• Acque sporche: allevamenti intensivi e inquinamento al tempo della crisi climatica
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    Nel Bacino Padano, il sistema di allevamenti intensivi e le pratiche di irrigazione dei campi minacciano la qualità delle acque dei fiumi e delle falde, mentre i parametri della Direttiva Nitrati dell’UE sono spesso disattesi Clicca per leggere l’articolo Acque sporche: allevamenti intensivi e inquinamento al tempo della crisi climatica pubblicato su IrpiMedia.

  • I dati sull’accoglienza in Italia, tra programmazione mancata e un “sistema unico” mai nato

    Ad agosto in Italia sono “accolte” quasi 133mila persone, per la maggioranza nei centri prefettizi. Il sistema diffuso, e sulla carta ordinario, pesa ancora poco. Un confronto con gli anni scorsi smonta l’emergenza e mostra i nodi veri: dalla non programmazione al definanziamento, fino allo squilibrio provinciale tra #Cas e #Sai.

    Al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot. Tanti? Pochi? Spia di un’emergenza imprevedibile? Un confronto con gli anni scorsi può aiutare a orientarsi, tenendo sempre la stessa fonte, cioè il ministero dell’Interno, lo stesso che per conto del governo lamenta una situazione “scoppiata” tra le mani, impossibile da programmare e quindi non gestibile per le vie ordinarie, tanto da dichiarare lo stato di emergenza.

    Facciamo un salto indietro alla fine del 2016, quando gli sbarchi furono oltre 180mila. Le persone in accoglienza in Italia allora erano 176.257, il 32,7% in più di oggi. La stragrande maggioranza, proprio come oggi, era nelle strutture temporanee emergenziali (137mila), seguita a distanza dall’accoglienza diffusa e teoricamente strutturale dell’allora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) con 23mila posti, dai centri di prima accoglienza (15mila circa) e dagli hotspot (un migliaio). A fine agosto 2017, anno in cui gli sbarchi alla fine sfiorarono quota 120mila, erano 173.783, di cui nei soli Cas 158.207. Un terzo in più di oggi.

    Un anno dopo, il 31 agosto 2018, erano scesi a 155.619. Attenzione: quell’anno, anche a seguito degli accordi del 2017 tra Italia e Libia e delle forniture garantite a Tripoli per intercettare e respingere i naufraghi con missioni bilaterali di supporto (farina Minniti-Gentiloni), gli sbarchi crolleranno a 23.370.
    Ed è proprio in quell’anno che per decreto (il cosiddetto “Decreto Salvini”, 113/2018) il Governo Conte I smonta il già gracile e incompiuto sistema di accoglienza, pubblicando schemi di capitolato dei Cas che premiano le strutture di grandi dimensioni, riducendo gli standard di accoglienza e mortificando l’operato del Terzo settore. Per non parlare del forte impulso, già in atto da qualche tempo, alla prassi “svuota centri” rappresentata dalle revoche delle misure di accoglienza da parte delle prefetture. È bene infatti ricordare che tra 2016 e 2019, come ricostruito da un’inchiesta di Altreconomia, almeno 100mila tra richiedenti asilo e beneficiari di protezione si sono visti cancellare le condizioni materiali di accoglienza, finendo espulsi dai centri, a discrezione delle singole prefetture e senza che venisse tenuto in minima considerazione alcun principio di gradualità.

    L’anno che ha fatto registrare il dato più basso di sbarchi dell’ultima decade è il 2019: 11.471. A metà agosto di quattro anni fa le persone in accoglienza erano 102.402, di cui 77.128 nei Cas e 25.132 nell’ormai ex Sprar, svuotato della sua natura originaria e rinominato in Siproimi. “Perché immaginare di costruire un sistema di accoglienza per soggetti ritenuti non graditi dalle istituzioni?”, è il ragionamento non detto.

    Ecco perché al 15 agosto 2020, anno di leggera ripresa degli sbarchi (34.200 circa), le persone nei Cas, nel Siproimi e negli hotspot non superano quota 85mila. La metà rispetto al 2016. Crollano i posti nei centri prefettizi (da 77mila del 2019 a 60mila del 2020) così come quelli nel Siproimi (da 25mila a 23mila).

    Ma si è riusciti a far di peggio, riducendo il sistema al lumicino dei 76.902 “immigrati in accoglienza sul territorio”, come li indica il Viminale, del 15 agosto 2021 (anno che registrerà 67.477 sbarchi). Nei centri prefettizi vengono infatti dichiarate 51.128 persone presenti, quasi un terzo di quante erano accolte nel dicembre 2017. Nel circuito del Siproimi c’è una flebile ripresa che però non oltrepassa quota 25mila posti.

    È una sorta di “età di mezzo” (siamo a cavallo dei Governi Conte II e Draghi). Nonostante il positivo intervento della legge 173/2020 che ripristina la logica dello Sprar, denominandolo Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), i due esecutivi che precedono l’attuale non riescono a (o non vogliono) frenare la diminuzione dei posti. Si fa finta di non vedere che il sistema di accoglienza è nei fatti sottostimato e che da un momento all’altro può dunque implodere rispetto alle necessità. I capitolati dei Cas vengono di poco corretti ma non in maniera adeguata, e continua a non essere elaborato e tanto meno attuato alcun piano di progressivo assorbimento e riconversione dei Cas (emergenza) nel Sai (ordinario). Il Sistema di accoglienza e integrazione torna debolmente a crescere ma in modo modesto. Perché non è lì che si punta: a occupare l’agenda sono ancora gli accordi con la Libia, che vengono infatti rinnovati, e la direzione politica non cambia rispetto a quella precedente, è solo meno “urlata”.

    È in questo quadro che arriviamo all’anno scorso, quello dei 105mila sbarchi, con le persone in accoglienza che a metà agosto 2022 sono 95.893, di cui 64.117 nei Cas e 31mila circa nei centri Sai.

    Pian piano quella quota è cresciuta fino ai citati 132.796 “accolti” del 15 agosto 2023. Non si tratta, come visto, di un inedito picco ma di un già vissuto trascinarsi di difetti strutturali. Uno su tutti: il Sai, la fase di accoglienza concepita come ordinaria, non riesce ad andare oltre il 30% del numero complessivo dei posti disponibili.

    “Se immaginiamo che tra il 20 e il 30% della popolazione presente nei centri rapidamente li abbandona e lascia l’Italia per andare in altri Paesi dell’Unione europea, l’impatto generale degli arrivi e delle presenze è quanto mai modesto -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e tra i più esperti conoscitori del sistema di accoglienza del nostro Paese. Nulla giustifica l’ordinario e diffuso allarmismo”. “La popolazione italiana nel solo 2022 è diminuita di 179mila unità, un numero pari a più di tre anni di arrivi (2022, 2021, 2020) -fa notare ancora Schiavone-. Ma di che cosa stiamo parlando?”.

    A questa lettura se ne aggiunge un’altra che riguarda la disomogeneità territoriale dell’accoglienza su scala provinciale. Il ministero dell’Interno rende infatti pubblici ogni 15 giorni i dati aggiornati sulle “presenze di migranti in accoglienza” distinguendoli però solo su base regionale. Così gli squilibri del sistema non emergono nel dettaglio.

    Altreconomia ha ottenuto dal Viminale i dati suddivisi per Provincia al 30 giugno 2023, appena prima che scoppiasse l’ultima “emergenza accoglienza”, quando le persone in accoglienza erano 118.883 di cui 3.682 negli hotspot (Lampedusa su tutti), 80.126 nei Cas e 35.075 nei centri Sai. Il carattere che emerge è la sproporzione. Vale tanto per la distribuzione dei posti del Sai quanto per il “collegamento” tra il sistema emergenziale Cas e l’accoglienza diffusa.

    Schiavone fa qualche esempio pratico. “In alcune Regioni e province le presenze nel Sai sono bassissime, specie se rapportate alla popolazione residente. Veneto, Toscana, la stessa Lombardia. Il divario Nord-Sud è critico. La peggiore si conferma in ogni caso il Friuli-Venezia Giulia, dove peraltro il ministero segnala 63 posti in provincia di Udine senza tenere conto che il progetto Sai che fa capo al Comune di Udine ha chiuso a fine dicembre del 2022. È palese la carenza forte di posti al Nord dove ci sarebbero le maggiori possibilità di integrazione socio-lavorativa”.

    Di fronte a questi dati sorge un interrogativo che il presidente dell’Ics di Trieste riassume così: “A che cosa serve un Sistema di accoglienza integrazione, che ora con la legge 50/2023 è destinato ai soli beneficiari di protezione, così squilibrato, sia per aree geografiche sia in relazione al sistema dei Cas? Trasferiamo i richiedenti asilo appena diventano rifugiati da Nord a Sud per trovare lavoro? Appare evidente che il sistema come è oggi configurato, se si intende mantenere l’irrazionale scelta di avervi sottratto l’accoglienza dei richiedenti asilo, non ha alcun senso e andrebbe interamente riconfigurato con drastiche chiusure di progetti Sai nelle aree interne, specie al Sud, che erano importantissimi in una logica normativa che prevede l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo ma che perdono senso in un nuovo sistema che attribuisce al Sai la sola funzione di sostenere l’integrazione socio-economica dei rifugiati”.

    A riprova del fatto che la vera emergenza in Italia non sono i numeri quanto la non programmazione ministeriale sull’accoglienza, c’è anche la risposta che il capo della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo (Francesco Zito) diede al nostro Luca Rondi a inizio gennaio 2023. Alla richiesta di aver copia del “Piano nazionale di accoglienza elaborato dal Ministero dell’Interno”, il Viminale glissò sostenendo che “i trasferimenti dei migranti avvengono in base a quote di volta in volta stabilite tra le diverse province, anche in base ai posti che si rendono disponibili sul territorio”. Come dire: il piano è non avere un piano.

    Chiude il cerchio la cesura netta che c’è tra i posti emergenziali nei Cas e il Sai. “Facciamo l’esempio di Piacenza -riflette Schiavone-. A fine giugno c’erano 505 posti Cas e 34 posti Sai. Se ad esempio ogni anno devo trasferire 200 ex richiedenti asilo divenuti beneficiari di protezione dai Cas di Piacenza al Sai di quella provincia, come si fa? È evidente che le persone verranno trasferite da una delle province a maggior dinamicità economica magari ad Avellino o Cosenza dove ci sono rispettivamente 900 e 1.100 posti SAI. Questo non-sistema produce nello stesso tempo sradicamento delle persone dai percorsi di primo inserimento sociale e totale sperpero di denaro pubblico. A guardare fino in fondo il non-sistema non produce neppure alcuna integrazione sociale, magari con grande lentezza e spreco di energie”.

    La progressiva riduzione dei Cas a parcheggi dove non verrà insegnato neppure l’italiano -come prevede la legge 50/2023 che ha eliminato anche l’orientamento legale e il supporto psicologico- farà il resto. “Il processo è in atto da tempo ma tende ad accelerare sempre di più -dice Schiavone allargando le braccia-. In questo modo anche i sei mesi di accoglienza Sai rischiano di rivelarsi pressoché inutili se non sono un completamento di un percorso di integrazione già avviato. Ma in questo non-sistema il beneficiario di protezione che accede al Sai parte da quasi zero”. Verso una nuova, prevedibile, “emergenza”.

    https://altreconomia.it/i-dati-sullaccoglienza-in-italia-tra-programmazione-mancata-e-un-sistem
    #données #statistiques #chiffres #asile #migrations #réfugiés #Italie #accueil #Sistema_di_accoglienza_e_integrazione #hotspot #2023 #Siproimi #urgence #2022 #2019 #2020 #arrivées #cartographie #Italie_du_Sud #Italie_du_Nord

  • Coronavirus, i medici del Sud invadono stazioni e aeroporti della Lombardia: è l’esodo della solidarietà

    Zaino in spalla, trolley in mano. E mascherine a coprire bocca e naso. Le stazioni dei treni della Lombardia e gli aeroporti, giovedì sera (26 marzo), brulicavano di persone. E non perché fosse in corso l’ennesima grande fuga da una regione piegata e stremata dal Coronavirus. Quelle persone che l’altra sera sera hanno calpestato il suolo lombardo sono medici, infermieri, operatori socio sanitari che arrivano dal Sud. Sono persone che hanno risposto alla ‘chiamata alle armi’, alle disperate richieste di aiuto e di rinforzo lanciate dai medici del Nord e dal Governo. Un esodo all’incontrario. Un esodo della solidarietà, che il ministro per gli Affari regionali e Autonomie Francesco Boccia ha voluto esaltare con un post su Facebook.

    I primi 21 medici volontari sono arrivati a Bergamo, la provincia più martoriata della Lombardia. Dove i morti si fa fatica a contarli. Dove a volte le persone spirano nelle proprie case perché non s’è fatto in tempo a fare neanche il tampone. Dove i camion dell’Esercito sfilano di notte per la città trasferendo in altri comuni i corpi di chi non ce l’ha fatta affinché essi vengano cremati. Questi medici volontari che si stringono al dolore della Lombardia arrivano quasi tutti dal Sud, arrivano da regioni e da città dove i casi di contagio sono ancora contenuti, rispetto agli impressionanti e drammatici numeri della Lombardia.

    «I primi medici arrivati in Lombardia provengono da Roma, Latina, Bari, Firenze, Cosenza, Potenza, Napoli, Vasto, Messina, Udine, Caserta e Perugia», ha scritto il ministro Francesco Boccia. Proprio lui ha accolto alcuni di questi medici in aeroporto: con lui il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il Vice Presidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala, Maurizio Martina ed Elena Carnevali.

    Sette dei primi 21 medici volontari sono dislocati a Piacenza, dove il Coronavirus sta piegando la città. Come accaduto a Bergamo. «I medici in parallelo saranno affiancati dai 500 infermieri che stiamo arruolando proprio in queste ore con lo stesso metodo come task force protezione civile nazionale», ha spiegato Boccia.
    L’esodo della solidarietà proseguirà anche nei prossimi giorni. Sono già arrivate 3500 domande da parte degli infermieri. E, come sottolinea il ministro, stanno arrivando in «particolare dal centro-sud».

    E’ l’Italia che si unisce e si abbraccia in un momento di dolore che non può lasciare indifferenti. E’ l’Italia che, forse, riuscirà a gettare un ponte in grado di azzerare i pregiudizi, che talvolta si declinano in razzismo, che parte del Nord ha sempre nutrito nei confronti del Sud.

    https://www.giustizianews24.it/2020/03/28/coronavirus-i-medici-del-sud-invadono-stazioni-e-aeroporti-della-lom
    #médecins #solidarité #Italie_du_Sud #Italie_du_Nord #Italie

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  • #Veneto. L’accoglienza finisce in caserma. Un posto letto, un po’ di cibo e nessun futuro (Parte prima)

    Un piatto di pasta e un letto. L’accoglienza nella Regione Veneto è tutta qua. Nessun percorso inclusivo, nessun accompagnamento, niente corsi di lingua o avviamenti al lavoro. Solo qualcosa sul piatto e un tetto sopra la testa. Chiuse le esperienze di accoglimento diffuso, i richiedenti asilo del Veneto sono stati ammassati in grandi centri senza futuro. Nel trevisano sono state utilizzate due caserme in disuso. Una si trova a #Oderzo e l’altra, la #caserma_Serena, a #Treviso. “In quest’ultima c’erano già 350 persone. Ora sono raddoppiate. In compenso, sono diminuiti gli operatori” spiega Monica Tiengo, dello sportello migranti dell’Adl Cobas. Con i nuovi bandi emessi dalle prefetture, le cooperative che gestivamo l’accoglienza prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini, hanno deciso di disertare l’asta, denunciando come fosse impossibile garantire i pur minimi requisiti di accoglienza con le nuove regole. “Le conseguenze si vedono di già sul territorio. Tantissimi migranti stipati tutti insieme senza che nessuno dica loro cosa debbono fare o quale sarà il loro futuro, e poi controlli delle polizia e dell’esercito… tutto questo, per la Lega, si traduce in tanti voti in più – continua Monica -. Per i richiedenti asilo, tutto questo significa dover abbandonare tutto quello che erano riusciti a conquistare. Dentro queste enormi strutture è impossibile fare qualsiasi cosa. Anche i nostri Talking Hands (un gruppo di migranti specializzati in sartoria che ha avviato una collaborazione con alcune case di moda. ndr) hanno dovuto rinunciare a partecipare ad un importante vernissage a Milano perché non gli è stato consentito di rincasare dopo le 20 di sera”.

    Questi sono gli effetti più evidenti del decreto Salvini e che riguardano i richiedenti asilo, ma ci sono pericolose conseguenze anche per chi ha già ,ottenuto il permesso umanitario. “I ragazzi con l’umanitario si sentono tranquilli e non sanno che non gli verrà più rinnovato! Per il rinnovo infatti è richiesto un contratto di lavoro – e qui ci sono pochi problemi perché nel nord est qualcosa trovi – ma serve anche un passaporto!” Chi scappa dal suo Paese, il passaporto non ce l’ha. Questo è chiaro a tutti tranne a chi ha redatto il decreto Sicurezza. Chiedere al proprio consolato è solo una perdita di tempo. “Il più delle volte, i funzionari non li stanno neppure a sentire. Capita anche che non gli aprono la porta. Così i ragazzi sono costretti a tornare nel loro Paese d’origine per chiedere il documento. Insomma siamo alla follia. Gli viene riconosciuto l’umanitario perché a casa loro c’è la guerra e hai riconosciuto che ha fatto bene a scappare e poi lo rimandi indietro per chiedere un documento! Cosa è questa se non cattiveria bella e buona?” A Treviso, si sono costituiti gruppi di persona che accompagnano i migranti al loro consolato. “Se si presentano con qualcuno che ha la pelle bianca, perlomeno li stanno a sentire. Ma, in ogni caso, Paesi come la Nigeria, il Gambia, la Guinea e tanti altri, il passaporto non te lo concedono tramite consolato”.

    Una follia anche l’allungamento di pratiche per la cittadinanza. “Qui allo sportello arrivano casi davvero al limite dell’assurdo. Un esempio? Una coppia, lei rumena lui italiano, sposata da 15 anni. Un matrimonio, vero quindi. Lei fa domanda di cittadinanza ma il marito si ammala e viene a mancare proprio a pochi mesi dall’ottenimento della cittadinanza. Ora è tutto da rifare! Per non parlare dell’innalzamento del reddito richiesto, in particolare per chi ha congiunti a carico. Una signora che vive in Italia da 16 anni, che parla bene l’italiano e con un lavoro regolare, è rimasta fuori per poco centinaia di euro perché ha due gemelli! Insomma, la richiesta della cittadinanza è diventata una corsa ad ostacoli. Eppure, se davvero volessero mandare via i migranti, riconoscere la cittadinanza a tutti sarebbe la soluzione migliore! Il Paese si svuoterebbe. Chi ha un documento europeo in regola, se ne va subito nei Paesi del Nord”.

    https://www.lasciatecientrare.it/veneto-laccoglienza-finisce-in-caserma-un-posto-letto-un-po-di-cib
    #accueil #hébergement #logement #caserne #asile #migrations #réfugiés #Italie #Italie_du_Nord #décret_salvini #Vénétie

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  • Alla fine del viaggio: il disagio psichico dei migranti nel nord Italia

    Traumi e torture che è difficile superare, ancor più nell’incertezza del futuro che accompagna l’attesa dopo aver fatto richiesta di asilo. Soprusi subiti, ricordi incancellabili, nevrosi, sindrome da stress post traumatico, autolesionismo e tentativi di suicidio. Se ne parla poco, ma rappresentano una parte importante del disagio delle persone migranti. Matteo Congregalli ha parlato con le persone che li assistono nel nord Italia nell’ambito della psichiatria ed etnopsichiatria, e che a volte non riescono a salvarli.

    http://openmigration.org/analisi/alla-fine-del-viaggio-il-disagio-psichico-dei-migranti-nel-nord-italia/?platform=hootsuite
    #Italie #Italie_du_nord #santé_mentale #asile #migrations #réfugiés #après_l'arrivée #traumatisme #trauma #torture #incertitude

  • Lo schiavismo nascosto agli occhi dei consumatori

    Si potrebbero citare molte ricerche e decine di storie. L’ultima ha riguardato il Nord Italia e precisamente le colline del moscato albese. A fine settembre le forze dell’ordine hanno trovato, in un cascinale di #Mango, in #Piemonte, circa 70 lavoratori stagionali stipati in locali che a fatica avrebbero potuto accoglierne una decina. Altri 20 lavoratori sarebbero stati trovati in un’altra cascina tra i Comuni di #Barbaresco e #Neive, anch’essi in pessime condizioni igienico-sanitarie. Sarebbero quasi tutti macedoni e rumeni arrivati in #Langa per l’annuale vendemmia. Solo pochi giorni prima, un lavoratore rumeno di 66 anni è deceduto mentre lavorava con altri connazionali reclutati da una cooperativa rumena, in una vigna di #Erbusco, nel bresciano. Nella prima settimana di agosto, 49 persone sono state denunciate dalla Guardia di Finanza di Montegiordano, nel cosentino, al termine di un’indagine finalizzata al contrasto del #caporalato. Le indagini hanno identificato un migrante, di nazionalità pakistana, considerato l’intermediario, nella piana di Sibari, per imprenditori agricoli che domandavano manodopera illegale e a basso costo. Il «caporale», nella gestione dell’attività illecita, aveva rapporti con due italiani in regime di protezione e affiliati ad una ‘ndrina locale, con 19 migranti irregolarmente soggiornanti e con un latitante.

    http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:3500
    #Italie #esclavage #néo-esclavage #exploitation #travail #agriculture #vin #viticulture #migrations #Roumanie #Pakistan #Inde

    • Investigators found around 30 migrants, each paid 15-20 euros a day off the books for 10-hour shifts picking potatoes and strawberries

      ROME, May 5 (Reuters) - Six people were arrested on Friday, suspected of taking part in a scheme to recruit migrants from reception centres and put them to work illegally in the fields of southern Italy, police said.

      http://news.trust.org/item/20170505160043-8mbcq

    • Ridotti in schiavitù per lavorare a 1,70 euro all’ora nelle campagne trentine. Alcuni messi nel bagagliaio per essere portati nell’azienda agricola

      L’operazione della Guardia di Finanza è iniziata nel 2017 dopo aver individuato 25 migranti con vestiti a brandelli e scarpe rotte che si stavano recando a lavorare in una campagna di Tenno. Tre persone sono indagate e le indagini hanno portato alla luce una rete di sfruttamento che ha coinvolto oltre 200 migranti


      https://www.ildolomiti.it/cronaca/2019/ridotti-in-schiavitu-per-lavorare-a-170-euro-allora-nelle-campagne-trenti
      #trentino

    • Lavoro nero nei campi del Mantovano per 56 braccianti: 5 arresti

      I carabinieri controllano un’azienda agricola a #Ostiglia: paga oraria di 5 euro, nessuna protezione e niente visita medica. Finiscono in manette quattro caporali e il proprietario del fondo

      Prosegue il lavoro della task force dei carabinieri mantovani per debellare il fenomeno del lavoro nero e del caporalato. A finire sotto la lente dei controlli dell’Arma stavolta è stata un’azienda agricola che opera nella zona di Ostiglia al confine con il Veneto.

      Di buon mattino i militari con gli specialisti del Nucleo ispettorato del lavoro, gli ispettori dell’Inps e dell’Inail, hanno eseguito un controllo a tappeto nei campi al confine con il Veneto dove attualmente è fiorente la coltivazione del radicchio rosso e dove ha sede un’azienda agricola con sede legale a Legnago che a sua volta si avvale della manodopera fornita da una cooperativa che gestisce braccianti agricoli (tutti stranieri extracomunitari) con sede legale nel modenese.

      Sono stati controllati 56 braccianti e le loro posizioni retributive e assicurative. Tutti i braccianti sono risultati in regola con il permesso di soggiorno, ma è emerso che la paga oraria era all’incirca di 5 euro. Inoltre nessuno degli operai indossava dispositivi di protezione e non erano mai stati sottoposti alla preventiva e prevista visita medica.

      Sono stati quindi arrestati 4 caporali (tre pakistani e un marocchino) che avevano il compito, per conto della cooperativa, di gestire i braccianti, nonché il committente dei lavori e proprietario del fondo agricolo, un italiano 72enne. Per i primi quattro si sono aperte le porte del carcere, mentre per il committente sono stati disposti gli arresti domiciliari. Oltre alla sospensione dell’attività dell’azienda agricola, sono stati sottoposti a sequestro i tre furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti e sono state elevate contravvenzioni amministrative per un ammontare di 48.800 euro.

      Il prefetto Carolina Bellantoni ha espresso il suo vivo apprezzamento per la brillante operazione di servizio e per i positivi obiettivi conseguiti finalizzati a contrastare le situazioni lavorative irregolari.

      https://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2019/06/15/news/lavoro-nero-nei-campi-del-mantovano-per-56-braccianti-3-ar

      #Italie_du_Nord #Mantoue