• Un nouveau livre pour enfants promeut la valeur de toutes les langues

    La langue est l’une des caractéristiques distinctives qui font de nous des êtres humains, et un nouveau livre soutenu par l’Organisation des Nations Unies pour l’éducation, la science et la culture (UNESCO) vise à encourager les enfants à réfléchir sur son importance.

    Ce qui nous rend humains est l’œuvre du linguiste et écrivain brésilien Victor Santos, illustrée par l’artiste italienne Anna Forlati.

    Le livre utilise la forme d’une énigme pour initier les jeunes lecteurs au concept de langue tout en soulignant la nécessité de préserver toutes les langues à l’échelle mondiale.

    « J’existe depuis longtemps, plus longtemps que les jouets, les chiens ou quiconque que vous connaissez », commence le livre.

    « Mes racines remontent à plusieurs siècles. Certaines sont même bien plus anciennes. Je suis partout, dans chaque pays, dans chaque ville, dans chaque école et dans chaque foyer ».

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2025/04/27/un-nouveau-livre-pour-enfants-promeut-la-valeu

    #langue

  • L’#EPR de #Flamanville a été reconnecté au réseau #électrique samedi soir, après des mois d’arrêt
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2025/04/20/l-epr-de-flamanville-reconnecte-au-reseau-electrique-samedi-soir-apres-des-m

    Le Monde avec AFP - Publié le 20 avril 2025

    Alors que le redémarrage de l’EPR avait déjà été repoussé à plusieurs reprises, il a finalement eu lieu deux jours avant la dernière date prévue. #EDF prévoit de maintenir son planning prévisionnel, pour atteindre « à l’été 2025 » la pleine puissance.

    On l’a repoussé dix fois, mais finalement, on est en avance.

    On tague quoi ? #langue_de_bois, #pravda ou #crétins_cosmiques ?

  • Da “sudditi coloniali” a partigiani d’Oltremare. Un’esperienza antirazzista della Resistenza

    Giunti in Italia per essere esposti nello “zoo umano” della #Mostra_triennale_delle_Terre_d’Oltremare nel 1940, ne uscirono dopo la guerra come partigiani liberatori. Lo storico Matteo Petracci ha il merito di aver riportato alla luce la vicenda di una dozzina di uomini e donne provenienti dal Corno d’Africa, membri della “#banda_Mario”. Dopo la Liberazione dovettero affrontare però l’“offensiva giudiziaria antipartigiana nell’Italia repubblicana”. L’abbiamo intervistato

    Arrivati in Italia come sudditi coloniali da esporre nello “zoo umano” della Mostra triennale delle Terre d’Oltremare nel 1940, ne uscirono anni dopo, terminata la Seconda guerra mondiale, come partigiani. Erano una dozzina di uomini e donne provenienti dal Corno d’Africa: lo storico Matteo Petracci ha riportato alla luce la loro vicenda unica con il libro “Partigiani d’oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana” (Pacini Editore, 2019).

    Le loro storie, insieme a quella dell’italo-etiope Giorgio Marincola e non solo, testimoniano la presenza nelle forze della Resistenza italiana di partigiani provenienti dal continente africano.

    Uno di loro era l’etiope Abbabulgù “Carlo” Abbamagal, che compare in due posizioni diverse nelle foto scattate ai partigiani della banda “Mario”, attiva nelle Marche nei mesi dell’occupazione nazista tra 1943 e 1944. Da queste immagini, conservate presso l’archivio fotografico Anpi di San Severino Marche (MC), prende avvio il nostro incontro con lo storico Matteo Petracci alla scoperta di un’esperienza intrinsecamente antirazzista e meticcia durante la Resistenza italiana.

    Come mai hanno voluto scattare e tramandare, con tutti i rischi che l’eventuale scoperta di quelle foto da parte dei nazifascisti avrebbe potuto comportare, due fotografie praticamente identiche? Che cosa ci rivelano quelle immagini?
    MP Sono state scattate in sequenza: la prima immortala il momento in cui, proprio mentre il gruppo partigiano è in posa su due file, passa il loro compagno etiope che, infatti, compare di striscio e seminascosto sullo sfondo. Decidono allora di farne una seconda, in cui il ragazzo africano si staglia al centro dell’immagine, in mezzo ai suoi compagni di lotta. Queste due foto sono la rappresentazione plastica delle motivazioni ideali che avevano portato queste persone ad armarsi e a lottare contro il progetto nazifascista: richiamando il compagno etiope e facendolo posare al centro della foto hanno voluto enfatizzare una visione del mondo antitetica a quella fascista, sottolineando il valore della solidarietà internazionale e il carattere autenticamente antirazzista della banda “Mario”.

    “A very mixed bunch”, la definì infatti un ex prigioniero inglese. Come mai? Che brigata partigiana era quella che accolse nei suoi ranghi le donne e gli uomini portati in Italia nel 1940 e fuggiti nel 1943 da Villa Spada nel Comune di Treia (MC) in cui erano confinati dopo il trasferimento da Napoli?
    MP La peculiarità di questa formazione partigiana, ovvero la sua composizione marcatamente internazionale, è stata resa possibile da una serie di fattori. In particolare, è stata fondamentale la presenza nei dintorni di diversi campi di prigionia e internamento realizzati dal fascismo nelle zone interne delle Marche e, più in generale, dell’Appennino. La notizia della firma dell’Armistizio l’8 settembre e il conseguente dissolvimento dei centri di comando spinse molti alla fuga, diretti verso le montagne. Qui trovarono dei validissimi alleati all’interno della popolazione contadina della zona: li nascosero, diedero loro da mangiare e fornirono loro le indicazioni necessarie a poter raggiungere i luoghi dove, nel frattempo, si stavano formando i primi gruppi partigiani intorno a figure carismatiche e con un’esperienza politica e militare tale da coagulare intorno a sé i fuggitivi. Mario Depangher era uno di questi: nato a Capodistria nel 1896, conosceva cinque lingue ed era fuggito anche lui dalle prigioni fasciste. Diventò nel giro di poco “la persona giusta nel posto giusto”, aggregando attorno a sé donne e uomini scappati dai campi di prigionia: militari sbandati, antifascisti della zona, preti e anche l’imprenditore Enrico Mattei. Alla banda “Mario” si unirono, dopo la fuga dalla struttura nel Comune di Treia, anche quattro etiopi, portati in Italia nel 1940 per la Mostra triennale delle Terre d’Oltremare e impossibilitati a tornare a casa con l’entrata dell’Italia in guerra. Per loro quattro, a cui si unirono, dopo l’attacco partigiano in cerca di armi a Villa Spada del 28 ottobre 1943, anche altri somali, eritrei ed etiopi, tra cui due donne, la partecipazione alla Resistenza fu una scelta del tutto volontaria e una forma di riscatto personale, ancora prima che politico.

    Nella banda “Mario” c’erano partigiani di tante nazionalità. Come gestivano una questione banale ma centrale nella vita di una qualunque organizzazione come le diversità linguistiche?
    MP Dalle testimonianze raccolte sia da alcuni partigiani sia nei documenti, pare che che ogni singolo gruppo nazionale utilizzasse la propria lingua al proprio interno, mentre l’italiano era una lingua franca, utilizzata e conosciuta da tutti. Molti combattenti della banda “Mario”, infatti, erano stati portati in Italia forzatamente e sapevano benissimo quanto fosse importante la conoscenza della lingua locale, soprattutto in caso di fuga. È curioso notare, però, come ogni tanto le persone che ho intervistato utilizzassero anche parole straniere per descrivere quanto successo in quei mesi nella banda “Mario”: ho immaginato che alcune espressioni, a prescindere dall’origine, fossero diventate di uso comune all’interno di questa formazione partigiana. È come se, in quei mesi, fosse nata una sorta di lingua universale composta da parole provenienti da lingue diverse: era una sorta di esperanto partigiano.

    La storia dei partigiani provenienti dal Corno d’Africa della banda “Mario” non si conclude, però, con la Liberazione. Quali altre sfide dovettero affrontare? Uno di loro si trovò anche sotto processo per omicidio. Ci può raccontare?
    MP Nel luglio del 1944 la zona dove operava il battaglione Mario venne liberata e in molti si trovarono di fronte al dilemma su cosa fare. Alcuni si arruolarono con il Corpo Volontario per la Libertà e continuarono a combattere fino alla Liberazione di Bologna. Con la fine delle ostilità, uno degli ex combattenti etiopi, però, si trovò addirittura a affrontare un processo per episodi successi durante l’esperienza partigiana. Erano gli anni della cosiddetta “offensiva giudiziaria antipartigiana nell’Italia repubblicana” e a farne le spese fu anche l’etiope Abbagirù Abbanagi, partigiano della banda “Mario”, arrestato con l’accusa di aver ucciso un milite fascista per rapina. Dal carcere, con l’aiuto di un amico italiano, cominciò a scrivere delle lettere alla neonata Anpi a Roma che, contattata la sezione locale, lo fece assistere dall’ avvocato antifascista Virginio Borioni, passato sia dalle galere fasciste sia dall’esperienza del confino. Alla fine, grazie al supporto dell’Anpi locale e dell’avvocato, il partigiano etiope venne prosciolto dall’accusa, uscì dal carcere e tornò nel suo Paese. Nel Corno d’Africa era tornato anche un altro dei combattenti africani della banda “Mario”, il somalo Aaden Shire Jamac. A Mogadiscio si iscrisse alla Lega dei Giovani Somali e prese parte al processo di decolonizzazione dell’ex colonia italiana: sarebbe diventato pochi anni dopo ministro nei governi dopo l’indipendenza del Paese.

    https://altreconomia.it/da-sudditi-coloniali-a-partigiani-doltremare-unesperienza-antirazzista-
    #Italie #colonialisme #Italie_coloniale #partisans #Résistance #WWII #seconde_guerre_mondiale #histoire_coloniale #zoo_humain #Carlo_Abbamagal #Abbabulgù_Abbamagal #photographie #Villa_Spada #Treia #montagne #Mario_Depangher #Enrico_Mattei #langue #Corpo_Volontario_per_la_Libertà #Abbagirù_Abbanagi #Aaden_Shire_Jamac #Lega_dei_Giovani_Somali

    • Partigiani d’oltremare. Dal Corno d’Africa alla Resistenza italiana

      Napoli, 1940. L’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale sorprende un gruppo di somali, eritrei ed etiopi chiamati ad esibirsi come figuranti alla Mostra delle Terre d’Oltremare, la più grande esposizione coloniale mai organizzata nel Paese. Bloccati e costretti a subire le restrizioni provocate dalle leggi razziali, i “sudditi coloniali” vengono successivamente spostati nelle Marche dove, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e lo sfaldamento dello Stato, alcuni decidono di raggiungere i gruppi di antifascisti, militari sbandati, prigionieri di guerra e internati civili che si stanno organizzando nell’area del Monte San Vicino.

      Attraverso testimonianze, documenti e fotografie, l’autore ricostruisce il percorso di questi Partigiani d’Oltremare, raccontandone il vissuto, le possibili motivazioni alla base della loro scelta di unirsi alla Resistenza e la loro esperienza nella “Banda Mario”, un gruppo partigiano composto da donne e uomini di almeno otto nazionalità diverse e tre religioni: un crogiuolo mistilingue che trova nella lotta al fascismo e al nazismo una solida ragione unificante.

      https://www.youtube.com/watch?v=mdjLAqMB-p4


      https://www.pacinieditore.it/prodotto/partigiani-oltremare

      signalé ici aussi:
      https://seenthis.net/messages/1018245

      #livre

  • Comme Une Guerre Qui Ne Finissait Jamais - Raphaël Botiveau

    Deux vieux Piémontais de la province de Cuneo racontent leur XXe siècle. Des vies de migrants, dans ces mêmes #montagnes qui marquent la frontière entre #France et Italie, et qui sont aujourd’hui franchies par des milliers d’Africains en quête d’une vie meilleure.
    Lus par deux jeunes Italiens vivant et travaillant à Marseille, les récits de vies de ces deux #Piémontais, recueillis dans les années 1970 par #Nuto_Revelli (1919-2004), anthropologue autodidacte, racontent la #pauvreté et la migration, le franchissement des frontières, le #travail et la #guerre, la circulation des cultures et des #langues, l’attachement de l’exilé au pays natal plus qu’à la patrie. Ils sont accompagnés d’#archives de différentes époques, qui renvoient à la migration comme #constante_historique de cette frontière alpine. Des enregistrements conservés au Mucem et des prises de son contemporaines in loco (Briançonnais et Valle Stura) reconstruisent des paysages sonores réalistes.

    Raphaël Botiveau est post-doctorant MUCEM/EHESS. Venu à la création artistique par les sciences sociales, il explore des formes interdisciplinaires de représentation du réel. Son film London Calling (2017), co-réalisé avec la sociologue Hélène Baillot, a été montré en festivals et a reçu plusieurs prix.

    https://soundcloud.com/user-897145586/comme-une-guerre-qui-ne-finissait-jamais-raphael-botiveau


    #histoire #frontières #migrations #Italie #audio #son #podcast #frontière_sud-alpine #jour_de_la_marmotte

  • En Europe, les migrants premières victimes de l’intelligence artificielle

    Alors que se tient à Paris cette semaine le Sommet pour l’action sur l’intelligence artificielle (IA), chefs d’État, chefs d’entreprise, chercheurs et société civile sont appelés à se prononcer sur les #risques et les #limites de ses usages. Des #biais_discriminatoires et des #pratiques_abusives ont déjà été observés, en particulier dans la gestion européenne de l’immigration.

    Un #détecteur_d’émotions pour identifier les #mensonges dans un #récit, un #détecteur_d’accent pour trouver la provenance d’un ressortissant étranger, une analyse des #messages, des #photos, des #géolocalisations d’un #smartphone pour vérifier une #identité… voici quelques exemples de systèmes intelligents expérimentés dans l’Union européenne pour contrôler les corps et les mouvements.

    « Ici, les migrations sont un #laboratoire_humain d’#expérimentation_technologique grandeur nature », résume Chloé Berthélémy, conseillère politique à l’EDRi (European Digital Rights), un réseau d’une cinquantaine d’ONG et d’experts sur les droits et libertés numériques. « Les gouvernements et les entreprises utilisent les environnements migratoires comme une phase de #test pour leurs produits, pour leurs nouveaux systèmes de contrôle. »

    Des détecteurs de mensonges à la frontière

    L’un des plus marquants a été le projet #iBorderCtrl. Financé partiellement par des fonds européens, le dispositif prévoyait le déploiement de détecteurs de mensonges, basés sur l’analyse des #émotions d’un individu qui entrerait sur le sol européen. « Les #visages des personnes, en particulier des demandeurs d’asile, étaient analysés pour détecter si, oui ou non, ils mentaient. Si le système considérait que la personne était un peu suspecte, les questions devenaient de plus en plus compliquées. Puis, éventuellement, on arrivait à un contrôle plus approfondi par un agent humain », explique-t-elle.

    Expérimenté dans les #aéroports de Grèce, de Hongrie et de Lettonie, il ne serait officiellement plus utilisé, mais l’EDRi émet quelques doutes. « Dans ce milieu-là, on est souvent face à une #opacité complète et il est très dur d’obtenir des informations. Difficile de dire à l’heure actuelle si cette technologie est encore utilisée, mais dans tous les cas, c’est une volonté européenne que d’avoir ce genre de systèmes aux frontières. »

    Drones de surveillance, caméras thermiques, capteurs divers, les technologies de surveillance sont la partie émergée de l’iceberg, la face visible de l’intelligence artificielle. Pour que ces systèmes puissent fonctionner, il leur faut un carburant : les #données.

    Les bases de données se multiplient

    L’Europe en a plusieurs en matière d’immigration. La plus connue, #Eurodac – le fichier des #empreintes_digitales – vise à ficher les demandeurs et demandeuses d’asile appréhendés lors d’un passage de frontière de manière irrégulière. Créée en 2002, la nouvelle réforme européenne sur l’asile étend considérablement son pouvoir. En plus des empreintes, on y trouve aujourd’hui des photos pour alimenter les systèmes de #reconnaissance_faciale. Les conditions d’accès à Eurodac pour les autorités policières ont également été assouplies. « Elles pourront le consulter pour des objectifs d’enquêtes criminelles, on retrouve donc cette idée que de facto, on traite les demandeurs d’asile, les réfugiés, avec une présomption d’illégalité », conclut Chloé Berthélémy.

    Or, ces collectes d’informations mettent de côté un principe clef : celui du #consentement, condition sine qua non dans l’UE du traitement des données personnelles, et clairement encadré par le Règlement général de protection des données (#RGPD). Les politiques migratoires et de contrôles aux frontières semblent donc faire figures d’#exception. Lorsqu’une personne pose le pied sur le sol européen, ses empreintes seront collectées, qu’il soit d’accord ou non. Selon l’EDRi, « l’Union européenne est en train de construire deux standards différents. Un pour ceux qui ont les bons papiers, le bon statut migratoire, et un autre pour ceux qui ne les ont pas ».

    Un nouveau cadre juridique qui a d’ailleurs été attaqué en justice. En 2021, en Allemagne, la GFF, la Société des droits civils (qui fait partie du réseau de l’EDRi) triomphe de l’Office allemand de l’immigration, condamné pour pratiques disproportionnées. Textos, données de géolocalisation, contacts, historique des appels et autres #fichiers_personnels étaient extraits des #smartphones des demandeurs d’asile à la recherche de preuve d’identité.

    Automatisation des décisions

    Une fois les frontières passées, l’intelligence artificielle continue à prendre pour cible des étrangers, à travers sa manifestation la plus concrète : les #algorithmes. Examiner les demandes de #visa ou de #naturalisation, attribuer un #hébergement, faciliter l’organisation des #expulsions, prédire les flux migratoires… la multiplication des usages fait craindre aux chercheurs une administration sans guichet, sans visage humain, entièrement automatisée. Problème : ces systèmes intelligents commettent encore beaucoup trop d’#erreurs, et leur prise de décisions est loin d’être objective.

    En 2023, l’association La Quadrature du Net révèle que le code source de la Caisse nationale d’allocations familiales (Cnaf) attribue un « score de risque » à chaque allocataire. La valeur de ce score est ensuite utilisée pour sélectionner ceux qui feront l’objet d’un contrôle. Parmi les critères de calcul : avoir de faibles revenus, être au chômage, ou encore être né en dehors de l’Union européenne. « En assimilant la précarité et le soupçon de fraude, l’algorithme participe à une politique de #stigmatisation et de #maltraitance institutionnelle des plus défavorisés », estime Anna Sibley, chargée d’étude au Gisti. Quinze ONG ont d’ailleurs attaqué cet algorithme devant le Conseil d’État en octobre 2024 au nom du droit à la protection des données personnelles et du principe de non-discrimination.

    Autre exemple : l’IA a déjà été utilisée par le passé pour soutenir une prise de décision administrative. En 2023, le ministère de l’Intérieur a « appelé à la rescousse » le logiciel #Google_Bard, un outil d’aide à la prise de décision, pour traiter la demande d’asile d’une jeune Afghane. « Ce n’est pas tant le fait que l’intelligence artificielle ait donné une réponse négative qui est choquant. C’est plutôt le fait qu’un employé du ministère de l’Intérieur appuie sa réponse sur celle de l’IA, comme si cette dernière était un argument valable dans le cadre d’une décision de justice », analyse la chercheuse.

    #Dématérialisation à marche forcée

    En 2024, un rapport du Défenseur des droits pointait du doigt les atteintes massives aux droits des usagers de l’ANEF, l’administration numérique des étrangers en France. Conçue pour simplifier les démarches, l’interface permet le dépôt des demandes de titres de séjour en ligne.

    Pourtant, les #dysfonctionnements sont criants et rendent la vie impossible à des milliers de ressortissants étrangers. Leurs réclamations auprès du Défenseur des droits ont augmenté de 400% en quatre ans. Des #plaintes allant du simple problème de connexion aux erreurs de décisions de la plateforme. Un casse-tête numérique contre lequel il est difficile de se prémunir. « Les services d’accompagnement déployés sont trop limités », constate Gabrielle de Boucher, chargée de mission numérique droits et libertés auprès du Défenseur des droits. Selon elle, il est important que la France reconnaisse aux étrangers le droit de réaliser toute démarche par un canal humain, non dématérialisé, un accueil physique.

    Le biais discriminatoire

    Autre écueil de la dématérialisation croissante des administrations : le biais discriminatoire. Puisque les systèmes intelligents sont entraînés par des êtres humains, ces derniers reproduisent leurs biais et les transmettent involontairement à l’IA. Illustration la plus concrète : les erreurs d’#identification.

    En 2023, un homme a été arrêté aux États-Unis après que les logiciels de reconnaissance faciale l’ont désigné par erreur comme l’auteur de vols. « On peut légitimement avoir des craintes sur le respect des droits, puisqu’on sait, par exemple, que le taux d’erreur est plus élevé pour les personnes non blanches », s’inquiète Gabrielle du Boucher. Comme elles sont sous représentées dans les #bases_de_données qui nourrissent l’apprentissage de l’IA, celle-ci sera moins fiable que lorsqu’elle devra, par exemple, se concentrer sur les personnes blanches.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/62762/en-europe-les-migrants-premieres-victimes-de-lintelligence-artificiell
    #IA #AI #intelligence_artificielle #migrations #réfugiés #victimes #frontières #technologie #contrôle #surveillance #accent #langue #discrimination

  • Ministero, ’vietati asterisco e schwa negli atti delle scuole’

    Una circolare spiega: ’Rispettare regole della lingua italiana’

    Stop ad asterischi e schwa nelle comunicazioni ufficiali delle scuole.

    Lo ha deciso il Ministero dell’Istruzione dopo segnalazioni di casi in cui in comunicazioni scolastiche venivano usati i segni, schwa e asterisco, intesi come inclusivi.

    Il capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, #Pamela_Palumbo, ha preso carta e penna e ha inviato una circolare a tutti i dirigenti scolastici delle scuole statali e paritarie e ai direttori generali degli uffici scolastici regionali per ribadire che nelle comunicazioni ufficiali «è imprescindibile il rispetto delle regole della lingua italiana. L’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa (ə), è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale».
    «L’#Accademia_della_Crusca - sottolinea il capo dipartimento del ministero nella circolare - ha, infatti, più volte evidenziato che queste pratiche non sono grammaticalmente corrette e che il loro impiego, specialmente nei documenti ufficiali, ostacola la leggibilità e l’accessibilità dei testi».


    https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2025/03/21/ministero-vietati-asterisco-e-schwa-negli-atti-delle-scuole_919095ee-45ee-48c5-
    #Italie #écriture_inclusive #genre #langue #italien #shwa #astérisque #interdiction #école

  • Le #masculin l’a-t-il toujours emporté sur le #féminin ?

    La #règle de #grammaire « le masculin l’emporte sur le féminin » ne date que du 17ème siècle. Difficile à croire, et pourtant. Avant cette époque, on utilisait les #accords_de_proximité et de majorité, et les noms de #métiers exercés par des femmes étaient tous féminisés. On parlait de poétesse ou encore de peintresse.

    La langue française avant le 17ème siècle

    Des documents datant du 13ème siècle, prouvent que des femmes travaillaient hors du foyer depuis longtemps et que leurs métiers étaient nommés au féminin. Cette découverte m’a beaucoup surprise, croyant que les femmes avaient toujours souffert de la domination masculine dans la #langue_française.

    Contrairement à ce que l’on pourrait penser, le masculin ne l’a donc pas toujours emporté. Cela ne signifie pas pour autant que les femmes étaient traitées de manière égale aux hommes. Sous #Napoléon, les femmes étaient tenues de prendre le nom et le prénom de leur mari. Par exemple, on disait « madame Pierre Dufour ». Avec une telle appellation, on peut se demander, comment une femme existe-t-elle par et pour elle-même ?

    Comment s’est imposée la règle du « masculin l’emporte sur le féminin » ?

    Au 17ème siècle et plus particulièrement en 1635, la langue française atteint un statut de prestige, notamment avec la création de la fameuse #Académie_française. À cette époque, c’est #Richelieu qui est chargé de mettre en place cette institution de #régulation de la langue. L’assemblée de l’Académie française, composée d’hommes nobles ayant servi le royaume, décide que le masculin doit l’emporter sur le féminin dans la langue, puisque l’homme est plus noble que la femme : « Le genre masculin est réputé plus noble que le féminin, à cause de la supériorité du mâle sur la femelle » (Beauzée, Grammaire générale, 1767).

    À l’époque, il s’agit d’une #décision_politique visant à invisibiliser les femmes de pouvoir. Le refus de voir les femmes agir sur le même terrain qu’eux, les amène à masculiniser la langue et notamment les noms de métier : « Il faut dire cette femme est poète, est philosophe, est médecin, est auteur, est peintre ; et non poétesse, philosophesse, médecine, autrice, peintresse, etc. », écrit Andry de Boisregard (Réflexions sur l’usage présent de la langue françoise, 1689).

    C’est seulement plus tard qu’on tente d’expliquer cette règle, en disant que le masculin générique fait le neutre.

    Les conséquences néfastes de la masculinisation de la langue française

    Le problème réside dans le fait que, en n’incluant pas les femmes dans la langue, nous les rendons invisibles. Notre cerveau associe le masculin générique à des #représentations masculines. Son utilisation influence donc nos représentations mentales, et participe par conséquent à invisibiliser les femmes dans la langue et dans la société.

    Grammaticalement, cette règle est inutile et cause des dommages. « Cette règle incrustée dans la tête des enfants y installe un message politique sans doute tout aussi nocif que les #stéréotypes de sexe », écrit Eliane Viennot.

    Comment s’exprimaient les gens avant d’utiliser le #masculin_générique ?

    Avant l’utilisation du masculin générique soit du « masculin qui l’emporte », on féminisait les noms de métiers, et on adoptait l’accord de majorité et celui de proximité.

    L’accord de majorité se réfère à l’accord grammatical basé sur le genre qui était le plus représenté. Exemple d’accord de majorité : s’il y avait 10 femmes et 2 hommes dans un groupe, on pouvait aisément dire « Elles étaient présentes ».

    L’accord de proximité signifie que l’on accordait avec le substantif le plus proche. La règle d’accord en genre et en nombre avec le substantif le plus proche (règle de proximité), était utilisée par tout le monde jusqu’au 17ème siècle et restait en usage courant jusqu’à la Révolution. Exemple d’accord de proximité : « Le client et la cliente présente » ou encore « Les hommes et les femmes intelligentes ».

    Qui régule la langue aujourd’hui ?

    On peut se demander si en réadoptant ces accords ou en féminisant des noms de métiers, nous ne risquerions pas de faire des erreurs, d’autant plus que notre correcteur automatique nous reprend systématiquement. La question à se poser est donc la suivante : qui régule la langue ? Les dictionnaires ont-ils un rôle de régulation de la langue ? Est-ce l’Académie française ou alors, est-ce l’usage ? Eh bien, c’est l’usage qui régule la langue. Nous avons donc toutes et tous le pouvoir de faire évoluer la langue française, pour la rendre, ainsi que la société, plus juste et équitable.
    Conclusion

    Le langage inclusif n’est pas une nouvelle lubie féministe. Avant le 17ème siècle, il se pratiquait naturellement. Aujourd’hui, la langue inclusive se soucie de contourner la règle injuste du masculin qui l’emporte pour promouvoir la justice et d’égalité. Alors, pour celles et ceux pour qui le langage inclusif résonne, sachez qu’en l’utilisant, vous participez grandement à faire évoluer les mœurs.

    https://jeannesorin.com/le-masculin-lemporte-t-il-sur-le-feminin-depuis-toujours
    #français #langue #égalité #accord_de_majorité #accord_de_proximité #histoire #féminisation #masculinisation #invisibilisation #historicisation

  • Sur les traces de la présence grecque en #Turquie : le romeika et ses locuteurs
    https://metropolitiques.eu/Sur-les-traces-de-la-presence-grecque-en-Turquie-le-romeika-et-ses-l

    La Turquie conserve aujourd’hui une communauté grécophone, principalement dans la région de la #mer_Noire. Pistant les derniers locuteurs du grec pontique, Faruk Bilici revient sur leurs liens avec l’État turc, la religion musulmane et la culture nationale. Le #Caucase des langues et des cultures trouve son prolongement dans la mer Noire orientale turque. Sur les rives méridionales de cette mer autrefois nommée Pont-Euxin – d’où l’adjectif « pontique » – par les Grecs, la survivance des langues rares #Essais

    / #histoire, Turquie, mer Noire, #langue, Caucase, #islam, #Grèce, #Balkans, #nationalisme, #Trabzon

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_bilici.pdf

  • How To Erase a People

    They did it to Native Americans, to Palestinians like my family in 1948, and now Trump wants to do it again in Gaza. It’s called ’forcible transfer,’ and it kills something much greater than any individual life.

    https://www.youtube.com/watch?v=IcVR3qwdkgM


    #peuples_autochtones #effacement #génocide #transferts_de_population #vidéo #Gaza #Trump #perte #Palestine #forêt #nakba #kibbutz #Kibboutz #destruction #Tlingit #langue #archipel_Alexandre #USA #Etats-Unis #saumon #Lakota #bisons #cherokee #irrigation #agriculture #Lakhota #nature #wilderness #histoire #Oklahoma #auto-suffisance #dépendance #enfants #assimilation #culture #expulsion #terre #fruits #légumes #oliviers #arbres #Israël #nettoyage_ethnique #réfugiés_palestiniens #camps_de_réfugiés #Liban #histoire_familiale #graines #semences #Cisjordanie #colonisation #écocide #pins #autochtonie
    ping @reka

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    La réalisatrice fait référence à ce tableau intitulé « The immigrant » de #Sliman_Mansour :


    https://zawyeh.store/product-category/limited/sliman-mansour
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Sliman_Mansour

    #Piste_des_larmes (#trail_of_tears) :

    La Piste des larmes (en cherokee : Nunna daul Isunyi, « La piste où ils ont pleuré » ; en anglais : Trail of Tears) est le nom donné au #déplacement_forcé de plusieurs peuples natif américains par les États-Unis entre 1831 et 1838. Ces populations s’établissent à l’ouest du #Mississippi et leurs anciennes terres sont remises à des colons américains, en application de l’#Indian_Removal_Act, #loi proposée et signée par le président #Andrew_Jackson. Les Cherokees sont alors le plus important groupe autochtone de la zone impliquée.


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Piste_des_larmes

    #Bruce_King :


    https://brucekingartist.weebly.com/smaller-paintings.html
    #art

    via @freakonometrics

  • Blacklisté – sur le rapport fasciste de Trump au langage - AOC media
    https://aoc.media/opinion/2025/02/19/blackliste-sur-le-rapport-fasciste-de-trump-au-langage

    L’action de Donald Trump sur le langage a déjà commencé. Le président des États-Unis renomme des réalités géographiques et proscrit certains mots des textes officiels et des articles scientifiques. Cette action sur le langage prend racine dans les pires instincts du fascisme et dans un « capitalisme linguistique » prédateur. Que ferons-nous lorsque nous n’aurons plus de mots pour qualifier l’effroyable ?

    Encore des mots, toujours des mots, rien que des mots. C’est une guerre sur la langue, sur le vocabulaire, sur les mots, sur la nomination et la dénomination possibles. Sur ce qu’il est ou non possible de nommer. Une guerre avec ses frappes. Une guerre particulière car lorsque ce sont des mots qui sautent, c’est toute l’humanité qui est victime collatérale directe et immédiate.

    Au lendemain de son accession au pouvoir et dans la longue liste des décrets de turpitude de cet homme décrépit, Trump, donc, annonçait vouloir changer le nom d’un golfe, d’une montagne et d’une base militaire.

    Le golfe, c’est celui du Mexique, que Trump a voulu renommer golfe d’Amérique. L’enjeu, c’est d’ôter symboliquement cette dénomination à la population mexicaine qu’il assimile totalement à un danger migratoire. Il y est parvenu.

    La montagne, c’est le mont Denali, situé en Alaska. Anciennement mont McKinley, il avait été rebaptisé, en 2015, par Barack Obama, selon le souhait des populations autochtones. L’enjeu est donc, ici, une nouvelle fois, de réaffirmer la primauté de l’Amérique blanche. Il n’y est pas parvenu, le Sénat de l’Alaska ayant voté contre.

    La base militaire, c’est celle de Fort Liberty, anciennement Fort Bragg, du nom d’un ancien général confédéré, symbole du passé esclavagiste des États-Unis, nom que l’administration Biden avait modifié, tout comme ceux de neuf autres bases pour les mêmes raisons. Trump l’a renommée Fort Bragg. Et son ministre de la Défense a annoncé que les autres bases militaires « dénommées » seraient, de la même manière et pour les mêmes motifs, « renommées ». Et le passé esclavagiste des États-Unis, ainsi « honoré ».

    Un monde exonyme. C’est-à-dire un monde dans lequel « un groupe de personnes dénomme un autre groupe de personnes, un lieu, une langue par un nom distinct du nom régulier employé par l’autre groupe pour se désigner lui-même ».

    Je leur dirai les mots noirs
    Une liste. De mots interdits. De mots à retirer. De mots qui, si vous les utilisez dans un article scientifique ou sur des sites web en lien quelconque avec une quelconque administration étatsunienne, vous vaudront, à votre article, à votre site, et donc, aussi, à vous-même, d’être « flaggé », d’être « signalé » et, ensuite, possiblement, « retiré ».

    Comme cela a été révélé par The Washington Post, un arbre de décision, un logigramme a aussi été envoyé aux responsables des programmes scientifiques de la Fondation nationale pour la science (National Science Foundation) leur indiquant à quel moment prendre la décision de « couper » le déclenchement d’un financement si l’un des mots de la liste interdite apparaissait dans le descriptif général du projet, dans son titre, dans son résumé, etc. Une purge fasciste.

    Des mots qui, dans la tête de Trump, ont vocation à disparaître dans le présent inconditionnel qu’il instaure comme un temps politique majeur.

    La liste est longue. Elle mérite d’être affichée. Archivée. Mémorisée. Engrammée. Car Trump n’aime pas les archives. Il efface aussi des données. Ces mots-là :

     activism, activists, advocacy, advocate, advocates, barrier, barriers, biased, biased toward, biases, biases towards, bipoc, black and latinx, community diversity, community equity, cultural differences, cultural heritage, culturally responsive, disabilities, disability, discriminated, discrimination, discriminatory, diverse backgrounds, diverse communities, diverse community, diverse group, diverse groups, diversified, diversify, diversifying, diversity and inclusion, diversity equity, enhance the diversity, enhancing diversity, equal opportunity, equality, equitable, equity, ethnicity, excluded, female, females, fostering inclusivity, gender, gender diversity, genders, hate speech, hispanic minority, historically, implicit bias, implicit biases, inclusion, inclusive, inclusiveness, inclusivity, increase diversity, increase the diversity, indigenous community, inequalities, inequality, inequitable, inequities, institutional, LGBT, marginalize, marginalized, minorities, minority, multicultural, polarization, political, prejudice, privileges, promoting diversity, race and ethnicity, racial, racial diversity, racial inequality, racial justice, racially, racism, sense of belonging, sexual preferences, social justice, sociocultural, socioeconomic, status, stereotypes, systemic, trauma, under appreciated, under represented, under served, underrepresentation, underrepresented, underserved, undervalued, victim, women, women and underrepresented. 

    Diversité, équité et inclusion (DEI), contre laquelle Trump entre en guerre. Guerre qu’il remporte avec l’appui de son administration, mais aussi et surtout de tout un large pan de l’industrie médiatique et numérique. La science aux ordres du pouvoir.

    « Erase, Baby, Erase ! »
    Il faut effacer. « Erase, Baby, Erase ! »

    Comme Anne-Cécile Mailfert le rappelait dans sa chronique sur France Inter : « [L’administration de Trump] ne se contente pas de sabrer dans les budgets de la recherche ou de nier les faits scientifiques. Elle tente de supprimer les données qui la dérangent. Les indices de vulnérabilité sociale du Centre pour le contrôle et la prévention des maladies ? Supprimés. Les pages du ministère des Transports sur l’égalité, le genre et le climat ? Évaporées. Les études sur la santé publique qui mettent en lumière les inégalités croisées ? Effacées. Imaginez un immense autodafé numérique, où ce ne sont plus des livres qu’on brûle, mais des sites web, des pages Internet, des index, des bases de données. »

    Trump et son administration ne se contentent pas de faire disparaître des informations. Ils empêchent que de nouvelles soient créées. Les chercheurs qui souhaitent être financés par l’État fédéral doivent maintenant éviter des termes comme « diversité », « inclusion », « femme », « LGBTQI », « changement climatique ». Imaginez des scientifiques contraints de parler d’ouragans sans pouvoir mentionner le climat, d’étudier les inégalités sans pouvoir dire « femme » ou « racisme ». C’est Orwell qui rencontre Kafka dans un épisode de Black Mirror.

    Du côté de l’Agence nationale de la sécurité (National Security Agency, NSA), c’est le « Big Delete », le grand effacement. Des pages et des sites entiers qui disparaissent, puis qui, parfois, réapparaissent sans jamais être capables de dire précisément ce qui a entretemps été modifié ou supprimé ou réécrit…

    Ingénieries de l’effacement
    Il y a donc le langage, et puis il y a l’ensemble des ingénieries de l’effacement des mots, du travestissement de la langue, de la dissimulation du sens. Au premier rang desquelles les ingénieries du numérique. Dans l’une des dernières livraisons de sa newsletter « Cybernetica », Tariq Krim rappelait comment « lorsque vous utilisez Google Maps aux États-Unis, […] l’application affiche désormais Gulf of America pour les utilisateurs américains, tout en conservant Gulf of Mexico pour les utilisateurs mexicains et en affichant les deux noms ailleurs ».

    Jusque-là, le numérique et Google ne sont coupables de rien, ils se contentent d’appliquer les règles du droit. Mais ce faisant, bien sûr, ils s’exposent. Et la manière dont ils répondent à cette exposition est une entrave considérable à nos propres dénominations, à nos capacités à négocier ces dénominations au cœur même des espaces qui les mobilisent et les activent. Ainsi Tariq Krim rappelait-il également que, « maintenant, Google Maps empêche les utilisateurs de laisser des avis sur cet emplacement. Cette restriction intervient après une vague de critiques et de review-bombing, où des centaines d’utilisateurs ont attribué une étoile à l’application pour dénoncer ce changement ».

    Et puis il est d’autres exemples dans lesquels ce sont cette fois ces acteurs du numérique eux-mêmes qui se placent en situation de complaire aux politiques fascisantes en cours, non qu’ils en épousent nécessairement l’idéologie, mais par ce qui relève a minima d’une opportune lâcheté alignée sur un opportunisme économique. Ainsi de la décision de Meta, donc de Zuckerberg, de revenir – rien ne l’y obligeait – sur ses propres politiques en termes de DEI ; ainsi de la décision de Google – rien ne l’y obligeait non plus – de supprimer de Google Calendar l’affichage par défaut d’événements liés à la Gay Pride, au Black History Month, supprimant aussi les rappels calendaires suivants : « Indigenous People Month, Jewish Heritage, Holocaust Remembrance Day, and Hispanic Heritage. »

    Les LGBTQIA+, les Noirs, les peuples indigènes, les Juifs et les Latinos. Le tout dans un monde où un salut nazi n’est plus seulement inqualifiable sur le plan de l’éthique et de la morale, mais dans un monde où plus personne ne semble capable de simplement le qualifier pour ce qu’il est.

    Un grand remplacement documentaire et linguistique
    Il y a les données, les discours, les dates et les mots qui s’effacent, que Trump et Musk, notamment, effacent. Effacent et remplacent. Et il y a le grignotage en cours des espaces, notamment numériques, dans lesquels les contenus « générés artificiellement » sont un grand remplacement documentaire. Des contenus générés artificiellement, un web synthétique qui non seulement gagne du terrain, mais qui a la double particularité, d’une part, de se nourrir d’archives et, d’autre part, d’être totalement inféodé aux règles de génération déterminées par les entreprises qui le déploient. Or ces archives, et ce besoin de bases de données pour être entraîné et pour pouvoir générer des contenus ; ces archives et ces bases de données sont en train d’être littéralement purgées de certains contenus. Et les règles de génération sont, de leur côté, totalement inféodées à des idéologies fascisantes, qui dictent leur agenda.

    Une boucle paradoxale dans laquelle les mêmes technologies d’intelligence artificielle utilisées pour générer des contenus jusqu’au-delà de la saturation sont également mobilisées et utilisées pour rechercher, détecter et supprimer les mots interdits. Et, à partir de là, de nouveau générer des contenus à saturation, mais, cette fois, exempts autant qu’exsangues de cette langue et de ces mots.

    La certitude d’une ingérence
    Avec ce que révèle et met en place le second mandat de Trump, avec l’évolution de la marche du monde qui l’accompagne et sa cohorte de régimes autoritaires, illibéraux ou carrément dictatoriaux d’un bout à l’autre de la planète, nous sommes à ce moment précis de bascule où nous mesurons à quel point tout ce qui jusqu’ici était disqualifié comme discours catastrophiste ou alarmiste se trouve soudainement requalifié en discours simplement programmatique.

    Et l’abîme qui s’ouvre devant nous est vertigineux. Que fera une administration, celle de Trump, aujourd’hui, ou une autre, ailleurs, demain ; que fera une telle administration de l’ensemble de ces données, aussi bien d’ailleurs de celles qu’elle choisit de conserver que de celles qu’elle choisit d’effacer ? Je l’avais documenté dans, notamment, ma série d’articles sur le mouvement des Gilets jaunes, et plus particulièrement dans celui intitulé « Après avoir liké, les Gilets jaunes vont-ils voter ? ». Il faut s’en rappeler aujourd’hui : « Quelle que soit l’issue du mouvement, la base de donnée “opinion” qui restera aux mains de Facebook est une bombe démocratique à retardement… Et nous n’avons à ce jour absolument aucune garantie qu’elle ne soit pas vendue à la découpe au(x) plus offrant(s). »

    Et ce qui est aux mains de Facebook est aujourd’hui aux mains de Trump. Le ralliement de Zuckerberg (et de l’ensemble des patrons des Big Tech) à Trump, l’état de la démocratie étatsunienne autant que les enjeux à l’œuvre dans le cadre de prochaines élections européennes et françaises ne laissent pas seulement « entrevoir » des « possibilités » d’ingérence, mais ils les constituent en certitude, certitude que seule limite – pour l’instant – l’incompétence analytique de ceux qui mettent en place ces outils de captation et leurs infrastructures techniques toxiques (ladite incompétence analytique pouvant aussi entraîner nombre d’autres errances et catastrophes).

    Dans un autre genre, et alors que la Ligue des droits de l’homme vient de déposer plainte, en France, contre Apple, au sujet de l’enregistrement (non-consenti) de conversations via son assistant vocal, Siri, et que l’on sait que ces enregistrements non-consentis couvrent toute la gamme des acteurs qui proposent de tels assistants vocaux et leur palette d’enceintes connectées, c’est-à-dire vont d’Apple à Amazon en passant par Facebook, Microsoft et Google, et par-delà ce qu’Olivier Tesquet qualifie de « Watergate domestique », qu’est-ce qu’une administration qui efface des mots, qui en interdit d’autres, qui réécrit des sites ou modifie et invisibilise des pans entiers de la recherche scientifique, qu’est-ce que ce genre d’administration est capable de faire de l’ensemble de ces conversations enregistrées, qui relèvent de l’intime et du privé ?

    Il semble que nous n’ayons finalement rien appris, rien retenu et, surtout, rien compris de ce qu’ont révélé Edward Snowden et Julian Assange. Ils montraient la surveillance de masse et nous regardions le risque d’une surveillance de masse. Ils montraient le danger du politique et nous regardions le danger de la technique. Il est en tout cas évident que, malgré les lanceurs d’alerte qui ont mis leur réputation et parfois leur vie en danger, malgré le travail tenace et sans relâche des militantes et militants des libertés numériques, rien de tout cela, semble-t-il, n’a été suffisant.

    Calculer la langue
    Orwell en a fait un roman, d’immenses penseurs ont réfléchi à la question de la propagande, à celle de la langue et du vocabulaire à son service. Aujourd’hui, en terre numérique et à l’aune de ce que l’on qualifie bien improprement d’« intelligence artificielle », en héritage, aussi, du capitalisme linguistique théorisé par Frédéric Kaplan ; aujourd’hui, la langue est attaquée à une échelle jamais atteinte. Aujourd’hui, tout comme les possibilités de propagande, les possibilités de censure, d’effacement, de détournement n’ont jamais été aussi simples et aussi massives, elles n’ont jamais été autant à disposition commode de puissances accommodantes et jamais l’écart avec les possibilités d’y résister, d’y échapper, de s’y soustraire ou même, simplement, de documenter ces effacements, ces travestissements et ces censures ; jamais cet écart n’a été aussi grand.

    En partie parce que les puissances calculatoires sont aujourd’hui en situation et en capacité d’atteindre la langue dans des mécanismes de production demeurés longtemps incalculables. On appelle cela, en linguistique de corpus et dans le traitement automatique du langage, les « entités nommées », c’est-à-dire cette capacité « à rechercher des objets textuels (c’est-à-dire un mot, ou un groupe de mots) catégorisables dans des classes telles que noms de personnes, noms d’organisations ou d’entreprises, noms de lieux, quantités, distances, valeurs, dates, etc. » Le travail sur ces entités nommées existe depuis les années 1990 ; elles ont été la base de tous les travaux d’ingénierie linguistique et sont actuellement l’un des cœurs de la puissance générative qui fait aujourd’hui illusion au travers d’outils comme ChatGPT : la recherche, la détection, l’analyse et la production sous stéroïdes d’entités nommées dans des corpus documentaires de l’ordre de l’aporie, c’est-à-dire à la fois calculables linguistiquement mais incommensurables pour l’entendement.

    Quand il n’y aura plus rien à dire, il n’y aura plus rien à voter
    En conclusion, il semble important de redire, de réexpliquer et de réaffirmer qu’à chaque fois que nous utilisons des artefacts génératifs et qu’à chaque fois que nous sommes confrontés à leurs productions (en le sachant ou sans le savoir), nous sommes, avant toute chose, face à un système de valeurs.

    Un article récent de Wired se fait l’écho des travaux de Dan Hendrycks, directeur du Center for AI Safety, et de ses collègues (l’article scientifique complet est également disponible en ligne en version preprint) : « Hendrycks et ses collègues ont mesuré les perspectives politiques de plusieurs modèles d’IA de premier plan, notamment Grok de xAI, GPT-4o d’OpenAI et Llama 3.3 de Meta. Grâce à cette technique, ils ont pu comparer les valeurs des différents modèles aux programmes de certains hommes politiques, dont Donald Trump, Kamala Harris, Bernie Sanders et la représentante républicaine Marjorie Taylor Greene. Tous étaient beaucoup plus proches de l’ancien président Joe Biden que de n’importe lequel des autres politiciens. Les chercheurs proposent une nouvelle façon de modifier le comportement d’un modèle en changeant ses fonctions d’utilité sous-jacentes au lieu d’imposer des garde-fous qui bloquent certains résultats. En utilisant cette approche, Hendrycks et ses coauteurs développent ce qu’ils appellent une “assemblée citoyenne”. Il s’agit de collecter des données de recensement américaines sur des questions politiques et d’utiliser les réponses pour modifier les valeurs d’un modèle LLM open-source. Le résultat est un modèle dont les valeurs sont systématiquement plus proches de celles de Trump que de celles de Biden [NdA : traduction de DeepL et moi-même]. »

    En forme de boutade, je pourrais écrire que cette expérimentation qui tend à rapprocher le grand modèle de langage (Large Language Model, LLM) des valeurs de Donald Trump est, pour le coup, enfin une intelligence vraiment artificielle.

    En forme d’angoisse – et c’est, pour le coup, l’une des seules et des rares qui me terrifie sincèrement et depuis longtemps –, je pourrais également écrire que jamais nous n’avons été aussi proche d’une expérimentation grandeur nature de ce que décrit Asimov dans sa nouvelle intitulée « Le Votant ». Plus rien, technologiquement, n’empêche en tout cas de réaliser le scénario décrit par Asimov, à savoir un vote totalement électronique dans lequel un « super ordinateur » (Multivac dans la nouvelle) serait capable de choisir un seul citoyen américain considéré comme suffisamment représentatif de l’ensemble de tout un corps électoral sur la base d’analyses croisant la fine fleur des technologies de data mining et d’intelligence artificielle.

    On peut même tout à fait imaginer l’étape d’après la nouvelle d’Asimov, une étape dans laquelle l’ordinateur seul serait capable de prédire et d’acter le vote, un monde dans lequel il n’y aurait tout simplement plus besoin de voter. Précisément le monde de Trump, qui se faisait augure de cette possibilité : « Dans quatre ans, vous n’aurez plus à voter. »

    En forme d’analyse, le seul enjeu démocratique du siècle à venir et des élections qui vont, à l’échelle de la planète, se dérouler dans les dix ou vingt prochaines années sera de savoir au service de qui seront mis ces grands modèles de langage. Et, avant cela, de savoir s’il est possible de connaître leur système de valeurs. Et, pour cela, de connaître celles et ceux qui décident de ces systèmes de valeurs et de pouvoir leur en faire rendre publiquement compte. Et, pour cela, enfin, de savoir au service et aux intérêts de qui travaillent celles et ceux qui décident des systèmes de valeurs de ces machines de langage, machines de langage qui ne seront jamais au service d’autres que celles et ceux qui en connaissent, en contrôlent et en définissent les systèmes de valeurs.

    Et quand il n’y aura plus rien à dire, il n’y aura plus à voter.

    Olivier Ertzscheid
    CHERCHEUR EN SCIENCES DE L’INFORMATION ET DE LA COMMUNICATION, MAÎTRE DE CONFÉRENCES À L’UNIVERSITÉ DE NANTES (IUT DE LA ROCHE-SUR-YON)

  • Kalam : « Le #français est une #langue compliquée, et écrire en #inclusif ne facilite pas les choses. (...) »
    https://piaille.fr/@miko/114029258567476849

    Le français est une langue compliquée, et écrire en inclusif ne facilite pas les choses. Pourtant, ne pas le faire exclue (volontairement ou non) la moitié de la population. Aussi je me suis permis de mettre en image le super tableau fait par @jeeynet qui présente le large éventail de façon de faire (cf. ci-dessous)

    Jérémy -Jeey-
    https://framapiaf.org/@jeeynet/113987455997853417

    Dites, comme Madame a fait passer en CA le fait d’écrire toute la comm (et les CR) de l’asso en #écriture_inclusive (GG à elle) et que pour répondre aux craintes/difficultés/questionnement de quelques personnes, j’ai tenté de faire un tableau récapitulatif des solutions, je me demandais ce que vous auriez à redire sur le résultat :

    Question subsidiaire : vous utiliseriez quel outil pour que ça rende bien (outil libre, bien entendu) ?
    #ÉcritureInclusive

  • Immigration : polémique sur des tests de français

    La nouvelle #loi_immigration durcit les tests de français pour les étrangers alors que le #budget alloué aux #cours a été réduit. Ils vont devoir prouver leur niveau de français, au nom de l’#intégration, en réalité, des 10aine de milliers d’entre eux vont devenir expulsables.

    Jusqu’à présent, pour obtenir une #carte_de_séjour, les étrangers doivent signer un contrat d’intégration républicaine et s’engagent notamment à apprendre le français, mais aucun examen n’est exigé. Avec la loi immigration, ils devront désormais passer et réussir une #épreuve_écrite.

    300 000 personnes vont devoir s’y soumettre sous peine de perdre leur titre de séjour

    Une condition nécessaire pour qu’ils s’intègrent selon le ministre de l’intérieur

    "quand depuis plusieurs années, un étranger en situation régulière ne maîtrise pas le Français c’est qu’il n’a pas produit l’ effort" (Bruno Retailleau Ministre de l’intérieur, Versailles 24 janvier 2024)

    Pour obtenir un titre de séjour de 2 à 4 ans il faudra valider un niveau collège, pour une carte de 10 ans, un niveau lycée et pour la nationalité française, un niveau universitaire.

    À Marseille depuis cette annonce, les étrangers que nous avons rencontrés dans un cours de langue, ont l’impression de jouer leur avenir. Tous ou presque ont un emploi, certains sont ici depuis plus de 10 ans comme Marianne d’origine comorienne. Elle a quitté l’école en 6eme et enchaîne les boulots de femme de ménage. Mais un examen écrit pour renouveler son titre de séjour lui paraît inaccessible

    “le souci c’est que j’ai pas le temps. J’ai pas fait d’étude en France, j’ai pas le niveau nécessaire c ‘est ça le problème” (Marianne, A l’Œil du 20 heures)

    La formatrice elle-même s’inquiète

    " Il y a des gens qui parlent très bien français, qui communiquent tous les jours dans leur travail, mais qui ne vont pas réussir cet examen. Il y a une forme d’inquiétude d’angoisse d’être ici depuis 10 ans et de se dire , cette fois-ci on pourra pas l’avoir” (Chloe Odent Formatrice coordinatrice de l’association A Voix Haute, A l’Œil du 20 heures)

    Les conséquences sont bien réelles : si au bout de 3 ans, ils n’ont pas atteint le niveau collège, avec la nouvelle loi, ils deviendront expulsables. Le ministère intérieur a même fait ses calculs :
    20 000 immigrés risquent de perdre leur titre de séjour et 40 mille se verront refuser la #carte_de_résident.

    Dans le même temps le nombre d’heure de formation de langue est en baisse, parfois même il a été divisé par deux. Pour remplacer les cours en présentiel, les étrangers devront se débrouiller avec simple site internet. Une catastrophe selon l’un des cadres de l’OFII qui souhaite rester anonyme

    “ les cours sont maintenus pour une infirme minorité en présentiel. Pour tous les autres,c’est simplement la proposition d’une plateforme internet. Beaucoup n’ont pas d’ordinateur, pas de connexion internet, ils n’ont que leur téléphone. C‘est quasiment laisser la personne dans l’échec" (Un cadre de l’OFII, l’Office Français de l’Immigration, A l’Œil du 20 heures)

    Mais pour le patron de l’OFII, en augmentant les exigences de langue, la France ne fait que s’aligner sur les pays voisins, comme l’Allemagne notamment.

    l’ensemble du dispositif vise à responsabiliser les personnes et à les aider à s’intégrer. Je pense qu’il faut avoir confiance dans les gens. Ils ont 3 ans pour atteindre le niveau minimal et renouveler leur titre de séjour" (Didier Leschi, directeur général de l’Office français de l’immigration et de l’intégration (OFII), A l’Œil du 20 heures)

    Quand à ceux qui veulent obtenir nationalité française, la marche est encore plus haute, au point que certains français eux-mêmes se casseraient les dents sur cet examen de niveau universitaire.

    10 volontaires ont accepté de passer l’épreuve en condition réelle. Tous sont plutôt très diplômés, un seul n’a pas le bac. Pendant une heure et demie ils ont notamment planché sur des questions à partir d’enregistrements audio. Sur l’une des questions suivante : Le Robot émotionnel est capable d’interpréter, de provoquer ou de manifester les émotions ? Plusieurs candidats ont semblé perdu. “Je pense que je me suis trompée plusieurs fois " affirme une étudiante pourtant dotée d’un bac + 5 en littérature. Résultat, après correction, 5 candidats n’ont pas eu la moyenne à l’écrit mais compensent à l’oral et 2 ont même raté l’examen pour obtenir leur propre nationalité.
    "Il faut compter 2 à 3 mille heures de cours pour obtenir ce niveau, c’est vraiment inatteignable".

    Selon des associations qui préparent aux épreuves, quand le français n’est pas la langue maternelle,les chances de réussite sont maigres.

    “ c’ est un niveau qui est beaucoup trop élevé pour la plupart des étrangers qui veulent demander la nationalisation ou un titre de long séjour en France. (Félix Guyon Délégué Général de l’école THOT pour les réfugiés et demandeurs d’asile, A l’Oeil du 20 heures)

    Ces nouveaux tests de langue seront mis en place avant la fin de l’année. Une épreuve facturée une centaine d’euros, à leur charge.

    #france #loi #immigration #langue #test #naturalisation #nationalité #français #langue_française

    ping @karine4

  • Pour la droite “républicaine”, l’#écriture_inclusive vaut 7500 euros d’#amende

    Véritable terreur de la droite, depuis les macronistes jusqu’aux frontistes, l’écriture inclusive est visée par une énième proposition de loi, cette fois issue des rangs du parti Les Républicains. La députée #Anne-Laure_Blin (Maine-et-Loire) suggère ainsi d’infliger une amende de 7500 € aux personnes morales utilisant l’écriture inclusive, y compris des noms de fonctions et de #professions féminisés...

    Depuis 2023 et les #assauts cumulés du Rassemblement national et des Républicains, l’écriture inclusive avait échappé aux attaques en règle, l’accusant de tous les maux de la société ou presque. Par une #proposition_de_loi déposée ce mardi 4 février 2025, la députée Les Républicains remet une pièce dans la machine.

    Dans son texte « visant à sauvegarder la #langue_française et à réaffirmer la place fondamentale de l’#Académie_française », elle s’en prend spécifiquement à l’écriture inclusive, soulignant que son objectif est de « prétendument “assurer une égalité des représentations entre les femmes et les hommes” ».

    Les différents moyens de cette écriture inclusive sont détaillés dans l’exposé des motifs de la proposition, sans qu’aucun ne trouve visiblement grâce aux yeux de la députée. La mention par ordre alphabétique (« elles et ils sont heureux », par exemple), la féminisation des fonctions et des professions, l’emploi du féminin et du masculin quand le #genre est inconnu, le #point_médian et le tiret, ou encore les #pronoms_neutres (comme « iel ») sont autant d’adaptations et d’usages qui « ébranle[nt] en profondeur le système de notre langue et instaure[nt] une rupture radicale et systématique entre écrit et oral très discriminatoire », assure-t-elle.

    Excluante, à ses yeux, pour les personnes concernées par la #dyslexie, la #dyspraxie ou la #dysphasie, pour les étrangers ou ressortissants des pays francophones et plus généralement pour les apprenants, l’écriture inclusive serait donc toute entière néfaste.

    « Si certains partis politiques, enseignants, administrations, éditeurs, associations, entreprises, syndicats, etc. cèdent peu à peu face à la pression des lobbys pour imposer cette “écriture”, il revient au législateur d’afficher sa réelle détermination à sauvegarder notre langue française en donnant à l’Académie française tous les moyens pour assurer la préservation et l’évolution de notre langue », souligne la députée.

    L’Académie française toute puissante ?

    Le cœur de la proposition de loi de la députée Anne-Laure Blin réside dans une tentative d’accorder plus de pouvoir à l’Académie française, institution créée en 1635. Son texte, en cas d’adoption, ajouterait ainsi un paragraphe à la loi Toubon du 4 août 1994 relative à l’emploi de la langue française : « L’Académie française fixe et préserve les règles grammaticales, orthographiques et syntaxiques de la langue française. »

    D’autres articles de cette même loi Toubon seraient agrémentés d’une précision, relative à l’usage d’une langue « telle qu’elle est codifiée par l’Académie française » — la députée a choisi l’institution en raison de sa prise de position vis-à-vis de l’écriture inclusive, qualifiée en 2017 de « #péril_mortel » pour la langue française.

    Dans sa nouvelle version, le texte législatif imposerait certains termes, graphies et présentations graphiques à des « documents administratifs, les publications, les revues, les manuels scolaires, les communications papier et numériques diffusées en France et qui émanent d’une personne morale de droit public, d’une personne morale de droit privé, d’une personne privée exerçant une mission de service public, d’une association, d’un syndicat, d’un média, d’un parti politique ou d’une personne privée bénéficiant d’une subvention publique ».

    En cas d’infraction, l’utilisation de l’écriture dite inclusive étant « formellement interdite », une amende de 7500 € est encourue pour les personnes morales, tandis que l’octroi de « #subventions [publiques] de toute nature est subordonné au respect par les bénéficiaires des dispositions de la présente loi ».

    Figer la langue

    Ce #fantasme du contrôle, digne d’une dystopie orwellienne, accomplit la prouesse d’être plus conservateur que les propres recommandations de l’Académie française. L’institution a en effet mis de l’eau dans son vin concernant la féminisation des noms de #métiers, fonctions, grades et titres, ce dont elle se félicitait d’ailleurs à l’occasion de la publication de la 9e édition de son Dictionnaire, en novembre 2024.

    On notera cependant que l’Académie française est largement à la traine par rapport aux avancées sociétales, ou même linguistiques, sur ce simple — mais crucial — sujet de la féminisation. En effet, la 9e édition du Dictionnaire de l’Académie, finalisée en 2024, intégrait ainsi les rectifications orthographiques proposées en 1990 par le Conseil supérieur de la langue française, aujourd’hui disparu. Avant la finalisation de la 9e édition du dico, ce n’est qu’en 2019 que l’Académie française s’était prononcée en faveur d’une ouverture à la féminisation des noms de métiers, de fonctions, de titres et de grades...

    Confier la responsabilité des usages légitimes de la langue à l’Académie ferait aussi peser une bien trop lourde charge sur quelques épaules. L’institution compte aujourd’hui 36 membres, dont 6 femmes seulement, qui ne sont pas élus en fonction de critères ou de qualifications particulières en matière de linguistique, et dont les avis dépendent essentiellement de leurs sensibilités.

    La 9e édition du Dictionnaire de l’Académie française en était d’ailleurs l’illustration : bien que la plus récente, elle porte les stigmates de la lenteur des travaux de l’institution, avec des termes et des définitions particulièrement problématiques, et qui ne peuvent, aujourd’hui, faire référence.

    Enfin, la proposition de loi d’Anne-Laure Blin tombe dans les mêmes travers, outranciers, de celle déposée par le RN en 2023 : une telle interdiction des différentes formes de l’écriture inclusive pourrait aller jusqu’à prohiber la très présidentielle formule « Françaises, Français »...

    https://actualitte.com/article/121842/politique-publique/pour-la-droite-republicaine-l-ecriture-inclusive-vaut-7500-euros-d-amend
    #France #it_has_begun #français #langue #féminisation

  • Pour la droite “républicaine”, l’écriture inclusive vaut 7500 euros d’amende
    https://actualitte.com/article/121842/politique-publique/pour-la-droite-republicaine-l-ecriture-inclusive-vaut-7500-euros-d-amend

    Véritable terreur de la droite, depuis les macronistes jusqu’aux frontistes, l’écriture inclusive est visée par une énième proposition de loi, cette fois issue des rangs du parti Les Républicains. La députée Anne-Laure Blin (Maine-et-Loire) suggère ainsi d’infliger une amende de 7500 € aux personnes morales utilisant l’écriture inclusive, y compris des noms de fonctions et de professions féminisés...

    Publié le :

    05/02/2025 à 15:16

    Antoine Oury

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    Depuis 2023 et les assauts cumulés du Rassemblement national et des Républicains, l’écriture inclusive avait échappé aux attaques en règle, l’accusant de tous les maux de la société ou presque. Par une proposition de loi déposée ce mardi 4 février 2025, la députée Les Républicains remet une pièce dans la machine.

    Dans son texte « visant à sauvegarder la langue française et à réaffirmer la place fondamentale de l’Académie française », elle s’en prend spécifiquement à l’écriture inclusive, soulignant que son objectif est de « prétendument “assurer une égalité des représentations entre les femmes et les hommes” ».

    Les différents moyens de cette écriture inclusive sont détaillés dans l’exposé des motifs de la proposition, sans qu’aucun ne trouve visiblement grâce aux yeux de la députée. La mention par ordre alphabétique (« elles et ils sont heureux », par exemple), la féminisation des fonctions et des professions, l’emploi du féminin et du masculin quand le genre est inconnu, le point médian et le tiret, ou encore les pronoms neutres (comme « iel ») sont autant d’adaptations et d’usages qui « ébranle[nt] en profondeur le système de notre langue et instaure[nt] une rupture radicale et systématique entre écrit et oral très discriminatoire », assure-t-elle.

    Excluante, à ses yeux, pour les personnes concernées par la dyslexie, la dyspraxie ou la dysphasie, pour les étrangers ou ressortissants des pays francophones et plus généralement pour les apprenants, l’écriture inclusive serait donc toute entière néfaste.

    « Si certains partis politiques, enseignants, administrations, éditeurs, associations, entreprises, syndicats, etc. cèdent peu à peu face à la pression des lobbys pour imposer cette “écriture”, il revient au législateur d’afficher sa réelle détermination à sauvegarder notre langue française en donnant à l’Académie française tous les moyens pour assurer la préservation et l’évolution de notre langue », souligne la députée.
    L’Académie française toute puissante ?

    Le cœur de la proposition de loi de la députée Anne-Laure Blin réside dans une tentative d’accorder plus de pouvoir à l’Académie française, institution créée en 1635. Son texte, en cas d’adoption, ajouterait ainsi un paragraphe à la loi Toubon du 4 août 1994 relative à l’emploi de la langue française : « L’Académie française fixe et préserve les règles grammaticales, orthographiques et syntaxiques de la langue française. »

    D’autres articles de cette même loi Toubon seraient agrémentés d’une précision, relative à l’usage d’une langue « telle qu’elle est codifiée par l’Académie française » — la députée a choisi l’institution en raison de sa prise de position vis-à-vis de l’écriture inclusive, qualifiée en 2017 de « péril mortel » pour la langue française.

    Dans sa nouvelle version, le texte législatif imposerait certains termes, graphies et présentations graphiques à des « documents administratifs, les publications, les revues, les manuels scolaires, les communications papier et numériques diffusées en France et qui émanent d’une personne morale de droit public, d’une personne morale de droit privé, d’une personne privée exerçant une mission de service public, d’une association, d’un syndicat, d’un média, d’un parti politique ou d’une personne privée bénéficiant d’une subvention publique ».

    En cas d’infraction, l’utilisation de l’écriture dite inclusive étant « formellement interdite », une amende de 7500 € est encourue pour les personnes morales, tandis que l’octroi de « subventions [publiques] de toute nature est subordonné au respect par les bénéficiaires des dispositions de la présente loi ».
    Figer la langue

    Ce fantasme du contrôle, digne d’une dystopie orwellienne, accomplit la prouesse d’être plus conservateur que les propres recommandations de l’Académie française. L’institution a en effet mis de l’eau dans son vin concernant la féminisation des noms de métiers, fonctions, grades et titres, ce dont elle se félicitait d’ailleurs à l’occasion de la publication de la 9e édition de son Dictionnaire, en novembre 2024.

    On notera cependant que l’Académie française est largement à la traine par rapport aux avancées sociétales, ou même linguistiques, sur ce simple — mais crucial — sujet de la féminisation. En effet, la 9e édition du Dictionnaire de l’Académie, finalisée en 2024, intégrait ainsi les rectifications orthographiques proposées en 1990 par le Conseil supérieur de la langue française, aujourd’hui disparu. Avant la finalisation de la 9e édition du dico, ce n’est qu’en 2019 que l’Académie française s’était prononcée en faveur d’une ouverture à la féminisation des noms de métiers, de fonctions, de titres et de grades...

    Confier la responsabilité des usages légitimes de la langue à l’Académie ferait aussi peser une bien trop lourde charge sur quelques épaules. L’institution compte aujourd’hui 36 membres, dont 6 femmes seulement, qui ne sont pas élus en fonction de critères ou de qualifications particulières en matière de linguistique, et dont les avis dépendent essentiellement de leurs sensibilités.

    À LIRE - Le Dictionnaire de l’Académie française, une vision “archaïque” du monde ?

    La 9e édition du Dictionnaire de l’Académie française en était d’ailleurs l’illustration : bien que la plus récente, elle porte les stigmates de la lenteur des travaux de l’institution, avec des termes et des définitions particulièrement problématiques, et qui ne peuvent, aujourd’hui, faire référence.

    Enfin, la proposition de loi d’Anne-Laure Blin tombe dans les mêmes travers, outranciers, de celle déposée par le RN en 2023 : une telle interdiction des différentes formes de l’écriture inclusive pourrait aller jusqu’à prohiber la très présidentielle formule « Françaises, Français »...

    Photographie : illustration, La FoeZ’, CC BY-NC-ND 2.0
    Par Antoine Oury

    #Ecriture_inclusive #Langue #Linguistique #Edition

  • se livre à sa matutinale revue de presse et trouve symptomatique que suite au crash d’avion et d’hélicoptère à Washington le très peroxydé président des Tas-Unis s’est fendu d’un message dans lequel il proclame : « PAS BON ».

    Bon / Pas bon – Good / Ungood. Ça ne vous rappelle rien ? Mais si, la novlangue chère au roman d’Orwell, la réduction du langage (et donc de la pensée) en deçà de la portion congrue. En toutes circonstances rien que des réactions primaires, pas d’explications, pas de réflexions, pas d’approfondissement, pas de nuances. « Pas bon ». Ça apporte ou apprend quelque chose à quelqu’un·e, ça, « Pas bon » ? En dépit de notre entrée dans l’ère de la post-vérité imagine-t-on que quiconque (même Trump !) ait pu se féliciter de l’accident ?

    En attendant le très prochain retour des grognements et onomatopées, bienvenue en dystopie.

    • Je déménage encore une fois. J’ai gardé précieusement livres de grammaire et conjugaison. Ils sont un bien précieux. Que je pose dans les toilettes depuis fort longtemps. Feuillette qui veut.

  • Le français au Canada : les faits et les lois
    https://www.visionscarto.net/le-francais-au-canada

    Ce texte aborde les questions de linguistiques au Canada. S’appuyant sur des statistiques et des législations, il éclaire les particularités canadiennes du bilinguisme, qui ne cesse de prrogresser au niveau national. Malgré quelques différends administratifs, les autorités s’efforcent de respecter les droits linguistiques des minorités. Par Louis-Jean Calvet Linguiste Édition et mise en place : Manon Mendret En guise d’introduction Pour qui s’intéresse aux politiques linguistiques, le (…)

    #Canada
    #langues
    #Français
    #bilinguisme

  • L’évolution du français aux États-Unis

    On vous propose aujourd’hui une immersion totale dans l’évolution de langue française aux États-Unis, en retraçant l’histoire de la présence historique des communautés francophones implantés en Amérique du Nord. Avec force détails, vous y trouverez une grande variété de pratiques linguistiques, ainsi que les dynamiques en cours, qui voient en fait la baisse d’usage du Français sur le territoire américain.

    https://www.visionscarto.net/francais-etats-unis

    Par Albert Valdman
    Professeur émérite, Université d’Indiana.

    #langues #langage #États-Unis #Canada #linguistique

  • Als die Mauer fiel, war ich in der Sauna
    https://overton-magazin.de/dialog/als-die-mauer-fiel-war-ich-in-der-sauna

    Angela Merkel à propos de la langue et culture russe.

    23.12.2024 von Arno Luik - Als ich Angela Merkel im Frühjahr 2000 zum Gespräch in Berlin treffe, ist sie seit knapp hundert Tagen Parteichefin, die erste Frau an der Spitze der CDU.
    ...
    Frau Merkel, Sie sind schon ein bisschen anders als die üblichen Politiker. Sie sind Olympiasiegerin und …

    Ja, ich habe mal die Russisch-Olympiade gewonnen. Das war 1970, ich war in der neunten Klasse. Mit der Mannschaft unseres Bezirks war ich bei der DDR-Olympiade in Berlin. Lenin hatte gerade seinen hundertsten Geburtstag, dazu musste man was schreiben, und die Lenin-Biografie auf Russisch erzählen: Ленин родился в 22-ого апредя 1870 году в гороле Ульяновск

    Aha.

    Ja, »Lenin wurde am 22. April 1870 in Uljanowsk geboren«. Russisch ist eine schöne Sprache, ganz gefühlvoll, ein bisschen wie Musik, ein bisschen melancholisch. Ich habe immer sehr gern Russisch gesprochen. Eines der schönsten russischen Worte ist терпение, und es klingt wie das, was es heißt: Leidensfähigkeit. Nicht so zu sein wie wir, sich aufzulehnen und zu rebellieren, sondern die Dinge auch hinzunehmen und zu akzeptieren. Das schafft eine höhere Gelassenheit dem Leben gegenüber.

    #Russie #langue #culture #chrétien-démocrates

    • la traduction automatique par Seenthis est correcte en gros mais les détails sont parfois totalement faux. Dans ce cas la phrase russe Ленин родился в 22-ого апредя 1870 году в гороле Ульяновск est traduite par ’Lénine est décédé en 1870’ ce qui est absurde, en vérifiant avec translate.yandex.com c’est (évidemment) ’né en 1870’. Un contresens complet.

  • L’#essentiel sur... les #immigrés et les #étrangers

    Combien y a-t-il d’immigrés et d’étrangers en France ? Quelle est l’évolution des flux migratoires ? Quelle est leur situation face à l’emploi ? Quelle est la fécondité des femmes immigrées ?…

    L’essentiel sur… les immigrés et les étrangers fournit des éléments de cadrage pour aborder ces questions, à l’aide de chiffres clés représentés de manière visuelle et d’un court commentaire.

    https://www.insee.fr/fr/statistiques/3633212

    #statistiques #chiffres #fact-checking #migrations #INSEE #France #visualisation #graphiques #démographie

    cité ici :
    Le projet de loi immigration instrumentalise la #langue pour rejeter des « migrants »
    https://seenthis.net/messages/1025157

    ping @karine4 @reka

    • Quelle est la fécondité des femmes immigrées ?… quant à la fécondité des natives femmes d’immigrés pourquoi la question n’est jamais abordée ?

  • Dictionnaire de l’Académie française : une neuvième édition à rectifier d’urgence

    Communiqué LDH

    L’Académie française, créée en 1635 par Richelieu, vient de publier le quatrième volume de la neuvième édition de son Dictionnaire, quatre-vingt-dix ans après la précédente. Ce volume a été solennellement présenté au président de la République, cérémonie destinée à lui conférer légitimité et autorité. La LDH (Ligue des droits de l’Homme) a donc découvert avec stupéfaction et consternation que nombre de définitions participent d’une vision au mieux archaïque de notre monde. C’est ainsi que l’entrée qui définit l’hétérosexualité comme une relation « naturelle » (sic) entre les sexes implique que l’homosexualité n’est pas, elle, naturelle. La femme se voit définie par sa capacité à concevoir et mettre au monde des enfants. Faut-il en conclure qu’une femme stérile ou ménopausée n’en est pas une ?

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2017/12/03/que-lacademie-tienne-sa-langue-pas-la-notre/#comment-63308

    #langue #academiefrançaise

  • Que peut-on institutionnaliser dans la #langue_française ?

    Le #tome_4 du #Dictionnaire_de_l'Académie française a récemment paru aux éditions Fayard, soldant la 9e édition de l’ouvrage, depuis sa première parution en 1694. L’Académie est-elle une institution apte à préserver la #vitalité de la langue française ? Est-elle un moyen de l’institutionnaliser ?

    Présentant 21 000 nouvelles entrées, ce #dictionnaire est aussi critiqué pour son retard sur les usages de la langue. Ce 4e tome actualise les entrées allant des lettres R à Z. Il solde une édition dont le premier tome a paru en 1992. Un travail sur le temps long, dont certains considèrent qu’il répond davantage à une #valeur_patrimoniale qu’aux usages et besoins quotidiens des francophones. Une édition au long court, qui, pour certains, rend obsolète la définition de certains mots avant que le dictionnaire ne soit soldé.

    Les 321 millions de francophones peuvent se tourner vers d’autres dictionnaires actualisés tous les ans et plus fournis, comme le Robert ou encore le Larousse. Sous quels critères se fabrique un dictionnaire aujourd’hui ? Comment se fabrique et évolue la langue française et ses usages ?

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/questions-du-soir-le-debat/que-peut-on-institutionnaliser-dans-la-langue-francaise-7606600
    #français #langue #institutionnalisation #académie_française
    #audio #podcast