord
    https://www.rfi.fr/fr/podcasts/carrefour-du-maghreb/20250329-migrations-%C3%A9nergie-la-m%C3%A9thode-italienne-qui-s%C3%A9duit-l-afr
    #Italie #France #néo-colonialisme #externalisation #migrations #Tunisie #Libye #podcast #audio

    ping @karine4

  • Comme Une Guerre Qui Ne Finissait Jamais - Raphaël Botiveau

    Deux vieux Piémontais de la province de Cuneo racontent leur XXe siècle. Des vies de migrants, dans ces mêmes #montagnes qui marquent la frontière entre #France et Italie, et qui sont aujourd’hui franchies par des milliers d’Africains en quête d’une vie meilleure.
    Lus par deux jeunes Italiens vivant et travaillant à Marseille, les récits de vies de ces deux #Piémontais, recueillis dans les années 1970 par #Nuto_Revelli (1919-2004), anthropologue autodidacte, racontent la #pauvreté et la migration, le franchissement des frontières, le #travail et la #guerre, la circulation des cultures et des #langues, l’attachement de l’exilé au pays natal plus qu’à la patrie. Ils sont accompagnés d’#archives de différentes époques, qui renvoient à la migration comme #constante_historique de cette frontière alpine. Des enregistrements conservés au Mucem et des prises de son contemporaines in loco (Briançonnais et Valle Stura) reconstruisent des paysages sonores réalistes.

    Raphaël Botiveau est post-doctorant MUCEM/EHESS. Venu à la création artistique par les sciences sociales, il explore des formes interdisciplinaires de représentation du réel. Son film London Calling (2017), co-réalisé avec la sociologue Hélène Baillot, a été montré en festivals et a reçu plusieurs prix.

    https://soundcloud.com/user-897145586/comme-une-guerre-qui-ne-finissait-jamais-raphael-botiveau


    #histoire #frontières #migrations #Italie #audio #son #podcast #frontière_sud-alpine #jour_de_la_marmotte

  • La grande fuga, aumentano gli italiani che scappano all’estero

    Sempre più italiani fuggono all’estero: nel 2024 sono aumentate del 20% le emigrazioni, con Germania e Spagna come mete favorite.

    Non solo nascono sempre meno persone in Italia, ma allo stesso tempo aumenta nettamente il numero di chi lascia il nostro Paese. Nel 2024 le emigrazioni per l’estero sono aumentate del 20%, passando da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila. Si tratta del valore più alto mai osservato negli anni Duemila ed è dovuto solamente al netto aumento di espatri da parte di cittadini italiani. La crescita, infatti, è del 36,5% rispetto al 2023, con ben 156mila italiani che hanno lasciato il Paese. Questi espatriati si dirigono soprattutto verso la Germania (12,8%), la Spagna (12,1%) e il Regno Unito (11,9%). Circa il 23% del totale delle migrazioni totali dall’Italia è invece legato al rientro in patria dei cittadini romeni.
    La grande fuga all’estero, boom di espatri nel 2024

    Il rapporto sugli indicatori demografici del 2024 dell’Istat evidenzia come il saldo migratorio con l’estero complessivo sia pari a +244mila unità. Un andamento che dipende da due opposte dinamiche: da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (382mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (35mila); dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (156mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (53mila). Così il risultato è che aumenta la popolazione di cittadinanza straniera (+347mila) e diminuisce quella composta da cittadini italiani (-103mila). Il tasso migratorio con l’estero è pari al 4,1 per mille abitanti ed è più elevato al Nord e al Centro (rispettivamente al 4,7 e 4,5 per mille), mentre è più contenuto al Mezzogiorno (al 3,1 per mille).

    https://www.istat.it/comunicato-stampa/indicatori-demografici-anno-2024

    #Italie #statistiques #migrations #chiffres #émigration #2024 #migrants_italiens #démographie

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    ajouté à la métaliste sur les statistiques des Italiens quittent en masse leur pays, mais on n’en parle pas...

    https://seenthis.net/messages/762801

  • Migrations, énergie : la méthode italienne qui séduit l’Afrique du Nord - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/63683/migrations-energie--la-methode-italienne-qui-seduit-lafrique-du-nord

    Migrations, énergie : la méthode italienne qui séduit l’Afrique du Nord
    Par RFI Publié le : 31/03/2025
    La France perd de l’influence en Algérie, et cela profite à l’Italie. Le gouvernement de Giorgia Meloni a un plan pour l’Afrique du Nord, axé sur les hydrocarbures et la migration. Le courant passe bien d’Alger à Tunis ou Tripoli. Prochaine étape pour Rome : la Mauritanie. Entretien avec Anne Marijnen, maîtresse de conférences en Science politique, Université Paris 8, laboratoire Cresppa.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#libye#algerie#tunisie#politiquemigratoire#economie#mauritanie

  • Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/63692/migrants--rome-veut-recycler-ses-centres-en-albanie-en-bases-de-rapatr

    Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement
    Par La rédaction Publié le : 31/03/2025
    Le Conseil des ministre italiens a adopté vendredi un décret-loi prévoyant de convertir les centres les centres d’accueil pour demandeurs d’asile en Albanie en centres de rapatriement pour les migrants en situation irrégulière. L’opposition dénonce un projet de « propagande » qui a coûté des « centaines de millions d’euros ».
    C’est une décision qui doit permettre de « remettre en activité immédiatement » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Vendredi 28 mars, le Conseil des ministres a adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.
    Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.
    Pour cela, elle avait signé, en novembre 2023, un accord avec son homologue albanais Edi Rama, afin d’ouvrir deux centres gérés par l’Italie en Albanie, dans les localités de Gjadër et Shëngjin.Fulvio Vassallo Paleologo, avocat spécialiste des questions d’immigration, met en garde contre la légalité de cette nouvelle approche et prévoit une nouvelle « avalanche de recours en justice ». Pour lui, ce projet « relève essentiellement de la propagande » et « a une portée hautement symbolique pour le gouvernement, qui ne veut pas donner à voir l’échec du modèle Albanie ».
    Ces centres étaient devenus opérationnels en octobre, mais les juges italiens ont exigé le renvoi dans la péninsule des quelques migrants qui y avaient été transférés. Le gouvernement avait pourtant établi une liste de pays dits « sûrs » afin que les demandes d’asile de personnes originaires de ces pays puissent y être traitées de façon accélérée.Mais les juges ont invoqué une décision de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) selon laquelle les pays de l’UE ne peuvent décréter « sûr » l’ensemble d’un pays alors même que certaines régions de ce même pays ne le sont pas. Le gouvernement avait réagi en adoptant une loi réduisant la liste des « pays sûrs » à 19 (au lieu de 22), assurant que toutes les zones de ces pays étaient sûres. Le débat est désormais remonté devant la CJUE, qui se prononcera au plus tôt en mai ou juin.
    Cette situation à l’arrêt est devenue un casse-tête politique pour Giorgia Meloni. L’ancien Premier ministre et sénateur centriste Matteo Renzi, qui s’est rendu dans les centres albanais mercredi, s’est dit « choqué » à l’issue de sa visite. « Cela fait mal au cœur de voir le gâchis de centaines de millions d’euros littéralement jetés par la fenêtre par le gouvernement italien », a-t-il affirmé sur X.
    « Ces centres sont vides, coûtent beaucoup d’argent et ne servent à rien », confirme Me Guido Savio, avocat spécialiste du droit de l’immigration, interrogé par l’AFP. La « logique » du gouvernement, avec sa décision de vendredi, c’est, « faisons voir que ces centres, en fin de compte, on les fait fonctionner d’une manière ou d’une autre », explique-t-il.
    En outre, cela permettrait au gouvernement d’anticiper le projet de règlement en discussion au niveau européen qui devrait entrer en vigueur en 2027 et qui prévoit une externalisation des centres pour migrants dans des pays tiers.Pour Giorgia Meloni, « l’avantage serait de dire : ’Vous voyez, l’Europe nous suit, nous sommes les chefs de file et l’Europe fait après nous les choses que nous avons faites en premier’ », estime Me Savio. De son côté, le gouvernement s’est employé à vendre sa mini-réforme annoncée vendredi à l’opinion publique : le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi estime ainsi que grâce à leur nouveau rôle, les centres albanais permettront de « renvoyer chez eux des individus qui sinon finissent par rendre nos villes moins sûres ».

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#externalisation#paystiers#asile#droit#sante

  • Il governo sta cercando di rendere utilizzabili i centri in Albania

    La novità è che uno dei due verrà usato come un qualsiasi CPR italiano per i migranti: resterà però in gran parte inutilizzato, come l’altro.

    Nel Consiglio dei ministri di venerdì il governo ha approvato un decreto-legge per cercare di superare alcuni dei molti problemi dei centri per migranti in Albania, che dopo un anno e mezzo dall’accordo tra i governi italiano e albanese non sono ancora entrati in funzione: ogni volta che il governo ha provato a mandarci persone migranti il tribunale competente non ne ha convalidato il trattenimento in quelle strutture, ritenendolo in contrasto con le norme europee.

    Per tentare di renderli operativi il decreto in questione ha stabilito che uno dei due centri, quello di Gjader, potrà essere usato come centro di permanenza per il rimpatrio: è il nome esteso dei cosiddetti CPR, i posti in cui vengono mandate le persone che hanno già ricevuto un decreto di espulsione e aspettano di essere rimpatriate, dopo che è stata rifiutata loro la richiesta d’asilo. Ne esistono già dieci in Italia, che peraltro hanno diversi problemi per documentate violazioni dei diritti umani e perché inefficaci nelle procedure di rimpatrio.

    Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che al momento il centro di Gjader ha 48 posti nella parte adibita a CPR, che dovrebbero diventare 140 a regime. Significa che comunque una larga parte del centro di Gjader resterà inutilizzata: la struttura infatti era già pensata originariamente per essere divisa in tre parti, con un centro di trattenimento da 880 posti, un CPR da 144 posti e un carcere da 20 posti. La differenza è che nella parte adibita a CPR verranno mandate persone migranti che si trovano già in Italia, e non quelle intercettate nel mar Mediterraneo come prevedevano i piani iniziali del governo.

    Non è chiaro invece cosa succederà all’altro centro, quello di Shengjin, che è molto più piccolo di quello di Gjader ed è pensato come un hotspot per le prime procedure di identificazione dei richiedenti asilo (e quindi non può essere usato per la detenzione amministrativa, come un CPR). Per ora rimarrà sostanzialmente inutilizzato.

    In origine la funzione dei centri in Albania era molto diversa. Nella narrazione del governo i centri servivano per dirottare altrove migranti soccorsi in mare che con ogni probabilità non avrebbero avuto diritto all’asilo, senza neanche farli passare per l’Italia. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia e la stessa Meloni hanno detto più volte che l’obiettivo era creare anche un effetto di deterrenza: secondo Meloni, sapere che l’Italia non fa arrivare i migranti nel territorio dell’Unione Europea, ma che li dirotta in altri paesi, avrebbe potuto scoraggiare le partenze delle persone migranti.

    È una convinzione molto discutibile, ma in ogni caso il nuovo decreto sconfessa questo proposito, perché nel centro di Gjader saranno fatte arrivare persone che si trovano già sul territorio italiano. In sostanza il centro di Gjader funzionerà come tutti gli altri CPR italiani, con l’unica differenza che si trova in Albania.

    I due centri in origine erano destinati ai migranti a cui poteva essere applicata una procedura accelerata, la cosiddetta procedura di frontiera o di rimpatrio, che prevede un esame semplificato delle domande di asilo: può essere applicata solo ai migranti che provengono da paesi definiti “sicuri”, cioè in cui non vengano negati i diritti fondamentali, o comunque in cui non ci siano motivi di considerare a rischio l’incolumità delle persone che dovessero ritornarci.

    All’interno dell’Unione Europea le domande presentate da persone provenienti da paesi considerati sicuri possono essere giudicate inammissibili e quindi respinte, con la conseguente espulsione di chi le presenta. Ogni paese dell’Unione però può decidere autonomamente quali paesi considerare sicuri, sulla base di alcuni criteri condivisi: il problema è che l’Italia considera sicuri anche paesi che non hanno ordinamenti democratici né rispettano effettivamente i diritti umani.

    È il motivo principale per cui finora i centri in Albania sono rimasti inattivi: i tribunali che hanno giudicato il trattenimento dei migranti hanno ritenuto che non potessero ricevere la procedura accelerata per il rimpatrio, perché i loro paesi d’origine non si possono considerare sicuri. Lo hanno fatto soprattutto sulla base di una sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, secondo cui possono essere considerati «paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani e della sicurezza di tutti gli individui sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone.

    Quasi nessuno dei 22 paesi che fanno parte della lista stilata dal governo italiano rispetta questi due criteri, compresi l’Egitto e il Bangladesh, da cui provenivano le persone migranti portate finora in Albania.

    Il governo aveva assicurato che sarebbe comunque riuscito a rendere operativi i centri grazie alle nuove regole europee in materia di immigrazione, che dovrebbero però entrate in vigore solo entro il 2026. Fino ad allora è possibile che il centro di Gjader riuscirà a svolgere solo la funzione di CPR restando in larga parte inutilizzato; quello di Shengjin invece potrebbe restare inutilizzato del tutto.

    https://www.ilpost.it/2025/03/28/governo-decreto-centri-albania
    #CPR #centres_de_détention_administrative #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Albanie #Italie #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Albania. I due centri trasformati in CPR?

      Meloni, in crescente affanno di fronte ai continui dinieghi della magistratura che non convalida l’applicazione della procedura di asilo rapida, prevista dalla legge Cutro, intende trasformare i due centri di Shengjin e Gjader in CPR.
      Per farlo servirà un passaggio legislativo e la revisione del trattato di Tirana, perché le due prigioni erano state concepite per richiedenti asilo rastrellati nel Mediterraneo, non per i senza documenti con decreto di espulsione fermati in Italia.

      https://radioblackout.org/2025/02/albania-i-due-centri-trasformati-in-cpr

    • Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement

      Le Conseil des ministre italiens a adopté vendredi un décret-loi prévoyant de convertir les centres les centres d’accueil pour demandeurs d’asile en Albanie en centres de rapatriement pour les migrants en situation irrégulière. L’opposition dénonce un projet de « propagande » qui a coûté des « centaines de millions d’euros ».

      C’est une décision qui doit permettre de « remettre en activité immédiatement » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Vendredi 28 mars, le Conseil des ministres a adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      Pour cela, elle avait signé, en novembre 2023, un accord avec son homologue albanais Edi Rama, afin d’ouvrir deux centres gérés par l’Italie en Albanie, dans les localités de Gjadër et Shëngjin.

      Fulvio Vassallo Paleologo, avocat spécialiste des questions d’immigration, met en garde contre la légalité de cette nouvelle approche et prévoit une nouvelle « avalanche de recours en justice ». Pour lui, ce projet « relève essentiellement de la propagande » et « a une portée hautement symbolique pour le gouvernement, qui ne veut pas donner à voir l’échec du modèle Albanie ».
      Blocages juridiques

      Ces centres étaient devenus opérationnels en octobre, mais les juges italiens ont exigé le renvoi dans la péninsule des quelques migrants qui y avaient été transférés.

      Le gouvernement avait pourtant établi une liste de pays dits « sûrs » afin que les demandes d’asile de personnes originaires de ces pays puissent y être traitées de façon accélérée.

      Mais les juges ont invoqué une décision de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) selon laquelle les pays de l’UE ne peuvent décréter « sûr » l’ensemble d’un pays alors même que certaines régions de ce même pays ne le sont pas.

      Le gouvernement avait réagi en adoptant une loi réduisant la liste des « pays sûrs » à 19 (au lieu de 22), assurant que toutes les zones de ces pays étaient sûres. Le débat est désormais remonté devant la CJUE, qui se prononcera au plus tôt en mai ou juin.

      Cette situation à l’arrêt est devenue un casse-tête politique pour Giorgia Meloni. L’ancien Premier ministre et sénateur centriste Matteo Renzi, qui s’est rendu dans les centres albanais mercredi, s’est dit « choqué » à l’issue de sa visite. « Cela fait mal au cœur de voir le gâchis de centaines de millions d’euros littéralement jetés par la fenêtre par le gouvernement italien », a-t-il affirmé sur X.

      « Ces centres sont vides, coûtent beaucoup d’argent et ne servent à rien », confirme Me Guido Savio, avocat spécialiste du droit de l’immigration, interrogé par l’AFP. La « logique » du gouvernement, avec sa décision de vendredi, c’est, « faisons voir que ces centres, en fin de compte, on les fait fonctionner d’une manière ou d’une autre », explique-t-il.
      Projet européen d’externalisation

      En outre, cela permettrait au gouvernement d’anticiper le projet de règlement en discussion au niveau européen qui devrait entrer en vigueur en 2027 et qui prévoit une externalisation des centres pour migrants dans des pays tiers.

      Pour Giorgia Meloni, « l’avantage serait de dire : ’Vous voyez, l’Europe nous suit, nous sommes les chefs de file et l’Europe fait après nous les choses que nous avons faites en premier’ », estime Me Savio.

      De son côté, le gouvernement s’est employé à vendre sa mini-réforme annoncée vendredi à l’opinion publique : le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi estime ainsi que grâce à leur nouveau rôle, les centres albanais permettront de « renvoyer chez eux des individus qui sinon finissent par rendre nos villes moins sûres ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/63692/migrants--rome-veut-recycler-ses-centres-en-albanie-en-bases-de-rapatr

  • La Ciuta

    La Ciuta la più piccola razza ovina dell’arco alpino
    Il riconoscimento della razza, robusta, agile e frugale, ha apportato un valore aggiunto alla zootecnia locale, contribuendo alla conservazione del paesaggio e della biodiversità nel pieno compimento del principio di multifunzionalità dell’agricoltura.

    Il progetto #Val3ciuta coinvolge aziende agricole presenti nel territorio della Valtellina il cui impegno è rivolto ormai da anni alla tutela del territorio alpino e della fauna in via d’estinzione, con particolare attenzione verso il recupero di razze autoctone locali. Le aziende coinvolte rientrano tutte nella filiera dell’allevamento, produzione e trasformazione di prodotti della razza Ciuta. Fanno parte del progetto tre aziende situate in Provincia di Sondrio e l’Università degli Studi di Milano, con i Dipartimenti di Medicina Veterinaria e Scienze Animali (DIVAS) e di Scienze Agrarie e Ambientali (DISAA).

    Sur la laine...

    Valorizzazione della lana di Pecora Ciuta: da sottoprodotto a filiera corta sostenibile

    Le pecore di questa razza hanno da sempre e tradizionalmente fornito agli allevatori una lana che, seppur in quantità limitata, una volta filata e lavorata a maglia, veniva ben utilizzata per la realizzazione di indumenti e trapunte, o cardata per imbottire materassi. Oggi, la lana ottenuta dalla tosa degli animali rappresenta un prodotto di scarto con alti costi di smaltimento e/o lavorazione.
    Recentemente l’interesse nei confronti della lana di pecora Ciuta nella comunità locale è notevolmente cresciuto, con particolare interesse per lo sviluppo di una filiera corta, caratterizzata da uno stretto legame con il territorio. A dimostrazione di ciò, è stato sviluppato un progetto pilota che ha coinvolto un’industria tessile della zona Valtellinese (Tessuti di Sondrio), enti ed istituzioni locali, tra le quali l’Associazione Pro Patrimonio Montano. Il progetto ha avuto come punto di partenza la reinterpretazione degli antichi panni che venivano tessuti in Valtellina e di cui si ha attestazione negli Statuti di Bormio.

    https://www.val3ciuta.it/triplice-attitudine-lana

    https://www.val3ciuta.it

    #ciuta #laine #moutons #Italie #Valtellina #viande #lait

  • Mappatura agrobiodiversità vegetale

    Questa sezione del sito è dedicata al censimento dell’agrobiodiversità vegetale italiana.

    Con il termine biodiversità agricola o agrobiodiversità si indica tutto il patrimonio genetico di interesse agro-alimentare di una data area territoriale.

    La conoscenza dell’agrobiodiversità vegetale italiana è utile per la sua protezione e conservazione ma anche per rilanciare filiere agro-alimentari uniche e di alta qualità.

    https://www.unimontagna.it/servizi/mappatura-agrobiodiversita-vegetale

    #cartographie #biodiversité #agriculture #biodiversité_végétale #Italie #cartographie #visualisation #liste #base_de_données #alimentation #agrobiodiversité

  • Il bene ritrovato. Turismo responsabile e beni confiscati alla criminalità organizzata

    Spesso l’immagine dell’Italia è legata alla criminalità organizzata, ma esiste un’altra realtà. Questo libro racconta come il turismo responsabile possa trasformare i beni confiscati alle mafie in risorse per lo sviluppo socioeconomico e culturale, restituendoli alla collettività.

    Attraverso storie e testimonianze, scopriremo come questi luoghi, un tempo simboli di potere criminale, siano oggi strumenti di legalità, offrendo opportunità di lavoro, educazione e sensibilizzazione.

    Un viaggio tra cooperative turistiche come Addiopizzo Travel e Libera Terra, che promuovono un turismo consapevole e impegnato, capace di valorizzare i territori e contrastare l’illegalità.

    Un’indagine sul ruolo dello Stato, delle associazioni e dei cittadini nel combattere le mafie e nel costruire un futuro più giusto.

    Il turismo responsabile non è solo una forma di sviluppo sostenibile, ma anche uno strumento di cambiamento sociale, capace di generare consapevolezza e coinvolgere le nuove generazioni.

    https://altreconomia.it/prodotto/il-bene-ritrovato
    #biens_confisqués #confiscation_de_biens #mafia #Italie #tourisme #livre #coopératives #Addiopizzo_Travel #Libera_Terra

  • Tunisie : des centaines de migrants interceptés en mer disparaissent des radars - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/63660/tunisie--des-centaines-de-migrants-interceptes-en-mer-disparaissent-de

    Tunisie : des centaines de migrants interceptés en mer disparaissent des radars
    Par Leslie Carretero Publié le : 27/03/2025
    Des centaines de migrants ont été abandonnés dans le désert, à la frontière algérienne et libyenne, après avoir été interceptés en mer par les forces tunisiennes, le 17 mars. Ce genre d’expulsion est courante en Tunisie depuis l’été 2023, mais celle-ci impressionne par son ampleur. Certaines sources évoquent un nombre total de 600 exilés lâchés au même moment dans des zones désertiques.
    Que s’est-il passé dans la nuit de dimanche 16 à lundi 17 mars à Sfax, dans le centre-est de la Tunisie ? Cette nuit-là, 612 migrants subsahariens ont été interceptés en mer par les gardes-côtes tunisiens, avait déclaré la Garde nationale. Dix-huit corps ont également été retrouvés.
    Mais depuis cette opération d’ampleur, ces exilés interceptés par les autorités ont disparu des radars. « Ils ne sont pas revenus dans le campement », assure à InfoMigrants Abdul*, un médecin Sierra-Léonais qui vit dans les champs d’oliviers de la périphérie de Sfax. C’est là que des milliers de Subsahariens ont érigé des abris de fortune, après avoir été chassés des centres-villes par les autorités tunisiennes à l’été 2023, en attendant de traverser la Méditerranée.
    Comment Abdul peut-il en être si sûr ? « Un groupe de 600 personnes qui s’évapore dans la nature, ça ne passe pas inaperçu ici », signale celui qui sillonne les camps disséminés dans la région pour soigner les migrants malades ou blessés.
    Alors, où sont-ils ? Après plusieurs jours de recherches, InfoMigrants est parvenu à entrer en contact avec certains de ces 612 Subsahariens. « On est à Tébessa [ville algérienne proche de la frontière tunisienne, ndlr] », indique Lamine, un Gambien de 26 ans joint par InfoMigrants via un appel vidéo. « Après nous avoir récupérés en mer dans la nuit de dimanche 16 à lundi 17 mars, les gardes-côtes tunisiens nous ont envoyés dans le désert », précise-t-il."Il y avait cinq bus, tous remplis de Noirs", renchérit Oumarou, un Sierra-Léonais de 31 ans, présent aux côtés de Lamine. Selon leurs estimations, environ 200 personnes auraient été expulsées dans le désert, près du parc national de Chambi, à une trentaine de kilomètres de la frontière algérienne. Les exilés, dépouillés de leurs affaires, ont été lâchés au milieu de nulle part, en pleine nuit.
    Après quatre jours de marche, une soixantaine d’entre eux a trouvé refuge dans une maison près de Tébessa, tenue par un ressortissant Sierra-Léonais qui s’est installé là après son expulsion dans la région par les forces tunisiennes il y a un an. Dans ce groupe de migrants anglophones se trouvent des femmes, dont certaines enceintes, et des enfants. « Regardez ma tête », dit Aminata*, une Sierra-Léonaise enceinte de quatre mois, jointe par vidéo. « Je suis épuisée, j’ai mal partout », ajoute-t-elle en montrant ses pieds abîmés par ces longs jours de marche.
    Plusieurs de ces Subsahariens présentent des blessures causées par le mélange d’eau salée et d’essence dans le bateau. Oumarou nous montre un enfant de 13 ans, l’air épuisé, avec des plaies au poignet. « Ils [les policiers tunisiens, ndlr] lui ont mis des menottes sur sa blessure, ce qui a aggravé les choses », explique Lamine.
    Lorsque les exilés sont envoyés dans le désert, ils sont menottés par les agents de la Garde nationale. Généralement, les enfants en sont exemptés. Les témoignages évoquent aussi des violences commises par les policiers dans les bus. « Ils nous ont frappés avec des bâtons. Certains ont été blessés aux jambes et aux bras », raconte Oumarou.
    L’ONG italienne Mediterranea Saving Human affirme dans un communiqué, publié le 20 mars, que l’ensemble des 612 migrants interceptés dans la nuit du 16 au 17 mars ont été envoyés dans le désert. « De nos réseaux de solidarité présents en Tunisie, nous avons la confirmation d’un refoulement et d’une expulsion à grande échelle qui ont eu lieu depuis le port de Sfax, à l’issue d’opérations de ’sauvetage’ en mer, menées entre dimanche 16 et lundi 17 mars, pour plusieurs personnes qui tentaient de traverser vers l’Italie », écrit l’organisation. Mediterranea Saving Human rapporte que l’opération « a mobilisé 11 bus ».
    InfoMigrants n’a pas été en mesure de vérifier toutes ces informations, notamment sur le nombre de bus mobilisés.
    Où seraient les autres migrants interceptés en mer, s’ils ne sont pas à Tébessa ? D’après le groupe d’exilés anglophones, des personnes ont également été expulsées vers la frontière libyenne, « majoritairement des Soudanais ».Quand les migrants sont transmis aux forces libyennes, ils sont ensuite transférés dans des prisons du pays. Pour en sortir, ils doivent débourser des centaines d’euros. « On aura plus d’informations d’ici quelques jours, voire quelques semaines, quand ils seront libérés et qu’ils retrouveront un téléphone », pense Salif*, un Guinéen installé en Tunisie depuis deux ans. Le jeune homme d’une vingtaine d’années est aussi sans nouvelles de plusieurs de ses amis interceptés en mer cette fameuse nuit du 16 au 17 mars.
    Contactées par InfoMigrants, les autorités tunisiennes affirment ne pas « avoir de données » sur cette affaire. Tout comme l’Organisation internationale des migrations (OIM) qui « ne dispose pas d’informations ni de données précises à ce sujet ».Ce genre d’expulsion n’est pas rare en Tunisie, mais celle-ci impressionne par son ampleur. Depuis l’été 2023, les Subsahariens sont régulièrement raflés par la police tunisienne dans la rue, et interceptés en mer, puis envoyés par petits groupes dans des zones désertiques, aux frontières du pays. Les exilés doivent ensuite revenir par leurs propres moyens. InfoMigrants a reçu de nombreux témoignages de Subsahariens traumatisés par ces expulsions illégales.
    « Plusieurs fois par semaine, on voit passer des bus, où s’entassent des migrants, faire route vers la frontière dans la nuit », confirme un habitant de Tozeur (ville tunisienne située à quelques kilomètres de l’Algérie), qui préfère rester anonyme.
    Ces dernières années, les organisations de défense des droits n’ont eu de cesse de dénoncer les méthodes brutales des autorités tunisiennes à l’encontre des Noirs dans le pays. Elles accusent par ailleurs l’Union européenne (UE) de complicité dans ces violations des droits.Sous l’impulsion de l’Italie, l’UE a conclu en juillet 2023 un « partenariat » avec la Tunisie prévoyant une aide budgétaire de 150 millions d’euros et l’octroi de 105 millions d’euros pour aider le pays à lutter contre l’immigration irrégulière. Ces aides ont débouché sur une hausse des interceptions de bateaux clandestins en 2024 et ont contribué à une nette réduction des arrivées en Italie (-80 % sur un an l’année dernière par rapport à 2023 avec 19 246 arrivées depuis la Tunisie).

    #Covid-19#migrant#migration#tunisie#expulsion#UE#italie#libye#sante#droit#politiquemigratoire

  • Italian government approved use of spyware on members of refugee NGO, MPs told

    National security committee is investigating whether secret services breached law by using surveillance tool to monitor activists and journalists

    The Italian government approved the use of a sophisticated surveillance tool to spy on members of a humanitarian NGO because they were allegedly deemed a possible threat to national security, MPs have heard.

    Alfredo Mantovano, a cabinet undersecretary, made the admission during a classified meeting with Copasir, the parliamentary committee for national security, according to a person familiar with the situation.

    Copasir is investigating whether the secret services breached the law in using Graphite, military-grade spyware made by the Israel-based Paragon Solutions, to monitor activists and journalists, and is expecting to report on its finding soon.

    Giorgia Meloni’s government has been under pressure to address the case since January, when a handful of Italian activists and a journalist received warnings from WhatsApp, the messaging app owned by Meta, that their phones had been targeted by spyware.

    The government initially denied involvement, but Mantovano, who oversees the intelligence services, told the committee that the spyware had targeted Luca Casarini and Giuseppe Caccia, the founders of Mediterranea Saving Humans, an NGO that tries to protect refugees who cross the Mediterranean.

    He said the spyware was approved by the government and the attorney general of Rome’s court of appeal, and that the intelligence agencies used the surveillance system within the parameters of the law in order to conduct a “preventive” investigation into illegal immigration. He denied the spyware was used to target Francesco Cancellato, the editor-in-chief of the Italian news outlet Fanpage.

    Mantovano’s assertions, which were first reported by La Repubblica, have so far not been denied by the government.

    Paragon suspended its relationship with Italy when the breaches emerged, a person familiar with the matter told the Guardian. The company’s spyware is intended for use on criminals.

    Mediterranea Saving Humans said it was informed about Mantovano’s claims by journalist sources, adding in a statement that the “secret operation worthy of a regime” had been “unmasked to the world”.
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    In addition to the Copasir inquiry, prosecutors in five cities, including Rome, Palermo, Naples, Bologna and Venice, are investigating claims after complaints were submitted by targets of the alleged spyware breach, who include Mattia Ferrari, a priest, and David Yambio, a humanitarian activist, both of whom have worked with Mediterranea Saving Humans.

    “Five prosecutors are investigating and we trust someone will have the courage to get to the bottom of it and demonstrate, as is clear, that this is an abuse of power and nothing else,” Mediterranea Saving Humans added.

    https://www.theguardian.com/world/2025/mar/27/italian-government-approved-use-of-spyware-on-members-of-refugee-ngo-mp
    #surveillance #migrations #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #sauvetage_en_mer #Graphite #Paragon_Solutions #technologie #journalistes #activistes #Mediterranea_Saving_Humans #Giuseppe_Caccia #Luca_Casarini #espionnage #Francesco_Cancellato #Mattia_Ferrari #David_Yambio

  • Lontano dal mare c’è un’altra Genova tutta da scoprire. A piedi

    Due amici hanno dato vita a un progetto di comunicazione online che promuove l’entroterra del capoluogo ligure, creando itinerari e una comunità offline di cui fanno parte residenti e turisti.

    Genova non è una città di mare. Se si è pronti ad accogliere questa affermazione, allora si può aprire il profilo Instagram di Emanuele ed Edoardo e programmare la prossima gita nel capoluogo ligure: si chiama “Less than 30 from home”e -mutuando un’espressione in lingua inglese- richiama il fatto “che a Genova, a meno di mezz’ora da casa, puoi metterti in cammino per incontrare e raggiungere luoghi inaspettati, una peculiarità che crediamo possano condividere ormai poche grandi città in Italia”, racconta Emanuele Crovetto. Classe 1994, con l’amico Edoardo Testa, nato nel 1993, ha avviato il progetto nel 2020, con un messaggio esplicito: “Raccontiamo un’altra Genova fatta di sentieri montani e tradizioni rurali, luoghi selvaggi e storie perdute, mondi vicini eppure lontanissimi”.

    Il progetto nasce dalle passioni comuni dei due amici, l’escursionismo e l’entroterra, che in un momento particolare, l’emergenza Covid-19 e le limitazioni anche geografiche che impedivano di spostarsi, gli ha permesso di “raccogliere tanto materiale e decidere di renderlo disponibile per trasformare il limite in un’opportunità, per andare più in profondità e renderci conto, noi per primi, che esistono ‘storie’ e ‘luoghi’ che vale la pena raccontare, che sono poco divulgate e lo sono male”, racconta Emanuele.

    Il fine esplicito è anche politico, sottolinea Edoardo: “Molte proposte non sono adatte: sui social si pubblicano fotografie irraggiungibili, con una spettacolarizzazione del territorio che non rende giustizia e ne offre un’immagine meravigliosa ma fine a se stessa, perchè non presenta un racconto che ne metta in luce la bellezza ma anche le problematiche. Per noi è fondamentale, anche nei testi che accompagnano le foto che pubblichiamo, far comprendere come le contraddizioni entrino in dialogo tra loro: non basta una geolocalizzazione, ma serve raccontare la storia e le caratteristiche ambientali e anche sociali e culturali, le problematiche e i limiti, lo stato d’abbandono”.

    A quattro anni e mezzo dal primo post sul profilo (che è del novembre 2020) gli itinerari pubblicati sono una trentina, arricchiti dalle grafiche curate da Crovetto che ha fatto studi di architettura e si occupa di design e progettazione. Le mappe e le descrizioni degli itinerari hanno come “obiettivo far scoprire il territorio in autonomia, anche se negli ultimi tempi abbiamo valutato che non era male ogni tanto creare delle occasioni proponendo agli utenti delle visite e delle escursioni guidate, non tanto per creare un calendario fitto ma per uscire dai social, dare l’opportunità di un contatto diretto, conoscere le persone, esprimere in modo più profondo il racconto, senza limitarsi ai 30 secondi’’ di un reel o al contenuto di un post”, racconta Edoardo Testa, che dopo la laurea in Giurisprudenza oggi studia Scienze umane per l’ambiente ed è anche Guida ambientale ed escursionistica abilitata.


    La comunità con cui dialogano è quella dei 18.500 follower del loro profilo. Il messaggio non riguarda solo i “luoghi da scoprire sulle alture di Genova”, cioè le cime tra gli 800 e i mille metri che si trovano nel territorio del Comune di Genova. Invita ad avere un altro rapporto con la città: “Le nostre escursioni partono dal basso per raggiungere la montagna. Nel percorso non è raro imbattersi in brutture. Dove questo contrasto esiste, lo rendiamo visibile, non lo nascondiamo. Non idealizziamo l’entroterra. Esistono alcuni quartieri particolarmente ‘difficili visivamente’ da cui sarebbe facile ‘raggiungere’ luoghi che esprimono un valore, ma una rete sentieristica poco sviluppata fa sì che per molti che ci vivono questo ‘legame’ non esista. Ecco un tema politico: la divulgazione della costa, lo sguardo sempre rivolto al mare, nasconde le opportunità che esistono guardandosi alle spalle”, sottolinea Edoardo.

    “Less than 30 from home” rappresenta un’alternativa rispetto a una scelta di promozione del territorio che i due fondatori del progetto definiscono “discutibile, a partire dal tema del turismo crocieristico e dalle relative infrastrutture”. Per questo, spiega Emanuele, è importante “lo sforzo per decostruire cliché, per raccontare un’altra Genova”. In questo senso, il progetto è anche politico: “Serviva qualcuno che facesse da contraltare al racconto mainstream, per non vocare la città a un turismo mordi e fuggi. Sulle alture, dove i servizi non esistono, non è possibile pensare a infrastrutture per il turista e non per chi vi abita. La Regione Liguria ha scelto, secondo noi commettendo un errore, di offrire una certa visione del territorio e della città, che è indubbiamente costa-centrica e lì concentra le risorse, ignorando le altre . Massivamente i turisti visitano così determinate zone della città. Quando si offre un racconto troppo facile, troppo semplice, questo attira il visitatore che non ha particolari velleità di comprendere quello che lo circonda. Un turista che vuole confermare la visione che ha di Genova, e non scoprirne un’altra: il primo può portare più danni del secondo”.

    Nemmeno per chi vi abita è scontato conoscere aree e quartieri di una città lunghissima, che rende il Levante un mondo a parte per chi è nato a Ponente, e viceversa. Due esempi: “La Val Cerusa, alle spalle di Voltri, torrentizia, con il paese di Sambuco, straniante. Appena si supera il cavalcavia dell’autostrada si entra in un mondo molto diverso rispetto a quanto uno si aspetta di trovare a Genova. La roccia qui è serpentinite, ha un impatto ‘alpino’. Se guardi verso l’alto, in giornate invernali, con un po’ di neve sulla vetta, difficilmente puoi sentire di essere a Genova”, racconta Edoardo.

    Fa eco Emanuele: “C’è la Val di Noci che nonostante il lago artificiale è davvero un luogo poco conosciuto, anche se tutt’intorno c’è il tracciato dell’Alta via dei Monti Liguri. Da lì, si può raggiungere l’Alpe Sisa e poi scoprire alcuni borghi abbandonati, come Canate di Marsiglia, dove oggi vive solo un eremita, Francesco. Sono paesi che hanno smesso di vivere negli anni Sessanta o Settanta. Luoghi vicini nel tempo e nello spazio, per buona parte dimenticati. Farli riscoprire è importante perché rappresentano un patrimonio architettonico e di tradizioni e di storie che altrimenti rischia di perdersi”. Restano in vita persone che hanno offerto ai due amici testimonianze della vita in quei luoghi.

    “Siamo l’ultima generazione -conclude Edoardo- che ha un rapporto diretto o indiretto con l’entroterra: le prossime avranno bisogno di qualcuno che ne conservi per loro una testimonianza. Non credo che sia un racconto da romanzare, ma da conservare. Una traccia di quello che siamo”.

    https://altreconomia.it/lontano-dal-mare-ce-unaltra-genova-tutta-da-scoprire-a-piedi

    #marche #promenade #Gênes #Italie #montagne #alternative #itinéraires #Italie

  • Ministero, ’vietati asterisco e schwa negli atti delle scuole’

    Una circolare spiega: ’Rispettare regole della lingua italiana’

    Stop ad asterischi e schwa nelle comunicazioni ufficiali delle scuole.

    Lo ha deciso il Ministero dell’Istruzione dopo segnalazioni di casi in cui in comunicazioni scolastiche venivano usati i segni, schwa e asterisco, intesi come inclusivi.

    Il capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, #Pamela_Palumbo, ha preso carta e penna e ha inviato una circolare a tutti i dirigenti scolastici delle scuole statali e paritarie e ai direttori generali degli uffici scolastici regionali per ribadire che nelle comunicazioni ufficiali «è imprescindibile il rispetto delle regole della lingua italiana. L’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa (ə), è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale».
    «L’#Accademia_della_Crusca - sottolinea il capo dipartimento del ministero nella circolare - ha, infatti, più volte evidenziato che queste pratiche non sono grammaticalmente corrette e che il loro impiego, specialmente nei documenti ufficiali, ostacola la leggibilità e l’accessibilità dei testi».


    https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2025/03/21/ministero-vietati-asterisco-e-schwa-negli-atti-delle-scuole_919095ee-45ee-48c5-
    #Italie #écriture_inclusive #genre #langue #italien #shwa #astérisque #interdiction #école