• ITALY : UPTICK IN CHAIN-REMOVALS

    While the exact number of persons arriving via the Slovenian-Italian border is unknown, there has been a sharp rise since April (http://www.regioni.it/dalleregioni/2020/11/09/friuli-venezia-giulia-immigrazione-fedriga-ripensare-politiche-di-controllo-) of people entering Italy from the Balkan route. Not only in Trieste, but also around the province of #Udine, arrivals have increased compared to last year. In Udine, around 100 people (https://www.ansa.it/friuliveneziagiulia/notizie/2020/11/30/migranti-oltre-cento-persone-rintracciate-nelludinese_9fdae48d-8174-4ea1-b221-8) were identified in one day. This has been met with a huge rise in chain pushbacks, initiated by Italian authorities via readmissions to Slovenia. From January to October 2020, 1321 people (https://www.rainews.it/tgr/fvg/articoli/2020/11/fvg-massimiliano-fedriga-migranti-arrivi-emergenza-98da1880-455e-4c59-9dc9-6) have been returned via the informal readmissions agreement, representing a fivefold increase when compared with the statistics from 2019.

    In this context, civil society groups highlight that “the returns are being carried out so quickly there is no way Italian authorities are implementing a full legal process at the border to determine if someone is in need of international protection.” The pushbacks to Slovenia appear to be indiscriminate. According to Gianfranco Schiavone (https://www.thenewhumanitarian.org/news-feature/2020/11/17/europe-italy-bosnia-slovenia-migration-pushbacks-expulsion), from ASGI (Associazione per gli studi giuridici sullʼim-migrazione), “[they] have involved everybody, regardless of nationality,” he said. “They pushed back Afghans, Syrians, people from Iraq, people in clear need of protection.” As stated by Anna Brambilla, lawyer at ASGI, the Italian Ministry of the Interior (https://altreconomia.it/richiedenti-asilo-respinti-al-confine-tra-italia-e-slovenia-la-storia-d):
    “confirmed that people who have expressed a desire to apply for international protection are readmitted to Slovenia and that readmissions are carried out without delivering any provision relating to the readmission itself.”

    Crucially, the well publicised nature of chain removals from Slovenia, and onwards through Croatia, mean the authorities are aware of the violent sequence they are enter-ing people into, and thus complicit within this #violence.

    But instead of dealing with this deficit in adherence to international asylum law, in recent months Italian authorities have only sought to adapt border controls to apprehend more people. Border checks are now focusing on trucks, cars and smaller border crossings (https://www.youtube.com/watch?v=fu4es3xXVc8&feature=youtu.be

    ), rather than focusing solely on the military patrols of the forested area. This fits into a strategy of heightened control, pioneered by the Governor of the Friuli Venezia Giulia Region Massimiliano Fedriga who hopes to deploy more detection equipment at the border. The aim is to choke off any onward transit beyond the first 10km of Italian territory, and therefore apply the fast tracked process of readmission to the maximum number of new arrivals.

    https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/BVMN-November-Report.pdf

    #asile #migrations #réfugiés #refoulements #push-backs #Italie #Slovénie #droit_d'asile #frontières #contrôles_frontaliers #10_km #refoulements_en_chaîne

    –—

    Ajouté à la métaliste sur la création de #zones_frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
    https://seenthis.net/messages/795053

    • Schiavone: «#Lamorgese ammetta che l’Italia sta facendo respingimenti illegali»

      «Le riammissioni informali dei richiedenti asilo non hanno alcuna base giuridica», spiega Gianfranco Schiavone, del direttivo dell’Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione. Nel 2020 sono state riammesse in Slovenia 1301 persone. «Sostenere, come ha fatto la ministra dell’interno Lamorgese durante l’interrogazione del deputato di Leu, Erasmo Palazzotto, che la Slovenia e soprattutto la Croazia siano “Paesi sicuri” nonostante le prove schiaccianti della violenza esercitata dalla polizia croata sulle persone in transito, ha dell’incredibile, un’affermazione indecorosa»

      Quelle che il governo italiano chiama “riammissioni” in realtà altro non sono che respingimenti illegali dei profughi che arrivano dalla Rotta Balcanica a Trieste e Gorizia. Pakistani, iracheni, afghani, e talvolta anche siriani che avrebbero diritto di chiedere asilo nel nostro Paese ma neanche mettono piede sul suolo italiano che già sono in marcia per fare forzatamente la Rotta Balcanica al contrario: all’Italia alla Slovenia, dalla Slovenia alla Croazia, dalla Croazia alla Bosnia.

      Lo scorso 13 gennaio il deputato di Leu, Erasmo Palazzotto durante la sua interrogazione ha ricordato alla ministra dell’Interno Lamorgese quanto sia disumano quello che sta succedendo in Bosnia, alle porte dell’Europa e di come testimoni il fallimento dell’Unione nella gestione dei flussi migratori sottolinenando che "Il nostro Paese deve sospendere le riammissioni informali verso la Slovenia e porre la questione in sede di Consiglio Europeo per gestire in maniera umana questo fenomeno. Va messa la parola fine a questa barbarie”. Ma Lamorgese sembra ancora continuare a non curarsi di quello che avviene dentro i nostri confini. Nel 2020 sono state respinte illegalmente in Slovenia 1301 persone.

      «Quello che succede al confine italiano sono veri e propri respingimenti illegali», spiega Gianfranco Schiavone, del direttivo di Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. «Anche nel 2018 si erano registrati casi di respingimenti illegittimi ma in numero contenuto. Allora la risposta fu principalmente quella di negare i fatti. In ogni caso, oggi, il fenomeno dei respingimenti illegali è aumentato enormemente in termini di quantità ma soprattutto nella loro rivendicazione ideologica. Mentre in passato la giustificazione poggiava sulla tesi che non si trattasse di richiedenti asilo oggi si tende a giustificare (pur usando volutamente un linguaggio ambiguo) che si possono respingere anche i richiedenti perchè la domanda di asilo si può fare in Slovenia».

      Stando a quanto ha affermato la ministra le riammissioni sono possibili in virtù dell’accordo bilaterale firmato dai due Paesi, Italia e Slovenia, nel 1996. Si tratta di “riammissioni” effettuate non in ragione del ripristino dei controlli alle frontiere interne, mai formalmente avvenuto, ma in applicazione dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996, che contiene previsioni finalizzate a favorire la riammissione sul territorio dei due Stati sia di cittadini di uno dei due Stati contraenti sia cittadini di Stati terzi.

      «In primis», spiega Schiavone, «occorre rilevare come tale accordo risulti illegittimo per contrarietà al sistema costituzionale interno italiano e per violazione di normative interne. È infatti dubbia la legittimità nell’ordinamento italiano dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia e di ogni altro analogo tipo di accordi intergovernativi per due ordini di ragioni: nonostante abbiano infatti una chiara natura politica, essi non sono stati ratificati con legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 Cost.;in quanto accordi intergovernativi stipulati in forma semplificata, in ogni caso essi non possono prevedere modifiche alle leggi vigenti in Italia (altro caso in cui l’art. 80 Cost. prevede la preventiva legge di autorizzazione alla ratifica) e dunque essi neppure possono derogare alle norme di fonte primaria dell’ordinamento giuridico italiano. In ogni caso, anche volendo prescindere da ogni ulteriore valutazione sui profili di illegittimità dell’Accordo di riammissione è pacifico che ne è esclusa appunto l’applicazione ai rifugiati riconosciuti ai sensi della Convenzione di Ginevra (all’epoca la nozione di protezione sussidiaria ancora non esisteva) come chiaramente enunciato all’articolo 2 del medesimo Accordo. Del tutto priva di pregio sotto il profilo dell’analisi giuridica sarebbe l’obiezione in base alla quale l’accordo fa riferimento ai rifugiati e non ai richiedenti asilo giacché come è noto, il riconoscimento dello status di rifugiato (e di protezione sussidiaria) è un procedimento di riconoscimento di un diritto soggettivo perfetto i cui presupposti che lo straniero chiede appunto di accertare. Non v’è pertanto alcuna possibilità di distinguere in modo arbitrario tra richiedenti protezione e rifugiati riconosciuti dovendosi comunque garantire in ogni caso l’accesso alla procedura di asilo allo straniero che appunto chiede il riconoscimento dello status di rifugiato. A chiudere del tutto l’argomento sotto il profilo giuridico, è il noto Regolamento Dublino III che prevede che ogni domanda di asilo sia registrata alla frontiera o all’interno dello Stato nel quale il migrante si trova. Una successiva complessa procedura stabilita se il Paese competente ad esaminare la domanda è eventualmente diverso da quello nel quale il migrante ha chiesto asilo e in ogni caso il Regolamento esclude tassativamente che si possano effettuare riammissioni o respingimenti di alcun genere nel paese UE confinante solo perchè il richiedente proviene da lì. Anzi, il Regolamento è nato in primo luogo per evitare rimpalli di frontiera tra uno stato e l’altro. Violare, come sta avvenendo, questa fondamentale procedura, significa scardinare il Regolamento e in ultima analisi, il sistema europeo di asilo. È come se fossimo tornati indietro di trent’anni, a prima del 1990».

      Inoltre secondo la ministra "la Slovenia aderisce alla Convenzione di Ginevra e che la stessa Slovenia, come la Croazia sono considerati Paesi sicuri sul piano del rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Pertanto le riammissioni avvengono verso uno stato europeo, la Slovenia, dove vigono normative internazionali analoghe a quelle del nostro paese”.

      «Lamorgese», continua Schiavone, «ha fatto una figura veramente imbarazzante che ricade sul nostro Paese. Bisogna avere il coraggio di ammettere che abbiamo fatto una cosa illegale riammettendo i richiedenti asilo in Slovenia e da là, attraverso una collaudata catena, in Crozia e infine in Bosnia. E anche se nell’audizione dice tre parole, solo un piccolo inciso, sul fatto che non possono essere riamessi i migranti che hanno fatto richiesta d’asilo, nei fatti la sostanza non cambia. Infine sostenere che la Slovenia e soprattutto la Croazia siano “Paesi sicuri” nonostante le prove schiaccianti della violenza esercitata dalla polizia croata sulle persone in transito ha dell’incredibile. Un ministro non può permettersi di dire che quelli sono Paesi sicuri, perchè per i migranti della Rotta Balcanica non lo sono. E alla domanda “come finirà la questione?” La ministra non è stata in grado di formulare nessuna risposta chiara sul fatto che verrà posta fine alla pratica delle riammissioni dei richiedenti. Ed è forse questa la cosa più grave».

      http://www.vita.it/it/article/2021/01/18/schiavone-lamorgese-ammetta-che-litalia-sta-facendo-respingimenti-ille/158020

  • La ministra #Lamorgese vuole un nuovo codice di condotta per le ong

    Un nuovo codice di condotta per le ong: sarebbe questa la proposta della ministra dell’interno #Luciana_Lamorgese che il 25 ottobre ha convocato al Viminale le organizzazioni non governative attive nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. La proposta ha sorpreso gli operatori umanitari, che avevano già sottoscritto un altro controverso codice di condotta nell’estate del 2017 al termine di una lunga campagna di criminalizzazione che li accusava di essere “taxi del mare”. Durante l’incontro, la ministra Lamorgese ha accusato le navi di soccorso delle ong di essere un fattore di attrazione (#pull_factor) per i migranti che scappano dalla Libia a bordo di imbarcazioni e gommoni.

    L’accusa di pull factor è particolarmente rilevante, perché era stata usata sia contro la missione umanitaria governativa Mare nostrum nel 2013 da parte di alcuni governi europei sia contro le navi umanitarie alla fine del 2016 e ha costituito il nucleo centrale intorno al quale si sono articolate tutte le accuse contro le ong del mare negli ultimi anni. Tuttavia è stata smentita da numerosi studi e ricerche universitarie come quella dell’università Goldsmith di Londra e quella di Matteo Villa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Secondo lo studio dell’università Goldsmith, le partenze dalla Libia sono aumentate nei primi quattro mesi del 2015, per esempio, quando in mare non c’erano navi di soccorso, né militari né civili.

    L’Ispi, che raccoglie i dati delle partenze dalla Libia dal 2014 e li mette in relazione con la presenza di navi di soccorso, ha escluso in maniera categorica che ci sia una relazione tra le partenze e la presenza delle navi. In un’intervista recente il ricercatore #Matteo_Villa aveva detto a Internazionale: “Dal 1 gennaio al 24 settembre 2019 sono partite dalla Libia una media di 46 persone al giorno in presenza di navi di soccorso e 45 persone al giorno in assenza di navi di soccorso. Un numero identico di persone”.

    Le crisi in mare
    All’incontro al Viminale, a cui hanno partecipato anche funzionari del ministero dell’interno, del ministero degli esteri e del Comando generale delle capitanerie di porto, erano presenti rappresentanti delle ong Medici senza frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, Sea Eye, Sea Watch e Sos Meditérranée che hanno portato alla ministra le loro richieste: rimettere al centro l’obbligo del soccorso in mare, evitare ritardi, omissioni di intervento e mancanza di comunicazione sulle imbarcazioni in difficoltà, sospendere la collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica che intercetta le persone in mare e le riporta indietro in Libia, violando il diritto internazionale, definire con l’Europa un sistema strutturale e condiviso di sbarco in un vicino porto sicuro, evitando giorni di stallo e attesa in mare in condizioni di difficoltà.

    Nel secondo governo Conte le crisi in mare sono continuate, ma sono durate in media di meno rispetto al primo governo Conte, quando il ministro dell’interno era Matteo Salvini: la crisi più lunga durante il Conte 1 è durata venti giorni, secondo i dati raccolti dall’Ispi. Mentre nel Conte 2 la crisi più lunga è durata undici giorni.

    Le ultime crisi in mare hanno riguardato la Ocean Viking, di Medici senza frontiere e Sos Meditérranée, che è attraccata nel porto di Pozzallo dopo undici giorni di stallo in mare; la nave Alan Kurdi, ancora in mare dopo sei giorni con 90 persone a bordo; e la nave Open Arms, che ha recentemente soccorso 15 persone.

    Il nuovo codice di condotta
    Il primo codice di condotta, imposto alle ong nell’estate del 2017, era un regolamento di tipo amministrativo, firmato dalla maggior parte delle ong attive in quel momento. Il codice vietava, tra le altre cose, alle navi umanitarie di entrare nelle acque territoriali libiche, di spegnere i transponder delle navi, di fare segnali luminosi e di fare trasbordi. Gli operatori umanitari giudicarono la maggior parte di quelle norme inutili, perché già previste dalle normative marittime internazionali e in generale dannose perché avrebbero potuto rallentare gli interventi di soccorso e rafforzare nell’opinione pubblica italiana l’idea che le ong stessero agendo non in linea con le leggi internazionali e che non si stessero coordinando con le autorità.

    Nella bozza di accordo di Malta – redatta dai ministri dell’interno di Italia, Germania, Francia, Malta e Finlandia alla fine di settembre del 2019 – è stata inglobata una parte delle regole del codice di condotta italiano del 2017. Questo elemento confermerebbe la volontà dell’attuale ministero dell’interno italiano di imporre un nuovo codice di condotta alle ong, in una situazione che però è radicalmente cambiata rispetto al passato, perché nel frattempo a coordinare i soccorsi non c’è più la Centrale operativa della guardia costiera italiana (Mrcc), come avveniva invece nel 2017. La Libia nel 2018 ha proclamato l’istituzione di una propria zona di ricerca e soccorso (Sar), che gli è stata concessa dalle autorità marittime internazionali. Nella bozza dell’accordo di Malta infatti si chiede alle ong di non interferire con l’attività della cosiddetta guardia costiera libica.

    E infine anche i libici hanno redatto un proprio codice di condotta per le ong, che è stato consegnato alle autorità italiane il 9 ottobre e che è allo studio di guardia di finanza, marina militare e guardia costiera. Il codice libico non è un semplice regolamento come quello italiano, bensì è un decreto firmato dal presidente Fayez al Serraj sulle “regole di comportamento relativo al lavoro delle organizzazioni internazionali e non governative nell’area Sar libica”. Il codice libico impone alle ong che vogliono operare nella Sar libica di coordinarsi obbligatoriamente con la Centrale operativa di Tripoli e di registrarsi presso le autorità dello stato nordafricano.

    Il codice, inoltre, impone alle navi umanitarie di chiedere l’autorizzazione a Tripoli per operare soccorsi e inoltre stabilisce il diritto dei guardacoste libici di salire a bordo delle imbarcazioni per motivi di ordine legale o inerenti alla sicurezza e di sequestrare le navi e portarle in Libia nel caso che sia riscontrata una violazione del codice libico. Uno scenario particolarmente allarmante e in contrasto con le leggi internazionali, se si considera che le ong finora hanno rifiutato quasi sempre il coordinamento dei soccorsi da parte della Libia, un paese considerato non sicuro. Resta quindi da capire in che modo il nuovo codice di condotta italiano terrà conto delle regole stabilite dai libici.

    https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/10/31/lamorgese-codice-condotta-ong
    #code_de_conduite #code_de_conduite_bis (après celui de #Minniti, #2017) #ONG #sauvetage #asile #migrations #frontières #Méditerranée

  • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong
    Articolo (1)

    Definizioni:

    Nell’applicazione delle disposizioni si specifica sotto il significato dei Termini usati.

    Dispositivo: Dispositivo di guardia costiera e la sicurezza dei porti

    Autorità marittima Libica: Autorità portuali e trasporto marittimo

    Organizzazioni: Organizzazioni governativi e non governativi impegnati nel salvataggio degli immigrati clandestini nel mare

    Immigrati: Immigrati clandestini

    Area dichiarata: Area marittima di ricerca e salvataggio sotto controllo dello stato Libico come previsto dal coordinamento dell’organizzazione internazionale marittima (#IMO)

    Il centro (#LMRCC): Il centro di coordinamento delle ricerche e salvataggio marittimo Libico dipendente del consiglio di guardia costiera e la sicurezza dei porti.

    Autorità esecutiva: Autorità di competenza del dispositivo di guardia delle coste e sicurezza dei porti o qualsiasi altra entità autorizzata da parte del governo Libico.

    Unità Marittime: Navi e barche usati da parte delle organizzazioni governativi e non governativi impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (2)

    Sono regolate a seconda delle disposizioni di questa tabella, le misure di cooperazione nella zona di ricerca e salvataggio marittimo sotto responsabilità dello stato Libico e secondo quanto dichiarato dall’organizzazione marittima internazionale (IMO) del 10 Giugno 2017

    Articolo (3)

    Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (4)

    Il Dispositivo della Guardia Costiera e Sicurezza dei porti si occupa di:

    Gestione dell’area di ricerca e salvataggio nelle acque Libiche
    Comando delle operazioni di ricerca e salvataggio nella Zona dichiarata.

    Il Centro di ricerca e salvataggio marittimo LMRCC coordina le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo nella regione.

    Articolo (5)

    Le organizzazioni interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo nell’area gestita dal Dispositivo, devono presentare una domanda di autorizzazione che alleghiamo al presente accordo, secondo il modello (T.T.A./019). Il Dispositivo si occupa della trasmissione della domanda alle autorità marittime Libiche per il rilascio dell’autorizzazione di collaborazione a seconda delle normative.

    Articolo (6)

    Le unità marittime affiliate all’organizzazione di ricerca e salvataggio in mare, durante il lavoro nell’area devono fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento – al centro di coordinamento libico per il salvataggio in mare (LMRCC).

    Articolo (7)

    In caso d’ingresso, per i casi emergenziali e speciali, nelle acque territoriali libiche, si può ricevere assistenza immediata previo autorizzazione e supervisione del centro(LMRCC).

    Articolo (8)

    Le unità marittime affiliate all’ organizzazione s’impegnano a lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto. A non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area dichiarata e a lasciargli la precedenza d’intervento.

    Articolo (9)

    Le unità marittime delle organizzazioni s’impegnano e si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro (LMRCC) e (si impegnano) a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa che intendano implementare autonomamente anche se è considerata necessaria e urgente nell’area.

    Articolo (10)

    I capitani delle navi affiliate alle organizzazioni che lavorano nell’area, devono notificare tutti gli interventi legati alla sicurezza marittima o altri atti sospetti.

    Articolo (11)

    Per quanto riguarda il diritto di visita, il personale del Dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera.

    Articolo (12)

    I naufraghi salvati nell’area, da parte delle organizzazioni, non vengono rimandati allo Stato Libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza.

    Articolo (13)

    Dopo il completamento delle operazioni di ricerca e salvataggio da parte delle organizzazioni, le barche e i motori usati nelle operazioni di contrabbando, saranno consegnati allo Stato libico e saranno sottoposti all’applicazione della legislazione in vigore.

    In tutte le circostanze va avvisato il Centro su tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza di navigazione e il rischio d’inquinamento durante le attività di ricerca e salvataggio marittimo.

    Articolo (14)

    Salvo le comunicazioni necessarie nel contesto delle operazioni di salvataggio e, per salvaguardare la sicurezza delle vite in mare, le unità marittime affiliate alle organizzazioni s’impegnano a non mandare nessuna comunicazione o segnale di luce o altri effetti per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso loro.

    Articolo (15)

    Secondo il capitolo V della convenzione internazionale per la sicurezza delle vite in mare(SOLVAS-74) e le sue Modifiche; non sospendere o ritardare i tempi regolari dei segnali d’identificazione sistematica (AIS) e i segnali d’identificazione e localizzazione a lungo raggio(LRIT) delle navi per garantire la sicurezza della navigazione e la sicurezza delle navi che non sono coinvolte nelle operazioni di ricerca e salvataggio.

    Articolo (16)

    In conformità alle sue competenze di controllo, il Dispositivo controlla tutte le navi e unità marittime affiliate alle organizzazioni che violano le disposizioni del presente regolamento e le conducono al porto marittimo libico più vicino.

    Articolo (17)

    L’autorità marittima, nell’area dichiarata, esegue la procedura d’infrazione con le navi e le unità sequestrate e sospettate in coordinamento con le altre autorità coinvolte. E ove applicabile saranno esposte davanti alla procura pubblica.

    Articolo (18)

    In caso di violazione del presente accordo sarà ritirata l’autorizzazione di cooperazione rilasciata all’organizzazione che opera nell’area, verrà cancellato il nome dell’organizzazione e non sarà concessa un’altra autorizzazione in caso di ripetizione delle violazioni degli obblighi contenuti nel presente accordo.

    Articolo (19)

    Il presente decreto entra in vigore dalla sua data di emissione, l’autorità vigilano alla sua esecuzione

    14/09/2019

    http://www.integrationarci.it/2019/10/29/migranti-il-governo-libico-emette-decreto-per-neutralizzare-le-ong
    #Libye #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #ONG #décret #gardes-côtes

    Commentaire de Sara Prestianni, via la mailing-list Migreurop:

    Après avoir crée une zone SAR et un MRCC (grâce au soutien logistique italien et aux fonds européen) le Gouv Serraj produit un code de conduite pour les ong qui entreraient dans la zone SAR Libyenne - qui rassemble beaucoup au code de conduit proposé par Minniti en l’été 2017 - et qui de fait met sous coordination des libyens leurs actions.

    #code_de_conduite #SAR #Libye #SAR_libyenne #Minniti

    Sur le code de conduite de 2017:
    https://seenthis.net/messages/514535#message614460
    Et plus largement ici:
    https://seenthis.net/messages/514535

    • Migranti, il governo libico emette decreto per neutralizzare le Ong

      Ecco il testo: “Autorizzazione preventiva al soccorso, polizia a bordo e sequestro per chi non obbedisce, i naufraghi mai in Libia”

      Il decreto, emesso dal Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico, porta la data del 14 settembre e ha come oggetto “il trattamento speciale delle organizzazioni internazionali e non governative nella zona libica di ricerca e salvataggio marittimo”. E’ stato inviato anche in Italia ed è un grottesco quanto pericoloso tentativo di ostacolare ancor di più l’operato delle navi umanitarie ma soprattutto di aggredirle con operazioni di polizia con la minaccia di condurle e sequestrarle nei porti libici. Un decreto che, alla vigilia della scadenza del patto tra Italia e Libia, desta ulteriori preoccupazioni anche perché alle Ong, che continuano ad operare in zona Sar libica, non è mai stato sottoposto. Ma è già, almeno sulla carta operativo. E, per assurdo che sembri, prevede che i naufraghi salvati non possano essere portati in Libia.Il decreto, che Repubblica ha consultato tradotto dall’ufficio immigrazione Arci, consta di 19 articoli ed esordisce così: “Si applicano le disposizioni del presente regolamento a tutte le organizzazioni governative e non governative impegnate nella ricerca e salvataggio marittimo”.

      Alle Ong “interessate a collaborare nella ricerca e salvataggio marittimo” è imposto di presentare una preventiva domanda di autorizzazione alle autorità libiche a cui sono obbligate “ a fornire periodicamente tutte le informazioni necessarie, anche tecniche – relative al loro intervento.Ed ecco le condizioni che vengono imposte alle navi umanitarie: “lavorare sotto il principio di collaborazione e supporto, non bloccare le operazioni di ricerca e salvataggio marittimo esercitato dalle autorità autorizzate dentro l’area e lasciare la precedenza d’intervento”. “Le Ong si limitano all’esecuzione delle istruzioni del centro e si impegnano a informarlo preventivamente su qualsiasi iniziativa anche se è considerata necessaria e urgente”.E poi gli articoli che più preoccupano le Ong perché preludono ad un intervento di tipo poliziesco e autorizzano la Guardia costiera libica a salire a bordo delle navi. “Il personale del dispositivo è autorizzato a salire a bordo delle unità marittime ad ogni richiesta e per tutto il tempo valutato necessario, per motivi legali e di sicurezza, senza compromettere l’attività umana e professionale di competenza del paese di cui la nave porta la bandiera”.

      L’articolo 12 è il più contraddittorio perché a fronte di una rivendicazione di coordinamento assoluto degli interventi di soccorso nella sua zona Sar, prescrive che “i naufraghi salvati dalle organizzazioni non vengono rimandati nello stato libico tranne nei rari casi eccezionali e di emergenza”. La Libia invece vuole “le barche e i motori usati”.Alle Ong è richiesto di “non mandare alcuna comunicazione o segnale di luce per facilitare l’arrivo d’imbarcazioni clandestine verso di loro.Infine le sanzioni: “ tutte le navi che violano le disposizioni del presente regolamento verranno condotte al porto libico più vicino e sequestrate. E non verrà più concessa alcuna autorizzazione”.

      “Il «codice Minniti libico» per le Ong è, come quello dell’ex Ministro italiano, un atto che punta ad ostacolare e criminalizzare i salvataggi in mare - commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -Per di più è illegittimo, essendo stato emanato non da uno stato sovrano, ma da una delle parti in causa nella guerra civile in atto. Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà complice di questi criminali.Il «codice Minniti libico» conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, le ragioni che ci spingono a chiedere la cancellazione degli accordi con la Libia e l’azzeramento del Memorandun. Per cambiare pagina si ponga fine a questa follia e si metta subito in campo un piano straordinario di evacuazione delle persone detenute.”

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/29/news/migranti_il_governo_libico_emette_decreto_per_neutralizzare_le_ong-239783
      #gardes-côtes_libyens