• L’8 marzo “clandestino” delle donne afghane che resistono ai Talebani

    Nonostante le difficoltà e le minacce, le attiviste celebrano la giornata per ricordare che il cambiamento è sempre possibile. Anche in un Paese dove oggi violenze domestiche e persino l’uccisione di una figlia non vengono puniti.

    Buio. Temperature polari, neve, fango e ancora buio. Di sera la città scompare nell’oscurità. L’elettricità c’è raramente. Le luci stradali e quelle dentro le case sono spente. I passi incerti degli uomini per strada, come fantasmi. Resti di una vita che non c’è più. Miliziani ovunque, posti di blocco. Sono vestiti meglio i Talebani: buone divise, mezzi potenti, armi efficienti, ereditati dall’esercito e dagli americani. È questa la Kabul che ritrova Rehana, militante della Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa) dopo una lunga assenza. Nemmeno nelle case si sta al sicuro. I miliziani arrivano, sono una cinquantina. Circondano un quartiere, chiudono le strade. Poi entrano nelle abitazioni e perquisiscono, buttano all’aria tutto. Dicono di cercare armi ma rovistano anche nella biancheria delle donne. Alcune tra le nostre amiche attiviste hanno subito questa avventura. Se sei da sola in casa, convocano un testimone maschio altrimenti non potrebbero entrare. Mostrano a tutti che hanno il controllo del Paese, seminano paura. E ci riescono benissimo.

    La paura è entrata infatti nella pelle di tutti. Rehana racconta di averla davanti agli occhi ogni giorno quando prende l’autobus. Ha tempo di osservare dalla sua postazione di donna, schiacciata con le altre, in fondo. I posti buoni sono per gli uomini. Uomini spenti, sguardi opachi. Ascolta la desolazione, l’avvilimento, le storie delle donne. Si scambiano lo sconforto. Non c’è lavoro, non c’è da mangiare, niente per scaldarsi, non possono comprare nemmeno un pezzo di sapone per lavarsi. Le mamme si preoccupano per le figlie. Troppo vuoto nella mente. I disturbi psichici aumentano. Non c’è scuola, né lavoro, né distrazioni, né vita sociale. I Talebani si sono mangiati i loro sogni. Chiuse in casa, spesso una sola stanza, da mesi non possono uscire. È pericoloso: i miliziani possono portarsele via.

    Dopo il devastante terremoto che ha colpito Turchia e Siria il 6 febbraio molti hanno preso d’assalto l’aeroporto di Kabul, con l’obiettivo di salire sugli aerei che partono per portare soccorso: file di automobili come nell’agosto 2021, tanti venivano anche da altre province. La Turchia è la meta da raggiungere a qualsiasi costo: i Talebani sono spiazzati, fanno fatica ad arginare l’assalto, si spara fino a tarda sera. La gente, in città, pensa che ci sia stato un attentato. Khader non è riuscito a partire: “Comunque qui si muore. Preferisco perdere la vita sotto le macerie di un terremoto che qui”.

    Nel buio delle strade succede di tutto e al mattino si trovano i cadaveri. Il 9 febbraio, i Talebani hanno dichiarato di averne raccolti 148 nel corso del mese precedente. Si muore di freddo, di fame, di droga, per mano talebana, per l’aggressione da parte di un criminale, per omicidio, per attacchi suicidi.

    La stessa cupa prigione è saldamente installata nella mente degli uomini. Sahar, insegnante, racconta cos’è successo nel suo quartiere a una famiglia che conosce di vista. Un padre, Faiz, ama sua figlia quindicenne (così dice): bella, istruita, allegra, ne è fiero. La sorveglia costantemente: lei è preziosa, il suo migliore affare. La vende in sposa, con suo grande profitto, a un suo collega, un uomo rispettabile, più anziano di lui.

    Lei, Zahra, invece, ha altri progetti. È innamorata e si vede di nascosto con il suo fidanzato Amid, progettano la fuga. Ora che il padre l’ha promessa, non esce più. Il ragazzo di notte riesce a entrare nella sua stanza, vuole vederla. Sono vicini, si tengono le mani. Faiz, padre che ama sua figlia, controlla. La vita di Zahra gli appartiene, l’affare è già combinato. Tutta la casa controlla, anche i muri, gli scricchiolii, i pavimenti: tutte spie di Faiz. Allarmato, entra nella stanza, Amid scappa dalla finestra. Faiz prende il suo fucile e gli spara, ma ormai il ragazzo è sparito nel buio.

    Così, si gira, con la furia negli occhi, mentre la figlia gli urla che vuole sposare Amid, solo lui. Non ci pensa molto, riempie il corpo della sua bambina di pallottole. Zahra viene uccisa. Il padre solleva il cadavere, così leggero e lo getta nel cortile. I vicini si affacciano, le donne urlano. Faiz è ancora lì, con il fucile in mano e spinge via con i piedi il corpo della figlia. I vicini, spaventati, denunciano l’omicidio alle autorità. Eccoli, i “giudici”, con il turbante di traverso, armati fino ai denti. Gli occhi accesi da chissà quale delirio. Vedono il corpo della ragazza, nessuno ha osato spostarlo. Entrano in casa dove la madre non smette di singhiozzare. Parlano con Faiz. Ascoltano, annuiscono. I vicini spiano dalle finestre. Escono nel cortile per assistere alla “giustizia talebana”’. Ecco, ora sarà frustato, arrestato, ucciso, si dicono. Se lo porteranno via. Se lo merita. Ma i Talebani si complimentano con lui, gli danno pacche sulle spalle, lo lodano senza ritegno: “Hai fatto il tuo dovere. Ora il tuo onore è salvo e la sharia rispettata. Tua figlia era una puttana”. Giustizia è fatta.

    Oggi, in Afghanistan, i reati contro le donne non hanno nemmeno la dignità di essere delitti, sono comportamenti governati dalla sharia. Giustificati, accettati, accolti dentro la vita di ogni giorno. I codici cambiano e sono i Talebani a dettarli. La giustizia è sprofondata nel fanatismo. Oggi, nel silenzio del mondo, i Talebani fanno quello che vogliono. Impongono le loro pene: amputazioni, lapidazioni, frustate. E la voce delle donne, inascoltata, perde forza e si prosciuga. Sulle leggi che proteggevano le donne i Talebani non si esprimono nemmeno: per loro non sono mai esistite. Basta la sharia. Copre ogni caso sottoposto alla giustizia. La violenza degli uomini non è più un crimine, tanto meno quella domestica, non è oggetto di alcuna sanzione, è colpa delle donne che non hanno saputo servire bene i loro mariti. L’impunità nutre gli abusi, si annida nelle case, diventa a poco a poco la regola, un tarlo, una malattia. Il triste potere di annichilire devasta il cervello e l’anima degli uomini. Imprigiona la loro mente più del corpo delle donne.

    “Per i Talebani le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”
    – Mirwais, avvocato penalista

    Chi ha difeso le donne è sotto tiro: avvocate, giudici, procuratrici, vivono nascoste sotto continua minaccia di morte. Sono conosciute e rischiano molto. Non basta impedire loro di lavorare, per i Talebani vanno eliminate. Soprattutto per quei padri e quei mariti che, a causa loro, erano stati imprigionati. Questi uomini sono stati tutti liberati dai Talebani, già nella loro corsa verso Kabul nell’agosto 2021. Ex prigionieri e combattenti hanno saccheggiato le case di donne giudici. E vogliono la loro vendetta. “Pochissime si rivolgono alle corti talebane per i loro problemi -dice Mirwais, avvocato penalista-. Per i nuovi governanti le donne non valgono nulla e tutte le decisioni vengono prese in loro assenza, in corti improvvisate, alla presenza degli anziani della tribù e della famiglia, solo maschi. Sono le vittime a rischiare: sanzioni, prigione o violenze sessuali da parte dei giudici”. La stampa non c’è più ma qualche notizia sulla “giustizia talebana” filtra sui social network. Ci sono state donne lapidate in diverse province, in quella di Badakhshan in particolare. A Ghowr una donna si è suicidata per sfuggire a questa crudele esecuzione. Nella provincia di Takhar, 40 giovani sono stati frustati in mezzo alla strada e messi in prigione per non aver osservato le prescrizioni su hijab e barbe. Scendere in strada è come andare in guerra.

    L’8 marzo in Afghanistan non c’è nulla da festeggiare. Non c’era nemmeno nei vent’anni passati quando, tranne poche eccezioni, la giustizia per le donne restava una chimera. Ma le militanti afghane che si battono per i diritti delle loro sorelle ci tengono molto a celebrare questa festa. Per loro è sempre stato un giorno importante e lo è ancora. “Serve a ricordarci le vittorie delle donne -dice Gulnaz, militante di Rawa-. Se loro ce l’hanno fatta, ce la faremo anche noi. Ci vorrà molto tempo ma le cose cambieranno. Oggi sappiamo che continueremo a combattere, con le armi della consapevolezza, dell’istruzione, della cura, della resistenza e con la forza della vita stessa. È questa che dobbiamo celebrare oggi”. Rawa e le altre associazioni di donne continuano a lottare. Trovano ogni escamotage per realizzare quello che serve: scuole, rifugi, ambulatori. Tutto segreto, per una vita che non si fa schiacciare. Continuano a inventare e a dare speranza alle donne. Rawa ci sarà l’8 marzo: le militanti arriveranno per l’occasione addirittura da altre province. Nonostante tutto, nei modi più fantasiosi, riusciranno ad affermare la certezza che qualcosa si può sempre fare per arginare l’orrore e nutrire la forza delle donne. Un giorno di coraggio che, ancora, i Talebani e gli altri tagliagole non sono riusciti a devastare.

    https://altreconomia.it/l8-marzo-clandestino-delle-donne-afghane-che-resistono-ai-talebani
    #Afghanistan #femmes #résistance #Revolutionary_association_of_the_women_of_Afghanistan (#Rawa) #Kaboul #peur #justice

  • Mais quelle bonne idée cher Président !

    #Kaboul comme #Srebrenica ?

    France, UK to propose safe zone for people leaving #Afghanistan, submit resolution at UN meeting : Emmanuel #Macron

    “Our resolution proposal aims to define a safe zone in Kabul, under UN control, which would allow humanitarian operations to continue,” French President Macron said.

    Ahead of an emergency meeting by the United Nations on Monday, French President Emmanuel Macron said that France and Britain would propose for a safe zone in Kabul to protect people trying to flee Afghanistan.

    “Our resolution proposal aims to define a safe zone in Kabul, under UN control, which would allow humanitarian operations to continue,” news agency Reuters quoted Macron as saying on Sunday. During his visit to Mosul in Iraq later in the day, Macron stressed the resolution would be passed by the two countries and expressed hope that it would be accepted by member nations favourably. “I cannot see who could oppose enabling the safety of humanitarian operations,” he further said.

    UN secretary-general Antonio Guterres is scheduled to meet the permanent representatives for the United Kingdom, the United States, France, China and Russia — the five permanent members of the UN Security Council — to discuss the worsening situation in Afghanistan. Meanwhile, earlier on Saturday, Macron had said that France had held preliminary discussions with the Taliban about the humanitarian situation. The talks also included possible evacuation of more people out of the country.

    “We have begun having discussions, which are very fragile and preliminary, with the Taliban on the issue of humanitarian operations and the ability to protect and repatriate Afghans who are at risk,” Reuters had reported on Saturday citing the French President.

    France ended its evacuation operations in Afghanistan on Friday, two weeks after the Taliban seized the capital city of Kabul. The US troops are scheduled to withdraw completely from the country by August 31, a deadline that has been agreed upon by the Taliban.

    Several other countries have also closed their evacuation operations as the last date nears. The UK pulled out the last of its troops from the war-torn nation early on Sunday despite a number of Afghans, eligible for repatriation, being left behind.

    https://www.hindustantimes.com/world-news/france-uk-to-propose-safe-zone-for-people-leaving-afghanistan-submit
    #Macron #UK #France #safe_zones

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    De zones sures, on en parlait en 2019 pour la #Syrie :

    Le plan de la Turquie est de créer dans le nord de la Syrie une vaste zone sécurisée pour renvoyer les réfugiés.

    https://seenthis.net/messages/805214

    En 2016 Merkel soutenait déjà la même idée de la Turquie :
    Turkey thanks Merkel for support of #safe_zones in Syria
    https://seenthis.net/messages/466387

    Mais on parlait aussi de leur inefficacité... comme l’ont démontré les exemples de l’#Irak et de la #Bosnie :
    Look back and learn : #Safe_zones in Iraq and Bosnia
    https://seenthis.net/messages/471070

    ping @isskein

  • La situation des femmes afghanes en quelques chiffres
    https://www.rfi.fr/fr/asie-pacifique/20210827-la-situation-des-femmes-afghanes-en-quelques-chiffres

    Très fortes inquiétudes pour le sort des femmes en #Afghanistan après la prise de #Kaboul par les talibans, le 15 août 2021. L’Émirat islamique d’Afghanistan, qui avait déjà contrôlé le pays et imposé une interprétation très rigoriste et violente de la charia entre 1996 et 2001, est de retour. Une situation particulièrement préoccupante pour les femmes, qui alarme toutes les institutions et organisations internationales. Retour sur la situation des femmes en Afghanistan en quelques chiffres.

    C’est dans les années 1960-1970 que les #femmes_afghanes ont connu une première période d’émancipation par rapport à un système traditionnel très archaïque qui les maintenait complètement sous la domination masculine. Mais les guerres et les conflits successifs vont compliquer cette émancipation. Ce sera d’abord l’intervention soviétique de 1978 à 1992, puis la guerre civile entre les différentes factions de 1992 à 1996 et ensuite la prise de pouvoir cette année-là par les #talibans. Ces derniers imposeront un régime très dur, surtout vis-à-vis des femmes qui perdent alors toute forme de liberté et de droits et se retrouvent totalement soumises à une vision archaïque et au pouvoir des hommes.

    L’intervention de l’Otan, en 2001, met un terme à l’occupation talibane, mais entraîne une guerre pour reprendre le territoire en engageant parallèlement diverses initiatives de développement qui permettent aux femmes de se libérer, d’accéder à l’éducation, à la santé, à la vie sociale et politique. Comme la population afghane est jeune en majorité, beaucoup de jeunes femmes ne connaissent que cette période et aspirent à plus d’autonomie et à une meilleure qualité de vie, surtout pour celles qui vivent dans les campagnes et qui sont encore en très grande difficulté, dépendant des hommes et des mariages forcés.

    Mais à partir de 2015, l’Otan, qui ne voit pas d’issue militaire au conflit, commence à se retirer progressivement. Des pourparlers sont engagés entre les Américains et les talibans et un plan de retrait total des forces étrangères est fixé à la fin août 2021. Le 15 août, les talibans rentrent dans Kaboul après avoir reconquis une grande partie du territoire face à une partie de la population totalement désespérée qui tente de s’enfuir. Les femmes afghanes sont totalement catastrophées et les institutions internationales s’alarment pour leur liberté dorénavant gravement menacée. L’Afghanistan étant plus que jamais le pays le plus dangereux au monde pour les femmes.

    • Femmes d’Afghanistan: Crystal Bayat, 24 ans, a défié les talibans
      https://www.rfi.fr/fr/podcasts/reportage-international/20210827-femmes-d-afghanistan-crystal-bayat-24-ans-a-d%C3%A9fi%C3%A9-les-taliban

      Crystal Bayat, jeune Afghane de 24 ans, a défié les talibans dans les jours qui ont suivi leur entrée dans Kaboul. Avec d’autres jeunes femmes, rejointes par des hommes, elle a marché dans les rues de Kaboul pour crier son amour pour la République afghane et pour exiger que les droits des femmes soient respectés. Crystal Bayat a fui l’Afghanistan il y a quelques jours. Rencontre.

      Crystal Bayat dans les rues de Kaboul entourée de combattants talibans. La vidéo a été virale sur les réseaux sociaux en Afghanistan.

      La jeune femme a défié les talibans en pleine rue, tendant au-dessus de sa tête le drapeau afghan vert noir et rouge… « Notre drapeau, notre identité », crie Crystal Bayat. À 24 ans elle est devenue une icône féministe dans son pays désormais aux mains des talibans.

      « Ils m’ont dit : tu dois rester chez toi. Parce qu’une femme bien reste à la maison et sort pas. J’ai répondu : ma mère sortait de la maison pour aller chaque jour travailler... Un homme a pris ma défense. Ils ont pointé une arme sur son épaule et l’ont repoussé. Ils ont pris son téléphone et l’ont cassé. C’était terrible pour moi... J’ai perdu tout espoir. Et j’ai eu comme un choc. J’ai réalisé que les talibans n’avaient pas changé. Qu’ils étaient les mêmes que ceux de 1996 ».

      Crystal Bayat était rentrée en Afghanistan l’année dernière après des études à l’étranger, pleine d’espoir pour l’avenir.

      « Je venais d’ouvrir ma boîte de logistique et j’espérais que l’on ne baisserait jamais les bras et que l’on ne permettrait jamais aux talibans de revenir sauf s’ils changeaient. En un jour, tous les rêves des femmes, des hommes et des femmes, sont morts.

      La vie des femmes maintenant est comme celle d’un oiseau que l’on a mis en cage. Elles sont en prison maintenant. C’est la pire des choses pour les afghanes. Elles n’ont jamais pensé que cela pouvait arriver ».

      La jeune femme raconte, désespérée, le changement radical qui s’est déjà opéré pour les femmes en Afghanistan. Qui ne peuvent plus par exemple aller travailler.

      « Dans ces conditions il n’y a pas d’espoir pour l’avenir de l’Afghanistan. Mais je vais me battre, je vais faire de mon mieux jusqu’à mon dernier souffle pour les femmes en Afghanistan. Nous ne sommes pas les femmes des années 90. Ils doivent changer leur mentalité. Nous ne baisserons pas les bras ».

      Ce combat Crystal Bayat le mènera depuis l’étranger. Elle a quitté l’Afghanistan, après avoir reçu de nombreuses menaces.

    • En Afghanistan, la gouverneure Salima Mazari veut arrêter l’avancée des talibans
      https://information.tv5monde.com/terriennes/en-afghanistan-la-gouverneure-salima-mazari-veut-arreter-l-ava

      Salima Mazari est l’une des rares femmes gouverneures de district en Afghanistan. Alors que les troupes étrangères se retirent et que les talibans ont entamé une avancée qui semble inexorable, elle recrute des miliciens pour contrer leur offensive. Elle sait qu’une fois revenus au pouvoir, ils « interdiront aux femmes toute opportunité ».

      Afghanistan. Entre la peste des talibans et le choléra de la guerre civile
      https://orientxxi.info/magazine/afghanistan-entre-la-peste-des-talibans-et-le-cholera-de-la-guerre-civil

      Depuis l’accélération du retrait de l’armée américaine, les talibans semblent en passe de vaincre militairement en Afghanistan. Face à cette offensive, l’impuissance de l’armée afghane a poussé les seigneurs de la guerre, qui s’étaient fortement réarmés ces derniers mois, à entrer dans la bataille.

    • Aides à l’effort de guerre, militaires, résistantes ou victimes, les femmes sont souvent oubliées sur le champ de bataille, alors qu’elles sont pourtant en première ligne : abus, viols, violences, tortures, migrations, insécurité sanitaire... De 75 % à 90 % des populations migratoires en période de conflits armés sont constituées de femmes et d’enfants. Afin de mettre en lumière les violences auxquelles les femmes sont confrontées pendant les guerres, l’ONU a d’ailleurs proclamé le 19 juin « Journée internationale pour l’élimination de la violence sexuelle en temps de conflit ».
      https://information.tv5monde.com/terriennes/hub/femmes-guerres

  • Homegrown app helping Kabul residents steer clear of danger

    #Ehtesab tracks turbulence on the ground and sends users alerts on which areas to avoid.

    As Kabul fell on Sunday, 20 young Afghan tech workers tracked the Taliban’s advance, broadcasting real-time reports of gunfire, explosions and traffic jams across the city through a new app.

    Called Ehtesab, the app relies on ground-level reports from a vetted team of users to a private WhatsApp group.

    The reports, which are then verified by the app’s fact checkers, range from security incidents, such as fires, gunshots and bombings, to road closures and traffic problems to electricity cuts. Sara Wahedi, the 26-year-old founder of the app, said the team tried to confirm the reports with the interior ministry, “when it used to exist”.

    On Sunday morning, Wahedi and her team were supposed to be uploading the new version of their iOS app but instead found themselves dealing with an ever more frantic stream of reports.

    “Breaking on the @ehtesabaf App: Taliban have entered Arghandi, Paghman District. South Gate of Kabul. ANDSF [Afghan National Defence and Security Forces] under attack,” Wahedi wrote on Twitter at the time.

    She said that as the Taliban advanced across Afghanistan, Ehtesab had built a reliable way of “getting reports from a lot of different security structures”, including police, the government and international organisations.

    Soon the team started receiving reports that the Taliban had captured Bagram prison, in the former US military base just north of Kabul.

    “At that point our reporting mechanisms were still in place, so it was easy to converse with our security team and all our reporters. We were monitoring minute by minute, talking to different police districts, tracking the Taliban kilometre by kilometre by that point,” she said.

    “But by the time they reached the city centre, everything shut down, nothing was online, there was no way of speaking to each other. People deleted their messages or turned off their phones. When the Taliban reached the president’s office, it was like, ‘OK, now we have to work alone’.”

    Ehtesab, which means “accountability” in Pashto and Dari, is co-owned by Afghan company #Netlinks, which invested $40,000, and #Wahedi, who said she has put in $2,500 of her own money.

    “I didn’t want to register as an NGO, to be benchmarked or limited by the United Nations or the United States. This is an Afghan-led and funded, fully 100 per cent Afghan team working on this,” she said.

    Users of the app can opt to receive phone alerts based on their location, warning them to avoid certain areas, buildings or businesses. They can also report incidents themselves via the app, which turns on your camera and microphone so you can send video footage to Wahedi’s team. The goal, she said, is to empower local communities with live information on which to act.

    Ehtesab is still running, and Wahedi said she want to keep operating it as long as possible, although she is currently outside Afghanistan. She has managed to raise nearly $15,000 through a GoFundMe campaign, part of which she will send to her team in Kabul as emergency funds.

    Her plan is to build a nationwide alert system, not just through the apps but through SMS warnings as well. Their office in central Kabul remains closed, with employees working from home, but they plan to upload a new iOS version as soon as they can get back to their desks.

    “We just want to alleviate some of the anxieties that Afghans have in these uncertain and volatile times,” she said. “We will find different ways of garnering data about the city and security . . . That’s the beauty of tech, it knows no borders,” she said.

    Wahedi founded the company in 2018, after spending two years working for President Ashraf Ghani’s office on Afghanistan’s social development policy, but insists she is not affiliated to any political group.

    She had moved back to her hometown as a 21-year-old, after having escaped Taliban rule in her native Kabul to go to Canada as a refugee at the age of six. Two decades later, the Afghan entrepreneur found herself fleeing from the Taliban again. This time she does not know if she will ever be able to return. “It’s like Groundhog Day,” she said.

    Today, she is using what she calls the “privilege” of having escaped Kabul to try to put her friends and family on charter flights out of Afghanistan.

    “I’m grateful to be with my mom but the guilt is crippling when I think about my home, when I think about the fact I’ll never be able to go back to the Kabul I’ve known for so long,” she said. “I don’t think any of us will ever be the same again.”

    https://www.ft.com/content/972ad8e2-54a5-4300-a317-56cc2612bfef

    #Kaboul #cartographie #sécurité #cartographie #alertes #app #cartographie_participative #smartphone

  • La Turquie au centre des questions migratoires

    Le plan de la Turquie est de créer dans le nord de la Syrie une vaste zone sécurisée pour renvoyer les réfugiés. Mais au-delà des obstacles politiques et militaires, un tel projet coûterait des milliards d’euros. Ankara fait donc pression sur les Européens pour qu’ils mettent la main au porte-monnaie.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/19897/la-turquie-au-centre-des-questions-migratoires?ref=tw_i

    #safe_zones #zones_sures #réfugiés #réfugiés_syriens #Turquie #Syrie #renvois #expulsions #retour_au_pays #safe_zone #zone_sure

    ping @isskein

    • De zones sures, on en parlait déjà en 2016 :
      Turkey thanks Merkel for support of #safe_zones in Syria
      https://seenthis.net/messages/466387

      Mais on parlait aussi de leur inefficacité... comme l’ont démontré les exemples de l’#Irak et de la #Bosnie :
      Look back and learn : #Safe_zones in Iraq and Bosnia
      https://seenthis.net/messages/471070

      2021, #Kaboul, #Afghanistan :
      France, UK to propose safe zone for people leaving #Afghanistan, submit resolution at UN meeting : Emmanuel #Macron
      https://seenthis.net/messages/927759

    • La Turquie veut-elle rapatrier deux millions de réfugiés au Nord de la Syrie ?

      À plusieurs reprises, le président turc Recep Tayyip Erdogan a fait part de son souhait d’établir une zone de sûreté dans le Nord-Est du pays pour y réinstaller entre un et trois million de réfugiés syriens.

      Bonjour,

      Lors de son discours à la tribune des Nations Unies, le 24 septembre 2019, le président turc Recep Tayyip Erdogan a évoqué son plan pour l’établissement d’« un corridor de paix d’une profondeur de 30 kilomètres et d’une longueur de 480 kilomètres » dans le Nord-Est de la Syrie, où il souhaite « permettre l’installation de 2 millions de Syriens avec l’appui de la communauté internationale ». L’idée d’une zone de sûreté n’est pas neuve puisqu’elle est discutée entre la Turquie et les Etats-Unis depuis le mois de janvier 2019. Les 13 et 14 janvier, le président Donald Trump avait déjà twitté qu’il souhaitait créer une « safe zone de 20 miles », soit un peu plus de 30 kilomètres. Début août, les médias turcs et américains, comme le Washington Post, rapportaient deux pays ont convenu de coopérer à la création d’une « zone sûre » dans le nord de la Syrie.
      Erdogan souhaite rapatrier entre 1 et 3 millions de réfugiés syriens dans une « zone de sûreté » au Nord-Est de la Syrie

      Lors de son intervention à l’ONU (à partir de 15 minutes et 33 secondes dans la vidéo suivante, en anglais), ainsi que quelques jours plus tôt en Turquie, le président Erdogan a accentué sa volonté de mettre en place une telle zone de sécurité, en avançant qu’elle pourrait permettre la relocalisation d’un à trois millions de réfugiés syriens, selon la taille de la zone. Ainsi à New York, le chef d’État turc a exposé une carte, où l’on distingue la zone de sûreté planifiée, tout en détaillant : « Si cette zone de sûreté peut être déclarée, nous pouvons réinstaller en toute confiance entre 1 et 2 millions de réfugiés […] Les réfugiés peuvent être réinstallés en les sauvant de camps de tentes ou de camps de conteneurs. Nous pouvons prendre ensemble [avec les États-Unis, les forces de la coalition, la Russie et l’Iran] les mesures qui s’imposent pour aller de l’avant. Ce n’est pas un fardeau que nous pouvons supporter exclusivement en tant que République de Turquie. Nous devons prendre les mesures nécessaires dès que possible. Si nous pouvions étendre la profondeur de cette région jusqu’à la ligne Deir Ez-Zor, Raqqa, nous pourrions augmenter le nombre de Syriens jusqu’à 3 millions qui reviendront de Turquie, d’Europe et d’autres parties du monde vers leur patrie. Nous sommes très résolus dans la réalisation de ce programme et nous sommes impliqués dans les préparatifs nécessaires ».
      https://www.youtube.com/watch?v=Bve1yt0SEb4

      Selon les données du Haut-commissariat aux réfugiés des nations unies, plus de 3,6 millions de réfugiés syriens vivent actuellement en Turquie. Selon une étude préliminaire pour l’installation 1 million de réfugiés dans la zone tampon, qui a été partagée par Ankara avec d’autres pays lors du sommet de l’ONU en septembre et que le site américain Bloomberg a pu consulter, la Turquie souhaite construire des villages et des villes pour les réfugiés pour un coût estimé d’environ 26 milliards de dollars, qui seraient réglés par la communauté internationale.

      Cependant, la zone de sûreté souhaitée par Ankara et convenue avec Washington tarde à se concrétiser rapidement, puisqu’une telle aire nécessiterait de repousser vers le Sud les forces kurdes de l’YPG, alliées des Américains. Mercredi 2 octobre, d’Hulusi Akar, le ministre de la défense turque, faisant part de l’impatience d’Ankara, a déclaré que le « but ultime [de la Turquie] est de mettre fin à la présence terroriste du PKK, du PYD de l’YPG dans le nord de la Syrie, d’établir un corridor de paix et de faire en sorte que nos frères et sœurs syriens dans notre pays rentrent chez eux. »
      La position du Quai d’Orsay

      Contactée par CheckNews pour connaître la position de la France sur cette « zone de sûreté » souhaitée par la Turquie, une source diplomatique française au Quai d’Orsay répond que « des discussions sont en cours entre les États-Unis et la Turquie pour établir un mécanisme de sécurité frontalière. Nous souhaitons que ces discussions permettent d’apaiser les tensions sur la frontière syro-turque et d’éviter toute action unilatérale. Le retour des réfugiés syriens doit être sûr, digne et volontaire, conformément au droit international. Comme exprimé dans la déclaration conjointe des ministres des affaires étrangères du Small Group sur la Syrie du 26 septembre dernier, nous saluons les efforts remarquables des voisins de la Syrie qui accueillent sur leurs territoires la grande majorité des réfugiés syriens. Nous encourageons la communauté internationale à apporter une assistance humanitaire ainsi qu’un soutien financier à ces pays afin d’apporter une réponse collective à la crise des réfugiés syriens, jusqu’à ce que ces derniers puissent revenir volontairement dans leurs régions d’origine, dans la dignité et en sécurité. La France continuera d’œuvrer pour une solution politique crédible en Syrie, conforme à la résolution 2254 du Conseil de sécurité des Nations unies, pour que les conditions d’un tel retour soient réunies. »

      https://www.liberation.fr/checknews/2019/10/06/la-turquie-veut-elle-rapatrier-deux-millions-de-refugies-au-nord-de-la-sy

    • Turquie : Expulsion de Syriens vers leur pays en dépit des dangers

      Les autorités ont menacé, détenu et parfois battu des réfugiés syriens avant de les contraindre à retourner dans leur pays.

      Les autorités turques à Istanbul et à Antakya ont arbitrairement expulsé des dizaines de réfugiés syriens ou plus vers le nord de la Syrie entre janvier et septembre 2019, en dépit des combats qui se poursuivent dans ce pays, a déclaré Human Rights Watch aujourd’hui. Les Syriens expulsés ont déclaré que les autorités turques les avaient forcés à signer des formulaires qu’ils n’étaient pas autorisés à lire, et dans certains cas les ont parfois battus ou menacés, avant de les expulser vers la Syrie.

      Fin juillet, le ministre turc de l’Intérieur, Süleyman Soylu, avait nié que la Turquie ait « déporté » des Syriens, mais avait ajouté que toute personne qui le souhaitait pouvait « volontairement » rentrer en Syrie en bénéficiant de procédures lui permettant de retourner dans des « zones de sécurité » non spécifiées. Toutefois, les recherches de Human Rights Watch indiquent que la Turquie a illégalement expulsé des Syriens vers le gouvernorat d’Idlib, l’une des régions les plus dangereuses de Syrie. Les attaques de l’alliance militaire syro-russe ont tué au moins 1 089 civils dans cette région depuis le mois d’avril, selon l’ONU, y compris au moins 20 personnes lors d’une frappe aérienne menée le 16 août.

      « Les responsables turcs affirment que tous les Syriens qui rentrent dans leur pays sont heureux de le faire, mais ceci ne correspond pas à la réalité sur le terrain », a déclaré Gerry Simpson, directeur adjoint de la division Crises et Conflits à Human Rights Watch. « La Turquie a accueilli un nombre quatre fois plus élevé de Syriens que l’Union européenne, mais ne devrait toutefois pas les renvoyer vers une zone de guerre. »

      La Turquie est un État partie au Pacte international relatif aux droits civils et politiques et à la Convention européenne des droits de l’homme, qui interdisent les arrestations ou détentions arbitraires.

      La Turquie est également tenue de respecter le droit coutumier international du non-refoulement, qui interdit l’expulsion de personnes vers un pays où elles seraient exposées au risque de persécution, de torture ou d’autres mauvais traitements, ou de menace à leur vie.

      Communiqué complet en anglais :

      www.hrw.org/news/2019/10/25/turkey-syrians-being-deported-danger

      https://www.hrw.org/fr/news/2019/10/25/turquie-expulsion-de-syriens-vers-leur-pays-en-depit-des-dangers

    • Unbearable to hear Erdogan talking about « resettlement » syrians in zones they « cleared » in Syria and plea to all to help TK in this task. This has nothing to do with resettlement. It is returns to unsafe country in an area invaded by turkey where killings of Kurds occurred.

      source :
      https://twitter.com/AmandineBach/status/1206885923402780672

      –-> déclarations de Erdogan lors du Global Refugee Forum à Genève, décembre 2019 : https://www.unhcr.org/global-refugee-forum.html

    • Réfugiés syriens : non, il n’est pas encore temps de rentrer

      Les récents combats dans la province d’Idlib ont remis un coup de projecteur sur le calvaire des civils syriens. Neuf ans après le début de la guerre, on estime à plus de 6,6 millions le nombre de personnes déplacées à l’intérieur de la Syrie et à 5,6 millions celui des réfugiés syriens dans le monde. Autant d’exilés que d’aucuns aimeraient voir retourner dans leur foyer… L’activiste syro-britannique Leila al-Shami alerte ici sur le danger de la politique du retour dans un pays où la répression et la brutalité du régime n’ont jamais cessé.

      « Personne ne quitte son domicile volontairement, à moins que sa maison soit la bouche d’un requin. »
      (Warsan Shire, poétesse britannico-somalienne)

      *

      La traversée de Méditerranée est périlleuse. Rien qu’en 2018, 2 277 personnes sont ainsi mortes en tentant de rejoindre l’Europe [2].

      Ceux qui ont survécu au voyage ont dû faire face à un accueil mitigé. D’une part, l’afflux de réfugiés et de migrants en Europe (ainsi que dans d’autres pays du monde) offre des boucs émissaires parfaits aux classes dirigeantes incapables de régler leurs problèmes internes, tout en alimentant un climat de xénophobie et des sentiments nationalistes croissants. D’autre part, il existe des élans de solidarité, qui vont de l’organisation d’un accueil effectif aux manifestations scandant « Refugees welcome ». Ces efforts vitaux méritent d’être poursuivis. Mais la solidarité qui ne commence qu’aux frontières de l’Europe a ceci de problématique qu’elle ne se penche pas sur les raisons principales qui poussent les demandeurs d’asile à fuir leur pays.
      La moitié de la population syrienne chassée de chez elle

      Depuis 2011, date à laquelle l’État syrien a commencé sa guerre contre un soulèvement pro-démocratique, plus de la moitié de la population a été chassée de chez elle. Même si d’autres acteurs du conflit, parasites djihadistes ou forces d’opposition, ont eux aussi provoqué des déplacements, la responsabilité principale revient à la violence de l’État et de ses bailleurs de fonds étrangers [Russie, Iran, Hezbollah libanais [3] ]. Le régime a eu recours à d’incessants bombardements aériens des villes et à des arrestations massives d’opposants. De nombreux observateurs évoquent le chiffre d’un demi-million de morts [4] (selon un bilan qui date de plus de deux ans). Avec 27 % des logements et deux tiers des établissements scolaires et médicaux endommagés ou détruits, le pays est un champ de ruines. L’effondrement des services publics et de l’économie, qui ont plongé près de 80 % de la population dans la pauvreté, sont d’autres causes évidentes de déplacement.

      En dépit d’un consensus mondial croissant sur le fait que la guerre semble toucher à sa fin, les Syriens continuent de s’exiler pour sauver leur vie. Depuis décembre 2019, près d’un million de personnes [80 % sont des femmes et des enfants] ont fui la province d’Idlib face aux assauts incessants du régime et de la Russie pour reprendre l’enclave rebelle. Peu de possibilités de secours leur étaient offertes, car la frontière syro-turque est fermée. Ces réfugiés s’entassent donc dans des camps insalubres ou dorment en plein air. Avec l’inexistence des soins, une éventuelle propagation du coronavirus parmi les populations déplacées pourrait avoir des conséquences dévastatrices.
      Entre « crise » et arme migratoire

      Bien qu’en Europe, on évoque sans cesse la « crise migratoire », seuls 11,6 % des déplacés syriens se sont réfugiés sur le Vieux Continent. La plupart demeurent dans la région, accueillis en premier lieu dans les pays limitrophes, où ils sont de plus en plus considérés comme un problème. En Turquie, qui accueille plus de 3,6 millions de Syriens sur son sol (plus que tout autre pays), l’incitation au renvoi des immigrés a constitué un argument-clé lors des élections municipales de 2019. Sur les médias sociaux, des campagnes de désinformation ont répandu la haine et la division, provoquant rassemblements anti-syriens et attaques contre leurs commerces. En juillet dernier, des milliers de réfugiés syriens, légaux ou illégaux, dont des enfants, ont été arrêtés dans tout le pays – à Istanbul en particulier, la rafle a été massive. Ces exilés ont été contraints de signer des formulaires de rapatriement « volontaire » puis ont été expulsés vers le nord de la Syrie.

      Ces derniers mois, la Turquie a utilisé les réfugiés comme une arme, arguant du fait que l’Union européenne (UE) n’avait pas versé l’intégralité des paiements convenus pour les maintenir sur son territoire. Les autorités ont incité des milliers de personnes [majoritairement des Afghans, mais aussi des Irakiens, des Syriens, des Somaliens, etc.] à traverser sa frontière avec la Grèce, les plaçant dans une situation d’extrême précarité puisque la frontière était bouclée du côté grec. Amassés le long des barbelés, des réfugiés ont été maltraités par les gardes-frontières grecs, aspergés par des canons à eau et des gaz lacrymogènes [5]. L’UE a multiplié les réunions d’urgence pour faire face à cette « crise » et envisager de répondre aux demandes de la Turquie. C’est la menace de voir s’échouer sur les côtes européennes des milliers de cadavres basanés qui l’a poussée à « agir » – ce que les images quotidiennes d’enfants syriens pris au piège sous les décombres de leurs maisons détruites et les cris angoissés de leurs parents n’ont jamais réussi à faire.

      Parallèlement, l’hostilité grandit envers les réfugiés au Liban, où ils constituent aujourd’hui un tiers de la population, la plupart d’entre eux se trouvant dans une situation précaire sans résidence légale. Un décret gouvernemental a donné la priorité à l’emploi aux travailleurs libanais, ce qui a conduit au licenciement de nombreux Syriens. Les incitations au racisme se sont multipliées de la part de politiciens de premier plan qui décrivent les réfugiés comme une menace existentielle pour la stabilité et la prospérité du Liban et appellent à leur retour en Syrie, arguant que le pays est désormais « sûr ». Les camps de réfugiés ont fait l’objet de rafles. Manière de pousser les Syriens à rentrer chez eux… Selon Human Rights Watch, au Liban aussi des formulaires de rapatriement « volontaire » ont été utilisés pour mener des expulsions expéditives.
      Le mensonge d’un pays sûr et stable

      L’idée que la guerre touche à sa fin et que la Syrie est désormais un endroit « sûr » est une petite musique qui monte en puissance à mesure que l’empathie pour les souffrances des Syriens s’amenuise. L’un des principaux promoteurs de ce récit est le régime lui-même. En septembre 2018, le vice-premier ministre Walid Al-Mouallem a déclaré devant l’Assemblée générale des Nations unies que la « guerre contre le terrorisme » était « presque terminée », que la Syrie était « devenue plus sûre et plus stable » et que « les portes étaient ouvertes à tous les réfugiés syriens pour qu’ils rentrent volontairement et en toute sécurité ».

      Le régime utilise la question du retour comme un levier par lequel il espère obtenir des fonds pour la reconstruction du pays. Mais cet argent sera détourné par le régime pour « financer ses atrocités, œuvrer pour son propre intérêt, réprimer ceux qui sont perçus comme des opposants et profiter à ceux qui lui sont fidèles », s’alarme Human Rights Watch. En Europe, des groupes d’extrême droite ont également relayé le récit du retour post-guerre en toute sécurité. Après leurs visites à Damas, des politiciens allemands de l’AfD et des militants de la mouvance identitaire ont appelé au rapatriement des réfugiés syriens.
      Résister aux appels au retour

      Il faut résister à ces appels au retour. D’ores et déjà, des exilés sont contraints de rentrer en raison de la précarité et de l’hostilité qu’ils rencontrent dans les pays d’accueil ; dès leur arrivée en Syrie, certains sont enlevés de force par les services de sécurité. Le Réseau syrien des droits de l’homme (SNHR) rapporte qu’entre début 2014 et août 2019, 1 916 réfugiés, dont 219 enfants, ont été arrêtés à leur retour au pays. Parmi eux, on compte 638 disparus et 15 morts sous la torture.

      Par ailleurs, la guerre fait toujours rage dans certaines parties du pays et même celles qui ne subissent plus de bombardements quotidiens sont loin d’être « sûres et stables ».

      Une autre ONG, la Syrian Association for Citizens Dignity, a examiné la situation dans les zones anciennement tenues par l’opposition, mais repassées sous le contrôle du régime après des bombardements aveugles et une guerre de siège. Des « accords de réconciliation » avaient été conclus dans la plupart des cas sous les auspices de la Russie : les personnes affiliées à l’opposition se voyaient garantir la protection de leurs droits, pendant au moins six mois, y compris contre la persécution, et étaient exemptées d’enrôlement au sein des forces du régime.

      Ces garanties n’ont pas été respectées. De nombreux jeunes ont été incorporés de force dans les milices pro-Bachar et envoyés comme chair à canon sur les lignes de front, où ils ont été amenés à se battre contre d’anciens camarades. Les réfractaires ont été arrêtés, ont disparu ou ont été tués par les services de sécurité. Dans le viseur du régime : les membres de l’opposition armée et politique et leurs familles, les media activists et les travailleurs humanitaires [6].
      S’attaquer aux causes profondes

      Si l’UE considère toujours officiellement que la Syrie reste un pays peu sûr pour le retour des réfugiés, le climat européen se fait de plus en plus délétère pour ces derniers, comme pour les autres migrants. Les pays de l’Union ont mis en place des contrôles frontaliers plus stricts et des systèmes de quotas. Ils ont mis fin à leurs opérations de sauvetage en mer et tendent à criminaliser la solidarité. Les groupes d’extrême droite gagnent en puissance, cherchant à diaboliser les migrants comme une menace existentielle pour les Européens (blancs). Il est vital de continuer à résister à ces phénomènes afin que ceux qui fuient la guerre, la persécution et la pauvreté bénéficient d’un refuge et d’un soutien pour reconstruire leur vie dès leur arrivée en Europe.

      Alors que leur nombre reste relativement faible aujourd’hui, les réfugiés servent déjà de prétexte pour restreindre la liberté d’aller et venir, construire des murs et des frontières impénétrables, accroître les dispositifs sécuritaires de l’État et exploiter des divisions fondées sur la race, la religion ou l’origine nationale. Que se passera-t-il demain lorsque les effets du changement climatique et de l’effondrement écologique provoqueront de vastes mouvements de population à travers le monde ?

      La solidarité doit aussi s’attaquer aux causes profondes. Une pression accrue doit être exercée sur le régime syrien pour qu’il mette fin aux violations systématiques des droits humains, notamment les détentions arbitraires et le bombardement permanent des populations et des infrastructures civiles. Tous ceux qui ont commis des crimes de guerre doivent être mis face à leurs responsabilités. Il faut s’opposer aux appels au rapatriement des réfugiés, à moins qu’ils ne soient vraiment volontaires, sûrs et dignes – et contrôlés par des acteurs indépendants.

      Un moyen concret de solidarité est de soutenir les organisations de la société civile syrienne, qui tentent collectivement de mettre en lumière les souffrances de ceux qui ont été déplacés de force de leurs maisons. C’est l’objectif de la campagne intitulée #HalfofSyria [7], qui documente l’expérience du déplacement et les raisons pour lesquelles les Syriens craignent toujours de rentrer chez eux. Car au bout du compte, l’équation est simple : tant que les gens ne seront pas protégés des massacres dans leur propre pays, ils continueront à chercher la sécurité à l’étranger.

      http://cqfd-journal.org/Refugies-syriens-non-il-n-est-pas

      via @cqfd

  • ’Inhumane’ Frontex forced returns going unreported

    On a late evening August flight last year from Munich to Afghanistan, an Afghan man seated in the back of the plane struggled to breath as a German escort officer repeatedly squeezed his testicles.

    The man, along with another Afghan who had tried to kill himself, was being forcibly removed from Germany and sent back to a country engulfed in war.

    The EU’s border agency Frontex coordinated and helped pay for the forced return operation, as part of a broader bid to remove from Europe unwanted migrants and others whose applications for international protection had been rejected.

    By then, almost 20 years of war and civil conflict had already ravaged Afghanistan - with 2018 registering its worst-ever civilian death rate since counting had started.

    Also seated on the plane for the 14 August flight were independent observers of the anti-torture committee (CPT) of the human rights watchdog, the Strasbourg-based Council of Europe.

    In a report, they describe in detail how six escort officers had surrounded the terrified man in an effort to calm him.

    The ’calming’ techniques involved an officer pulling the man’s neck from behind while yanking his nose upwards.

    His hands and legs had been cuffed and a helmet placed on him. Another knelt on the man’s knees and upper legs, using his full weight to keep him seated.

    After 15 minutes, the kneeling officer “then gripped the returnee’s genitals with his left hand and repeatedly squeezed them for prolonged periods.”

    Another 503 have been sent to Afghanistan in flights coordinated by Frontex since the start of this year.

    Vicki Aken, the International Rescue Committee’s Afghanistan country director, says those returned are invariably put in harm’s way.

    “You cannot say that Kabul is ’conflict-free’. Kabul is actually one of the most dangerous places in Afghanistan,” she said, noting Afghanistan has the highest number of child casualties in the world.

    The day after the Munich flight landed on 14 August 2018, a blast ripped through a high school in the capital city, Kabul, killing 48 people, including over 30 students.
    Accountability

    The flight journey from Munich highlights a stunning omission from Frontex responsibilities - adding to concerns the EU agency is failing to maintain standards when it comes to coordinating forced-returns in a humane manner.

    For one, all return operations must be monitored in accordance with EU law, and a forced-return monitor is required to deliver a report to Frontex and to all the member states involved.

    Such reports, handed over to Frontex’s executive director, are supposed to act as an internal check and balance to stem alleged abuse by escort guards in a system that has been in place since the start of 2017.

    These monitors come from a “pool of forced-return monitors”, as required under the 2016 European Border and Coast Guard Regulation and the 2008 Return Directive, and are broadly sourced from the member states themselves.

    The CPT in their report noted that the flight on 14 August 2018 had also been monitored by Frontex staff itself, and concluded that its “current arrangements cannot be considered as an independent external monitoring mechanism”.

    When the agency compiled its own internal report spanning the latter half of 2018, which included the 14 August flight, no mention was made of the Afghan man who had been manhandled by six officers.

    Asked to explain, the Warsaw-based agency whose annual budget for 2020 is set to increase to €420.6m, has yet to respond to Euobserver.

    Instead, the report, which had been written up by Frontex’s fundamental rights officer, highlighted other issues.

    It demanded escorts not place restraints on children. It said minors who are alone cannot be sent back on a forced-return flight, which is exactly what had happened on two other operations.

    No one on the 14 August flight had issued a “serious incident report” label, used by Frontex whenever a particularly bad incident has been deemed to have transpired.

    During 2018 Frontex coordinated and helped fund 345 such return operations, by charter flights during which only one “serious incident report” was filed - posing questions on the reliability and independence of the monitors and return escorts, as well as the sincerity of internal Frontex efforts to stem any abuse.

    The accountability gap was highlighted by the outgoing head of the Council of Europe, Thorbjorn Jagland, who in his farewell speech earlier this month, deliberately singled out Frontex.

    “Frontex is bound by EU laws that prohibit torture and any form of inhuman or degrading treatment or punishment,” he said, in reference to reports of alleged human rights violations that occurred during Frontex support operations observed since mid-2018.
    Monitoring the monitors

    For Markus Jaeger, a Council of Europe official who advises the Frontex management board, the agency’s monitoring system for forced return is meaningless.

    “The internal system of Frontex produces close to nil reports on serious incidents, in other words, the internal system of Frontex, says there is never a human rights incident,” he told EUobserver, earlier this month.

    He said Frontex’s pool of 71 monitors is overstretched and that in some cases, only one is available for a flight that might have 150 people being returned.

    “One monitor doesn’t suffice,” he said, noting Frontex has been able to delegate any blame onto member states, by positioning itself merely as a coordinator.

    But as Frontex expands - with the ability to lease planes, pilots and staff - its direct involvement with the returns also increases and so does its accountability, says Jaeger.

    “The [return] figures are supposedly going up, the capacity is supposedly going up, the procedures are being shortened, and deportations are going to happen by deployed guest officers and or by Frontex officers and so the independence of the monitors is crucial,” he pointed out.

    For its part, the European Commission says Frontex’s pool of monitors is set to expand.
    Nafplion Group

    Jaeger, along with other national authorities from a handful of member states, which already contribute to Frontex’s pool of monitors, are now putting together a new group to keep the forced-returns organised by Frontex better in check.

    Known as the Nafplion Group, and set up as a pilot project last October by the Greek ombudsman, it describes itself as a “remedy to the absence of an external, independent governance of the pool of forced-return monitors” in Frontex forced-return flights.

    The plan is to get it up and running before the end of the year, despite having no guarantee they will ever be selected by Frontex to help monitor a forced-return flight.

    “This is how de facto the Nafplion Group can be avoided,” said Jaeger, noting that they plan to go public should they not be picked.

    Asked to comment, the European Commission says it is not in discussions with any institutions on the establishment of a new, parallel monitoring system.

    https://euobserver.com/migration/146090
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    • Germany: Visit 2018 (return flight)

      CPT/Inf (2019) 14 | Section: 12/18 | Date: 03/12/2018

      A. The removal operation: preparation, execution and handover / 5. Use of force and means of restraint

      50.The use of force and means of restraint in the context of pick-up and transport of irregular migrants by the different Länder police authorities is regulated in the respective Länder police legislation.[1] In the context of the transfer to the airport, most of the returnees were not subjected to any means of restraint. However, a number of returnees were restrained (handcuffed, hand- and foot-cuffed, or even body-cuffed) during their transfer and upon arrival at Terminal F. The use of means of restraint was based on an individual risk assessment.

      51.During the different stages in the preparation of the removal operation by air from a German airport as well as on board a stationary aircraft on German territory, the use of force and means of restraint falls under the jurisdiction of the Federal Police. In-flight, the aircraft commander[2] is – with the assistance of the Federal Police[3] – entitled to apply the necessary preventive and coercive measures to ensure flight security. In particular, means of restraint can be applied if there is a risk that the returnee might attack law enforcement officers or a third party, or if he/she resists.[4]

      The internal instruction of the Federal Police contains detailed provisions on the use of force and means of restraint. In particular, coercive measures are only applied based both on an individual risk assessment and on the returnee’s conduct. Further, the principle of proportionality must be observed. During removal operations, the following means of restraint may be applied: steel, plastic or Velcro hand- and foot-cuffs as well as body-cuffs and head- (i.e. a helmet) and bite-protective devices; the last three means of restraint may only be applied by specially trained police officers and precise instructions have to be followed. Every application of use of force or means of restraint is documented. Further, according to another internal instruction and the operational instructions for this return operation, other weapons (i.e. firearms, tear gas, batons) are prohibited.

      This approach is in line with the means of restraint agreed upon with the European Border and Coast Guard Agency (Frontex), as specified in the implementation plan and its Annex I (operational overview). The implementation plan also underlines that the “use of force is always a last resort and must be the minimum level required to achieve the legitimate objective”.

      Moreover, the internal instruction explicitly mentions by way of clear guidelines the risks related to the use of force and/or means of restraint capable of causing positional asphyxia, including a detailed list of possible related symptoms, and prohibits the use of means likely to obstruct the airways as well as “techniques directed against the person’s neck or mouth”. Further, the forced administration of medication (i.e. sedatives or tranquilisers) as a means of chemical restraint to facilitate removal is strictly forbidden. Such an approach fully reflects the Committee’s position on this issue.

      52.According to information provided by letter of 18 October 2018, the German authorities, in the context of return operations, applied means of restraint 1,098 times for a total of 21,904 foreign nationals returned in 2017, and 673 times for a total of 14,465 persons returned in the period between January and August 2018.

      53.In the course of the return flight on 14 August 2018, coercive measures were applied by the Federal Police to two returnees who attempted to forcefully resist their return.

      One returnee, who had previously attempted to commit suicide and to resist his transfer by the Länder police authorities (see paragraph 28), became agitated during the full-body search in the airport terminal, when Federal Police officers attempted to remove his body-cuff in order to replace it with a more appropriate model (i.e. with Velcro straps rather than metal handcuffs). Further, the wounds on his left forearm had re-opened, requiring the medical doctor to dress them. The returnee was temporarily segregated from other returnees and embarked separately, during which resort to physical force was required to take him inside the aircraft.

      Once seated in the rear of the aircraft (surrounded by five escort officers seated on either side of him, in front and behind), he continued resisting, including by banging his head against the seat, and two of the escorts had to stand up to contain him manually during take-off. Apart from two further minor episodes of agitation, he calmed down as the flight progressed. However, at the moment of handover, he resisted being removed from the aircraft. Consequently, he was immobilised and carried out of the aircraft by a team of up to seven escort officers. Once on the tarmac, he was placed in a separate police vehicle, his body-cuff was removed, and he was handed over to three Afghan police officers, one of whom filmed his handover.

      54.The second returnee complied with the embarkation procedure until the moment when he was seated in the aircraft, at which point he became agitated, started shouting and hitting out in all directions, and attempted to stand up. The two escorts seated on either side of him attempted to keep him seated by holding his arms; they were supported by a back-up team of four escorts, three of whom took up positions behind his seat. One of these escort officers put his arm around the returnee’s neck from behind and used his other hand to pull the returnee’s nose upwards thus enabling his colleague to insert a bite protection into the returnee’s mouth.

      The reaction of the returnee was to increase his resistance, and a second escort officer from the back-up team intervened pulling the returnee’s head down onto an adjacent seat and placing his knee on the returnee’s head in order to exert pressure and gain compliance while the returnee’s hands were tied behind his back with a Velcro strap. Another escort officer applied pressure with his thumb to the returnee’s temple. A second Velcro strap was applied below the returnee’s knees to tie his legs. A helmet was placed on the returnee’s head, additional Velcro straps were applied to his arms and legs, and force was used in order to contain him manually. At this stage, three escorts were holding the returnee from behind his seat and an escort officer was seated either side of him. A sixth escort officer knelt on the returnee’s knees and upper legs, using his weight to keep the returnee seated. After some 15 minutes, this sixth escort officer gripped the returnee’s genitals with his left hand and repeatedly squeezed them for prolonged periods to gain the returnee’s compliance to calm down. When the aircraft took off some ten minutes later, two escorts were still standing upright behind the returnee’s seat to ensure that he remained seated. Shortly thereafter, the returnee calmed down when told that, if he remained compliant, most means of restraint would be removed. He remained cuffed, with his hands tied behind his back, for about one hour. As he remained calm, he was untied.

      55.In the course of this intervention, the delegation observed that, when the first escort officer from the back-up team put his arm around the returnee’s neck, the returnee started struggling to breath and became even more agitated, given that the pressure applied around his throat obstructed his respiratory tract momentarily. The CPT considers that any use of force must avoid inducing a sensation of asphyxia on the person concerned. As is reflected in the relevant internal instructions of the Federal Police, no control technique which impedes a person’s capacity to breath is authorised for use by escort officers.

      Moreover, the delegation observed that, each time the sixth escort officer applied pressure to squeeze the returnee’s genitals, he physically reacted by becoming more agitated. The CPT acknowledges that it will often be a difficult task to enforce a removal order in respect of a foreign national who is determined to stay on a State’s territory. Escorts may on occasion have to use force and apply means of restraint in order to effectively carry out the removal; however, the force used should be no more than is absolutely necessary. To ill-treat a person by squeezing the genitals, a technique which is clearly aimed at inflicting severe pain to gain compliance, is both excessive and inappropriate; this is all the more so given that the person was being restrained by six escorts.

      The CPT recommends that the German authorities take immediate action to end the application of these two techniques by Federal Police escort officers.

      56.The wearing of identification tags by staff involved in removal operations is also an important safeguard against possible abuse. The delegation noted that escort police officers from the Bavarian State Police and from the Federal Police did not wear any identification tag. The CPT recommends that all police escorts from the Federal Police as well as from all Länder police authorities wear a visible identification tag to make them easily identifiable (either by their name or an identification number).

      https://hudoc.cpt.coe.int/eng#{%22sort%22:[%22CPTDocumentDate%20Descending,CPTDocumentID%20Ascending,CPTSectionNumber%20Ascending%22],%22tabview%22:[%22document%22],%22CPTSectionID%22:[%22p-deu-20180813-en-12%22]}
      #rapport

  • #Afghanistan : le domicile d’un ancien interprète de l’armée française attaqué

    La résidence d’un ancien interprète de l’armée française a été visée par des tirs à Kaboul en Afghanistan. L’#attaque s’est produite jeudi dans le quartier #Tchehelsoton de #Kaboul. Les hommes ont pris la fuite après avoir ouvert le feu sans réussir à pénétrer dans sa maison. #Said_Abas fait partie des #anciens_interprètes de l’armée française qui n’a toujours pas obtenu de visa pour la France.

    http://www.rfi.fr/asie-pacifique/20190629-attaque-ancien-interprete-armee-francaise?ref=tw
    #interprètes #armée #France

    sur les interprètes afghans, une métaliste :
    https://seenthis.net/messages/740387

  • As Afghanistan’s capital grows, its residents scramble for clean water

    Twice a week, Farid Rahimi gets up at dawn, wraps a blanket around his shoulders to keep warm, gathers his empty jerrycans, and waits beside the tap outside his house in a hillside neighbourhood above Kabul.

    Afghanistan’s capital is running dry – its groundwater levels depleted by an expanding population and the long-term impacts of climate change. But its teeming informal settlements continue to grow as decades-long conflict and – more recently – drought drive people like Rahimi into the cities, straining already scarce water supplies.

    With large numbers migrating to Kabul, the city’s resources are overstretched and aid agencies and the government are facing a new problem: how to adjust to a shifting population still dependent on some form of humanitarian assistance.


    https://www.irinnews.org/feature/2019/02/19/afghanistan-capital-residents-scramble-clean-water-climate-change
    #eau #eau_potable #Afghanistan #Kaboul #sécheresse #climat #changement_climatique #IDPs #déplacés_internes #migrations #réfugiés #urban_matter #urban_refugees #réfugiés_urbains

  • LE #THÉÂTRE #AFTAAB, LE SOLEIL #AFGHAN À LA #CARTOUCHERIE DE VINCENNES

    https://www.la-croix.com/Culture/Theatre/Le-Theatre-Aftaab-le-Soleil-afghan-a-la-Cartoucherie-de-Vincennes-2013-04-
    publié par DIDIER MÉREUZE, le 18/04/2013 à 14h40
    consulté le 03/06/2018

    Fondée avec la complicité d’#Ariane_Mnouchkine et du #Théâtre_du_Soleil, la troupe de #Kaboul s’installe à la Cartoucherie pour conter les chemins de l’#immigration.
    La Ronde de nuit
    par le Théâtre Aftaab
    Théâtre du Soleil, Cartoucherie de Vincennes
    Les comédiens afghans d’Aftaab ont retrouvé la Cartoucherie de Vincennes et le Théâtre du Soleil à l’origine de leur histoire. Conviée, en 2005, à diriger en stage des artistes de Kaboul, Ariane Mnouchkine les avait engagés à fonder une troupe. Sur les 250 participants, une vingtaine se lancèrent dans l’aventure, baptisant leur théâtre « Aftaab » – « Soleil » en langue dari.

    Depuis la formation de cette troupe, les comédiens du Théâtre du Soleil se rendent régulièrement à Kaboul afin d’assister les comédiens d’Aftaab dans leur mise en scène. En 2008, la troupe afghane est invitée à la Cartoucherie pour présenter leurs mises en scène du Tartuffe de Molière et du Cercle de craie caucasien de Brecht. L’année suivante, ils sont à nouveau conviés afin de travailler sur leur première création, qui cherche à illustrer la vie quotidienne de l’Afghanistan des talibans : la #Ronde_de_nuit, qui narre la vie d’un gardien de théâtre afghan. Cette pièce est pour les comédiens Afghan l’occasion de témoigner, auprès de la « France des droits de l’homme », d’eux mêmes et de leur existence. Le gardien du Théâtre du Soleil, chargé par Ariane de veiller sur les archives et les décors, se retrouve soudain au beau milieu d’une cohorte d’Afghan sans papier qui cherchent un endroit où passer la nuit à l’abri de la neige et du gel. D’autres personnages viennent s’ajouter aux réfugiés : « un sympathique policier humaniste, une prostituée au grand cœur, un SDF qui vient prendre sa douche, une jeune femme temporairement hébergée par le Soleil… »

    Bruissante, frémissante, une humanité s’agite, en proie aux peurs, aux angoisses, aux difficultés du quotidien, à la douleur de la séparation. Décidée à se battre, à survivre, à connaître enfin (ou retrouver) le bonheur, être libre.

    Cette pièce s’inspire en partie du vécu des acteurs (le gardien de nuit du théâtre du soleil est réellement un immigré afghan), elle a été construite à partir de leurs souvenirs et de leurs improvisations. Selon un témoignage de Shuhra Sabagny, l’une des actrices de la Ronde de nuit, les membres de la troupe ont désiré mettre en lumière la condition de ceux qui, contrairement à eux, n’ont pas la chance d’avoir obtenu des papiers et un travail en France, tout comme ils ont souhaité rendre hommage aux français qui les ont aidés. Malgré leur rêve de retourner dans leur pays, cette perspective leur semble lointaine, voire impossible. À titre d’exemple, lorsque Haroon Amani, l’un des membres d’Aftaab, s’est rendu en Afghanistan, il a dû prétendre travailler dans un atelier de couture au Pakistan, parce qu’il aurait encouru des risques et aurait probablement mis en danger son entourage.

    Mon commentaire sur cet article :
    L’expérience de la troupe Aftaab nous montre dans non seulement à quel point la censure de l’art est forte dans des pays tels que l’Afghanistan, mais elle nous apprend également et surtout le pouvoir que des pays comme le nôtre ont de faire changer les choses. Si nous pouvons, en effet, agir individuellement en aidant des immigrés à échapper à la tyrannie ou à la pauvreté de leur pays et à s’intégrer aux nôtres, les états les plus libres et le plus développés ont en outre le pouvoir, si ce n’est le devoir, d’aider les pays en difficulté à sortir des situations de crise.

  • Massacres à #Kaboul: les services pakistanais accusés
    https://www.mediapart.fr/journal/international/300118/massacres-kaboul-les-services-pakistanais-accuses

    Cérémonie funéraire, dimanche 28 janvier 2018 à Kaboul. © Reuters Trois terribles attaques-suicides ont assommé la capitale afghane depuis dix jours. Des experts locaux mettent en cause les services secrets pakistanais. Ces derniers enverraient un message à l’intention des États-Unis, après la suspension d’une partie de l’aide américaine à Islamabad.

    #International #Afghanistan

  • Face aux massacres causés par les attentats, #Kaboul se calfeutre
    https://www.mediapart.fr/journal/international/300118/face-aux-massacres-causes-par-les-attentats-kaboul-se-calfeutre

    Cérémonie funéraire, dimanche 28 janvier 2018 à Kaboul. © Reuters Trois terribles attaques-suicides ont assommé la capitale afghane depuis dix jours. Des experts locaux mettent en cause les services secrets pakistanais. Ces derniers enverraient un message à l’intention des États-Unis, après la suspension d’une partie de l’aide américaine à Islamabad.

    #International #Afghanistan

  • Après les attentats, #Kaboul se calfeutre
    https://www.mediapart.fr/journal/international/300118/apres-les-attentats-kaboul-se-calfeutre

    Cérémonie funéraire, dimanche 28 janvier 2018 à Kaboul. © Reuters Trois terribles attaques-suicides ont sonné la capitale afghane en dix jours. Des experts locaux mettent en cause les services secrets pakistanais, qui enverraient un message à l’intention des Etats-Unis, après la suspension d’une partie de l’aide américaine à Islamabad.

    #International #Afghanistan

  • Afghanistan: Situation of young male ‘Westernised’ returnees to Kabul

    Endorsed and peer-reviewed by the Asylum Research Consultancy (ARC) and the Dutch Council for Refugees, Asylos has compiled a new COI research report on the situation of young male ‘Westernised’ returnees to Kabul, Afghanistan. This report was compiled to meet an increased demand by legal representatives who are representing young Afghan asylum seekers in Europe. These asylum seekers have spent their teenage years in Europe and are denied a new form of protection after turning 18 on the basis that the security situation in Afghanistan has improved and that return to or internal relocation to Kabul will be both reasonable and relevant. Our report serves to counterbalance a general lack of understanding and lack of country information about the relevant issues at stake and contribute with this report to a more informed debate about the situation of young ‘Westernised’ returnees to Afghanistan. It is also intended as a tool to assist legal practitioners and to help ensure that decision-makers consider all relevant material.

    https://asylos.eu/afghanistan-research-project

    #occidentalisation #Kaboul #COI #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_afghans #renvois #expulsions #risques #rapport

    • Les gouvernements européens renvoient près de 10000 Afghans dans leur pays, où ils risquent d’être torturés et tués

      Les États européens mettent en danger des milliers d’Afghans, en les renvoyant de force dans un pays où ils courent un risque considérable d’être torturés, enlevés, tués ou soumis à d’autres atteintes aux droits humains, écrit Amnesty International dans un nouveau #rapport publié jeudi 5 octobre.

      https://www.amnesty.org/fr/latest/news/2017/10/european-governments-return-nearly-10000-afghans-to-risk-of-death-and-tortu

      #Europe

      Lien vers le rapport :
      Afghanistan : Retour forcé vers l’insécurité : L’Europe renvoie des demandeurs d’asile en Afghanistan
      https://www.amnesty.org/fr/documents/document/?indexNumber=asa11%2f6866%2f2017&language=fr

    • Why Deportation to Afghanistan is Wrong

      Since the first week of August, hundreds of young Afghan asylum seekers have been holding a sit-down protest against deportation in central Stockholm. The protest is staged on the stairs of Meborgarhuset (the citizen hall) in Medborgarplatsen (citizen’s square). While the spatial connotation cannot be missed, the form of the protest could not be more expressive.

      http://allegralaboratory.net/deportation-afghanistan-wrong

    • From Europe to Afghanistan: Experiences of child returnees

      This report assesses the impact on children of being returned from Europe to Afghanistan. Through interviews with individual children, their parents or guardians, and with governmental and non-governmental actors, it builds a picture of children’s material, physical, legal and psychosocial safety during the returns process. Returns processes implemented by EU member states and Norway are examined to analyse where European governments are failing to provide appropriate support.

      The results are disturbing: nearly three-quarters of the children interviewed did not feel safe during the returns process. Over half reported instances of violence and coercion and nearly half arrived in Afghanistan alone or were escorted by police. On arrival, the children received little or no support, and only three had a specific reintegration plan. While 45 children had attended school in Europe, only 16 were attending school in Afghanistan. Ten children said attempts had been made to recruit them to commit violent acts, while many others spoke of discrimination, insecurity and sadness. Of the 53 children who completed questionnaires, only ten neither wish nor expect to re-migrate in the next year. Clearly, the processes and support necessary to ensure sustainable returns for children are not in place.

      Evidence collected through this research also forms the basis of specific recommendations to European governments that are currently returning children and young people to an unsafe environment and unsustainable futures. It urges the EU and Norwegian governments to halt the return of children to Afghanistan until the security situation has improved and all the necessary safeguards are in place to ensure that children’s rights, as enshrined in the UN Convention on the Rights of the Child (UNCRC) are respected.

      https://resourcecentre.savethechildren.net/sites/default/files/styles/documentimage/public/afghanista.png?itok=xt6pnXmQ

      https://resourcecentre.savethechildren.net/library/europe-afghanistan-experiences-child-returnees
      #returnees #enfants #enfance

  • Malgré sa peur, Kaboul veut faire tomber ses murs de béton

    L’emprise de la terreur sur la ville l’a flanquée d’oripeaux de béton. Malgré sa peur, Kaboul veut faire tomber ces murs qui protègent les VIP, pour redonner un peu d’espoir et de confiance à la population et désengorger la circulation.
    Depuis le début du mois, le gouvernement a commencé à enlever ces milliers de #T-walls - des #murs_anti-explosion en forme de T renversé - qui assiègent la capitale afghane, dessinent une géographie compliquée et lui confèrent des allures de camp militaire.

    « On a commencé en 2006 et jusqu’en 2012 les affaires ont vraiment bien marché », sourit Mustafa Sharify, patron de #Beeroj_Logistics_Services qui a équipé plusieurs ambassades et institutions. « On en posait jusqu’à mille par mois, tout le monde en voulait : les députés, le plus simple agent du gouvernement, tous installaient des T-Walls devant leur maison. »

    Leur prix varie, selon la taille et la qualité, de 380 dollars à plus de 1.000.

    http://www.courrierinternational.com/depeche/malgre-sa-peur-kaboul-veut-faire-tomber-ses-murs-de-beton.afp
    #murs #barrières_frontalières (même si c’est pas des barrières frontalières... mais pour l’archivage) #séparations #gated_communities #Kaboul #Afghanistan #business #frontières #urban_matter #villes
    cc @albertocampiphoto @daphne @marty @reka

  • Un #Attentat fait plus de 90 morts à #Kaboul
    https://www.mediapart.fr/journal/international/310517/un-attentat-fait-plus-de-90-morts-kaboul

    Un blessé juste après l’explosion © Reuters L’explosion d’un camion piégé mercredi 31 mai en plein cœur de Kaboul a fait plus de 90 morts et 460 blessés. Si personne n’a encore revendiqué l’attentat, les #Talibans ont gagné du terrain ces dernières années et l’État islamique est désormais présent dans l’est de l’Afghanistan.

    #International #Afghanistan #Etat_islamique #terrorisme

  • Un #Attentat fait plus de 80 morts à #Kaboul
    https://www.mediapart.fr/journal/international/310517/un-attentat-fait-plus-de-80-morts-kaboul

    Un blessé juste après l’explosion © Reuters L’explosion d’un camion piégé mercredi 31 mai en plein cœur de Kaboul a fait plus de 80 morts et 320 blessés. Si personne n’a encore revendiqué l’attentat, les #Talibans ont gagné du terrain ces dernières années et l’État islamique est désormais présent dans l’est de l’Afghanistan.

    #International #Afghanistan #Etat_islamique #terrorisme

  • #Afghanistan : le pouvoir de #Kaboul et son armée perdent le contrôle du pays
    https://www.mediapart.fr/journal/international/050317/afghanistan-le-pouvoir-de-kaboul-et-son-armee-perdent-le-controle-du-pays

    Haibatullah Akhunzadeh, chef des talibans depuis mai 2016. © Reuters Face à la progression continue des talibans, le gouvernement de Kaboul ne contrôle plus que la moitié des quatre cents districts du pays. Ses forces de sécurité, qui ont pris le relais des troupes américaines et de l’Otan il y a deux ans, subissent une hécatombe : près de sept mille tués l’an dernier. En plus des talibans, de nouveaux mouvements d’insurrection se développent dans le pays.> Lire aussi : Le Pakistan doit faire face à la menace grandissante de l’État islamique

    #International #Asie #Etat_islamique #Otan #Taliban #US_Army

  • Fin du siège près de l’ambassade d’Espagne à #Kaboul
    https://www.mediapart.fr/journal/international/121215/fin-du-siege-pres-de-lambassade-despagne-kaboul

    Les forces de sécurité afghanes ont tué les trois taliban impliqués dans l’attaque d’une pension proche de l’ambassade d’Espagne vendredi à Kaboul, a annoncé le porte-parole du ministère de l’Intérieur dans un message diffusé sur Twitter samedi aux premières heures.

    #International #Fil_d'actualités #Afghanistan #Asie #Talibans

  • Les dessous d’une image : #Sandra_Calligaro commente ses images de #Kaboul

    Elle est partie un peu par hasard, pour renouer avec un vieux fantasme. Sandra Calligaro voulait être reporter de guerre. Cela a été l’Afghanistan, mais cela aurait pu être l’Irak. Diplôme d’une école d’art en poche, la Française débarque à Kaboul en 2007. Pour un mois. Elle y passera sept ans, durant lesquels elle ausculte la société afghane plus qu’elle ne côtoie les militaires. « #Afghan_Dream » est une exploration photographique du pays et de son quotidien, bousculé par treize années de présence internationale. Sandra Calligaro commente quatre de ses images.


    http://blogs.letemps.ch/vues/2015/04/11/les-dessous-dune-image-sandra-calligaro-commente-ses-images-de-kaboul

    #photographie #Afghanistan
    cc @albertocampiphoto

  • @odilon, intéressant pour toi ?

    La #terre du #pouvoir, le pouvoir de la terre. #Conflits_fonciers et jeux politiques en #Afghanistan

    Cet article vise à montrer comment la #légalité ne s’oppose pas de façon systématique au recours à la #violence mais constitue deux manières de gagner et de maintenir l’accès à des #ressources qui s’entremêlent et se renforcent mutuellement. À travers l’analyse d’un conflit foncier à la #périphérie rurale de la capitale afghane, #Kaboul, et l’observation des processus d’appropriation et de #redistribution_de_terres au niveau local, nous mettrons en lumière une géographie du pouvoir qui se déploie à une échelle plus large. Suite à d’importants changements dans les conditions matérielles qui ont conduit à l’expansion de la ville et à la transformation de la #frange_rurale-urbaine, le #pouvoir_territorialisé apparaît comme une condition préalable pour contrôler la circulation des personnes, des biens et de l’argent, de l’information et des idées. Ceci nous permet d’ajouter les landscapes et la circulation des terres aux cinq catégories célèbres qui sont distinguées par Appadurai (1999) comme un moyen d’organiser l’étude de la culture du monde et de l’économie.

    http://remmm.revues.org/8061

    #appropriation_des_terres