• https://www.youtube.com/watch?v=5g4arkqC8gM

      Destinazione lager!
      Partono vagoni notte e giorno
      il biglietto è solo andata e non c’è ritorno
      nei tuoi bellissimi occhi neri
      non c’è domani non c’è oggi e non ieri

      Dentro il carro merci il tempo si è fermato
      è passato tanto tempo e tu non sai quanto hai viaggiato
      lacrime e sudore fame sete tosse e scarpe rotte
      il tempo non esiste e non distingui più il giorno dalla notte

      Alla stazione dove arrivi la neve danza tutto intorno
      alla stazione dove arrivi è sempre notte e non è mai giorno
      alla stazione dove arrivi la neve gira gira gira come impazzita
      e allora pensi che vita è già finita

      Destinazione lager!
      le ciminiere affondano nel cielo

      Destinazione lager!
      e nei tuoi occhi grandi passa un velo
      solo paura nel tuo viso e nel tuo cuore
      non c’è più tempo per parlar d’amore

      Destinazione lager!
      le ciminiere si infilzano nel cielo

      Destinazione lager!
      e nei tuoi occhi belli cala un velo
      solo sgomento nel tuo cuore e nel tuo viso
      non hai più voglia di carezze non hai più voglia di un sorriso

      #Francesco_Pais #histoire #musique #guerre #chanson #musique_et_politique #WWII #camps_d'extermination #shoah #seconde_guerre_mondiale #deuxième_guerre_mondiale #nazisme #lager

  • Libia. Il Consiglio di sicurezza Onu conferma le sanzioni ai guardacoste-trafficanti

    Approvato all’unanimità l’inasprimento delle sanzioni per i boss del traffico di esseri umani, petrolio e armi. Dal guardacoste «#Bija» ai capi della «polizia petrolifera» fino al direttore dei «#lager»

    La Libia non è un porto sicuro di sbarco, e le connessioni dirette tra guardia costiera libica e trafficanti di esseri umani, petrolio e armi, sono il motore della filiera dello sfruttamento e dell’arricchimento. All’unanimità il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha accolto le richieste degli investigatori Onu, che hanno proposto l’inasprimento delle sanzioni contro i principali boss di un sistema criminale che tiene insieme politica, milizie e clan.

    La decisione mette in difficoltà il governo italiano e le direttive Piantedosi, secondo cui le organizzazioni del soccorso umanitario dovrebbero prima coordinarsi con la cosiddetta guardia costiera libica, che invece l’Onu indica tra i principali ingranaggi del sistema criminale. Dopo una lunga discussione interna il Consiglio di sicurezza ha accolto le richieste degli investigatori Onu in Libia a cui è stato rinnovato il mandato fino al 2025. Gli esponenti per i quali è richiesto il blocco dei beni e il divieto assoluto di viaggio sono cinque, ma uno risulta deceduto il 16 marzo di quest’anno in Egitto. Gli altri componenti del «poker libico» sono nomi pesanti, a cominciare da #Saadi_Gheddafi, il figlio ex calciatore del colonnello Gheddafi, che sta tentando di vendere una proprietà in Canada aggirando le sanzioni anche attraverso il consolato libico in Turchia. Il cinquantenne Gheddafi avrebbe viaggiato indisturbato e il 27 giugno 2023, gli esperti Onu hanno scritto al governo turco «in merito all’attuazione delle misure di congelamento dei beni e di divieto di viaggio. Non è stata ricevuta alcuna risposta». Secondo gli investigatori la firma di Gheddafi su una procura depositata in Turchia, costituisce «una prova della mancata osservanza da parte della Turchia della misura di divieto di viaggio».

    Se i Gheddafi rappresentano il passato che continua a incombere sulla Libia, soprattutto per lo smisurato patrimonio lasciato dal patriarca dittatore e mai realmente quantificato, nella lista dei sanzionati ci sono i nuovi boss della Libia di oggi. Come #Mohammed_Al_Amin_Al-Arabi_Kashlaf. «Il Gruppo di esperti ha stabilito che la #Petroleum_Facilities_Guard di Zawiyah è un’entità che è nominalmente sotto il controllo del Governo di unità nazionale», dunque non una polizia privata in senso stretto ma un gruppo armato affiliato alle autorità centrali e incaricato di sorvegliare i principali stabilimenti petroliferi, da cui tuttavia viene fatta sparire illegalmente un certa quantità di idrocarburi che poi vengono immessi nel mercato europeo grazie a una fitta rete di contrabbandieri. «Il gruppo di esperti - si legge ancora - ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di questo individuo, compresi i dettagli sullo status attuale e sulla catena di comando della Petroleum Facilities Guard a Zawiyah, nonché sulle sue attività finanziarie e risorse economiche personali». Anche in questo caso le autorità libiche «non hanno ancora risposto».

    Collegato a Kashlaf è #Abd_al-Rahman_al-Milad, forse il più noto del clan. Noto anche come “Bija”, ha utilizzato «documenti delle Nazioni Unite contraffatti nel tentativo di revocare il divieto di viaggio - si legge - e il congelamento dei beni imposti nei suoi confronti». Bija si è però mosso trovando appoggi sia «nel governo libico che in interlocutori privati all’interno della Libia», con l’obiettivo di ottenere il sostegno «alla sua richiesta di cancellazione» delle sanzioni. In particolare, gli investigatori Onu sono in possesso «di un documento ufficiale libico, emesso il 28 settembre 2022 dall’Ufficio del Procuratore Generale, in cui si ordina alle autorità responsabili - denunciano gli esperti - di rimuovere il nome di #Al-Milad dal sistema nazionale di monitoraggio degli arrivi e delle partenze». Una copertura al massimo livello della magistratura, che lo aveva già assolto dalle accuse di traffico di petrolio, e che «consentirebbe ad Al-Milad di lasciare la Libia con i beni in suo possesso, in violazione della misura di congelamento dei beni». Il 25 gennaio 2023 «il Gruppo di esperti ha chiesto alle autorità libiche di fornire informazioni aggiornate sull’effettiva attuazione del congelamento dei beni e del divieto di viaggio nei confronti di Al-Milad. La richiesta è stata fatta a seguito della ripresa delle sue funzioni professionali nelle forze armate libiche, compresa la nomina a ufficiale presso l’Accademia navale di Janzour dopo il suo rilascio dalla custodia cautelare l’11 aprile 2021». A nove mesi di distanza, le autorità libiche «non hanno ancora risposto».

    La risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza si basa anche su un’altra accusa del «Panel of Expert» i quali hanno «hanno stabilito che il comandante della Petroleum Facilities Guard di Zawiyah, Mohamed Al Amin Al-Arabi Kashlaf , e il comandante della Guardia costiera libica di #Zawiyah, Abd al-Rahman al-Milad (Bija), insieme a #Osama_Al-Kuni_Ibrahim, continuano a gestire una vasta rete di traffico e contrabbando a Zawiyah». Le sanzioni non li hanno danneggiati. «Da quando i due comandanti sono stati inseriti nell’elenco nel 2018, hanno ulteriormente ampliato la rete includendo entità armate che operano nelle aree di Warshafanah, Sabratha e Zuara». Tutto ruota intorno alle prigioni per i profughi. «La rete di Zawiyah continua a essere centralizzata nella struttura di detenzione per migranti di Al-Nasr a Zawiyah, gestita da Osama Al-Kuni Ibrahim», il cugino di Bija identificato grazie ad alcune immagini pubblicate da Avvenire nel settembre del 2019. Il suo nome ricorre in diverse indagini. Sulla base «di ampie prove di un modello coerente di violazioni dei diritti umani, il Gruppo di esperti ha rilevato - rincara il “panel” - che Abd al-Rahman al-Milad e Osama al-Kuni Ibrahim, hanno continuano a essere responsabili di atti di tortura, lavori forzati e altri maltrattamenti nei confronti di persone illegalmente confinate nel centro di detenzione di Al-Nasr», allo scopo di estorcere «ingenti somme di denaro e come punizione».

    Il modello di #business criminale è proprio quello che Roma non vuole riconoscere, ma che gli investigatori Onu e il Consiglio di sicurezza ribadiscono: «La rete allargata di Zawiyah - si legge nel rapporto - comprende ora elementi della 55esima Brigata, il comando dell’Apparato di Supporto alla Stabilità a Zawiyah, in particolare le sue unità marittime, e singoli membri della Guardia Costiera libica, tutti operanti al fine di eseguire il piano comune della rete di ottenere ingenti risorse finanziarie e di altro tipo dalle attività di traffico di esseri umani e migranti».

    Al Consiglio di Sicurezza è stato mostrato lo schema che comprende «quattro fasi operative: (a) la ricerca e il ritorno a terra dei migranti in mare; (b) il trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; (c) l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; (d) il rilascio dei detenuti vittime di abusi». Una volta rimessi in libertà i migranti, rientrano nel ciclo dello sfruttamento: rimessi in mare, lasciando che una percentuale venga catturata dai guardacoste per giustificare il sostegno italiano ed europeo alla cosiddetta guardia costiera libica, e di nuovo «trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; l’abuso dei detenuti nei centri di detenzione; il rilascio dei detenuti vittime di abusi».

    Il rapporto Onu e il voto unanime dei 15 Paesi che siedono nel Consiglio di sicurezza sono uno schiaffo. «Per quanto riguarda il divieto di viaggio e il congelamento dei beni - si legge in una nota riassuntiva della seduta al Palazzo di Vetro -, gli Stati membri, in particolare quelli in cui hanno sede le persone e le entità designate, sono stati invitati a riferire» al Comitato delle sanzioni circa «le rispettive azioni per attuare efficacemente entrambe le misure in relazione a tutte le persone incluse nell’elenco delle sanzioni». Tutte gli esponenti indicati dal «Panel of expert» sono inclusi nell’elenco degli «alert» dell’Interpol. La risoluzione approvata ieri riguarda anche il contrabbando di petrolio e di armi. Il Consiglio di Sicurezza ha prorogato «l’autorizzazione delle misure per fermare l’esportazione illecita di prodotti petroliferi dalla Libia e il mandato del gruppo di esperti che aiuta a supervisionare questo processo».

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-il-consiglio-di-sicurezza-conferma-le-sanzioni-ai-guardacoste-traffic
    #gardes-côtes_libyens #sanctions #migrations #asile #réfugiés #Libye #externalisation #sanctions #conseil_de_sécurité_de_l'ONU #conseil_de_sécurité #ONU #détention #prisons

  • Ai caduti dei #lager (1943-1973). Non più reticolati nel mondo

    Image prise le 10.05.2019 à #Forni_Avoltri (dans la province de Udine), en #Italie.

    Petite traduction... car on en est bien loin des espoirs de 1973, quand le #monument a été érigé :
    « Plus jamais de #clôtures dans le monde », disaient ce qui ont posé la pierre...

    Evidemment, je ne peux pas ne pas penser à tous ses systèmes de surveillance (y compris des clôtures) qui entourent toutes formes de #camps pour #migrants. Et notamment, les centres de #détention_administrative, #rétention.

    Tous ces endroits que Migreurop cherche de cartographier sur le site #Close_the_camps :
    https://closethecamps.org

    ping @isskein @reka @karine4

  • #Graffitis vus à #Trento 22-24.11.2018

    Meno consumismo, più banditismo


    #consumérisme

    Meno fascisti più autostoppisti


    #fascisme #autostop

    Basta fogli di via. Banditi dappertutto

    No fogli di via:

    Leghisti carogne


    #Ligue_du_nord #Lega_Nord

    Lega servi dei ricchi

    Roma ladrona, ma è comoda la poltrona

    No alla sorveglianza sociale


    #surveillance #surveillance_sociale

    No al #DASPO urbano

    Fuoco alle galere


    #prisons

    Sabotiamo la guerra


    #sabotage #guerre

    I giorni passano, i #lager restano. No #CPR


    #détention_administrative #CRA #rétention

    Attacchiamo i padroni


    #patrons #patronnat

    #Refugees_welcome


    #réfugiés

    #No_TAV


    #TAV

    #ENI assassina

    Non nominare cubetto invano

    I fascisti accoltellano, ora basta

    Basta frontiere


    #frontières

    Terrorista è lo Stato


    #Etat #Etat-nation #terrorisme

    Io imbratto, egli imbratta, voi blatte. Fanculo al daspo urbano

    Ordine. Disciplina. Quello che mi serve è un po’ di benzina


    #ordre #discipline

    Verità per #Giulio_Regeni

    Nel carcere di #Spini le guardie pestano

    Fuoco a galere e #CIE

    No border nation, stop deportation


    #renvois #expulsions

    Università per tutti. Tagli per nessuno


    #université #accès_à_l'éducation

    Le parole sono importanti. Chi parla male pensa male


    #mots #vocabulaire #terminologie

    Morte al fascio

    + sbirri morti


    #police
    #Trente #Italie #art_de_rue #street-art

  • Libia. La rivolta dei migranti nel lager: temono di essere venduti ai trafficanti

    All’improvviso a decine spariscono. Finiscono nelle mani di persone che chiedono un riscatto alla famiglia o li vendono come schiavi. Onu e diplomatici faticano ad avere accesso ai campi di detenzione

    La tensione accumulata da mesi è esplosa domenica nel sovraffollato centro di detenzione libica di #Sharie (o #Tarek) #al_Matar, nei sobborghi di Tripoli, con scontri con le guardie e tre feriti. Le drammatiche testimonianze di alcuni detenuti raccolte da noi in diretta telefonica, le foto dei feriti, gli audio e il video su Facebook postato da Abrham, (ora anche sul nostro canale Youtube, linkato a questo articolo) giovane rifugiato eritreo di Bologna, domenica pomeriggio documentano l’esasperazione e la protesta dei prigionieri per le condizioni da tutti gli osservatori considerate inumane di prigionia e contro trasferimenti in altri centri per paura di essere venduti ai trafficanti di esseri umani.

    Paura giustificata dalla sparizione di 20 detenuti nei giorni scorsi e di 65 donne con bambini che i libici giustificano come alleggerimento dell’affollatissima struttura e sulla quale sta compiendo verifiche l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Per protesta i prigionieri eritrei, molti in carcere da mesi, parecchi intercettati e sbarcati dalla guardia costiera libica dopo la chiusura delle coste di questi mesi, hanno incendiato due materassi provocando la repressione durissima della polizia libica, la quale ha ferito tre richiedenti asilo, due dei quali hanno dovuto essere ricoverati in ospedale. Negli stanzoni roventi, lerci e stipati come pollai sono stati sparati lacrimogeni e le guardie hanno picchiato i detenuti con i fucili per riportare la calma.

    «Sono stati momenti di battaglia tra eritrei e libici – spiega il nostro contatto Solomon, pseudonimo di un prigioniero fuggito dal regime dell’Asmara, nel campo da maggio scorso dopo aver trascorso i precedenti sei mesi nell’altro lager di Gharyan – loro ci ripetono che siamo troppi e che vogliono venderci. Siamo disperati, molti parlano di suicidio. Non vediamo vie di uscita. Non possiamo tornare in Eritrea e l’Europa non ci vuole». La tensione insomma potrebbe portare ad altre rivolte.

    I libici sono accusati di rallentare il processo di registrazione dei detenuti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite chiudendo le porte per ragioni di sicurezza e spostando senza preavviso le persone non ancora iscritte nelle liste Onu dei richiedenti asilo per venderli ai trafficanti.

    Ieri funzionari del Palazzo di Vetro sono riusciti a entrare di mattina presto a #Tarek_al_Matar e a proseguire nella difficile registrazione di 200 eritrei. L’intento, spiegano fonti Acnur a Tripoli, è duplice: registrare tutti e offrire ai soggetti più vulnerabili - donne, minori, ammalati che non possono venire rimpatriati per timore di persecuzioni - una evacuazione umanitaria nel centro Onu in Niger per alleggerire il campo e favorire il reinsediamento in Paesi terzi. Ma i posti a disposizione non bastano per i 1.800 dannati di Tarek Al Matar, dove il precedente governo aveva avviato progetti per due milioni per l’emergenza ormai conclusi, come anche nei centri di Tarek Al Sika a Tagiura. Anche l’Onu ammette che le condizioni del campo sono peggiorate.

    E il sovraffollamento deriva dal fatto che la Guardia costiera libica ha intercettato finora 13 mila persone. In tutto il 2017 ne aveva intercettati oltre 15mila.

    Secondo una fonte libica, sempre ieri a una diplomatica dell’Unione europea sarebbe stato impedito l’accesso al centro di detenzione. La motivazione ufficiale è che non avrebbe presentato richiesta in tempo. Ma si sospetta che in realtà le autorità tripoline vogliano nascondere all’Ue i danni dell’incendio e le violenze sui detenuti.

    Secondo dati dell’Acnur, al 31 luglio nel Paese erano stati registrati 54.416 richiedenti asilo e rifugiati, 9.838 solo nel 2018. Ma se le proporzioni sono quelle del campo di Tarek al Matar, solo un terzo è stato identificato, gli altri galleggiano tra violenze, condizioni igienico sanitarie inumane e il rischio di sequestri nel limbo dei centri di detenzione, sia ufficiali che quelli nelle mani delle milizie. Ieri con un tweet eloquente la sezione italiana dell’Oim, organizzazione internazionale delle migrazioni, ha puntualizzato che il suo personale è presente agli sbarchi nei porti libici, ma la gestione dei campi è in carico alle autorità locali.

    Le tensioni a Tarek Al Matar sono esplose principalmente per il terrore di venire venduti ai trafficanti, i quali gestiscono sì le partenze sui barconi, ma solo dopo aver torturato i prigionieri per estorcere riscatti alle famiglie, oppure rivenderli come schiavi.

    Dal campo abbiamo scritto sabato su Avvenire che erano sparite 20 persone, uno solo dei quali è riuscito a tornare.
    «Chiamiamolo Fish, mi ha contattato – racconta Abrham, rifugiato eritreo in Italia che raccoglie le grida di aiuto della sua generazione rinchiusa – perché è riuscito a tornare a Tarek al Matar. Sono stati trasferiti in uno stanzone in un luogo sconosciuto senza cibo e senza acqua. Hanno sentito due libici che dicevano che la notizia della loro sparizione era girata in rete e quindi la vendita doveva essere interrotta. Lo hanno riportato indietro, adesso aspetta i suoi compagni».

    La circolazione delle notizie via social avrebbe salvato anche gli oltre 200 prigionieri «trasferiti» due settimane fa dal centro di Tarek Al Siqa senza preavviso in un luogo sconosciuto e pressoché privo di sorveglianza dove un trafficante eritreo che collabora con i libici spacciandosi per mediatore culturale li ha contattati invitandoli a seguirlo. Il gruppo, che teme di essere già stato venduto e dove ci sono persone non registrate nelle liste umanitarie, prosegue il braccio di ferro a colpi di messaggi via social urlando nel silenzio della rete il proprio diritto ad essere accolto.

    Perché il paradosso, scorrendo le nazionalità censite dall’Onu in Libia, è che molti detenuti sono rifugiati e richiedenti asilo che dovrebbero trovarsi legalmente in Paesi sicuri a chiedere asilo oppure essere liberi di circolare in Libia. Come gli oltre 9mila sudanesi, e i 6mila eritrei e i 3mila somali e gli oltre mille etiopi cui persino Tripoli, che pure non ha firmato la Convenzione di Ginevra, riconosce lo status. Senza contare che un terzo ha meno di 18 anni e dovrebbe essere protetto dai civilissimi Stati europei. Ma nel caos libico si trovano ingabbiati sotto la sorveglianza di miliziani rivestiti con una divisa da poliziotto senza uno straccio di formazione e che considerano i prigioneri migranti illegali e merce da rivendere.

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-rivolta-dei-migranti-nel-lager-in-libia
    #Libye #camps #lager #résistance #révolte #asile #migrations #réfugiés #camps_de_réfugiés #détention #violence #torture

    https://www.youtube.com/watch?v=wGZH6Br7S0o

  • Porajmos, l’olocausto dei rom

    2 agosto. 71 anni fa, il 2 agosto 1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori. Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione, che ricordando i 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi» adotta il 2 agosto come «giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom».

    Il 15 aprile del 2015, il Par­la­mento Euro­peo ha votato una riso­lu­zione per adot­tare il 2 ago­sto come «gior­nata euro­pea della com­me­mo­ra­zione dell’olocausto dei rom». La riso­lu­zione ricorda: «I 500.000 rom ster­mi­nati dai nazi­sti e da altri regimi (…) e che nelle camere a gas nello Zigeu­ner­la­ger (campo degli zin­gari) di Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 ago­sto 1944, 2.897 rom, prin­ci­pal­mente donne, bam­bini e anziani, sono stati uccisi».

    Si ricorda altresì che in alcuni paesi fu eli­mi­nata oltre l’80% della popo­la­zione rom. Secondo le stime di Grat­tan Pru­xon, mori­rono 15.000 dei 20.000 zin­gari tede­schi, in Croa­zia ne sono uccisi 28.000 (ne soprav­vi­vono solo in 500), in Bel­gio 500 su 600, ed in Litua­nia, Lus­sem­burgo, Olanda e Bel­gio lo ster­mi­nio è totale, il 100% dei rom.

    La stu­diosa Mirella Kar­pati riporta che la mag­gior parte dei rom polac­chi fu tru­ci­data sul posto dalla Gestapo e dalle mili­zie fasci­ste ucraine, le quali, in molti casi, ucci­de­vano i bam­bini fra­cas­sando le loro teste con­tro gli alberi. Le testi­mo­nianze rac­colte dalla Kar­pati sui cri­mini dei fasci­sti croati (gli usta­scia) sono altret­tanto aggan­cianti: donne incinta sven­trate o a cui veni­vano tagliati i seni, neo­nati infil­zati con le baio­nette, deca­pi­ta­zioni, ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom slo­veni e croati oltre­pas­sa­vano clan­de­sti­na­mente il con­fine con l’Italia, ma fini­vano in uno dei 23 campi di pri­gio­nia loro riser­vati e spar­pa­gliati sull’intera penisola.

    La riso­lu­zione del Par­la­mento euro­peo prima citata con­si­dera l’«antiziganismo» come «un’ideologia basata sulla supe­rio­rità raz­ziale, una forma di disu­ma­niz­za­zione e raz­zi­smo isti­tu­zio­nale nutrita da discri­mi­na­zioni sto­ri­che». Il rom funge da sem­pre il capro espia­to­rio, a cui negare il suo carat­tere euro­peo, per farne una sorta di stra­niero interno (nono­stante le loro comu­nità, e gli stessi ter­mini rom e zin­garo, si siano for­mati in Europa tra il 1300 ed il 1400).

    I nazisti-fascisti hanno per­fe­zio­nato le poli­ti­che euro­pee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l’antropologo Leo­nardo Pia­sere, il mag­gior numero degli editti anti-rom dell’epoca moderna furono ema­nati dagli stati pre­u­ni­tari tede­schi ed ita­liani. Forse non è un caso, ma saranno pro­prio Ger­ma­nia ed Ita­lia, secoli dopo, a pia­ni­fi­care l’olocausto rom, oltre che quello ebraico. Secondo Ste­fa­nia Pon­tran­dolfo, in Ita­lia, tra il 500 e il 700, ad appli­care con più zelo tali editti furono gli Stati del Nord, con­tro una certa tol­le­ranza del Meridione.
    «Puri o impuri, comun­que asociali»

    I nazi­sti, osses­sio­nati com’erano dalla pre­sunta razza ariana, si erano inte­res­sati ai rom a causa della loro ori­gine indiana. Li clas­si­fi­ca­rono in quat­tro cate­go­rie, secondo il loro grado di «purezza» o «incro­cio» con i non rom. Alla fine riten­nero che tutti rom, puri o impuri che fos­sero, erano «aso­ciali». Da qui la deci­sione della loro eli­mi­na­zione. I bimbi rom (ed ebrei) depor­tati nei campi di ster­mi­nio erano vit­time di espe­ri­menti sadici: inie­zione d’inchiostro negli occhi; frat­ture delle ginoc­chia, per poi iniet­tare nelle ferite ancora fre­sche i virus della mala­ria, del vaiolo e d’altro ancora.

    Anche in Ita­lia, come riporta Gio­vanna Bour­sier, con “il mani­fe­sto della razza” del 1940, l’antropologo fasci­sta Guido Lan­dra, inveiva con­tro «il peri­colo dell’incrocio con gli zin­gari» che defi­niva ran­dagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il Mini­stero dell’interno, ricorda sem­pre la Bour­sier, ema­nava diret­tive ai pre­fetti per «epu­rare il ter­ri­to­rio nazio­nale» dagli zin­gari e «col­pire nel suo ful­cro l’organismo zingaresco».

    Gli stu­diosi Luca Bravi, Mat­teo Bas­soli e Rosa Cor­bel­letto, sud­di­vi­dono in quat­tro fasi le poli­ti­che fasci­ste anti-rom e sinti (popo­la­zioni di ori­gine rom, ma che si auto­de­fi­ni­scono sinti e che vivono tra sud della Fran­cia, nord Ita­lia, Austria e Ger­ma­nia): tra il 1922 e il 1938 ven­gono respinti ed espulsi rom e sinti stra­nieri, o anche ita­liani ma privi di docu­menti; dal 1938 al 1940 si ordina la puli­zia etnica di tutti i sinti e rom (anche ita­liani con rego­lari docu­menti), pre­senti nelle regioni di fron­tiera ed il loro con­fino a Per­da­sde­fogu in Sar­de­gna; dal 1940 al 1943 i rom e sinti, anche ita­liani sono rin­chiusi in 23 campi di con­cen­tra­mento; dal 1943 al 1945 ven­gono rom e sinti sono depor­tati nei campi di ster­mi­nio nazisti.

    La prima fase è segnata da una poli­tica al tempo stesso xeno­foba e rom-fobica, per cui si col­pi­scono quei rom, col­pe­voli di essere sia zin­gari che stra­nieri. In seguito si passa a reprime anche i rom ita­liani. Inol­tre, dalla pri­gio­niera nel campo si passa all’eliminazione fisica.

    Gra­zie alle ricer­che della Kar­pati, sap­piamo che nei 23 campi in Ita­lia le con­di­zioni di vita erano molto dure. Rac­conta una donna: «Era­vamo in un campo di con­cen­tra­mento a Per­da­sde­fogu. Un giorno, non so come, una gal­lina si è infil­trata nel campo. Mi sono get­tata sopra come una volpe, l’ho ammaz­zata e man­giata dalla fame che avevo. Mi hanno pic­chiata e mi son presa sei mesi di galera per furto».

    Giu­seppe Goman a 14 anni fu rin­chiuso nel campo nei pressi di Agnone e i fasci­sti lo vol­lero fuci­lare per aver rubato del cibo in cucina, ma all’ultimo momento la pena fu com­mu­tata in «basto­na­ture e segre­ga­zione». Nel campo di Teramo invece, un tenente dei cara­bi­nieri ebbe cosi pietà di quei «rom chiusi in con­di­zioni mise­re­voli, che dor­mi­vano per terra con man­giare poco e razio­nato (…) che per­mise alle donne di andare ad ele­mo­si­nare in paese. Nel campo di Cam­po­basso, Zlato Levak ricorda: «Cosa davano da man­giare? Quasi niente. Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pit­tore e molto intelligente».

    Per i rom ita­liani, l’essere rin­chiusi nei campi di pri­gio­nia, non per aver com­messo un reato, ma per la loro iden­tità, fu uno shock. E pen­sare, che a causa della leva obbli­ga­to­ria, gli uomini ave­vano ser­vito nell’esercito durante la grande guerra o nelle colo­nie. Sarà forse per que­sto trauma, che molti di loro hanno una certa reti­cenza ad affer­mare in pub­blico la pro­pria iden­tità, ed infatti l’opinione pub­blica ita­liana ignora che dei circa 150.000 rom e sinti pre­senti in Ita­lia, ben il 60–70% sono ita­liani da secoli e sono per lo più seden­tari. Igno­riamo anche le vicende di molti rom, che fug­giti dai campi, si uni­rono alle for­ma­zioni par­ti­giane e che alcuni di essi furono fuci­lati dai fascisti.

    Luca Bravi e Mat­teo Bas­soli fanno notare che il Par­la­mento ita­liano ha appro­vato nel 1999 la legge sulle mino­ranze sto­ri­che lin­gui­sti­che (rico­no­scen­done 12) «solo dopo aver stral­ciato l’inserimento delle comu­nità rom e sinti» (tra le più anti­che d’Italia, dove sono pre­senti dal XIV secolo).
    La nostra rimozione

    La rimo­zione del nostro con­tri­buto ideo­lo­gico e pra­tico all’olocausto dei rom, s’inserisce in un’operazione di oblio ben più ampia, che tocca anche i nostri cri­mini di guerra sotto il fasci­smo in Africa ed ex Jugo­sla­via. Come ben spie­gato nel docu­men­ta­rio Fascist Legacy della BBC, tali cri­mini non furono com­piuti non solo dalle cami­cie nere, ma anche da sol­dati e cara­bi­nieri, tanto che lo stesso Bado­glio era nella lista dei primi 10 cri­mi­nali di guerra ita­liani da pro­ces­sare. Il pro­cesso non si è mai svolto, gra­zie al cam­bio di alleanza nel 1943 e al nostro con­tri­buto di san­gue alla lotta nazi-fascista.

    Ma il para­dosso resta: #Bado­glio il primo capo di governo dell’Italia anti-fascista era stato un cri­mi­nale di guerra agli ordini di Mus­so­lini. La Legge 20 luglio 2000 sulla «memo­ria», parla si di olo­cau­sto ma non di rom. Su ini­zia­tiva dell’on. Maria Leti­zia De Torre le per­se­cu­zioni fasci­ste con­tro i rom sono final­mente ricor­date dalla Camera dei Depu­tati in un ordine del giorno nel 2009. E pen­sare che il par­la­mento tede­sco aveva rico­no­sciuto l’olocausto rom già nel 1979, e nel 2013 una poe­sia del rom ita­liano San­tino Spi­nelli (il cui padre fu inter­nato dai fasci­sti) è incisa sul monu­mento eretto a Berlino.

    Molti stu­diosi ed asso­cia­zioni, per defi­nire l’Olocausto rom, hanno adot­tato il ter­mine pora­j­mos, che in roma­nes signi­fica «divo­ra­mento». Fu intro­dotto nel 1993 dal pro­fes­sore rom Ian Han­cock dell’università del Texas, che lo sentì da un soprav­vis­suto ai campi di ster­mino. Il lin­gui­sta Mar­cel Cour­thiade, esperto di roma­nes, ha pro­po­sto in alter­na­tiva samu­da­ri­pen (tutti morti). Per amore del vero, va pre­ci­sato, che il rom comune, che spesso non s’identifica nelle tante asso­cia­zioni nazio­nali o inter­na­zio­nali rom e di non rom, e che resta lon­tano dai dibat­titti acca­de­mici, non uti­lizza alcuno di que­sti termini.
    Il ricordo di Pie­tro Terracina

    Eppure quando pen­siamo al 2 ago­sto 1944, quando tutti i 2.897 rom dello #Zigeu­ner­la­ger di Auschwitz-Birkenau furono inghiot­titi nei forni cre­ma­tori, ecco che sia «divo­ra­mento» che «tutti morti», ci appa­iono così adatti ed evo­ca­tivi. Ma per­ché ucci­derli tutti in una sola notte? Forse si trattò di una puni­zione, poi­ché pochi mesi primi, armati di mazze e pie­tre, i rom si ribel­la­rono, met­tendo in fuga i nazisti.

    Testi­mone ocu­lare della notte del 2 ago­sto fu l’ebreo ita­liano Pie­tro Ter­ra­cina, che ha rac­con­tato a Roberto Olia : «Con i rom era­vamo sepa­rati solo dal filo spi­nato. C’erano tante fami­glie e bam­bini, di cui molti nati lì. Certo sof­fri­vano anche loro, ma mi sem­brava gente felice. Sono sicuro che pen­sa­vano che un giorno quei can­celli si sareb­bero ria­perti e che avreb­bero ripreso i loro carri per ritor­nare liberi. Ma quella notte sen­tii all’improvviso l’arrivo e le urla delle SS e l’abbaiare dei loro cani. I rom ave­vano capito che si pre­para qual­cosa di terribile.

    Sen­tii una con­fu­sione tre­menda: il pianto dei bam­bini sve­gliati in piena notte, la gente che si per­deva ed i parenti che si cer­ca­vano chia­man­dosi a gran voce. Poi all’improvviso silen­zio. La mat­tina dopo, appena sve­glio alle 4 e mezza, il mio primo pen­siero fu quello di andare a vedere dall’altra parte del filo spi­nato. Non c’era più nessuno.

    Solo qual­che porta che sbat­teva, per­ché a #Bir­ke­nau c’era sem­pre tanto vento. C’era un silen­zio inna­tu­rale, para­go­na­bile ai rumori ed ai suoni dei giorni pre­ce­denti, per­ché i rom ave­vano con­ser­vato i loro stru­menti e face­vano musica, che noi dall’altra parte del filo spi­nato sen­ti­vamo. Quel silen­zio era una cosa ter­ri­bile che non si può dimen­ti­care. Ci bastò dare un’occhiata alle cimi­niere dei forni cre­ma­tori, che anda­vano al mas­simo della potenza, per capire che tutti i pri­gio­nieri dello Zigeu­ner­la­ger furono man­dati a morire. Dob­biamo ricor­dare que­sta gior­nata del 2 ago­sto 1944».

    http://ilmanifesto.info/porajmos-lolocausto-dei-rom

    #rom #Porajmos @cdb_77

  • Lagerfeld ferme ta gueule, ta vie est loin d’être exemplaire.

    Les corps des mannequins sont une négation des aspects féminins du corps.

    Toutes les photos de mode et beauté sont retouchées et 80% des photos retouchées concernent des femmes.

    Une réelle position féministe est de dénoncer les normes physiques qu’imposent aux femmes l’industrie de la mode et l’industrie cosmétique. En plus ces industries ont trouvé à élargir leur marché vers les hommes.

    Bien sûr qu’il y a une dimension ludique et d’auto-cajolation dans la mode et le maquillage.

    Mais les multinationales créent des normes et des angoisses qui leur permettent de faire du profit, affaiblissant ces aspects de jeu et de d’auto-câlinerie.

    La mode et la communication crées par ces industries aspirent une part significative des ressources des femmes, et stigmatisent celles qui n’ont pas les moyens, en détruisant une bonne partie de la créativité que les femmes (et les hommes) pourraient développer dans ces activités.

    Signé, sous un pseudo androgyne, par une femme.

    L’ennui aussi c’est que ce que sait vendre la France à l’extérieur, à part des avions militaires et autres armes de destruction massive, c’est ce genre de produits d’exploitation des femmes ...

  • Franck Keller et le #sexisme ordinaire pour bien commencer la rentrée - Café langues de putes
    http://cafelanguedepute.canalblog.com/archives/2014/08/31/30504440.html

    Chatte

    Et ça renvoie quoi comme message aux autres #femmes ? Vous crevez pas à la tache les filles, on vous traitera de manière aussi basse et vulgaire à tous les échelons que vous tenterez de gravir. A chaque pas en avant, à chaque succès, on vous rappellera votre genre (à propos de genre et d’égalité, les manifs des rétrogrades pour tous reprennent le 5 octobre : ICI)(#LaGerbeDeLautomne)

    On vous rappellera votre place.

    Entrecuisse

  • Tiré du #livre «#Lager italiani» de Marco ROVELLI
    sur les #Centres_de_Permanence_Temporaire (#CPT), en #Italie

    «Perché ci sono buchi dello spirito che si vorrebbero dimenticare più in fretta possibile, non si possono ricucire, e solo l’oblio può fare da cicatrice: vorremmo cancellare ciò che ci ha fatto male, e che continua a farci male a parlarne. Ma nessuno di loro si è rifiutato di parlarne, tutti quanti hanno voluto dare un nome a quel vuoto che li ha inghiottiti per un tempo privo di forma»

    Stefca Stefanova, «Voci salvate (come un’introduzione)», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.11.

    «Il centro di detenzione di Vincennes è nel cuore di un bosco. Nascosto, separato, invisibile. […] Il rifiuto, e in generale degli europei, di voler prendere su di sé lo sguardo dell’altro. Il rifiuto di voler guardare. La scelta di dormire. E per una di quelle astuzie della storia piene di senso, è proprio a Vincennes che venivano imprigionati i militanti del Fronte di Liberazione Nazionale di Algeria»

    Alì, «Prima profezia», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.28.

    «Il luogo di passaggio tra il dentro e il fuori è il nulla di un campo. CPT, si chiama, centro di permanenza temporanea, ma Abdelali non conosce ancora così bene l’italiano da far notare l’incongruenza dell’espressione alla legge che lo costudisce».

    Abdelali, «Il rovescio del sangue», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.41.

    «’Ti assicuro – dice Jihad. Ti assicuro che stare in un CPT è stata l’esperienza forse più traumatica di tutto il moi percorso di vita. Perché ti trovi con delle persone che non hanno un futuro. Chi finisce nel CPT è una persona annullata. Tu non esisti, è questo ciò che tutto intorno, ripete fino ad assordare»
    Non più esistenza. Non più tempo. Non più dimensioni. Solo un grande vuoto, senza orizzonte, senza prospettiva. E senza la prospettiva, lo sguardo non vede nulla. ’Si st anel buio totale’, dice Jihad. Nel buio totale lo sguardo si sforza, ma per quanto si sforzi continua a non vedere nulla, l’unico risultato è che i nervi si tendono, e a un certo momento si spezzano"

    Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.53.

    «In carcere, del resto, è così: lì un futuro ce l’hai, lo spazio che ti è toccato è in qualche misura tua, e lo curi. In un CPT, invece, in un posto dove si è tutte persone provvisorie, persone provvisoriamente annullate, si tende a lasciarsi andare, e questo non è sano»

    Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.54.

    «Annullati. Fino al riconoscimento stesso del proprio essere. In carcere, almeno, qualche diritto lo si detiene. Per quanto la pena sia lunga, per quanto il carcere sia un carnaio, non si cessa di essere una persona. Dire che qualcuno è una persona equivale a dire che ha dei diritti. Ma in un CPT, sebbene si sia detenuti peggio che in carcere, non si ha diritto neppure a dirsi detenuti. Il giudice e la guardia si sentono offesi, se tu dici di essere un detenuto. Non sei un detenuto, ti dicono sei un ospite. Tienilo bene a mente, tu sei un ospite. Qui sei trattenuto, non sei ristretto. Non è possibile essere presi, catturati, vinti più di così. Privati perfino del riconoscimento della cattura»

    Jihad, «L’umano cagnesco», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.54.

    «La cella di Samir diventa una stanza di preghiera, la moschea provvisoria. C’è il posto per la devozione, il Corano per essere recitato insieme a Rashid, che quando arriva nel centro occupa il letto libero accanto a Samir, e si fanno amici. E’ lì che Samir attende, e lì fa tre scioperi della fame per protestare contro la condizione di detenzione. Scioperano tutti, anche se sono scioperi brevi, di un giorno, il giorno dopo si riprende a mangiare, non si vedono sbocchi a quelle lotte. Una volta si sciopera perché quando si mangia viene sonno, cosa può essere se non il sedativo che mettono dentro al cibo. Già in infermeria le gocce si danno a valanga, vai dal medico, gli dici ’ho il mal di testa’. ’Prendi le gocce’, ti dice. Così tutti mettono il mangiare fuori dalla sezione, ’non vogliamo mangiare questa roba’, e arriva uno della Croce rossa, ’è normale – dice. Anch’io quando mangio mi viene sonno’. Ci sarebbe da ridere. ’Scusa – gli dice Samir. Non è mica la prima volta nella vit ache mangiamo, prima di entrare qui dentro mangiavo e non mi veniva sonno…’».

    Samir, «Lo strappo del Corano», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.65-66.

    «Quando fai un viaggio, prova a lasciare il portafoglio a casa, vai a vivere come una persona clandestin ache non ha casa. Devi fare questo prima di giudicare»

    Samir, «Lo strappo del Corano», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.73.

    «Fatawu aspetta. Non ha un lavoro. Va a scuola, ma impara poco, non riesce a concentrarsi. ’Ho la mente piena di problemi – dice. Non mi ci entra niente»

    Fatawu, «Exodus», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.109.

    «E pure, Jamal vede sempre il lato in luce delle cose. ’Il centro di accoglienza di Crotone era un posto veramente meraviglioso’, dice contro ogni tua aspettativa. Ti delude, Jamal. Ti attendevi parole aspre. E scopri, invece, che anche tu sei preso nel gioco di ruolo infernale in cui le parti principali sono quelle del carnefice, anche se ti disponi al tradimento – attendi dalla vittima che adempia al ruolo di vittima. Che invece la vittima trovi in sé la forza vitale di gioire pur nella tragedia – questo rimane escluso dal tuo orizzonte sacrificale. Jamal ti fa fare un passo nella tragedia: e ti offre il modo di sfuggire al gioco di ruolo. Jamal ha una forza vitale che tu non hai – ed è lui che si sporge a te, adesso»

    Jamal, «Lo specchio della fortuna», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.137.

    "’Quando loro mi danno il permesso, da questo momento è la partenza, è come se fossi venuto dal Marocco adesso’.
    La partenza. Ancora Jamal non è partito. Sono quattro anni che vive prima dell’inizio. Fa cose, lavora, si muove, ma ancora deve iniziare. Vive in un tempo sospeso, un tempo che non scorre, un tempo che non è davvero tempo. C’è solo la misura del suo travaglio, nella sua storia, nessun tempo. Il tempo inizierà solo quando gli daranno il permesso di soggiorno. ’Da questo momento – dice – comincia la partenza’. Comincia. La partenza. Da questo momento, dice non dice da quel momento, ché il momento della partenza lo vede sempre davanti a sé, ce l’ha sempre presente come ossessione, senza mai saperlo afferrare. ’La partenza comincia quando mi danno il permesso – dice – allora sei regolare’. Regolare è lo stato in cui si troverà nell’istante successivo alla partenza. ’Regolare – è una cosa… - una persona… una persona, come dicono loro, positiva. Sennò sempre trovi qualcuno che ti rompe l’anima, o qualcosa…’.

    Jamal, «Lo specchio della fortuna», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, p.142.

    «Il clandestino è l’ebreo di oggi. Egli è ridotto a ’sotto uomo’ prima dalla sinistra cultura retorica ’securitaria’, poi da una legge fascista che lo dichiara criminale per il solo fatto di essere ciò che è, un essere umano che ha fame e cerca futuro per sé e i suoi cari e che per questo viene privato di qualsivoglia status, sottoposto alla violenza della reclusione, sottratto alle tutele minime che spettano a un essere umano per diritto di nascita. Una volta sepolto in uno spazio di eccezione, il clandestino è alla mercé di arbitrii, percosse, torture, privazioni, abusi sessuali. Il suo ’rimpatrio’ lo sottopone a ulteriori brutali abusi e talora al rischio reale di perdere la vit anel modo più atroce».

    Moni OVADIA, «Il nazismo che è in noi», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, pp.282-283.

    #sans-papiers #migration #renvoi #expulsion #détention #rétention

    • Extraits de ce livre sur la #police et la #violence_policière:

      «Said li vede quando esce dalla stanza. I poliziotti sono in tenuta antisommossa, bardati di scudi, caschi e manganelli. Spedizione punitiva. Insieme a loro Said vede il responsabile della Croce rossa, che è il solo ad avere tutte le chiavi del campo. Said corre nella stanza del caffè, ’stanno arrivando – grida. Chiudiamoci dentro’. Come topi in trappola, certo, sono sei topi in trappola, e sanno bene che ciudersi dentro non servirà a fermarli. Ma è come per le urla, questo è l’unico modo di affermare la propria esistenza: resistere, anche se la resistenza è votata al fallimento.
      I poliziotti sono davanti alla porta, adesso. Cominciano a picchiare con i manganelli. Un compagno di Said ci prova. ’Ispettore – dice – non c’è bisogno che sfondi la porta, la apriamo e ne parliamo». Non sa – o forse sì, lo sa, ma è sempre il grido della disperazione – che questo peggiora la sua situazione: loro sono uomini senza parola, e parlare non è cos ache gli compete. Infatti l’ispettore non accetta di trattare. «No – dice. Io la porta la sfondo, e sfondo anche voi». L’ispettore è un uomo di parola. Appena entra lo colpisce con il manganello. Poi entrano altre guardie, una decina. Il sangue si sparge dappertutto, sulla macchina del caffè, sulle sedie, sulla tv. A Said gli aprono la testa e rompono un dito.
      Quando hanno fatto, e non è restato più nessuno in piedi, se ne vanno. Lanciano dei lacrimogeni e si chiudono la porta alle spalle. Nella stanza non ci sono finestre, si soffoca, ma i ragazzi non hanno il coraggio di alzarsi e uscire. Sentono urla, dalle altre stanze. Tocca a tutti, non deve mancare nessuno all’appello. Bisogna che gli si scriva sul corpo, a ognuno di loro, che sono uomini senza parola.
      Finito l’appello, tutti quanti vengono radunati nel corridoio, in fila. Sono stati tutti scritti con cura, ma è evidente che ci vuole il sigillo, una firma ben chiara e indelebile. Il sigillo dura tre ore. Tutti in piedi, esposti a nuove manganellate, pugni, schiaffi. A Said un poliziotto spacca lo scudo in testa. Sputi in faccia, insulti gridati nelle orecchie. E tu che devi stare fermo, immobile, per non subire di peggio. Accanto a Said qualcuno sviene. Un agente gli mette un piede sul torace, come il cacciatore sulla bestia accoppata, guarda soddisfatto la sua collega, «E’ un motore a tre cilindri, questo bastardo, funziona ancora».
      […]
      ’Non avete capito che qui comanda la polizia? Che questo è un territorio separato dall’Italia? Che la legge l’hanno fatta per noi? Non avete capito che possiamo fare tutto quello che vogliamo? Se non volete andare al vostro paese in carne e ossa, vi ci facciamo andare noi a pezzi, pezzi di merda…’
      […]
      Dice ’Secondo me è stata un’azione preparata nei più piccoli dettagli, per dare l’esempio agli ospiti del CPT che quel posto è tagliato fuori dal mondo e che in quel posto solo la polizia detta la legge. Noi clandestini, come ci chiamano loro, dobbiamo solo subire, perché, come ci dice la polizia non abbiamo il diritto di denunciarli. Siamo carne da macello, solo quello’.

      Said «Il buio dentro gli occhi», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, pp. 47-48.

      «’E i poliziotti, loro sono razzisti: anche il primo giorno, quando siamo arrivati a Lampedusa, nessuno che ci abbia detto una parola buona. Parlavano con noi come fossimo animali. E questo anche dopo, al Regina Pacis, anche ad Agrigento, anche fuori, anche adesso’. Quando viene la polizia o carabinieri Montassar cambia strada»

      Montassar, «Mare Nostrum», in: Marco ROVELLI, Lager italiani, BUR, 2006, pp. 94.

  • Scandalo a Lampedusa: il centro accoglienza come un lager
    –-> #scandale à #Lampedusa: le #centre_d'accueil comme un #lager

    AGGHIACCIANTI LE IMMAGINI DIFFUSE IERI SERA DAL TG2. SCENE CRUDE. TREMENDE. DOVE S VEDONO GLI IMMIGRATI NUDI, ALL’APERTO, DURANTE UN TRATTAMENTO ANTISCABIA

    http://www.linksicilia.it/2013/12/scandalo-a-lampedusa-il-centro-accoglienza-come-un-lager

    #Italie #migration #asile #réfugiés

  • « Brigitte » pourrait revoir sa politique « anti-mannequin »
    http://www.lemonde.fr/style/article/2012/09/03/brigitte-pourrait-revoir-sa-politique-anti-mannequin_1755071_1575563.html

    Le nouveau rédacteur en chef envisage, en effet, une refonte du magazine créé en 1954. « Tout est à l’étude, y compris la politique du ’pas de mannequins’ », a souligné le porte-parole, en refusant de fournir davantage de précisions jusqu’à ce que la nouvelle stratégie soit adoptée. En dix ans, les ventes de Brigitte ont reculé de 802 000 à 602 000, selon la Süddeutsche Zeitung, mais le porte-parole de Gruner + Jahr n’était pas en mesure de commenter ces chiffres.

    Selon le quotidien allemand, le travail des photographes et des stylistes est rendu plus difficile avec des mannequins d’un jour : le magazine doit notamment chercher ces femmes sans l’aide d’agences spécialisées.

    Par ailleurs, l’initiative de Brigitte a fait l’objet de vives critiques. Le styliste allemand Karl Lagerfeld l’avait ainsi qualifiée d’"absurde". La mode n’est faite que de « rêves et d’illusions », avait argué le directeur artistique de la maison Chanel.

    Quant aux lectrices du magazine, elles sont nombreuses à s’être plaintes que les modèles sollicités avaient en réalité quasiment les mêmes mensurations que les professionnelles.

    #presse_féminine #mannequinat #Lagerfeld

  • L’omerta se fissure : une contributrice de L’Express Styles dit (prudemment) du mal de Karl Lagerfeld !
    http://www.lexpress.fr/styles/mode/j-admire-karl-lagerfeld-j-execre-le-masque-du-kaiser_1106045.html

    Karl Lagerfeld est admirable, cela ne fait aucun doute. Mais il est aussi pathétique. Et même si cela ne fait aucun doute non plus pour beaucoup d’entre nous, l’autocensure est tellement pratiquée qu’il est devenu aujourd’hui plus politiquement incorrect d’exprimer une quelconque critique à son sujet qu’être de gauche en plein Maccarthysme.

    (...)

    Quand je pensais à écrire cet article, tout le monde a essayé de me faire reculer. « Tu ne pourras plus rien faire dans ton domaine », « tu seras persona non grata partout et pour toujours ».. Les réactions étaient tellement violentes qu’elles ont terminé de me convaincre de la nécessité de ce papier. Mais de quoi parle-t-on ? Nous sommes dans l’univers de la mode, que je sache, pas dans celui du nucléaire et de ses influences dans les relations internationales !

    (...)

    Ce qui nous emmène à sa grande hantise : la vieillesse.

    Nous sommes d’accord, la vieillesse n’est pas facile à vivre, je pense que c’est le cas pour la plupart des gens, mais ce quasi-octogénaire (il devrait avoir 80 ans l’année prochaine même s’il ne veut pas le reconnaitre) y est complètement phobique. Mieux qu’un lifting ? Essayez donc les grandes lunettes noires, les costumes étriqués, le grand col pour un cou qui pend et surtout, coup de génie, dissimulez la partie du corps qui témoigne le mieux de l’âge tout en garantissant une modernité absolue : mettez des mitaines ! Oui, même en été ! Eh non, même en plein été cet accoutrement ne sera pas ridicule car vous êtes le pape de la mode. Voilà.

    (...)

    Sa peur de la vieillesse et des kilos, il nous la fait payer. Tout le monde doit supporter l’agression esthétique que représente l’omniprésence de son image de maitre du goût, tout en se faisant insulter par celui-ci.

    Pourquoi déteste-t-il les gros ? Parce qu’il a une phobie personnelle des formes qu’il impose à la planète entière. On le comprend, il a toujours faim le pauvre, mais c’est quand même le comble qu’aujourd’hui ce soit l’ex-gros caché derrière son éventail qui fasse la pluie et le beau temps quant à la ligne qu’il faudrait avoir. Seules les personnes très, très célèbres font figures d’exception à sa dictature de la maigreur. Dans ces cas-là, son goût pour la célébrité et son besoin de vampiriser l’air du temps prennent le dessus. Ouf, les Adèle et autres Beth Ditto sont sauvées !

    #Lagerfeld #poids #mode