• L’Italie accepte les naufragés du Mare Jonio mais place en quarantaine ceux du Sea Watch - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/25507/l-italie-accepte-les-naufrages-du-mare-jonio-mais-place-en-quarantaine

    Le navire humanitaire italien Mare Jonio a été autorisé à débarquer ses 67 rescapés au port sicilien de Pozzallo, samedi, moins de 24 heures après le sauvetage. Peu après, l’équipage de l’Allemand Sea Watch 3, a reçu, quant à lui, l’autorisation de transférer ses 211 naufragés sur un ferry au large des côtes siciliennes où ils ont été placés en quarantaine pour 14 jours. L’ONG allemande dénonce « un système à deux vitesses ».
    Il s’agit du premier débarquement depuis les mesures de confinement prises à travers l’Europe en raison du Covid-19 : les 67 migrants secourus par le navire humanitaire Mare Jonio ont été accueillis au port de Pozzallo en Sicile, samedi 20 juin, journée mondiale des réfugiés. Leur débarquement intervient moins de 24 heures après leur sauvetage, vendredi, au large des côtes de l’île italienne de Lampedusa

    #Covid-19#migrant#migration#italie#lampedusa#sicile#debarquement#sante#quarantaine

  • Recherche. Ce que les vibrations des ampoules trahissent de nos conversations

    Des chercheurs israéliens ont mis au point une technique qui permet de reconstituer une conversation rien qu’en captant, à distance, les vacillements induits par les sons sur la lumière d’une ampoule.

    https://www.courrierinternational.com/article/recherche-ce-que-les-vibrations-des-ampoules-trahissent-de-no

    Si c’est vrai, le résultat est bluffant (et flippant), écouter par ex Let it be des Beatles :

    https://www.nassiben.com/lamphone

    https://www.youtube.com/watch?v=t32QvpfOHqw

    #Lamphone #espionnage #vie_privée #renseignement #technologie #surveillance

  • #De_l'autre_côté

    Hamza est un jeune tunisien résolu à quitter son pays par tous les moyens. De moyen, il n’en a qu’un seul : payer des passeurs pour traverser la méditerranée sur un minuscule bateau de pêche plein à craquer, et rejoindre clandestinement l’Europe et la France.
    Pourtant Hamza a des attaches, une compagne, une famille, des amis avec qui il a lutté durant les révolutions arabes. Mais il aspire a autre chose qu’une vie de misère, il veut aller au-delà de ce qu’il connaît, affronter le réel, croire que la vie a autre chose à lui offrir. Il n’est pas naïf, il sait que les risques sont grands, et minces les espoirs d’une vie meilleure, mais il veut voir par lui-même. Cette traversée est une expérience intime.
    Car Hamza est un rêveur et toujours ses images mentales, ses espoirs, ses peurs viennent se mêler à la réalité extérieure, la contaminer, lui offrir une échappatoire et un but à poursuivre. Si sa situation est particulière, ses aspiration sont universelles. Qui n’a jamais rêvé de partir, de se réinventer ?
    Le danger pour lui n’est pas simplement de mourir noyé, de se voir terrassé par la faim, d’être renvoyé d’où il vient, de ne pas trouver de logement, de travail, mais également de se voir privé de ce qui fonde sa condition d’homme : ses #espoirs, ses #craintes, son #imaginaire.

    http://enfantsrouges.com/les-titres/isturiale/de-lautre-cote
    #BD #livre #migrations #Tunisie #Méditerranée #Lampedusa #migrants_tunisiens #printemps_arabe

  • Il naufragio di Lampedusa - Wikiradio del 3/10/2017 - Rai Radio 3 - RaiPlay Radio

    Raccontato da #AlessandroLeogrande | Il 3 ottobre 2013 un’imbarcazione proveniente dalle coste libiche con a bordo 540 persone naufraga al largo di Lampedusa
    con Alessandro Leogrande

    Repertorio

    – estratti della notizia del naufragio del 3/10/2013 da:
    Gr1 edizione delle 11.30, Gr3 edizione 18.45 , Giornale radio flash GR Parlamento edizione delle 23.02, TG di LA7 edizione delle 20, TG1 edizione delle 17 - Archivi Rai

    – 3 frammenti dal documentario I giorni Della Tragedia - Lampedusa 03 Ottobre 2013 - Filmaker Antonino Maggiore Music Giacomo Sferlazzo e Achref Chargui Editing Antonino Maggiore production LiberaEspressione

    – Eritrea. Dietro la guerriglia - tg2 dossier 1978 - reportage di Franco Ferrari - Archivi Rai

    – notizia del naufragio al largo delle coste libiche avvenuto il 17 aprile 2015 - Gr1 del 19/04/2015

    – 2 frammenti da Piazza pulita La7, del 12/12/2013

    Brani musicali

    – Bahri Lampedusa, Hani Mihreteab (Omaggio alle vittime della tradedia di Lampedusa)

    – Lampedusa, Toumani Diabate

    https://www.raiplayradio.it/audio/2017/09/Il-naufragio-di-Lampedusa---Wikiradio-del-3102017-5840d80b-7a79-477b-aa

    #podcast #migration #lampeduse #italie #naufrage #wikiradio #Libye
    @cdb_77

  • Il memoriale voluto dal pescatore-eroe per ricordare la strage di Lampedusa

    A Lampedusa è stato inaugurato il memoriale ideato da Vito Fiorino per le ricordare tutte le vittime della strage del 3 ottobre 2013, con il supporto dell’associazione #Gariwo. Durante l’inaugurazione l’abbraccio tra i superstiti e i pescatori di vite umane che quel giorno salvarono i superstiti del naufragio dove morirono 366 persone


    http://www.vita.it/it/article/2019/10/03/il-memoriale-voluto-dal-pescatore-eroe-per-ricordare-la-strage-di-lamp/152843
    #mémoriel #mémoire #Lampedusa #3_octobre_2013 #monument #migrations #asile #réfugiés #naufrage #Méditerranée #Vito_Fiorino #mourir_en_mer

  • The Invisible Wall of #Lampedusa: Landscaping Europe’s Outer Frontier

    Two people are standing by a beaten-up Toyota on an arid, scrub-covered hilltop in the middle of nowhere. They are looking at the valley, keeping a safe distance from the edge. They have to make sure they are not visible from down there, to avoid any trouble. From where they stand, they can see only the roofs of the buildings at the bottom of the valley, some red and white prefabs making their way out of the green vegetation. Getting closer to the edge, they can probably see people walking between the buildings, hanging clothes out to dry on their fences, maybe playing football or talking outside. We’ve all seen these scenes on TV. But they can’t get any closer, otherwise the soldiers might confiscate their cameras. Instead, they will just take nice pictures of the valley, the prickly pears and the scattered agaves lining the hillsides. Even of the sea, in the background.


    https://failedarchitecture.com/the-invisible-wall-of-lampedusa-landscaping-europes-outer-fronti
    #séparation #division #murs #frontières #in/visibilité #ségrégation #migrations #asile #réfugiés #camps #paysage #CPSA #Centro_di_Primo_Soccorso_e_Accoglienza #Porta_d’Europa #monument #port #Molo_Favaloro

    via @isskein
    ping @mobileborders @reka

    Et la conclusion:

    Broadly speaking, Lampedusa serves as evidence of the complexity of the spatial implications of political borders, when they do not translate into physical barriers. The narrative around migration that currently permeates Europe has not necessitated a physical wall in Lampedusa, but it has taken the form of a network of artefacts, whose collective purpose is to produce the spectacle of a border.

  • Lampedusa e la Madonna di Porto Salvo.

    A partire dal 2009 il #collettivo_Askavusa ha recuperato nella discarica dell’isola e nei vari “cimiteri dei barconi” tantissimi oggetti appartenuti alle persone di passaggio dall’isola che provenivano e provengono da diversi paesi dell’Africa e non solo. Tra questi oggetti: testi sacri, fotografie, lettere, oggetti di varia natura. Con questi oggetti #Askavusa ha realizzato #PortoM un luogo polifunzionale di memoria e riflessione storico/politica su #Lampedusa e sulla questione delle migrazioni, inserendo il discorso in una cornice più ampia a partire da due domande: “Perchè le persone sono costrette a lasciare il proprio paese?” e “Perchè la maggior parte della popolazione mondiale non può viaggiare in maniera regolare senza rischiare la vita e senza essere criminalizzata?”. Da queste due domande si articola un ragionamento con cui i visitatori di PortoM sono chiamati ad interagire.

    Da quest’anno il collettivo Askavusa vuole praticare la diffusione sul territorio di questi oggetti con l’obbiettivo di stimolare il ragionamento sulle migrazioni nella comunità lampedusana e in tutte le persone che l’attraversano, cercando di mantenere viva la memoria di quello che è accaduto in questi anni. Grazie alla sensibilità ed alla collaborazione di Don Carmelo La Magra il primo luogo che ospiterà uno di questi oggetti è il Santuario della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa, luogo che è la spina dorsale della storia dell’isola e che ha visto pregare vicini Cristiani e Musulmani, rifugio di schiavi e naufraghi ed eremitaggio in varie epoche.

    Giorno 18 settembre alle ore 18.00 verrà collocata in una nicchia del Santuario una statuetta in legno raffigurante la Madonna con il Bambino arrivata su un barcone insieme a persone migranti nei primi anni del 2000, una statuetta che probabilmente proviene dall’Etiopia. La statuetta era stata regalata al maestro d’ascia Giuseppe Balistreri da alcuni pescatori che l’avevano ritrovata su un “barcone”. Balistreri a sua volta la donò al collettivo Askavusa.

    Per l’occasione il cantautore e attivista lampedusano Giacomo Sferlazzo racconterà servendosi di un cartellone da cantastorie realizzato grazie alla collaborazione del Forum Lampedusa Solidale la “Leggenda di Andrea Anfossi” accompagnato dal polistrumentista Jacopo Andreini, dal percussionista Giovanni Costantino e da uno dei massimi virtuosi di oud, il tunisino Achref Chargui. In seguito verranno esposti una serie di testi sacri, principalmente Bibbie, anche queste ritrovate dal collettivo Askavusa.

    La solidarietà deve essere necessariamente accompagnata dalla riflessione storico/politica e dall’esercizio della memoria e in questo senso Lampedusa può divenire un laboratorio privilegiato nel mediterraneo. La storia delle immagini della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa è legata a quella del Mediterraneo, sono state diverse le effige che l’hanno rappresentata, dal quadro con la Madonna il Bambino e Santa Caterina d’Alessandria che probabilmente proviene dal Monastero di Santa Caterina in Egitto alla copia della statua della Madonna di Trapani che venne fatta realizzare per ricordarne la fuga dalla “terra santa” e il passaggio da Lampedusa prima di essere collocata definitivamente nella cattedrale di Trapani.

    Da sempre il santuario dell’isola è stato legato agli schiavi, ai naufraghi e al dialogo interreligioso, una sorta di porto franco in cui vi erano: attrezzi per la navigazione, biscotti secchi, vestiti e tutto quello che poteva servire a chi sbarcava a Lampedusa, svariate leggende narrano di come chi non ne avesse bisogno e rubasse qualcosa veniva intrappolato dalle tempeste che si scatenavano attorno ai mari dell’isola fino a quando la refurtiva non fosse stata restituita.

    A partire dai primi anni novanta l’isola è stata travolta dalle politiche della frontiera UE subendo un’enorme pressione di tipo politico/mediatico che insieme al turismo di massa e alla militarizzazione ha aperto tensioni profonde all’interno della comunità.

    Riteniamo che a partire dalla figura della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa che unisce tutti gli isolani, la comunità debba riflettere e confrontarsi sul ruolo che vuole avere nel Mediterraneo, sugli errori commessi e sull’uso che il potere ne ha fatto fino ad oggi in un clima di dialogo e serenità e per trovare una posizione condivisa. Per questo giorno 20 alle ore 18.00 presso l’Area Marina Protetta si terrà un’assemblea pubblica per aprire un dibattito nella comunità sul tema: “Lampedusa nel Mediterraneo, nella storia e nel contemporaneo a partire dalla figura della #Madonna_di_Porto_Salvo e dall’uso che ne ha fatto il potere dominante”.

    https://askavusa.wordpress.com/2019/09/01/lampedusa-e-la-madonna-di-porto-salvo
    #naufrages #objets #mémoire #monument #sculpture #art #art_et_politique #Italie #migrations #asile #réfugiés
    ping @mobileborders

  • Da un confinamento all’altro. Il trattenimento illegittimo nell’hotspot di Messina dei migranti sbarcati dalla #Sea-Watch

    Le persone sbarcate il 29 giugno a Lampedusa, dopo un’attesa di 17 giorni in mare a bordo della #Sea-Watch_3, si trovano attualmente in una condizione di trattenimento illegale all’interno del centro hotspot di Messina.

    Questa vicenda palesa l’urgenza di interrogarsi su quanto avviene a seguito degli sbarchi. Dopo l’approdo sulla terra ferma, infatti, si apre una fase di sostanziale invisibilità, nel corso della quale vengono spesso violati i diritti fondamentali dei cittadini stranieri, a cominciare dal diritto alla libertà personale e dal diritto di asilo, entrambi di rilievo costituzionale.

    I cittadini stranieri, finalmente approdati a Lampedusa, sono stati condotti nel locale hotspot, sito in Contrada Imbriacola, dove sono stati identificati e sottoposti a una particolare e ambigua forma di trattenimento fino al 4 luglio. I cancelli dell’hotspot di Lampedusa sono infatti costantemente chiusi e presidiati e non sussiste alcuna forma di regolamentazione dell’ingresso e dell’uscita dei cittadini stranieri. Se i cittadini stranieri chiedono alle forze di polizia e ai militari di poter uscire dal cancello, gli viene chiatamente risposto che l’uscita non è possibile. Tuttavia in alcuni casi le persone escono da fori nella recinzione, prassi conosciuta dalle autorità che generalmente non vi si oppongono.

    Evidentemente, i cittadini stranieri che non vogliono violare una regola che sembra implicita nella struttura del centro o che per vari motivi non sono in grado di attraversare la recinzione vivono a pieno la condizione di trattenimento. In seguito alla permanenza a Lampedusa, le persone sono state trasferite presso il centro hotspot di Messina dal quale, ad oggi, non possono uscire. Dal loro arrivo in Italia, avvenuto 11 giorni fa, i cittadini stranieri, che per 17 giorni sono stati in mare in attesa dell’assegnazione di un porto di sbarco, si trovano in una condizione di detenzione arbitraria.

    Passando a esaminare i profili giuridici di questa vicenda, si segnala che prima della attribuzione ai cittadini stranieri della condizione di richiedenti protezione internazionale o della notifica di un ordine di allontanamento per coloro ai quali non è riconosciuto il diritto a rimanere sul territorio nazionale, nessuna forma di limitazione della libertà personale può essere attuata nei centri hotspot. La discussa legge 132/2018, infatti, introduce per la prima volta la possibilità di trattenere i cittadini stranieri nei centri hotspot, attraverso le ipotesi, di dubbia legittimità costituzionale, del trattenimento del richiedente asilo volto alla determinazione o verifica di identità o cittadinanza e del trattenimento del cittadino straniero destinatario di un provvedimento di espulsione in caso di assenza di posti nei centri di permanenza per il rimpatrio, ipotesi nelle quali il trattenimento è possibile solo attraverso l’emissione di un ordine scritto e convalidato dall’autorità giudiziaria. Nel caso delle persone soccorse dalla Sea-Watch, come in numerosi altri casi, le autorità si limitano, tuttavia, a privare di fatto le persone della loro libertà, senza notificare alcun provvedimento e senza che queste persone possano mai incontrare un giudice che si esprima sulla legittimità del trattenimento.

    È utile ancora una volta ricordare che qualsivoglia forma di privazione della libertà personale che non sia esplicitamente prevista dalla legge, disposta con ordine scritto dell’autorità giudiziaria o da altra autorità e convalidata dall’autorità giuridiziaria entro 48 ore dall’adozione del provvedimento, costituisce una lesione del principio di inviolabilità della libertà personale contenuto nell’art. 13 della Costituzione.

    Tuttavia, nonostante la sua palese illegalità, tale forma di trattenimento è nei fatti accettata da tutti gli attori – pubblici e privati – inquadrati all’interno della governance dei processi migratori. Autorità di polizia, operatori degli enti di tutela e funzionari delle agenzie europee contribuiscono a riprodurre queste prassi detentive. Il perpetuarsi di tali comportamenti ha determinato un immaginario secondo il quale l’hotspot è considerato complessivamente e tout court come un luogo detentivo.

    Tale forma di detenzione, di per sé grave, illegittima e da contrastare e sanzionare, nel caso delle persone soccorse dalla Sea-Watch 3 assume caratteri grotteschi. La detenzione arbitraria viene imposta in questa circostanza, per 11 giorni, a persone che per 17 giorni hanno visto la propria libertà limitata al territorio di una nave, in condizioni materiali estremamente precarie.

    Quella che abbiamo davanti è una vicenda specifica. Riguarda singoli cittadini stranieri, ciascuno con la propria biografia, i propri desideri e i propri bisogni. Allo stesso tempo, questa vicenda si iscrive, in maniera più generale, all’interno della politica degli hotspot. La violazione illegittima della libertà personale alla quale sono sottoposte queste persone, infatti, è in continuità con quanto osservato negli ultimi tre anni, in contesti e tempi diversi.

    Se osservata alla luce dell’ordinamento giuridico nella sua complessità, questa vicenda assume una proporzione inquietante. Si tratta, a tutti gli effetti, di una forma macroscopica di arbitrio. Le autorità statali detengono uno specifico gruppo sociale al di fuori della normativa vigente. È una violazione così rilevante che non può che interrogare profondamente – e invitare alla mobilitazione giudiziale e civica – la società civile e le sue organizzazioni.

    Possiamo provare a immaginare quali sentimenti possano accompagnare, in questi giorni, la detenzione di questi migranti. È probabile che la permanenza nell’hotspot di Messina sia caratterizzata da incertezza, paura, spaesamento. Da un’altra prospettiva, anche chi, come noi, osserva la detenzione dall’esterno, è attraversato da una profonda inquietudine. Questo arbitrio sembra essere un puntuale indicatore della complessiva torsione autoritaria che attraversa il nostro paese: il diritto applicato ai cittadini stranieri ne è, anche in questa circostanza, cartina tornasole.

    A fronte di tali macroscopiche violazioni, le organizzazioni sottoscriventi, considerando intollerabile che la libertà personale di chiunque possa essere violata con forme di trattenimento di fatto fuori dei casi e dei modi previsti tassativamente dalla legge e sotto il controllo giurisdizionale come prescrivono l’art. 13 della Costituzione e le norme internazionali in un paese in cui dovrebbe vigere lo stato di diritto:

    Sollecitano le autorità competenti a predisporre l’immediata liberazione dei cittadini stranieri trattenuti illegalmente all’interno del centro hotspot di Messina;
    Invitano le autorità a fornire informazioni chiare e pubbliche in relazione alla condizione giuridica e alle procedure a cui sono sottoposti i cittadini stranieri attualmente trattenuti nel centro hotspot di Messina;

    Invitano il Garante nazionale per le persone detenute o private della libertà personale a disporre immediate ispezioni nei centri di Lampedusa e di Messina al fine di constatare le effettive circostanze in cui si trovano le persone trattenute illegalmente e ad informarne immediatamente il Ministro dell’interno, il Parlamento e l’opinione pubblica.

    https://www.asgi.it/notizie/da-un-confinamento-allaltro-il-trattenimento-illegittimo-nellhotspot-di-messina

    Reçu via la mailing-list de Migreurop par Sara Prestianni, 11.07.2019, avec ce commentaire:

    Après 17 jours à bord du bateau #SeaWatch3, débarqués le 29 juin, les migrants ont été amené dans l’hotspot de #Lampedusa où ont été identifié où y sont restés jusqu’au 4 juillet. Les portes de l’hotspots étaient fermés mais les autorités semblaient fermés un yeux devant les sorties par des trous de l’enceinte du camp. Ils ont été ensuite transférés dans l’hotspot de Messina d’où ils ne peuvent pas sortir. Depuis 11 jours après les 17 en mer les migrants se trouvent en une forme de #enfermement arbitraire. Il est importante de rappeler que tout forme de #privation_de_liberté personne qui ne soit validé par un juge après 48 heures (procedure pas prévu dans les hotspot) constitue une violation de la liberté personne prévu à l’art 13 de la Constitution Italienne.

    #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #Méditerranée
    #sauvetage_et_après?

  • #Lampedusa è lo specchio dell’Italia

    Come racconta l’antropologo Marco Aime nel sul libro L’isola del non arrivo (Bollati Boringhieri 2018) i lampedusani hanno sempre denunciato la loro condizione d’isolamento e di abbandono da parte del governo, dovuta alla posizione remota dell’isola, più vicina alle coste nordafricane che a quelle italiane. Questo disinteresse è ciclicamente interrotto dall’improvviso emergere sulla scena di una nuova crisi, reale o strumentale, legata all’immigrazione e al controllo della frontiera. E ogni volta viene fatto un racconto dell’isola stereotipato in cui gli abitanti non si ritrovano. “Ognuno vive l’isola in maniera diversa, ma i mezzi d’informazione ne raccontano un solo volto, quello più spettacolare, più scenografico. Sì, perché Lampedusa è diventata l’isola degli sbarchi, e già il termine induce una certa ansia. ‘Sbarco’ evoca subito Normandia, Anzio, i garibaldini. A ‘sbarcare’ sono solitamente i nemici, gli eserciti. Invece qui la gente arriva, approda, naufraga, non sbarca”, scrive Aime nel suo libro.

    https://www.internazionale.it/opinione/annalisa-camilli/2019/07/05/lampedusa-italia-sea-watch
    #sbarco #sbarcare #terminologie #mots #peur #préjugés #terminologie #vocabulaire #débarquement #débarquement_de_Normandie #asile #migrations #réfugiés #Italie

  • Le « Sea-Watch 3 » toujours bloqué au large de Lampedusa après avoir forcé le blocus italien
    https://www.mediapart.fr/journal/international/280619/le-sea-watch-3-toujours-bloque-au-large-de-lampedusa-apres-avoir-force-le-

    En pénétrant dans les eaux territoriales italiennes mercredi, Carola Rackete, capitaine du navire humanitaire « Sea-Watch 3 », a forcé le blocus italien, bravant ainsi l’interdiction du ministre de l’intérieur d’extrême droite Matteo Salvini. L’ONG espère pouvoir débarquer les 40 migrants secourus au large de la Libye qui sont à bord. Depuis, le navire attend les instructions des autorités maritimes en face du port de l’île de Lampedusa.

    #Note_de_veille #Lampedusa,_Italie,_Matteo_Salvini,_libye,_migrants,_Sea-Watch

    • Migrants : le « Sea-Watch 3 » force le blocus italien vers Lampedusa

      Bloqué depuis 14 jours au large de l’île de Lampedusa avec 42 migrants à son bord, le navire humanitaire Sea-Watch 3 a décidé ce mercredi 26 juin de forcer le blocus des eaux territoriales italiennes.

      Le Sea-Watch 3 était bloqué depuis deux semaines devant l’île italienne après une nouvelle opération de secours au large de la Libye. Sur les sites de trafic maritime, les relevés du navire humanitaire battant pavillon néerlandais montrent clairement qu’après avoir navigué le long de la ligne des eaux italiennes pendant une dizaine de jours, il l’a franchie à la mi-journée en direction du port de Lampedusa.

      « J’ai décidé d’entrer dans le port de Lampedusa. Je sais ce que je risque, mais les 42 naufragés à bord sont épuisés. Je les emmène en lieu sûr », a annoncé ce mercredi sur Twitter la jeune capitaine allemande du Sea-Watch 3, Carola Rackete.

      « Nous ferons usage de tous les moyens démocratiquement permis pour bloquer cette insulte au droit et aux lois », a réagi Matteo Salvini, le ministre italien de l’Intérieur, dans une vidéo sur Facebook, dénonçant le « petit jeu politique sordide » de l’ONG, mais aussi l’indifférence affichée par les Pays-Bas, dont le Sea-Watch 3 bat le pavillon, et l’Allemagne, le pays de l’ONG. Les gouvernements de Berlin et La Haye « en répondront », a menacé M. Salvini.

      Conformément au récent « décret sécurité » adopté par le gouvernement italien, la capitaine du navire humanitaire et les responsables de Sea Watch risquent désormais des poursuites pour aide à l’immigration clandestine, la saisie du bateau et une amende de 50000 euros.

      Mardi, la Cour européenne des droits de l’homme, saisie par l’ONG allemande, avait refusé d’intervenir en urgence. Elle avait cependant demandé à l’Italie de « continuer de fournir toute assistance nécessaire » aux personnes vulnérables se trouvant à bord. Sur les 53 migrants que le Sea-Watch 3 avait secourus le 12 juin au large de la Libye, Rome a déjà accepté le débarquement de onze personnes vulnérables. Des dizaines de villes allemandes se sont dites prêtes à accueillir les migrants. L’évêque de Turin, Cesare Nosiglia, a annoncé lundi que son diocèse proposait de les prendre en charge.

      Le recours déposé à la CEDH était la seule solution qui nous restait avant de devoir entrer dans les eaux italiennes. Mais la CEDH a déclaré que la responsabilité italienne ne pouvait pas être engagée tant que notre bateau se trouvait dans les eaux internationales. Nous n’avions donc qu’une option : entrer dans le territoire italien.

      En janvier dernier déjà, 32 migrants secourus par le Sea-Watch étaient restés bloqués 18 jours à bord, avant de pouvoir débarquer à Malte grâce à accord de répartition entre plusieurs pays européens.

      L’odyssée du Sea Watch 3

      L’odyssée du Sea Watch 3 débute le 12 juin dernier, au large de la Libye. Alerté par une patrouille aérienne, le navire se porte au secours de 53 personnes en perdition sur un Zodiac dans les eaux internationales. Dans la journée, il reçoit l’ordre du gouvernement italien de faire route vers Tripoli, opportunément déclaré « port sûr » par les gardes-côtes libyens après l’opération de secours. Mais l’équipage refuse.

      Trois jours plus tard, une inspection sanitaire mène au débarquement de trois familles, 10 personnes en tout, dont une femme enceinte et des enfants. Mais entre-temps, le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a signé un décret inédit, un décret interdisant au Sea Watch 3 de débarquer en Italie. L’ONG fait appel de cette décision, mais en vain.

      À partir de cette date, c’est le blocage. Avec 42 personnes à bord, le Sea Watch 3 longe sans issue les eaux territoriales italiennes au large de Lampedusa, dans une chaleur étouffante. Et finalement c’est donc mardi que la Cour de justice européenne, saisie par l’équipage et les passagers, se déclare incompétente pour contraindre le gouvernement italien à changer de position. La capitaine Carola Rackete a alors publié sa décision sur Twitter : « Les 42 naufragés à bord sont épuisés, dit-elle. Je les emmène en lieu sûr ».

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1143859524559941632?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11
      http://www.rfi.fr/europe/20190626-migrants-sea-watch-blocus-lampedusa

    • I portuali di Genova pronti ad accogliere la Sea Watch

      «Possiamo bloccare i porti ma anche aprirli»

      «Per quanto ci riguarda, la Sea Watch 3 può fare rotta verso il nostro porto, per noi saranno i benvenuti. Possiamo bloccare i porti, ma anche aprirli». Così il collettivo autonomo dei lavoratori portuali di Genova in un post pubblicato questa notte su facebook, poche ore prima che la nave battente bandiera olandese con a bordo 42 migranti forzasse il blocco al largo di Lampedusa. La nave, scrivono i portuali, «dovrà trovare una solidarietà concreta e attiva e tutta la forza di cui i lavoratori e gli antirazzisti saranno capaci. Noi non siamo degli eroi, nè dei politici. Qualcuno ci ha definito ’piantagrane’. Siamo semplici lavoratori del porto di Genova ma proprio perchè lavoratori, non possiamo che riconoscerci nei valori fondanti del movimento operaio: la fratellanza tra esseri umani, la solidarietà internazionale».
      I ’camalli’ ricordano che «nelle ultime settimane abbiamo bloccato, non da soli certamente, per due volte il carico di una compagnia specializzata in traffico di armamenti, così come siamo stati in piazza per spiegare ai fascisti e a chi li proteggeva che nella nostra città non hanno alcuna speranza.
      Mentre si avvicina il 30 giugno e Salvini pensa di fare un’altra visita a Genova, noi non possiamo che ricordare a tutti, e innanzi tutto a noi stessi, che un altro caposaldo della tradizione operaia è la lotta. Sappiamo come bloccare i porti, possiamo farlo ancora».
      Intanto, questa sera sotto la prefettura di Genova, vari gruppi pacifisti hanno organizzato un presidio dalle 19 a mezzanotte di solidarietà dal titolo evocativo «e noi dormiamo sotto la prefettura», per unirsi alla protesta del parroco di Lampedusa che da giorni dorme sul sagrato della sua chiesa per chiedere lo sbarco dei migranti. Anche la Cgil ha annunciato la propria adesione.

      https://genova.repubblica.it/cronaca/2019/06/26/news/i_portuali_di_genova_pronti_ad_accogliere_la_sea_watch-229702593

      #Genova #Gênes

    • Sea Watch, #Orlando annuncia la cittadinanza onoraria allo staff della ong

      Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha deciso di voler consegnare la cittadinanza onoraria alla ciurma della Sea Watch 3, bloccata davanti al porto di Lampedusa con una quarantina di migranti a bordo. Il Ministro Salvini non ha autorizzato lo sbarco dei migranti e, difficilmente, accoglierà la richiesta della comandante che ieri sera ha deciso di puntare verso il porto sicuro di Lampedusa.

      Ora Orlando, da sempre impegnato nella sua campagna pro-migranti e volta all’accoglienza, decide di fare dello staff della Sea Watch dei palermitani onorari “per l’impegno mostrato – dice il primo cittadino – di fronte al drammatico ed inarrestabile flusso migratorio, contribuendo in modo determinante al salvataggio di vite umane.

      “Per rendere omaggio a cittadini e cittadine che negli ultimi mesi sono protagonisti di una operazione di umanità e professionalità; un atto di amore e coraggio che giorno dopo giorno ha salvato e salva vite umane, ridato speranze e costruito un ponte di solidarietà nel mare Mediterraneo, anche contro logiche, politiche e leggi che poco hanno di umano e civile.” Con queste parole, il Sindaco Leoluca Orlando ha annunciato di voler concedere all’equipaggio e allo staff della nave Sea-Watch la cittadinanza onoraria della città di Palermo, dopo quella concessa, con analoga motivazione, alla Guardia Costiera (ottobre 2015) e a Medici senza Frontiere (settembre 2015).

      http://www.mondopalermo.it/news/sea-watch-orlando-annuncia-la-cittadinanza-onoraria-allo-staff-della-on
      #Palerme #Palermo

    • La capitaine du Sea-Watch arrêtée après avoir accosté de force à Lampedusa

      Le Sea-Watch a accosté de force dans la nuit dans le port de Lampedusa, et sa jeune capitaine Carola Rackete a été arrêtée, avant que ne débarquent 40 migrants bloqués à bord depuis 17 jours.

      « Nous attendons encore et toujours une solution qui ne se dessine malheureusement pas. C’est pourquoi j’ai maintenant moi-même décidé d’accoster dans le port », a-t-elle déclaré dans une vidéo relayée par Sea-Watch sur les réseaux sociaux.

      Mercredi, cette Allemande de 31 ans, aux commandes du navire battant pavillon néerlandais, avait forcé le blocus des eaux territoriales italiennes imposé par le ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini (extrême droite). Mais le navire avait dû s’arrêter à un mille en face du petit port de Lampedusa et restait bloqué là depuis.

      Carola Rackete a finalement choisi de forcer le passage au beau milieu de la nuit, malgré la vedette de police chargée de l’en empêcher. « Nous nous sommes mis devant pour l’empêcher d’entrer dans le port mais rien (...). Si on était restés sur le chemin, (le Sea-Watch) aurait détruit la vedette », a commenté devant des caméras un policier qui se trouvait à bord.

      Un peu avant 3H00 (1H00 GMT), la police est montée à bord pour arrêter la jeune femme pour résistance ou violence envers un navire de guerre. La capitaine, qui risque jusqu’à 10 ans de prison selon les médias italiens, est descendue du navire encadré par des agents, sans menottes, avant d’être emmenée en voiture.

      Sur le quai, des habitants et militants sont venus acclamer l’arrivée du navire, tandis que d’autres ont applaudi l’arrestation aux cris de « Les menottes ! », « Honte ! », « Va-t’en ! »

      Si les pêcheurs et les habitants de Lampedusa ont été en première ligne de l’accueil des migrants depuis près de 30 ans, la Ligue de Matteo Salvini a obtenu 45% des voix aux élections européennes de mai sur l’île.

      « Nous sommes fiers de notre capitaine », a écrit sur les réseaux sociaux le président de l’ONG allemande, Johannes Bayer. « Elle a exactement fait ce qu’il fallait, elle a insisté sur le droit de la mer et a mis les gens en sécurité ».

      – Cinq pays d’accueil -

      Le parquet d’Agrigente (Sicile) avait ouvert une enquête jeudi contre Carola Rackete pour aide à l’immigration clandestine et non-respect de l’ordre d’un navire militaire italien de ne pas pénétrer dans les eaux territoriales italiennes.

      Les migrants ont pu débarquer peu après 5H30 (3H30 GMT), certains tout sourire, d’autres en larmes, alors que le jour se levait, pour être conduits dans le centre d’accueil de l’île.

      Malgré la fermeté affichée par M. Salvini, ce centre n’est jamais vide : Lampedusa a vu débarquer plus de 200 migrants pendant les deux semaines où le Sea-Watch est resté bloqué au large de l’île. Et plusieurs embarcations de fortune ont été signalées dans la nuit au large.

      Juste après, le Sea-Watch, conduit par les garde-côtes, est reparti pour s’ancrer au large.

      Les migrants du Sea-Watch avaient été secourus dans les eaux internationales au large de la Libye. Au fur et à mesure, 13 d’entre eux avaient été évacués vers Lampedusa, essentiellement pour des raisons médicales. Pour les 40 restants, c’était encore l’incertitude.

      Vendredi après-midi, le ministre italien des Affaires étrangères, Enzo Moavero, avait annoncé que cinq pays européens (France, Allemagne, Portugal, Luxembourg et Finlande) étaient disposés à les accueillir.

      La Commission européenne exigeait que les migrants soient à terre avant d’organiser la répartition, tandis que M. Salvini refusait de les laisser descendre avant d’avoir l’assurance qu’ils seront immédiatement transférés aux Pays-Bas, en Allemagne ou dans d’autres pays européens.

      Dans le même temps, le navire de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms patrouillait au large de la Libye, malgré la menace d’une amende de 200.000 à 900.000 euros brandie par les autorités espagnoles.

      « Si je dois payer par la prison ou par une amende le fait de sauver les vies de quelques personnes, je le ferai », a assuré Oscar Camps, fondateur de l’ONG.

      https://information.tv5monde.com/info/la-capitaine-du-sea-watch-arretee-apres-avoir-accoste-de-force

    • Sea Watch, migranti sbarcati a Lampedusa. Arrestata la comandante

      Sono sbarcati a Lampedusa i 40 migrati a bordo della Sea Watch, che era ferma da tre giorni al largo di Lampedusa. Prima di sbarcare dalla nave i migranti hanno salutato e abbracciato i volontari della ong che in queste due settimane li hanno assistiti. Gli uomini della Guardia di Finanza e della Polizia che stanno ponendo sotto sequestro l’imbarcazione.

      La capitana della nave Sea Watch, Carola Rackete, è ora in stato di arresto per violazione dell’Articolo 1100 del codice della navigazione: resistenza o violenza contro nave da guerra, un reato che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione.

      «Comportamento criminale della comandante della Sea Watch, che ha messo a rischio la vita degli agenti della Guardia di Finanza. Ha fatto tutto questo con dei parlamentari a bordo tra cui l’ex ministro dei trasporti: incredibile», ha commentato il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

      Carola Rackete andrà agli arresti domiciliari. E’ stato deciso dalla Procura di Agrigento che la accusa di resistenza e violenza a nave da guerra e tentato naufragio. La comandante della Sea Watch, arrestata all’alba dopo aver violato l’alt della Guardia di Finanza, è entrata nel porto di Lampedusa speronando una motovedetta delle Fiamme Gialle nel tentativo di arrivare in banchina.

      Il comandante della tenenza di Lampedusa delle Fiamme Gialle, luogotenente Antonino Gianno, ha prelevato personalmente la comandante a bordo della Sea Watch con l’ausilio di altri 4 finanzieri, notificandole in caserma il verbale di arresto. La comandante della Sea Watch potrebbe adesso essere trasferita nel carcere di Agrigento in attesa delle decisioni della Procura di Agrigento che coordina l’inchiesta.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/06/28/sea-watch-indagata-la-capitana.-nuovo-affondo-di-salvini-contro-lolanda-comport

    • Carola arrestata sulla banchina di Lampedusa sembra essere il contentino per un ministro che gridava « non scenderanno neanche a Natale » che ha dovuto consumare la sua becera vendetta nelle forme plateali dello spettacolo della violenza.

      4 paesi che accoglieranno 40 persone dopo settimane di trattative (e la chiamano solidarietà)

      In queste ore, in queste settimane, si é consumata l’ennesima pagina vergognosa della storia di questo paese, del diritto e della dignità umana.


      https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10219241344492453&set=a.1478670974789&type=3&theater

    • Sea Watch, la capitana Rackete andrà ai domiciliari: rischia fino a 10 anni di carcere – Il video dell’arresto

      La nave non aveva ricevuto l’autorizzazione ad attraccare. Durante le manovre, una motovedetta della gdf è rimasta schiacciata tra l’imbarcazione e la banchina. La capitana è accusata di resistenza e violenza a nave da guerra e tentato naufragio

      https://www.open.online/2019/06/29/la-sea-watch-e-entrata-nel-porto-di-lampedusa-il-video

    • Carola Rackete, « l’emmerdeuse » qui veut sauver les migrants

      Héroïne pour les défenseurs des migrants, « emmerdeuse » pour le ministre italien Matteo Salvini, Carola Rackete, jeune capitaine venue du froid, a bravé mercredi l’interdit et la prison pour faire débarquer les 42 migrants qu’elle avait secourus il y a deux semaines.


      https://www.levif.be/actualite/europe/carola-rackete-l-emmerdeuse-qui-veut-sauver-les-migrants/article-normal-1159337.html?cookie_check=1561628580

    • E vi segnalo che per poter arrestare #CarolaRackete hanno dovuto rispolverare un articolo del Codice della Navigazione promulgato nel 1942 (o nel XX come piaceva e ancora piace ad alcuni...) dal «Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia».

      https://twitter.com/kkvignarca/status/1144858140032339968?s=19

      Il s’agit de l’article 1100:
      Art. 1100 Codice Navigazione - Resistenza o violenza contro nave da guerra

      Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà.

      http://trovalegge.it/codice-navigazione/art-1100-codice-navigazione-resistenza-o-violenza-contro-nave-da-guerra

    • Carola Rackete, la capitaine du Sea-Watch arrêtée, reçoit des milliers de dons | Le Huffington Post
      https://www.huffingtonpost.fr/entry/carola-rackete-la-capitaine-du-sea-watch-recoit-des-milliers-de-dons-

      Cette semaine des milliers de dons ont afflué pour la soutenir au point de faire sauter le site de Sea-Watch mercredi et une cagnotte sur Facebook lancée il y a quatre jours pour payer les frais de justice de l’ONG et de “Capitaine Carola” a déjà récolté près de 370.000 euros. Un record pour l’ONG allemande qui vient au secours des migrants en mer.

    • Pas de la « violence », mais de la « désobéissance », dit la capitaine du Sea-Watch | Europe
      https://www.lapresse.ca/international/europe/201906/30/01-5232194-pas-de-la-violence-mais-de-la-desobeissance-dit-la-capitaine-du-

      « Je n’avais pas le droit d’obéir, on me demandait de les ramener (les migrants) en Libye. Mais du point de vue de la loi, ce sont des personnes qui fuient un pays en guerre, la loi interdit qu’on puisse les ramener là-bas ».

    • Lampedusa, la contestazione a Carola: «Resistenza contro una nave da guerra». Cosa rischia

      De Falco, l’ex comandante della Guardia Costiera, solleva il caso: «Contestazione sbagliata». Quindici anni fa, un caso simile, concluso poi con un’assoluzione.

      Alla comandante Carola Rackete, arrestata in flagranza e adesso agli arresti domiciliari, viene contestato di aver violato l’articolo 1100 del codice della navigazione: «Resistenza o violenza contro una nave da guerra». Così recita: «Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà».

      Una contestazione che ha già aperto un dibattito. Per Gregorio De Falco, ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore del Gruppo Misto, è un’accusa che non regge: «L’arresto di Carola Rackete è stato fatto per non essersi fermata all’alt impartito da una nave da guerra, ma la nave da guerra è altra cosa, è una nave militare che mostra i segni della nave militare e che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è il personale della Guardia di finanza. Non ci sono gli estremi». Per De Falco, «la Sea Watch è un’ambulanza, non è tenuta a fermarsi, è un natante con a bordo un’emergenza. La nave militare avrebbe dovuto anzi scortarla a terra».

      La comandante era già indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per un altro reato previsto dal codice della navigazione: il 1099, «Rifiuto di obbedienza a nave da guerra». Questa la contestazione: «Il comandante della nave, che nei casi previsti nell’articolo 200 non obbedisce all’ordine di una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione fino a due anni». Un ulteriore riferimento a una «nave da guerra».

      C’è poi un’altra questione giuridica. «Si può applicare una norma del nostro codice della navigazione a una nave straniera in assenza di espressa indicazione?», si chiede l’avvocato Giorgio Bisagna. Il legale, impegnato sul fronte della tutela dei migranti, dice: «Quando una norma si può applicare a una nave straniera, viene espressamente detto. E in questo caso, non ci sono specificazioni in tal senso».

      Bisagna ricorda un caso di quindici anni fa. La nave Cap Anamur forzò il blocco navale imposto dal governo Berlusconi, per impedire lo sbarco a Porto Empedocle dei naufraghi salvati. Ci furono 15 giorni di stallo in acque internazionali. Poi, il comandante e il presidente della Ong Cap Anamur furono arrestati e la nave sequestrata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Dopo 5 anni - dice l’avvocato Bisagna - il tribunale di Agrigento ha assolto gli imputati per aver agito in presenza di una causa di giustificazione: avevano adempiuto un dovere, quello di salvare delle persone in mare».


      https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/06/29/news/lampedusa_a_carola_contestano_la_resistenza_contro_una_nave_da_gu

    • Captain defends her decision to force rescue boat into Italian port

      Carola Rackete says act of ‘disobedience’ in Lampedusa was necessary to avert tragedy.

      An NGO rescue boat captain who has risked jail time after forcing her way into Lampedusa port in Italy with 40 migrants onboard has defended her act of “disobedience”, saying it was necessary to avert a tragedy.

      “It wasn’t an act of violence, but only one of disobedience,” the Sea-Watch 3 skipper, Carola Rackete, told the Italian daily Corriere della Sera in an interview published on Sunday, as donations poured in for her legal defence.

      Rackete, 31, from Germany, is accused of putting a military speedboat and the safety of its occupants at risk in the incident on Saturday.
      Rescue ship captain arrested for breaking Italian blockade
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      “The situation was desperate,” she said. “My goal was only to bring exhausted and desperate people to shore. My intention was not to put anyone in danger. I already apologised, and I reiterate my apology.”

      The Sea-Watch 3 had rescued the migrants off the coast of Libya 17 days earlier. They were finally allowed to disembark at Lampedusa and taken to a reception centre as they prepared to travel to either France, whose interior ministry said it would take in 10 of them, or to Germany, Finland, Luxembourg or Portugal.

      The Italian coastguard seized the rescue boat, anchoring it just off the coast.

      Rackete, who was placed under house arrest, is expected to appear before a judge early this week in the Sicilian town of Agrigento to answer charges of abetting illegal immigration and forcing her way past a military vessel that tried to block the Sea-Watch 3. The latter crime is punishable by three to 10 years in jail.

      Her arrest prompted a fundraising appeal launched by two prominent German TV stars, which had raised more than €350,000 (£314,000) by midday on Sunday.

      The comedian Jan Böhmermann, who launched the campaign with the TV presenter Klaas Heufer-Umlauf, said in a video posted on YouTube: “We are convinced that someone who saves lives is not a criminal. Anyone who thinks otherwise is simply wrong.”

      Rackete has become a leftwing hero in Italy for challenging the “closed-ports” policy of the far-right interior minister, Matteo Salvini.

      “I didn’t have the right to obey,” Rackete said. “They were asking me to take them back to Libya. From a legal standpoint, these were people fleeing a country at war [and] the law bars you from taking them back there.”

      The head of the NGO that operates the ship, Johannes Bayer, said Sea-Watch was “proud of our captain”.

      Böhmermann accused Salvini of “abusing rescuers at the Mediterranean Sea in order to turn the mood against refugees, against EU, and for an inhumane politics”.

      Salvini welcomed Rackete’s arrest. “Mission accomplished,” he tweeted. “Law-breaking captain arrested. Pirate ship seized, maximum fine for foreign NGO.”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/30/italy-refugee-rescue-boat-captain-carola-rackete-defends-decision

    • Sea Watch, #De_Falco ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore: «Carola Rackete dovrà essere liberata, non era tenuta a fermarsi»

      Sull’arresto della comandante della Sea Watch interviene #Gregorio_De_Falco, ex comandante della Guardia Costiera e attualmente senatore del Gruppo Misto.

      «L’arresto di Carola Rackete è stato fatto per non essersi fermata all’alt impartito da una nave da guerra ma la nave da guerra è altra cosa, è una nave militare che mostra i segni della nave militare e che è comandata da un ufficiale di Marina, cosa che non è il personale della Guardia di Finanza. Non ci sono gli estremi. La Sea Watch è un’ambulanza, non è tenuta a fermarsi, è un natante con a bordo un’emergenza. La nave militare avrebbe dovuto anzi scortarla a terra».

      «Sea Watch non avrebbe potuto andare in altri porti, il più vicino è Lampedusa e non aveva alcun titolo a chiedere ad altri, sebbene lo abbia fatto. Ha atteso tutto quello che poteva attendere - continua De Falco - finché non sono arrivati allo stremo; a quel punto il comandante ha detto basta ed è entrata per senso di responsabilità. È perverso un ordinamento che metta un uomo, o una donna in questo caso, di fronte a un dramma di questo tipo. Quella nave aveva un’emergenza e aspettava da troppo».

      https://www.diritti-umani.org/2019/06/sea-watch-de-falco-ex-comandante-della.html

    • La vergogna sul molo di Lampedusa

      Da dove vengono (e quale scelta ci impongono) le minacce sessiste urlate alla capitana Carola dai contestatori che l’hanno insultata mentre scendeva a terra.

      GLI INSULTI urlati sulla banchina a Lampedusa a Carola Rackete sono rimbalzati contro il suo volto sereno, non hanno scalfito quella compostezza data dalla consapevolezza di aver messo il proprio corpo a disposizione della propria responsabilità, cosa non scontata. Non scontata, in un Paese in cui il ministro dell’Interno, spaventato da un’eventuale condanna, si è sottratto al processo per sequestro di persona nel caso Diciotti facendosi salvare dalla sua maggioranza.

      Ma torniamo agli insulti. Sono stati abbastanza prevedibili. Nella parte non censurata di video che è stata postata, leghisti e grillini lampedusani urlano contro Carola: «Spero che ti violentino ’sti negri, a quattro a quattro te lo devono infilare». E ancora: «Ti piace il cazzo negro». La dinamica è tipica: da un lato il sesso visto come aberrazione, insulto, porcheria, vizio, e dall’altro il senso di inferiorità che qualcuno ha in questo campo verso l’africano.

      Per quanto possa sbalordire, uno dei motivi principali del razzismo verso gli immigrati africani è proprio la minaccia sessuale: è stato così negli Stati Uniti ed è così in Europa. Tutta la retorica razzista di Salvini sugli immigrati furbi invasori perché arrivano con corpi atletici e non sono scheletri affamati, nasconde un evidente complesso di inferiorità. Il «ti devono violentare» viene dalla bocca degli stessi che blaterano di violenza carnale ogni volta che discutono di immigrazione ciarlando con crassa ignoranza di mafia nigeriana, della quale non sanno nulla.

      Nel video spunta a un certo punto una voce tenue che dice: «Piccio’, non parlate accussì». È una donna, e si sta vergognando. È interessante capire come il leader di questi balordi abbia intenzione di commentare l’accaduto e che provvedimenti intenda prendere nei loro confronti. Chissà se questi miserabili sono coscienti che i leghisti del Nord usavano gli stessi insulti contro le persone che cercavano di difendere i meridionali. La cantilena allora era: «Li difendi perché ti piace scopare con i terroni». Che rabbia deve generare in un leghista una donna giovane in grado di fare una scelta così forte, in grado di gestire una tale situazione con nervi saldi e con dichiarazioni piene di responsabilità, una donna in grado di vivere la propria vita con autonomia, che non viene definita in quanto fidanzata di, moglie di, amante di. Ecco, una donna così per i leghisti deve essere insopportabile anche solo da immaginare. Ed è naturale che insultare una donna attraverso il sesso sia la cosa più scontata e facile per vomitare la propria frustrazione.

      Ma c’è una seconda parte degli insulti che raccontano bene il Paese. A urlare «le manette» e «venduta» è l’Italia forcaiola che conosco benissimo; l’Italia che sputa su Enzo Tortora perché se non puoi essere Enzo Tortora è un bene che lui cada e ti faccia sentire meno mediocre; l’Italia che lancia le monetine su Craxi avendolo temuto e blandito fino a un minuto prima (poco importa in queste dinamiche l’innocenza o la colpevolezza, ma conta il grado di frustrazione e di meschinità); che parteggia a favore o contro Raffaele Sollecito e Amanda Knox; che esulta per ogni arresto, per ogni avviso di garanzia, come se facesse sentire meno tollerabile la propria sofferenza.

      Se la giustizia che pretende, tempo, pacatezza e responsabilità è impossibile, allora meglio tifare per le disgrazie altrui, cosa che non mitigherà le proprie ma almeno servirà a sfogarsi. Io sono cresciuto in un Sud Italia in cui, quando veniva arrestato un boss, la gente applaudiva il criminale e insultava i carabinieri. Guardate su YouTube il video di Antonino Monteleone che ha ripreso l’arresto del boss Giovanni Tegano a Reggio Calabria: c’era una fitta folla fuori dalla questura ad inneggiarlo. Non solo parenti ma anche semplici concittadini grati per la sua strategia contraria agli atti sanguinari. Quando venne arrestato Cosimo di Lauro a Secondigliano, centinaia di persone lo applaudirono e difesero. In fondo è così, è il prezzo del sopravvivere: piegarsi al potente, temere la sua vendetta, blandirlo, sperare in una sua parola per poter cambiare la propria vita. Al contrario, è facile colpire Carola, non ti succede niente se lo fai, stai sputando addosso a una donna che ha solo il suo corpo e la sua dignità come simbolo e difesa. Non ti toglierà il lavoro, non verrà a minacciarti, non c’è nessun favore che potrai chiederle.

      Carola non poteva che agire in questo modo: sbarcare a Malta, in Grecia o in Spagna significava compiere un atto fuorilegge, perché Lampedusa era molto più vicina e ciò rispondeva all’esigenza di mettere in sicurezza l’equipaggio. Se avesse deciso di andare verso altri porti, avrebbe messo in pericolo le persone salvate in mare violando la legge del mare. Urlano «venduta», ma Carola ha scelto di impegnarsi mettendo le sue competenze al servizio di un “ambulanza del mare” ed è una donna che prende onestamente il suo stipendio, più vicino a un rimborso spese che a un lauto guadagno.

      È incredibile che tutto questo venga detto da un partito come la Lega, che non ha mai spiegato perché è andata a trattare con un’impresa di Stato russa per farsi finanziare la campagna elettorale; in un Paese dove il ministro dell’Interno finanziava post razzisti su Facebook con 5000 euro (500 quelli in cui annuncia i suoi comizi). In un Paese così, si dà addosso a una persona che salva con il proprio impegno dei disperati dall’agonia e si difende, invece, chi non mostra la minima trasparenza e chi ha alleanze torbide e partner politici criminali.

      Il meccanismo è sempre lo stesso: se sei un bandito non puoi convincere gli altri che tu non lo sia, puoi però cercare di far credere che tutti gli altri siano peggio di te. Ecco il gioco sporco di Matteo Salvini e dei leghisti con Carola. Ascoltate quegli insulti perché lì c’è tutto il cuore marcio del nostro Paese. Bisogna capire da che parte stare. Con chi volete stare? Con chi chiede manette per chi ha salvato vite? Con chi augura a una donna una violenza carnale? Da che parte volete stare? Con questi insultatori o con chi considera la libertà e la solidarietà l’unica dimensione in cui vale la pena di vivere?

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/30/news/la_vergogna_sul_molo_di_lampedusa-229957468
      #insultes #sexisme

    • The White Man’s Burden, „wir schaffen das“ and Carola Rackete

      ‘The White Man’s Burden’ is a poem from 1899 by Rudyard Kipling about the Philippine-American War of the colonial occupation of these islands. In this poem, it is portrayed what the task of the white man is. It gives green light for colonialism and at the same time puts the other non-white only in the weak rank that needs protection and needs to be led to light.

      This happened many years ago, but what is happening now? We all remember what happened in 2015 and the famous saying ‘wir schaffen das.’

      What we can? We can save them, we can give them to eat and drink and so on …

      But who are we? We are the European German society in particular!

      Both, in the example story from 1899 and 2015 the white person is the one in the position to safe the ‘non -white one.’

      But at end, there will stay one hero only, ‘the white one.’ The non-white people have to be happy to have that nice victim position in the story of 1899 to be a slave or in 2015 be the victim that needs help. And even if s*he puts himself in danger to come to the EU, the hero is the one who helps him, and he needs to be integrated in the society then maybe he will get chance to be in the media as the perfect example of integration. That’s what the white one needs!

      How many migrants say in front of the sea when they get on the boat with others migrants ‘wir schaffen das’? I’m shure many of them, and some of them do it and they are here in Europe. But the only famous one is the ‘wir schaffen das’ by white Angela Merkel .

      With full respect of what Carola Rackete has done, I’m asking structures like media and political groups around the topic of migrants: Do we really need white hero again?

      And why are we reducing the right of the people to freedom of Movement to ‘Saving live is not a crime.’

      Why we are playing with the system of the colonial game? Why do we try to victimize the migrants and only give them the chance to have a new white hero that would save them and do not talk about all the migrants who die trying to reach the EU? Why are we not talking abut the people who die in the sea and were the reason why Carola Rackete went there?!

      Solidarity is important but not for the cost of victimization of migrants and creating new colonial image of the ‘white hero’!

      Let us not forget abut the thousands of people who die there and say loud: the problem is the system and the politicians!

      Instead of ‘Saving live is not crime’ we need to say loud: politicians who let people die in the sea are criminals!

      Instead of saying ‘free Carola’ let’s speak out the names and tell the story of the people who died in the sea. They are the topic here!

      Don’t make a new white hero again, but remember why Carola went to the sea.

      Adam Baher

      https://ffm-online.org/the-white-mans-burden-wir-schaffen-das-and-carola-rackete

    • Méditerranée : face à la guerre aux migrant·es, la solidarité ne cèdera pas !

      Après 17 jours d’attente en mer, des attaques outrageantes et répétées dans les médias de la part du ministre de l’Intérieur italien Matteo Salvini et le silence assourdissant des États européens, Carola Rackete, capitaine du Sea-Watch 3, a décidé, dans la nuit du 28 juin 2019, de braver l’interdiction d’accoster dans le port de l’île de Lampedusa afin de sauver la vie de 40 personnes. En entrant dans le port samedi, elle a dû manœuvrer pour éviter un navire de la marine italienne qui lui barrait la route. A leur arrivée, les personnes exilées ont été débarquées et placées dans le hotspot de l’île. La capitaine, arrêtée puis assignée à résidence, risque d’être inculpée pour « aide à l’entrée irrégulière » et « résistance ou violence contre navire de guerre ». Elle encourt jusqu’à 15 ans de réclusion et 50 000 euros d’amende.

      La théâtralisation et la dramatisation de cette opération de sauvetage, orchestrées par Matteo Salvini, lui permettent d’entériner en pratique son décret-loi « sécurité bis », entré en vigueur le 15 juin 2019 avant même son passage devant le parlement italien. Ce décret vise à renforcer la criminalisation de la migration et des solidarités qui a été croissante depuis 2016, en sanctionnant lourdement les capitaines de bateau et les armateurs qui contreviennent à l’interdiction d’entrée dans les eaux territoriales italiennes. Cette interdiction est contraire aux conventions internationales ratifiées par l’Italie, qui prévoient l’obligation de débarquement en lieu sûr des personnes secourues en mer.

      Face à cette situation honteuse, quelle réponse de l’Europe ? Un silence assourdissant pendant plusieurs jours, puis l’engagement de la France, l’Allemagne, le Portugal, le Luxembourg et la Finlande de se répartir les personnes débarquées. Alors que l’UE compte 500 millions d’habitant·es, il faut aujourd’hui « d’intenses échanges diplomatiques » pour accueillir 40 personnes !

      Parce que les États européens refusent de prendre leurs responsabilités, le taux de mortalité en Méditerranée augmente et les violences s’accroissent contre les personnes bloquées de l’autre côté de la Méditerranée, dans les pays auxquels l’UE sous-traite sa politique migratoire, dont la Libye en guerre. Si les ONG opérant le secours en mer sont aujourd’hui la cible de telles attaques, c’est aussi parce qu’elles sont un regard citoyen aux frontières de l’Europe qui contrarie cette politique d’externalisation.

      Aujourd’hui, ce sont des citoyennes et des citoyens qui se mobilisent pour dire non à ces politiques mortifères et venir en soutien aux personnes tout au long des parcours migratoires. La violence des politiques menées depuis plus de 30 ans en Europe nourrit les idées racistes et sexistes, comme en témoigne le déchainement d’insultes à caractère sexuel lancées contre la capitaine Rackete par des responsables politiques et une partie de la population.

      La riposte s’organise à Lampedusa, à Rome et au-delà : des député·es de l’opposition sont resté·es à bord du Sea-Watch 3 jusqu’à ce que tout le monde ait pu débarquer, des habitant·es de Lampedusa ont dormi plus d’une semaine sur le parvis de l’église aux côtés de son prêtre en demandant que les exilé·es soient débarqué·es, des appels à mobilisations ont été lancés dans plusieurs villes italiennes. Ces mobilisations ne s’arrêtent pas à l’Italie, c’est du monde entier que vient le soutien !

      De 17 pays du Moyen Orient, d’Afrique et d’Europe, le réseau Migreurop affirme sa solidarité avec les personnes exilées débarquées, avec l’ensemble de l’équipage du Sea-Watch 3, ainsi qu’avec toutes les autres personnes qui ont été criminalisées pour leurs gestes de solidarité ces dernières années, qu’elles soient des membres d’ONG ou des pêcheurs des rives sud de la Méditerranée. Nous savons que si la solidarité est violemment attaquée aujourd’hui, c’est parce qu’elle s’érige en dernier rempart face à la guerre aux migrant·es que mènent les États. Le courage de Carola Rackete et tant d’autres acteurs moins médiatisés montre que la solidarité n’est pas prête d’être étouffée.

      Liberté de circulation pour toutes et tous !

      http://www.migreurop.org/article2929.html

    • Accostage du « Sea Watch III » à Lampedusa : Carola Rackete, arrêtée mais célébrée

      La capitaine du « Sea Watch III », navire transportant une quarantaine de migrants, a été arrêtée samedi après avoir accosté de force à Lampedusa. Elle risque jusqu’à dix ans de prison.

      Quelques jours avant d’accoster à Lampedusa, elle avait dit au Spiegel : « Si nous ne sommes pas acquittés par un tribunal, nous le serons dans les livres d’histoire. » La capitaine allemande du Sea Watch III, navire affrété par l’ONG Sea Watch qui vient en aide aux migrants en Méditerranée, Carola Rackete, a été arrêtée dans la nuit de vendredi à samedi. Les autorités italiennes lui reprochent notamment d’avoir tenté une manœuvre dangereuse contre la vedette des douanes qui voulait l’empêcher d’accoster. Elle risque jusqu’à dix ans de prison pour « résistance ou violence envers un navire de guerre ». « Ce n’était pas un acte de violence, seulement de désobéissance, a expliqué Carola Rackete dimanche au Corriere della Sera. Mon objectif était seulement d’amener à terre des personnes épuisées et désespérées. J’avais peur. » « Après dix-sept jours en mer et soixante heures en face du port, tout le monde était épuisé, explique à Libération Chris Grodotzki de Sea Watch. L’équipage se relayait vingt-quatre heures sur vingt-quatre afin de surveiller les passagers pour les empêcher de se suicider. »

      Carola Rackete a débarqué sur l’île italienne sous un mélange d’applaudissements et d’éructations haineuses : « Les menottes ! », « Honte ! », « J’espère que tu vas te faire violer par ces nègres ». Le ministre de l’Intérieur italien, Matteo Salvini, s’est réjoui de l’arrestation. « Prison pour ceux qui ont risqué de tuer des militaires italiens, mise sous séquestre du navire pirate, maxi-amende aux ONG, éloignement de tous les immigrés à bord, désolé pour les "complices" de gauche. Justice est faite, on ne fera pas marche arrière ! »

      Si l’extrême droite italienne la qualifie de « criminelle », Carola Rackete suscite l’admiration en Allemagne. Celle que le Tagespiegel surnomme « l’Antigone de Kiel » est née tout près de ce port en bordure de la mer Baltique il y a 31 ans. « J’ai la peau blanche, j’ai grandi dans un pays riche, j’ai le bon passeport, j’ai pu faire trois universités différentes et j’ai fini mes études à 23 ans. Je vois comme une obligation morale d’aider les gens qui n’ont pas bénéficié des mêmes conditions que moi », avait-elle expliqué à La Repubblica. Avant de rejoindre Sea Watch il y a quatre ans, elle a participé à des expéditions pour l’Institut Alfred-Wegener pour la recherche polaire et marine, et pour Greenpeace. Elle effectue des sauvetages en mer depuis 2016.
      « Dans toute l’Europe elle est devenue un symbole »

      Ses proches la décrivent comme une femme calme et opiniâtre. « Carola […] sait toujours ce qu’elle fait et c’est une femme forte », a dit son père, Ekkehart Rackete, au Corriere della Sera. Chris Grodotzki de Sea Watch dépeint une personne « directe et pragmatique ». Dans une vidéo diffusée par l’ONG vendredi, à la question « Matteo Salvini a fait de vous sa principale ennemie, que répondez-vous ? » elle rétorque, impériale : « Pour être honnête, je n’ai pas eu le temps de lire les commentaires. Il y a 42 personnes à bord qui ont besoin qu’on s’occupe d’elles. » Car si les médias ont volontiers mis en scène le duel entre « la capitaine » et « Il Capitano » – surnom de Salvini en Italie –, elle ne souhaite pas incarner seule la résistance au ministre de l’Intérieur italien.

      De Rome à Berlin, elle reçoit un large soutien de l’opinion. « Dans toute l’Europe elle est devenue un symbole. Nous n’avons jamais reçu autant de dons », dit Chris Grodotzki, indiquant qu’en Italie une cagnotte avait recueilli dimanche près de 400 000 euros. En Allemagne, deux stars de la télévision, Jan Böhmermann et Klaas Heufer-Umlauf, ont également lancé une cagnotte samedi, avec ces mots : « Soutenons ensemble la capitaine emprisonnée Carola Rackete […] avec ce que nous avons par-dessus tout en Allemagne, l’argent. » 500 000 euros ont été récoltés en moins de vingt-quatre heures. Du président de l’Église évangélique, Heinrich Bedford-Strohm, au PDG de Siemens, Joe Kaeser, de nombreuses voix se sont élevées dans le week-end pour prendre sa défense.
      Des politiques allemands timorés

      Les politiques allemands ont donc fini par réagir. Samedi, le ministre SPD des Affaires étrangères, Heiko Maas, déclarait : « Sauver des vies est un devoir humanitaire. Le sauvetage en mer ne devrait pas être criminalisé. La justice italienne doit désormais clarifier rapidement ces accusations ». « Une phrase typique de diplomate allemand timoré, commente Chris Grodotzki de Sea Watch. Nous avons demandé un millier de fois à Heiko Maas de prendre position sur le sauvetage en mer, sans succès jusqu’ici. » Dimanche, le président allemand, Frank-Walter Steinmeier, affirmait dans une interview télévisée : « Celui qui sauve des vies ne peut pas être un criminel. »

      Les 40 migrants du Sea Watch III ont donc fini par débarquer à Lampedusa. Ils devraient être répartis entre cinq pays : la France, l’Allemagne, le Portugal, le Luxembourg et la Finlande. Ceux-là ne seront pas morts en Méditerranée, où 17 900 personnes ont péri entre 2014 et 2018 selon un récent rapport de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), et où demeurent toujours engloutis les restes de 12 000 personnes.

      https://www.liberation.fr/planete/2019/06/30/accostage-du-sea-watch-iii-a-lampedusa-carola-rackete-arretee-mais-celebr

    • L’ONORE DI DISOBBEDIRE – di Gad Lerner

      Di fronte a sé, stavolta, Salvini si ritrova un osso duro: Carola Rackete
      Vien da chiedersi: ma cosa penserà di Salvini la madre di Salvini? Quando, di fronte a quello che, comunque la si pensi, rimane un dramma umano, il suo Matteo scrive: «Non sbarca nessuno, mi sono rotto le palle. Lo sappia quella sbruffoncella». Esibendo l’ennesimo riferimento genitale viriloide in sfregio alla Capitana della Sea-Watch 3, Carola Rackete, lei sì disposta a rischiare per davvero, una giovane donna che lo ridimensiona a Capitano piccolo piccolo. Sbruffoncella? Non abbiamo piuttosto a che fare con un ministro sbruffone da osteria?
      Come nei videogiochi con cui egli si diletta nel cuore della notte, il responsabile dell’ordine pubblico scimmiotta la parodia della difesa dei confini nazionali bloccando un’imbarcazione di 50 metri con 42 naufraghi a bordo. E poi minaccia di erigere barriere fisiche (galleggianti?) a imitazione dei suoi modelli Orbán e Trump, o al contrario (sarebbe già meglio) di smettere l’identificazione e la registrazione degli sbarcati, di modo che possano proseguire il loro viaggio in direzione Nord Europa, da dove, così facendo, non potrebbero più essere rispediti a forza in Italia. Riposto nel taschino il rosario d’ordinanza, Salvini chiede «rispetto ai preti» e sfotte l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, colpevole di aver offerto l’ospitalità ai 42 naufraghi; mandandogli a dire che usi le sue risorse per 42 poveri italiani perché tanto quelli lì non sbarcheranno neanche a Natale. Sì, viene da chiedersi, senza volerle mancare di rispetto, cosa pensi in cuor suo la madre di Salvini di questo figlio che si compiace nell’esibizione pubblica dello scherno e della cattiveria addosso a persone che soffrono. Convinto, il ministro della propaganda, sbagliando, che chi plaude sghignazzando alle sue bravate sui social, rappresenti il comune sentire della nazione. Fa male i suoi conti.
      Anche ammettendo che i 9 milioni di voti leghisti — e sommateci pure quelli di Fratelli d’Italia e una quota dei berlusconiani — vivano come una liberazione l’indifferenza nei confronti di quei reduci dai campi di prigionia libici, ugualmente si tratta solo della minoranza arrabbiata di un Paese di 60 milioni di abitanti che resta assai migliore della raffigurazione che Salvini ne fornisce ogni sera dagli schermi televisivi. Dovrà fare i conti con un’Italia, certo, intimidita, ammutolita dall’accanimento con cui vengono liquidate le figure di riferimento che predicano l’umanitarismo e la solidarietà, un’Italia che vive con crescente disagio la spirale del turpiloquio e dell’ostentazione di cinismo.
      La fandonia secondo cui coloro che praticano il salvataggio in mare sarebbero «complici dei trafficanti di esseri umani», è un veleno sparso da anni senza una sola prova a carico delle Ong. Complici dei trafficanti di esseri umani sono i politici di ogni colore che — a partire dalla legge Bossi-Fini con cui fu interdetta ogni forma di immigrazione legale — hanno concesso alle organizzazioni criminali il monopolio sulle rotte.
      Complici dei trafficanti di esseri umani sono i governanti che hanno revocato il pattugliamento delle acque internazionali da parte della nostra Marina. Complici specialmente odiosi, quando fingono di averlo fatto per il bene dei migranti che muoiono sempre più numerosi di sete e di fame, anziché annegati, scaricati lungo le piste del Sahel e del Sahara, o schiavizzati nei campi di concentramento a custodia dei quali agiscono gli stessi trafficanti.
      Di fronte a sé, stavolta, Salvini si ritrova un osso duro: Carola Rackete. Durerà fatica a millantare che la comandante della Sea-Watch 3 sia l’ingranaggio della finanza mondialista nemica del popolo italiano, o magari un’avventuriera bolscevica. La disobbedienza civile con cui la Capitana ha deciso di sfidare il Capitano piccolo piccolo e il suo Decreto Sicurezza bis che criminalizza il soccorso in mare, è la più classica forma di omaggio alla legalità sostanziale, fondata sul rispetto delle norme internazionali sancite dal diritto del mare.
      Salvini finge di non saperlo, ma per settimane di fronte al porto tunisino di Zarzis è rimasto bloccato dalle autorità locali il rimorchiatore Maridive 61 con 75 migranti a bordo, prima che ne fosse autorizzato lo sbarco. Altro che Tunisia approdo sicuro. Davvero qualcuno crede che il problema dei migranti si risolverà rispedendoli in Africa?
      Certo, è vero che il governo gialloverde ha gioco facile a ricordare le colpevoli inadempienze degli altri paesi dell’Ue, ma da quando le inadempienze altrui possono giustificare le nostre?
      Carola Rackete è una cittadina europea che tenta coraggiosamente, a suo rischio e pericolo, di riscattare il disonore dei governanti dell’Unione. Di tutti noi. Lo ricordino i dirigenti del Pd che oggi si precipitano a Lampedusa, ma il cui ultimo governo inaugurò quell’opera di denigrazione delle Ong che ha prodotto i guasti da cui oggi muove la loro ripulsa morale. Ci sono valori inderogabili ai quali è dovuta venire a richiamarci, lì in mezzo al mare, una giovane donna capace di ascoltare la voce di chi soffre.

      http://www.bocchescucite.org/lonore-di-disobbedire-di-gad-lerner

    • Antonello Nicosia, Direttore dell’Osservatorio Internazionale dei Diritti Umani, scrive alla Gip #Alessandra_Vella e Carola Rakete

      “Due donne colte, coraggiose, determinate, sicure di sé – scrive il Dott. Nicosia – sedute l’una difronte all’altra hanno saputo dimostrare quanto la forza del buon senso abbia avuto un’ energia superiore a qualsiasi auspicato “perbenismo sociale” rivolto al rispetto di supposte leggi. Lo chiamerei, più che altro, mera e futile ipocrisia. “Una nave che soccorre migranti non può essere giudicata offensiva per la sicurezza nazionale”, queste sono le parole utilizzate dal Gip, Alessandra Vella. Già lo stesso verbo, “soccorrere”, è perspicuo, illumina sul grado di civiltà di una determinata società. L’ atto del soccorrere è intriso di buon senso, consapevolezza, buon vivere civile. Sanzionare un tal gesto a che pro? Quale messaggio viene veicolato alle nuove generazioni così facendo?

      Xenofobia, xenofobia “claustrofobica”, che soffoca l’uomo, che marcisce ed esplode nel chiuso di una mente, la cui veduta non apre orizzonti, ma li sbarra.

      Questa brutta vicenda – prosegue il Direttore dell’Osservatorio Internazionale dei Diritti Umani – mi riporta alla memoria l’azione del presidente statunitense Woodrow Wilson, il quale, alla fine della prima guerra mondiale, redige il suo programma di pace in 14 punti. Tra questi ultimi emerge e si staglia con fermezza la libertà di navigazione. Libertà intesa come agevolazione dei commerci, la cui base doveva essere la riduzione delle barriere doganali, precedentemente imposte.

      Il mare che unisce, il mare che crea libero scambio, il mare che apre un orizzonte pronto per essere solcato.

      Voglio continuare ad insegnare questa storia alle generazioni future, voglio parlare di menti grandi ed eccelse. Di uomini, donne con un coraggio così forte e grande da annullare qualsivoglia remore o paura.

      Voglio raccontare la storia di due donne, il cui valore comune di sicurezza dell’essere umano ebbe dato l’input per andare oltre una politica votata agli utilizzi di escamotage.

      Desidero una società la cui umanità emerga da ogni crepa – conclude Nicosia – avendo sempre ben fisso un unico scopo, un comune obiettivo: il rispetto dei diritti umani.”

      http://www.lavalledeitempli.net/2019/07/03/antonello-nicosia-direttore-dellosservatorio-internazionale-dei-di

  • IL «PULL FACTOR» NON ESISTE. Con #SeaWatch3 da 12 giorni al largo di #Lampedusa, terzo aggiornamento. Tra l’1 maggio e il 21 giugno dalla #Libia sono partite almeno 3.926 persone. Con Ong al largo, 62 partenze al giorno. Senza Ong, 76 partenze.

    Se ci limitiamo ai soli giorni di giugno, il dato è ancora più eclatante. Con #SeaWatch3 al largo, dalla #Libia sono partite 52 persone al giorno. Senza Ong, 94 partenze.

    Tra l’1 maggio e il 21 giugno dalla #Libia sono partite almeno 3.962 persone. 431 partite quando le Ong erano al largo delle coste libiche. 3.495 partite senza nessun assetto europeo (pubblicamente) in mare a fare ricerca e soccorso.


    NB: non è che senza Ong in mare si parta di più — sarebbe un pull factor all’incontrario. La differenza tra le partenze al giorno dalla Libia, con o senza Ong, non è significativa. Semplicemente, non c’è alcuna correlazione tra attività Ong in mare e partenze.

    https://twitter.com/emmevilla/status/1142685495526395906

    #Matteo_Villa #pull-factor #facteur_pull #appel_d'air #statistiques #chiffres #fact-checking #2019 #Méditerranée #ONG #asile #migrations #réfugiés #frontières #démonstration #déconstruction #Libye #départs

    ping @isskein

    • "Lampedusa ha superato da tempo la sua capacità d’accoglienza: sull’isola ci sono già i 42 passeggeri della Sea-Watch 3, sbarcati dopo 17 giorni di attraversata, e altri cento arrivati senza creare scalpore. Su di loro il ministro dell’interno Matteo Salvini non ha speso nemmeno una parola. Però quando la Sea-Watch 3 ha fatto rotta verso la costa italiana Salvini ha scatenato il putiferio.
      (...)
      In effetti in Italia continuano ad arrivare i migranti: mille a giugno, più di 2500 all’inizio dell’anno. Certo, sono molti meno rispetto a un paio di anni fa, ma comunque troppi rispetto alle promesse fatte da Salvini agli elettori. Come deve presentare questi numeri? C’è sempre un’invasione da combattere, o si tratta di una cifra relativamente piccola e tollerabile? Nel primo caso avrebbe fallito, nel secondo caso il tema diventerebbe secondario. E forse per Salvini la seconda opzione è perfino peggiore della prima.
      (...)
      Il leader della Lega, infatti, deve assolutamente mantenere il tema dei migranti al centro del dibattito politico italiano, è il suo terreno di battaglia preferito, soprattutto in vista di eventuali elezioni anticipate a settembre. Salvini spera che la Lega si affermi come primo partito d’Italia e aspira a diventare presidente del consiglio. Fino ad allora deve tenere in vita l’immagine dell’uomo che sa imporsi, altrimenti le sue speranze di vittoria sono perdute. Un nuovo nemico, deve aver pensato Salvini, lo farebbe uscire dal vicolo cieco. E quale miglior nemico degli ’aiutanti dei trafficanti’, come spesso ha definito le navi gestite da volontari che salvano i naufraghi in mare? Grazie a loro arriva in Italia un numero irrilevante di profughi, ma sono la controparte perfetta per la sua messinscena. Per questo ha alzato il livello dello scontro con la Sea-Watch 3.

      Source: Hans-Jürgen Schlamp, «Una nemica perfetta», in Internazionale, n°1314, juillet 2019 (original: Der Spiegel), pp.19-20.
      https://www.internazionale.it/sommario/1314
      #Salvini #Carola_Rackete #Rackete #Matteo_Salvini

    • Con #OpenArms ancora al largo e #OceanViking che ha fatto un salvataggio, RECAP.

      Tra l’1 gennaio e il 9 agosto dalla #Libia sono partite almeno 8.551 persone.

      Con Ong al largo, 31 partenze al giorno.
      Senza Ong, 41 partenze al giorno.


      1.624 partite quando le Ong erano al largo delle coste libiche.
      6.927 partite senza nessun assetto europeo a fare ricerca e soccorso.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1159814415950241792

    • Sea rescue NGOs : a pull factor of irregular migration?

      The argument that maritime Search and Rescue (SAR) operations act as a ‘pull factor’ of irregular seaborne migration has become commonplace during the Mediterranean ‘refugee crisis’. This claim has frequently been used to criticize humanitarian non-governmental organizations (NGOs) conducting SAR off the coast of Libya, which are considered to provide “an incentive for human smugglers to arrange departures” (Italian Senate 2017: 9). In this policy brief, we scrutinise this argument by examining monthly migratory flows from Libya to Italy between 2014 and October 2019. We find no relationship between the presence of NGOs at sea and the number of migrants leaving Libyan shores. Although more data and further research are needed, the results of our analysis call into question the claim that non-governmental SAR operations are a pull factor of irregular migration across the Mediterranean sea.

      https://cadmus.eui.eu/handle/1814/65024

    • Migrants from Libya not driven by hope of being rescued at sea – study

      No link found between number of Mediterranean crossings and level of NGO rescue ship activity.

      No valid statistical link exists between the likelihood that migrants will be rescued at sea and the number of attempted Mediterranean crossings, a study has found. The findings challenge the widespread claim in Europe that NGO search and rescue activity has been a pull factor for migrants.

      Fear that the NGOs’ missions attract immigrants has been the basis for measures restricting humanitarian ships including requiring them to sign up to codes of conduct or simply blocking them from leaving port.

      It is the first detailed study of NGOs’ proactive search and rescue activity between 2014 and October 2019, but the findings focus most closely on the first nine months of this year, a period when Europe had withdrawn from all search and rescue activity leaving only NGOs or the Libyan guard. The research was undertaken by two Italian researchers, Eugenio Cusumano and Matteo Villa, from the European University Institute (https://cadmus.eui.eu/handle/1814/65024).

      Drawing on official statistics and examining three-day averages, the study showed the numbers rescued depend on the numbers leaving. It found a stronger link this year between the number of migrant crossings and either political stability in Libya or the weather, rather than NGO ships at sea.

      The study found that in 2015, the total number of departures from Libya slightly decreased relative to 2014 even though migrants rescued by NGOs increased from 0.8 to 13% of the total number of people rescued at sea. After July 2017, the number of migrants departing from Libya plummeted even though NGOs had become far and away the largest provider of search and rescue by far.

      It also found that in the 85 days in which the NGOs were present in the search and rescue mission there were no more departures than the 225 days in which there were Libyan patrol boats.

      Instead, the study showed the big decline in crossings in 2017 was linked to the deal struck between the Italian government and various Libyan militia to keep migrants from attempting sea crossings.

      The study looks at figures from the International Organisation for Migration, the UN refugee agency UNHCR and the Italian coastguard.

      Over the five years the humanitarian ships have rescued a total of 115,000 migrants out of 650,000 with an average of 18%. In 2019 alone, at least 1,078 migrants have died or gone missing, according to the UN, while trying to reach safety in Europe.

      While the EU recognises the Libyan coastguard and is also funding and training its work, there is no overall agreement about how asylum seekers should be dealt with in an equitable and EU-wide manner.

      https://www.theguardian.com/world/2019/nov/18/migrants-from-libya-not-driven-by-hope-of-being-rescued-at-sea-study

    • ONG en Méditerranée : les secours en mer ne créent pas d’« appel d’air »

      Deux chercheurs italiens contestent, dans une étude parue lundi, la corrélation parfois suggérée par les politiques entre présence des ONG en mer Méditerranée et nombre de départs de bateaux clandestins des côtes libyennes.

      Marine Le Pen, députée française, le 12 juin 2018 : « Derrière le vernis humanitaire, les ONG ont un rôle objectif de complices des mafias de passeurs. […] Accepter que les bateaux de migrants accostent crée un appel d’air irresponsable ! » Christophe Castaner, ministre de l’Intérieur français, le 5 avril 2019 : « Les ONG ont pu se faire complices [des passeurs]. » Matteo Salvini, alors ministre de l’Intérieur italien, le 7 juillet 2019 : « Je n’autorise aucun débarquement à ceux qui se moquent totalement des lois italiennes et aident les passeurs. » Cette rengaine selon laquelle en menant des opérations de recherches et de sauvetages (SAR) en mer Méditerranée les organisations non gouvernementales provoqueraient des départs massifs d’immigrés clandestins vers l’Europe, a la vie dure.

      De SOS Méditerranée à Proactiva Open Arms en passant par SeaWatch, les ONG contestent ce lien – surtout fait par des politiques de droite et d’extrême droite – mais rien ne permettait jusqu’ici de trancher la question d’une éventuelle relation de cause à effet entre présence des ONG en mer et nombre de départs des côtes libyennes. Deux chercheurs ont rendu publique ce lundi une étude, réalisée pour l’European University Institute de Florence (Italie), qui étudie ce phénomène. La conclusion de Matteo Villa et Eugenio Cusumano, qui précisent que les données sont peu nombreuses, est claire : « Notre analyse suggère que les opérations de SAR non gouvernementales n’ont pas de corrélation avec le nombre de migrants quittant la Libye par la mer. »

      En 2015, le nombre de départs de Libye a même un peu baissé par rapport à 2014, alors que la part des ONG dans le nombre total de sauvetages a augmenté, passant de 0,8% des opérations à 13%. Entre janvier et octobre 2019, le nombre de départs par jour était, lui, légèrement supérieur lorsqu’il n’y avait sur la zone pas d’ONG – lesquelles sont soumises à des pressions gouvernementales et peinent à être autorisées à débarquer les rescapés en Europe. « Par contraste, une grosse corrélation existe entre les départs de migrants et les conditions météorologiques sur la côte libyenne, autant qu’avec la très forte instabilité politique en Libye depuis avril 2019 », indiquent les chercheurs.

      https://www.liberation.fr/amphtml/planete/2019/11/18/ong-en-mediterranee-les-secours-en-mer-ne-creent-pas-d-appel-d-air_176409

    • "Non è vero che la presenza delle Ong in mare fa aumentare le partenze dei migranti dalla Libia"

      Due ricercatori italiani firmano per lo European University Institute la prima analisi sui soccorsi in mare dal 2014 al 2019. Il crollo dei viaggi provocato dagli accordi con Tripoli.

      Il «pull factor delle Ong» sui flussi migratori dalla Libia non esiste. L’affermazione che, da tre anni a questa parte è alla base dei provvedimenti che hanno ormai messo all’angolo le navi umanitarie, buona parte delle quali sotto sequestro da mesi, è una favola. A provarlo è il primo studio sistemico, su dati ufficiali dalle agenzie delle Nazioni unite ma anche dalle guardie costiere italiana e libica, firmato da due ricercatori italiani, Eugenio Cusumano e Matteo Villa, per lo European University Institute. La ricerca, che prende in esame, mensilmente, cinque anni di sbarchi in Italia (da ottobre 2014 a ottobre 2019) dimostra che non vi è alcuna relazione tra la presenza nel Mediterraneo delle navi umanitarie e il numero delle partenze dalle coste libiche.

      In questi cinque anni, le navi umanitarie hanno soccorso complessivamente 115.000 migranti su 650.000, con una media del 18 per cento, la più parte nel 2016 e nel 2017 dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum. Poi il codice di condotta voluto da Marco Minniti nell’estate 2017 e il decreto sicurezza di Matteo Salvini hanno condizionato pesantemente l’attività delle Ong.

      Il lavoro dei due ricercatori italiani smonta l’assunto secondo il quale più alto è il numero delle persone salvate, più alto è il numero di quelle che partono. Cusumano e Villa rovesciano l’approccio e dimostrano che il numero dei salvati dipende dal numero di coloro che partono. E a sostegno dell’analisi portano due dati: nel 2015, l’anno in cui le Ong dispiegano la flotta in mare aumentando i loro soccorsi dallo 0,8 al 13 per cento, il numero complessivo delle partenze risulta in calo rispetto all’anno precedente. E ancora, nella seconda metà del 2017, nonostante le tante navi umanitarie presenti, il numero degli sbarchi crolla.

      Dunque, è la conclusione della ricerca, ad avere un forte impatto sulle partenze sono stati gli accordi tra Italia e Libia che hanno decisamente portato ad un abbattimento del numero delle imbarcazioni messe in mare. E ancora nel 2019, quando sparite le navi militari, il peso dei soccorsi è rimasto solo sulle navi umanitarie, i due ricercatori hanno rilevato giorno per giorno partenze e salvataggi senza trovare alcune evidenza che negli 85 giorni in cui erano presenti le Ong in zona Sar ci siano state più partenze rispetto ai 225 giorni in cui c’erano solo le motovedette libiche. E con tutta evidenza i giorni con più partenze sono stati quelli di bel tempo o ad aprile in coincidenza con gli attacchi del generale Haftar.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/11/18/news/migranti_i_dati_di_uno_studio_confermano_non_e_vero_che_la_presenza_delle

    • Das Märchen von den Rettern und vom «Pull-Faktor»

      Die Studie zweier italienischer Migrationsforscher widerlegt das beliebteste Argument rechter NGO-Kritiker.

      Kein anderer Vorwurf wird gegenüber privaten Seenotrettern auf der zentralen Mittelmeerroute häufiger erhoben als jener, sie seien ein «Pull-Faktor». Dass NGO-Schiffe wie die Sea-Watch oder die Open Arms vor der libyschen Küste Migranten aus Gummibooten retten und nach Italien bringen, so die Anschuldigung, verleite Flüchtlinge erst recht zum Aufbruch und trage deshalb dazu bei, die Zahl der Überfahrten zu steigern – und dadurch auch die Zahl der Ertrunkenen.

      Das Argument hat eine unbestreitbare intuitive Plausibilität: Je sicherer jemand sein kann, aus einer riskanten Situation befreit zu werden, desto grösser dürfte seine Bereitschaft sein, das Risiko einzugehen. 2017 schrieb die europäische Küstenwache Frontex, Rettungsaktionen von NGOs trügen dazu bei, dass Schlepperbanden «ihr Ziel mit minimalem Aufwand erreichen», was das «Business-Modell» der Kriminellen stärke.

      Zwei englische Studien aus dem Jahr 2017 kamen indessen zum Schluss, dass es keinen Zusammenhang zwischen der Präsenz von Rettungsschiffen vor der libyschen Küste und der Zahl der Überfahrten gebe. Beide Untersuchungen beruhten jedoch auf geringem Datenmaterial.

      Das Wetter spielt eine Rolle, Rettungsschiffe nicht

      Eine neue Studie gelangt nun zum selben Ergebnis: Der Pull-Faktor ist, um einen Modeausdruck zu verwenden, Fake News. Die italienischen Migrationsforscher Eugenio Cusumano und Matteo Villa haben für das in Fiesole beheimatete Europäische Hochschulinstitut sämtliche verfügbaren internationalen und italienischen Daten zwischen Oktober 2014 und Oktober 2019 auf einen Pull-Effekt untersucht, mit negativem Resultat.

      Laut der italienischen Zeitung «Repubblica» gab es bisher keine so umfassende und systematische Auswertung. Besonders genau untersuchten die Forscher den Zeitraum vom 1. Januar bis zum 27. Oktober 2019. Sie überprüften Tag für Tag, ob private Rettungsschiffe vor den libyschen Küsten unterwegs waren und wie viele Flüchtlingsboote jeweils die Überfahrt versuchten. Auch hier wieder: Keine Korrelation zwischen NGO-Schiffen und angestrebten Überfahrten. Kein Pull-Faktor. Stark sei hingegen die Korrelation mit dem Wetter.

      Obwohl die Autoren weitere Untersuchungen anmahnen, fordern sie, die Seenotretter nicht mehr zu behindern.

      Die Denkschablone vom «Gutmenschen»

      Das dürfte sich als Illusion erweisen, passt doch die Pull-Faktor-These in eine der beliebtesten rechten Denkschablonen: jene vom «Gutmenschentum». Gutmenschen sind demnach Moralisten, die in ihrer Naivität das Gute wollen, nämlich, im Falle der Seenotretter, Menschen vor dem Ertrinken zu bewahren. Die aber das Schlechte bewirken, weil ihretwegen die Zahl der Toten steige. Das Argument lässt sich scheinbar auf das Wertesystem der Kritisierten ein, um sie genau dadurch an ihrer empfindlichsten Stelle zu treffen. Es verkehrt das angeblich Gute in sein Gegenteil, und je intensiver die Gutmenschen nach dieser Logik ihre Ziele verfolgen, desto verheerender das Resultat.

      Um die Anschuldigung zu verschärfen, braucht man bloss den Anteil des angeblich «Gutgemeinten» zu verringern und jenen der kriminellen Energie zu erhöhen. Diese verleite Seenotretter im Namen einer höheren Moral dazu, das Gesetz zu brechen, indem sie etwa widerrechtlich in einen Hafen einlaufen. Oder – eine weitere Verschärfung des Vorwurfs – indem sie direkt mit den Schlepperbanden zusammenarbeiten, womöglich sogar aus finanziellen Interessen.

      Keine Komplizenschaft mit Schleppern

      Trotz intensiver Ermittlungen ist es der italienischen Staatsanwaltschaft bisher nicht gelungen, Beweise für die angebliche Komplizenschaft zwischen NGOs und libyschen Schlepperbanden zu finden. Und noch nie hat die italienische Justiz Seenotretter verurteilt. Stattdessen ist sie – etwa im Fall der Cap Anamur vor zehn Jahren oder diesen Sommer bei der deutschen Kapitänin Carola Rackete – zu Freisprüchen gelangt, aufgrund des internationalen Seerechts, der Genfer Flüchtlingskonventionen sowie verfassungsrechtlicher Bestimmungen. Oder sie hat die Verfahren eingestellt.

      Zwar gibt es noch laufende Prozesse. Schon jetzt aber lässt sich sagen, dass es verlogen ist, wenn NGO-Kritiker auf Recht und Gesetz pochen, um dann unter krasser Missachtung der Unschuldsvermutung und bisheriger Gerichtsurteile sowie aufgrund herbeifantasierter Pull-Effekte irgendwelche haltlosen Anschuldigungen in die Welt zu setzen.

      https://www.tagesanzeiger.ch/ausland/europa/das-maerchen-von-den-rettern-und-vom-pullfaktor/story/10027861

    • New Research Demonstrates that Search and Rescue is Not a Pull Factor

      New research published by the European University Institute suggests that Search and Rescue (SAR) activities in the Mediterranean, especially those carried out by NGOs, are not incentivizing departures of boats from Libyan shores.

      Combining data from UNHCR, IOM and the Italian Coast Guard, the report finds that there is no significant relationship between NGO’s SAR activity and the departures from the Libyan coast between 2014 and 2018. A closer analysis on presence of NGO ships in the first ten months of 2019, where NGOs remained the only actor conducting SAR, similarly concludes that there is no evidence to suggest that departures increased when NGO ships were at sea during the period considered. Instead, the research finds that the agreement between Italy and the Libyan militias from July 2017, weather conditions and violent conflict in Libya in April 2019 had an impact on departures from Libya.

      The research contributes to the critical analysis of the ‘pull factor’ argument used by European governments as a justification to curb SAR efforts. As defined by the authors, the pull factor hypothesis holds that, all else equal, the higher the likelihood that migrants will be rescued at sea and disembarked in Europe, the higher will be the number of attempted crossings.

      The authors call on the need for more data and further research on this issue. They recommend reconsidering government policies disincentivising SAR operations and restoring EU-led missions combining SAR and border enforcement, like Mare Nostrum. They call for effective, lawful and ethically defensible migration governance across the Central Mediterranean.

      https://www.ecre.org/new-research-demonstrates-that-search-and-rescue-is-not-a-pull-factor

    • Lunedì scorso abbiamo pubblicato un paper (https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/65024/PB_2019_22_MPC.pdf?sequence=5&isAllowed=y) che dimostra che la presenza delle navi Ong non spinge i migranti a partire di più dalla Libia.

      Poi sono arrivate tre Ong, e sono partiti in centinaia.

      «Pull factor»? No.

      Un thread.

      Una cosa vera: negli ultimi giorni dalla Libia sono partiti in tanti, tantissimi.

      Era dal 2 novembre che non si registrava alcuna partenza dalle coste libiche.

      Poi, tra il 19 e il 23 novembre, sono partite quasi 1.200 persone.

      Come vi ho già raccontato, la ripresa delle partenze era nuovamente collegata a un miglioramento delle condizioni atmosferiche.

      Però la presenza delle Ong permette di mettere alla prova il nostro modello.

      Cosa che ho fatto.

      Cosa ho scoperto?

      Primo: le condizioni atmosferiche restano fondamentali.

      Come potete vedere dalle curve qui sotto, conta più il vento della temperatura.

      Messe insieme, le due variabili sono ancora più forti: con tanto vento e temperature in discesa, non parte nessuno.

      Secondo: le Ong continuano a non essere «pull factor».

      L’effetto della presenza in mare delle Ong resta non significativo.

      Inoltre, il risultato non si discosta per nulla dai risultati ottenuti con i dati del nostro paper, che si fermavano a fine ottobre.

      Terzo: ma quindi con il governo Conte II riprendono le partenze?

      Pare di no.

      A parità di altri fattori, meteo incluso, le partenze dalla Libia dopo il cambio di governo sono (a oggi) statisticamente indistinguibili dal periodo del Conte I.

      CONCLUSIONE.

      Quando qualcuno vi mostra una piccola fetta di realtà (alte partenze di migranti con Ong in mare), sta oscurando tutto ciò che succede quando non guardate.

      Per questo i dati e i modelli sono così importanti: rimettono in riga il nostro sguardo strabico.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1198935231857909760

    • Policy Brief (EUI) | Les secours en mer des ONG constituent-ils un facteur attractif pour les migrations irrégulières ?

      L’argument selon lequel les ONG qui pratiquent les sauvetages en mer Méditerranée constitueraient un facteur attractif pour les migrations irrégulières fait partie depuis 2015 d’une rhétorique communément admise. Elle a servi à délégitimer les missions de secours en mer au large de la Libye qui soi-disant encourageraient les passeurs à organiser des départs. Pour cet article, les auteurs ont étudié les flux migratoires entre la Libye et l’Italie entre 2014 et octobre 2019. Aucun lien de cause a effet n’a pu être identifié entre les départs de la côte libyenne et la présence de navires de sauvetage des ONG. Bien que d’autres recherches doivent être encore menées, cette étude remet en question le fait que la présence de bateau de sauvetage puisse constituer un facteur attractif.

      La recherche menée par Eugenio Cusumano (Migration Policy Center, EUI) et Matteo Villa (Instituto per gli Studi di Politica Internazionale, ISPI) intitulée ” Sea Rescue NGOs : a Pull Factor of Irregular Migration” a été publiée en anglais en novembre 2019. Elle est entièrement disponible sur le site de l’institut European University Institute (EUI) ou en cliquant sur l’image ci-dessus.

      Le journal Libération du 18 novembre 2019 lui a consacré un article ” ONG en Méditerannée : les secours en mer ne créent pas d’”appel d’air”” rédigé par Kim Hulot-Guiot.

      Nous proposons ci-dessous un bref résumé des principales conclusions des deux chercheurs :

      En 2013, en réponse aux nombreuses disparitions lors des traversées de la mer Méditerranée, l’Union européenne avait mis en place l’opération Mare Nostrum habilitant ainsi des garde-côtes à sauver des personnes migrantes dans la zone internationale au large des côtes libyennes. Une année plus tard cette opération fut suspendue par crainte que cela ait contribué à augmenter le nombre de tentatives de traversée de la Méditerranée centrale. Les missions suivante Triton, Themis ou Eunafovor n’ont presque plus effectué de sauvetage en mer. Ce manque a été comblé par des navires d’ONG qui ont assisté plus de 115’000 migrants entre 2014 et octobre 2019.

      Ce tableau issu de l’article montre l’évolution du nombre enregistré de personnes disparues en Méditerranée (centrale, est et ouest) entre 2014-2019 :

      En 2017, l’Italie a développé une nouvelle approche de cette question. Elle a conclu un accord avec les garde-côtes libyens pour qu’ils réduisent le nombre de départ depuis leurs côtes. De plus, l’Italie a progressivement fermé ses ports aux navires de sauvetage des ONG et entrepris la confiscation progressive de navires qui auraient enfreint ses interdictions. Ce procédé a eu comme conséquence de faire diminuer le nombre de navire de sauvetage d’ONG en mer Méditerranée. Le nouveau gouvernement italien n’a pas infléchi les règles et la rencontre européenne de Valletta en septembre 2019 suggérait encore entre les lignes que la présence des navires de sauvetage des ONG pourrait être responsable des départs continus de personnes migrantes depuis la Libye.

      En réalité, peu de recherches empiriques détaillent ce lien. Cette étude est une volonté d’y pallier. Elle utilise des indices statistiques qui permettent de mettre en corrélation les départs non-contrôlés des côtes libyennes et les activités de sauvetage au large de ces côtes par les ONG. Elle conclue à un manque de lien significatif entre ces deux facteurs :

      En 2015, le nombre total de départ depuis la Libye a légèrement baissé en comparaison à 2014 bien que les nombre de personnes sauvées par des ONG ait augmenté de 0.8 à 13% du nombre total de personnes sauvées dans cette zone ; après juillet 2017, le nombre de migrants quittant la Libye a diminué même si les ONG sont devenues les plus importantes actrices des sauvetages en mer. Cela suggère que l’accord passé entre les milices libyennes et l’Italie conclut en juillet 2017 a un impact beaucoup plus grand pour réduire les départs que les activités menées par les bateaux des ONG.

      Vu le manque de données disponibles, de telles recherches devraient continuer d’être entreprises. Néanmoins les premiers résultats significatifs servent à éclairer le débat politique. En ce sens, les auteurs suggèrent des recommandations :

      Le fait que la présence des ONG constitue un facteur attractif pour le départ des migrants à partir des côtes libyennes pour se rendre en Italie est ici infirmé. Par conséquent, les restrictions législatives portées aux opérations de sauvetage en mer par ces ONG a conduit à une augmentation des morts lors de ces traversées sans réduire significativement les départs. Ces décisions devraient donc être reconsidérées.
      Le retrait de cette zone des forces armées européennes en secours aux migrants a été décidé sur des présupposés hasardeux. S’il est clair que les ONG ne constituent par un attrait aux départs irréguliers des côtes libyennes, les navires militaires européens ne le constitueraient pas non plus, mais pourraient bien au contraire sauver des vies et détecter des arrivées non détectées. Il serait donc important de redéployer ces forces en Méditerranée.
      Les mesures visant à empêcher les migrations dans les pays de transit ou de départ ont un impact beaucoup plus grand sur les processus migratoires que la présence des navires de sauvetages en mer des ONG. Néanmoins, ce processus d’externalisation de la gestion des migrations est très problématique vu les conditions de vie et détention dont souffrent les personnes migrantes en Libye. Il faudrait donc réussir à combattre le trafique d’être humains sur la terre tout en réduisant les facteurs attractifs d’immigration et en améliorant les conditions de vie et les possibilités de protection en Libye.

      https://asile.ch/2019/11/25/policy-brief-eui-les-secours-en-mer-des-ong-constituent-ils-un-facteur-attract

    • Ammiraglio #Giuseppe_De_Giorgi:

      “Il dato più interessante, sottolinea De Giorgi, è che con la chiusura di Mare Nostrum gli sbarchi non sono affatto diminuiti, anzi sono aumentati. E di molto. Basta un dato a smontare le accuse mosse dai teorici dell’equazione ‘più soccorsi uguale più sbarchi’. Nel novembre del 2013, in piena Mare Nostrum, erano arrivati in Italia 1883 migranti. Nel novembre dell’anno successivo, cioè subito dopo la conclusione dell’operazione, sono stati registrati 9134 arrivi, con un aumento netto del 485 per cento.
      ‘Di questi,’ continua l’ammiraglio, ‘3810 migranti sono stati soccorsi dalla Marina e sottoposti a controllo sanitario prima dello sbarco. I restanti 5324 sono arrivati direttamente sul territorio nazionale senza controllo sanitario. Di questi ultimi, infatti, 1534 sono stati intercettati e soccorsi dalla Capitaneria di porto e 2273 da mercantili commerciali non attrezzati per quel tipo di attività, ma obbligati dal diritto del mare a intervenire.’
      Insomma, gli sbarchi continuano, ma in maniera più caotica e disordinata. La frontiera è di nuovo arretrata: da acquatica è tornata a essere terrestre e a coincidere con le coste italiane.”

      (Alessandro Leogrande, La frontiera, 2017 : pp. 186-187)

  • JE VAIS COMMENCER ICI UN NOUVEAU FIL DE DISCUSSION, SUR LES SAUVETAGES ET LES NAUFRAGES EN MEDITERRANEE.

    CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/768421

    Ici la métaliste complète:
    https://seenthis.net/messages/706177

    ping @isskein

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    Ecco il decreto sicurezza-bis: multe per ogni migrante trasportato e per chi non rispetta le norme Sar

    Salvini si attribuisce la competenza a vietare il transito delle navi ritenute pericolose e prevede che a indagare possano essere solo le Dda. Pene più pesanti per chi aggredisce le forze dell’ordine. Il M5S: «Il ministro dell’Interno copre così il fallimento sui rimpatri».

    È un vero e proprio blitz quello con il quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini vara un #decreto_sicurezza_bis che prevede sanzioni pecuniarie pesantissime contro chi soccorrse i migranti in violazione delle norme #Sar ma soprattutto con cui attribuisce al Viminale e alle Direzione distrettuali antimafia competenze che erano del ministero dei Trasporti e delle Procure ordinarie.

    Il provvedimento consta di dodici articoli, la maggior parte dei quali dedicato ancora al contrasto dell’immigrazione clandestina. Con norme clamorose destinate a spaccare il consiglio dei ministri.
    La prima prevede sanzioni a chi «nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previste dalle Convenzioni internazionali», dunque i comportamenti che Salvini attribuisce alle navi umanitarie. Le sanzioni previste sono di due tipi: da 3.500 a 5.500 euro per ogni straniero trasportato e, nei casi reiterati, se la nave è battente bandiera italiana la sospensione o la revoca della licenza da 1 a 12 mesi.

    L’articolo numero 2 va a modificare il #Codice_della_navigazione. Salvini attribuisce al Viminale quelle che sono al momento competenze del ministero dei Trasporti, in particolare la limitazione o il divieto di transito nelle acque territoriali di navi qualora sussistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico. E, come già scritto nelle direttive fin qui emanate, Salvini ritiene che tutte le navi che trasportino migranti siano una minaccia per la sicurezza nazionale.

    Il decreto modifica anche il codice di procedura penale estendendo anche alle ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la competenza delle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina delle intercettazioni preventive. Di fatto togliendo alle Procure ordinarie la possibilità ad indagare.

    Tre milioni di euro vengono stanziati per l’impiego di poliziotti stranieri in operazioni sotto copertura contro le organizzazioni di trafficanti di uomini.

    Un altro pacchetto di norme inasprisce le sanzioni per chi devasta o danneggia nel corso di riunioni in luoghi pubblici e al contempo trasforma da sanzioni in delitti, con il conseguente inasprimento delle pene, le azioni di chi si oppone a pubblici ufficiali con qualsiasi mezzo di resistenza attiva o passiva, dagli scudi alle mazze e ai bastoni. Modifiche al codice penale aggravano il reato e dunque le sanzioni per violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale soprattutto se commessi durante manifestazioni in luogo pubblico. Soppressa la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    L’articolo 7 è la norma già annunciata come «#spazzaclan» e prevede l’istituzione di un commissario straordinario con il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato delle sentenze di condanna da eseguire nei confronti di imputati liberi. Previste le assunzioni a tempo determinato di durata annuale di 800 unità .

    L’ultimo articolo infine prevede l’impiego di altri 500 militari a Napoli in occasione delle #Universiadi.

    Fonti del M5s hanno commentato: «Salvini copre così il fallimento sui rimpatri». Secondo altre fonti «c’è fortissima preoccupazione che il ministro dell’Interno si spinga sempre più su temi estremisti».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/10/news/ecco_il_decreto_sicurezza-bis_pene_piu_pesanti_per_i_trafficanti_di_uomin
    #decreto_sicurezza #décret #Italie #Salvini #migrations #réfugiés #Méditerranée #amende #sauvetage #mourir_en_mer #ONG #eaux_territoriales #eaux_internationales #frontières #militarisation_des_frontières

    • Message d’@isskein via la mailing-list Migreurop.
      Chronique 9-10 mai 2019 en Méditerranée :

      9 mai Le Mare Jonio (Mediterranea Saving Humains, RescueMed) sauve 29 passagers (1 enfant de 1 an, 3 femmes dont une enceinte) d’un bateau pneumatique endommagé dans les eaux internationales, à 40 miles des côtes libyennes. Ils demandent un port sûr au centre de coordination italien, le ministère de l’Intérieur leur enjoint de contacter les gardes-côtes libyens...

      10 mai Le Mare Ionio accoste à Lampedusa, les 29 rescapés débarquent. 20h45, la « saisie préventive » du MareJonio, réclamée depuis le matin par l’Intérieur, a été notifiée. Le capitaine Pietro Marrone et Luca Casarini, chef de mission du #Mare_Jonio, font l’objet d’une enquête pour facilitation de l’immigration clandestine

      10 mai le navire militaire italien #Cigala_Fulgosi débarque dans le port d’Augusta (Sicile) 36 migrants secourus sur une embarcation à la dérive

      10 mai Au moins 70 personnes disparues dans un naufrage au large des côtes tunisiennes

      Il n’y a aujourd’hui plus aucun navire d’ONG en Méditerranée centrale.

      Sur le #naufrage au large de la #Tunisie, v. plus ici :
      https://seenthis.net/messages/780298

    • Dl sicurezza bis, cosa prevede il decreto che introduce multe da 5.500 euro a chi salva i migranti

      Il Ministero dell’Interno nella serata del 10 maggio 2019 ha messo a punto il “decreto sicurezza bis”, che prevede multe per chi soccorre i migranti, ma non solo.

      Il decreto si compone di 12 articoli.

      Il nucleo centrale prevede l’inasprimento delle misure contro i trafficanti di esseri umani e il potenziamento delle operazioni sotto copertura per contrastare l’immigrazione clandestina.

      Qui abbiamo spiegato cosa prevede il decreto sicurezza bis, punto per punto:
      Multe per chi soccorre i migranti

      L’articolo 1 del decreto sicurezza bis prevede che chi, nello svolgimento di operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetta gli obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali – con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o di quelle dello Stato di bandiera può incorrere in una “sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 3.500 a 5.500 euro per ciascuno degli stranieri trasportati”.

      Nei casi “più gravi o reiterati è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione rilasciata dall’autorità amministrativa italiana inerente all’attività svolta e al mezzo di trasporto utilizzato”.
      Modifiche al codice della navigazione

      L’articolo 2 del decreto sicurezza bis prevede alcune modifiche al codice della navigazione, e nello specifico viene attribuito al ministro dell’Interno il potere di “limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità da diporto o di pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e comunque in caso di violazione” di alcune delle disposizioni della Convenzione di Montego Bay.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

      All’articolo 3 il decreto sicurezza bis vuole contrastare a monte l’organizzazione dei trasporti di migranti irregolari. I reati associstende ai
      Finanziamento da 3 milioni per le forze dell’ordine

      Il decreto sicurezza bis all’articolo 4 prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per il finanziamento degli “oneri conseguenti al concorso di operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi” per lo svolgimento di operazioni sotto copertura “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
      Universiadi

      Tra le novità del decreto sicurezza bis c’è l’arrivo di 500 militari in più a Napoli in vista delle Universiadi 2019.
      Inasprimento delle sanzioni per i reati di devastazione

      L’articolo 5 del decreto sicurezza bis interviene sul Tulps, il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inasprendo le sanzioni conseguenti ai reati di devastazione, saccheggio e danneggiamento, commessi nel corso di riunioni effettuate in luogo pubblico o aperto al pubblico.

      Inoltre, prevede espressamente l’obbligo di comunicazione immediata, non oltre le 24 ore, all’autorità di pubblica sicurezza delle generalità delle persone ospitate in alberghi o in altre strutture ricettive.

      Tutela degli operatori delle forze dell’0rdine

      L’articolo 6 del decreto sicurezza bis prevede maggiori tutele per gli operatori delle forze dell’ordine impiegati in servizio di ordine pubblico, attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose. Il decreto inoltre trasforma quelle che attualmente sono contravvenzioni in delitti e prevede inoltre l’inasprimento delle sanzioni.

      Ad esempio, “chiunque nel corso di manifestazioni.. per opporsi a pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.. utilizza scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”.

      Ovvero, “chiunque lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile… ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
      Commissario straordinario e assunzione di 800 persone

      L’articolo 8 del decreto sicurezza bis prevede l’istituzione di un commissario straordinario e l’assunzione di 800 persone con impegno di spesa per oltre 25 milioni di euro: permetterà di notificare sentenze ai condannati attualmente in libertà e garantire così l’effettività della pena. Inasprite anche le misure per chi aggredisce operatori delle forze dell’ordine.

      Il commissario straordinario, nominato dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Interno, ha il compito di realizzare un programma di interventi finalizzati ad eliminare l’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze di condanna divenute definitive da eseguire nei confronti di imputati liberi.

      https://www.tpi.it/2019/05/10/decreto-sicurezza-bis-cosa-prevede

    • Decreto sicurezza bis, ennesima proposta in contrasto con i principi fondamentali

      Nelle stesse ore in cui apprendevamo dell’ennesima strage avvenuta nel Mare Mediterraneo a causa delle politiche di chiusura ed esternalizzazione dell’Italia e dell’Unione europea, i mass media hanno anticipato i contenuti di un possibile nuovo decreto d’urgenza proposto dal Ministero dell’Interno che dovrebbe andare nuovamente a modificare alcune delle norme sulla disciplina dell’immigrazione in Italia.

      Il testo appare essere l’ennesimo stravolgimento dei fondamentali principi di diritto internazionale e un ulteriore contributo alla politica posta in essere da questo Governo, così come da quello precedente, finalizzata a colpire coloro, specialmente organizzazioni non governative di chiara fama, che non vollero ubbidire alla regolamentazione della salvaguardia del diritto alla vita.

      Tra esse la previsione di nuove sanzioni (ed addirittura la sospensione o la revoca della licenza alla navigazione) a carico di chi a certe condizioni ponga in essere “azioni di soccorso di mezzi adibiti alla navigazione ed utilizzati per il trasporto irregolare di migranti, anche mediante il recupero delle persone”. Ovvero sanzioni per chi, nell’adempimento di un dovere etico, giuridico e sociale, salva vite umane altrimenti destinate alla morte.

      Nonostante i gravi dissidi istituzionali determinati dall’ultimo Governo Conte e dalle politiche dell’attuale Ministro dell’Interno, con l’attuale ipotesi di decreto legge (a cui sono evidenti a tutti la mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza), si persegue pervicacemente nella strada intrapresa e, addirittura, si decide di portare la guerra agli esseri umani anche in acque internazionali sbeffeggiando le convenzioni internazionali in materia di ricerca e soccorso in mare.

      Riservandoci una compiuta analisi normativa se e quando (malauguratamente) quel testo dovesse prendere formalmente vita, riteniamo doveroso evidenziare che :

      sino ad oggi la magistratura italiana ha ritenuto che le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi private sono state svolte per adempiere a precisi obblighi internazionali e per rispondere ad evidenti condizioni di necessità

      La situazione generatasi in Libia nel corso degli ultimi anni è degenerata ulteriormente nelle ultime settimane impone di intervenire per salvare la vita dei civili e dei migranti presenti nel Paese e di interrompere le politiche di sostegno alla Libia relative alle operazioni della Guardia costiera libica

      Salvare vite in mare è un dovere che risponde a precisi obblighi umanitari e non può e non dovrà mai essere considerato un crimine.

      Prendere posizione contro questo ennesimo attacco al rispetto della vita umana, ai diritti e alle libertà fondamentali è un dovere a cui non è più possibile sottrarsi.

      https://www.asgi.it/primo-piano/decreto-sicurezza-bis-ennesima-proposta-in-contrasto-con-i-principi-fondamental

    • Il teorema #Zuccaro sulle ong è fallito

      Il giudice per le indagini preliminari (gip) di Catania, #Nunzio_Sarpietro, ha accolto la richiesta di archiviazione della procura di Catania per l’inchiesta a carico del comandante della nave umanitaria Open Arms Marc Reig e della capomissione Anabel Montes Mier, accusati di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in seguito al salvataggio di più di duecento persone, il 15 marzo 2018, al largo della Libia. Durante l’operazione la nave umanitaria si era trovata a dover affrontare momenti di tensione con una motovedetta libica, che rivendicava il coordinamento delle operazioni.

      In quell’occasione gli spagnoli si erano rifiutati di consegnare ai guardacoste libici i migranti appena soccorsi e per questo, dopo essere approdati nel porto di Pozzallo, erano stati accusati di diversi reati e la loro nave era stata sequestrata. Con l’archiviazione di questa inchiesta, cade uno degli ultimi pilastri del cosiddetto “teorema Zuccaro”, la tesi sostenuta dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro secondo cui ci sarebbero stati dei contatti tra le navi delle ong e i trafficanti di esseri umani. Resta aperta, invece, l’inchiesta della procura di Ragusa contro Reig e Montes Mier accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata per lo stesso caso. Rimane aperta anche l’inchiesta della procura di Trapani contro la nave Iuventa dell’ong Jugend Rettet, sequestrata nell’agosto del 2017. Il gip dovrebbe decidere l’eventuale rinvio a giudizio nelle prossime settimane.

      “Siamo felici di apprendere che un ulteriore passo verso la verità è stato fatto”, ha commentato l’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms in un comunicato. “Ribadiamo di aver sempre operato nel rispetto delle convenzioni internazionali e del diritto del mare e che continueremo a farlo mossi da un unico obiettivo: difendere la vita e i diritti delle persone più vulnerabili”. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro chiarisce di non aver ancora preso visione delle motivazioni che hanno spinto la stessa procura di Catania a chiedere l’archiviazione. “Dal 3 maggio 2019 sapevamo però che il gip aveva archiviato questa indagine”, conferma Lo Faro.

      Già nel marzo del 2018 lo stesso gip Sarpietro aveva confermato il sequestro della nave, ma aveva escluso il reato di associazione a delinquere contro il capitano Marc Reig e la coordinatrice dei soccorsi Anabel Montes Mier, lasciando in piedi invece l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Questo elemento aveva fatto decadere la competenza territoriale del tribunale di Catania che ha una specifica autorità per i reati associativi e aveva fatto intervenire il tribunale di Ragusa, che deve ancora esprimersi in merito all’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata.

      In questo caso giudiziario è stata particolarmente importate la decisione del gip di Ragusa nell’aprile del 2018 di dissequestrare la nave, ferma nel porto di Pozzallo per un mese dopo il salvataggio. Nel decreto di dissequestro infatti il gip di Ragusa Giovanni Giampiccolo aveva riconosciuto lo stato di necessità nel quale era avvenuto il salvataggio e aveva inoltre stabilito che la Libia non è un posto sicuro in cui portare le persone soccorse in mare. Il giudice Giampiccolo ha riconosciuto che la Libia è “un luogo in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani (con persone trattenute in strutture di detenzione in condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione, e sottoposte a maltrattamenti e stupri e lavori forzati)”.

      “Quella decisione ha fatto scuola”, sottolinea l’avvocata Lo Faro. Da quel momento infatti non sono stati più disposti sequestri preventivi, ma solo sequestri probatori.

      Le indagini della procura di Catania
      Una figura centrale in questa vicenda è stato il procuratore generale di Catania Carmelo Zuccaro, alla guida della procura della città siciliana dal 2016. Dopo aver annunciato l’apertura di un fascicolo d’indagine conoscitivo sull’attività di queste organizzazioni, nella primavera del 2017 aveva rilasciato numerose interviste ai mezzi d’informazione italiani e stranieri. Il 22 marzo 2017 il pm era anche intervenuto in un’audizione al comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen dichiarando di aver aperto delle indagini sui profitti delle ong e affermando di ritenere sospetto il “proliferare così intenso di queste unità navali”.

      “Noi riteniamo ci si debba porre il problema di capire da dove provenga il denaro che alimenta, che finanzia questi costi elevati. Da questo punto di vista, la successiva fase della nostra indagine conoscitiva sarà quella di capire quali siano i canali di finanziamento”. In quell’occasione aggiungeva di trovare “anomalo” che le navi non approdassero nel porto più vicino, bensì nei porti italiani, e sosteneva che ci fosse un rapporto tra la presenza delle navi umanitarie e l’aumento del numero dei morti. L’altra questione che il procuratore sollevava era quella della necessità della presenza a bordo delle navi di poliziotti e autorità giudiziarie impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani. Questo è stato un tema caro ai magistrati, perché il materiale raccolto dalla polizia giudiziaria nel periodo della missione umanitaria Mare nostrum aveva aiutato le procure a condurre diverse indagini contro i trafficanti.

      La stessa preoccupazione ha ispirato anche uno dei punti del codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Marco Minniti. Dal 2013 la procura di Catania si era trasformata nell’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, grazie proprio alla missione Mare nostrum. Prima i barconi con i migranti si spingevano sotto costa e arrivavano a Lampedusa, l’isola italiana più vicina alla Tunisia, oppure sulla parte occidentale della Sicilia, nella provincia di Trapani, che in linea d’aria è più raggiungibile dalle spiagge nordafricane. Ma in quello stesso periodo la marina militare e la guardia costiera italiana avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel canale di Sicilia, e poi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche, quindi diversi porti siciliani, soprattutto quelli orientali come Catania, erano stati coinvolti negli sbarchi.

      Anche per questo Zuccaro si diceva preoccupato del grado di collaborazione tra le ong e la polizia giudiziaria: “Vogliamo cercare di capire se da parte di queste ong vi è comunque quella doverosa collaborazione che si deve prestare alle autorità di polizia e alle autorità giudiziarie al momento in cui si pongono in contatto con l’autorità giudiziaria italiana”. In questa prima audizione per il procuratore di Catania risultano sospetti soprattutto i finanziamenti che le ong ricevono, mentre in diverse interviste successive si concentra sui presunti contatti tra i trafficanti e le navi.

      Circa un mese dopo, durante la trasmissione Agorà su Rai 3, il pm si spinge oltre, affermando che l’obiettivo delle navi umanitarie potrebbe essere quello di destabilizzare l’economia: “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, sono a conoscenza di contatti. Forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante. Si perseguono da parte di alcune ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”.

      Accuse a cui il governo, tramite i ministri dell’interno Marco Minniti e quello della giustizia Andrea Orlando, reagiva con fermezza, chiedendo le prove. Zuccaro rispondeva di “avere denunciato un fenomeno e non singole persone”, perché se “si aspetta troppo tempo si rischia di produrre elementi deleteri non più controllabili”. Parlava di “deroga” al riserbo, ma anche di “un dovere per chi deve fare rispettare la legalità”. In un’intervista con la Repubblica del 28 aprile 2017, il procuratore afferma però una cosa nuova: finalmente ha “la certezza” dei contatti tra le ong e i trafficanti, ma si tratta di materiale non utilizzabile in sede giudiziaria. Si parla di tabulati telefonici e conversazioni nelle mani dell’intelligence. Zuccaro si dice certo di un rapporto di complicità tra le ong e gli scafisti.

      Per due mesi nella primavera del 2017 il procuratore è molto presente sui mezzi d’informazione nazionali e internazionali con dichiarazioni di questo tenore, in tanti lo accusano di violare il segreto istruttorio e di produrre affermazioni che hanno un valore più politico che giudiziario. Mentre Zuccaro concede le sue interviste è aperta un’indagine conoscitiva sulle ong della Commissione difesa del senato, guidata dal senatore Nicola La Torre. Interpellato dalla commissione parlamentare, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni del comando generale della guardia di finanza, smentisce le affermazioni del procuratore capo di Catania: “Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non ci sono evidenze investigative tali da far emergere collegamenti tra ong e organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti”.

      Dopo due anni d’indagini, il 13 agosto 2018 l’inchiesta “madre” di Zuccaro (che intanto aveva ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere) è avviata all’archiviazione, nel caso Open Arms viene archiviata l’accusa di “associazione a delinquere”, ma ormai la campagna di discredito ai danni delle ong ha fatto il suo corso e le dichiarazioni del pm hanno influenzato in maniera irreversibile l’opinione pubblica italiana, che considera “accertati” i contatti tra ong e scafisti, in barba a qualsiasi garantismo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/amp/open-arms-zuccaro-ong?__twitter_impression=true

    • Des migrants débarqués à Lampedusa, Salvini furieux

      Quarante-sept migrants ont été débarqués dimanche soir à Lampedusa, une île au sud de la Sicile, après la saisie sur ordre de justice de leur bateau de sauvetage, provoquant la colère du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini.

      Le navire affrété par l’ONG allemande Sea-Watch battant pavillon néerlandais, qui stationnait dans les eaux italiennes tout près de l’île de #Lampedusa, a été saisi dans la journée par la police financière italienne sur ordre d’un procureur de Sicile.

      Puis, les migrants à bord ont été transférés par moto-vedettes vers la terre ferme en fin de soirée. Une décision que M. Salvini —également vice-Premier ministre et chef de la Ligue (extrême-droite)— a semblé découvrir en temps réel à la télévision, l’amenant à demander qui au gouvernement avait pu prendre une telle décision contre son avis formel.

      Déjà à couteaux tirés avec lui, son partenaire gouvernemental du Mouvement 5 étoiles, Luigi Di Maio, a rétorqué qu’il n’acceptait pas ses insinuations, rappelant qu’il était obligatoire de faire débarquer les passagers d’un bateau saisi par la justice.

      Parallèlement à ce nouveau couac gouvernemental en pleine campagne pour les élections européennes, des échauffourées ont eu lieu dimanche soir à Florence (centre) entre forces de l’ordre et 2.000 personnes venues protester contre la présence de M. Salvini qui tenait un meeting politique dans la ville.

      Dimanche, le chef de Ligue avait jugé risibles les critiques du Haut-Commissariat aux droits de l’Homme (HCDH) de l’ONU contre un projet visant à durcir la législation anti-migratoire en Italie.

      L’ONU, « un organisme international qui coûte des milliards d’euros aux contribuables, qui a comme membres la Corée du Nord et la Turquie, et qui vient faire la morale sur les droits de l’Homme à l’Italie ? (...) Cela prête à rire », a commenté M. Salvini.

      Un projet de décret-loi, qui pourrait être soumis lundi au conseil des ministres, propose de donner au ministre de l’Intérieur le pouvoir d’interdire les eaux territoriales italiennes à un navire pour des raisons d’ordre public.

      Le texte prévoit aussi une amende de 3.500 à 5.500 euros par migrant arrivé en Italie pour tout navire de secours n’ayant pas respecté les consignes des garde-côtes compétents dans la zone où il serait intervenu.

      Dans sa lettre envoyée au ministère italien des Affaires étrangères, le HCDH demande à l’Italie de ne pas approuver ce nouveau décret-loi.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/des-migrants-debarques-lampedusa-salvini-furieux.afp.com.2019

    • Sea Watch, sbarcati i migranti. Salvini accusa i M5s: «Chi ha dato l’ordine?». Di Maio: «Non dia la colpa a noi»

      Sequestrata la nave Ong. Il ministero dell’Interno: i migranti non scenderanno. Ma il pm ordina che vengano portati sull’isola. E scoppia lo scontro tra i partner di governo. I primi a scendere una donna incinta e suo marito.
      La prima è una donna incinta, sorretta dal marito. A piedi nudi. Poi via via, tutti gli altri. Sorrisi, abbracci e saluti. Sono scesi tutti. Nonostante Salvini. “Fino a quando sono ministro io quella nave in un porto italiano non entra e non sbarca nessuno”, aveva garantito il ministro dell’Interno quando la Sea Watch 3 aveva ignorato la sua diffida e si era presentata davanti al porto di Lampedusa ottenendo l’autorizzazione all’ancoraggio alla fonda.

      Ventiquattro ore dopo, i 47 migranti rimasti a bordo della nave della Ong tedesca sono scesi a terra. Sequestro della nave d’iniziativa della Guardia di finanza, perquisizione e contestuale sbarco di tutti i migranti. Lo stesso “modello” già seguito per due volte per sbloccare i precedenti soccorsi della Mare Jonio, rimasta sequestrata per alcuni giorni e poi sempre liberata dai pm di Agrigento. Che questa volta si sono mossi di concerto con la Guardia di finanza forzando la mano ad un inferocito Salvini, incredulo di essere smentito proprio alla vigilia di quel consiglio dei ministri in cui intende portare all’approvazione il suo contestatissimo decreto sicurezza-bis.

      Un braccio di ferro senza precedenti quello tra la Procura di Agrigento e la Guardia di finanza da una parte e il Viminale dall’altro, conclusosi alle otto di sera quando due motovedette, dopo aver notificato al comandante della Sea Watch i decreti di sequestro e perquisizione firmati dal procuratore aggiunto Salvatore Vella che per tutto il weekend ha seguito personalmente sull’isola l’evolversi della vicenda, hanno scortato in porto la nave umanitaria.

      L’accelerazione nel primo pomeriggio quando il comandante Arturo Centore fa sapere alla Guardia costiera che la situazione a bordo è di assoluta emergenza. Alcuni migranti hanno indossato il giubbotto di salvataggio e minacciano di buttarsi a mare. “Se entro le nove di sera la situazione non si sblocca, levo l’ancora ed entro direttamente in porto”, annuncia il comandante della Sea Watch.

      A quel punto Guardia di finanza, guardia costiera e Procura decidono di notificare i sequestri e far sbarcare tutti. Anche contro il volere del Viminale.

      Salvini, che già poche ore prima, in un comizio a Sassuolo aveva attaccato a testa bassa “una procura e un giudice che invece di indagare gli scafisti indaga me”, incassa malissimo il colpo e ancor prima che la Sea Watch attracchi al molo di Lampedusa mette le mani avanti e sottolinea che lo sbarco avviene contro la sua volontà. “La magistratura faccia come crede ma il Viminale continua e continuerà a negare lo sbarco da quella nave fuorilegge. Il ministro dell’Interno si aspetta provvedimenti nei confronti del comandante della nave dal quale è lecito attendersi indicazioni precise sui presunti scafisti presenti a bordo”.

      Alle otto di sera, quando i 47 migranti toccano terra e vengono portati nell’hotspot di contrada Imbriacola, una nota firmata dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio (il pm del caso Diciotti che per primo ha contestato a Salvini il sequestro di persona) spiega la “ratio” della scelta degli inquirenti: “Il sequestro probatorio è stato eseguito per violazione dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione ponendo la nave a disposizione di questa procura che ne ha disposto, previo sbarco dei migranti, il trasferimento sotto scorta nel porto di Licata. Le indagini proseguiranno sia per l’individuazione degli eventuali trafficanti di esseri umani coinvolti sia per la valutazione della condotta della Ong”. Come sempre. A sbarco avvenuto, quando anche l’ultimo migrante era già sceso a terra, Salvini ricara: «Per me possono stare lì fino a ferragosto. Gli porto da mangiare e da bere ma stanno lì». E al procuratore di Agrigento: «E’ quello che mi ha indagato per sequestro di persona. Se li farà sbarcare, ne prenderò atto e valuteremo nei suoi confronti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
      Salvini attacca i 5s: «Chi ha dato l’ordine?»
      Matteo Salvini ha assistito in diretta tv allo sbarco dei migranti dalla nave Sea Watch 3, ospite in studio su La7. «Qualcuno l’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne dovrà rispondere», si irrita il ministro. Il M5s fa sapere a stretto giro che non sono stati i suoi ministri. Ma Salvini insiste: «Chi è che li ha autorizzati a
      sbarcare? Io no, non ho autorizzato niente, deve essere qualcun altro. Io sorrido ma è grave. Perché siamo un Paese sovrano con leggi, regole, una storia e nessuna associazione privata se ne può disinteressare. Qualcuno quell’ordine lo avrà dato. Questo qualcuno ne deve rispondere».

      Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze parlando A che tempo che fa: «Il sequestro lo esegue la magistratura quindi non credo sia un espediente» per far sbarcare i migranti a bordo «perché la magistratura è indipendente dal governo. Quando arrivano qui contattiamo i Paesi Ue e chiediamo la redistribuzione. Io credo che la politica delle redistribuzioni è l’unica strada che abbiamo per fronteggiare il fenomeno. Poi c’è il tema dei rimpatri che si devono fare. La Chiesa Valdese stamattina ha lanciato una disponibilità, lavoriamo nel senso della redistribuzione» e «non scontriamoci con la magistratura, tutte queste tensioni non fanno bene al Paese».

      E dopo le accusa di Salvini replica: «Non accetto che il ministro dell’Interno dice che se stanno sbarcando dalla Sea Watch è perché i ministri 5 Stelle hanno aperto i porti. La nave è stata sequestrata dalla magistratura e, quando c’è un sequestro, si fanno sbarcare obbligatoriamente le persone a bordo».

      Duro anche il ministro Danilo Toninelli: «Salvini, se ha qualcosa da dirmi, me la dica in faccia. Non parli a sproposito del sottoscritto in tv. È evidente che l’epilogo della vicenda è legato al sequestro della nave da parte della magistratura, non serve un esperto per capirlo. Magari il ministro dell’Interno si informi prima di parlare. E trovi soluzioni vere sui rimpatri, non ancora avviati da quando è il responsabile della sicurezza nazionale».
      Lo sbarco per Salvini è una sconfitta politica
      Comunque la si guardi, la conclusione del braccio di ferro per Salvini è una sonora sconfitta che il ministro dell’Interno cerca di capitalizzare puntando tutte le sue carte su quel decreto sicurezza-bis che l’Onu chiede di ritirare ritenendolo una “violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.

      Dopo aver irriso la lettera dell’alto Commissariato dell’Onu invitandolo ad occuparsi “dell’emergenza umanitaria in Venezuela anziché fare campagna elettorale in Italia”, Salvini ribadisce: "Resta un tema fondamentale: la difesa dei confini nazionali e l’ingresso in Italia di un gruppo di sconosciuti dev’essere una decisione della politica (espressione della volontà popolare) o di magistrati e Ong straniere? La vicenda Sea Watch 3 conferma una volta di più l’urgenza di approvare il decreto sicurezza bis già nel Consiglio dei ministri di domani per rafforzare gli strumenti del governo per combattere i trafficanti di uomini e chi fa affari con loro”.

      I 47 migranti sbarcati aspettano adesso di conoscere il loro destino. Le chiese evangeliche hanno dato la loro piena disponibilità ad accoglierli tutti nelle loro comunità in Italia ma anche all’estero.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/19/news/via_libera_per_la_sea_watch_puo_attraccare_a_lampedusa-226674239

    • Italy: UN experts condemn bill to fine migrant rescuers

      UN human rights experts* have condemned a proposed draft decree by Italy’s interior minister, Matteo Salvini, to fine those who rescue migrants and refugees at sea, and urged the Government to halt its approval.

      “The right to life and the principle of non-refoulement should always prevail over national legislation or other measures purportedly adopted in the name of national security,” said the independent experts, who conveyed their concerns about the decree in a formal letter to the Italian Government.

      “We urge authorities to stop endangering the lives of migrants, including asylum seekers and victims of trafficking in persons, by invoking the fight against traffickers. This approach is misleading and is not in line with both general international law and international human rights law. Instead, restrictive migration policies contribute to exacerbating migrants’ vulnerabilities and only serve to increase trafficking in persons.”

      Earlier this month, Mr. Salvini announced a proposal to issue a decree that would fine vessels for every person rescued at sea and taken to Italian territory. NGO and other boats that rescued migrants could also have their licences revoked or suspended.

      The UN experts said that, should the decree – yet to be approved by the government – enter into force, it would seriously undermine the human rights of migrants, including asylum seekers, as well as victims of torture, of trafficking in persons and of other serious human rights abuses.

      They also asked for the withdrawal of two previous Directives banning NGO vessels rescuing migrants off Libya’s coasts from accessing Italian ports. In particular, the second Directive singled out the Italian ship Mare Jonio for helping those at sea.

      Declaring that Libyan ports were “able to provide migrants with adequate logistical and medical assistance” was particularly alarming, the experts said, especially given reports that Libyan coastguards had committed multiple human rights violations, including collusion with traffickers’ networks and deliberately sinking boats.

      The experts said any measure against humanitarian actors should be halted. “We are deeply concerned about the accusations brought against the Mare Jonio vessel, which have not been confirmed by any competent judicial authority. We believe that this represents yet another political attempt to criminalise humanitarian actors delivering life-saving services that are indispensable to protect humans’ lives and dignity.”

      The UN experts said Italian authorities had failed to properly consider several international norms, such as article 98 of the UN Convention on the Law of the Sea, on the duty to help any person in danger at sea. “Article 98 is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag,” they said.

      The Directives stigmatize migrants as “possible terrorists, traffickers and smugglers”, without providing evidence, the experts said. “We are concerned that this type of rhetoric will further increase the climate of hatred and xenophobia, as previously highlighted in another letter to which the Italian Government is also yet to reply.”

      The experts have contacted the Government about their concerns and await a reply. A copy of the letter has also been shared with Libya and the European Union.

      https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24628&LangID=E

    • Des ONG accusent la marine italienne de ne pas avoir porté assistance à des migrants en détresse

      L’ONG allemande Sea-Watch et le collectif Mediterranea accusent un navire de la marine italienne d’être resté à distance d’une embarcation de migrants en détresse au large des côtes libyennes, alors qu’il ne se trouvait qu’à plusieurs dizaines de kilomètres. Les 80 personnes en difficulté ont finalement été interceptées par les garde-côtes libyens et renvoyées en Libye.

      « Le navire P492 Bettica de la marine italienne est à proximité d’un canot pneumatique en détresse avec environ 80 personnes à son bord mais il n’intervient pas ». Ce message a été posté sur Twitter jeudi 23 mai en début d’après-midi par l’ONG Sea-Watch qui alerte sur la présence d’une embarcation dans les eaux internationales, au large de la Libye. C’est son avion de secours, le Moonbird, qui a repéré le canot en difficulté. « Notre avion a envoyé un message de détresse et a confirmé que des personnes sont accrochées à l’embarcation qui est en train de se dégonfler », continue l’ONG allemande.
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1131652854006067200?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Un peu plus tôt, Alarm Phone, la plateforme téléphonique qui vient en aide aux migrants en mer, avait donné l’alerte sur les réseaux sociaux. « Depuis 12h40, nous sommes en contact avec un bateau en détresse en Méditerranée centrale […]. L’eau entre dans le bateau. Nous avons transmis leur position au MRCC de Rome. Nous demandons une opération de sauvetage rapide ».

      Selon les ONG, la marine italienne n’est pas loin de l’embarcation. Elle ne serait pas intervenue.

      Un tweet de la marine italienne confirme, en effet, sa présence dans la zone, à 80 km du canot en difficulté. « Nous envoyons notre propre hélicoptère pour soutenir le Colibri [également sur zone, ndlr] », écrit la marine italienne sur le réseau social. « Avec un hélicoptère de la région, nous avons vérifié que les migrants ont été récupérés par un bateau de la patrouille libyenne ».

      « Le gouvernement sera responsable de ses actes »

      Seulement voilà, les ONG accusent ainsi les Italiens d’être « restés à distance » sciemment, pour laisser « le champ libre » aux garde-côtes libyens. « Encore un refoulement par procuration en Méditerranée centrale » a réagi Alarm Phone. « L’UE continue de violer le droit international, d’ignorer les bateaux en détresse et de repousser les gens en zone de guerre ».

      https://twitter.com/alarm_phone/status/1131612656341852161?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E11

      Des accusations qui inquiètent plusieurs personnalités politiques en Italie. « Si c’est vrai, ce serait très grave car il est absolument impensable que des hommes, des femmes et des enfants soient renvoyés dans cet enfer qu’est la Libye », a déclaré le sénateur du mouvement 5 étoiles (M5S) Gregorio De Falco, également officier de la marine.

      Même son de cloche chez Massimiliano Smeriglio, candidat du Parti démocrate aux élections européennes. « Nous ne pouvons pas croire qu’’un navire de notre marine, qui a accompli tant de missions de secours international, peut apporter son aide sans intervenir dans une tragédie. Intervenez sans délai sans quoi le gouvernement sera responsable de ses actes », a-t-il insisté.
      Début mai, un navire militaire italien avait subi les foudres du ministre de l’Intérieur après avoir secouru des migrants en mer sans avoir attendu les garde-côtes. Matteo Salvini refuse systématiquement le débarquement des migrants sur le sol italien.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17114/des-ong-accusent-la-marine-italienne-de-ne-pas-avoir-porte-assistance-

    • Dl sicurezza bis, I pescatori continueranno a salvare i migranti

      Michele e Salvatore Casciaro, padre e figlio, sono pescatori di Novaglie, Salento. Salvatore assiste alla tragedia dei migranti nel canale d’Otranto sin dal grande esodo degli albanesi negli anni Novanta. E da allora partecipa con la propria imbarcazione alle operazioni di soccorso e salvataggio dei naufraghi. Oggi i flussi principali provengono dal nord africa. Nell’ultimo salvataggio ha salvato con il figlio Michele una somala che altrimenti sarebbe annegata. Ma con il decreto sicurezza bis, continueranno a salvare i naufraghi o si volteranno dall’altra parte? (M. Tota)

      http://www.la7.it/tagada/video/dl-sicurezza-bis-i-pescatori-continueranno-a-salvare-i-migranti-21-05-2019-27242
      #pêcheurs

    • Il cambio di rotta di un Paese che perde l’onore
      Finora la Marina militare aveva sempre risposto alle chiamate di

      naufraghi in difficoltà.

      OGGI le cose in Italia non sono facili e quindi è proprio oggi che dobbiamo amare il nostro Paese, rispettarlo, dobbiamo dialogare, confrontarci, litigare sapendo che il suolo che calpestiamo ci restituirà solo ciò che avremo seminato e curato. Ogni parola è un seme, ogni ragionamento è un seme e noi italiani restiamo quello che siamo sempre stati: persone fatte di terra e mare. Conosciamo il mare, gabbia e occasione, limite e infinito, siamo uomini e donne di mare. Ecco perché, quando già l’Europa trattava l’immigrazione come un problema, l’Italia continuava a salvare vite in mare. E le salvava perché un uomo, una donna, un bambino che dall’Africa prendono il mare per venire in Italia, se in pericolo, non sono migranti, ma naufraghi. È la legge eterna del mare: ogni naufrago va tratto in salvo. Sempre.

      Qualcuno mi dira’, non possiamo salvarli tutti noi. Se nessun altro li salva, vi rispondo, allora li salveremo noi! Esistono le Zone Sar (Search and Rescue, ovvero “ricerca e salvataggio”) di competenza dei diversi paesi, perché dovremmo farci carico di recuperare i naufraghi anche laddove non sarebbe di nostra competenza? Perché per prima cosa dobbiamo rispettare la vita umana, è una regola universale alla quale se ci sottraiamo iniziamo a modificarci. Lasciare che una persona anneghi significa perdere qualsiasi cosa abbiamo raggiunto. Empatia, leggi, diritti, morale, convivenza. Perdiamo tutto. Non è sentimentalismo, è misura di ciò che sta accadendo. Non possiamo sottrarci dal salvare le persone in mare perché ogni vita perduta, quando poteva essere salvata, è sofferenza che si moltiplica, è odio. E l’odio diventa rancore, e il rancore vendetta.

      Ma non possiamo accoglierli tutti, mi direte. Manca il lavoro per noi, come possiamo farci carico di centinaia di migliaia di persone in cerca di un futuro migliore? Ma noi non dobbiamo accoglierli tutti: noi dobbiamo salvarli tutti, è nostro dovere farlo. Non facciamoci fregare dalla propaganda: salvare e accogliere sono due cose diverse, due momenti diversi che possono e devono essere gestiti in maniera diversa. Il salvataggio risponde a una necessità immediata, non c’è tempo per la strategia. L’accoglienza viene dopo e su quella si può discutere e cambiare passo, ma senza mettere in dubbio la necessità di salvare. Anzi, direi, senza mettere in discussione il diritto che noi italiani abbiamo, il privilegio che viviamo nel salvare vite umane. Salvare vite è come donare vita, come è accaduto che lo abbiamo dimenticato? Qualcuno oggi pensa di poter girare la faccia davanti a queste storie, pensa che tutto sommato la quotidianità sia già così difficile che non serve complicarsi la vita con questo strazio; non invidio queste persone perché per loro il risveglio sarà ancora più duro. E non le invidio perché non sanno quanto l’Italia abbia fatto la differenza, perché non sanno che l’Italia non ha mai girato le spalle a chi, in pericolo, chiedeva aiuto.

      Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano quando ho visto il lavoro titanico che la Marina militare italiana ha sempre fatto, prima da sola, poi con l’Europa ma da capofila, poi insieme alle Ong, poi di nuovo da sola. Sono orgoglioso dei pescatori italiani che, nonostante andassero incontro a sanzioni gravose e al sequestro delle loro imbarcazioni che sono per loro sopravvivenza stessa, hanno sempre obbedito alla legge del mare, quella legge che impone di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo tra le onde, a qualunque costo e senza pensare alle conseguenze. “Noi gente in mare non l’abbiamo lassata mai!”: questo era il principio dei pescatori lampedusani e a questo principio non si sono sottratti; se l’avessero fatto, avrebbero negato ogni singola parte della loro vita.

      Ma le cose sono cambiate ora, dirà qualcuno tra voi. Oggi la Marina sta agendo diversamente, direte. Sappiamo che il 23 maggio scorso, e lo sappiamo dagli unici testimoni rimasti nel Mediterraneo a darci queste informazioni, ovvero le Ong, un uomo è morto durante un’operazione di salvataggio, anzi, prima ancora che l’operazione iniziasse. Nel video girato da un velivolo della Sea-Watch si vede un gommone in avaria che sta imbarcando velocemente acqua. La Sea-Watch contatta prima la Guardia costiera libica che non risponde e poi la nave della Marina militare italiana Bettica, che si trova a meno di trenta miglia dal gommone.

      Improvvisamente e per quasi un’ora le comunicazioni tra la Marina militare italiana e la Sea-Watch si interrompono, quando riprendono la Bettica avverte che la Guardia costiera libica si sta recando sul posto. È prassi che la Guardia costiera libica non risponda alle richieste di soccorso. È prassi che i salvataggi siano fatti all’unico scopo di riportare i migranti nei campi di prigionia libici dove ricomincia il loro calvario, dove vengono torturati e dove viene estorto loro denaro: ogni migrante preso dalla Guardia costiera libica è guadagno doppio per i trafficanti (che, detto per inciso, non sono le Ong ma la guardia costiera libica finanziata dall’Italia e dall’Europa) che li lasceranno tornare nel loro paese solo in cambio di denaro.

      È ormai appurato che la Libia non è un porto sicuro. E allora perché la nave della Marina militare italiana Bettica non è intervenuta? Perché si infanga l’onore (che bella parola quando porta con sé il rispetto per la vita umana) dei militari della Marina che hanno sempre, secondo coscienza, risposto prima ancora che alle convenzioni internazionali, che pure stabiliscono il dovere di salvare vite, alla superiore e universale legge del mare? Oggi possiamo dividerci su tutto, ma non sulla necessità e sul dovere di salvare vite. Quando un uomo, una donna o un bambino sono in pericolo in mare, noi abbiamo il dovere di salvarli e se l’alternativa è la Libia, dobbiamo essere consapevoli che li stiamo condannando all’inferno. Per sfuggire a questo ragionamento, la propaganda inventa scorciatoie ridicole ma funzionanti: parole da buonista, parli bene dall’attico a Manhattan; si bersaglia chi racconta, non il racconto, perché quello è oggettivo e non può essere messo in discussione. Ma quell’uomo che annega è vita reale, non la finzione spacciata per realtà sui social.

      Facile dire la solita balla buonista parli tu dall’attico a Manhattan… no, parlo da meridionale, nato e cresciuto nelle terre più martoriate d’Italia, più saccheggiate, terre dimenticate da Dio e dagli uomini, ma non dai politici avvoltoi e sciacalli. Quelli, di noi meridionali, non si dimenticano mai. Promettono acqua agli assetati e intanto condannano le nostre anime per l’eternità. Parlo da uomo che non può accettare che il confine tra la vita e la morte sia una linea convenzionale e invisibile tracciata nel mare. Ciò che resta, alla fine di tutto, è l’onore. L’onore riscattato dal significato abusivo che ne danno le mafie per indicare nell’uomo d’onore l’affiliato. Onore inteso come rispetto dei nostri principi umani più profondi al di là delle conseguenze, nonostante le conseguenze.

      Onore è ciò che permette ancora di guardarci l’un l’altro e di sapere che io mi posso fidare di te perché tu ti puoi fidare di me, qualunque sia la tua condizione sociale, qualunque sia il luogo da cui provieni, il tuo quartiere, la tua religione e il colore della tua pelle, la tua condizione sociale, il tuo lavoro, il tuo conto in banca, la scuola che frequenta tuo figlio, il lavoro che fai. È facile: se mentre tu soffri e muori io giro lo sguardo dall’altra parte, se io soffrirò e rischierò di morire mi ripagherai con la stessa moneta. Salvare per essere salvati. Salvare per salvarsi: nel nostro mare, se smettiamo di salvare, finiremo annegati noi.

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/06/01/news/il_cambio_di_rotta_di_un_paese_che_perde_l_onore-227596448

    • Appel au secours d’un capitaine, coincé en mer avec 75 migrants malades

      Le capitaine d’un bateau égyptien ayant recueilli vendredi 75 migrants dans les eaux internationales, a lancé un appel aux autorités tunisiennes pour qu’elles le laissent accoster, alors que les vivres commencent à manquer et que des migrants sont malades.

      Le remorqueur égyptien #Maridive_601, qui dessert des plateformes pétrolières entre la Tunisie et l’Italie, est arrivé vendredi soir au port de Zarzis, dans le sud de la Tunisie, après avoir récupéré dans la matinée les migrants à la dérive.

      « Je demande aux autorités tunisiennes de nous permettre d’urgence d’entrer dans le port de Zarzis », a déclaré à l’AFP le capitaine #Faouz_Samir, ajoutant que « l’état de santé des migrants est mauvais, beaucoup sont atteints de la gale ».

      Un médecin a pu monter à bord, a indiqué la branche locale du Croissant-Rouge. « Quatre personnes sont dans un état qui nécessite une intervention médicale », et la plupart d’entre eux sont atteints de la gale infectieuse", a déclaré à l’AFP Mongi Slim, responsable du Croissant-Rouge dans le sud de la Tunisie.

      Selon l’organisation internationale pour les migrations (OIM), les migrants, 64 Bangladais, 9 Egyptiens, un Marocain et un Soudanais, dont au moins 32 enfants et mineurs non accompagnés, « ont besoin d’urgence d’eau, de nourriture, de vêtements, de couvertures et surtout d’assistance médicale ».

      L’agence de l’ONU a indiqué être prête à aider la Tunisie pour accueillir ces candidats à l’exil, partis de Libye dans l’espoir d’atteindre l’Europe.

      « Nous comprenons les difficultés et l’ampleur des défis que les flux migratoires peuvent poser et nous travaillons à appuyer les capacités de secours et d’assistance », a souligné Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie.

      « Nous restons toutefois préoccupés par les politiques de plus en plus restrictives adoptées par plusieurs pays du nord de la Méditerranée », ajoute Mme Lando.

      Le gouvernement et les autorités locales tunisiennes, sollicitées par l’AFP, n’ont pas souhaité s’exprimer.

      En août dernier, un autre bateau commercial, le Sarost 5, était resté bloqué plus de deux semaines en mer avec les 40 immigrés clandestins qu’il avait secourus. Soucieuses de ne pas créer un précédent, les autorités tunisiennes avaient souligné qu’elles acceptaient ces migrants exceptionnellement et pour raisons « humanitaires ».

      Le 10 mai, 16 migrants originaires en majorité du Bangladesh avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation qui avait fait une soixantaine de morts.

      La majorité des bâtiments de la marine qui ont patrouillé au large de la Libye ces dernières années se sont retirés tandis que les navires humanitaires font face à des blocages judiciaires et administratifs.

      https://www.voaafrique.com/a/appel-au-secours-d-un-capitaine-coinc%C3%A9-en-mer-avec-75-migrants-malades/4943716.html

    • Tugboat carrying 75 migrants stranded off Tunisia for 10 days

      The #Maridive_601, an Egyptian tugboat that rescued 75 migrants in international waters over one week ago, is still stranded off the Tunisian coast as Tunisian authorities refuse to let it dock.

      The Egyptian tugboat Maridive 601 rescued the migrants off the southern Tunisian coast on May 31 after they embarked from Libya.

      Sixty-four of the 75 migrants are Bangladeshi and at least 32 of those on board are minors and unaccompanied children, according to the International Organization for Migration.

      The Maridive 601, which services oil platforms between Tunisia and Italy, picked up the migrants who were drifting in international waters near the Tunisian coast, and headed to the closest port of Zarzis in southern Tunisia.

      “I request that the Tunisian authorities allow us to make an emergency entry to Zarzis port,” appealed Faouz Samir, captain of the Maridive 601 shortly after the rescue.

      Since then, the crew has not received entry permission. An official from the Tunisian interior ministry was quoted as saying Monday that „the migrants want to be taken in by a European country." The official did not want to be quoted by name.

      Cases of infectious scabies

      Earlier last week, a Red Crescent team based in the southern Tunisian city of Zarzis delivered aid and medical care to the migrants, some of whom were ill, according to the Red Crescent.

      They “urgently need water, food, clothes, blankets and above all medical assistance,” the IOM added. According to AFP reports, the IOM added it was ready to help Tunisia provide for the migrants.

      Mongi Slim, a Red Crescent official in southern Tunisia, told InfoMigrant last Thursday that cases of scabies were on the rise and that there were around thirty people affected. The second captain of the Maridive 601 added that the Red Crescent was not allowed to board the ship to provide scabies medication. Instead, the crew had to contact its chartering company, Shell Tunisia, which in turn delivered medication in addition to food, water, mattresses and blankets. “We’re in telephone contact with the Red Crescent and they give us instructions on how to treat the migrants,” the captain informed InfoMigrants.

      Video footage

      Photos published online by the Tunisian Forum for Economic and Social Rights, an NGO, showed migrants lying on the deck of the boat, while sailors attempted to feed them. A video by the same NGO shows migrants shouting: “We don’t need food, we don’t want to stay here, we want to go to Europe.”

      https://www.facebook.com/ftdes/videos/189765251957864

      Tunisia’s central government and local authorities did not wish to comment to media requests.

      “We understand the difficulties and the scale of the challenges that migration flows pose and we are working to support relief and assistance capacities,” said Lorena Lando, the IOM’s head of mission in Tunisia. “But we are worried by the increasingly restrictive policies adopted by several countries,” Lando told AFP.

      Last month, around 60 migrants, most from Bangladesh, drowned off the coast of Tunisia after leaving Libya on a boat bound for Europe.

      https://www.infomigrants.net/en/post/17413/tugboat-carrying-75-migrants-stranded-off-tunisia-for-10-days?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Méditerranée : le navire #Sea_Watch_3 de retour dans la zone de détresse

      Après avoir été bloqué par la justice italienne pendant près d’un mois, le navire humanitaire Sea Watch 3 est de retour dans la zone de détresse (SAR zone) au large de la Libye. Il est actuellement le seul bateau de sauvetage en mer.

      Le navire humanitaire de l’ONG allemande Sea Watch, le Sea Watch 3, est de retour dans la zone de sauvetage au large de la Libye, la SAR zone.

      Le Sea Watch 3 était bloqué depuis le 20 mai par la justice italienne dans le cadre de poursuites pour aide à l’immigration illégale. Il a reçu samedi 8 juin l’autorisation de repartir en mer, a annoncé l’association.

      "Le Sea Watch 3 est libre ! Nous avons reçu une notification formelle sur la libération du navire saisi et son retour aux opérations" en mer, s’est félicitée l’organisation humanitaire sur Twitter.

      Malgré la politique de "fermeture des ports" du ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini (extrême droite), le Sea Watch 3 avait pu débarquer les 65 migrants qu’il avait secourus à la mi-mai ; ils ont été autorisés à débarquer sur l’île de Lampedusa.

      Cette opération de secours avait provoqué la fureur de Matteo Salvini, qui a semblé la découvrir en temps réel à la télévision. “Je suis le ministère des règles et des ports fermés. Si un ministre du mouvement 5 étoiles a autorisé le débarquement, il devra répondre de ses actes devant les Italiens”, avait-il notamment lâché.

      Matteo Salvini estime que les migrants qui partent en mer à partir de la Libye doivent être remis aux garde-côtes libyens, conformément à un accord conclu entre l’Union européenne et Tripoli, mais les organisations humanitaires qui portent au secours des migrants refusent de s’y conformer.

      Hormis le Sea Watch 3, à la date du 10 juin, aucun autre navire humanitaire n’est présent au large des côtes libyennes.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      –Le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer, est actuellement bloqué en Sicile par les autorités.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17410/mediterranee-le-navire-sea-watch-3-de-retour-dans-la-zone-de-detresse

    • Italy to fine NGOs who rescue migrants at sea

      The Italian government has decided to impose stiff fines on rescuers who bring migrants into port without authorization. It also gave the interior ministry, led by Matteo Salvini, power to demand the payment.

      A decree adopted by the Italian government on Tuesday would force non-governmental organizations to pay between €10,000 and €50,000 ($11,327 – $56,638) for transporting rescued migrants to Italian ports.

      Rescuers who repeatedly dock without authorization risk having their vessel permanently impounded. The fines would be payable by the captain, the operator and the owner of the rescue ship.

      The Italian government is composed of the anti-establishment 5-Star Movement and right-wing populist League Party. The League leader Matteo Salvini, who also serves as the interior minister, has been spearheading an effort to clamp down on illegal immigration.

      Delayed decree

      The adoption of the decree has been delayed due to criticism from the United Nations and the office of the Italian president. Following the cabinet session on Tuesday, however, Salvini praised it as a “step forward the security of this country.” The populist leader also said he was “absolutely sure about the fact that it is compliant” with all national and international laws.

      The decree allows police to investigate possible migrant trafficking operations by going undercover. It also makes it easier to eavesdrop electronically on suspected people smugglers. Other sections of the decree impose stricter punishments on rioters and violent football fans.

      Read more: Italian court rules Salvini can be charged with kidnapping

      Additionally, the decree gives Salvini’s ministry the power to order the NGOs to pay the fines, this was previously the area of the transport and infrastructure ministries.

      Salvini has pushed through several anti-migrant decrees since becoming interior minister a year ago, including one in December which ended humanitarian protection for migrants who do not qualify for refugee status. Earlier this week, Salvini blasted three judges who opposed his hardline policies.

      Risking life at sea

      Since 2014, more than 600,000 people have made the dangerous journey across the central Mediterranean to reach Italy, fleeing war and poverty in Africa, Asia, and the Middle East. More than 14,000 have been recorded killed or missing when attempting the trip.

      Without a legal way to reach Europe, they pay people smugglers for passage in unseaworthy boats. The UNHCR and IOM recently said that 1,940 people have reached Italy from north Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route — putting the death rate for those crossing at more than 15%. The number of new arrivals has dropped off in recent years, but Rome is still faced with hundreds of thousands of people who migrated illegally. Pending asylum claims as of May 31 this year were 135,337.

      With official search-and-rescue missions canceled, the burden of assisting the shipwrecked migrants falls on rescue NGOs. The Italian coastguard estimates NGOs have brought in some 30,000 people per year since 2014.

      https://www.dw.com/en/italy-to-fine-ngos-who-rescue-migrants-at-sea/a-49143481

    • L’UNHCR chiede all’Italia di riconsiderare un decreto che penalizzerebbe i salvataggi in mare nel Mediterraneo centrale

      L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime preoccupazione per l’approvazione da parte del governo italiano di un nuovo decreto contenente anche diverse disposizioni che potrebbero penalizzare i salvataggi in mare di rifugiati e migranti nel Mediterraneo centrale, compresa l’introduzione di sanzioni finanziarie per le navi delle Ong ed altre navi private impegnate nel soccorso in mare.

      Salvare vite umane costituisce un imperativo umanitario consolidato ed è anche un obbligo derivante dal diritto internazionale. Nessuna nave o nessun comandante dovrebbe essere esposto a sanzioni per aver soccorso imbarcazioni in difficoltà e laddove esista il rischio imminente di perdita di vite umane.

      “In una fase in cui gli Stati europei si sono per lo più ritirati dalle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale, le navi delle Ong sono più cruciali che mai,” ha dichiarato Roland Schilling, Rappresentante regionale a.i. per il Sud Europa. “Senza di loro, altre vite saranno inevitabilmente perse”.

      L’UNHCR è inoltre preoccupata per il fatto che il decreto possa avere l’effetto di penalizzare i comandanti che rifiutano di far sbarcare le persone soccorse in Libia.

      Alla luce della situazione di sicurezza estremamente volatile, delle numerose segnalazioni di violazioni di diritti umani e dell’uso generalizzato della detenzione nei confronti delle persone soccorse o intercettate in mare, nessuno dovrebbe essere riportato in Libia.

      L’UNHCR ha ribadito più volte che il rafforzamento delle capacità di ricerca e soccorso, in particolare nel Mediterraneo centrale, deve essere accompagnato da un meccanismo regionale volto ad assicurare procedure di sbarco rapide, coordinate, ordinate e sicure. La responsabilità per i rifugiati e i migranti soccorsi in mare deve essere condivisa tra tutti gli stati che li accolgono, invece di ricadere su uno o due.

      L’UNHCR chiede al governo italiano di rivedere il decreto e al parlamento di modificarlo, mettendo al centro la protezione dei rifugiati ed il salvataggio di vite umane.

      https://www.unhcr.it/news/lunhcr-chiede-allitalia-riconsiderare-un-decreto-penalizzerebbe-salvataggi-mar

    • Migrants bloqués au large de la Tunisie : les Bangladais refusent le rapatriement

      Quinze jours après avoir été secourus, 75 migrants - dont la moitié de mineurs - sont toujours coincés à bord d’un navire commercial égyptien près des côtes tunisiennes. La Tunisie refuse de les laisser débarquer et souhaite les faire « rentrer chez eux ». Seuls les migrants africains ont accepté d’être rapatriés. La majorité des rescapés, des Bangladais, s’opposent à toute expulsion.

      Les 75 naufragés secourus il y a quinze jours par le bateau commercial égyptien Maridive 601 sont toujours bloqués au large de Zarzis, sur la côte tunisienne. Quelque 32 mineurs se trouvent à bord du navire.

      Les autorités tunisiennes refusent de les laisser débarquer depuis le vendredi 31 mai, jour du sauvetage. « Le gouverneur de Médenine insiste pour qu’ils rentrent chez eux », explique Mongi Slim du Croissant rouge tunisien, joint par InfoMigrants vendredi 14 juin.

      Informés de cette décision par le Croissant rouge, seuls les Égyptiens, les Marocains et les Soudanais présents à bord ont accepté un rapatriement dans leurs pays.

      La Tunisie demande l’aide du Bangladesh

      Les 64 autres naufragés, des Bangladais dont de nombreux mineurs, ont refusé cette offre. « Ils demandent de rejoindre l’Italie ou de pouvoir rester en Tunisie avec une permission de travail », raconte Mongi Slim.

      « Les autorités ont sollicité l’aide de l’ambassade du Bangladesh. Elle va intervenir pour résoudre le problème », ajoute-t-il.

      « Rien pour se mettre à l’abri du soleil »

      En attendant, à bord, la situation psychologique des naufragés se dégrade. « Il fait très chaud en cette période de l’année dans le sud de la Tunisie, et sur le bateau les migrants n’ont rien pour se mettre à l’abri du soleil. Ils risquent la déshydratation. Ils sont emprisonnés en mer », déplore Ben Amor Romdhane, du Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) également contacté par InfoMigrants. Le militant s’inquiète aussi des cas de gale signalés à bord.

      Pour la première fois depuis 15 jours, jeudi, une équipe médicale du Croissant rouge tunisien a pu monter sur le Maridive 601 avec des médicaments et des vivres. Jusqu’ici, le navire était ravitaillé en eau, en nourriture et en médicament anti-gale par la compagnie Shell Tunisie qui affrète le bateau. Le Croissant rouge était néanmoins parvenu à faire acheminer un stock de médicaments. Les premiers soins avaient été prodigués par l’équipage, guidé au téléphone par le Croissant rouge.

      Le médecin du Croissant rouge, qui a pu examiner les 75 migrants jeudi, a déclaré qu’il n’y avait pas de maladie grave ou d’urgences, seulement des cas de diabète, selon Mongi Slim.

      D’après le représentant du navire égyptien, joint par InfoMigrant, la situation reste pourtant « très tendue ». « La seule solution est de laisser ces migrants entrer en Tunisie », estime-t-il.

      Cet incident rappelle celui qu’avait connu le Sarost 5 l’an dernier. Le navire commercial, qui avait secouru 40 migrants en mer Méditerranée, avait dû attendre 17 jours l’autorisation de débarquer à Zarzis. Les autorités avaient finalement cédé titre exceptionnel « pour des raisons humanitaires ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17533/migrants-bloques-au-large-de-la-tunisie-les-bangladais-refusent-le-rap

    • Migrants stranded at sea for three weeks now risk deportation, aid groups warn

      Group of 75 people survive prolonged ordeal but could now be made to leave Tunisia.

      https://i.guim.co.uk/img/media/235b366ca8ef3c06feec045df894e482906510c0/0_0_1280_768/master/1280.jpg?width=620&quality=85&auto=format&fit=max&s=35a960601e803a971255f0

      A group of migrants who spent nearly three weeks trapped onboard a merchant ship in torrid conditions face possible deportation to their home countries after they were finally allowed to disembark in Tunisia, aid groups have warned.

      The 75 migrants, about half of whom are minors or unaccompanied children, were rescued on 31 May by the Maridive 601 only to spend the next 20 days at sea as European authorities refused to let them land.

      “The migrant boat was ignored by Italian and Maltese authorities, though they were in distress in international waters”, said a spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members. “This is a violation of international law and maritime conventions”.

      Heat and humidity onboard the Maridive 501, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, were insufferable, said aid groups. Food and water were scarce, scabies broke out and spread, and several people suffered fractures and other injuries during the rescue operation.

      Witnesses said the psychological strain was immense for migrants and crew members alike.

      The brother of one Bangladeshi man said on 3 June: “Today is Eid [the festival marking the end of Ramadan]. But the day is not for me. My brother is on the ship. I can’t take it any more. How is he? How can I explain my feelings to you? When I get good news, this will be my Eid gift and that day will be my Eid day.”

      Six days later, he said: “How many days will they stay there? Who can take care of him? I am depressed, every day my mother is crying.”

      The ship’s captain, Faouz Samir, asked repeatedly to be allowed to land at the nearest port, in Zarzis, but was initially refused permission. Regional authorities said migrant centres in Medenine were too overcrowded.

      On 6 June, the migrants staged an onboard protest, asking to be sent to Europe. Video of the protest was published by the Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux.

      The closure of Italian and Maltese ports to rescue ships has seemingly had a ripple effect, with Tunisia closing its own harbours to rescued people in order to avoid an overwhelming influx of migrants.

      On Tuesday evening, however, the Tunisian authorities relented. The migrants, who are mainly from Bangladeshi but also include Egyptians, Moroccans and Sudanese, will now be transferred to a detention centre.

      Aid groups, however, who had been demanding an immediate disembarkation in view of the medical emergency onboard, are concerned people may be sent back to Libya or even deported to their home countries after landing in the port of Zarzis. The governor of Medenine had previously said the boat would be allowed to dock only if all the migrants were immediately deported.

      “We are happy for the survivors. They are exhausted, some are traumatised, but we will accompany them so that we can finally find respite and reflect on the different alternatives available to them,” said Wajdi Ben Mhamed, head of the International Organisation for Migration’s Zarzis office.

      The IOM said its protection team would assist the survivors with “their protection needs and provide, for those who have requested it, assistance for voluntary return to their country of origin’’.

      Relatives claim some of the Bangladeshi survivors were told that food, water and medical treatment would be withheld if they did not accept deportation.

      One man who spoke to his brother on 18 June said fears of imminent deportation had been exacerbated by the visit of a Bangladeshi envoy to the boat. The envoy’s visit followed a meeting five days earlier with the Tunisian minister of the interior.

      Another relative said of a Bangladeshi migrant aboard the tugboat: “In Bangladesh there are people who want to kill him. He paid all the money and went to Libya to get away from the problems in Bangladesh. Then he escaped from Libya because of the problems there. He wants to go to Europe.”

      Médecins Sans Frontières warned that Tunisia could not be defined a safe haven for migrants and refugees, given that it had no functioning asylum system in place. “The nearest places of safety for rescues in the central Mediterranean are Italy or Malta,” said a spokesperson.

      A dangerous precedent would be set if an agreement was found to deport those rescued to their countries of origin quickly after disembarkation in Tunisia. Aid groups warn that boats like the Maridive would turn into migrant holding facilities until deportations were arranged. Many more boats could thus turn from places of rescue to prison islands, floating along north African shores.
      More than 70 million people now fleeing conflict and oppression worldwide
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      Giorgia Linardi, of SeaWatch in Italy said: “After this episode we should reflect on whether Tunisia qualifies as a place of safety, as our sources suggested that the migrants could be immediately repatriated or expelled from the country. The situation aboard the Maridive is very much confronted with the situation faced right now by the SeaWatch vessel with 53 migrants on board which is still floating in front of Italian territorial waters. As of now, the attitude of the Italian authorities is no different from the attitude of the Tunisian authorities towards the Maridive despite the two states having a different framework in terms of protection of human rights and in terms of asylum system in place.”

      With sea conditions currently favourable, thousands are preparing to leave Libya, where war and political instability have been aggravated by floods caused by heavy rain.

      Without rescue boats, however, the number of shipwrecks is likely to rise further. Only two of the 10 NGO rescue boats that were active in the Mediterranean are still present.

      According to data from the UN and the IOM, about 3,200 people have reached Italy and Malta from North Africa since the beginning of 2019, and almost 350 have died en route – putting the death rate for those crossing at about 11% along the central Mediterranean route.

      https://www.theguardian.com/global-development/2019/jun/19/migrants-stranded-at-sea-for-three-weeks-now-face-deportation-aid-group

    • Italy’s redefinition of sea rescue as a crime draws on EU policy for inspiration

      https://www.statewatch.org/analyses/no-341-italy-salvini-boats-directive.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la première directive de Salvini contre la #Mare_Jonio et la façon dans laquelle il essaye (avec part de raison) justifier la criminalisation systématique des secours en mer en base aux instructions issues de la Commission dans le contexte de l’Agenda Européenne, plus des problèmes de base dans les représentations contenues dans la directive.

    • Maridive : les 75 migrants bloqués depuis 18 jours au large de Zarzis ont pu débarquer en Tunisie

      Après 18 jours d’hésitation, les autorités tunisiennes ont finalement laissé les 75 migrants du #Maridive débarquer au port de Zarzis, ce mercredi. Ils ont toutefois imposé leurs conditions : les migrants ont tous accepté préalablement de rentrer dans leur pays.

      « C’est enfin fini, c’est un soulagement ». Mongi Slim, membre du Croissant-rouge tunisien, s’est réjoui, mardi 18 juin, du débarquement des 75 migrants bloqués depuis le 31 mai au large de Zarzis. Les autorités tunisiennes refusaient en effet de laisser débarquer en Tunisie ces personnes secourues par un navire commercial égyptien, le Maridive 601, au large de la Libye.

      Après 18 jours de blocage, ils ont enfin pu toucher la terre ferme. « Nous sommes heureux pour les survivants. Ils sont épuisés, certains sont traumatisés mais nous les accompagnerons pour pouvoir enfin trouver du répit », a déclaré Wajdi Ben Mhamed, chef de bureau de l’agence de l’Organisation internationale des migrations (OIM), dans un communiqué.

      Un premier vol vers le Bangladesh jeudi

      Cependant, ce débarquement s’est fait sous conditions après de longues négociations entre les ONG, les organisations internationales et les autorités. Tunis a finalement autorisé leur débarquement à condition que les migrants acceptent tous d‘être renvoyés dans leur pays d’origine. Parmi les 75 migrants secourus, 64 sont de nationalité bangladaise, neuf égyptienne, un est originaire du Maroc et un autre du Soudan.


      https://www.facebook.com/iomtunis/posts/354908018559713

      Samedi 15 juin, des représentants de l’ambassade du Bangladesh sont montés à bord du Maridive et ont convaincu les Bangladais de retourner chez eux. Selon Mongi Slim, du Croissant rouge tunisien, un premier groupe de 20 Bangladais devrait être renvoyé dès jeudi 20 juin.

      Aucune demande d’asile déposée

      Une information que ne confirme par l’OIM, qui est chargée d’organiser les retours volontaires de ces naufragés. « Nous avons effectivement dit aux autorités qu’un vol commercial avec une vingtaine de places partaient de Tunisie demain vers le Bangladesh. Mais nous n’organisons pas de retours forcés », précise à InfoMigrants Lorena Lando, chef de mission de l’OIM en Tunisie. « Mais, nous attendons de faire un point avec les migrants et savoir qui veut profiter d’un retour volontaire », insiste-t-elle.

      Malgré l’accord, l’OIM rappelle que les migrants qui veulent demander l’asile seront redirigés vers le Haut-commissariat des Nations unies aux réfugiés (HCR). Mais pour l’heure, selon l’agence onusienne, aucun des migrants du Maridive ne souhaite déposer une demande d’asile en Tunisie.
      Le 10 mai dernier, 16 migrants, majoritairement du Bangladesh, avaient été sauvés par des pêcheurs tunisiens, après le naufrage de leur embarcation ayant fait une soixantaine de morts. Deux d’entre eux avaient décidé de rentrer dans leur pays.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/17614/maridive-les-75-migrants-bloques-depuis-18-jours-au-large-de-zarzis-on

    • Working Paper: Guidelines on temporary arrangements for #disembarkation

      Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry)."

      “Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant).”

      The Council of the European Union has produced a new “Working Paper” on: Guidelines on temporary arrangements for disembarkation (LIMITE doc no: WK 7219-19):

      “The Guidelines are based on best practices used in previous disembarkation cases, and rely on a coordinating role of the Commission and support by relevant agencies. The framework is of a temporary nature and the participation of the Member States is on a voluntary basis. This document has a non-binding nature.” [emphasis added]

      The circumstances for “triggering” Temporary Arrangements (TA) are:

      “type of arrivals covered

      – a search and rescue operation; and/or

      – other sea arrivals where there is a humanitarian ground at stake.”

      On the face of it the idea would appear to refer to just about every rescue. However the idea relies on the state of first disembarkation - for example, in the Med: Spain, France, Italy and Greece - allowing a safe port of arrival. These states then make a “relocation” request to other Member States. This is entirely based on voluntary participation.

      “Workflow in the Member State of disembarkation

      The following procedural steps should be undertaken in the Member State of disembarkation, where appropriate with the assistance from EU agencies, and where relevant with the involvement of the Member State of relocation, in agreement with the benefitting Member State:

      (...) Initial identification, registration, fingerprinting and swift security screening: Registration and fingerprinting of all arriving migrants as category 2 in Eurodac system; check against national and EU information systems (such as Eurodac, SIS, VIS, Europol and Interpol databases) to ensure that none of the persons arriving to the EU is a threat to public policy, internal security or public health.

      Assessment regarding possible use of alternatives to detention or detention, on a case by case basis, pending further processing (in the context of border procedure, where possible, or otherwise)”

      Member states will be allowed to set conditions on acceptable refugees to relocate:

      “Given the voluntary nature of participation in the mechanism, determination of persons to be relocated will be based on the indications by the Member States of relocation of the profiles that these Member States are willing to accept (variable geometry).”

      The European Border and Coast Guard Agency (EBCGA) will:

      “provide assistance in screening, debriefing, identification and fingerprinting;

      – deploy Return Teams (composed of escort, forced return monitor and/or return specialists);”

      Financial support

      "Under the AMIF Regulation, funds are to be made available for:

      – Member States that relocate voluntarily (a lump sum of 6000 EUR per applicant, applying the amended Article 18 of the AMIF Regulation 516/2014);

      – support to return operations;

      – Member States under pressure, as appropriate, including the possibility of a lump sum per relocation to cover transfer costs.

      – When MS make full use of the lump sums available under the national programmes, additional financial support could be provided.

      http://www.statewatch.org/news/2019/jun/eu-council-disembark.htm

    • La #marine_italienne sur le banc des accusés

      En octobre 2013, un bateau de pêche chargé de réfugiés syriens fait naufrage près de Lampedusa, île italienne proche de la Sicile. Si 212 personnes ont pu être sauvées, 26 corps ont été repêchés et environ 240 sont restées portés disparus dont une soixantaine d’enfants. Ce drame ne restera pas impuni.
      Un procès se tiendra en 2018 avec, sur le banc des accusés pour homicide involontaire et non-assistance à personnes en danger, des officiers de la marine italienne. C’est la première fois qu’un procès de ce type est lancé. Ce jour-là, un médecin syrien qui se trouvait à bord avec ses deux enfants -tous deux morts noyés- a appelé plusieurs fois au secours les garde-côtes italiens. Ceux-ci retransmettaient le relais à leurs confrères maltais et peu après lançaient un message signalant la situation aux navires se trouvant dans la zone. C’était le cas du navire Libra de la marine italienne, à moins d’une heure de navigation mais qui, au lieu de se précipiter, s’est éloigné en laissant intervenir les Maltais, ce qui prenait beaucoup plus de temps. Le bateau des migrants a fini par chavirer à 17h07. Les secours dont, le Libra, sont arrivés vers 18h00. Trop tard.

      https://www.arte.tv/fr/videos/080337-000-A/la-marine-italienne-sur-le-banc-des-accuses

    • Bangladeshi migrants in Tunisia forced to return home, aid groups claim

      Relatives say more than 30 people stuck at sea told to go home or lose food and water.

      More than 30 migrants from Bangladesh who were trapped on a merchant ship off Tunisia for three weeks have been sent back to their home country against their will, according to relatives.

      They were among 75 migrants rescued on 31 May by the Maridive 601, an Egyptian tugboat that services offshore oil platforms, only to spend the next 20 days at sea near the Tunisian coast.

      The International Organization for Migration, an intergovernmental organisation linked to the United Nations, said the Bangladeshis “wished to return home”.

      But relatives and aid groups claimed that when a Bangladeshi envoy visited the boat the migrants were forced to accept their repatriation under the threat of having food, water and medical treatment being taken away.

      One relative told the Guardian: “When all the people were on the boat, they were told by the Bangladeshi embassy that if they didn’t agree to sign, they would not get any food or water any more. The people were afraid to die on the boat. The Bangladeshi embassy forced them to sign.”

      On 18 June, the 75 migrants, who included Egyptian, Moroccan and Sudanese people, were taken off the Maridive 601 and transferred to a Tunisian detention centre.

      The IOM confirmed that a few days later the first 17 individuals were returned to Bangladesh, and on 24 June, another 15 migrants were sent back.

      It said “more migrants will be travelling in the coming days, according to their decision”.

      The Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), an independent organisation that aims to defend economic and social rights, said: “We doubt that the decisions to return were made voluntarily by the migrants.

      “We have tried to visit the migrants in the reception centre in order to inquire about their wellbeing but despite making repeated inquiries and requests, the whereabouts of the detained migrants was not revealed.”

      Another relative said: “I spoke with my brother this morning in the centre. He is scared to be returned to Bangladesh, like all the people there. Nobody wants to return to Bangladesh; everyone who is returned is forced.”

      The IOM’s head of mission in Tunisia, Lorena Lando, rejected the accusations. “None of the migrants has been deported; [they] wished to return,” she said. “IOM does not do deportation, nor force anyone to return.”

      Lando said the IOM “did not have access” to the migrants until 19 June, after the Tunisian authorities allowed their disembarkation.

      She added: “Remaining at sea was not a solution either. It is up to the person to also apply for asylum if they fear persecution … or seek help to return home or take time to decide.”

      A spokesperson for Alarm Phone, a hotline service for migrants in distress at sea that was alerted to the ship’s plight by crew members, said: “The IOM refers to such deportations as voluntary returns but what is voluntary about telling survivors that they can leave their prison merely if they agree to be returned?

      “Do we really believe that these Bangladeshi people risked their lives to move to Libya and then to try to cross the Mediterranean, only to then be ‘voluntarily’ returned to Bangladesh?”

      https://www.theguardian.com/world/2019/jun/25/bangladeshi-migrants-in-tunisia-forced-to-return-home-aid-groups-claim

  • Le Procureur de la République d’Agrigento se prononcera aujourd’hui, lundi 6 mai 2019, sur la non-assistance à personne en danger de la part de l’équipage d’un navire de pêche, dans la nuit du 3 octobre 2013 au large de l’ile de #Lampedusa. Selon les témoignages des rescapés du naufrage du 3 octobre, au moins deux navires ont été interpellés par les migrant.e.s en détresse, en vain, avant que leur bateau ne prenne feu (d’après leurs témoignages, des navires militaires).
    Pour rappel, les survivants et les premiers secours civils ont également fait état d’un retard dans l’arrivée des secours italiens, pourtant proches du lieu du naufrage, abandonnant des centaines de personnes à la noyade. Des membres du collectif Askavusa ont été entendus à ce sujet par le Procureur d’Agrigento, et témoigneront aujourd’hui au #procès.

    Reçu via la mailing-list Migreurop.

    Pour rappel, il y a un tag #3_octobre_2013
    https://seenthis.net/tag/3_octobre_2013

    #naufrage #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #frontières #justice #décès #morts #mourir_en_mer

  • Migranti, a Bologna summit sindaci per aprire canali regolari: «Se il governo dice no, lo facciano città»

    „La proposta dei sindaci di Bologna e Lampedusa per attuare il Global Compact, il patto delle Nazioni Unite sulle migrazioni“

    Migranti, a Bologna summit sindaci per aprire canali regolari: «Se il governo dice no, lo facciano città»

    Se il Governo italiano ha deciso di non aderire e condividere il Global Compact sulle migrazioni, allora a farlo siano le città. È la proposta lanciata dai sindaci di Bologna e Lampedusa, #Virginio_Merola e #Salvatore_Martello, in occasione di un convegno che si sta svolgendo oggi nel capoluogo emiliano per approfondire il documento discusso alla conferenza di Marrakesh di dicembre.

    Mentre «l’esempio che dà il ministro Matteo Salvini è di incitare all’odio e al rancore -afferma Merola- ora noi vorremmo dare l’esempio come sindaci, nel senso che organizzeremo qui a Bologna, insieme a Lampedusa, un convegno di tutti i sindaci italiani per l’adesione al Global Compact, cioè per dire che abbiamo bisogno di immigrazione regolare, ordinata e sicura e non di queste contrapposizioni elettorali alle quali, purtroppo, ci stiamo abituando».

    Il sindaco bolognese invita dunque le altre città ad approvare «specifici ordini del giorno nei Consigli comunali» e ad «intensificare le relazioni con le città del Mediterraneo». Per Merola, «è evidente che il ruolo delle città è importante per una reale integrazione. Di tutto si parla tranne che di integrazione e di immigrazione regolare, ordinata e sicura.

    Aderire alla proposta dell’Onu sul Global Compact- ricorda il primo cittadino di Bologna- non ha effetti vincolanti per nessuno, pero’ indica degli obiettivi di cui abbiamo un estremo bisogno. È ora che le città si muovano insieme, per costruire canali di immigrazione regolare, così come già stanno facendo altri Paesi europei».

    Ad esempio, segnala Merola, il Comune di Bologna sta stringendo patto di collaborazione con alcune città della Tunisia e del Marocco.
    Con l’iniziativa partita oggi, «Bologna tende la mano non a Lampedusa ma all’Italia», dichiara Martello. «Invece di affrontare gli argomenti solo ed esclusivamente con messaggi telefonici o con i tweet o su Facebook- aggiunge il sindaco siciliano- bisogna tornare con i piedi per terra».

    In questo senso, anche le Universita’ italiane «potrebbero svolgere una grande attività», è l’appello aggiuntivo di Martello, per «capire il fenomeno, capire come lo si deve gestire e dare delle regole». Ma bisogna farlo, però, dando «ad ogni cosa il nome giusto -conclude- per non creare confusione e spaventare la gente».

    http://www.bolognatoday.it/politica/global-compact-lampedusa-sindaci-bologna.html
    #global_compact #Bologne #Italie #Lampedusa #villes-refuge #asile #migrations #réfugiés #urban_matter #résistance #université

    métaliste
    https://seenthis.net/messages/759145

    • #Mare_Jonio ha salvato 49 persone da un naufragio: adesso l’Italia ci indichi un porto sicuro

      La Mare Jonio di #Mediterranea_Saving_Humans, nave battente bandiera italiana impegnata nella missione di monitoraggio del Mediterraneo centrale ha soccorso, a 42 miglia dalle coste libiche, 49 persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria che imbarcava acqua.
      La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali.

      Mare Jonio si è diretta verso la posizione segnalata e, Informata la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, ha effettuato il soccorso ottemperando alle prescrizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del mare, e del codice della navigazione italiano.
      Attenendosi alle procedure previste in questi casi e per scongiurare una tragedia, Mare Jonio ha tratto in salvo tutte le persone a bordo comunicando ad una motovedetta libica giunta sul posto a soccorso iniziato di avere terminato le operazioni. Tra le persone soccorse, 12 risultano minori.
      Le persone a bordo si trovavano in mare da quasi 2 giorni e, nonostante le condizioni di salute risultino abbastanza stabili, sono tutte molto provate con problemi di disidratazione. Il personale medico di Mediterranea sta prestando assistenza.
      La Mare Jonio si sta dirigendo in questo momento verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui è stato effettuato il soccorso. Nel frattempo, è in arrivo una forte perturbazione nel Mediterraneo centrale.
      Abbiamo chiesto formalmente all’Italia, nostro stato di bandiera e stato sotto il quale giuridicamente e geograficamente ricade la responsabilità, l’indicazione di un porto di sbarco per queste persone.
      Oggi abbiamo salvato la vita e la dignità di 49 esseri umani. Le abbiamo salvate due volte: dal naufragio e dal rischio di essere catturate e riportate indietro a subire di nuovo le torture e gli orrori da cui stavano fuggendo. Ogni giorno, nel silenzio a moltissime altre tocca questa sorte. Grazie ai nostri straordinari equipaggi di terra e di mare, alle decine di migliaia di persone che in tutta Italia ci hanno sostenuto, oggi quel mare non è stato più solo cimitero e deserto.

      https://mediterranearescue.org/news/mare-jonio-ha-salvato-49-persone-da-un-naufragio-adesso-litalia-
      #Méditerranée #ONG (même si c’est pas une ONG, mais une #initiative_citoyenne) #asile #migrations #frontières #mer_Méditerranée #sauvetage

    • La direttiva di Matteo Salvini sulle frontiere non ha valore

      “Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.

      “Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.

      La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.

      Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.

      Linea dura

      Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.

      Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.

      Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.

      Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.

      Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.

      Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.

      Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.

      Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/03/19/matteo-salvini-mare-ionio

    • Italian police escort migrant boat, open trafficking probe

      An Italian charity ship was escorted into the port of Lampedusa by police on Tuesday after rescuing 49 Africans in the Mediterranean, with Interior Minister Matteo Salvini calling for the crew to be arrested.

      A judicial source said a magistrate had ordered that the boat, the Mare Jonio, be seized as an investigation is launched into allegations of aiding and abetting human trafficking.

      The vessel picked up the migrants, including 12 minors, on Monday after their rubber boat started to sink in the central Mediterranean, some 42 miles (68 km) off the coast of Libya.

      The humanitarian ship immediately set sail for the nearby Italian island of Lampedusa, defying Salvini, the leader of the hard-right League party who has ordered the closure of all ports to boats carrying rescued migrants.

      After initially being prevented from docking, the Mare Jonio was unexpectedly accompanied into port by police at nightfall as a storm approached.

      The judicial source said the migrants would be allowed to disembark, while the boat would be impounded and the crew faced possible questioning.

      “Excellent,” Salvini wrote on Twitter. “We now have in Italy a government that defends the borders and enforces the law, especially against human traffickers. Those who make mistakes pay the price,” he said.

      The government has repeatedly accused charity rescue boats of being complicit with people smugglers, who charge large sums to help migrants get to Europe. The NGOs deny the accusation.

      There was no immediate comment from the collective that organized Monday’s sea operation, “Mediterranea”. It said in an earlier statement that the rescue had been carried out in accordance with international human rights and maritime law.
      ARRIVALS FALL

      New arrivals to Italy have plummeted since Salvini took office last June, with just 348 migrants coming so far this year, according to official data, down 94 percent on the same period in 2018 and down 98 percent on 2017.

      His closed-port policy has helped support for his League party double since March 2018 elections. However, humanitarian groups say his actions have driven up deaths at sea and left migrants languishing in overcrowded Libyan detention centers.

      Salvini said on Monday the Mare Jonio should have let the Libyan coastguard pick up the migrants. Failing that, it should have taken them either to Libya or Tunisia rather than disobey initial orders not to enter Italian waters.

      “If a citizen forces a police roadblock they are arrested. I trust the same thing will happen here,” Salvini said.

      Mediterranea said its rescue operation had saved the migrants either from drowning or from being picked up by the Libyans and “taken back to suffer again the torture and horror from which they were fleeing”.

      Last August, Salvini blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week before finally letting it dock. Magistrates subsequently put him under investigation for abuse of power and kidnapping and have asked parliament to strip him of his immunity from prosecution.

      The upper house Senate is due to vote on that on Wednesday, but the request looks certain to be rejected, with Salvini arguing that he acted in the national interest.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy/italys-salvini-in-new-migrant-boat-stand-off-idUSKCN1R021Q?il=0

    • Sequestro Mare Jonio. Indagato il comandante, che dice «Avrei dovuto lasciarli morire?»

      Al vaglio degli inquirenti i contenuti delle comunicazioni via radio, in particolare gli alt intimati dalla Guardia di finanza e la decisione invece della nave di proseguire.

      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra previsto all’articolo 1099 del codice della navigazione. Sono questi i reati contestati al comandante Pietro Marrone della nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. La Procura ha anche convalidato il sequestro della nave «Mare Jonio» fatto nella tarda serata di ieri dalla Guardia di finanza.

      Pronta la replica dell’Ong: «Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso contro il sequestro. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 49 persone», si legge in un tweet Mediterranea saving humans.

      In quanto al comandante l’avvocato Fabio Lanfranco che, insieme alla collega Serena Romano, lo difende, fa sapere: «Abbiamo appreso che il comandante è indagato e che questo é prodromico al sequestro della nave, quindi è un atto dovuto. Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo il fatto. Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra».

      Ne è certo anche lo stesso comandante. «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone», ha detto Pietro Marrone ai cronisti prima di entrare nel comando Brigata Lampedusa della Guardia di finanza, accompagnato dai suoi legali, per essere interrogato dal pm di Agrigento.
      La giornata

      Giornata di interrogatori oggi a Lampedusa, sul caso della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea sequestrata e fatta attraccare ieri dopo circa tredici ore d’attesa al largo dell’Isola con 50 migranti a bordo, fatti infine sbarcare.

      La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In serata era volato a Lampedusa il procuratore aggiunto Salvatore Vella. Sentiti dalla Guardia di finanza fino a notte il comandante Pietro Marrone il provvedimento di sequestro, e poi l’armatore Beppe Caccia. Si continuano a sentire persone informate, compreso il capo missione Luca Casarini.

      Entro domani sera la procura dovrà decidere se convalidare il sequestro. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i contenuti delle comunicazioni via radio fra la Guardia di finanza che aveva intimato l’alt, chiedendo di non avvicinarsi al porto di Lampedusa, e il comandante dell’imbarcazione che ha disobbedito, decidendo di proseguire, a suo dire per questioni di sicurezza, per mantenere in assetto la nave in un mare fortemente agitato con onde alte.

      Verificata anche la «catena di comando istituzionale», dal ministero dell’Interno alle forze dell’ordine intervenute intimando l’arresto dei motori alla nave di soccorso battente bandiera italiana.

      INTERVISTA «Direttiva illegittima. Un abuso di potere come negli Stati autoritari» di Nello Scavo
      Migranti trasferiti in hotspot, non ancora interrogati

      Non sono stati ancora ascoltati dagli investigatori i 40 migranti soccorsi dalla Mare Jonio, che hanno trascorso la notte nell’ hotspot di Lampedusa dopo lo sbarco di ieri sera. Gli operatori del Centro li hanno rifocillati, alcuni di loro hanno pregato. «Sono bravi
      ragazzi, educati e pacati» dicono dal centro dove la situazione è tranquilla. Non si sa quando lasceranno la struttura di contrada Imbriacola, anche perché le condizioni meteo-marine a Lampedusa non sono buone e sono previste in peggioramento.
      Il comunicato di Mediterranea

      «All’indomani dello sbarco dei naufraghi a Lampedusa il sentimento prevalente in Mediterranea è la gioia profonda di aver portato in salvo in un porto sicuro 49 persone sottratte ai pericoli della traversata e alle torture libiche. Sono entrate in Italia cantando ’libertà, liberta» perché per loro il nostro è ancora il paese dei diritti umani e della salvezza possibile" informa in una nota Mediterranea Saving Humans.

      «Ieri sera è stato notificato al Comandante della Mare Jonio il sequestro probatorio della nave, su iniziativa della Polizia Giudiziaria, nello specifico la Guardia di Finanza. La contestuale identificazione del comandante è un atto dovuto per procedere al sequestro - si legge - Lo si accusa di non avere spento i motori, come ordinato dalla Guardia Costiera a poche miglia dalle acque territoriali italiane, mentre la Mare Jonio fronteggiava onde alte più di due metri, come si vede nel video che abbiamo diffuso ieri. Era un ordine impossibile da eseguire senza mettere in serio pericolo la sicurezza della nave e di tutte le persone a bordo, la cui tutela è l’obbligo prioritario di ogni comandante. Al momento non sono in corso interrogatori e non sono arrivate ulteriori notifiche. L’armatore di Mare Jonio è stato semplicemente convocato in capitaneria per le procedure di routine», sottolinea la Ong. «La nostra azione di obbedienza civile si è sempre mossa nel quadro giuridico delle norme vigenti, rispettando anche la loro gerarchia, avendo come bussola il diritto e i diritti che tutelano la vita e la dignità delle persone. Ancora una volta si potrà dimostrare che le navi della società civile sono gli unici soggetti del Mediterraneo centrale che agiscono con queste priorità», conclude la nota.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mare-jonio-interrogatori

    • L’ammiraglio. «Direttiva illegittima. Un abuso di potere, come negli Stati autoritari»

      «Il provvedimento di chiusura del mare territoriale firmato dal ministro Salvini sospinge definitivamente il soccorso in mare nella pura strumentalizzazione politica con il rischio di creare, nella realtà operativa, situazioni ingestibili di confusione e di pericolo». Il contrammiraglio Vittorio Alessandro non nasconde la preoccupazione, specie dopo aver letto la direttiva di Salvini per fermare le Ong. «Un testo anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere», dice l’ufficiale, ora in congedo. Temi che Alessandro conosce anche per essere stato a guida del reparto am- bientale marino della Guardia Costiera e per 3 anni a capo dell’ufficio relazioni esterne del comando generale, dal 2010 al 2013, gli anni delle primavere arabe e delle migliaia di sbarchi a Lampedusa.

      Cosa non la convince?
      La premessa della direttiva sta nella paventata ipotesi di “strumentalizzazione” delle convenzioni per la salvaguardia della vita umana in mare al fine di eludere le norme in materia di immigrazione clandestina. Una premessa del genere non vale a sospendere o a ridurre l’obbligo del soccorso (che si conclude con l’assegnazione di un porto sicuro), in quanto ogni principio a tutela dei diritti fondamentali (quello della libertà, per esempio, o il diritto alla salute) può essere strumentalizzato a fini illeciti, ma non per questo può essere ristretto.

      Quindi si tratta di un’escamotage per scopi politici?
      Tanto più quando, come nel nostro caso, il paventato rischio di un pregiudizio alla «pace, buon ordine, e sicurezza dello Stato costiero» è solo una lontana ipotesi mai constatata, e comunque perfettamente affrontabile allorché i naufraghi siano giunti a terra.

      Perché ritiene che la direttiva non possa superare l’esame di un eventuale ricorso giudiziario?
      Perché il provvedimento, per i suoi aspetti formali, è illegittimo. L’articolo 83 del codice della navigazione prevede, infatti, l’ipotesi della chiusura del mare territoriale (assai remota in un ordinamento che considera tali spazi aperti alla sosta e al transito inoffensivi delle navi) assegnandola alla esclusiva attribuzione del ministro delle Infrastrutture.

      Invece cosa prevedono le nuove indicazioni degli Interni?
      Il Viminale si interpone fra il vertice istituzionale dell’organizzazione marittima e del soccorso e la competenza operativa delle Capitanerie di Porto. Non, come giusto, con una missiva al ministro competente, ma con un proprio provvedimento indirizzato alle Forze di polizia e a una Forza armata, come negli stati autoritari.

      Però si tratta di ipotesi che dovranno poi misurarsi con la realtà.
      Ma è già successo proprio nel caso della Mare Jonio. La Guardia di Finanza ha ordinato, infatti, alla nave italiana di «fermare le macchine» in mezzo al mare agitato. Un ordine inaudito, sotto il profilo nautico: le macchine non servono soltanto a navigare, ma anche a difendersi dal moto ondoso, a mantenere a galla il natante. Non a caso la Guardia Costiera ha subito provveduto ad assegnare alla nave un punto di ancoraggio a ridosso di Lampedusa.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/direttiva-illegittima-un-abuso-di-potere-come-negli-stati-autoritari

    • Italy seizes migrant rescue boat Mare Jonio

      A rescue boat carrying nearly 50 migrants has docked at the Italian island of Lampedusa. Interior Minister Matteo Salvini had denied the ship access to Italian ports, but relented in order to bring aid workers to trial.

      Sicilian prosecutors on Tuesday ordered the seizure of the Italian-flagged ship “Mare Jonio.” The rescue boat was allowed to dock on the Italian island of Lampedusa while accompanied by coast guard ships following nearly two days at sea.

      The decision ended a standoff between the migrant rescue boat and the Italian government. Italian Interior Minister Matteo Salvini had earlier ordered authorities to deny the ship access to Italian ports.

      Before issuing the permit to dock, prosecutors launched an investigation into possible aiding and abetting of illegal immigration. A move Salvini praised.

      “Now in Italy there is a government that defends the borders and ensures respect for the law, most of all for human traffickers,” he said. “He who makes mistakes, pays.”

      The group of 49 migrants, including 12 minors, were rescued by humanitarian group Mediterranea Saving Humans. “Those on board had been at sea for almost two days,” the NGO said in a statement. “(They) are exhausted and dehydrated.”

      ’Repressive’

      Salvini has come under fire for attempting to block migrant rescue boats from docking at Italian ports.

      Human rights watchdog Amnesty International last year accused the Italian government of “repressive management of the migratory phenomenon.”

      Italy has taken the brunt of a wave of migration after EU member states cut-off the so-called Balkan route. Nearly half a million irregular migrants have made the dangerous journey across the central Mediterranean and made landfall in Italy, according to the International Organization for Migration(IOM).

      Rome has conceded that saving lives at sea is a priority, but maintains that national authorities must be obeyed and premeditated action to bring immigrants to Italy would amount to facilitating human trafficking.

      Italy, with the support of the EU, has trained the Libyan coast guard to intercept boats carrying migrants in a bid to prevent migrants from reaching European shores.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15804/italy-seizes-migrant-rescue-boat-mare-jonio?ref=fb

    • Le navire humanitaire « Mare Jonio » mis sous #séquestre en Italie

      Le ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a lancé lundi 18 mars un avertissement aux organisations humanitaires qui recueillent des migrants au large de la Libye.

      Le lendemain, le « Mare Jonio », un navire ayant secouru 49 migrants était bloqué au large de Lampedusa, et mis sous séquestre dans la soirée. Les membres de l’équipage ont été arrêtés.

      « Les ports ont été et restent FERMES ». C’est par un message lapidaire posté sur Twitter que le dirigeant de La Ligue et ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a annoncé lundi 18 mars que l’Italie ne laisserait pas débarquer les migrants secourus par les ONG.


      Cet avertissement de Rome contre les ONG humanitaires intervient alors que le « Mare Jonio », affrété par le Collectif Mediterranea, aussi connu sous le nom de Mediterranea Saving Humans, venait de recueillir 49 migrants au large des côtes libyennes.
      Le Mare Jonio bloqué puis placé sous séquestre.

      Mardi 19 mars au matin, le navire humanitaire s’est positionné au large de Lampedusa, petite île italienne située entre l’île de Malte et la Tunisie, mais aussi dans la principale zone de passage des migrants en provenance des côtes libyennes. « En raison de conditions météo défavorables, il nous a été assigné un point d’ancrage à l’abri, à Lampedusa. Nous abriter était la priorité pour garantir la sécurité de toutes les personnes à bord », avait tweeté Mediterranea en fin d’après-midi.

      Le ministère italien de l’intérieur a annoncé, mardi 19 mars au soir, que « les douanes sont en train de procéder à la saisie du navire Mare Jonio », précisant que « les interrogatoires des membres d’équipage pourraient avoir lieu dans les prochaines heures ». Mercredi 20 mars, de fait, la justice italienne a confirmé le placement sous séquestre du Mare Jonio dans le cadre d’une enquête pour « aide à l’immigration clandestine ».

      Mediterranea, le soir même, a posté un message sur Twitter : « évidemment nous allons déposer un recours dans les prochains jours. Nous ne jouissons d’aucune immunité, mais nous sommes certains d’avoir agi dans le respect du droit et heureux d’avoir porté ces 49 personnes en lieu sûr ».
      Un accord Italie – Libye au détriment des droits de l’homme.

      Alors que Matteo Salvini menace de « sanctions » ceux qui « violent explicitement les règlementations (…) concernant les sauvetages », il ajoute au sujet du « Mare Jonio », « il ne s’agit pas d’une opération de sauvetage, c’est de l’aide à l’immigration clandestine ».

      Fidèle à sa ligne politique, le leader de La Ligue (extrême droite) a quasiment stoppé les arrivées de migrants, invoquant l’accord passé entre la Libye et l’Italie, signé le 2 février 2017, et soutenu par l’Europe, qui prévoit un soutien logistique et financier de l’Italie et de l’UE aux garde-côtes libyens, chargés d’assurer la surveillance en mer dans leurs eaux territoriales. En échange, ces derniers empêchent les personnes quittant la Libye de se rendre en Europe.

      Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat de l’ONU pour la Méditerranée centrale, a commenté sur Twitter que « le droit maritime est clair : la Libye n’est pas un lieu sûr (…). L’Italie et les autres pays méditerranéens, eux, le sont », légitimant ainsi le sauvetage des migrants par les ONG humanitaires.
      Le 16 novembre 2017, les pratiques d’esclavage en Libye sur des migrants originaires d’Afrique subsahariennes avaient été révélées au grand jour à la suite d’une vidéo publiée par la chaîne américaine CNN. « La Libye est un pays déchiré par la guerre et où les personnes réfugiées et migrantes sont régulièrement détenues dans des conditions terribles en violation de leurs droits humains les plus élémentaires », précise une lettre ouverte à l’attention du ministre de l’intérieur Français, Christophe Castaner, et signée par une trentaine d’ONG européennes.
      Quels navires humanitaires croisent encore en mer Méditerranée ?

      De janvier à juin 2018 l’espace humanitaire continue de se rétrécir en Méditerranée, explique pour sa part l’ONG SOS Méditerranée. « Les garde-côtes libyens sont de plus en plus présents et effectuent des interceptions dans les eaux internationales au large de la Libye, conséquence d’un transfert de responsabilités de plus en plus systématique du Centre de coordination des sauvetages italien vers les garde-côtes libyens ».

      La mise sous séquestre du « Mare Jonio » prive désormais un peu plus la Méditerranée d’aide humanitaire. D’autres embarcations européennes ont été empêchées de prendre la mer et de porter secours ces derniers mois : le « Juventa », le « Sea Watch », et l’« Aquarius ».

      Matteo Salvini dresse un bilan positif de son action. « Moins de départs, moins d’arrivées, moins de morts », martèle-t-il.

      L’Organisation Internationale pour les migrations (OIM) fait état de 152 morts et disparus en Méditerranée centrale depuis le début de l’année. Les chiffres sont par contre en augmentation au large de l’Espagne, devenue la principale porte d’entrée sur le continent.

      En 2018, toujours selon l’OIM, 144 166 personnes ont migré vers l’Europe : presque 4 000 de moins qu’en 2017. Le nombre de personnes mortes en tentant la traversée a également baissé, à 2 299. Il est toutefois proportionnellement plus élevé que les années précédentes.

      https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Le-navire-humanitaire-Mare-Jonio-mis-sequestre-Italie-2019-03-21-120101032

      –-> commentaire de Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Les rares journalistes français qui évoquent le Mare Jonio continuent de le présenter comme partie prenante d’un projet humanitaire. Le sauvetage en mer n’est pourtant qu’une des ambitions de cette coalition, soutenue par MIgreurop, qui a toujours défendu la dimension politique de son action. C’est également pour cela qu’elle est si durement attaquée par Salvini.

    • Hotspot di Lampedusa: si teme che i migranti della Mare Jonio siano detenuti arbitrariamente

      Le 50 persone soccorse dalla Mare Jonio e condotte all’Hotspot di Lampedusa il 19 sera sono da allora trattenute all’interno della struttura. ASGI chiede l’autorizzazione urgente all’ingresso nell’hotspot.

      Inviata il 20 mattina alla Prefettura e alla Questura di Agrigento una richiesta di informazioni circa la condizione dei cittadini stranieri presenti nell’hotspot. Ad oggi non è stata ricevuta nessuna risposta.

      In particolare nella richiesta inviata dall’ASGI, nell’ambito delle azioni promosse dal Progetto Inlimine, si richiedevano chiarimenti rispetto all’accesso alla protezione internazionale, alla tutela dei minori e all’eventuale privazione della libertà delle persone presenti.

      Di fatto i cittadini stranieri, nel corso di questi giorni, non hanno lasciato la struttura e l’ente gestore ha comunicato per via telefonica a In Limine che non sussistono meccanismi di regolamentazione in merito all’uscita e al rientro dalla struttura delle persone presenti. L’ente gestore ha infatti sostenuto che trattandosi di un Centro di primo soccorso e accoglienza i cittadini stranieri debbano essere trattenuti al suo interno.

      Questa situazione desta grandi preoccupazioni: l’hotspot è percepito dall’ente responsabile della sua gestione come un centro di detenzione e le autorità pubbliche responsabili sembrano assecondare tale visione. Il problema della detenzione illegittima all’interno dell’hotspot di Lampedusa era già stato sollevato dal Garante dei diritti dei detenuti in data 11 maggio 2017. In tale occasione il prefetto di Agrigento alla richiesta del perché non venisse permesso alle persone di uscire dal Centro aveva risposto “se vogliono possono uscire da un buco nella rete”. In seguito, nel febbraio del 2018 il Prefetto inviava una comunicazione all’allora ente gestore con l’indicazione di dotarsi di sistemi per consentire ai richiedenti asilo di circolare liberamente. A oltre un anno da tale comunicazione, tali sistemi non sono stati adottati.

      Di fronte a questa allarmante situazione ricordiamo che la libertà personale è un diritto inviolabile, in quanto tale tutelato dalla Costituzione (art. 13) nonché da norme di diritto internazionale, tra cui l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La privazione della libertà può avvenire solo sulla base di norme che ne disciplinino tassativamente casi e modi, deve essere disposta da provvedimenti scritti e motivati e deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria competente. Nel caso dei cittadini stranieri presenti a Lampedusa ci troviamo potenzialmente di fronte a tre diverse situazioni:

      Il trattenimento nel corso delle procedure di identificazione. Tale forma di detenzione non è prevista da alcuna norma ed è quindi di per sé illegittima.

      Per quanto concerne la privazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale all’interno dei centri hotspot questa è prevista dall’art. 6 del D.lgs. n. 142/2015, che stabilisce che il richiedente asilo può essere trattenuto solo in appositi locali, al fine di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza e, in ogni caso, esclusivamente ove vi sia un provvedimento scritto emesso e notificato dall’autorità competente e convalidato dall’autorità giudiziaria.

      Per quanto riguarda i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento l’unica eccezione al trattenimento presso i Centri per il rimpatrio è contenuta nell’art. 13, co. 5-bis, del Testo Unico sull’Immigrazione. Questo prevede che in caso di indisponibilità dei posti all’interno dei CPR tali cittadini possono essere trattenuti in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza solo dietro autorizzazione del giudice di pace e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

      In base a quanto visto sopra si ritiene che la detenzione cui sono sottoposti i 36 adulti, nel centro di Lampedusa potrebbe essere illegittima, sia nella sua fase iniziale – ovvero durante l’identificazione –sia nei momenti successivi, a meno che non siano stati emessi i provvedimenti di trattenimento e non vi sia stata la relativa convalida.

      Per quanto riguarda i minori, la situazione è evidentemente ancora più grave. Infatti, in nessun caso i minori non accompagnati possono essere trattenuti e devono essere accolti in “strutture governative di prima accoglienza a loro destinate” e, in caso di indisponibilità di posti in tali strutture, l’assistenza e l’accoglienza devono essere garantite dal Comune. Il trattenimento ovvero la permanenza dei minori nel centro hotspot è estremamente preoccupante in quanto illegittima e contraria al principio del superiore interesse del minore.

      Si invitano pertanto le autorità competenti a fornire nel minor tempo possibile informazioni sulla condizione delle persone soccorse dalla Mare Jonio, sulla messa in campo delle garanzie previste per gli eventuali trattenimenti e sulle misure adottate per l’immediato trasferimento dei minori. In data odierna è stata inviata richiesta di ingresso all’hotspot di una delegazione del progetto al fine di verificare l’effettivo rispetto dei diritti delle persone presenti.

      In ultimo, riteniamo sia indispensabile, dal punto di vista della società civile, prestare l’opportuna attenzione nei confronti delle procedure applicate alle 50 persone attualmente presenti a Lampedusa. Riteniamo, da questa prospettiva, che il tema del rispetto dei diritti e le potenziali frizioni tra diritto e prassi non si esauriscano con l’approdo e lo sbarco. Viceversa, è indispensabile continuare a mantenere alta la soglia dell’attenzione: va puntualmente garantito il rispetto dei diritti all’interno degli hotspot e nelle delicate fasi successive.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/lampedusa-mare-jonio-detenzione-hotspot

    • Refugee Ships Are Trying To Call Them During Emergencies — But They Aren’t Answering

      Twenty-nine calls from BuzzFeed News to a variety of numbers meant to summon the Libyan coast guard to help for drowning refugees in the Mediterranean went completely unanswered.

      Four years after the refugee crisis first brought the horrors of the dangerous Mediterranean crossing to the world’s attention, hundreds of people continue to die each year hoping to reach Europe’s shores.

      Over the course of 2016, the European Union determined that the coast guard in Libya, from whose shores many refugee boats set off, would to be the first call for groups undertaking rescue missions in hopes of saving the lives of those adrift at sea. Since last June, the main international body that issues guidelines on rescues at sea has agreed — Libya has the lead in the Mediterranean.

      A BuzzFeed News investigation has found that five different phone numbers provided by Libyan officials as contact numbers for search and rescue missions are barely functioning, and when they do, the staffers manning the phones are unable to speak English, in violation of international law.

      A reporter from BuzzFeed News tried to reach these five numbers on three different days and at six different times in a total of 30 contact attempts. Of those, 29 failed because the call was not answered. Among the numbers where no one could be reached were the two numbers listed in the international database for emergencies at sea — the UN International Maritime Organization’s (IMO) Search and Rescue database. The IMO entry says that the Libyans should be available 24 hours a day.

      The failure to adequately man the phones can have dire consequences. In 2016, at the peak of the crisis, more than 3,800 people are estimated to have died when attempting to make the crossing into Europe. According to the UN, the route between Libya and Italy was the most deadly, with one death for every 47 arrivals. That number has fallen but still remains high: 2,262 people were estimated to have died on the voyage last year.

      In response to the surge in migrants and asylum-seekers, the European Union opted in 2016 to divert money and personnel from its own rescue missions to the Libyan coast guard, hoping to discourage migrants and asylum-seekers from making the trek in the first place. The program has been renewed several times since then, most recently in the form of a pledge of $52 million this January to pay for maritime surveillance equipment.

      The UN database also lists a Gmail address as an official contact for the Tripoli mission. There are three further email addresses available that BuzzFeed News was able to locate, which are supposed to represent official contacts to the Libyan coast guard. One is a second Gmail account; the other is an address that belongs to the Italian Navy. None of the addresses contacted responded to BuzzFeed News requests for comment.

      Other organizations have had little better luck contacting Tripoli. Sea-Watch, an NGO that provides search and rescue efforts in the Mediterranean, has also provided BuzzFeed News radio recordings of several attempts on different days to reach the Libyan coast guard.

      Sea-Watch also provided a list of recorded attempts to reach the Libyan coast guard from the bridge of the Sea-Watch 3, one of their rescue ships. The list of 15 calls show 10 failed contact attempts — in five other cases, the Libyan side simply hung up.

      Ruben Neugebauer, a crew member who also acts as spokesperson for Sea-Watch, told BuzzFeed News that the situation had become the new normal.

      “The accessibility of the JRCC Tripoli is more than poor, it happens again and again that the control center is not accessible at all,” he said, using the Libyan mission’s official name. “If it can be reached, often only the local Arabic dialect is spoken.”

      Under the terms of the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue, which Libya has signed, all rescue coordination centers must be staffed around the clock and include staffers who speak English.

      Neugebauer recalled one case where a person on the Libyan end of the call could not communicate in English, French, or Egyptian Arabic: “Even though it was an emergency, the JRCC Tripoli employee simply hung up before we were able to share the most necessary information.”

      The operator’s lack of English language skills can also jeopardize the rescuers. Last November, a Libyan patrol boat intervened aggressively in an ongoing rescue mission. Five people died as a result.

      The Aquarius, a ship jointly operated by NGOs Doctors Without Borders and SOS Mediterranee, has noted in its public logbook almost 30 unsuccessful attempts to reach the Libyans during missions since June 2018 alone. Nine unsuccessful attempts to reach Libyan units on the radio channel reserved for emergency calls are also listed in the logbook.

      “For us, the JRCC Tripoli has never been reachable by phone so far,” Axel Steier, founder and chair of the NGO Mission Lifeline, told BuzzFeed News in an email. “Emails are answered after days.” BuzzFeed News asked Steier to estimate how often the Libyan authorities were available in cases of distress at sea in which Mission Lifeline’s rescue vessel was involved. His answer: “Zero percent.”

      Ina Fisher, a spokesperson for Alarm Phone, another NGO focused on rescues, told BuzzFeed News that in only two cases did phone calls placed to numbers meant to belong to the Libyan coast guard actually get answered. One number turned out to belong not to the coast guard but a retired general, she said. In the other call, the voice on the other end of the line said they could not help but did ask if they’d managed to save the boat in question.

      “We regularly send complaints to MRCC Rome about the JRCC’s inaccessibility, but again and again get the answer that the JRCC is working well,” Fisher said.

      “According to our experience, in case of SAR events involving our assets, the communication with the relevant MRCC, including the Libyan one, has been satisfactory,” Antonello de Renzis Sonnino, a captain in the Italian Navy and spokesperson for Operation Sophia, the EU’s international rescue mission, said in response to a BuzzFeed News request for comment.

      Last year, Italian and Maltese ports began refusing ships with refugees on board permission to enter their harbors, leaving ships to wait for days with refugees on board on the Mediterranean Sea. As a result, civilian sea rescuers have given up on contacting the rescue coordination center based in Rome and switched over to contacting the German Maritime Search and Rescue Association during emergencies in the Mediterranean, hoping to enlist them to contact the Libyans. The Germans, based out of the city of Bremen, are responsible for maritime search and rescue operations in the North and Baltic seas.

      Even they don’t always manage to reach the Libyan coast guard. Christian Stipeldey, the German rescue association’s press officer, confirmed to BuzzFeed News: “In January 2019 we tried to reach Tripoli by telephone in one case. The connection was not established.” The mission in Rome “was already aware of this case,” Stipeldey said.

      A spokesperson for the International Maritime Organization told BuzzFeed News that they were not in a position to comment on the reporting gathered for this article, adding that the IMO has no mandate to investigate the accessibility and reliability of regional command centers. A member state of the IMO could make such a request, however.

      The German Federal Ministry of Transport is considering putting the work of the Libyan coast guard on the agenda at the next meeting of the IMO’s subcommittee responsible for sea rescues, the ministry confirmed to BuzzFeed News. The ministry also said that in talks with Libyan representatives, it has regularly demanded that the protection of refugees in sea rescue be guaranteed.

      “You must appreciate that not every State can execute this function properly, especially if it has been under turmoil, like Libya,” George Theocharidis, a professor of maritime law and policy at World Maritime University in Sweden, told BuzzFeed News. “On the other hand, as every State has sovereignty, it is not possible to enforce those duties and it is left to the goodwill of States to perform what is required from them,” he added, noting that even the IMO can’t force a country to comply with the standards.

      BuzzFeed News has also asked the European External Action Service, the responsible EU commissioner, for comment on the Libyans’ inaccessibility. It has not provided a response at this time.

      Despite widespread knowledge of the problem, the confusion has not improved in recent months. A screenshot of an internal Sea-Watch chat provided to BuzzFeed News shows one crew member attempting to get in touch with the Libyans as recently as March 15. They were subsequently provided with a new phone number and instructed to speak very slowly.

      When someone actually answered the phone, the chat reads, “it was a Russian-sounding man replying, saying in English that he didn’t speak English, only Russian.

      “To my question, if anyone there spoke English, he replied, ‘Afternoon, English!’”

      https://www.buzzfeednews.com/article/marcusengert/libya-coast-guard-not-answering-emergency-refugee-rescue-cal

    • Rescued migrants hijack merchant ship off Libya

      Migrants have hijacked a merchant ship which rescued them off the coast of Libya and it is now heading towards Malta, Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini and Maltese authorities said on Wednesday.

      The 108 migrants were picked up by the cargo ship #Elhiblu_1 and hijacked the vessel when it became clear that it planned to take them back to Libya, according to the website of Italian daily Corriere della Sera and Italian news agencies.

      “These are not migrants in distress, they are pirates, they will only see Italy through a telescope,” said Salvini, who has cracked down on illegal immigration, including closing Italy’s ports to charity ships, since he took office in June last year.

      A spokeswoman for Malta’s armed forces confirmed the ship had been hijacked and said Maltese authorities were monitoring its progress and it would not be allowed to dock in Malta.

      “This is clearly a case of organized crime,” Salvini said on Facebook. “Our ports remain closed.”

      Salvini, the leader of the right-wing League party, has been at the center of several international stand-offs over his refusal to let humanitarian ships dock in Italy.

      This month parliament rejected a request by prosecutors to investigate him for kidnapping over a case in August when he blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week off Sicily before finally letting it dock.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-hijacking/rescued-migrants-hijack-merchant-ship-off-libya-idUSKCN1R81YF?feedType=RSS&

    • Un pétrolier, détourné par les migrants secourus, arrive à Malte

      Le pétrolier ravitailleur #Elhiblu 1, détourné par des migrants qu’il avait secourus mais qui ne voulaient pas être reconduits en Libye, est arrivé jeudi à Malte. Un commando de la marine maltaise en a repris le contrôle dans la nuit.

      Ce navire de 52 mètres qui bat pavillon de Palau avait secouru mardi au large de la Libye 108 migrants, dont 31 femmes ou enfants, à bord de deux canots en détresse, signalés par un avion militaire européen. Mais alors qu’il s’approchait de Tripoli pour les débarquer mercredi, il a subitement fait demi-tour et mis le cap au nord.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a immédiatement prévenu que le navire ne serait pas autorisé à pénétrer dans les eaux italiennes.

      Or, l’Elhiblu 1 faisait route vers Malte, où la marine a pu entrer en contact avec le capitaine alors que le navire était à 30 milles des côtes.

      Le contrôle « rendu au capitaine »

      Le capitaine a répété plusieurs fois qu’il n’avait plus le contrôle du navire et que lui-même et son équipage étaient forcés et menacés par un certain nombre de migrants exigeant qu’il fasse route vers Malte", a ajouté la marine dans un communiqué.

      Un patrouilleur a empêché le pétrolier de pénétrer dans les eaux territoriales de Malte et un commando des forces spéciales, soutenu par plusieurs navires de la marine et un hélicoptère, a été dépêché à bord « pour rendre le contrôle du bateau au capitaine ».

      Escorté par la marine maltaise, le navire est arrivé tôt ce matin dans le port de La Valette, où l’équipage et les migrants doivent être confiés à la police pour déterminer ce qui s’est passé et les responsabilités.


      https://www.rts.ch/info/monde/10324359-un-petrolier-detourne-par-les-migrants-secourus-arrive-a-malte.html

    • #IOM: Libya isn’t a safe haven for immigrants

      The International Organization for Migration (IOM) said Libya cannot yet be considered a safe port, saying it is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea.

      In a statement on Tuesday, IOM added that following the migrants’ disembarkation, they are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) over which the Organization has no authority or oversight.

      “The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.” The statement remarks.

      It indicates that the number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      “IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.” It explained.

      The IOM also clarified that its access to detention centres in Libya is part of the efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations.

      It said it advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants.

      “A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.” The statement reads.

      IOM further explained that security and humanitarian situations in Libya remain dangerous, and reiterated that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.libyaobserver.ly/news/iom-libya-isnt-safe-haven-immigrants
      #Libye #ports_sûrs #port_sûr #asile #migrations #réfugiés #IOM #OIM

    • Refugee rescue ship running out of food and water with 64 on board as European countries argue over who should let it dock

      A newborn baby, five children and 20 women are among those on board the stranded vessel.
      A ship carrying 64 refugees is stranded at sea and running out of food and drinking water while European countries refuse to let it dock.

      The Alan Kurdi is a private rescue ship owned by Sea-Eye, a German NGO.

      The group on the vessel includes 20 women, five children and one newborn baby, according to a spokesperson for Sea-Eye.

      Staff on board rescued the group of refugees from a rubber dinghy near the Libyan coast last week and asked Italy and Malta, the two nearest countries, to open a port so the ship could dock.

      But both countries refuse to accept humanitarian ships that patrol the Mediterranean to rescue refugees.

      The Alan Kurdi has now spent six days at sea as European countries argue over who should accept the vessel.

      Matteo Salvini, Italy’s anti-immigration deputy prime minister, said the rescue ship was not welcome in the country.

      “A ship with a German flag, German NGO, German ship owner, captain from Hamburg. It responded in Libyan waters and asks for a safe port,” he said.

      “Good, go to Hamburg.”

      As supplies on the vessel run low, the European Union (EU) has entered discussions with its member states.

      On Tuesday, Sea-Eye said it had informed Malta, which is nearest to the boat, about the scarcity of food on board.

      Dominik Reisinger, a spokesperson for the organisation, said the “political question about the distribution of those rescued ... overshadows the human rights” of the refugees.

      The vessel’s difficulties come after the aid organisation Médecins Sans Frontières (MSF) ended its refugee rescue missions in the area.

      In December 2018, the group’s rescue vessel, Aquarius, was withdrawn from operations after what MSF alleged was a “sustained smear campaign” led by the Italian government.

      Operation Sophia, the EU’s maritime rescue mission, has also been downgraded, in a move that was condemned by rights groups and charities when it was announced in March 2019.

      The EU mission was credited with saving thousands of lives but no longer carries out maritime patrols in the Mediterranean, after Italy refused to receive the people rescued at sea.

      A spokesperson for Amnesty International described the decision as an “outrageous abdication of EU governments’ responsibilities”.

      The Alan Kurdi is named after the three-year-old boy whose body was found on a beach in Turkey in September 2015 at the height of the refugee crisis.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-rescue-ship-sea-eye-boat-eu-countries-refusing-to-let-it-dock

    • Avril 2019

      #Alarmphone was called this morning at approx. 6am CEST by 20ppl, incl. women & children in distress off the coast of #Libya +++ They report that 8ppl have fallen into the sea and are missing. They lost their engine, water is coming into their boat. Authorities are informed.

      Avec un fil twitter sur l’évolution de la situation :
      https://twitter.com/alarm_phone/status/1115945935601831940

      Fin de l’histoire : les Libyens sont intervenus et ont ramené les migrants en Libye...

      Li hanno ripresi i Libici. Il caso è chiuso. 15 ore senza interventi di soccorso. Governi europei, civilissime nazioni di grandi tradizioni e valori, sono riusciti a riconsegnare ai lager in una zona di guerra da cui scappavano, donne uomini bambini. Crimine e vergogna infinita.

      https://twitter.com/RescueMed/status/1116054434742714368

      Tweet de #sea_watch :

      While today 8 people already drowned, 20 others are alive but abandoned in distress. Meanwhile the Dutch gov. keeps our ship blocked with random policy changes. #SeaWatch 3 could be there to save lives now, but that doesn’t fit the European migration policy of letting drown.

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1115955541099057152

    • #Castaner persiste sur des « interactions » entre ONG et passeurs en Méditerranée

      Après avoir affirmé que les ONG « ont pu se faire complices des passeurs » en Méditerranée, Christophe Castaner a tenté une mise au point mardi, dégainant deux « rapports de Frontex » censés démontrer des « interactions ». Emmanuel Macron lui-même juge que des humanitaires font « le jeu des passeurs ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/castaner-persiste-sur-des-interactions-entre-ong-et-passeurs-en-mediterran

    • La Mare Jonio torna a navigare. Siamo tutti coinvolti

      In questo momento il rimorchiatore Mare Jonio e la barca a vela d’appoggio Alex stanno solcando il mare in direzione del Mediterraneo Centrale, la rotta migratoria più mortifera a livello globale. «Torniamo a navigare ancora una volta decisi a rispettare fino in fondo il diritto internazionale del mare, i diritti umani e i principi della nostra Costituzione – hanno scritto ieri gli attivisti sul profilo facebook della missione – Ringraziamo le migliaia e migliaia di persone diventate in questi mesi Mediterranea. È solo grazie al loro supporto che possiamo farlo».

      La Mare Jonio era ferma dal 19 marzo scorso, quando tornò in Italia con a bordo 49 naufraghi salvati dalla morte o dal ritorno nell’inferno libico. Dopo l’apertura di indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il rimorchiatore era stato sottoposto a qualche giorno di sequestro probatorio presto revocato dalla procura di Agrigento. La nuova missione parte con la benedizione dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che lunedì scorso ha incontrato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, affermando pubblicamente di essere dalla parte di chi salva esseri umani.

      Ieri sera, invece, è stato pubblicato un comunicato congiunto degli equipaggi di Sea-Watch, Open Arms, Mediterranea Saving Humans, Sea-Eye, Alarm Phone, Seebrücke sulla vicenda che ha riguardato la nave Alan Kurdi. L’imbarcazione della ong Sea-Eye aveva salvato 64 persone il 3 aprile scorso. Solo ieri i naufraghi sono stati prelevati e fatti sbarcare dalle motovedette militari maltesi. L’attracco della nave nel porto di La Valletta, invece, non è stato autorizzato. I profughi saranno ora «redistribuiti» tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.

      «I negoziati intergovernativi portati avanti mentre le persone soccorse erano costrette a rimanere in condizioni non sicure in alto mare per oltre dieci giorni – recita il comunicato congiunto – sono pratiche illegittime e insostenibili che violano il diritto internazionale, i principi fondamentali dei diritti umani e non rispettano la dignità delle persone salvate». «Per noi, la società civile impegnata nel Mediterraneo centrale – continua il testo – la dignità e i diritti delle persone sono sempre una priorità assoluta e guidano tutte le nostre pratiche».

      La missione di Mediterranea iniziata questa mattina si inserisce in un nuovo contesto politico, segnato dalla rinnovata instabilità libica e dall’escalation militare che interessa Tripoli. Il conflitto tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj, sostenuto dal governo italiano e dall’Unione Europea, hanno reso evidente a tutti, amesso che ancora ce ne fosse bisogno, che la Libia non è un «paese sicuro». Chi continua a ripeterlo diffonde fake news e menzogne che producono morte e legittimano l’inferno dei lager, delle violenze, degli stupri.

      A tutto questo bisogna reagire adesso. Mediterranea lo sta facendo. Lo stanno facendo gli equipaggi di mare, che hanno deciso di sfidare senza paura le aggressioni politiche e giudiziarie e i possibili comportamenti scomposti della cosiddetta «guardia costiera libica». Lo stanno facendo gli equipaggi di terra, che instancabilmente lavorano a livello economico, organizzativo e legale per rendere possibili le missioni. Dovrebbe farlo chiunque non accetta questa situazione, sostenendo come può la missione Mediterranea, che è completamente autofinanziata e ha urgente bisogno di nuovi fondi, ma anche preparandosi a mobilitarsi affinché nessuno resti solo, né in mare né in terra.

      https://www.dinamopress.it/news/la-mare-jonio-torna-navigare-tutti-coinvolti

    • Nella direttiva contro Mare Jonio solo propaganda. Il Viminale rispetti i diritti umani

      Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem”, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio, salpata per la seconda missione del 2019 il 14 aprile scorso.

      La direttiva appare scritta come se il Governo vivesse in un mondo parallelo. Nessun accenno alla guerra che infiamma la Libia e ai corrispettivi obblighi internazionali né alle migliaia e migliaia di persone torturate negli ultimi anni in quel Paese né a quelle annegate nel Mediterraneo centrale (in proporzione in numero sempre crescente, 2.100 nel solo 2018). Forse dovrebbero parlarsi tra Ministeri: la Ministra della Difesa italiana ha appena affermato infatti che “con la guerra non avremmo migranti ma rifugiati e i rifugiati si accolgono”.

      Nelle considerazioni introduttive della direttiva in questione, si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie, peraltro relative a eventi al momento sotto l’attenzione della Procura di Agrigento nel corso dell’indagine che ci riguarda e che abbiamo accolto offrendo tutta la nostra collaborazione. Sappiamo infatti di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo Centrale.

      La direttiva dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia: bisognerebbe appunto ricordare al Viminale che in Libia c’è una guerra, e che in ogni caso, come l’ONU e l’UE non perdono occasione di ricordare, quel paese non è mai stato un porto sicuro, ma piuttosto il teatro di “indicibili orrori”, stupri quotidiani, torture, esecuzioni sommarie per tutti i migranti, inclusi i bambini.

      La direttiva dice che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi. Auspichiamo che, una volta sbarcate nel porto più sicuro le persone eventualmente soccorse, questo governo sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica, ricordando però che i terroristi solitamente non viaggiano su barche che in un caso su tre affondano, ma che hanno ben altri mezzi per spostarsi.

      La direttiva dice che avremmo rifiutato il coordinamento SAR di autorità straniere legittimamente responsabili. Ricordiamo che nel nostro soccorso avvenuto il 18 marzo, nessuna autorità ci ha ordinato alcunché, se non di stare lontani 8 miglia da un punto dal quale siamo rimasti ben più distanti per tutto il tempo. In ogni caso, ci auguriamo che la direttiva non faccia riferimento all’autorità libica, poiché in questo caso, si tratterebbe di una istigazione a delinquere: se già in precedenza era un reato riportare in Libia le persone soccorse, oggi, con la guerra in corso, è un’affermazione semplicemente criminale.

      La cosiddetta guardia costiera libica, su delega e finanziamenti italiani, ha catturato per anni le persone in mare riportandole in quell’inferno e rimettendole in mano ai trafficanti, contrastati di fatto solo dalla presenza delle navi della società civile, le uniche a strappare le persone soccorse dalle mafie criminali. Sempre in relazione all’evento del 18 marzo, contrariamente alle menzogne riportate dalla direttiva, ricordiamo di avere fatto rotta verso l’Italia, obbedendo linearmente a quanto previsto dal diritto internazionale, in quanto Lampedusa era il porto sicuro più vicino per i naufraghi soccorsi.

      La direttiva ci accusa infine di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo, grazie alle tantissime realtà e persone che ci sostengono, per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani, senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo.

      Ci atterremo, nel farlo, esattamente come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia, certi che anche l’illegittimità della sua zona SAR sarà presto definitivamente riconosciuta.

      Diffidiamo altresì chiunque, e nella fattispecie il Ministro dell’Interno italiano, dal mettere in atto comportamenti che violino le leggi nazionali ed internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e di obbligo di salvataggio in mare.

      https://mediterranearescue.org/news/nella-direttiva-contro-mare-jonio-solo-propaganda-il-viminale-ri

    • Pourquoi l’extrême-droite européenne a quasiment réussi à faire interdire les sauvetages de réfugiés en Méditerranée

      Des navires comme l’Aquarius ou le Sea Watch, affrétés par des associations, ont sauvé des dizaines de milliers de vies en Méditerranée. Mais depuis deux ans, les autorités italiennes et européennes ont multiplié les entraves. L’Italie leur a fermé ses ports depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini et de son parti d’extrême droite. Il n’est pas le seul à harceler les sauveteurs. Des bateaux sont saisis ou bloqués à Malte, en Espagne, leurs équipages sont menacés de poursuites. Et ce, dans l’indifférence des autres gouvernements européens. Les réfugiés, eux, continuent de mourir ou sont interceptés par les garde-côtes libyens. Bilan d’un naufrage européen.

      Quand une majorité d’électeurs français ont élu Emmanuel Macron contre Marine Le Pen en mai 2017, ils ne pensaient probablement pas que l’un de ses futurs ministres de l’Intérieur tiendrait le même discours que la candidate du FN et le reste de l’extrême droite européenne. C’est pourtant ce qui est arrivé le 5 avril. En marge du G7 des ministres de l’Intérieur, Christophe Castaner a déclaré que les ONG qui secourent des embarcations de migrants en péril en Méditerranée ont « pu se faire complices des passeurs ». C’est exactement l’argumentaire utilisé par Marine Le Pen un an plus tôt [1] en échos aux déclarations du ministre d’extrême-droite italien Matteo Salvini. Depuis que celui-ci est au pouvoir, les entraves mises aux organisations de sauvetage en mer ont redoublé.

      En juin 2018, dès la formation du gouvernement de coalition entre la Ligue du Nord (extrême-droite) et le Mouvement 5 Étoiles (M5S), Matteo Salvini décide de fermer les ports italiens aux bateaux des organisations non-gouvernementales de sauvetage. L’Italie refuse alors le droit d’accoster à l’Aquarius, affrété par l’ONG française SOS Méditerranée, et au Lifeline, d’une association allemande, alors qu’ils ont recueilli à bord des dizaines de réfugiés. « Normalement, selon le droit maritime, les gouvernements ne peuvent pas fermer leurs ports à des embarcations », déplore une activiste française de l’ONG allemande Sea Watch, qui souhaite garder l’anonymat. Mais les autorités italiennes cherchent tous les prétextes possibles pour le faire.
      Des accusations de collusion avec les passeurs, sans aucune preuve

      Sur le front juridique, les attaques contre les ONG ont commencé depuis deux ans. Au printemps 2017, le procureur de Catane, en Sicile, déclare soupçonner une collaboration entre des organisations de sauvetage et des trafiquants d’êtres humains. Sans aucun élément de preuves, l’affaire s’est finalement dégonflée. Les menaces de poursuites judiciaires et de mises sous séquestre des navires se sont cependant poursuivies. En août 2017, le parquet de Trapani, toujours en Sicile, saisit le navire Luventa de l’ONG allemande Jugend Rettet. Raison invoquée : soupçon de collaboration avec des passeurs lors de trois opérations de sauvetage en 2016 et 2017 (voir le travail d’enquête qu’a réalisé à ce sujet le collectif de recherche Forensic Architecture, basé à l’université Goldsmiths de Londres). L’ONG avait refusé, avec d’autres, de signer le « code de conduite » que les autorités italiennes voulaient leur imposer. Le texte leur demandait notamment de s’engager à ne pas entrer dans les eaux territoriales libyennes.

      « Notre navire se trouve en saisie préventive, fait savoir à Basta ! le président de Jugend Rettet, Julian Pahlke. La saisie peut être effectuée sans qu’aucune procédure judiciaire ne soit lancée. Elle est couverte par un paragraphe de loi anti-mafia ». Les autorités italiennes ont mis sous séquestre le navire de l’ONG allemande depuis plus d’un an et demi sans même qu’une procédure judiciaire ne soit ouverte ni contre l’ONG, ni contre ses membres. « Nous sommes allés jusqu’à la plus haute instance juridique italienne pour contester cette saisie », poursuit le jeune homme. En vain. L’ONG dit aujourd’hui préparer une plainte devant la Cour européenne des droits humains pour pouvoir récupérer son bateau.
      Des navires saisis ou bloqués de manière arbitraire, sans procédure judiciaire

      En mars 2018, c’est le navire de l’organisation espagnole Open Arms qui est placé sous séquestre par les autorités italiennes. Le procureur de Catane leur reproche d’avoir refusé de remettre aux garde-côtes libyens plus de 200 réfugiés secourus en mer. Une enquête pour organisation criminelle d’aide à l’immigration illégale est alors ouverte contre le capitaine du navire, le coordinateur et le directeur de l’ONG. Quelques mois plus tard, en novembre, la justice italienne déclare soupçonner l’Aquarius de traitement illégal de déchets toxiques. La menace d’un placement sous séquestre plane, mais l’accusation ne tient pas. La même année, le bateau de SOS Méditerranée reste coincé pendant des semaines dans le port de Marseille parce qu’il vient de perdre son pavillon, le pays de rattachement du bateau. Le Panama lui retiré l’immatriculation suite à une plainte de l’Italie. Juste avant, Gibraltar avait fait de même. Résultat : entre fin septembre et fin novembre 2018, plus aucun bateau d’ONG de sauvetage n’était présent au large de la Libye.

      Tout récemment encore, début février 2019, le parquet de Catane a bloqué plusieurs jours l’un des navires humanitaires de Sea Watch. Il venait de débarquer avec 47 réfugiés secourus au large des côtes libyennes, après avoir été coincés des jours sur le bateau au large, parce que Salvini leur refusait l’accès au port. Le ministre menace aussi l’ONG de poursuites en justice. Le parquet a finalement considéré qu’aucun délit n’a été commis par l’ONG, mais ordonne des vérifications techniques, ce qui immobilise le navire. Sea Watch a dénoncé un blocage politique injustifié. Puis, c’est le Mare Jonio, affrété par le collectif d’activistes italiens Mediterranea, qui est saisi pendant huit jours, mi-mars, au port de Lampedusa. Il venait de secourir 49 personnes.
      « Une preuve accablante que certains États abusent de leurs pouvoirs »

      Le zèle des autorités italiennes pour bloquer les navires inspire aussi d’autres pays. Sea Watch rencontre des difficultés avec les Pays-Bas, le pavillon sous lequel ses bateaux naviguent. Après des travaux d’entretien, les autorités néerlandaises ont empêché leur bateau Sea Watch 3 de retourner en zone de sauvetage. « Jusqu’à ce que le gouvernement néerlandais soit sûr que nous nous conformions aux exigences techniques d’un nouveau règlement, Sea Watch est obligé de suspendre ses missions et sera probablement soumis à une nouvelle série d’inspections grotesques », a réagi l’ONG dans un communiqué. Les Pays-Bas invoquent des préoccupations pour la sécurité des personnes secourues si le navire doit rester longtemps en mer, faute de port prêt à les accueillir, comme cela arrive de plus en plus souvent.

      « Nous ne pouvons être tenus responsables de l’état actuel des blocages prolongés et inhumains en mer. Au contraire, cette situation est une preuve accablante que certains États européens abusent de leurs pouvoirs », répond Sea Watch. Pour elle, les Pays-Bas, derrière des prétextes techniques, cherchent à empêcher les opérations de sauvetage en inventant « de nouveaux moyens pour contrôler les navires d’ONG dans le contexte de la politique migratoire ».

      Une troisième ONG allemande, celle qui affrète le bateau Lifeline, a fait l’objet d’un long procès à Malte. En juillet 2018, les autorités maltaises ont laissé accoster le Lifeline avec plus de 200 personnes réfugiées, après une semaine d’errance en Méditerranée. Puis, Malte a mis le navire sous séquestre et engagé un procès contre le capitaine. L’accusation ? Ne pas avoir correctement enregistré le bateau. Le jugement doit finalement être rendu le 14 mai prochain. En Espagne aussi, les conditions se durcissent. En janvier, les autorités maritimes espagnoles ont refusé au navire d’Open Arms de repartir en mer. Il venait d’accoster dans un port du sud de l’Espagne avec plus de 300 réfugiés fin décembre.
      Renvoyer les embarcations vers la Libye

      « Des barrières se mettent en place à tous les niveaux pour qu’on ne puisse plus retourner dans la zone de sauvetage dans les eaux libyennes », analyse l’activiste française de Sea Watch. Depuis juin 2018, la Libye dispose de son propre Centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage en mer (Cross), un centre de coordination pour les sauvetages maritimes. La mise en place d’un tel centre sur le sol libyen fait partie du plan de la Commission européenne de 2017 pour réduire les flux migratoires en Méditerranée [2]. « La zone de sauvetage où nous naviguons est un carré au nord de Tripoli, vers lequel les courants et les vents emmènent les embarcations qui partent de la capitale libyenne. Avant, le Cross dont dépendait cette zone de navigation était Rome. Nous avions l’obligation de diriger les embarcations en difficulté vers les ports les plus proches du Cross de Rome, donc des ports italiens ou maltais. »

      Avec la création d’un Cross à Tripoli, les embarcations peuvent être renvoyées vers la Libye. Alors même que, depuis début avril, des combats se déroulent, aux abords de Tripoli, entre les forces de l’Armée nationale libyenne autoproclamée du général Haftar, et les milices alliées au gouvernement reconnu par la communauté internationale. « Certains affrontements ont lieu également à proximité des centres de rétention des services de l’immigration à Qasr Ben Gashir et Ain Zara, où quelque 1300 personnes réfugiées et migrantes sont actuellement détenues », rappelle Amnesty International le 8 avril.
      80 000 personnes sauvées en deux ans

      En 2017, l’Union européenne a alloué 46 millions d’euros d’aide aux gardes-frontières et gardes-côtes libyens. En février, la France leur a même offert des navires [3]. L’objectif de ces généreux dons est de maintenir les migrants de l’autre côté de la Méditerranée. Pourtant, un rapport de l’Onu avertissait encore fin 2018 des « horreurs inimaginables » auxquelles sont confrontés les personnes migrantes en Libye. En novembre 2017, un documentaire de CNN montrait comment des migrants y étaient vendus comme esclaves.

      La politique italienne et européenne semble avoir pour priorité d’empêcher les personnes d’arriver sur le sol européen, quel qu’en soit le prix en termes de violation des droits humains, de conséquences humanitaires, et de morts. En 2018, plus de 2200 personnes ont péri en tentant la traversée entre la Libye et l’Italie, mais aussi entre le Maroc et l’Espagne. Au moins 350 sont morts depuis janvier (selon les chiffre du Haut commissariat aux réfugiés de l’Onu, ici). Fin mars, l’Union européenne a décidé de retirer ses bateaux de l’opération Sophia des eaux méditerranéennes (des navires militaires français, italiens, allemands, espagnols ou belges placés sous commandement franco-italien). Même si ce n’était pas leur mission principale – qui était de lutter contre les passeurs –, ces navires avaient secouru environ 45 000 personnes depuis 2015. Sur la seule période allant de 2015 à avril 2017, les différentes ONG de sauvetage en Méditerranée ont de leur côté sauvé plus de 80 000 personnes (voir notre article et ce rapport d’Amnesty de juillet 2017).
      « Nous n’avons plus de bateaux en mer pour le moment »

      « Nous n’avons plus de bateau en mer pour le moment », signale l’activiste de Sea Watch. SOS Méditerranée, qui est à la recherche d’un nouveau navire, non plus. Le Lifeline est toujours bloqué à Malte, le navire de Jugend Rettet en Italie, et celui d’Open Arms en Espagne. Le Mare Jonio opère toujours. Et le navire Alan Kurdi de Sea Eye, une autre organisation allemande, a secouru le 4 avril 64 personnes au large de la Libye. Le gouvernement italien a déclaré qu’il ne le laisserait pas accoster. Il a fallu dix jours, et deux évacuations pour urgences médicales, pour que Malte laisse enfin le Alan Kurdi accoster. La France et l’Allemagne se sont engagés à accueillir une partie des 64 réfugiés.

      Toute l’Italie n’est pas sur la ligne de Salvini. Des maires de gauche s’opposent publiquement à cette politique de fermeture des ports et au décret adopté en novembre qui ampute les droits des exilés. En mars, une manifestation antiraciste a réuni 200 000 personnes dans les rues de Milan. La justice italienne a même ouvert une enquête contre Salvini pour séquestration, pour les 46 réfugiés du Sea Watch à qui il avait refusé le droit de débarquer fin janvier. C’est la deuxième enquête de ce type lancée contre le ministre. La première avait été bloquée par le Sénat italien. En Allemagne, des dizaines de villes se sont déclarées « ports sûrs » ces derniers mois à l’appel de l’association Seebrücke. Ces communes se sont engagées à accueillir des personnes secourues en Méditerranée ou à soutenir les ONG de sauvetage.

      https://www.bastamag.net/Pourquoi-l-extreme-droite-europeenne-a-quasiment-reussi-a-faire-interdire-

    • Migranti sono in pericolo di vita, ma soccorritori italiani e libici non si capiscono: le intercettazioni

      Alle 13.25 del 17 marzo scorso arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve «girare» ai colleghi libici l’sos del gommone in avaria con a bordo 48 migranti in imminente pericolo di vita. Per la legge, al centralino di Tripoli dovrebbe rispondere 24 ore al giorno un ufficiale della guardia costiera locale in grado di parlare l’inglese. Gli italiani impiegheranno quasi due minuti a trovare l’ufficiale e quasi un quarto d’ora a comunicare – chiamando poi un interprete arabo - le coordinate del gommone.

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/migranti-sono-in-pericolo-di-vita-ma-soccorritori-italiani-e-libici-non-si-capiscono-le-intercettazioni/332460/333055
      #gardes-côtes_libyens #vidéo

    • « Salvini répète que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’à #Lampedusa, les migrants arrivent toujours ? »

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont rarissimes mais la route traditionnelle entre la Tunisie et l’île italienne s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal »

      Les deux navires orange et blancs de la « guardia di finanza » n’ont pas bougé de la nuit. Immobiles, ils mouillent toujours à l’entrée du petit port de Lampedusa, qui s’éveille mollement en ce premier jour du mois de mai.

      La lumière printanière est déjà là, mais les cohortes de touristes apportées par les compagnies charter ne sont pas encore arrivées. Bientôt les hôtels seront pleins, et cette île microscopique perdue au milieu de la Méditerranée, à moins de 150 km à l’est des côtes tunisiennes, sera complètement congestionnée. Mais pour quelques jours, les 5 000 habitants sont encore entre eux.

      Il a plu une bonne partie de la nuit, si bien que peu de bateaux sont partis en mer. Du coup, l’activité dans l’anse est particulièrement réduite. A quai, les pêcheurs s’affairent en silence. A vrai dire, rien ne laisserait paraître qu’il s’est passé quelque chose de particulier dans la nuit. Et pourtant…

      A quelques centaines de mètres de là, au pied de la mairie – un bloc de béton sans charme particulier, qui fait figure de centre du bourg –, une petite centaine d’habitants préparent les cérémonies de la fête des travailleurs, tandis qu’une mauvaise sono crache en boucle, à plein volume, des standards de la pop italienne des années 1970-1980. Air un peu fermé, teint buriné et écharpe au vent, le maire de l’île, Salvatore (dit « Toto ») Martello, passe d’un petit groupe à l’autre, discutant avec chacun à voix basse.

      Il s’arrête près de nous et nous confie, comme s’il reprenait une conversation interrompue cinq minutes plus tôt : « On les cherchait partout et ils sont arrivés dans le port hier soir, un peu avant 23 heures, sous la pluie. Vingt personnes à bord, quinze hommes et cinq femmes. On les a immédiatement conduits au centre d’accueil, pour enregistrement ». « Ils », ce sont les migrants partis de Tunisie sur une barque de bois que, durant toute la journée précédente, les maigres moyens de secours subsistant dans la zone avaient recherché avec inquiétude.
      Une situation inconfortable

      On avait suivi leur équipée heure par heure, et, dans l’après-midi, on avait craint le pire pour les occupants de ce gros canot qui semblaient avoir été avalés par la mer. Les avions de reconnaissance avaient multiplié les manœuvres infructueuses, alors que le ciel menaçant compliquait de plus en plus les recherches. Et soudain, au milieu de la nuit, le canot est arrivé à bon port tout seul. Comme par miracle.

      « Vous avez l’air surpris, mais ce genre d’arrivée est très fréquent, assure le maire. Les côtes africaines sont juste à côté, le trajet depuis la Tunisie n’est pas si difficile et les Tunisiens connaissent bien la mer. Seulement, pour l’instant, le gouvernement fait tout pour qu’on n’en parle pas. Vu que [le ministre de l’intérieur] Matteo Salvini répète partout que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’ici, les migrants arrivent toujours ? »

      Natif de l’île et figure historique de la gauche locale, Toto Martello a été réélu à la mairie de Lampedusa – il avait déjà occupé le poste de 1993 à 2002 –, à l’été 2017, après la défaite retentissante de la sortante, Giusi Nicolini, dont l’aura de pasionaria des droits des migrants avait fini par irriter une partie de la population de l’île. Moins militant que ne l’était sa devancière, il reste partisan de l’ouverture des ports, et de l’assistance aux personnes perdues en mer – comment pourrait-il en être autrement quand on est fils de pêcheurs ?

      Aussi l’arrivée au ministère de l’intérieur du dirigeant de la Ligue, Matteo Salvini, en juin 2018 a-t-il placé l’île tout entière dans une situation inconfortable.

      « Mes rapports avec la région Sicile, à laquelle Lampedusa est rattachée, sont très bons. Quand je suis allé à Bruxelles, il y a quelques mois, j’ai été reçu par le président du Parlement Antonio Tajani, le commissaire européen aux migrations Dimitris Avramopoulos et aussi des membres du staff de Federica Mogherini [à la tête de la diplomatie européenne],énumère Toto Martello. Mais quand j’écris au ministère de l’intérieur, il ne répond pas, il n’accuse même pas réception. Comme Salvini ne peut pas changer la situation à Lampedusa, il cherche à nous faire disparaître. Il veut qu’on nous oublie. »
      « Bateaux mères »

      Certes, en comparaison des années précédentes, la pression migratoire à Lampedusa a considérablement décru.

      « Quand je suis arrivé sur l’île, en 2015, il y avait eu 23 000 arrivées enregistrées. En 2016 on était passé à 13 000, puis 9 500 et 2017 et finalement 3 500 en 2018. Le début de l’année a été marqué par une mer très difficile, si bien que le chiffre des arrivées doit être très bas, mais il n’est pas vraiment significatif », explique Alberto Mallardo, représentant de l’ONG Mediterranean Hope, émanation des églises protestantes italiennes, très active sur l’île.
      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR

      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR "LE MONDE"

      Le « hotspot » de Lampedusa, où les migrants doivent être enregistrés avant de partir dans d’autres centres d’accueil, en Sicile ou sur le continent, était naguère plein à craquer. Il tourne désormais au ralenti, et on ne croise plus, comme c’était encore le cas en 2017, de groupes de demandeurs d’asile africains dans les environs de l’église.

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont devenues rarissimes, et c’est plutôt la route traditionnelle entre les côtes tunisiennes et Lampedusa qui s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal ». Mais l’équilibre de cette situation est très fragile, et pourrait être remis en cause en cas d’effondrement de l’actuel gouvernement de Tripoli.

      Par ailleurs, les derniers mois ont vu un certain changement du mode d’arrivée des demandeurs d’asile. Après les grands bateaux contenant plusieurs centaines de migrants, qui ont cessé de venir après 2014, il y avait eu les canots gonflables, qui n’avaient plus pour objectif d’atteindre Lampedusa mais plutôt d’arriver dans les eaux internationales où ils étaient secourus par les navires de l’opération Sophia ou ceux des ONG.

      Ce type de départs s’est tari depuis la mi-2017 et les accords avec la Libye.« Ce qui se développe actuellement, c’est un système dans lequel les migrants sont convoyés par des sortes de “bateaux mères”, détaille Alberto Mallardo. Ces embarcations sont assez importantes, elles peuvent faire le voyage jusqu’à Lampedusa ou la Sicile. Et une fois arrivés à proximité des côtes italiennes, elles débarquent discrètement leurs passagers dans de plus petites embarcations, de dix à douze personnes ». Puis les passeurs s’éloignent.
      « Efficacité de la propagande mise en place par Salvini »

      Observateur des incessantes mutations des routes migratoires, le journaliste Mauro Seminara, qui vit sur l’île depuis le milieu des années 2000, relativise l’importance des changements des derniers mois.

      « Tout cela est très fragile, et peu évoluer à tout moment assure-t-il. Ce qui me frappe, en revanche, c’est l’efficacité de la machine de propagande mise en place par Matteo Salvini. Le 11 avril , un bateau avec 70 migrants est arrivé ici depuis la Tunisie. Le ministère de l’intérieur a affirmé qu’après 24 heures ils avaient tous été renvoyés chez eux, et ici, sur l’île, beaucoup l’ont cru. Alors même qu’on sait bien qu’une moitié est partie assez vite en Sicile, à Porto Empedocle, et que l’autre moitié est restée un temps à Lampedusa… »

      Au-delà de cela, les observateurs de l’activité migratoire en mer savent bien que les « navires fantôme » qui arrivent à Lampedusa ne sont que la partie émergée de l’iceberg.

      En effet, un navire qui arrive à Lampedusa, si petit soit-il, ne pourra pas passer inaperçu. En revanche, si le même débarque sur les côtes siciliennes, il est autrement plus facile de se fondre dans la nature. « Pour un navire qui arrive ici, assure Mauro Seminara, il y en a au moins trois ou quatre qui débarquent quelque part dans la région d’Agrigente, au sud de la Sicile, et dont on ne saura jamais rien. »


      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/a-lampedusa-en-depit-de-ce-que-dit-salvini-les-migrants-arrivent-toujours_54

  • In limine

    #In_Limine est un projet ASGI (Association Etudes Juridiques sur l’Immigration) qui affronte les questions et les thématiques relatives aux politiques de gestion des #frontières, de l’accès à la #procédure_d’asile et la stratégie #Hotspot, dans le but de définir et de structurer – à travers de la recherche et la pratique sur le terrain et l’assistance juridique stratégique – les stratégies de dénonce et de contraste des pratiques dommageables aux libertés et aux droits des citoyens étrangers arrivant en #Italie.

    À partir de Janvier 2019, grâce au soutien de Open Society Foundation, le #projet serait actif avec un groupe d’opérateurs légaux et médiateurs interculturels qui seront présents en Sicile, principalement dans les localités de #Pozzallo, #Trapani, #Caltanissetta e #Lampedusa, pour promouvoir les activités suivantes :
    • La collecte et le monitoring d’informations à travers la relation avec les citoyens étrangers et avec les acteurs publics et privés qui travaillent dans le contexte de frontières ;
    • La présentation de causes stratégiques pour protéger les citoyens étrangers et contester la légitimité des nouvelles règles introduites par le décret-loi 113/2018 converti en L.132 / 2018 devant le tribunal civil, la Cour européenne des droits de l’homme, la Cour de justice de l’Union européenne et à la Cour constitutionnelle ;
    • La collaboration avec d’autres entités concernées par ces questions et avec les avocats spécialisés en droit de l’immigration actifs dans la région, afin de créer et/ou soutenir des réseaux et des groupes d’avocats capables d’intervenir rapidement et efficacement pour combattre les violations des droits des citoyens étrangers ;
    • La promotion des actions de protection et d’assistance juridique afin de mieux protéger les droits et de contraster les conséquences concrètes des politiques publiques sur la qualité des droits.

    Le projet vise également à montrer, par une lecture systématique des règles et de leur relation dynamique avec la société, la véritable nature des politiques de #gestion_des_frontières.

    L’équipe travaillera avec l’aide d’un comité d’experts composé d’une vingtaine d’avocats spécialisés et d’un groupe d’avocats (environ 25 personnes) pouvant intervenir à la demande de l’équipe sur place, afin de protéger les citoyens étrangers en intervenant activement sur les violations constatées.

    La loi n ° 132/2018, qui convertit le décret-loi n ° 113/2018 (soi-disant « décret immigration et sécurité »), a introduit de nombreuses innovations alarmantes. Dans ce scénario et dans cette phase historique, afin de mettre en place une réponse adéquate, il est indispensable de structurer ce projet sous forme d’action progressive et ouverte à la participation d’autres organisations et sujets de la société civile. Pour ceci, le projet In Limine vise à faciliter la création de réseaux et de formes de coopérations qui, en connexion et relations scientifiques et opérationnelles étroites, peuvent conduire à la multiplication d’expériences similaires sur le territoire frontalier, pour une action de contraste plus étendue et constante des politiques de criminalisation des ressortissants étrangers entrant sur le territoire italien.

    Le projet In Limine a connu une phase pilote d’expérimentation de méthodes et de pratiques pour lutter contre les violations des droits des citoyens étrangers sur l’île de Lampedusa entre Mars et Septembre 2018, grâce à la coopération entre ASGI, ActionAid, CILD et IndieWatch.

    Pour plus d’informations, voir les documents produits au cours du projet pilote.

    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Khlaifia_-hotspot-Lampedusa_Progetto-In-limine_ITA-giugno-2018.pdf
    https://cild.eu/wp-content/uploads/2018/07/Documento-SOP_versione-finale.pdf
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/04/2018410_Dossier-Lampedusa-per-sito.pdf
    https://www.radioradicale.it/scheda/557123/limpatto-del-decreto-1132018-cd-immigrazione-sicurezza-sul-funzionamen

    Contacts :
    inlimine@asgi.it
    https://inlimine.asgi.it
    inlimineasgi@pec.it

    https://www.facebook.com/progettoinlimine
    #décret_sécurité #decreto_Salvini #decreto_sicurezza #monitoring #monitorage #observatoire

  • Chèr·es tou·tes,

    j’ai donc fait un peu d’ordre et mis les liens et textes à la bonne place.

    J’essaie de faire une petite #métaliste des listes.

    #métaliste
    #ONG #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #sauvetages

    En général, quelques autres liens à droite et à gauche à retrouver avec les tags #Méditerranée #ONG #sauvetage :
    https://seenthis.net/recherche?recherche=%23ong+%23m%C3%A9diterran%C3%A9e+%23sauvetage

    Et un résumé + vidéos de SOS Méditerranée sur les 5 ans d’atteinte au #droit_maritime :
    https://seenthis.net/messages/780857

    cc @reka @isskein

  • #TERRAFERMA : L’IMPOSSIBILITÉ D’UNE #ÎLE

    https://www.lemonde.fr/cinema/article/2012/03/13/terraferma-l-impossibilite-d-une-ile_1656852_3476.html
    publié le 13/03/2012 à 14h00
    consulté le 03/06/2018

    Dix ans après « Respiro », le #cinéaste_italien revient sur cette île sans nom au sud de la Sicile. La communauté des pêcheurs vole en éclats sous les coups de la raréfaction du poisson, de la multiplication des touristes, des naufrages à répétition d’embarcations chargées d’#immigrants. Si le scénario est un peu démonstratif, #Crialese continue de filmer ce lambeau de terre avec amour, le peuplant de personnages presque mythologiques.
    Si l’on veut une preuve de l’#impuissance_du_cinéma, on prendra l’exemple du sort des immigrants qui, s’ils ne meurent pas en mer, sont détenus, pourchassés, en tentant d’arriver jusqu’en Europe. Voilà plus de dix ans que les réalisateurs s’en sont emparé et la situation n’a guère changé, à moins que l’accoutumance soit un changement.

    Le film d’Emanuele Crialese raconte le sort d’une Africaine échouée sur #Lampedusa, une île au sud de la #Sicile. « Terraferma » met en scène Ernesto, un vieux pêcheur aidé par son petit-fils Filippo depuis la disparition de son fils en mer. La mère de Filippo, Giulietta, ne rêve que d’une chose : quitter l’île. Le pêcheur et son petit-fils, malgré l’interdiction des garde-côtes, recueillent des naufragés clandestins et cachent chez eux une femme enceinte et son petit garçon. Par souci moral plus que politique, le point de vue des insulaires s’efface alors et le récit se concentre sur le sort de cette femme.

    Mon commentaire sur cet article :
    Ce film est-il la preuve, comme l’article nous l’apprend, de « l’impossibilité du cinéma » ? En vérité, Crialese ne cherche pas à apporter ou à imposer des solutions à ce que l’on appelle en Italie la « crise des migrants » : il ne fait qu’entamer une réflexion, non seulement sur la nécessité morale de porter secours aux personnes en danger, sur la tragique condition des immigrants qui, il faut en prendre conscience, risquent leur vie pour rejoindre l’Europe, mais également sur les difficultés rencontrées par cette famille qui se heurte à la loi en voulant aider des clandestins. En effet, la question d’une aide individuelle est épineuse : en effet, sur ce point, les « principes moraux » peuvent entrer en contradiction (c’est souvent le cas) avec la nécessité de la loi, car il est évident qu’un état ne peut se permettre d’accueillir tous les migrants qui débarquent sur le territoire, et encore plus en Italie. D’où la nécessité d’agir directement dans les pays d’où viennent ces migrants afin d’améliorer leur condition pour limiter le nombre de ceux qui tentent de fuir.

  • En Tunisie, l’exil sans fin d’une jeunesse naufragée - Libération
    http://www.liberation.fr/planete/2018/06/04/en-tunisie-l-exil-sans-fin-d-une-jeunesse-naufragee_1656619

    De la région minière de Metlaoui aux îles Kerkennah, d’où ils partent pour Lampedusa, « Libération » a suivi la route qu’empruntent les jeunes Tunisiens sans avenir, celle qu’avaient prise les passagers du bateau qui a sombré samedi en Méditerranée. Sept ans après la révolution, si la dictature a disparu, les espoirs de vie meilleure se sont fracassés, grossissant les rangs des candidats au départ.

    Des dizaines de cadavres ont été engloutis par la #Méditerranée après le naufrage, samedi soir, d’une embarcation au large de l’archipel des Kerkennah. A son bord, entre 180 et 200 personnes, selon les estimations des survivants. Soixante-huit émigrants ont été secourus par la marine tunisienne, et 48 corps sans vie ont été repêchés. Les recherches ont repris lundi avec l’aide de neuf unités navales, un hélicoptère et des plongeurs.Les passagers étaient presque tous tunisiens.

    Sept ans après la révolution, les jeunes fuient leur pays. Depuis le début de l’année, 2 780 Tunisiens ont choisi l’exil clandestin en Italie, selon l’Office international des migrations. Libération a suivi leur parcours entre le bassin minier de #Gafsa et les îles des pêcheurs de #Kerkennah. La route s’étire sur 300 kilomètres, en comptant le crochet par Sidi Bouzid. L’itinéraire barre horizontalement la Tunisie, passant des terres contestataires des « zones intérieures » à la riche cité côtière de Sfax. C’est celui qu’empruntent les chômeurs pour monter dans des bateaux qui rejoignent l’île italienne de #Lampedusa, porte d’entrée de l’Europe.

    A Metlaoui : « Ici, c’est le phosphate ou Lampedusa »

    La terre ne donne rien de végétal, à #Metlaoui. Même les oliviers ont renoncé à s’y accrocher : le sol semble mort, brûlé par un soleil trop grand et un ciel trop bleu. Les hommes, comme les plantes, n’ont pas grand-chose à faire ici. Ils sont pourtant venus fouiller le sol, et ils ont trouvé dans les replis des montagnes nues qui découpent l’horizon de la ville la plus grande richesse du pays, le phosphate. Autour de la Compagnie des phosphates de Gafsa (CPG), a poussé la ville minière, à la fin du XIXe siècle. Aujourd’hui encore, la société étatique gratte chaque année 5 millions de tonnes de cette roche utilisée dans la composition des engrais.

    A la sortie ouest de Metlaoui, en direction de la frontière algérienne, un café sans nom jouxte un garage. Un auvent fournit de l’ombre. Mais en milieu d’après-midi, c’est à l’intérieur de la vaste pièce blanche aux murs nus qu’il fait le plus frais. Au fond de la salle sans fenêtre, cinq hommes attendent sur des chaises en plastique. Ce sont les seuls clients. Les aînés ont des moustaches, les jeunes du gel dans les cheveux. Le plus âgé, Mohamed Atrache, est un employé de la CPG à la retraite. Comme son père, et son grand-père avant lui, embauché en 1917. Quand son fils a été pris à son tour, en janvier, il a pleuré de joie. « Il avait tenté de passer en Europe, explique-t-il. A trois reprises. La première fois, le bateau est tombé en panne. La seconde, il a été arrêté par la police. La troisième, le temps était trop mauvais. »

    « A Metlaoui, le phosphate est le rêve de tous les jeunes. C’est ça ou Lampedusa », résume Ahmed Jedidi, 26 ans, titulaire d’un master de civilisation française. Il y a beaucoup de diplômés comme lui, à Metlaoui. Ahmed a été brièvement arrêté, en 2016, pour avoir pris la tête du mouvement des jeunes chômeurs qui avaient bloqué l’activité de la CPG pour exiger des embauches. La crise a duré deux mois et demi. Pourtant, la CPG recrute. Vorace, elle saute d’un gisement à l’autre, fourrageant dans les montagnes pour expédier ses wagons de cailloux noirs vers la côte. Elle a besoin de bras et de cervelles quand elle découvre un nouveau filon. La société organise alors des concours. En 2016, elle a recruté 1 700 techniciens. L’an dernier, 1 700 ouvriers non-qualifiés. C’est un pacte tacite : la compagnie doit nourrir la ville, sans quoi la ville mord la compagnie. Au total, depuis la révolution de décembre 2010, le nombre d’employés a été multiplié par trois, alors que sa production s’est effondrée. La CPG est devenue une soupape sociale pour éviter l’explosion de cette région contestataire.

    Khams Fajraoui, 21 ans, a échoué au concours de janvier. Il est le seul à rester muet autour de la table du café, il ne parle pas le français. Il a une crête sur la tête, des chaussettes dans des claquettes, et un regard fixe. Il est le benjamin d’une famille de cinq frères et sœurs, tous au chômage. Son père est décédé il y a cinq ans. Il fait les moissons, là où le blé pousse, plus au nord. Hors saison, il gagne 10 à 15 dinars (3 à 5 euros) trois fois par semaine en chargeant et déchargeant les camions du souk de Metlaoui. Il ne partira pas en Europe car « ses oncles et ses tantes lui ont demandé de rester ». Il veut un travail, « n’importe lequel ».

    « Ma femme ne m’a rien dit quand il est parti »

    Saïd Bkhairya avait aussi défendu à son fils d’émigrer. Un jour, en son absence, Koubaib, 17 ans, est parti quand même. Il faut passer sous l’ancien tapis roulant qui acheminait le phosphate vers la ville pour arriver chez Saïd. Ce cordon ombilical qui relie la mine à Metlaoui est comme une guirlande de tôle suspendue au-dessus de son quartier. Dans la cour de sa maison fatiguée, il a planté un citronnier. Black, le chien de Koubaib, est attaché derrière le poulailler. « Ma femme ne m’a rien dit quand il est parti. Elle avait peur de ma réaction », dit Saïd. Elle est assise à côté de lui sur le canapé. La mère a dans la main le smartphone qu’elle a acheté pour communiquer avec Koubaib sur Skype. Sa vue est mauvaise, elle doit approcher le visage tout près de l’écran pour appeler son fils. La conversation dure quelques secondes, deux ou trois phrases. « Il est fatigué, il couche dehors, explique-t-elle. Il ne fait rien, il demande de l’argent. »

    Saïd a déjà deux crédits à rembourser. Il envoie irrégulièrement des petites sommes à Koubaib, qui vivrait à Mestre, près de Venise. « Je m’en fous. Dès que j’aurai amassé assez, moi aussi, un jour, je partirai », assure Wael Osaifi, un cousin de Koubaib, après que son oncle a quitté la pièce. Il a été blessé il y a cinq ans dans un accident de voiture au terme d’une course-poursuite avec la police. Wael passait de l’essence de contrebande depuis l’Algérie. « Il y a un type qui organise les départs, il est très discret. C’est une mafia. Les prix ont augmenté. C’était 3 000 dinars, maintenant c’est 5 000 [environ 1 630 euros]. J’ai des amis en Italie, certains travaillent, certains trafiquent. » A Metlaoui, il boit parfois des bières avec des amis dans une maison abandonnée. « On n’a rien d’autre à faire. Les prix sont devenus invivables. Avec Ben Ali [le dictateur renversé par la révolution, ndlr], on avait une meilleure vie, lâche-t-il. Le paquet de cigarettes Royale valait 3,5 dinars, aujourd’hui c’est 5,5 dinars… » Koubaib a quitté Metaloui il y a dix mois, en même temps qu’un groupe de 18 jeunes de la ville. « Pour certaines familles, c’est un investissement », regrette Saïd. Sur les photos que le fils envoie depuis l’Italie, il a l’air très jeune. Il ressemble beaucoup à son petit frère, qui sert le jus de mangue aux invités. Sur les images plus anciennes, Koubaib pose souvent avec son chien. Dehors, Black aboie de temps en temps depuis qu’il est parti.

    A Gafsa : « Un travail légal, c’est une question de dignité »

    Leur énergie a quelque chose de déconcertant dans une ville comme Gafsa. On ne devine pas, en passant devant cette rue morne de la « capitale » régionale, qui affiche un taux de chômage à 26 % (plus de 40 % pour les jeunes diplômés), qu’un tel tourbillon d’activité agite le second étage de cet immeuble de la cité Ennour. Sirine, Nejma, Abir et Khora, une Française en stage, font visiter le local de leur association, Mashhed. Elles ont entre 19 ans et 23 ans. « Les séminaires ou les concours de jeunes talents, ce n’est pas notre truc, annonce Sirine, longs cheveux noirs et chemise rayée. Notre finalité, c’est la transformation sociale. On ne fait pas de l’art pour l’art. On ne veut pas non plus "sensibiliser". On fait, c’est tout ! Des poubelles dans la rue, des projections de cinéma, des lectures, des journaux, des festivals, du montage, des jeux, des manifestations… »

    Chacune a une clé du local. Elles passent à Mashhed le plus clair de leur temps. S’y engueulent, s’y échappent, s’y construisent. L’association compte 70 membres actifs et 300 adhérents. Les garçons sont les bienvenus, mais ce sont de toute évidence les filles qui mènent la danse. Les filles, elles, n’embarquent pas pour l’Europe.

    Sirine : « Mon petit frère a voulu partir, ça a choqué mes parents, on a essayé de lui faire entendre raison. »

    Abir : « C’est la faute d’un manque de communication dans les familles. Les gars ne trouvent personne avec qui partager leurs soucis. »

    Najla : « La France, ce n’est pourtant pas le paradis ! La fuite, c’est débile. Moi, je pense qu’on peut faire en sorte d’être heureux là où on est. C’est dans la tête, le bonheur. »

    Abir : « Ce n’est pas que dans la tête ! Il n’y a pas de travail. Tu sais combien c’est, un salaire de serveur, aujourd’hui ? »

    Khora : « Justement, je ne pige pas comment vous faites pour sortir et faire des festins tout le temps, alors que vous êtes au chômage ! Moi, quand je suis chômeuse, je reste chez moi à manger des pâtes. »

    Najla (en riant) : « C’est la solidarité arabe. Toi, tu ne connais pas ça ! »

    La nuit tombe vite sur Gafsa. A 22 heures, la ville s’éteint presque complètement. A la terrasse du café Ali Baba, désert, deux hommes fument dans le noir. Le gérant de l’établissement et son ami. Ils parlent de la révolution. Quand on leur demande leur avis sur la chose, Abdeslam, 28 ans, demande s’il peut répondre en anglais. « Notre déception est immense, parce que l’espoir qu’avait suscité la chute de Ben Ali était immense, explique-t-il. On ne sait pas qu’un café est amer tant qu’on n’a pas goûté un café sucré. Maintenant, on sait. »

    Il a voulu étudier le droit, s’est inscrit à l’université de #Sousse, sur la côte. Mais n’a jamais achevé sa formation, bouffé par les petits boulots qu’il effectuait pour payer ses études. Aujourd’hui, il travaille de temps en temps sur un chantier de bâtiment. « Des docteurs qui construisent des immeubles, c’est ça, la Tunisie », poursuit-il. Au fil de la discussion, le débit d’Abdeslam s’accélère. Son ami s’est levé pour ranger les tables. « Je ne veux pas partir sur la mer, je m’y refuse et puis j’ai peur. Je veux une vie adaptée, c’est tout. Je me fiche d’avoir une belle maison et une grosse voiture. Un travail légal, c’est tout ce que je demande, c’est une question de dignité. » Sa voix tremble dans le noir. Les cigarettes s’enchaînent.

    On ne pose plus de questions depuis longtemps, mais la détresse pousse Abdeslam à parler encore, de plus en plus vite. « A l’école, j’étais bon en philosophie. Je lis encore Kant, Spinoza, Heidegger, Sartre… Pourtant, cette société me méprise. Gafsa enrichit l’Etat, mais l’Etat nous crache dessus », conclut-il. Sa vieille mobylette est garée toute seule dans la rue vide. Il l’enfourche, plié en deux, pour aller dormir chez ses parents. Le gérant a fini de balayer, il tire le rideau de fer.

    A Bir el Haffey : « Aujourd’hui, le tourisme s’est effondré »

    Sur la route qui relie Gafsa à Sidi Bouzid, les voyageurs imaginent souvent être témoins d’un mirage. Au bord de la chaussée, des fourrures brillent au soleil, exposées dans toute leur splendeur. Du castor, du poulain, de l’ours, du lapin, du léopard… Cette panoplie appartient à un commerçant, d’un naturel méfiant. « Depuis la révolution, il y a des espions de la CIA et du Mossad partout, croit-il savoir. Il y a quinze ans, je cherchais des tours de cou, on m’a refilé un grand sac avec des manteaux à poils. J’ai commencé comme ça », dit-il pour justifier son activité insolite. Qui peut bien acheter ces fourrures à l’orée du Sahara ? « Détrompez-vous, les gens s’arrêtent. Avant, j’avais des Canadiens, des Allemands, les guides me les ramenaient. Aujourd’hui, le tourisme s’est effondré. J’ai tout de même de temps en temps des Algériens ou des Libyens. »

    A Sidi Bouzid : « Ils font ça juste pour avoir l’air beau »

    Dans son bureau, flotte un mélange de sueur et de parfum. Zeinobi Khouloud, 28 ans, gère une salle de sport, l’une des rares activités offertes aux jeunes de Sidi Bouzid. Derrière elle, des gants de boxe et des boîtes de protéines sont exposés sur l’étagère. Son père a ouvert le club, Abidal’s Gym, il y a deux ans, au rez-de-chaussée d’un immeuble dont les étages supérieurs ne sont pas terminés. La famille est rentrée d’Arabie Saoudite après la révolution, mais s’est à nouveau éparpillée pour faire des affaires. Zeinobi, elle, est restée dans la petite ville du centre de la Tunisie, connue dans le monde entier depuis qu’un vendeur de légumes du nom de Mohamed Bouazizi s’y est immolé, le 17 décembre 2010, pour protester contre la confiscation de sa charrette par la police. Son geste désespéré a été le point de départ d’une révolution qui a emporté le dictateur Ben Ali, avant de déborder dans tout le monde arabe.

    Sept ans plus tard, le visage géant de Bouazizi s’affiche en noir et blanc sur la façade d’un bâtiment municipal. Sa charrette emblématique a maladroitement été statufiée sur un terre-plein central. Mais même ici, les jeunes disent être déçus par les fruits du printemps tunisien. « Le chômage est toujours là, les jeunes n’ont rien à faire, c’est pour ça qu’ils viennent ici, décrit Zeinobi. Leurs parents les poussent à venir à la salle pour qu’ils ne traînent pas dans la rue toute la journée. Ils oublient leurs problèmes en faisant du sport. » Dans la salle, on croise des adolescents à lunettes avec des muscles de personnages de jeu vidéo. La plupart ont les cheveux rasés sur les côtés. Abidal’s Gym propose des cours de taekwondo, de muay-thaï, d’aérobic, de kick-boxing, mais ce sont avant tout les appareils de musculation, « importés d’Espagne », qui attirent les jeunes à 30 kilomètres à la ronde. « Ils font ça juste pour avoir l’air beau », se moque Zeinobi. Parmi les 900 clients, quelques femmes, « surtout l’été », précise-t-elle. « Les femmes ont beaucoup de responsabilité dans notre région, elles n’ont pas de temps libre. »

    Sur la route de Regueb : « 3 euros le kilo avant, 8 maintenant »

    La route est encadrée par les figuiers de barbarie de trois mètres de haut, dans lesquels viennent se ficher de loin en loin des sacs en plastique échappés des décharges à ciel ouvert.

    Dans un champ, un âne détale après avoir arraché le piquet qui le retenait prisonnier. Il s’éloigne en direction des collines pelées comme les bosses d’un chameau. Ce sont les derniers reliefs à franchir avant de basculer définitivement dans la plaine de Sfax, à l’est du pays. Sur leurs flancs, des restes de minuscules terrasses en pierre sèche, que plus personne n’est assez fou ou courageux pour cultiver désormais. Il reste uniquement des bergers dans cette vallée. Les plus vieux sont toujours bien habillés, en pantalons de ville et en vestes sobres. Leur mouton, au goût particulier, est réputé dans toute la Tunisie. Mais son prix a augmenté, passant de « 3 euros le kilo avant la révolution à 8 euros maintenant », reconnaît un vendeur de viande grillée installé au bord de la route. La raison en est simple : le prix des aliments pour le bétail a flambé depuis 2011, explique-t-il.

    A Regueb : « Notre seul loisir : aller au café »

    Nabil, 35 ans, mâchouille l’embout en plastique de sa chicha. Il recrache la fumée entre ses dents jaunies en fixant une partie de billard : « C’est tranquille, Regueb. Trop tranquille. Notre seul loisir, c’est d’aller au café. » Son ami Aymen, 25 ans, a ouvert cette salle de jeu il y a deux ans. En plus de la table de billard, il a installé neuf ordinateurs, deux PlayStation, un baby-foot. Investissement total : 2 600 euros. L’affaire ne marche pas : « Les jeunes jouent sur leurs téléphones. » Aymen va revendre, ou fermer. L’an prochain, de toute manière, il doit effectuer son service militaire.

    « Je voulais créer une petite unité de fabrication d’aliments pour le bétail, mais il fallait des papiers, et pour avoir ces papiers, on me demandait de l’argent, ressasse Nabil. L’administration est corrompue, j’ai dû renoncer. » Il vit chez ses parents, avec sa femme. Lui a pu se marier, mais « c’est rare, parce que c’est compliqué, sans travail », avoue-t-il.

    A Sfax : « Ici, les gens respectent le travail »

    Les industries de #Sfax signalent la ville de loin. La deuxième ville du pays est aussi son poumon économique. Les arbres d’ornementation sont étrangement taillés au carré, les rues sont propres, l’activité commerciale incessante dans la journée. La richesse des Sfaxiens est proverbiale, en Tunisie. Pourtant, Mounir Kachlouf, 50 ans, avoue qu’on s’y ennuie aussi. « Où tu vas sortir, ici ? Même moi, le week-end, je vais à Sousse ou à Hammamet ! » Il est le gérant du café-restaurant Mc Doner, installé le long de la petite promenade de Sfax, qui se vide de ses promeneurs au crépuscule. « Depuis 2002, on nous promet un port de plaisance, une zone touristique, mais on ne voit rien venir », dit-il. Le patron a même une théorie sur les raisons de cet échec : « Les Sfaxiens ont de l’argent. La Tunisie a besoin qu’ils le dépensent ailleurs pour faire tourner l’économie. S’ils développaient Sfax, les gens n’auraient plus besoin de sortir ! »

    Un groupe de six jeunes femmes pressées longe la corniche, valises à roulettes sur les talons. Elles rentrent de vacances. Le lendemain, elles reprendront toutes le travail. L’une est « technicienne d’esthétique et coach personnel », les autres sont vendeuses de tissu de haute couture dans une boutique de la médina. « Nous, les Sfaxiens, on est comme les Chinois, on travaille tout le temps, surtout les femmes, s’amuse Yorshelly. C’est bien pour l’économie, mais ça rend la ville fatigante, polluée, embouteillée. Il y a du travail ici, enfin, surtout pour les non-diplômés. » Aucune d’entre elles n’est mariée. « Il y a un gros problème de "racisme" chez les familles sfaxiennes, glisse Marwa. Les parents veulent que l’on épouse un Sfaxien. Nous, honnêtement, on s’en fiche. »

    Un homme a tendu l’oreille, inquiet qu’on dise du mal de sa ville dans un journal français. Il insiste pour témoigner lui aussi. « Je m’appelle Mahdi, j’ai 31 ans, je suis électricien, j’aime mon pays, je vis à Sfax car ici, les gens respectent le travail, dit-il, énervé. Les jeunes veulent de l’argent facile. Je les vois rester au café toute la journée. Je leur dis : "Venez bosser avec moi, il y a de quoi faire." Mais ils préfèrent être assis à boire et fumer ! »

    A Kerkennah : « La traversée est 100 % garantie »

    C’est l’île des départs. D’ici, près de 2 700 Tunisiens ont pris la mer depuis le début de l’année pour gagner Lampedusa, à 140 kilomètres en direction du Nord-Est. En 2017, ils étaient plus de 6 000. En 2018, ils représentent le plus important contingent de migrants arrivés en Italie, devant les Erythréens et les Nigérians. La traversée dure une nuit. Contrairement à une idée reçue, les émigrants ne montent pas sur des canots pneumatiques ou des barques vermoulues, comme en Libye voisine. A Kerkennah, les #passeurs comme les passés sont tunisiens. Un lien social les attache malgré tout, on ne risque pas des vies de compatriotes à la légère. « La traversée est 100 % garantie, c’est comme un aéroport », décrivait Ahmed Souissi, 30 ans, coordinateur de l’Union des diplômés chômeurs, quelques semaines avant le naufrage d’une embarcation surchargée le week-end dernier, au cours duquel plus de cinquante migrants sont morts noyés. « Les émigrants partent sur des bateaux de pêche qui ont été au préalable dépouillés de tous leurs accessoires. Quand on voit un bateau nu, on sait qu’il va y avoir un départ. »

    Il faut traverser les marais salants du centre de l’île, puis les grandes étendues vides piquées de tristes palmiers sans palmes (elles sont utilisées dans la fabrication des pêcheries fixes au large de Kerkennah) pour trouver la route du chantier, installé dans une ferme derrière le village de Chergui. Une dizaine de squelettes de navires flottent dans le ciel, au-dessus des copeaux de bois. Les charpentes sont en bois d’eucalyptus. Certaines sont déjà coloriées en rouge ou en bleu. Un peintre dont la blouse ressemble à une toile de Pollock désigne du bout de son pinceau la seule embarcation toute noire : « C’est le bateau utilisé par [le futur président] Bourguiba pour fuir en Egypte pendant la période coloniale, explique-t-il. Quelqu’un y a mis le feu il y a trois ans. On travaille à sa restauration. »

    Mohamed et Karim s’affairent sur le bâtiment le plus avancé du chantier. Ils sont tourneur soudeur et chaudronnier, et s’occupent de toute la partie métallique : armatures, bastingage, proue, etc. « Les migrants partent sur des 12-mètres comme celui-là, dit le premier, sans s’arrêter de souder. Il y a tellement de chômage que la police ferme les yeux. » Pollution des eaux, dégradation des fonds marins, réchauffement : « Les pêcheurs ont de moins en moins de poissons depuis deux ou trois ans, ils ont besoin d’un revenu, complète le second. Certains vendent leur bateau, des passeurs les remplissent avec 100, 120 jeunes, et les mènent à Lampedusa. Les bateaux restent là-bas. »

    Le leur est une commande de Boulababa Souissi. Le capitaine est dans sa cabine, la buvette improvisée du chantier, une canette de bière à la main. « Dans cinq jours, à ce rythme-là, c’est fini, savoure-t-il, l’œil guilleret. J’ai fait venir un moteur d’occasion d’Italie. Je vais enfin retourner pêcher. » Il baptisera son chalutier Oujden, le prénom de sa fille. Coût : 50 000 euros. Le précédent va-t-il continuer à naviguer ? « Il ne remontera plus de poisson », lâche le capitaine.

    Les visiteurs débarquent à Kerkennah, 15 500 habitants, par un ferry arrivant de Sfax. Puis, une route remonte l’archipel du Sud au Nord. La simplicité des maisons - des agrégats de cubes blancs - leur donne un air moderne. Des constructions, ou des agrandissements, sont souvent en cours. « C’est l’argent des harragas », ricane une femme, en passant devant un portail refait à neuf. Les « harragas », « ceux qui brûlent » en arabe, est le terme utilisé pour désigner les clandestins. « Ils ne se cachent même plus, comme au début. Dans une petite île où tout le monde se connaît, on les repère tout de suite, indique Ahmed Souissi. Pour la police, c’est difficile de contrôler les ports de Kerkennah. Les bateaux peuvent sortir de n’importe quelle ville ou plage. D’ailleurs, tout le monde les voit. » Ne sont-ils pas arrêtés ? « Les flics arrivent trop tard. Ou n’arrivent jamais. Pourtant, ça ne demande pas beaucoup d’intelligence de savoir qui organise les passages, dit l’activiste. Mais l’État n’est pas pressé de voir la fin des subventions européennes au titre de la lutte anti-immigration. Et puis, je crois que ça arrange tout le monde que les jeunes chômeurs sortent de Tunisie. »

    Tout au bout de la route, il y a le port de Kraten. En direction du Nord, quelques îlots plats, rocailleux, taches claires dans la mer sombre, sans vague. Les derniers mètres carrés solides de Tunisie. En cette fin de matinée, les pêcheurs démêlent et plient les filets, au soleil. Les camionnettes frigorifiques des acheteurs sont déjà reparties, à moitié vides. Sur le ponton, on marche sur des carcasses de crabes bruns qui craquent sous les chaussures. Les Tunisiens ont surnommé cette espèce « Daech ». « Ils sont arrivés d’Egypte il y a quelques années, et ils remontent le long de la côte, commente un marin, l’air dégoûté. Ils mettent les pêcheurs sur la paille : ils coupent les filets, ils bouffent le poisson ! Si ça continue, ils vont débarquer en Europe. La pêche n’est plus rentable. » Lui est là pour aider son père ce dimanche, mais en semaine il occupe un emploi de professeur de sport à Sfax.

    Au petit café de la jetée, le patron moustachu sert l’expresso le plus serré de Tunisie en bougonnant. Il jure qu’aucun bateau ne part de « son » port. « Les jeunes, ils peuvent aller se faire foutre, ils ne pensent qu’à l’argent. » Contre le mur, un pêcheur de 55 ans, « dont trente-quatre en mer », pull rouge et bonnet bleu, philosophe : « Cette révolution était un don. Elle nous a montré qu’on peut régler nous-mêmes nos problèmes, on doit garder ça en tête. Ce crabe Daech, par exemple, on ne doit pas le détester, Dieu nous a envoyé cette satanée bête pour qu’on corrige nos façons de pêcher. On me regarde comme un vieux fou quand je critique les collègues qui pêchent au chalut en ravageant les fonds, mais ce sont eux qui ont fait disparaître les prédateurs des crabes », assène Neiji.

    Son français est chantant. Il fait durer son café. « Les jeunes qui partent, c’est aussi naturel, reprend-il. Sans cela, ils rejoindraient peut-être le vrai Daech, qui sait ? C’est la logique humaine d’aller tenter sa chance. Moi, si je n’avais pas une femme et trois filles, je crois que j’aurais aussi filé. » Neiji tire sur sa cigarette en aspirant la fumée très lentement, avant d’expirer sans bruit. « Ce va-et-vient, c’est la vie. Les pêcheurs sont des gens intelligents, il faut me croire. »
    Célian Macé

    Très bon reportage, avec photos dans l’article source. La fin de l’article avec les propos du pêcheur, est à méditer.

    #chômage #tunisie #émigration #jeunesse #Afrique

  • Anti-Torture Committee calls for a co-ordinated European approach to address mass migratory arrivals in Italy

    The European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (#CPT) published today a report on an ad hoc visit conducted in Italy to examine the situation of foreign nationals deprived of their liberty in the so-called “hotspots” and immigration detention centres, in a context of large-scale arrivals from North Africa. The CPT recognises the significant challenges faced by the Italian authorities regarding the influx of new arrivals by sea. It also acknowledges the substantial efforts in carrying out rescue operations and in providing shelter and support to the hundreds of thousands of refugees, asylum seekers and migrants currently present in the country. In this framework, the CPT recalls the need for a co-ordinated European approach and support system to address the phenomenon of mass migratory arrivals.

    CPT’s delegation visited the “hotspots” in #Lampedusa, #Pozzallo and in #Trapani (#Milo), as well as a mobile “hotspot” unit at #Augusta ’s port. Further, it was able to observe a disembarkation procedure at Trapani’s harbour. The Council of Europe experts also visited the closed removal centres (Centri di Permanenza per i Rimpatri, CPRs) in #Caltanissetta, #Ponte_Galeria (#Rome) and #Turin, as well as holding facilities at #Rome Fiumicino’s Airport.

    https://www.coe.int/en/web/portal/-/anti-torture-committee-calls-for-a-co-ordinated-european-approach-to-address-ma
    #hotspots #Italie #asile #migrations #réfugiés #rapport #mobile_hotspots #hotsports_mobiles #port #débarquement #CPR (ex #CIE) #détention_administrative #rétention #aéroport #santé

    Lien vers le rapport:


    https://rm.coe.int/16807b6d56

  • Une #vidéo qui date de 2013, mais que je vais mettre ici pour archivage.

    #Lampedusa No Finger Print

    A Lampedusa da qualche settimana si sono verificate manifestazioni dei migranti sotto lo slogan «#No_finger_print by force. World help us» ribadendo di non volere lasciare le impronte digitali in modo da poter richiedere lo status di rifugiato in altri paesi. I profughi hanno manifestato per le vie principali dell’isola fino alla cala Guitgia tra i bagnanti , poi ritornati in centro hanno pregato nella piazza di fronte alla chiesa che era chiusa. Alcuni Lampedusani preoccupati per la stagione estiva lamentano inefficienza delle istituzioni nel gestire il fenomeno.

    https://www.youtube.com/watch?v=JFu0h8CYfUM&feature=youtu.be


    #résistance #no_finger_prints #empreintes_digitales #dublin #asile #migrations #réfugiés #eurodac #manifestation

  • Liberties | Fermeture “temporaire” du hotspot de Lampedusa suite à l’intervention d’ONG
    https://asile.ch/2018/03/16/liberties-fermeture-temporaire-hotspot-de-lampedusa-suite-a-lintervention-dong

    A la suite de mouvements de protestation au sein du centre d’accueil de Lampedusa, une délégation de trois organisations de droits humains a dénoncé des violations systématiques des droits de l’homme au sein du hotspot. Mardi 13 mars 2018, le ministère de l’Intérieur italien a annoncé la fermeture temporaire du hotspot de Lampedusa pour rénovations. […]

    • In un dossier la vita impossibile nell’hotspot di Lampedusa

      Ai primi di aprile, dopo il salvataggio di quasi 300 persone in mare, 72 tunisini hanno dovuto trascorrere la notte in quello che fino a poco tempo fa era l’hotspot di Lampedusa. Eppure, dell’hospot era stata annunciata da poco la chiusura temporanea - per una “ristrutturazione” con cui il Ministero dell’Interno aveva dovuto rispondere a pesanti denunce. Ora, con testimonianze, interviste e fotografie raccolte durante alcuni sopralluoghi, il dossier presentato a Roma il 10 aprile da Asgi, Cild e Indie Watch dimostra le innumerevoli ragioni di preoccupazione sul trattamento disumano riservato a chi arriva nella struttura di Lampedusa.

      http://openmigration.org/analisi/in-un-dossier-la-vita-impossibile-nellhotspot-di-lampedusa

    • Rapporto: «Scenari di frontiera: il caso Lampedusa. L’approccio hotspot e le sue possibili evoluzioni alla luce del Decreto legge n. 113/2018»

      Trattenimenti informali e limitazione della libertà personale, condizioni materiali problematiche, scarsa informazione su status legale e accesso alla procedura di protezione internazionale, differenziazione arbitraria tra richiedenti asilo e cosiddetti migranti economici, applicazione parziale delle garanzie a tutela dei minori.

      È quanto emerge dal monitoraggio dell’hotspot di Lampedusa realizzato nell’ambito del progetto pilota In Limine, nato nel marzo 2018 da una collaborazione che portiamo avanti con Asgi, Cild e Indiewatch, presentato nel report “Scenari di frontiera: l’approccio hotspot e le sue possibili evoluzioni alla luce del caso Lampedusa”.

      Un quadro che desta ancora più preoccupazione dopo l’approvazione del Decreto 113/2018 cosiddetto “Sicurezza e immigrazione”, che disciplina per legge alcune delle prassi illegittime riscontrate, con il rischio di compromettere, in modo ancor più generalizzato, l’esercizio del diritto di asilo.

      Nel corso del progetto sono state registrate - attraverso circa 60 interviste con i migranti, colloqui con associazioni, organizzazioni internazionali e istituzioni attive sull’isola e attraverso l’osservazione diretta - significative violazioni della normativa vigente.

      Dal rapporto emergono poi violazioni molto rilevanti in tema di limitazione delle libertà personali e risulta che i cittadini stranieri non vengono correttamente informati sulla propria posizione, sul proprio status legale e sulla possibilità di richiedere protezione, diversamente da quanto previsto dalla legge.

      Per quanto riguarda la classificazione dei migranti, il rapporto evidenzia che in molti casi lo status giuridico di richiedente asilo o di persona destinataria di provvedimento di respingimento sembra essere definito, contrariamente a quanto previsto nella normativa italiana e comunitaria, unicamente in ragione del paese di origine.

      Infine, il monitoraggio ha messo in luce come all’interno degli hotspot non verrebbero applicate o verrebbero applicate solo parzialmente le garanzie previste dalla normativa per la tutela dei minori anche per ciò che riguarda, ad esempio, il diritto all’unità familiare e al ricongiungimento, la nomina di un tutore che svolga un ruolo effettivo, il diritto ad essere collocati in una struttura idonea ad accogliere e tutelare i minori.

      In Limine ha messo a punto e utilizzato diversi strumenti per raggiungere obiettivi differenti: contrastare le prassi illegittime e produrre un cambiamento strutturale nell’accesso dei migranti ai diritti in frontiera. Con questo obiettivo sono stati presentati ricorsi, esposti, segnalazioni e si è data diffusione immediata alle informazioni raccolte sulle gravi violazioni rilevate. Inoltre, il progetto ha voluto esercitare una pressione costante sulle autorità attraverso il monitoraggio e la presa in carico dei migranti al fine di vigilare sull’attuazione di prassi corrette e per garantire un intervento immediato ove si fossero rilevate violazioni.

      Tutto questo appare più preoccupante dopo l’approvazione del Decreto Sicurezza (Dl 113/2018), che in sostanza disciplina diverse prassi illegittime osservate a Lampedusa e negli altri hotspot.

      Alcune norme sembrano infatti destinate a ridefinire il funzionamento degli hotspot e tre profili in particolare – trattenimento fino a 30 giorni per la determinazione e verifica dell’identità e della cittadinanza per i richiedenti asilo (a cui si sommano altri 180 giorni in un CPR in caso di mancata identificazione), applicazione accelerata e in frontiera delle procedure di valutazione della domanda di asilo, trattenimento in luoghi cosiddetti impropri dei cittadini stranieri destinatari dei provvedimenti di espulsione – suggeriscono un possibile sviluppo su larga scala della limitazione all’esercizio del diritto di asilo.

      Il recente Decreto dunque, se non sarà oggetto di modifica parlamentare, rende ancora più urgente la necessità che le procedure che si svolgono all’interno degli hotspot siano rese visibili e trasparenti, con l’obiettivo di ridurre abusi e violazioni dei diritti delle persone.

      Per questo, insieme alle altre organizzazioni che insieme a noi hanno dato vita al progetto In Limine, intensificheremo il nostro impegno, aumentando anche il raggio di azione per monitorare gli effetti delle nuove norme.

      https://www.actionaid.it/informati/notizie/decreto-sicurezza-effetti-su-hotspot
      #decreto_salvini

  • ITALIE ISOLÉE DANS LA TEMPÊTE MIGRATOIRE
    Article de JÉRÔME GAUTHERET

    Sur les 600 000 migrants arrivés en Italie depuis 2014, la plupart ont traversé la #Méditerranée. Des milliers d’autres y ont péri. L’île de #Lampedusa, avant-poste de l’accueil, est débordée par cette crise humanitaire fortement liée au chaos qui règne en #Libye.

    On rejoint le jardin public en poussant les portes d’une grille qui ne ferme plus depuis longtemps. Puis, après une courte promenade au milieu des agaves et des myrtes, on arrive à un étrange réseau de grottes sommairement aménagées à proximité d’un vieux puits. L’endroit est à peine mentionné par les guides de voyage, mais il mérite qu’on s’y arrête : en effet, le vrai cœur de Lampedusa est là, en ces vestiges
    à peine entretenus d’un sanctuaire millénaire, témoignage unique de ce qu’était l’île avant sa colonisation systématique, au début du XIXe siècle.

    LAMPEDUSA, UNE ÎLE AU CENTRE DU MONDE

    Avant de devenir un paradis touristique perdu au milieu de la Méditerranée, à 150 kilomètres des côtes tunisiennes, en même temps que, pour le monde entier, le symbole de l’odyssée des centaines de milliers de migrants qui, chaque année, bravent tous les dangers pour atteindre l’Europe, Lampedusa a été un havre, un lieu de repos pour les marins de toutes origines qui sillonnaient la mer.

    Marchands phéniciens, arabes ou grecs, chevaliers francs revenant de croisade, pirates barbaresques, pêcheurs en détresse : Lampedusa était leur île. Elle appartenait à tous et à personne. Chacun, du roi de France revenant de Terre sainte au plus humble pêcheur, venait s’abriter ici durant les tempêtes, prier ses dieux et reprendre des forces, en attendant l’accalmie. Aujourd’hui, une chapelle dédiée à
    la Vierge a été aménagée dans la pierre, à deux pas de la grotte, et les habitants viennent, de loin en loin, y déposer quelques fleurs ou prier, dans un calme absolu.

    La " porte de l’Europe ", pour reprendre le nom d’une œuvre d’art installée sur une plage faisant face à l’infini, à la pointe sud de Lampedusa, peut bien être présentée comme une des extrémités de l’Union européenne, un bout du monde exotique. Mais, dès que l’on pose le pied sur l’île, on est assailli par le sentiment inverse : celui d’être au centre d’un espace fluide, au sein duquel les populations ont navigué de rive en rive, depuis toujours. L’impression est encore plus
    saisissante lorsqu’on observe, grossièrement sculptées dans la roche, les traces de ce passé enfoui.

    L’homme qui nous conduit dans ce sanctuaire, un matin d’hiver, s’appelle Pietro Bartolo. Il est né sur l’île en 1956, il en est parti à 13 ans et y est revenu au milieu des années 1980, une fois achevées ses études de médecine. C’est lui qui a fondé, un peu à l’écart du bourg, le petit hôpital qui, aujourd’hui encore, constitue le seul lieu d’assistance, sur terre comme sur mer, à plus de 100 milles nautiques (185 km) à la ronde.

    En tant que directeur de l’#hôpital de Lampedusa, il a accueilli, ces dernières années, des dizaines de milliers de candidats à l’exil sur le quai minuscule qui tient lieu de débarcadère, et les a soignés. Il a aussi eu la terrible responsabilité d’ouvrir, du même geste, des centaines et des centaines de ces grands sacs verts dans lesquels on
    ramène à terre les corps des naufragés. Un film documentaire sorti en 2016, nominé pour l’Oscar, Fuocoammare. Par-delà Lampedusa, dans lequel il jouait son propre rôle, lui a valu une notoriété internationale. A sa manière, lui aussi est devenu un symbole.

    Comme c’est courant ici, l’histoire familiale de Pietro Bartolo est africaine autant qu’italienne. A l’exemple de ces milliers de Siciliens poussés par la misère qui, pendant des décennies, ont pris la mer en sens inverse des migrants d’aujourd’hui pour chercher du travail dans les colonies et protectorats d’Afrique du Nord, la famille de sa mère s’était installée un temps en Tunisie. Cette multitude d’odyssées ordinaires, dont le souvenir est entretenu par les histoires familiales, explique une bonne part des différences de perception du phénomène migratoire entre le nord et le sud de l’Italie.

    LE TEMPS DES " TURCS "

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, #Pietro_Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    Le gouvernement, lui, ne considère pas encore le phénomène comme préoccupant. D’autant plus que, depuis le début des années 1990, l’#Italie a la tête ailleurs. L’arrivée dans les Pouilles, au printemps et en été 1991, de plusieurs dizaines de milliers d’Albanais fuyant la ruine de leur pays a provoqué un choc terrible. Le 8 août, le #Vlora, un cargo venu du port albanais de Durres, est entré dans celui de Bari avec à son bord 20 000 migrants, bientôt installés dans l’enceinte du stade de la ville. La désorganisation est totale : le maire multiplie les appels aux dons et à la solidarité, tandis qu’à Rome le gouvernement cherche un moyen de renvoyer chez eux ces arrivants illégaux… Rien ne sera plus jamais comme avant.

    A l’aune de ce bouleversement venu des Balkans, qui force l’Italie, pour la première fois de son histoire, à se poser la question de l’accueil et de l’intégration, les arrivées sporadiques à Lampedusa ne sont pas perçues au départ comme beaucoup plus qu’une anecdote. Selon les souvenirs des habitants, les migrants venaient surtout des côtes tunisiennes, ils étaient jeunes et en relative bonne santé. La plupart du temps, la traversée était assurée par des passeurs, payés une fois le but atteint. Bref, la route de la #Méditerranée_centrale vivait à l’heure d’une migration "artisanale".

    Mais au fil du temps, dans les années 2000, le phénomène change de nature et d’échelle. "Il ne s’agit pas seulement de géopolitique. Il s’est produit un changement anthropologique dans la jeunesse africaine il y a une quinzaine d’années", assure le vice-ministre italien des
    affaires étrangères et de la coopération, Mario Giro, qui, avant d’entrer en politique, a consacré de nombreuses années à des missions en Afrique comme responsable des questions internationales de la Communauté de Sant’Egidio. "Avant, il s’agissait de projets collectifs : une famille se cotisait pour envoyer un de ses fils en Europe, dit-il. Désormais, ce sont des #hommes_seuls qui décident de
    partir, parce qu’ils considèrent que partir est un droit. Dans les villes africaines, la famille a subi les mêmes coups de la modernité que partout dans le monde. Ces jeunes gens se sont habitués à penser seuls, en termes individuels. Dans leur choix, il y a une part de vérité – les blocages politiques – et la perception que l’avenir n’est pas dans leur pays. Alors, ils partent."
    #facteurs_push #push-factors

    Des gouvernements européens essaient de passer des accords avec les Etats africains pour qu’ils arrêtent en Afrique les candidats à l’Europe, ce qui a pour effet de criminaliser l’activité des #passeurs. Des réseaux de plus en plus violents et organisés se mettent en place.

    VIE ET MORT DE MOUAMMAR KADHAFI

    Un acteur central du jeu régional comprend très tôt le parti à tirer de ce phénomène, face auquel les pays européens semblent largement démunis. C’est le chef de l’Etat libyen, Mouammar #Kadhafi, qui cherche depuis le début des années 2000 à retrouver une forme de respectabilité internationale, rompant avec la politique de soutien au terrorisme qui avait été la sienne dans les années 1980 et 1990.
    Grâce aux immenses recettes de la rente pétrolière, dont il dispose dans la plus totale opacité, le Guide libyen multiplie les prises de participation en Italie (Fiat, Finmeccanica) et les investissements immobiliers. Il entre même au capital du club de football le plus prestigieux du pays, la Juventus de Turin. En contrepartie, le groupe énergétique ENI, privatisé à la fin des années 1990 mais dans lequel l’Etat italien garde une participation importante, conserve le statut d’Etat dans l’Etat dont il jouit en Libye depuis la période coloniale (1911-1942).

    Bientôt, la maîtrise des flux migratoires devient un aspect supplémentaire dans la très complexe relation entre la Libye et l’Italie. " De temps en temps, tous les deux ou trois ans, Kadhafi réclamait de l’argent pour la période coloniale. Et quand ça n’allait pas assez bien pour lui, il faisait partir des bateaux pour se rappeler à nous. C’était devenu pour lui un moyen de pression de plus, et ça signifie également qu’en Libye, des réseaux étaient déjà en place", se souvient Mario Giro.
    #chantage

    Entamées à l’époque du deuxième gouvernement Prodi (2006-2008), et émaillées de moments hauts en couleur – comme cette visite privée à Tripoli du ministre des affaires étrangères italien Massimo D’Alema, un week-end de Pâques 2007, au terme de laquelle Kadhafi a affirmé que l’Italie lui avait promis de construire une autoroute traversant le pays d’est en ouest –, les négociations sont poursuivies par le gouvernement de Silvio Berlusconi, revenu aux affaires au printemps 2008. Elles débouchent sur la signature d’un accord, le 30 août de la même année. En échange de 5 milliards d’euros d’investissements sur vingt-cinq ans et d’#excuses_officielles de l’Italie pour la #colonisation, le dirigeant libyen s’engage à cesser ses reproches, mais surtout à empêcher les départs de migrants depuis ses côtes. Plus encore, les migrants secourus dans les eaux internationales seront ramenés en Libye, même contre leur gré et au mépris du droit de la mer.
    #accord_d'amitié

    L’Eglise et plusieurs ONG humanitaires peuvent bien chercher à alerter l’opinion sur les conditions dans lesquelles sont ramenés à terre les candidats à la traversée, ainsi que sur les innombrables violations des droits de l’homme en Libye, elles restent largement inaudibles. Le colonel Kadhafi peut même se permettre de pittoresques provocations, comme ses visites officielles à Rome en 2009 et 2010, où il appelle publiquement à l’islamisation de l’Europe. Le gouvernement Berlusconi, embarrassé, n’a d’autre solution que de regarder ailleurs.

    L’irruption des "#printemps_arabe s", début 2011, va faire voler en éclats ce fragile équilibre. Le soulèvement libyen, en février 2011, un mois après la chute du président tunisien Ben Ali, est accueilli avec sympathie par les chancelleries occidentales. Mais en Italie, on l’observe avec préoccupation. "Bien sûr, l’Etat libyen de Kadhafi n’était pas parfait, concède #Mario_Giro. Mais il y avait un Etat… Dans les premiers mois de 2011 – je travaillais encore pour Sant’Egidio –, alors que la France semblait déjà décidée à intervenir en Libye, le ministre des affaires étrangères du Niger m’a demandé d’organiser une entrevue avec son homologue italien, Frattini. Nous étions trois, dans un bureau du ministère, et il nous a expliqué point par point ce qu’il se passerait en cas de chute de Kadhafi. Le chaos en Méditerranée, les armes dans tout le Sahel… Tout s’est passé exactement comme il l’a dit. Mais personne n’a voulu l’écouter". Il faut dire qu’en ce début d’année 2011, le prestige international de l’Italie est au plus bas. Très affaiblie économiquement et victime du discrédit personnel d’un Silvio Berlusconi empêtré dans les scandales, l’Italie est tout simplement inaudible.

    En mai 2011, les membres du G8, réunis à Deauville, appellent Mouammar Kadhafi à quitter le pouvoir. "Lors de ce sommet, Silvio Berlusconi a plusieurs fois tenté de prendre la défense du Guide libyen, mettant en avant son aide sur le dossier des migrants et le fait qu’il s’était amendé et avait tourné le dos au terrorisme", se souvient un diplomate français, témoin des discussions. "Mais
    personne n’en a tenu compte." Le chef libyen, chassé de Tripoli en août, mourra le 20 octobre, à Syrte. Quatre semaines plus tard, le gouvernement Berlusconi 4 cessait d’exister.

    Sur le moment, entre l’euphorie de la chute de la dictature et le changement d’ère politique en Italie, ces tensions entre puissances semblent négligeables. Il n’en est rien. Au contraire, elles ne cesseront de resurgir dans le débat, nourrissant en Italie un procès durable contre la #France, accusée d’avoir déstabilisé la situation en Méditerranée pour mieux laisser l’Italie en subir, seule, les conséquences.

    CHAOS EN MÉDITERRANÉE

    Car dans le même temps, les "printemps arabes" provoquent un bouleversement de la situation en Méditerranée. Une fois de plus, c’est à Lampedusa que les premiers signes de la tempête apparaissent. Sur cette île minuscule, en hiver, on compte à peine 5 000 habitants d’ordinaire. Là, ce sont plus de 7 000 personnes venues de #Tunisie qui y débarquent en quelques jours, entre février et mars 2011. La population les accueille avec les moyens du bord, dans des conditions très précaires. Des "permis temporaires de séjours" de trois mois
    sont délivrés aux arrivants par les autorités italiennes. Ainsi, les candidats à l’exil pourront-ils circuler aisément dans tout l’espace Schengen. Plus de 60 000 migrants débarqueront en 2011 ; la grande majorité d’entre eux ne resteront pas en Italie.
    #migrants_tunisiens

    Passé les mois de désorganisation ayant suivi la chute du président tunisien #Ben_Ali, Rome et Tunis concluent en 2012 un #accord_de_réadmission, formalisant le retour au pays des migrants d’origine tunisienne expulsés d’Italie. Assez vite, se met en place une coopération qui, de l’avis de nos interlocuteurs dans les deux pays, fonctionne plutôt harmonieusement.

    En revanche, en Libye, du fait de la déliquescence du pouvoir central, Rome n’a pas d’interlocuteur. Dans un pays livré aux milices et à l’anarchie, des réseaux de trafiquants d’êtres humains s’organisent à ciel ouvert. Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. "J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis."

    En une dizaine de jours, l’opération "#Mare_Nostrum" est mise sur pied. Concrètement, il s’agit d’une opération navale, à la fois militaire et humanitaire, visant à lutter contre les réseaux de passeurs, tout en évitant la survenue de nouveaux drames. Ses effets sont immédiats : en moins d’un an, plus de 100 000 migrants sont secourus et le nombre de morts diminue spectaculairement. Pourtant, le gouvernement Renzi, qui succède à Letta un an plus tard, décide d’y mettre un terme, à l’automne 2014. "Ça ne coûtait pas très cher, environ 8 millions d’euros par mois, et nous avons sauvé des centaines de vie avec ce dispositif, tout en arrêtant de nombreux trafiquants, avance Enrico Letta pour défendre son initiative. Mais très vite, Mare Nostrum a été accusée de provoquer un #appel_d'air… "

    De fait, en quelques mois, le nombre de départs des côtes africaines a explosé. Surtout, une évolution capitale se produit : peu à peu, les passeurs changent de stratégie. Pour ne pas voir leurs bateaux saisis, plutôt que de chercher à gagner un port italien, ils se contentent, une fois arrivés à proximité des eaux italiennes, de débarquer les migrants à bord de petites embarcations, les laissant ensuite dériver
    jusqu’à l’arrivée des secours. La marine italienne, trouvant les migrants en situation de détresse, n’a alors d’autre choix que d’appliquer les règles immuables du #droit_de_la_mer et de les conduire en lieu sûr.

    La suppression de Mare Nostrum par le gouvernement Renzi vise à sortir de cet engrenage. En novembre 2014, est annoncée l’entrée en vigueur de l’opération "#Triton", coordonnée par l’agence européenne #Frontex. Un dispositif de moindre envergure, financé par l’Union européenne, et dans lequel la dimension humanitaire passe au second plan. Las, le nombre de départs des côtes libyennes ne diminue pas. Au contraire, en 2015, plus de 150’000 personnes sont secourues en mer. En 2016, elles seront 181’000. Et pour suppléer à la fin de Mare Nostrum, de nouveaux acteurs apparaissent en 2015 au large des côtes libyennes : des navires affrétés par des #ONG humanitaires, aussitôt
    accusés, eux aussi, de former par leur présence une sorte d’appel d’air facilitant le travail des trafiquants d’êtres humains.

    L’ITALIE PRISE AU PIÈGE

    Pour Rome, les chiffres des secours en mer sont bien sûr préoccupants. Mais ils ne disent pas tout du problème. L’essentiel est ailleurs : depuis la fin de 2013, les pays limitrophes de l’Italie (#France et #Autriche) ont rétabli les contrôles à leurs frontières. Là où, jusqu’alors, l’écrasante majorité des migrants empruntant la route de la Méditerranée centrale ne faisaient que traverser le pays en direction du nord de l’Europe, ils se trouvent désormais bloqués sur le sol italien, provoquant en quelques années l’engorgement de toutes les structures d’accueil. Et les appels répétés à la solidarité européenne se heurtent à l’indifférence des partenaires de l’Italie, qui eux-mêmes doivent composer avec leurs opinions publiques, devenues très hostiles aux migrants.
    #frontière_sud-alpine

    Considéré jusque-là comme un impératif moral par une large part de la population, l’accueil des demandeurs d’asile est l’objet de critiques croissantes. En 2015, en marge du scandale "#Mafia_capitale ", qui secoue l’administration de la commune de Rome, l’Italie découvre que plusieurs coopératives chargées de nourrir et d’héberger les migrants se sont indûment enrichies. S’installe dans les esprits une l’idée dévastatrice : l’#accueil des réfugiés est un "#business " juteux plus qu’une œuvre humanitaire.
    #mafia

    Deux ans plus tard, une série de procédures à l’initiative de magistrats de Sicile en vient à semer le doute sur les activités des ONG opérant en Méditerranée. Le premier à lancer ces accusations est le procureur de Catane, Carmelo #Zuccaro, qui dénonce en avril 2017 – tout en admettant qu’il n’a "pas les preuves" de ce qu’il avance – les ONG de collusion avec les trafiquants. Après trois mois de rumeurs et de fuites organisées dans la presse, début août 2017, le navire de l’ONG allemande #Jugend_Rettet, #Iuventa, est placé sous séquestre, tandis qu’il a été enjoint aux diverses organisations de signer un "code de bonne conduite", sous le patronage du ministre de l’intérieur, Marco #Minniti, visant à encadrer leurs activités en mer. La plupart des ONG, dont Médecins sans frontières, quitteront la zone à l’été 2017.
    #code_de_conduite

    Tandis que le monde entier a les yeux tournés vers la Méditerranée, c’est en réalité en Libye que se produit, mi-juillet, une rupture majeure. En quelques jours, les départs connaissent une chute spectaculaire. Moins de 4000 personnes sont secourues en mer en août, contre 21’000 un an plus tôt, à la même période. La cause de ce coup d’arrêt ? Le soutien et l’équipement, par Rome, des unités libyennes
    de #gardes-côtes, qui traquent les migrants jusque dans les eaux internationales, au mépris du droit de la mer, pour les reconduire dans des camps de détention libyens. Le gouvernement italien conclut une série d’accords très controversés avec différents acteurs locaux en
    Libye.
    #accord #gardes-côtes_libyens
    v. aussi : http://seen.li/cvmy

    Interrogé sur les zones d’ombre entourant ces négociations, et les témoignages venus de Libye même affirmant que l’Italie a traité avec les trafiquants, Marco Minniti nie la moindre entente directe avec les réseaux criminels, tout en mettant en avant l’intérêt supérieur du pays, qui n’arrivait plus, selon lui, à faire face seul aux arrivées. "A un moment, confiait-il fin août 2017 à des journalistes italiens, j’ai eu peur pour la santé de notre démocratie."

    De fait, l’accueil de 600’000 migrants depuis 2014 et l’attitude des partenaires européens de l’Italie, qui ont poussé à l’ouverture de "#hotspots" (centres d’enregistrement des migrants) en Sicile et dans le sud de la Péninsule, sans tenir leurs engagements en matière de #relocalisation (à peine 30 000 réfugiés arrivés en Italie et en Grèce concernés à l’automne 2017, contre un objectif initial de 160’000), a nourri le rejet de la majorité de centre-gauche au pouvoir. Il a alimenté le discours xénophobe de la Ligue du Nord de Matteo Salvini et la montée des eurosceptiques du Mouvement 5 étoiles. A quelques jours des élections du 4 mars, celui-ci est au plus haut dans les sondages.

    Depuis l’été, les départs des côtes africaines se poursuivent
    sporadiquement, au gré de la complexe situation régnant sur les côtes libyennes. Resteque des centaines de milliers de candidats à l’exil – ils seraient de 300’000 à 700’000, selon les sources – sont actuellement bloqués en Libye dans des conditions humanitaires effroyables. Pour le juriste sicilien Fulvio Vassallo, infatigable défenseur des demandeurs d’asile, cette politique est vouée à l’échec, car il ne s’agit pas d’une crise migratoire, mais d’un mouvement de fond. "Pour l’heure, l’Europe affronte le problème avec
    la seule perspective de fermer les frontières, explique-t-il. Et ça, l’histoire des vingt dernières années nous démontre que c’est sans espoir. Ça n’a pas d’autre effet que d’augmenter le nombre de morts en mer."

    Depuis 2014, selon les chiffres du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, 13’500 personnes au moins ont trouvé la mort en mer, sur la route de la Méditerranée centrale. Sans compter la multitude de ceux, avalés par les eaux, dont on n’a jamais retrouvé la trace.


    http://www.lemonde.fr/international/article/2018/02/23/l-italie-seule-dans-la-tempete-migratoire_5261553_3210.html

    Un nouveau mot pour la collection de @sinehebdo sur les mots de la migration : #Les_Turcs

    A la tête de ce qui, à l’origine, n’était guère plus qu’un dispensaire, Pietro Bartolo s’est trouvé aux premières loges quand tout a changé. " Ça a commencé dans les années 1990. Les migrants, des jeunes hommes venus d’Afrique du Nord, arrivaient directement sur la plage, par leurs propres moyens, avec des barques ou des canots pneumatiques. Sur l’île, on les appelait “#les_Turcs”, se souvient-il. Les habitants accueillent comme ils peuvent les arrivants, qui gagnent ensuite la Sicile puis, pour l’immense majorité, le continent.

    #histoire

    #abandon de l’Italie :

    Jusqu’à la catastrophe, qui se produit dans la nuit du 2 au #3_octobre_2013. « J’ai été réveillé à 6 heures du matin par un appel des autorités maritimes, se souvient Enrico Letta, alors chef du gouvernement italien. En quelques minutes, nous avons compris que le #naufrage qui venait d’avoir lieu près de Lampedusa était une tragédie sans précédent – le bilan sera de 366 morts. Il fallait trouver des cercueils, s’occuper des orphelins… J’ai dû presque forcer le président de la Commission européenne - José Manuel Barroso - à m’accompagner sur l’île. Quelques jours plus tard, il y a eu un autre naufrage, tout aussi meurtrier, au large de Malte. Alors que nous demandions l’aide de l’Europe, j’ai vite compris que nous n’aurions rien. Donc, nous avons décidé de nous en occuper nous-mêmes. L’émotion était si forte que l’opinion nous a suivis. »

    #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #frontières

    • C’est une manière de classer les étrangers en mouvement ou en attente de statut par le pays d’accueil.
      Migrants pour étrangers en mouvement. Immigrés pour étrangers sur le territoire national quelque soit leur statut.
      Demandeur d’Asile pour ceux qui font une demande de protection.
      Réfugiés pour ceux qui ont obtenu cette protection.
      Sans papiers pour ceux qui n’ont pas encore obtenu un statut qu’ils aient fait la demande ou non. Le terme administratif en France est ESI, étranger en situation irrégulière.
      Exilés pour ceux qui ont quitté leur pays d’une manière volontaire ou involontaire avec ce qui implique de difficultés et de sentiment d’éloignement de son pays.

    • Solidarietà Ue: gli altri paesi ci hanno lasciati da soli?

      Tra settembre 2015 e aprile 2018 in Italia sono sbarcate quasi 350.000 persone. A fronte di ciò, i piani di ricollocamento d’emergenza avviati dall’Unione europea prevedevano di ricollocare circa 35.000 richiedenti asilo dall’Italia verso altri paesi Ue: già così si sarebbe dunque trattato solo del 10% del totale degli arrivi. Inoltre i governi europei avevano imposto condizioni stringenti per i ricollocamenti: si sarebbero potuti ricollocare solo i migranti appartenenti a nazionalità con un tasso di riconoscimento di protezione internazionale superiore al 75%, il che per l’Italia equivale soltanto a eritrei, somali e siriani. Tra settembre 2015 e settembre 2017 hanno fatto richiesta d’asilo in Italia meno di 21.000 persone provenienti da questi paesi, restringendo ulteriormente il numero di persone ricollocabili. Oltre a queste limitazioni, gli altri paesi europei hanno accettato il ricollocamento di meno di 13.000 richiedenti asilo. La solidarietà europea sul fronte dei ricollocamenti “vale” oggi dunque solo il 4% degli sforzi italiani e, anche se si fossero mantenute le promesse, più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia.

      Oltre al fallimento dei ricollocamenti, neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza hanno raggiunto un livello significativo. Al contrario, gli aiuti europei coprono solo una minima parte delle spese italiane: nel 2017, per esempio, gli aiuti Ue ammontavano a meno del 2% dei costi incorsi dallo Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio.

      https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/fact-checking-migrazioni-2018-20415
      #aide_financière