• I dati che raccontano la guerra ai soccorsi nell’anno nero della strage di Cutro

    Nel 2023 le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar oltre mille sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, un quarto degli arrivi via mare. Dati inediti del Viminale descrivono la “strategia” contro le Ong e l’intento di creare l’emergenza a Lampedusa concentrando lì oltre i due terzi degli approdi.

    Nell’anno della strage di Cutro (26 febbraio 2023) le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia oltre 1.000 sbarchi, per un totale di quasi 40mila persone, poco più di un quarto di tutti gli arrivi via mare. Questo nonostante gli effetti funesti che la confusione tra “law enforcement” e ricerca e soccorso ha prodotto proprio in occasione del naufragio di fine febbraio dell’anno scorso a pochi metri dalle coste calabresi, quando morirono più di 90 persone, e sulla quale sta indagando la Procura di Crotone.

    Quello degli eventi strumentalmente classificati come di natura poliziesca in luogo del soccorso, anche dopo i fatti di Cutro, è solo uno dei dati attraverso i quali si può leggere come è andata lo scorso anno nel Mediterraneo. È possibile farlo dopo aver ottenuto dati inediti dal ministero dell’Interno, che rispetto al passato ha fortemente ridotto qualità e quantità degli elementi pubblicati nel cruscotto statistico giornaliero e nella sua rielaborazione di fine anno.

    Prima però partiamo dai dati noti. Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone (il Viminale talvolta ne riporta 157.652, ma la sostanza è identica). Il dato è il più alto dal 2017 ma inferiore al 2016, quando furono 181.436. Le prime cinque nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, che rappresentano quasi il 50% degli arrivi, sono di cittadini della Guinea, Tunisia, Costa d’Avorio, Bangladesh, Egitto. I minori soli sono stati 17.319.

    E qui veniamo ai dati che ci ha trasmesso il Viminale a seguito di un’istanza di accesso civico generalizzato. La stragrande maggioranza delle persone sbarcate è partita nel 2023 dalla Tunisia: oltre 97mila persone sulle 157mila totali. Segue a distanza la Libia, con 52mila partenze, quasi doppiata, e poi più dietro la Turchia (7.150), Algeria, Libano e finanche Cipro.

    Come mostrano le elaborazioni grafiche dei dati governativi, ci sono stati mesi in cui dalla Tunisia sono sbarcate anche oltre 20mila persone. Una tendenza che ha conosciuto una brusca interruzione a partire dal mese di ottobre 2023, quando gli sbarchi in quota Tunisia, al netto delle condizioni meteo marine, sono crollati a poco meno di 1.900, attestandosi poco sotto i 5mila nei due mesi successivi.

    Tradotto: l’ultimo trimestre dello scorso anno ha visto una forte diminuzione degli sbarchi provenienti dalla Tunisia, Paese con il quale Unione europea e Italia hanno stretto il “solito” accordo che prevede soldi e forniture in cambio di “contrasto ai flussi”, ovvero contrasto ai diritti umani. È lo schema libico, con le differenze del caso. Il ministro Matteo Piantedosi il 31 dicembre 2023, intervistato da La Stampa, ha rivendicato la bontà della strategia parlando di “121.883 persone” (dando l’idea di un conteggio analitico e quotidiano) “bloccate” grazie alla “collaborazione con le autorità tunisine e libiche”.

    Un altro dato utilissimo per capire come “funziona” la macchina mediatica della presunta “emergenza immigrazione” è quello dei porti di sbarco. Il primo e incontrastato porto sul quale lo scorso anno è stata scaricata la stragrande maggioranza degli sbarchi è Lampedusa, con quasi 110mila arrivi (di cui “solo” 7.400 autonomi) contro i 5.500 di Augusta, Roccella Jonica, i 4.800 di Pantelleria e i 3.800 di Catania. In passato non è sempre stato così. Ma Lampedusa è troppo importante per due ragioni: dare in pasto all’opinione pubblica l’idea di una situazione esplosiva e ingestibile, bloccando i trasferimenti verso la terraferma (vedasi l’estate 2023), e contemporaneamente convogliare quanti più richiedenti asilo potenziali possibile nella macchina del trattenimento dell’hotspot.

    Benché in Italia si sia convinti che a soccorrere le persone in mare siano solo le acerrime nemiche Ong, i dati, ancora una volta, confermano il loro ruolo ridotto a marginale dopo anni di campagne diffamatorie, criminalizzazione penale e vera e propria persecuzione amministrativa. Nel 2023, infatti, gli assetti delle Organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9mila persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle Ong è stata limitata.

    Come noto, le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani. Il primo per numero di persone sbarcate è stato Brindisi (quasi 1.400 sbarcati su 9mila), ovvero 285 miglia in più rispetto al Sud-Ovest della Sicilia. Segue Lampedusa con 980, vero, ma poi ci sono Carrara (535 miglia di distanza in più dalla Sicilia), Trapani, Salerno, Bari, Civitavecchia, Ortona.

    Non è facile dire quanti giorni di navigazione in più questa “strategia” brutale abbia esattamente determinato. Un esperto operatore di ricerca e soccorso in mare aiuta a fare due conti a spanne: “Le navi normalmente viaggiano a meno di dieci nodi, calcolando una velocità di sette nodi andare a Brindisi implica circa 41 ore in più rispetto ai porti più vicini del Sud della Sicilia, come ad esempio Pozzallo. E per arrivare a Pozzallo dalla cosiddetta ‘SAR 1’, a Ovest di Tripoli, partendo da una distanza dalla costa libica di circa 35 miglia, tra Zuara e Zawiya, ci vogliono circa 24 ore”.

    Una recente analisi di Sos Humanity -ripresa dal Guardian a metà febbraio- ha stimato che questo modus operandi delle autorità italiane possa aver complessivamente fatto perdere alle navi delle Ong 374 giorni di operatività. Nell’anno in cui sono morte annegate ufficialmente almeno 2.500 persone e intercettate dalle milizie libiche e riportate indietro, sempre ufficialmente, quasi 17.200 (con l’ancora una volta dimostrata complicità dell’Agenzia europea Frontex). Ma sono tempi così oscuri che ostacolare le “ambulanze” è divenuto un vanto.

    https://altreconomia.it/i-dati-che-raccontano-la-guerra-ai-soccorsi-nellanno-nero-della-strage-

    #statistiques #débarquement #Italie #migrations #réfugiés #chiffres #sauvetage #ONG #SAR #search-and-rescue #Méditerranée #Lampedusa #law_enforcement #2023 #Tunisie #Libye #externalisation #accord #urgence #hotspot

  • Heating people, not spaces

    These days, we provide thermal comfort in winter by heating the entire air volume in a room or building, an approach that consumes a lot of fossil fuels. In this series of articles, LOW←TECH MAGAZINE focuses on our forebear’s concept of heating, which was more localized. They used radiant heat sources that warmed only certain parts of a room, creating micro-climates of comfort, and they used personal heating sources that warmed specific body parts. It would make a lot of sense to restore this old way of warming, especially since newer technology has made it much more practical, safe, and efficient. By placing heating technology in a historical context, LOW←TECH MAGAZINE challenges the high-tech approach to sustainability and highlights the possibilities of alternative solutions.

    Contents table:
    Restoring the Old Way of Warming: Heating People, not Spaces
    Insulation: First the Body, then the Home
    The Revenge of the Hot Water Bottle
    Energy Labels Oblige Frugal Homeowners to Make Unsustainable Investments
    How to Keep Warm in a Cool House
    Sunbathing in the Living Room: Tile Stoves and Other Radiant Heating Systems
    Heat Storage Hypocausts: Air Heating in the Middle Ages
    The Revenge of the Circulating Fan

    https://www.lulu.com/shop/kris-de-decker/heating-people-not-spaces/paperback/product-zm52en6.html

    #chauffer_le_corps_et_pas_l'espace #heating_people_not_space #espace #chauffage #corps #law_tech #livre #bouillotte #chauffer #efficacité

    C’est mon crédo depuis l’année passée : #laine et bouillotte...

  • Quel droit à l’eau pour les femmes migrantes à Paris ?

    Trois étudiantes présentent leurs recherches sur l’accès à l’eau et à l’#assainissement

    Chaque année, l’École de droit de Sciences Po propose des “Cliniques” : des programmes pédagogiques situés à mi-chemin entre théorie et pratique, articulés autour d’une mission d’intérêt public. Pendant neuf mois, Eline, Ivana et Juliette, étudiantes en première année de Master, ont étudié le sujet de l’accès à l’#eau_potable des populations migrantes, notamment des femmes migrantes, afin d’approfondir l’expertise du collectif #Coalition_Eau. Elles racontent.

    Pourquoi avez-vous choisi de participer à la Clinique de l’École de droit de Sciences Po ?

    Ivana : Je suis étudiante dans le Master Human Rights and Humanitarian Action de l’École des affaires internationales de Sciences Po : poursuivre des études en droits humains peut parfois être trop théorique ; c’est là que le modèle de la Clinique devient très intéressant : le programme Human Rights, Economic Development and Globalisation, propose une approche transversale et assez pratique de ce que signifie être un défenseur des droits humains dans la “vraie vie”. On mélange des études de cas avec des jeux de rôles, et tout au long de l’année on travaille sur un projet de recherche avec une organisation partenaire.

    Avec Eline et Juliette, nous avons travaillé avec le #collectif_Coalition_Eau. Au début de l’année, ça a été un peu une surprise puisqu’aucune de nous trois n’avait postulé pour ce projet sur l’accès à l’eau et à l’assainissement — il nous a été attribué par nos professeurs. Mais aujourd’hui j’aurais du mal à nous imaginer dans un autre projet de Clinique ! C’est un sujet qui nous tient vraiment à coeur. En France, l’accès à l’eau n’est pas considéré comme un droit humain. Certes, il existe un cadre légal autour de l’accès à l’eau, mais il se concentre sur la qualité de celle-ci et non pas sur la garantie d’un accès universel. Ce projet nous a aussi permis de mettre en avant le fait que les problématiques d’accès à l’eau et à l’assainissement ne sont pas exclusives aux pays en développement.

    Pouvez-vous nous décrire les principaux enjeux liés au droit à l’eau pour les femmes migrantes en France aujourd’hui ?

    Eline : En France, 1,4 millions de personnes sont déconnectées du réseau d’eau potable : elles doivent utiliser les services basiques proposés par l’État, comme les fontaines, les toilettes et les douches publiques. On compte environ 250 000 personnes sans-abri, dont 20% à 40% de femmes. Invisibles et invisibilisées, ces femmes sont pourtant celles qui souffrent le plus de cette déconnexion. En tant que femmes, elles sont confrontées à des difficultés spécifiques, comme la gestion de leurs menstruations et le contact avec des toilettes non-conformes aux normes d’hygiène. Non seulement ces femmes sont plus exposées aux risques d’infections urinaires et vaginales et de maladies dermatologiques que les hommes en raison du faible accès à l’eau et à l’assainissement, mais la plupart d’entre elles se sentent en insécurité et utilisent ces services avec la crainte d’être agressées. Ces exemples montrent que la mise en place d’installations unisexes et mixtes ne garantit pas une égalité d’accès.

    Ivana : Lorsque l’on étudie le droit à l’accès à l’eau, on distingue l’eau destinée à la consommation humaine — c’est à dire l’eau potable —, et l’eau utilisée pour se laver, qui correspond à l’assainissement. Nous avons travaillé sur ces deux aspects, et il apparaît que le droit à l’assainissement est le plus problématique : comme l’a dit Eline, la peur de subir des agressions désincite certaines femmes à utiliser les services sanitaires de la ville de Paris qui sont mixtes ; de plus, dans tout la ville, seulement neuf toilettes publiques possèdent une table à langer. Les besoins spécifiques des femmes ne sont pas assez pris en compte dans l’offre de services sanitaires : seules 1,5% des infrastructures existantes prennent en compte ces spécificités et les incluent dans leur offre de services.

    Quelles recommandations avez-vous formulées suite à votre analyse ? Existe-t-il des solutions ?

    Juliette : Au regard de la situation dont nous avons été témoins, nous avons formulé des recommandations au plus près des besoins et à plus ou moins long terme. Premièrement, de manière transversale et systématique, nous recommandons la participation des femmes concernées aux processus de décision. C’est une nécessité à la fois d’un point de vue pratique — car elles sont les mieux placées pour connaître leur réalité — mais aussi car le public concerné par une situation est le plus légitime pour intervenir dans des décisions le concernant.
    Une autre recommandation primordiale, à plus long terme, est la reconnaissance formelle par la France du droit humain à l’eau et à l’assainissement. Ce droit a été reconnu comme tel par les Nations Unies il y a maintenant dix ans et la France doit en faire de même.

    De manière plus immédiate, nous recommandons l’installation de davantage de points d’eau, de douches, de sanitaires et de lieux d’accueil spécifiquement dédiées aux femmes ; le groupe des femmes n’étant pas un groupe homogène, une constante et nécessaire attention devra être portée à la prise en compte des besoins relatifs à chaque situation : le statut migratoire, la langue parlée, les enfants, l’ancienneté dans la rue, les violences subies, etc.

    Enfin, nous recommandons ardemment de relancer le programme de l’INSEE d’enquête et de production de données sur la population sans abri ; les dernières données officielles remontent à 2012. Or, la collecte régulière et détaillée de statistiques est indispensable au respect des droits humains : il n’est pas possible de les mettre en oeuvre si les personnes laissées pour compte sont invisibles.

    Donc en définitive : oui les solutions existent, et la ville de Paris reste un bon exemple en la matière. Néanmoins, tant que ces problématiques ne gagneront pas en visibilité, tant que les victimes ne seront pas écoutées, tant que l’accès à l’eau ne sera pas universel dans son application, la situation n’évoluera pas.

    Comment la crise liée au Coronavirus Covid-19 impacte-t-elle l’accès à l’eau des personnes migrantes ?

    Eline : La crise du Coronavirus Covid-19 a montré qu’il était plus que jamais crucial que les principes fondamentaux des #droits_humains soient respectés. Lorsque l’on dit que "se laver les mains peut sauver des vies" mais que des centaines de personnes — et notamment des femmes — migrantes et sans abri n’ont pas accès ni à l’eau potable, ni à du savon, cela met en lumière les profondes inégalités qui traversent notre société.
    Nous savons que beaucoup de migrantes vivent dans des campements de fortune autour de Paris, où il est impossible de mettre en place la distanciation sociale et le confinement. Les femmes migrantes sont aussi davantage mal logées, dans des petits espaces collectifs où les installations sanitaires sont partagées entre les habitants, augmentant considérablement le risque de contracter le virus. De plus, les femmes migrantes occupant habituellement des emplois informels — comme la garde d’enfants, la vente de nourriture dans la rue ou du ménage — elles ont perdu une source de revenu.

    Un autre point important est soulevé dans notre recherche : le fait que les femmes sans abri ont souvent d’importants problèmes de santé, qui sont parfois causés par un manque d’accès à l’eau et à l’assainissement ; et l’on sait que le Coronavirus est très dangereux pour ces personnes….

    En d’autres termes : la crise du Coronavirus fait non seulement courir un risque plus important aux personnes dont les droits fondamentaux ne sont pas respectés — c’est notamment le cas des femmes migrantes et de leur droit à l’accès à l’eau — mais amplifie aussi les problématiques préexistantes. C’est pour cette raison que nous appelons le gouvernement français à reconnaître ces droits humains fondamentaux pour toutes et tous et à garantir à toutes les femmes, quelles que soient leurs conditions de logement ou leurs parcours migratoires, un accès à l’eau potable et à l’assainissement.

    https://www.sciencespo.fr/programme-presage/fr/actualites/quel-droit-l-eau-pour-les-femmes-migrantes-paris

    #eau #droit_à_l'eau #eau #femmes #femmes_migrantes #Paris #law_clinic #droits_fondamentaux #pandémie #covid-19 #coronavirus

  • Genova. Alla “clinica” legale dei migranti. La richiesta d’asilo? La fanno gli studenti

    Pronto il primo gruppo di 15 volontari formati con un corso universitario ad hoc (teorico e pratico) per offrire consulenza agli stranieri e compilare le pratiche per le commissioni di audizione

    https://www.avvenire.it/attualita/pagine/a-genova-la-clinica-legale-dei-migranti
    #université #law_clinic #asile #migrations #réfugiés #Italie #procédure_d'asile #solidarité

  • Les étudiants en droit de l’ULB sur le terrain : une « legal clinic » pour aider les réfugiés

    La fac de droit de l’ULB donne à ses étudiants la possibilité de se former sur le terrain au sein d’une « legal clinic » spécialisée en droit des étrangers. Cette opération pilote s’inscrit dans les suites données par l’université à la crise des réfugiés.

    http://www.lavenir.net/cnt/dmf20170124_00949100/les-etudiants-en-droit-de-l-ulb-sur-le-terrain-une-legal-clinic-pour-aider-

    #law_clinic #asile #migrations #réfugiés #université #solidarité

  • Unity: FM threatens to ruin single compensation system principles | Baltic News Network - News from Latvia, Lithuania, Estonia
    http://bnn-news.com/unity-fm-threatens-to-ruin-single-compensation-system-principles-151837

    Finance Ministry’s prepared amendments to the Law on Remuneration of Officials and Employees of State and Self-government Authorities that provide for refusal of keeping compensation records for state and municipal capital association officials will negatively influence the principles of the single compensation system, as noted by Unity.

    According to the annotation to FM’s proposed amendments, 584 institutions regularly submit information to the record system. FM intends to relieve 233 institutions – state and municipal capital associations – of the duty to submit information about compensations paid to officials and employees.

    #FM #Law_on_Remuneration #Latvia #Bureaucracy

  • « À #Hong_Kong, #Sound_Pocket organise la résistance sonore »
    http://syntone.fr/a-hong-kong-sound-pocket-organise-la-resistance-sonore

    Depuis 2008 à Hong Kong l’association Sound Pocket défend les pratiques sonores et une écoute active de la ville. En pleine campagne de financement pour un album rassemblant des enregistrements du « #Mouvement_des_parapluies », rencontre avec l’équipe féminine de Sound Pocket.

    #son #Chine #djsniff #Law_Yuk-mui #Salomon_Yu-Tik-man #So_Wai-lam #Wong_Chun-hoi #Yannick_Dauby #Yeung_Yang

  • Manif de chamanes à Oulan-Bator contre l’exploitation d’une montagne située au Nord d’UB.

    Shamans pray to protect Noyon Mountain | The UB Post
    http://ubpost.mongolnews.mn/?p=13364

    Several days ago, a demonstration took place at Sukhbaatar Square involving over 100 shamans. They expressed their opposition to mining exploration and exploitation at Noyon Mountain, and prayed for the protection of the mountain and performed religious sacraments at the square.
    The shamans said that they will connect with the sky and their ancestors to protect the mountain.
    The area of Noyon Mountain, located in Selenge Province, is very rich in both natural resources and valuable cultural heritage. State officials want to make Noyon Mountain a strategic deposit, which has angered many people.
    A large number of citizens are against opening the mountain up to mining, and non-governmental organizations such as Bosoo Huh Mongol, Gal Undesten, the Shamanism Association, and some citizen representatives have officially stated that they will act on their opposition in stronger ways.
    To protect Noyon Mountain, the organization Civil Movement has officially stated that they will go on a hunger strike at the monument dedicated to the Victims of Political Repression. If state officials don’t respond with the right solutions within 24 hours, they will continue their strike for as many days as they can.
    The head of the Noyon Uul Protection Movement, O.Tserennadmid stated, “State officials see the mountain as a vast amount of money and approved the Gatsuurt field as a strategic deposit. The approval process took place at night, without us. We just can’t sit and accept it, we will go until the end. I am ready to give my life for my country.”

  • #Law_Clinic sur les droits des #personnes_vulnérables

    La Law Clinic sur les droits des personnes vulnérables consiste en un enseignement pratique offert aux étudiant-e-s de Master. Abordant les #droits_humains dans une perspective pratique, cet #atelier a pour but de rédiger une brochure informant une population vulnérable spécifique sur ses droits.

    Télécharger la brochure sur les #droits des personnes « rom » en Suisse :
    http://www.unige.ch/droit/enseignement/5175/droits_des_personnes_roms_web.pdf

    #Roms #Suisse #Genève #droits #loi #brochure

    • « Les cliniques juridiques répondaient à un double enjeu, pédagogique et social »

      Xavier Aurey, président du Réseau des cliniques juridiques francophones, revient sur la naissance de cette méthode d’enseignement.
      Maître de conférences en droit à l’université d’Essex, au Royaume-Uni, et coauteur de l’ouvrage Les Cliniques juridiques (Presses universitaires de Caen, 2015), Xavier Aurey explique la naissance et le développement de ces « cliniques du droit » aux Etats-Unis puis en Europe.

      Comment sont nées les premières cliniques juridiques ?

      Elles sont apparues aux Etats-Unis au début du XXe siècle, même si l’idée semble également germer en Russie et en France à la même époque. Elles répondaient alors à un double enjeu, pédagogique et social. Plusieurs enseignants refusaient d’enseigner le droit uniquement dans les livres – Jerome Frank, de l’université de Chicago, affirmait ainsi que ce serait comme former des vétérinaires au seul contact de peluches. Il existait également un énorme besoin d’accès au droit pour les plus démunis. C’est de la rencontre de ces deux éléments que naissent les premières cliniques juridiques.

      Pourquoi se développent-elles en France près d’un siècle après leurs homologues américaines ?

      Le développement plus que tardif des cliniques en France, mais aussi plus largement en Europe de l’Ouest continentale, s’explique par la combinaison de trois facteurs. Le premier pédagogique : les facultés de droit de ces pays s’inscrivent dans une tradition académique où l’université se charge de la formation théorique, les écoles professionnelles prenant ensuite le relais pour la formation pratique (en France, l’Ecole nationale de magistrature, l’ENM, l’école du barreau…). Ensuite, concernant l’aspect social, la plupart des pays européens bénéficient d’un système d’assistance juridique assez performant où toute personne qui en a besoin peut bénéficier d’une aide pour les frais d’avocat, voire de conseils gratuits lors de permanences effectuées par des avocats.
      « Les cliniques juridiques se sont réellement développées aux Etats-Unis à partir du mouvement des droits civiques. »

      http://www.lemonde.fr/campus/article/2018/04/17/les-cliniques-juridiques-repondaient-a-un-double-enjeu-pedagogique-et-social
      cc @_kg_