• #Agrigento, cento clandestini sbarcano in spiaggia e scappano (video)

    Adesso migranti sbarcano direttamente in spiaggia, per sfuggire ai controlli e rendendosi a tutti gli effetti clandestini. Accade a Torre Salsa, ad Agrigento. La mattina del 17 agosto circa un centinaio di migranti sono arrivati sulla spiaggia a bordo di un’imbarcazione in legno. Lo sbarco è stato ripreso dal mare dall’associazione ambientalista Mare Amico. Nel video, pubblicato anche su Youtube, si vedono i migranti scendere dalla barca e sparpagliarsi lungo il litorale. Sulla spiaggia rimangono abbandonate scarpe, vestiti, zaini e bottiglie d’acqua.

    http://www.secoloditalia.it/2017/08/agrigento-cento-clandestini-sbarcano-in-spiaggia-e-scappano-video

    Lien vers la vidéo sur YouTube :
    https://www.youtube.com/watch?v=kzeCUTY_N9Y

    avec ce commentaire sur twitter de @MSF_sea :

    Smugglers are adapting to developments in the #Med with boats reportedly arriving from #Libya on Italian shores:

    #Italie #Méditerranée #nouvelles_stratégies #asile #migrations #réfugiés #plages #plage #vidéo #stratégie #Sicile

  • #Lampedusa porta del non arrivo

    Una sorta di spettacolo allestito su questo piccolo palcoscenico, dove i barconi abbandonati fanno da quinta all’inviato di turno, che trasmette la cronaca dell’ennesima tragedia della migrazione. Numeri, definizioni snocciolati più o meno a caso, enfatizzati in positivo o in negativo a seconda del target. Lampedusa, la porta dell’invasione, questa è l’immagine che emerge. Poi, se si vanno a vedere le cifre, quelle vere, si scopre che solo una minoranza arriva in Italia dal Mediterraneo.

    Paolo Cutitta, autore del bel libro Lo spettacolo della frontiera: «Il fatto è che il mare è molto più visibile, è più difficile da attraversare, fa più morti. Sapere che il triplo di persone arriva via terra, regolarmente e magari con un passaporto, lascia indifferenti». Così l’isola diventa confine, limite ultimo di un’Europa che neppure sapeva di arrivare così a sud.

    http://www.nigrizia.it/notizia/lampedusa-porta-del-non-arrivo

    #frontières #migrations #asile #réfugiés #Italie #Méditerranée #spectacle

    Grazie ai media Lampedusa è diventata l’isola degli “sbarchi” e già il termine induce una certa ansia. Sbarco evoca subito Normandia, Anzio, i Mille di Garibaldi. A “sbarcare” sono solitamente gli eserciti. Peraltro da alcuni anni la maggior parte delle imbarcazioni vengono intercettate dalla Guardia costiera e portate direttamente in Sicilia, ma ormai Lampedusa è sinonimo di sbarco.

    #mots #vocabulaire #débarquement #sbarco #terminologie
    cc @sinehebdo

    Sulla punta di Cavallo Bianco nel 2008 è stata realizzata la #Porta_d’Europa: un’opera che si affaccia a sud, con segni che evocano le tragedie del mare. Mi richiama la #Porta_del_non_ritorno eretta a #Ouidah (Benin) sull’Oceano Atlantico, a ricordare i milioni di schiavi deportati dall’Africa.

    A viaggiare, però, sono sempre schiavi. Schiavi di dittature, di governi infami, di guerre e di povertà, che tentano di fuggire dal loro presente in cerca di qualche futuro.

    L’#arco_di_Ouidah indicava un non ritorno, quello di Lampedusa, a volte, un non arrivo.


    #mémoire #monument #porte_du_non_retour #Bénin

  • Je découvre aujourd’hui ce site, qui fait le point sur la tragédie du #3_octobre_2013, quand quelque 360 personnes sont décédées en #Méditerranée, à #Lampedusa, à moins d’un km de l’#isola_dei_conigli.
    C’est la tragédie à partir de laquelle l’opération #Mare_Nostrum a été mise en place par l’#Italie :
    https://askavusa.wordpress.com/03102013-il-naufragio-della-verita

    Je mets ici pour archivage...

    Il y a d’ailleurs aussi le lien vers un #film #documentaire "#I_giorni_della_tragedia :
    https://www.youtube.com/watch?v=0HjMRcMlG9E&feature=youtu.be


    #vidéo

    #mourir_en_mer #décès #naufrage

    • Naufragio Lampedusa, chiuse le indagini, l’accusa è omissione di soccorso

      Quattro anni dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 di fronte Lampedusa si chiudono le indagini. Sei gli indagati. L’accusa ipotizzata dalla procura di Agrigento è di omissione di soccorso. Indagati i sei uomini che componevano l’equipaggio del peschereccio Aristeus di Mazara dl Vallo. La sola barca che secondo le rilevazioni del sistema satellitare di controllo del mare, era in quelle acque nell’ora del naufragio.

      #condamnation #Aristeus

      https://www.articolo21.org/2017/09/naufragio-lampedusa-chiuse-le-indagini-laccusa-e-omissione-di-soccorso
      #non-assistance_à_personne_en_danger #omissione_di_soccorso

    • La prima versione di questo documento è stata pubblicata nel 2015. Oggi pubblichiamo una versione rivista e corretta alla luce degli sviluppi legati alla strage del 3 ottobre del 2013.
      A 5 anni dall’accaduto pensiamo sia giusto mantenere viva l’attenzione su alcuni punti quali il mancato soccorso e gli interessi economico-politici che stanno alla base di questo e di altri naufragi.
      Riteniamo che il problema delle migrazioni contemporanee nell’area del Mediterraneo si debba far derivare dalle leggi che l’UE ha imposto agli stati membri per aderire al Mercato Interno Europeo e a Schengen.
      Si possono pagare fino a dieci mila euro e impiegare anche molti anni prima di arrivare in Europa. Spesso si scappa da una guerra, altre volte dallo sfruttamento del proprio territorio, altre volte si è semplicemente alla ricerca di un lavoro.
      Se i soldi spesi nella militarizzazione delle frontiere (Sicurezza) e nei centri di detenzione per migranti (Accoglienza) fossero stati impiegati nella regolarizzazione dei viaggi e nelle politiche sul lavoro, sicuramente non avremmo visto morire migliaia di persone con queste modalità.
      Dal nostro punto di vista il problema rimane il sistema economico attuale che ha fatto del profitto il fine ultimo di ogni azione. Il capitalismo neoliberista, di cui l’UE è una delle espressioni politiche, fa ogni giorno migliaia di vittime che non hanno spazio nei TG e nelle rappresentazioni di Stato, non servendo a giustificare alcun tipo di politica: ne sono semplicemente le vittime. Nessuno parlerà di loro, nessuno nominerà i loro nomi.
      Una delle cose più aberranti della strage del 3 ottobre è proprio questa: le vittime vengono continuamente evocate divenendo uno strumento per giustificare le politiche di quei soggetti responsabili delle loro morti.
      Alle vittime dell’imperialismo capitalistico.

      Deuxième version ici :
      https://www.youtube.com/watch?v=0HjMRcMlG9E

    • Nomi per tutte le vittime in mare (#Dagmawi_Yimer)

      In un attimo, in un solo giorno, il 3 ottobre 2013, tanti giovani che si chiamavano Selam “pace”, oppure Tesfaye “ speranza mia”, ci hanno lasciato.

      Diamo i nomi ai nostri figli perché vogliamo fare conoscere al mondo i nostri desideri, sogni, fedi, il rispetto che portiamo a qualcuno o a qualcosa. Gli diamo nomi carichi di significati, così come hanno fatto i nostri genitori con noi.

      Per anni questi nomi, con il loro carico di carne e ossa, sono andati lontano dal luogo della loro nascita, via dalla loro casa, componendo un testo scritto, un testo arrivato fino ai confini dell’Occidente. Sono nomi che hanno sfidato frontiere e leggi umane, nomi che disturbano, che interrogano i governanti africani ed europei.

      Se sapremo capire perché e quando questi nomi sono caduti lontano dal loro significato, forse sapremo far arrivare ai nostri figli un testo infinito, che arrivi ai loro figli, nipoti e bisnipoti.

      Malgrado i corpi che li contenevano siano scomparsi, quei nomi rimangono nell’aria perché sono stati pronunciati, e continuano a vivere anche lontano dal proprio confine umano. Noi non li sentiamo perché viviamo sommersi nel caos di milioni di parole avvelenate. Ma quelle sillabe vivono perché sono registrate nel cosmo.

      Le immagini del film danno spazio a questi nomi senza corpi. Nomi carichi di significato, anche se il loro senso è difficile da cogliere per intero.

      Siamo costretti a contarli tutti, a nominarli uno per uno, affinché ci si renda conto di quanti nomi sono stati separati dal corpo, in un solo giorno, nel Mediterraneo.

      https://vimeo.com/114849871


      #noms

    • Tribune du 4 octobre 2013 :
      Lampedusa : l’Europe assassine

      Le drame de Lampedusa n’est pas une fatalité. L’Union européenne doit sortir de sa logique sécuritaire et renouer avec les valeurs qu’elle prétend défendre.

      Le nouveau naufrage dans lequel ont péri ou disparu, tout près de l’île de Lampedusa, au moins 300 personnes parmi les 500 passagers d’un bateau en provenance de Libye, n’est pas dû à la fatalité. En 2010, au même endroit, deux naufrages simultanés avaient provoqué près de 400 victimes. En 2009, 200 personnes se sont noyées au large de la Sicile. Pour les seuls six premiers mois de l’année 2011, le HCR estimait à 1 500 le nombre de boat people ayant trouvé la mort en tentant d’atteindre les rives de l’île de Malte ou de l’Italie. Depuis le milieu des années 90, la guerre menée par l’Europe contre les migrants a tué au moins 20 000 personnes en Méditerranée.

      La guerre ? Comment nommer autrement la mise en place délibérée de dispositifs de contrôles frontaliers destinés, au nom de la lutte contre l’immigration irrégulière, à repousser celles et ceux que chassent de chez eux la misère et les persécutions ? Ces dispositifs ont pour nom Frontex, l’agence européenne des frontières, qui déploie depuis 2005 ses navires, ses hélicoptères, ses avions, ses radars, ses caméras thermiques et bientôt ses drones depuis le détroit de Gibraltar jusqu’aux îles grecques pour protéger l’Europe des « indésirables ». Ou encore Eurosur, un système coordonné de surveillance qui, depuis 2011, fait appel aux technologies de pointe pour militariser les frontières extérieures de l’Union européenne afin de limiter le nombre d’immigrants irréguliers qui y pénètrent. Comment nommer autrement la collaboration imposée par l’Europe aux pays de transit des migrants – Libye, Algérie, Tunisie, Maroc – afin qu’ils jouent le rôle de gardes-chiourmes et les dissuadent de prendre la route du nord, au prix de rafles, arrestations, mauvais traitements, séquestrations ?

      Plus spectaculaire que d’habitude par son ampleur, le nouveau naufrage de Lampedusa n’a pas manqué de susciter les larmes de crocodile rituellement versées par ceux-là même qui en sont responsables. A la journée de deuil national décrétée par l’Italie – pays dont les gouvernants, de droite comme de gauche, n’ont jamais renoncé à passer des accords migratoires avec leurs voisins proches, y compris lorsqu’il s’agissait des dictatures de Kadhafi et de Ben Ali, pour pouvoir y renvoyer les exilés - font écho les déclarations de la commissaire européenne aux affaires intérieures, qui appelle à accélérer la mise en place d’Eurosur, destiné selon elle à mieux surveiller en mer les bateaux de réfugiés. Où s’arrêtera l’hypocrisie ? Peu d’espaces maritimes sont, autant que la Méditerranée, dotés d’un maillage d’observation et de surveillance aussi étroit. Si le sauvetage était une priorité – comme le droit de la mer l’exige – déplorerait-on autant de naufrages entre la Libye et Lampedusa ?

      Déjà sont désignés comme principaux responsables les passeurs, mafias et trafiquants d’êtres humains, comme si le sinistre négoce de ceux qui tirent profit du besoin impérieux qu’ont certains migrants de franchir à tout prix les frontières n’était pas rendu possible et encouragé par les politiques qui organisent leur verrouillage. Faut-il rappeler que si des Syriens en fuite tentent, au risque de leur vie, la traversée de la Méditerranée, c’est parce que les pays membres de l’UE refusent de leur délivrer les visas qui leur permettraient de venir légalement demander asile en Europe ?

      On parle de pêcheurs qui, ayant vu le navire en perdition, auraient continué leur route sans porter secours à ses passagers, et des voix s’élèvent pour exiger qu’ils soient poursuivis et punis pour non-assistance à personne en danger. A-t-on oublié qu’en 2007, sept pêcheurs tunisiens accusés d’avoir « favorisé l’entrée irrégulière d’étrangers sur le sol italien » ont été poursuivis par la justice italienne, mis en prison et ont vu leur bateau placé sous séquestre parce qu’ils avaient porté secours à des migrants dont l’embarcation était en train de sombrer, les avaient pris à leur bord et convoyés jusqu’à Lampedusa ?

      Non, le drame de Lampedusa n’est pas le fruit de la fatalité. Il n’est dû ni aux passeurs voraces, ni aux pêcheurs indifférents. Les morts de Lampedusa, comme ceux d’hier et de demain, sont les victimes d’une Europe enfermée jusqu’à l’aveuglement dans une logique sécuritaire, qui a renoncé aux valeurs qu’elle prétend défendre. Une Europe assassine.

      https://www.liberation.fr/planete/2013/10/04/lampedusa-l-europe-assassine_937029

    • Lampedusa, 5 anni dopo

      Il quinto anniversario di questa tragedia arriva proprio all’indomani del nulla osta del Consiglio dei Ministri a un decreto che erige l’ennesima barriera di morte in faccia a migliaia di altri rifugiati e migranti come i ragazzi spazzati via in quell’alba grigia del 3 ottobre 2013. Non sappiamo se esponenti di questo governo e questa maggioranza o, più in generale, se altri protagonisti della politica degli ultimi anni, intendano promuovere o anche solo partecipare a cerimonie ed eventi in memoria di quanto è accaduto. Ma se è vero, come è vero, che il modo migliore di onorare i morti è salvare i vivi e rispettarne la libertà e la dignità, allora non avrà senso condividere i momenti di raccoglimento e di riflessione, che la data del 3 ottobre richiama, con chi da anni costruisce muri e distrugge i ponti, ignorando il grido d’aiuto che sale da tutto il Sud del mondo. Se anche loro voglio “ricordare Lampedusa”, che lo facciano da soli. Che restino soli. Perché in questi cinque anni hanno rovesciato, distrutto o snaturato quel grande afflato di solidarietà e umana pietà suscitato dalla strage nelle coscienze di milioni di persone in tutto il mondo

      Che cosa resta, infatti, dello “spirito” e degli impegni di allora? Nulla. Si è regrediti a un cinismo e a una indifferenza anche peggiori del clima antecedente quel terribile 3 ottobre. E, addirittura, nonostante le indagini in corso da parte della magistratura, non si è ancora riusciti a capire come sia stato possibile che 366 persone abbiano trovato la morte ad appena 800 metri da Lampedusa e a meno di due chilometri da un porto zeppo di unità militari veloci e attrezzate, in grado di arrivare sul posto in pochi minuti.

      La vastità della tragedia ha richiamato l’attenzione, con la forza enorme di 366 vite perdute, su due punti in particolare: la catastrofe umanitaria di milioni di rifugiati in cerca di salvezza attraverso il Mediterraneo; il dramma dell’Eritrea, schiavizzata dalla dittatura di Isaias Afewerki, perché tutti quei morti erano eritrei.

      Al primo “punto” si rispose con Mare Nostrum, il mandato alla Marina italiana di pattugliare il Mediterraneo sino ai margini delle acque territoriali libiche, per prestare aiuto alle barche di migranti in difficoltà e prevenire, evitare altre stragi come quella di Lampedusa. Quell’operazione è stata un vanto per la nostra Marina, con migliaia di vite salvate. A cinque anni di distanza non solo non ne resta nulla, ma sembra quasi che buona parte della politica la consideri uno spreco o addirittura un aiuto dato ai trafficanti.

      Sta di fatto che esattamente dopo dodici mesi, nel novembre 2014, Mare Nostrum è stato “cancellato”, moltiplicando – proprio come aveva previsto la Marina – i naufragi e le vittime, inclusa l’immane tragedia del 15 aprile 2015, con circa 800 vittime, il più alto bilancio di morte mai registrato nel Mediterraneo in un naufragio. E, al posto di quella operazione salvezza, sono state introdotte via via norme e restrizioni che neanche l’escalation delle vittime è valsa ad arrestare, fino ad arrivare ad esternalizzare sempre più a sud, in Africa e nel Medio Oriente, le frontiere della Fortezza Europa, attraverso tutta una serie di trattati internazionali, per bloccare i rifugiati in pieno Sahara, “lontano dai riflettori”, prima ancora che possano arrivare ad imbarcarsi sulla sponda sud del Mediterraneo. Questo hanno fatto e stanno facendo trattati come il Processo di Khartoum (fotocopia del precedente Processo di Rabat), gli accordi di Malta, il trattato con la Turchia, il patto di respingimento con il Sudan, il ricatto all’Afghanistan (costretto a “riprendersi” 80 mila profughi), il memorandum firmato con la Libia nel febbraio 2017 e gli ultimi provvedimenti di questo Governo. Per non dire della criminalizzazione delle Ong, alle quali si deve circa il 40 per cento delle migliaia di vite salvate, ma che sono state costrette a sospendere la loro attività, giungendo persino a fare pressione su Panama perché revocasse la bandiera di navigazione alla Aquarius, l’ultima nave umanitaria rimasta in tutto il Mediterraneo.

      Con i rifugiati eritrei, il secondo “punto”, si è passati dalla solidarietà alla derisione o addirittura al disprezzo, tanto da definirli – nelle parole di autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza di governo – “profughi vacanzieri” o “migranti per fare la bella vita”, pur di negare la realtà della dittatura di Asmara. E’ un processo iniziato subito, già all’indomani della tragedia, quando alla cerimonia funebre per le vittime, ad Agrigento, il Governo ha invitato l’ambasciatore eritreo a Roma, l’uomo che in Italia rappresenta ed è la voce proprio di quel regime che ha costretto quei 366 giovani a scappare dal paese. Sarebbe potuta sembrare una “gaffe”. Invece si è rivelata l’inizio di un percorso di progressivo riavvicinamento e rivalutazione di Isaias Afewerki, il dittatore che ha schiavizzato il suo popolo, facendolo uscire dall’isolamento internazionale, associandolo al Processo di Khartoum e ad altri accordi, inviandogli centinaia di milioni di euro di finanziamenti, eleggendolo, di fatto, gendarme anti immigrazione per conto dell’Italia e dell’Europa.

      Sia per quanto riguarda i migranti in generale che per l’Eritrea, allora, a cinque anni di distanza dalla tragedia di quel 3 ottobre 2013, resta l’amaro sapore di un tradimento.
      – Traditi la memoria e il rispetto per le 366 giovani vittime e tutti i loro familiari e amici.
      – Traditi le migliaia di giovani che con la loro stessa fuga denunciano la feroce, terribile realtà del regime di Asmara, che resta una dittatura anche dopo la recente firma della pace con l’Etiopia per la lunghissima guerra di confine iniziata nel 1998.
      – Tradito il grido di dolore che sale dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Italia e l’Europa da parte di un intero popolo di migranti costretti ad abbandonare la propria terra: una fuga per la vita che nasce spesso da situazioni create dalla politica e dagli interessi economici e geostrategici proprio di quegli Stati del Nord del mondo che ora alzano barriere. Tradito, questo grido di dolore, nel momento stesso in cui si finge di non vedere una realtà evidente: che cioè

      “…lasci la casa solo / quando la casa non ti lascia più stare / Nessuno lascia la casa a meno che la casa non ti cacci / fuoco sotto i piedi / sangue caldo in pancia / qualcosa che non avresti mai pensato di fare / finché la falce non ti ha segnato il collo di minacce…” (da Home, monologo di Giuseppe Cederna.)

      Ecco: ovunque si voglia ricordare in questi giorni la tragedia di Lampedusa, sull’isola stessa o da qualsiasi altra parte, non avrà alcun senso farlo se non si vorrà trasformare questa triste ricorrenza in un punto di partenza per cambiare radicalmente la politica condotta in questi cinque anni nei confronti di migranti e rifugiati. Gli “ultimi della terra”.

      https://www.meltingpot.org/Lampedusa-5-anni-dopo.html

    • Che cosa è un naufragio, cosa è la speranza

      Che cosa è un naufragio ce lo racconta, nel libro La frontiera, #Alessandro_Leogrande, giornalista, scrittore, intellettuale scomparso un anno fa. Una perdita enorme per il nostro paese.

      Alessandro traccia, in questo libro-ricerca, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, il viaggio intrapreso da alcuni migranti che poi culminerà nel terribile naufragio del 3 ottobre 2013. Dopo un lungo peregrinare iniziato nel Corno d’Africa, i futuri naufraghi sono lasciati in pieno deserto da un gruppo di sudanesi. Qui poi sono arrivati i libici. Man mano che si avanza si ingrossa il numero dei disperati, donne, uomini, bambini che arriveranno a un’ora da Tripoli in 500. Per un mese vengono rinchiusi in una specie di villa senza poter mai uscire, sotto il controllo di uomini armati. La maggior parte di loro arriva dall’Eritrea occidentale.

      All’improvviso una sera vengono portati sulla spiaggia dove aspettano l’arrivo della nave che li trasporterà a Lampedusa. Iniziano a trasportali con i gommoni una ventina alla volta sulla nave madre. «Ammassati nella stiva, sul ponte, in ogni minimo pertugio rimasto libero... Per tutto il tempo del viaggio viene ribadito di fare attenzione al balance, al bilanciamento dei pesi. Chi sta a poppa non deve andare a prua, e chi sta a prua non deve andare a poppa, sennò la barca affonda».

      Partono alle 11.30 di sera, alle 4 del mattino sono al largo di Lampedusa. Quando sono a circa 800 metri dalla piccola isola dei Conigli si cambiano gli abiti: indossano i vestiti migliori per lo sbarco.

      Due grosse navi gli passano accanto, poi si allontano. A questo punto sul piccolo peschereccio che ha imbarcato i 500 iniziano ad agitarsi. Nella stiva si accorgono che stanno imbarcando acqua. Le urla salgono al cielo. Per calmarli il capitano dà fuoco a una coperta e la agita in aria. Si scatena la tragedia. Le persone si muovo e rompono l’equilibrio dei pesi fra prua e poppa. Il peschereccio si capovolge immediatamente. «Tutto avviene con grande rapidità, non hanno il tempo di accorgersi di quello che sta accadendo: in mezzo minuto tantissime persone sono in acqua e altrettante stanno morendo nella stiva».

      A bordo ci sono diversi quintali di gasolio, che si rovesciano in mare. «Crea un lago d’olio, mescolandosi all’acqua. Impregna ogni cosa, stordisce chi annaspa con il suo odore acre. Scoppia il finimondo».

      Molte persone muoiono perché non sanno nuotare, altre perché troppo deboli per resistere, da giorni vanno avanti a tozzi di pane e acqua. I più forti provano a raggiungere la spiaggia a nuoto. «Le donne e i bambini che riempiono la stiva muoiono per primi. Li ritroveranno abbracciati, con le mani delle donne messe a coppa sulla bocca dei bambini per cercare di farli respirare qualche secondo in più, per impedire all’acqua di entrare nei polmoni».

      Un anno dopo la strage, Alessandro va a Lampedusa per seguire le commemorazioni ed è lì che incontra alcuni sopravvissuti: ora vivono in Norvegia o in Svezia, hanno poco più di venti anni.

      Tra di loro c’è Adhanom, nella strage ha perso il fratello e lo zio e racconta del suo viaggio per lasciare l’Italia e arrivare in Svezia. Riesce a non farsi prendere le impronte digitali a Roma e così una volta giunto in Svezia può chiedere asilo lì (il Regolamento di Dublino obbliga i rifugiati a chiedere asilo politico nel primo paese in cui sono sbarcati). Da Lampedusa viene trasferito a Roma con gli altri sopravvissuti, da qui fa perdere le sue tracce. In treno raggiunge Francoforte, Amburgo, Flensburg e poi la Danimarca e infine la Svezia. Viaggia di notte per evitare controlli. In Svezia riceve un assegno mensile e frequenta un corso di due anni per imparare la lingua. Dopo un anno fa il viaggio al contrario per raggiungere Lampedusa e pregare insieme agli altri sopravvissuti i morti della strage del 3 ottobre. «È troppo duro ricordare. È troppo duro pensare a quei giorni, al fratello morto accanto a lui, alle urla avvertite nell’acqua, alla sensazione di vuoto sotto i piedi». Adhanom e gli altri sopravvissuti tornano sull’Isola dei Conigli, una delle spiagge più belle del mondo. «Un paradiso davanti al quale almeno 366 persone sono morte affogate».

      Nella piccola chiesa dell’isola si tiene un momento di preghiera. Nello spiazzo davanti alla parrocchia, racconta Leogrande, una lunga fila di cartelli bianchi ricorda i naufraghi degli ultimi mesi... «Quelli minori, quelli dimenticati, quelli mai narrati». Dall’inizio del 2014 a ottobre sono già morti 2.500 migranti. «Morire di speranza» si legge sulla copertina del breviario distribuito per l’occasione. Davanti all’altare le foto degli scomparsi del 3 ottobre 2013. I canti degli eritrei si susseguono per tutta la celebrazione e accompagnano la lettura del lunghissimo elenco delle vittime del 3 ottobre. Un elenco che sembra non avere fine: è qui che Alessandro capisce che i morti non sono 366, ma 368. 360 eritrei e 8 etiopi.

      A rendere onore alle vittime ci sono i familiari, associazioni di volontariato e molti abitanti dell’isola. Così Alessandro incontra Costantino.

      Costantino non è un pescatore di professione, ma quella mattina del 3 ottobre decise di uscire a pescare col suo amico Onder. «Siamo arrivati sul luogo del naufragio intorno alle 7 e 10 e abbiamo raccolto i superstiti del mare fino alle 8. Ne abbiamo presi 11. A galla non c’erano molti morti, in parte li avevano già recuperati, in parte erano rimasti intrappolati nella stiva». Ma in quel momento loro non sapevano della tragedia che si era consumata. Costantino li tira su con un braccio solo. E questa facilità di presa resterà impressa nella mente dei salvati oltre che nei racconti dei bar dell’isola. «Li tiravo su come sacchi di patate, prendendoli dai pantaloni, dalla cintola». Stavano andando via quando all’improvviso avvertono un lamento, nonostante il motore acceso Costantino ed Onder sentono una voce debolissima chiedere aiuto. Salvano anche lei, Luam, una ragazzina di 16 anni.

      Verso mezzogiorno Costantino chiama la moglie. "Guarda - gli dice la moglie - che si sono 150 morti e c’è lo scafo sotto che ne contiene almeno altri 250. «Che stai dicendo? - grida Costantino - che stai dicendo?» E così sono rientrati di corsa. Il giorno dopo incontra le persone che ha salvato, lui e la moglie si segneranno su un quaderno i loro nomi, per non dimenticarli.
      Tra di loro c’è Robert, per mesi prigioniero dei miliziani libici, nella tragedia ha perso un’amica che gli chiedeva aiuto. «Ma non ha potuto fare niente - racconta Costantino - Se aiutava lei, morivano tutti e due. È dura da sopportare una cosa del genere, penso. Ora vedo che sta meglio, ha la ragazza. Sorride ogni tanto».

      Le persone che Costantino quel giorno ha salvato sono tutte andate via dall’Italia. Vivono in Germania, Norvegia, Svezia.

      Intanto il corteo prosegue fino al monumento Porta d’Europa. Il canto degli eritrei continua e si fa sempre più forte. «Un lungo canto funebre che a tratti risulta addirittura gioioso». Tutti indossano una maglietta nera con la scritta bianca: «Proteggere le persone, non i confini». «Non ho mai partecipato a niente di così intensamente religioso in tutta la mia vita. Non ho mai percepito, come in questo momento per certi versi assurdo, una tale tensione verso se stessi e gli altri, un tale stringersi intorno a un testo cantato e a delle persone che non ci sono più».
      Che cos’è la speranza

      Che cos’è la speranza ce lo racconta il giornalista e scrittore Agus Morales in Non siamo rifugiati, un libro immenso lungo le orme degli esiliati della terra: Siria, Afghanistan, Pakistan, Repubblica Centroafricana, Sudan del Sud, Morales cammina con i centroamericani che attraversano il Messico, con i congolesi che fuggono dai gruppi armati. Segue i salvataggi nel Mediterraneo, le sofferenze e le umiliazioni dei rifugiati in Europa. Morales ci racconta la crisi non dell’Europa, ma del mondo. Un mondo di esodi, in un momento storico che vede il maggior numero di persone sradicate dal proprio paese.

      Il libro si apre con la storia di Ulet. Un somalo di 15 anni, ridotto in schiavitù in Libia. Viaggiava solo, senza amici, senza famiglia. Quando il gommone su cui si era imbarcato è stato salvato, lui è stato immediatamente ricoverato sulla nave di soccorso. «Era incredibile che, in quelle condizioni, fosse arrivato fin qui, in questo punto di incontro tra l’Europa e l’Africa, fino alle coordinate in cui ogni vita inizia a valere – solo un po’ – ... La soglia simbolica tra il Nord e il Sud: una linea capricciosa, in mezzo al mare, che segna la differenza tra l’esistere e il non esistere...»

      «Quando Ulet arrivò alla nave riusciva solo a balbettare, delirava, mormorava desideri. Con la violenza marchiata sulla schiena e una maschera d’ossigeno, lottava per sopravvivere, si aggrappava alla vita. Non c’era nessun volto noto a sostenerlo. Dopo il salvataggio la nave si diresse verso l’Italia... Ulet si sentì meglio e chiese all’infermiera di poter uscire in coperta». Stava guardando il mar Mediterraneo, lontano ormai dalla Libia, lontano dall’inferno che fino a quel momento era stata la sua vita. In quel momento Ulet perde conoscenza e muore. «Se fosse morto in Libia, non se ne sarebbe accorto nessuno».

      https://www.valigiablu.it/lampedusa-naufragio-3-ottobre
      #espoir

  • Migranti, istituiti sei nuovi hotspot: due verranno aperti in Sicilia, tre in Calabria e uno a Cagliari

    Il ministro Minniti comunicherà oggi la decisione al Parlamento. I sei e vanno aggiungersi a quelli di Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto

    Sei i nuovi #hotspot che andranno ad aggiungersi ai quattro gia’ in funzione a #Lampedusa, #Pozzallo, #Trapani e #Taranto. Due in Sicilia, a Palermo e Siracusa, uno a #Cagliari e altri tre in Calabria, a Reggio, #Crotone e #Corigliano_Calabro, piu’ un Cie da 100 posti in ogni regione.

    http://palermo.repubblica.it/cronaca/2017/07/05/news/migranti_due_nuovi_hotspot_in_sicilia_verranno_aperti_a_palermo_e
    #Palerme #Siracusa #hotspots #Palermo #Reggio_calabria #CIE #détention_administrative #rétention #Italie #asile #migrations #réfugiés

  • Profughi egiziani a rischio rimpatrio

    Venti profughi egiziani arrivati all’hotspot di #Lampedusa rischiano di essere rimpatriati presto verso il loro paese. E questo nonostante «abbiano manifestato la loro volontà di presentare domanda di protezione internazionale». Ad aver impedito ai migranti di formalizzare subito la richiesta, come accade normalmente a chi sbarca nell’isola siciliana, sarebbe stata «l’assenza di modelli C-3 all’interno dell’Hot Spot di Lampedusa». In altre parole, non ci sarebbero stati i moduli per poter chiedere l’asilo.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/06/01/profughi-egitto-a-rischio-rimpatrio
    #asile #migrations #réfugiés #push-back #refoulement #expulsion #renvoi #hotspots #Egypte #réfugiés_égyptiens

  • Come in carcere, ma senza i diritti dei detenuti

    Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha presentato - poco dopo la pubblicazione del rapporto sul primo anno di attività - un nuovo rapporto tutto dedicato alla questione dei trattenimenti dei migranti. Dopo dieci mesi di monitoraggio, quattro Cie/Cpr e quattro hotspot, vediamo quali sono le conclusioni a cui è giunto questo nuovo organismo di tutela.


    http://openmigration.org/analisi/come-in-carcere-ma-senza-i-diritti-dei-detenuti
    #hotspots #asile #migrations #réfugiés #CIE #détention_administrative #rapport #droits #Brindisi #Caltanissetta #Turin #Rome #Italie #statistiques #chiffres #Taranto #Lampedusa #Trapani #Pozzallo

    Lien vers le #rapport:
    http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/6f1e672a7da965c06482090d4dca4f9c.pdf
    –-> et le commentaire de Open Migration
    Migrazione e libertà, il punto del Garante nazionale


    http://openmigration.org/analisi/migrazione-e-liberta-il-punto-di-un-anno-di-monitoraggio-da-parte-del

    cc @stesummi

  • Chiedevano l’asilo: riportati in Egitto

    Alla fine i venti profughi egiziani arrivati all’hotspot di Lampedusa sono stati riportati in Egitto ieri, 31 maggio, con un volo charter partito dall’aeroporto Punta Raisi di Palermo. Il gruppo di migranti sarebbe stato trasferito direttamente allo scalo aeroportuale, senza passare per la questura del capoluogo siciliano, come invece era sembrato in un primo momento. La conferma è arrivata poco fa a Osservatorio Diritti da una fonte molto vicina al dossier che ha chiesto l’anonimato. Dal ministero dell’Interno, invece, non è ancora arrivata alcuna conferma ufficiale, nonostante la richiesta di informazioni sia stata fatta questa mattina alle 11, circa quattro ore fa.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/06/01/profughi-chiedevano-asilo-rimpatrio-egitto

    #hotspots #Lampedusa #renvois #expulsions #asile #réfugiés #réfugiés_égyptiens #Italie

  • ’Ndrangheta, arrestati i ras dell’accoglienza migranti

    Retata in Calabria contro il clan #Arena, che gestiva di fatto il centro per migranti tra i più grandi d’Europa. Arrestati per associazione mafiosa anche il governatore della #Misericordia di #Isola_Capo_Rizzuto e il parroco fondatore della sezione locale della confraternita


    http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/05/15/news/ndrangheta-arrestati-i-ras-dell-accoglienza-migranti-1.301446
    #Eglise #Calabre #asile #migrations #réfugiés #mafia #ndrangheta #Italie #accueil #logement #hébergement #Italie #Isola_Capo_Rizzuto #business #cara #Leonardo_Sacco
    cc @albertocampiphoto

  • La denuncia del legale diritti umani: "Il rimpatrio dei nigeriani viola norme internazionali’

    E’ polemica sul rimpatrio di un gruppo di quaranta migranti nigeriani che erano ospiti dell’#hotspot di #Lampedusa. I migranti sono stati imbarcati ieri su un aereo diretto da Lampedusa a Palermo, accompagnati da diversi poliziotti. Poi sono stati trasferiti a Lagos. A lanciare l’allarme è Giorgio Bisagna di ’Adduma’ onlus, avvocati dei diritti umani. «Apprendiamo dai media dell’avvenuto rimpatrio immediato di 40 nigeriani, già trattenuti nell’Hotspot di Lampedusa. Se i fatti denunciati dovessero corrispondere al vero, ci troveremmo di fronte a significative violazioni della normativa nazionale ed internazionale». E’ la denuncia all’Adnkronos di Bisagna, che da anni si occupa del diritti dei migranti.

    http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2017/05/05/denuncia-del-legale-diritti-umani-rimpatrio-dei-nigeriani-viola-norme-int
    #expulsions #renvois #Italie #Nigeria #asile #migrations #réfugiés

  • Migranti : niente hotspot a Mineo,altri in Sicilia e Calabria

    Tramonta l’ipotesi di creare un hotspot a #Mineo (Catania), attualmente il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa. Altre strutture per l’identificazione e la prima accoglienza dei migranti volute dalla Commissione Europea apriranno invece in Sicilia, Calabria e Sardegna. Lo ha riferito il capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Gerarda Pantalone, alla commissione Migranti.

    Attualmente, ha ricordato Pantalone, sono attivi 4 hotspot a #Lampedusa, #Pozzallo, #Trapani e #Taranto. Si stanno svolgendo lavori per aprirne altri due entro giugno nella caserma Gasparro di #Messina ed in un’area messa a disposizione dall’Agenzia per i beni confiscati alle mafie a Palermo. Anche in Calabria sono in corso contatti con le istituzioni per aprirne tre entro ottobre-novembre a #Corigliano_Calabro (400 posti), #Crotone (800) e #Reggio_Calabria (400). Infine, per la Sardegna si pensa - e c’e’ un accordo con la Regione, ad hotspot mobili che possono essere trasferiti nei diversi porti dove approdano le navi.

    A Mineo, invece, ha proseguito il prefetto, «è stata superata l’idea di allestire un hotspot. L’intenzione è quella di alleggerire il Centro, che è passato da una punta di 3.800 ospiti a dicembre agli attuali 3.200».(ANSAmed).

    #hotspots #localisation #Italie #asile #migrations #réfugiés #Sicile #Calabre #Sardaigne #hotspots_mobiles #frontière_mobile

    • Leoluca Orlando: “A Palermo nessun hotspot”

      “Non daremo né ci è stato chiesto il consenso per realizzare un hotspot a Palermo. Noi abbiamo affrontato, e le carte dicono questo, il tema di come evitare le lunghe sosta dei migranti sul ponte delle navi al freddo o al caldo e sulle banchine. Abbiamo dato la disponibilità ad attrezzare un’area complementare rispetto all’attività che viene al momento svolta nel commissariato San Lorenzo. Averla individuata sulla circonvallazione dà il senso che si tratta di un’area dove ci sarà una permanenza per il tempo necessario alle operazioni di identificazione”.

      http://www.lagazzettapalermitana.it/leoluca-orlando-a-palermo-nessun-hotspot
      #Palerme

  • Migrants of the Mediterranean

    Migrants of the Mediterranean profiles the people who have crossed continents, countries, desert and sea to reach a life of freedom, safety and opportunity, and specifically those whose first stop in European territory is Lampedusa, the tiny Italian island south of mainland Sicily.

    The first step in fixing a problem is to be aware of it. The purpose, then, of Migrants of the Mediterranean is to introduce migrants as individuals, to see their faces, and after having met them, to develop a higher level of empathy for them as people, and to develop a heightened awareness of the greater global migrant crisis.

    Migrants of the Mediterranean, in short, aims to restore a piece of humanity to the people who in the course of their journeys have had it stripped away.

    Each profile details the migrant’s individual journey: the means and routes taken, the length of time it took to reach Lampedusa, and the incredible and often inhumane difficulties each one encountered to finally reach this Italian shore.


    http://www.migrantsofthemed.com

    #témoignages #migrations #asile #réfugiés #Lampedusa #Méditerranée #survivants #Italie
    cc @reka

  • #Khlaifia e altri c. Italia

    Un arrêt de grande chambre de la CEDH dans une affaire pour laquelle le Gisti avait fait une tierce intervention avec l’ADDE, la LDH et la FIDH.

    Dans un arrêt de chambre du 1er septembre 2015, la Cour avait conclu à la détention irrégulière, dans des conditions dégradantes, de migrants tunisiens placés dans un centre d’accueil sur l’île de #Lampedusa en #Italie. L’arrêt condamnait également l’#expulsion_collective dont avait fait l’objet les requérants, leurs décrets de #refoulement ne faisant pas référence à leur situation personnelle ; or, selon la Cour, la seule procédure d’#identification ne suffit pas à écarter l’existence d’une expulsion collective. L’#arrêt concluait également à la violation du #droit_au_recours effectif du fait de l’absence d’effet suspensif des recours contre les procédures d’expulsion mises en œuvre à l’égard des requérants. Le 1er février 2016, l’affaire a été renvoyée devant la Grande Chambre à la demande du gouvernement italien. L’audience s’est tenue le 22 juin 2016.

    L’arrêt de grande chambre ne retient plus que la violation de l’article 5 (détention irrégulière).

    –-> reçu via la mailing-list migreurop le 15.12.2016
    #jurisprudence #Italie #condamnation #CEDH #renvois #expulsions #détention #rétention

    • Trattenimenti illegittimi, la Corte Europea conferma la condanna all’Italia

      La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo conferma in via definitiva la condanna dell’Italia per trattenimento arbitrario nel centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa e sulle navi prigione ormeggiate nel porto di Palermo. Si tratta del caso Khlaifia e altri c. Italia, avente ad oggetto il trattenimento e l’espulsione di stranieri irregolari a Lampedusa verificatesi nel 2011. Una sentenza che riguarda inevitabilmente anche il trattenimento prolungato attuato ancora oggi negli #Hotspot di #Lampedusa e #Pozzallo.

      Oggi questa sentenza assume un significato ancora più evidente perché mette in luce la pesante corresponsabilità di FRONTEX che intensifica gli attacchi contro gli operatori umanitari, piuttosto che rientrare nei limiti dello stato di diritto. Un esposto (http://www.meltingpot.org/Trattenimenti-amministrativi-e-navi-centri-di-raccolta.html rispetto a quanto si era verificato in Sicilia nel 2011, in piena Emergenza Nord Africa, era stato presentato nell’Agosto dello stesso anno. I legali e gli attivisti che inoltrarono l’esposto alla Procura della Repubblica di Palermo avevano prodotto una quantità impressionante di materiale documentale di ogni tipo, tanto da non avere alcun timore di essere smentiti.

      La Grande Camera, votando all’unanimità, ha riconosciuto la fondatezza della violazione dell’ art. 5 CEDU, perché coloro che hanno fatto ricorso risultano essere stati illegalmente privati della libertà personale, prima nel CPSA di Lampedusa e poi sulle navi attraccate a Palermo che, in maniera del tutto arbitraria, sono state adibite alle stesse funzioni dei centri di detenzione. Ma risulta violato anche l’art. 3 CEDU, in relazione all’art. 13 della Stessa, in quanto ai ricorrenti non è stato garantito l’accesso ad una effettiva procedura di ricorso per poter contestare eventuali (anche se non accertate) violazioni appunto dell’art. 3.
      Non sono state invece riconosciute la violazione dello stesso art. 3 sotto il profilo sostanziale, nè dell’art.4 (divieto di espulsioni collettive) e dell’art. 13 rispetto a dette espulsioni. Ma proprio sulla questione delle espulsioni va rilevata una forte dissenting opinion (opinioni in dissenso) che sostanzialmente assume gli argomenti messi in campo dai ricorrenti.
      Le 120 pagine della pronuncia vanno ben esaminate per capire con esattezza quali effetti sul presente potranno produrre. Ma alcune cose sono ben chiare e rafforzano di fatto il valore del rapporto sull’approccio Hotspot, realizzato da Amnesty International di cui tanto abbiamo parlato e che tanto è stato deriso dal precedente governo. Di fatto tale approccio non offre sufficienti garanzie in merito alla libertà personale di coloro che vengono semplicemente definiti migranti irregolari, e la pronuncia rafforza tutte le criticità che da tempo denunciamo quasi inascoltati.

      A portare avanti il ricorso, che comunque vada segna una tappa importante nel contrasto alle pratiche illegali connesse alle cosiddette “emergenze”, hanno provveduto i legali dell’Asgi, Luca Masera e Stefano Zirulia.

      http://www.a-dif.org/2016/12/15/trattenimenti-illegittimi-la-corte-europea-conferma-la-condanna-allitalia
      #hotspots

    • Pour archivage...
      Trattenimenti amministrativi e navi «centri di raccolta» - Esposto presentato alla Procura di Palermo

      A partire dal mese di agosto diverse centinaia di cittadini stranieri, per la maggior parte di origine nordafricana, sono stati trattenuti presso i Centri di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola a Lampedusa, e di Pozzallo, in provincia di Ragusa, per diverse settimane, in qualche caso anche oltre un mese, senza la tempestiva adozione di provvedimenti formali di respingimento, di espulsione o di trattenimento. Nel CPSA di Lampedusa si è realizzato anche il trattenimento illegittimo di numerosi minori non accompagnati, e analogo trattenimento, ben oltre le esigenze del “primo soccorso”, si è verificato nella ex base Loran ubicata nell’isola di Lampedusa, una struttura di natura incerta, dopo che nel 2009 era stata classificata come CIE ( centro di identificazione ed espulsione) da parte del Ministero dell’interno. A partire da venerdì 23 settembre alcune centinaia di migranti provenienti da Lampedusa, dopo l’incendio del CPSA di Imbriacola nella quale erano trattenuti già da diversi giorni, sono stati trasferiti nel porto di Palermo e rinchiusi su tre navi, la MOBY FANTASY, la MOBY VINCENT, e l’AUDACIA. Su questi fatti si allegano fotografie e articoli giornalistici che documentano le condizioni di totale privazione della libertà personale imposta ai migranti che, a detta delle competenti autorità, sarebbero stati trasferiti sulle navi utilizzate come “centri di raccolta” in attesa dell’espulsione verso la Tunisia. Ed in effetti risulta che una parte di loro, secondo fonti giornalistiche almeno duecento persone, sarebbero stati già rimpatriati in Tunisia, con aerei decollati dall’aeroporto di Palermo. Durante i trasferimenti in autobus, da una nave all’aeroporto, in vista del rimpatrio, ancora all’interno del porto, si sono da ultimo verificati gravi atti di autolesionismo, secondo quanto riferito dagli organi di informazione.

      http://www.meltingpot.org/Trattenimenti-amministrativi-e-navi-centri-di-raccolta.html

  • HotSpot : Così è se vi pare

    A Bruxelles, fonti della Commissione europea, hanno dichiarato che gli hotspot stanno già funzionando sull’isola di Lampedusa e nelle località siciliane di #Augusta, #Pozzallo, #Porto_Empedocle e #Trapani. Il pensiero va subito ad una frase di Bertolt Brecht poeta e drammaturgo tedesco: ”Tra le cose sicure la più sicura è il dubbio”– ed io qualche dubbio ce l’ho. “Forse questi funzionari della commissione europea non hanno mai messo piede a Lampedusa?”
    Da più di un mese a Lampedusa vivono all’interno dell’HotSpot una media di 300 persone. I trasferimenti avvengono con il contagocce e la permanenza, che dovrebbe essere brevissima, si prolunga per settimane. Ad oggi il numero delle presenze all’interno dell’Hotspot é di circa 400 persone che potrebbero viaggiare in maniera regolare e pagarsi un biglietto aereo o navale ma sono costrette dalle leggi dell’UE sull’immigrazione a passare per i centri per migranti e alla fine ad entrare nel mondo del lavoro come manodopera a basso costo, sfruttata e molto spesso senza documenti. Ovviamente e tristemente se non muoiono in mare, ricordiamo che quest’anno è un anno record per le morti nel mediterraneo.

    http://www.lavalledeitempli.net/2016/12/03/hotspot-cosi-vi-pare
    #hotspot #Lampedusa

  • J – 168 : Fuocoammare de Giafranco Rosi est un film virtuose, c’est admirablement filmé, c’est monté d’une façon extrêmement précise et avec un rythme lent magnifique, c’est un film intelligent, les images sont souvent très bien composées, poétiques pour certaines, et pleines d’une suggestion remarquable, ainsi le petit garçon de douze ans, originaire de l’île, souffre d’un mal qui porte le nom d’œil paresseux - quelle métaphore ! - et c’est un film documentaire qui se situe résolument à l’extrême frontière du genre, un pas de plus dans cette direction et le film devient une fiction. Sauf que je me demande si ce point fusionnel entre les deux genres n’entre pas de plain-pied dans le domaine de l’art, non sans avoir survolé les territoires de l’esthétique.

    Or, voilà qui est problématique.

    Dans un film de fiction on peut très bien demander à quelques figurants de faire les morts ou encore à des acteurs de feindre le trépas. En y réfléchissant bien ce doit même être l’essentiel de la production fictionnelle de cinéma : il y a des morts, mais c’est un contrat tacite et implicite entre le réalisateur et le spectateur, personne, en dehors des accidents de tournage, ne meure vraiment.
    Dans un film documentaire, on peut aussi, avec un minimum de discernement, filmer des morts, mais cela reste quelque chose de périlleux, par exemple, dans Nuit et Brouillard , Alain Resnais produit un plan très ambigu où l’on voit un engin mécanique pousser une brassée de cadavres faméliques, et nus, vers une fosse commune au moment de la libération des camps : qui étaient ces personnes dont tout ce qu’il restera à la postérité, finalement, c’est cette image destinée à marquer les esprits, appuyée, qui plus est, par le commentaire lyrique de Jean Cayrol — une horreur —, c’est comme si toute l’existence de ces personnes était cantonnée à un effet cinématographique. Shoah de Claude Lanzmann et S21 de Rithy Pahn sont des documentaires qui traitent de génocides et donc de morts nombreux, mais les morts n’y sont pas filmés, dans S21 , c’est même l’absence de ces derniers qui est filmée, les anciens tortionnaires du camp miment les mauvais traitements qu’ils infligeaient aux détenus, le corps de la victime n’est plus là, il est absent.

    Or, se servir de l’image de la dépouille d’Autrui pour l’incorporer dans une œuvre d’art revient à annexer l’Autre, en faire un objet, ce qu’il n’est pas, ce qu’il ne sera jamais, ce qu’il ne devra jamais être, qui plus est pour servir un but personnel, ici esthétique, rendre plus percutantes des images qui ne manquaient par ailleurs pas de force et certainement pas d’esthétisme, souci d’un traitement esthétique de la lumière, fortes sous-expositions pour dramatiser les scènes nocturnes et saturer les couleurs, cadrages adroits, admirablement composés, tels des tableaux bien souvent.

    Certes ce n’est pas l’obscénité d’un Aï Wei Wei ( https://seenthis.net/messages/461146 ) qui se met en scène dans la pose du cadavre du petit Eylan sur les côtes Turques, ou encore qui pare les colonnes doriques de je ne sais quelle institution culturelle allemande de gilets de sauvetage, mais c’est un pas résolu dans cette direction, dans celle de l’usage que l’on fait de la dépouille de son prochain pour servir une cause personnelle que l’on estime, finalement, supérieure.

    Dans le cas de cette projection au Kosmos de Fontenay-sous-Bois, le film était suivi d’un débat animé par quelques personnes d’Amnesty International et de Maryline Baumard. Je me pose la question de la pertinence de cette saisie d’un tel film tel un étendard pour une organisation non gouvernementale, il me semble que c’est au mieux, improductif, quant à Maryline Baumard du Monde , non contente d’avoir tenu un blog récemment en accompagnant un navire de sauvetage des réfugiés ( https://seenthis.net/messages/506345 ), dans lequel un ton trépidant donne à lire le reportage d’une nouvelle aventure , celle nécessairement bien fondée du sauvetage, assure donc le service après-vente d’une entreprise, Fuocoammare de Giafranco Rosi, aussi fautive que la sienne qu’elle concluait lyrique et triomphante au printemps 2016 : on ne pourra pas dire que l’on ne savait pas … sauf que cela fait, hélas, très longtemps que l’on sait. J’ai donc efficacement résisté à ne pas participer au débat après le film pour ne pas créer de scandale dans le cinéma de mon ami Nicolas, mais il y a des limites.

    Au premier rang, pendant tout le film, les commentaires pas vraiment mezzo voce de cette dame ont résonné, ah oui, ça c’était comme tel ou tel jour ... de son reportage infâme. Cette insistance à vouloir en être, à le faire savoir, comment dire en évitant la grossièreté ?, est d’une telle obscénité anti éthique. La même, en voiture, à la sortie de je ne sais quelle porte du boulevard périphérique, remonte son carreau devant des mendiants brandissant des pancartes Syrian families au motif que l’on voit bien que ce sont des Rroms sans doute.

    J’ai le souvenir prégnant, en 1994, si mes souvenirs sont bons, de voir Bernard-Henri Lévy écarter du bras un Bosniaque d’une tribune où il était venu témoigner du siège de Sarajevo, pour pouvoir prendre la parole.

    Exercice #33, #34 et # 35 de Henry Carroll : #33 Prenez une photographie de vous en train de faire semblant d’être quelqu’un d’autre, # 34 Prenez une photographie de vous en train de faire semblant d’être vous-même et # 35 Prenez une photographie de vous en train d’être vous même.

    #qui_ca

    • #Fuocoammare... longue discussion avec une amie et @albertocampiphoto sur ce film...
      En clé post-coloniale ce film est très problématique... C’est la reproduction des mêmes images, toujours les mêmes... Rosi montre des arrivées d’une #masse_anonyme de #corps #noirs (#mythe/#préjugé de l’#invasion), des #blancs avec #masques et #gants qui les « accueillent »...
      Les gens du village, dont le petit gamin à l’oeil paresseux, qui paraissent avec nom et prénom dans les #génériques, comme si c’était des acteurs, mais pas un seul migrant a l’honneur d’avoir son nom qui défile dans les génériques...
      Aucune contextualisation politique. Alors que ce film se veut un documentaire. Aucune dénonciation, même pas subtile, des politiques migratoires européennes. La seule information qui est donnée, celle des morts en Méditerranée en ouverture du film, n’est pas correcte, un chiffre décidément sous-estimé (je me demande bien où il a sorti ce chiffre, le réalisateur)...
      Réalisateur qui, présent à une projection à Genève, confond allégrement Mare Nostrum, avec Frontex et avec l’opération Triton. Ils les utilisent comme si c’était des synonymes... Cela montre bien qu’il y a un problème dans la préparation du film, car, je le répète, Rosi se présente comme une documentariste !

      Le mérite, à mes yeux, de ce #film, c’est d’avoir montré de façon très claire que migrants et habitants de #Lampedusa, ne se rencontrent jamais... sauf un personnage, le plus intéressant de l’histoire, le médecin... qui soigne l’oeil paresseux du petit gamin, et les brûlures des migrants...

      Bref, des images très très belles, mais beaucoup de réticences quand même vis-à-vis de ce film...

      Voilà.

      #post-colonialisme

    • @cdb_77 C’est étonnant pur moi de constater qu’une personne comme toi qui connais bien le sujet tiques sur tant de choses, ce qui tend à valider mes soupçons qui sont plutôt du côté des images, du vocabulaire visuel, et qui ne sont que des intuitions.

      Merci mille fois de me donner de telles confirmations.

      D’après ce que j’ai vu par la suite, lorsque Rosi a reçu je ne sais quel prix, il était accompagné des « acteurs » de son film, dont le petit garçon, mais effectivement d’aucun réfugié, aucun, qui ne soit, de fait, mentionné au générique. C’est donc une entreprise aussi coupable et égotique que cette de Maryline Baumard ! Ben c’est pas beau.

    • En fait, ce qui m’énerve, c’est que ce film a été montré devant le parlement européen, que Rosi était très fier de le dire.
      Un film qui ne fait qu’alimenter les mêmes préjugés n’a pas de place au parlement européen...

      Autre chose, toujours pendant la prise de parole à la projection, a souvent parlé de #complexité. La migration, les morts en Méditerranée, c’est une sujet complexe, difficile à comprendre...
      En fait, c’est aussi un mensonge, c’est plutôt facile, ça peut s’expliquer en moins de 30 secondes :
      « Chère Europe, tu as fermé les frontières, voilà pourquoi des dizaines de milliers de personnes meurent en Méditerranée ».
      That’s it. Easy.
      Mais dire que c’est complexe, c’est ne pas pointer du doigt les responsables...

      Quelques mots, ou une carte, celle de @reka :


      http://visionscarto.net/mourir-aux-portes-de-l-europe
      That’s it. Easy.

    • J’adhère à 100 à ce qui développe Cristina @cdb_77 et jue veux juste ajouter en plus que j’ai en effet travaillé avec une étudiante à Genève lors d’un atelier de carto à la HEAD qui a très bien montré les stratégies spatiales sur Lampedusa pour « laccueil » des réfugiés et p^ouvé que les habitants de Lampedusa — à moins de fa-ire un gigantesque effort -pour aller à leur rencontre — ne voient pratiquement jamais ne serait-ce que l’ombre d’un·e réfugié·e. Je recherche l’étude.

    • @reka En fait, le fait que les habitants de l’île soient imperméables à ce qu’il se passe autour d’eux est plutôt bien dit dans le film, avec même une certaine élégance, la deuxième séquence du film montre des antennes de radio et des radars qui tournent et diffusent un dialogue invisible, celui d’un naufrage en train de se produire, et , par la suite, il y a ce syndrome de « l’oeil paresseux » du petit garçon qui est une métaphore assez parfaite (et pas trop appuyée).

      Pour le coup, je ne pense pas que ce soit par ce biais là que le film soit attaquable, mais bien davantage dans ce que Christina énumère et qui dit le caractère générique des naufragés.

      Dans le deuxième commentaire de Chrsitina, avec ta carte, oui, la question se pose, at-t-on besoin d’un film élégant et trompeur pour que l’on « prenne conscience » (comme c’est le but de Maryline Baumard dans son blog à la con), quand en fait il n’y a pas de complexité, que celle que l’on voudrait pouvoir agiter à la façon d’un écran de fumée pour rester caché à l’accusation, qui, elle, est irréfutable.

      De la même manière, il y a queques temps il y avait eu un très beau signalement sur seenthis à propos du regain de croissance économique en Suède suite à l’accueil que les suédois avaient fait à de nombreux réfugiés (personnellement je ne suis pas spécialement attaché à la croissance économique, mais bon), et c’est un concept, le concept économique, en faveur d el’accueil des réfugiés, qui est régulièrement démontré et expliqué, mais jamais entendu. C’est même pire que cela, il est entièrement détourné, on dira que l’on na pas les moyens économiques d’accueillir les réfugiés quand en fait cela serait une aubaine (et presque chaque fois on citera la fameuse phrase de Rocard en la tronquant, « la France ne peut accueullir toute la misère du Monde, mais », partie qui saute dans la citation, « elle doit en accueillir sa juste part »). Le raisonnement économique est uniquement là, personne n’y comprend jamais rien à l’économie (alors que ce n’est que de l’extrapolation de comptabilité, autant dire une matière sans mystère), pour cacher une peur culturelle, la peur de l’Autre.

    • Oui oui, je ne me suis peut-être pas bien exprimée, mais le film montre TRES bien (et c’est son mérite, à mes yeux) ces non-rencontres possibles/souhaitées entre migrants et habitants.
      C’est le point fort du film.
      Avec une seule figure de la rencontre : le médecin.
      On aurait peut-être plus en trouver quelques-uns de plus : les travailleurs du hotspot. Ils sont aussi très probablement des habitants de l’île.

    • #Bartòlo e l’incubo che ritorna: «In quei sacchi c’erano i bambini»

      I racconti del «#medico_di_Lampedusa», oggi europarlamentare, premiato a Lerici per la Solidarietà. Trenta anni passati a salvare vite di naufraghi e a dirigere il piccolo poliambulatorio dell’isola

      «Non è perché sono medico che non ho paura. Io ho paura quando devo aprire quei sacchi. Ne ho lì venti, cinquanta, cento, e solo nel momento in cui li apro scopro chi troverò dentro... La mia paura peggiore è che ci sia un bambino. Non sono numeri, sono persone, le vedo in faccia. Il bambino con i pantaloncini rossi mio malgrado l’ho guardato negli occhi, non lo avessi mai fatto, l’ho scosso, volevo si svegliasse, ed oggi è il mio incubo». È denso di umile umanità il racconto del dottor Pietro Bartòlo, noto al mondo come ’il medico di Lampedusa’. Il tendone bianco sulla riva del mare di Lerici (La Spezia) straripa di gente che è lì per sapere, anche per vedere (se lo sguardo regge le immagini proiettate): le parole non bastano, l’assuefazione ci ha anestetizzati, non piangiamo più come ai tempi della «strage di Lampedusa», quando il 3 ottobre del 2013 il mare inghiottì a due passi dalla terraferma 368 viaggiatori, e allora servono le foto, i corpi, i segni delle sevizie, gli sguardi che implorano.

      «Lerici legge il mare», rassegna di letteratura e cultura marinaresca promossa dalla Società Marittima di Mutuo Soccorso assieme al Comune, e curata da Bernardo Ratti, quest’anno ha consegnato a lui il premio per la «Solidarietà in mare», e Bartòlo – che oggi è europarlamentare perché «mi sono detto qua non cambia niente, ho provato come medico, ho scritto libri, ho fatto l’attore in «Fuocoammare», ho girato le scuole e l’Europa, posso ancora provare con la politica, una politica di servizio, una politica come arte nobile » – Bartòlo, dicevamo, condivide il premio con i ragazzi della Capitaneria di porto, i carabinieri, la polizia, i vigili del fuoco «che nei trent’anni in cui ho diretto il poliambulatorio di Lampedusa hanno rischiato la vita tutti i giorni per salvare i naufraghi».
      Scuoiati vivi per renderli bianchi

      Lampedusa è croce e delizia, bellissima e atroce. Per natura è a forma di zattera, si direbbe destinata. «Come arrivano i migranti dalla Libia lo sappiamo solo noi», continua Bartòlo, «lì i neri non hanno lo status di esseri umani, le donne ancora meno. Se sono donne e nere potete immaginarlo», dice scorrendo le diapositive. È passato il tempo in cui si chiedeva se fosse il caso di mostrarle, ora lo ritiene un dovere. Così vediamo le lacrime di Nadir, 13 anni, nero, solo una gamba è bianca: il gioco osceno dei carcerieri libici che scuoiano i vivi per renderli chiari (il fratellino è tutto bianco. Ma lui è tra i morti).

      Vediamo le lacrime di Bartòlo stesso, sceso nella stiva quel 3 ottobre del 2013 al buio, «camminavo su cuscini, non capivo. Poi ho acceso la pila e sono scappato fuori, stavo calpestando i 368 morti»: i più giovani e forti erano stati stivati là sotto senza oblò, nella ghiacciaia per il pesce, e quando avevano cercato di uscire per respirare la botola era stata bloccata da fuori. «Non avevano più polpastrelli né unghie, li avevano consumati prima di soffocare. Capii solo allora il pianto di quelli di sopra: erano i loro fratelli, le madri impotenti».

      Vediamo gli occhi profondi di una giovane madre sdraiata senza abiti sulla lettiga, magrissima, il seno vuoto, gli arti abbandonati come non le appartenessero, «ha perso l’uso delle gambe perché dove era tenuta prigioniera non le ha potute muovere per sei mesi». Un lungo tempo in cui ad accudirla è stata la sua bambina, diventata sua madre a quattro anni. «Abbiamo dato dei biscotti a quella bimba, invece di mangiarli li ha sminuzzati e li ha messi nella bocca della mamma». Il peluche invece lo ha lasciato lì senza guardarlo, «non era più una bambina, cosa se ne faceva? Era stata anche lei violentata, come la madre» (che oggi sta meglio e comincia a camminare). Quante volte ha pensato di mollare e si è rivolto «a chi è sopra di me...», trovando sempre la forza di andare avanti «nelle tante cose belle che comunque accadono».
      Nata due volte

      Perché Bartòlo resta anche una fonte dirompente di speranza, uno che non si arrende e sa che il bene contagia più del male. Così tra le foto passa anche quella di Pietro, che non è Bartòlo ma un bimbo appena nato dopo il salvataggio, ancora a bordo, cui il medico ha legato l’ombelico con il laccio delle sue scarpe. «A quest’altro neonato lo ha legato sua madre strappandosi una lunga ciocca di capelli... Mi ero accorto che a quella ragazza si vedeva la pelle del cranio e pensavo fosse stata torturata, come al solito, invece non avendo le forbici non aveva esitato a strapparseli per il suo bambino. Sono persone straordinarie, non so quanti di noi...».

      E poi vediamo Kebrat, bella come un’attrice: «Nel gruppo di cadaveri ho sentito un battito nel cuore di una donna, impercettibile, pensavo di sbagliarmi. Ho fatto subito il massaggio cardiaco e l’ho inviata in elicottero all’ospedale di Palermo, ma aveva i polmoni pieni d’acqua, era un caso disperato, per quaranta giorni è rimasta in coma. Due anni fa me la sono trovata in aeroporto, veniva per ringraziare: era sposata, madre di due figli, una bella casa in Svezia, un lavoro. Non l’ho riconosciuta, io l’avevo vista morta...».

      Lasciati affogare. Per legge

      Con lui a Lerici c’è l’ammiraglio Vittorio Alessandro, 40 anni di carriera nelle Capitanerie di porto, comandante in varti porti, a lungo responsabile della comunicazione per la Guardia Costiera, un anno intero a Lampedusa. «Nella attuale tempesta di slogan urlati e punti esclamativi, ho potuto non solo raccontare ma vivere esperienze che ti cambiano la vita. A Lampedusa ho compreso come l’energia delle persone a volte si rivela più grande di loro: il rapporto tra i lampedusani e il loro mare è stupefacente. Così come è stato nel naufragio della Costa Concordia, in una notte d’inverno l’Isola del Giglio si è fatta madre di una cosa enorme... Il privilegio – ricorda allora Alessandro – non è di essere buoni, ma di compiere un dovere istituzionale». Perché in mare la solidarietà è legge, e le regole sono «un patrimonio che si è sedimentato, guai a perderlo». Il primo oltraggio «è stato confondere il soccorso, che è senza se e senza ma, e l’accoglienza». Il soccorso non ha vie di mezzo, è un interruttore, o è sì oppure è no, o rispondi o decidi di lasciar morire, «ma se oggi una legge ci dice che salvare l’uomo in mare è reato, che se lo fai ti sequestrano la barca e ti sanzionano, magari tiri dritto. È già successo, hanno chiamato aiuto, nessuno ha risposto. Per legge».
      Le antiche leggi del soccorso in mare

      La spiegazione dell’ammiragiio è tecnica: una operazione di soccorso ha un inizio e una fine, «secondo la norma, è finita solo quando le persone raccolte in mare arrivano a terra. L’emergenza non prevede attese, ve la vedete un’ambulanza costretta a fermarsi per giorni con il malato a bordo, perché in ospedale si fanno riunioni per decidere il da farsi? Se rinunciamo ai codici del mare antichi di secoli, se una legge ci dice che chi è in mare può aspettare, perdiamo la nostra cultura, perdiamo noi stessi». Impressiona un paragone: sulla Costa Concordia c’erano 4.200 persone, «quanti giorni sarebbero stati necessari per portarli in salvo e chiudere l’operazione di soccorso, con i ritmi imposti oggi quando ad arrivare sono 30 o 40 migranti? Lo Stato è riuscito ad autosequestrarsi le navi, a fermare le proprie motovedette... Il ritorno alle regole è fondamentale, non per tornare necessariamente a come eravamo prima, non bisogna essere ideologici, credo si debbano trovare nuove soluzioni, che non possono essere solo italiane, devono essere europee e dell’Onu. Ma nel frattempo dobbiamo esserci!».

      E’ il motivo per cui il dottor Bartòlo oggi siede in Europa, convinto che il trattato di Dublino sia «il nostro capestro. Sono stato uno dei più votati in Italia, mi hanno dato un mandato e non lo deluderò - promette -. Quando la riforma di Dublino sarà varata, tornerò a fare solo il medico». Si capisce che non vede l’ora. Il medico di Lampedusa.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/bartolo-e-lincubo-che-ritorna-in-quei-sacchi-cerano-i-bambini
      #témoignage du #médecin de Lampedusa... qu’on voit dans Fuocoammare...

  • Ethnologie de la #porte

    La porte nous renvoie à de nombreux concepts : le dedans et le dehors, lʹouvert et le fermé, la sécurité et le danger. Issues étroites ou entrées monumentales, la porte est partout et barricade nos chambres, nos maisons ou nos villes mais nous offre aussi un monde inépuisable de pensées.

    Nous vous invitons à cette réflexion avec notre invité Pascal Dibie, professeur dʹethnologie à lʹUniversité de Paris Diderot.


    http://www.rts.ch/play/radio/tribu/audio/ethnologie-de-la-porte?id=8038076

  • Tutto Grasso che cola

    Dopo aver oscurato ogni notizia delle proteste, del successivo incendio di uno dei padiglioni dell’Hotspot ad opera di un gruppo di tunisini che non voleva essere rimpatriato e aver fatto tornare i “migranti” docili destinatari delle nostre amorevoli cure umanitarie, è ora giunto il momento della seconda carica dello stato, del presidente del Senato Grasso. Perché qui non si bada a spese.

    Da sempre il centro di detenzione per migranti a Lampedusa è un luogo in cui si fa profitto sulle persone e in cui si sperimentano pratiche di controllo e repressione giustificando così la massiccia presenza militare sull’isola. Contemporaneamente una tale realtà viene invece rappresentata e narrata dai mezzi d’informazione come un simbolo di accoglienza, di umanità e di rispetto dei diritti umani.

    Qualche giorno prima di ogni visita ufficiale il centro viene svuotato e ripulito e non si verificano nuovi arrivi fino alla fine della visita. Fatto quest’ultimo che conferma come gli “arrivi” e i trasferimenti dei “migranti” a Lampedusa non siano il frutto di una cieca casualità ma di una volontà politica che ha scelto l’isola come frontiera dell’UE e palcoscenico mediatico. Quando l’attenzione di Tv e giornali viene meno l’ente gestore del centro (#Misericordie) ricomincia a massimizzare i profitti attraverso il sovraffollamento, i lunghi tempi di permanenza e la sistematica inadempienza degli standard minimi previsti dall’appalto.

    Sappiamo che i minori vivono spesso in promiscuità con gli adulti e che i servizi igienici del settore dei minori sono stati chiusi dopo che per settimane da uno dei bagni al primo piano colava urina al pian terreno in una stanza dove dormivano una parte dei “migranti”.


    https://askavusa.wordpress.com/2016/07/07/tutto-grasso-che-cola
    #privatisation #asile #migrations #accueil #Lampedusa #Italie #hotspot #hotspots #mineurs #enfants #enfance #MNA #mineurs_non_accompagnés

    Il y a aussi une vidéo :
    https://youtu.be/typN6fMLpX0

  • #Lampedusa, «Mandateci via da questa prigione»

    Scesi in piazza ieri, nel centro di Lampedusa, per chiedere di poter lasciare l’isola, dove sono bloccati da mesi, più di 70 rifugiati sono in sciopero della fame e della sete contro le identificazioni e il “sistema hotspot”. Altri 400 persone sono sbarcati sull’isola in 24 ore

    http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2016/05/07/news/lampedusa-139305423
    #hotspots #asile #migrations #réfugiés #grève_de_la_faim #résistance #manifestation #Italie

    • Mais l’agence #EASO en parle comme si c’était le plus beau endroit du monde... #hypocrisie

      The Cultural Mediators of Lampedusa

      Every EASO Asylum Support Team is made up by national experts coming from the European Member States and cultural mediators to interpret several languages. In the small island of Lampedusa, Italy, migrants can disembark at any time, even at night or during the weekend. EASO’s Asylum Support Team is always ready to receive them, providing not only information on the EU Relocation and family reunification procedures, but also the first assistance and care they need after their long journey.

      https://www.easo.europa.eu/stories-hotspot-lampeduss

  • Traces dispersées de la Route des Balkans
    http://visionscarto.net/balkans-traces-dispersees

    par Aron Rossman-Kiss Le témoignage d’un artiste plasticien, étudiant en ethnologie, dans les Balkans et à Lampedusa. C’est l’aube, et il n’y a pas encore de pluie. Plus tard dans la journée, il va faire froid et une pluie grise, d’automne déjà, va tomber ; à quelques kilomètres de là, de nombreuses personnes vont courir le long des rails en tenant des sacs en plastique au-dessus de leurs têtes. D’autres vont se servir de sacs pour se les attacher autour des pieds — certains portent seulement des tongs, (...)

    #Billets

  • The EU #hotspot approach at #Lampedusa

    The hotspot works as a preemptive frontier, with the double goal of blocking migrants at Europe’s southern borders, and simultaneously impeding the highest number possible of refugees from claiming asylum.

    The Mediterranean of migrants has taken centre stage in public and political debate. The struggle of people fleeing war and violence saturates the Mediterranean waters and shorelines, as people’s chances to find refuge in a safe country relies on informal crossing routes.

    The European “response” to the migration crisis in the Mediterranean, meanwhile, focuses on Italian and Greek islands as hotspots to enforce full identification and border-posts of first deportation, as European Commissioner for Migration, Home Affairs and Citizenship, Dimitris Avramopoulos, recently spelled out in an interview.

    This third piece in our series on the Mediterranean migration crisis, “Transit points and enduring struggles” takes a look at the Lampedusa hotspot, the first of the 11 hotspots along the Greek and Italian frontline of the EU, which is meant to function as a model for all others. Almost five months into its operation, the Lampedusa hotspot full-fingerprinting policy is mainly resulting in illegalisation and destitution paths for migrants and refugees, as we document below.

    http://rightsinexile.tumblr.com/post/142070094802/the-eu-hotspot-approach-at-lampedusa
    #asile #migrations #réfugiés #Italie