• Les chatbots de demain pourront-ils nous apprendre à être plus libres ? | Canal Académies
    https://www.canalacademies.com/emissions/lenvie-de-savoir/les-chatbots-de-demain-pourront-ils-nous-apprendre-a-etre-plus-libre

    Un entretien audio avec Serge Abiteboul et Lisa bretzner.
    La pièce est jouée tous les mardi à Paris jusqu’en décembre.

    Dans la pièce de théâtre Qui a hacké Garoutzia ?, un chatbot repousse les limites de l’intelligence artificielle. Cet agent conversationnel sophistiqué se distingue par sa mémoire et sa maîtrise du langage des émotions, transcendant ainsi le rôle habituel des assistants virtuels. Garoutzia, « celle qui n’était qu’un chatbot » s’imprègne des expériences humaines les plus profondes à travers ses propriétaires successifs. Que révèle cette intelligence artificielle sur la construction de notre identité ? Serait-elle plus libre que les humains qui l’entourent ? Au micro de L’envie de savoir, Serge Abiteboul, membre de l’Académie des sciences, et Lisa Bretzner, metteuse en scène, explorent ces questions vertigineuses.

    #Garoutzia #Serge_Abiteboul #Lisa_Bretzner #Théâtre

  • Mon corps n’est pas une arme

    Il y a quelques semaines, notre président utilisait un lexique guerrier pour parler de donner la vie. Ça m’a fait froid dans le dos, j’avais l’impression de sortir d’un épisode de La Servante Écarlate.

    J’ai eu envie d’utiliser cette #colère pour créer. Rappeler que le fait de devenir parent n’est pas simplement une question de biologie et de #fertilité. C’est surtout une #expérience_intime qui s’inscrit dans un contexte sociale, politique et culturelle. Qu’on décide de vouloir avoir des enfants ou non, ça doit rester un #choix_individuel et non un #devoir_patriotique.

    https://www.youtube.com/watch?feature=shared&v=ClnJ9Krq1FQ

    #film #vidéo #réarmement_démographique #corps #arme #parentalité #Lisa_Miquet

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

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    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Microsoft says it will respect outcome of Activision Blizzard union drive - The Washington Post
    https://www.washingtonpost.com/video-games/2022/03/24/microsoft-activision-union-statement

    Microsoft “will not stand in the way” if Activision Blizzard recognizes a union, said the company’s corporate vice president and general counsel, Lisa Tanzi, in a statement to The Washington Post on Thursday.

    “Microsoft respects Activision Blizzard employees’ right to choose whether to be represented by a labor organization and we will honor those decisions,” Tanzi said.

    In January, Microsoft announced plans to acquire Activision Blizzard, the embattled video game publisher and developer, for nearly $69 billion in an all-cash deal. Fifteen workers at Raven Software, a studio owned by Activision Blizzard, signed a letter Wednesday calling for Microsoft CEO Satya Nadella to encourage Activision Blizzard to voluntarily recognize their union, the Game Workers Alliance. Microsoft vice chair and president Brad Smith was copied on the letter.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #activision_blizzard #microsoft #rachat #ressources_humaines #business #syndicalisme #raven_software #satya_nadella #brad_smith #game_workers_alliance #reed_smith #communications_workers_of_america #national_labor_relations_board #scandale #culture_toxique #procès #justice #frat_boy_culture #bro_culture #bobby_kotick #lisa_bloom #lisa_tanzi

  • Antivax - Les marchands de doute

    Comment se propagent le refus de la vaccination contre le Covid-19 et les théories aussi fantaisistes que complotistes qui l’accompagnent ? Une incursion éclairante au coeur de la galaxie antivax, auprès de ses adeptes et de ses réseaux d’influence.

    Alors que se déroule la plus grande campagne de vaccination de l’histoire, la contestation enfle partout dans le monde. Suscitant espoir mais aussi crainte et colère, les injections anti-Covid fracturent l’opinion. Victime de ses succès, qui rendent le danger moins tangible, critiquée pour ses effets secondaires, la vaccination, qui engage de manière intime la confiance des citoyens dans les institutions, s’est toujours attiré des adversaires. Reste que le mouvement antivax, ultraminoritaire, mais très actif, prospère aussi sous l’influence de personnalités parfaitement intéressées à qui la pandémie actuelle offre un tremplin. Figure de proue du mouvement, Andrew Wakefield, un gastro-entérologue britannique radié en 2010, s’est fait connaître par une étude frauduleuse, publiée dans « The Lancet » en 1998, établissant un lien entre le vaccin ROR (rougeole, oreillons, rubéole) et l’autisme. Le scandale qui a suivi va paradoxalement lui donner des ailes. Il quitte l’Angleterre pour les États-Unis, où il monte un business en exploitant les peurs liées à la vaccination. Aujourd’hui, Wakefield, devenu prospère jet-setteur, et ses pairs, comme le producteur Del Bigtree, surfent sur l’épidémie de Covid-19 et sèment la désinformation en propageant des théories complotistes sur les réseaux sociaux afin de faire basculer les hésitants dans le camp de l’opposition vaccinale systématique.

    Propagande et récupération
    Cette enquête au cœur du mouvement antivax, tournée entre les États-Unis, le Royaume-Uni, la France et l’Allemagne, lève le voile sur le commerce lucratif de traitements alternatifs dangereux, des levées de fonds au profit de causes douteuses, une redoutable machine de propagande et des partis extrémistes en embuscade. Un aréopage de scientifiques, lanceurs d’alerte ou journalistes, parmi lesquels Fiona Godlee, la rédactrice en chef du "British Medical Journal "qui a révélé l’imposture de Wakefield, apporte un regard critique sur ce mouvement. Le film fait aussi entendre les doutes de ceux qui, sans être complotistes, rejettent les vaccins, les accusant de causer plus de dommages qu’ils ne permettent d’en éviter, avec, en contrepoint, le témoignage d’une jeune femme restée paraplégique après une rougeole contre laquelle elle n’avait pas été vaccinée. Sans exprimer de ressentiment vis-à-vis de ses parents, elle indique néanmoins que « c’est trop bête de laisser le hasard choisir quand il y a des solutions ».

    https://www.arte.tv/fr/videos/103025-000-A/antivax-les-marchands-de-doute

    signalé aussi par @odilon ici :
    https://seenthis.net/messages/940747

    #vaccinations #vaccins #vaccin #anti-vax #anti-vaxx #doutes #confiance #Andew_Wakefield #publications_scientifiques #édition_scientifique #business #manipulation #The_Lancet #Thoughtful_house #Jane_Johnson #Lisa_Selz #Strategic_Autism_Initiative #Mark_Geier #sentiments #émotions #autisme #Andew_Hall_Cutler #Mark_Grenon #Jenny_McCarthy #Robert_De_Niro #Vaxxed #Donald_Trump #Trump #rougeole #Ardèche #Evee #justiceforevee #multi-level_marketing #Elle_Macpherson #Ethan_Lindenburger #Facebook #réseaux_sociaux #complotisme #Querdenke #liberté #Louis_Fouché #Réinfocovid #Les_Patriotes #extrême_droite #Florian_Philippot

  • Blizzard Employee Publicly Says She Was Demoted After Filing HR Complaint About Sexual Harassment - Game Informer
    https://www.gameinformer.com/2021/12/08/blizzard-employee-publicly-says-she-was-demoted-after-filing-hr-compla

    Since I’ve been employed at Blizzard, I’ve been subjected to rude comments about my body, unwanted sexual advances, inappropriately touched, subjected to alcohol-infused team events and cube crawls, invited to have casual sex with my supervisors, and surrounded by a frat boy culture that’s detrimental to women. 
    When I complained to my supervisors, I was told they were just joking and that I should get over it. I began to remove myself from work events to avoid all the sexual comments and groping. I was told not to go to HR. I was told that the harassing men were just trying to be friends with me. I was told they did nothing wrong by law. After I complained of the sexual harassment, I was demoted. I was then further harassed and retaliated against. I’ve been denied my full profit sharing, denied shares at the company, and have had minimal raises in the four years I’ve been employed at Blizzard.

    #blizzard #activision_blizzard #harcèlement #harcèlement_sexuel #harcèlement_moral #environnement_toxique #ressources_humaines #lisa_bloom #bro_culture #alcool #jeu_vidéo_world_of_warcraft #frat_boy_culture

  • Blizzard employee speaks publicly on ‘alcohol-soaked culture’ of harassment - Polygon
    https://www.polygon.com/22824117/activision-blizzard-sexual-harassment-allegations-lisa-bloom-attorney

    A current Blizzard employee of four years, Christine said she experienced the alleged “frat boy culture detrimental to women,” and that coworkers and supervisors made rude comments about her body, made unwanted sexual advances, and inappropriately touched her. She alleged that she was propositioned for sex from a supervisor; when she went to managers about it, they allegedly told her not to go to human resources. Christine said she was demoted after her complaint and continued to be harassed and retaliated against, including being denied her full profit-sharing.

    #blizzard #activision_blizzard #harcèlement #harcèlement_sexuel #harcèlement_moral #environnement_toxique #ressources_humaines #lisa_bloom #bro_culture #alcool #jeu_vidéo_world_of_warcraft #cosby_suite #frat_boy_culture #justice #procès #bobby_kotick #grève #manifestation #assurance_qualité #raven_software

  • The Punk Legacy of Frontier Records by Kevin L. Jones #Bandcamp_Daily
    https://daily.bandcamp.com/label-profile/frontier-records-label-profile

    Lisa Fancher wasn’t planning on a legacy when she started Frontier Records. She released the Flyboys’ posthumous EP in 1980 and it failed to take off (no pun intended). She loved the experience, but that was two years of her life that just went “splat” when all was said and done. Maybe she’d release a few more singles, but it looked like her future in the record-selling business would be as a record store cashier.

    Then she heard that one of her favorite bands, the Circle Jerks, wanted to put out an album. Fancher thought they planned to keep working with Posh Boy Records, who released the band’s first recording on the Rodney On The Roq compilation. But as her mom always said, “the point is trying, not succeeding.”

    So she cold-called Circle Jerks drummer Lucky Lehrer, a notable figure in the L.A. punk scene (“he was always at the Whisky [a Go Go]”) and asked him, point blank, if they had a label for their album. They didn’t, but Lehrer wasn’t sure he wanted to work with Fancher. He was obnoxious about it, even saying “No girl’s putting out my record.” Yet after he hung up, he called around about her. “He got some other feedback and then gave me the thumbs up. But it’s probably the fact that they didn’t have anybody else,” Fancher says.

    Released in 1980, the Circle Jerks’ debut album, Group Sex, was the first of a series of releases on Frontier Records that would become canon in West Coast punk. Next came Adolescents’ self-titled debut album, T.S.O.L.’s Dance With Me, China White’s Dangerzone, Christian Death’s Only Theatre Of Pain, and her biggest release of all time, the debut album from Suicidal Tendencies...


    https://frontierrecords.bandcamp.com
    #Lisa_Fancher #punk #Frontier_rcds #Bomp !records

    • @taxi raisonnement d’automobiliste.

      Le piéton lui avait fait exactement ce que lui faisaient les Boches au Chemin-des-Dames. Il s’était mis devant lui. Il encombrait la route. Il ralentissait son avance.

      Le juge d’instruction du Mans, où s’est déroulée l’action, montre donc un sentiment exact de la justice quand il fait relâcher le chauffard.

      Il paraîtrait illogique à tout jugement sérieux qu’on emprisonnât un homme pour s’être mis dans un état qui, au temps de la guerre, était un état de grâce.

      Je comprends l’intention ironique du texte qui plutôt que d’exagérer les attitudes des personnages les minimise au point de manquer le problème malgré sa taille énorme.

      Pourtant : « Bien vu. Qu’ils/elles crèvent tous et toutes, ces pauves bougres. »

      On a du mal à produire de l’ironie dans ces cas. En essayant de parodier on tombe trop facilement dans le piège de l’apologie.

      cf. #Lisa_Eckart et ses référence à l’antisemitisme d’une génération du passé.

      #accident_de_route #guerre #transport #parodie #disruption

  • Prince : Sign o’ the Times (Super Deluxe) Album Review | Pitchfork
    https://pitchfork.com/reviews/albums/sign-o-the-times-super-deluxe

    Which is why it might be helpful to think of the original 1987 release of Sign o’ the Times as more of a network than an album—a small reservoir of music filled from many disparate sources. No wonder listening to it has always sort of felt like walking through the rooms of a house inside of Prince’s dream. And with the release of the new eight-disc, Super Deluxe edition of Sign o’ the Times, one can finally zoom out and glimpse the totality of its scale. Entire new floors and wings have been unlocked in the structure, revealing songs removed from the album’s original sequence, as well as tracks he intended for his forebears Joni Mitchell and Miles Davis, free-flowing studio jams, and the tentative beginnings of a stage musical about roving gangs of musicians.

    je viens enfin de mettre la main dessus. #prince #sign'o_the_times

  • Lisa Hanna: Meet di Jamaican ’presidential candidate’ wey her video dey make pipo tok - BBC News Pidgin
    https://www.bbc.com/pidgin/world-53875589

    Two weeks ago many Nigerians no sabi who Lisa Hanna but dis change afta one video begin circulate for social media wey show di woman as ’Jamaican Presidential Candidate’.

    Well we get di real gist behind di woman - and who she really be. But we fit tell you now for free: she no be presidential candidate.

    E no dey clear why dem refer to her as di ’Presidential candidate’ for di video posts wey pipo share for dia timeline, but di ’promotional’ video torchlight madam Lisa work for di constituency wey she dey represent as member of Jamaica parliament.

  • La lutte pour l’abolition du « délit de solidarité » continue

    Le #Conseil_national a rejeté aujourd’hui l’initiative parlementaire "En finir avec le délit de solidarité" de #Lisa_Mazzone.

    En rejetant l’initiative « En finir avec le délit de solidarité » (https://www.parlament.ch/fr/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20180461), le Conseil national a raté l’opportunité de faire honneur à la tradition humanitaire de la Suisse. Mais la lutte ne s’arrêtera pas là ! Solidarité sans frontières continuera de soutenir les personnes condamnées dans les cas de recours, de faire connaître leurs histoires et de s’engager pour faire changer cette loi qui est non seulement inhumaine, mais est aussi une aberration juridique. Solidarité sans frontières tient aussi à rappeler que les juges ont une grande marge de manœuvre et peuvent décider d’abandonner les charges ou d’acquitter les peines. Plusieurs jugements étant actuellement en cours (#Anni_Lanz, #Lisa_Bosia und #Norbert_Valley notamment), nous encourageons les juges à abandonner les charges contre ces personnes qui ont agi de manière désintéressée.

    https://www.sosf.ch/fr/sujets/divers/informations-articles/rejet-initiative-parlementaire-mazzone.html

    #délit_de_solidarité #asile #migrations #réfugiés #frontières #Suisse #vote

  • Premio diritti umani ai solidali delle montagne alpine

    Il ministero della Giustizia francese da un lato criminalizza chi solidarizza con i migranti sulle Alpi e dall’altro premia le stesse persone come difensori dei diritti umani.

    Paradossi e cortocircuiti logici di questa epoca di migrazioni, di accoglienza, vera, da parte di privati e associazioni umanitarie, e di repressione, vera anche questa, da parte di forze dell’ordine che pattugliano i confini degli Stati europei pronti a respingere persone in fuga da guerre e carestie.

    Mentre la giustizia francese manda a processo donne e uomini, accusati di crimini di umanità, per aver prestato soccorso nella neve alpina a migliaia di donne, uomini, bambini che in questi anni tentano la sorte del viaggio attraverso valichi alpini, il ministero della Giustizia transalpina ha premiato ieri 10 dicembre in occasione della giornata internazionale per i diritti dell’uomo l’associazione #Tous_Migrants, creata a Briançon sulle Alpi francesi nel 2015 proprio nel tentativo di aiutare i flussi di persone improvvisamente emersi in questi anni. Il premio è stato assegnato dalla Commissione nazionale consultiva dei diritti dell’uomo che fa capo proprio al ministero della Giustizia.

    Benoit Ducos, uno degli uomini a processo per aver soccorso persone al confine, ne sottolinea la schizofrenica assurdità di tutto ciò: «E’ surreale, perché i valori che difendiamo sono condannati dalle decisioni giudiziarie di questo governo, che con l’altro braccio premia il nostro impegno sul campo. Incredibile. Il riconoscimento va a tutti coloro che con coraggio offrono aiuto, cibo, soccorso, in maniera anonima, senza protagonismi. Un premio che ci spinge a continuare a gridare le nostre convinzioni».

    Senza alcuna etichetta politica o religiosa, Tous Migrants è un movimento pacifista di sensibilizzazione e azione dei cittadini nato in reazione alla tragedia umanitaria dei migranti in Europa. Con il sostegno di più di 700 cittadini per la causa che difende, oltre 9800 amici Facebook e 2700 destinatari della sua Newsletter, Tous migrants svolge azioni complementari nella’area del Briançonnais: monitoraggio e condivisione delle informazioni tramite una newsletter periodica, un sito Web e una pagina Facebook, conferenze, dibattiti sul cinema, seminari di scrittura, eventi di supporto artistico o culturale, campagne di sensibilizzazione, azioni legali ...

    L’intervento dei volontari dell’associazione al momento della consegna del premio ha ricodato come «Quattro anni fa eravamo solo persone comuni di montagna, a pochi chilometri dall’Italia, che guardavano in faccia e in modo pragmatico la realtà migratoria, esercitando il dovere di assistere le persone in pericolo e aprendo le nostre porte alla gente proveniente da altrove. Incondizionatamente e spontaneamente.

    Ma in questo approccio fraterno, ci siamo trovati gradualmente e violentemente di fronte all’impensabile:

    • Cacce all’uomo di colore, alcune delle quali sono seguite da morte, disabilità

    • L’abbandono di persone indebolite ed esauste in ambienti ostili

    • abuso psicologico e fisico, ripetute umiliazioni

    • Atti e istigazione al razzismo

    • Bullismo, repressione e condanne giudiziarie per atti di assistenza alle persone in pericolo

    Di conseguenza, il dovere della fraternità è stato criminalizzato.

    Di fronte a questo, nelle nostre montagne, centinaia di persone sono indignate. Dobbiamo chiudere gli occhi e le porte? Abbiamo deciso di continuare a fare rete. Abbiamo deciso di denunciare tutte queste violazioni ai diritti fondamentali. Oggi siamo qui, siamo diventati sentinelle per i diritti umani in Francia ...

    Ringraziamo il coraggio e la lungimiranza del Comitato di assegnarci questa menzione speciale del Premio sui diritti umani della Repubblica francese.

    Questo premio è per tutti i coraggiosi. Tutti noi nelle Hautes-Alpes, e ovunque, in Francia, ai confini, tutti noi che ci alziamo la mattina per portare aiuto e soccorso ai rifugiati; tutti noi che vigiliamo di notte per evitare nuove tragedie. Tutti noi che rispettiamo la libertà, l’uguaglianza e difendiamo questa bellissima fratellanza. È per tutte le vittime delle rotte migratorie che fuggono per proteggere i loro diritti.

    Tuttavia, ricevere questo premio ci rattrista e ci fa arrabbiare perché arriva dopo la morte dei diritti umani nel nostro territorio. Siamo in Francia! Come è possibile che spetti a noi difendere quei diritti che sono la sostanza stessa del nostro paese e che dovrebbero guidare tutte le scelte dei nostri leader e le decisioni della nostra giustizia?

    Ora stiamo tornando sulle nostre montagne perché il tempo sta per scadere, la neve è lì, le vite sono in pericolo, i diritti sono infranti. Per quanto ancora?».

    https://riforma.it/it/articolo/2019/12/11/premio-diritti-umani-ai-solidali-delle-montagne-alpine
    #solidarité #asile #migrations #réfugiés #prix #Alpes #frontière_sud-alpine #frontières #solidarité #droits_humains #ministère_de_la_justice #France #absurdité

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    Extrait:

    «Quattro anni fa eravamo solo persone comuni di montagna, a pochi chilometri dall’Italia, che guardavano in faccia e in modo pragmatico la realtà migratoria, esercitando il dovere di assistere le persone in pericolo e aprendo le nostre porte alla gente proveniente da altrove. Incondizionatamente e spontaneamente. (...) Oggi siamo qui, siamo diventati sentinelle per i diritti umani in Francia ...»

    –-> De l’#humanisme - #humanitarisme (et la #charité) à l’engagement politique...
    #politisation

  • Procès des 7 de Briançon - Une audience exceptionnelle dans un contexte d’intimidations des personnes migrantes et des militant·e·s solidaires [Communiqué interassociatif]

    L’#audience du procès des 7 de Briançon poursuivis pour « aide à l’entrée sur le territoire français d’étrangers en situation irrégulière en bande organisée », qui s’est tenue hier le 8 novembre, a été marquée par la force et l’endurance de la défense et la mobilisation pacifique continue à l’extérieur du tribunal de Gap. Le verdict a été mis en délibéré au 13 décembre 2018.

    C’est dans une ambiance tendue que l’audience s’est tenue pendant plus de 17 heures hier au tribunal correctionnel de Gap. Les longs débats, qui ont duré près de 11 heures, n’ont pas permis d’établir le caractère délictueux des faits reprochés, mais a été réaffirmé le caractère fondamental du droit de manifester.

    Au terme d’1h30 de réquisitoire et après avoir finalement (et enfin !) abandonné la circonstance aggravante de « #bande_organisée », le Ministère public n’a même pas pris la peine d’établir la responsabilité individuelle de Bastien, Benoit, Eleonora, Juan, Lisa, Mathieu et Théo concernant les infractions qui leur étaient reprochées, principe pourtant indispensable en droit pénal. Il a néanmoins demandé au tribunal de condamner chacun des prévenu.e.s à respectivement 6 mois d’emprisonnement avec sursis simple pour Bastien, Benoit, Eleonora, Lisa et Théo ; 12 mois dont 8 avec sursis simple pour Juan ; et 12 mois dont 8 avec sursis avec mise à l’épreuve pour Mathieu.

    En revanche, les avocat.e.s de la défense (Me Binimelis, Me Brengarth, Me Chaudon, Me Djermoune, Me Faure-Brac et Me Leclerc) ont brillamment démonté, aux termes de 3h10 de plaidoiries, un à un les quelques éléments avancés par le Parquet, et ont démontré qu’il n’y avait pas d’infraction à reprocher à des « #marcheurs_solidaires ». Le procès a également permis aux avocat.e.s et aux pré-venu.e.s de dénoncer, à nouveau, les violations quotidiennes des droits des personnes migrantes commises par les forces de l’ordre à la frontière franco-italienne, les agissements illégaux restés impunis à ce jour du groupuscule Génération Identitaire et les tentatives d’entraves au droit fondamental de manifester à la fois des prévenu.e.s mais aussi des personnes exilées.

    En face du tribunal, un rassemblement pacifique de soutien a réuni plus de 2 500 personnes venues de la région de Gap, de Briançon, de Marseille, Toulouse, Grenoble, etc. Collectifs, associations françaises et européennes et militant.e.s étaient rassemblés pour soutenir les prévenu.e.s et dé-noncer les pressions, intimidations et poursuites à l’encontre des militant.e.s, et porter haut et fort leur attachement à la solidarité dans les Alpes et au-delà. C’est dans un esprit pacifique et déterminé que le soutien s’est organisé de 7 heures à 2 heures du matin, malgré une présence policière disproportionnée. La préfecture avait mobilisé plus d’une dizaine de camions de CRS, plus d’une dizaine de camions de gendarmes, de nombreux policiers en civil, et même un canon à eau.

    En plus des poursuites intentées par le procureur de Gap contre Bastien, Benoit, Eleonora, Juan, Lisa, Mathieu et Théo, d’autres bénévoles solidaires des personnes migrantes de Briançon sont convoqués devant la justice en janvier 2019, comme Pierre de l’association Tous Migrants.

    Nos organisations dénoncent l’acharnement de certains procureurs contre celles et ceux qui dé-fendent les droits humains en venant en aide aux personnes migrantes.

    Soutenues par près de 50 000 personnes qui ont déjà signé la pétition lancée par les organisations signataires, celles-ci espèrent donc que le tribunal se prononcera en faveur de la relaxe des 7 de Briançon, et demandent l’abandon de toutes les poursuites pour délit de solidarité contre les personnes, dans les Alpes et ailleurs, qui agissent dans un esprit de fraternité.

    Rappel des faits
    #Bastien, #Benoit, #Eleonora, #Juan, #Lisa, #Mathieu et #Théo sont poursuivi.e.s pour avoir participé en avril dernier à une marche solidaire pour dénoncer les violences commises par le groupuscule identitaire à l’encontre des personnes exilées dans la région de Briançon. L’État leur reproche d’avoir à cette occasion « facilité l’entrée de personnes illégales sur le territoire français », et de l’avoir fait « en bande organisée ». Ils et elles risquent jusqu’à 10 ans de prison et 750 000 euros d’amende.

    http://www.anafe.org/spip.php?article500

    #frontière_sud-alpine #frontières #délit_de_solidarité #Gap #procès #asile #migrations #réfugiés #Hautes-Alpes #Briançonnais #Alpes #montagne #7_de_Briançon #3+4_de_Briançon

    –—

    ajouté à la métaliste sur la situation dans les Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/733721

    • Les « 7 de Briançon » en procès : « Pas question de laisser les Identitaires parader »

      À Gap, sept militants étaient poursuivis, jeudi 8 novembre, pour avoir participé à une marche de protestation contre les Identitaires, qui a permis à des migrants de franchir la frontière. « Fallait-il qu’ils les chassent de la manifestation ? », a plaidé Me Henri Leclerc. Le procureur a requis prison ferme ou sursis.

      Gap (Hautes-Alpes), envoyée spéciale. - « Comme chirurgien, moi j’ai sauvé des doigts de pied gelés ou évité des amputations, mais je n’ai sauvé la vie d’aucun migrant. Eux oui. » Cité comme témoin à la barre du tribunal correctionnel de Gap, jeudi 8 novembre, le docteur Duez, longtemps traumatologue à l’hôpital de Briançon, salue les six « gavroches » assis à sa droite, sur le banc des prévenus, soit une brochette de quatre Français, un Suisse et un Belgo-Suisse (sans compter une Italienne anarchiste qui sèche le procès), âgés de 22 à 52 ans et rebaptisés « les 7 de Briançon » par leurs soutiens, massés jeudi par centaines devant le palais de justice.

      Il leur est reproché d’avoir, le 22 avril dernier, en réaction aux gesticulations de Génération identitaire (GI) qui prétendait traquer des migrants dans la neige, participé à une marche sur la frontière entre l’Italie et Briançon en compagnie d’environ 150 militants, et qui a permis à « une vingtaine » d’étrangers de pénétrer de façon illégale en France, selon le procureur de la République. Délit visé ? « L’aide à l’entrée irrégulière » sur le territoire avec la circonstance aggravante de « bande organisée », passible de 10 ans de prison et 750 000 euros d’amende.

      « Tout l’hiver, c’est l’action des maraudeurs bénévoles, dont [certains] prévenus, qui a limité la casse dans la montagne, s’indigne le Dr Duez. Sans eux, nous aurions peut-être eu 25 morts au lieu de trois. » Le médecin comprend mal, surtout, pourquoi lui-même n’est pas poursuivi alors qu’il aide et soigne tous les jeudis, dans un refuge associatif de Briançon, des exilés sans papiers fraîchement descendus de Claviere, la bourgade du côté italien. « Pourquoi pas moi ?! »

      Le procureur Raphaël Balland soupire. Au fil de seize heures d’audience, il ne va cesser de dénoncer ceux qui « amalgament tout dans le “délit de solidarité” » et entretiennent « la confusion ». Et de rappeler que, s’agissant du délit d’« aide au séjour irrégulier », la loi prévoit une immunité si l’assistance est fournie « sans contrepartie » et dans « un but humanitaire ». Idem pour le délit d’« aide à la circulation » depuis une décision du Conseil constitutionnel du 6 juillet dernier.

      Mais aucune exemption n’est prévue à ce stade pour le délit d’« aide à l’entrée irrégulière », c’est-à-dire au franchissement de la frontière – et « les Sages » n’ont rien trouvé à y redire cet été. « Alors ce procès, dont certains ont voulu faire un symbole, ce n’est pas un procès sur l’aide aux migrants, pas du tout le procès de la solidarité, soutient le procureur. C’est un procès sur la frontière, le procès de ceux qui sont contre les frontières. »

      La présidente du tribunal, de son côté, s’en tiendra « aux faits ». « On n’est pas l’Assemblée nationale, on ne fait pas les lois, on n’est pas saisis d’un problème sociétal, s’agace Isabelle Defarge. On n’est pas payés pour ça ! » En face, la stratégie de la défense est limpide : les prévenus contestent avoir eu l’intention, le 22 avril, de faire entrer le moindre sans-papiers.

      « En aucun cas, cette manifestation n’avait pour but de franchir la frontière, c’était de réagir à la présence de Génération identitaire et dénoncer la militarisation de la frontière, affirme Benoît Ducos, pisteur-secouriste de 49 ans devenu menuisier, aussi maraudeur bénévole depuis deux hivers, ses lunettes de soleil de haute montagne rivées sur le crâne. On ne pouvait pas laisser [ces militants d’extrême droite] parader comme ça impunément. Nous, on n’a pas les moyens de se payer des hélicos, des campagnes de com’, des doudounes bleues. Le seul moyen qu’on a, c’est de manifester. »

      Les « 7 de Briançon » ne digèrent pas l’absence, à ce jour, de poursuite contre ces activistes qui ont déroulé 500 mètres de grillage au col de l’Échelle – une enquête préliminaire est toutefois en cours sur des soupçons d’« usurpation » ou d’« immixtion » dans l’exercice d’une fonction publique.

      « Si vous n’aviez pas l’intention de franchir la frontière, pourquoi la manifestation n’est-elle pas partie de Briançon pour aller par exemple à Névache [le tout en France] ? », s’enquiert la présidente du tribunal, Isabelle Defarge. Calées de longue date, des conférences sur le sujet des migrations réunissaient déjà pas mal de monde à Claviere ce week-end-là, avant même l’action de GI. « On ne voulait pas non plus aller au contact des Identitaires au col de l’Échelle, c’était le piège qu’on nous tendait, précise Benoît Ducos. Ça s’est improvisé. »

      Devant le tribunal, il tient à rappeler que le 10 mars dernier, un bon mois avant la marche, il avait déjà été placé en garde à vue pour avoir transporté en voiture une Nigériane sur le point d’accoucher. « L’enquête a été classée sans suite [fin octobre] parce que le parquet a retenu le danger imminent et le caractère humanitaire. Mais on peut faire le lien avec le 22 avril, souligne Benoît. J’ai agi avec les mêmes motivations, il y avait aussi un danger imminent. De nombreux témoignages montrent en effet que des forces de l’ordre mettent les migrants en danger avec des guets-apens, des courses-poursuites, des délaissements de personnes qui auraient besoin de soins. »

      Le 22 avril, cette fois, pas une égratignure. Depuis l’Italie, le cortège a passé le poste de la Police aux frontières (PAF) française, situé à Montgenèvre, dans un décor de télésièges, en débordant deux cordons successifs de gendarmes en sous-effectifs qui ont laissé filer, y compris des personnes noires en doudounes en plein mois d’avril, à côté de bénévoles parfois en short. Les vidéos diffusées à l’audience suggèrent que l’opération s’est déroulée non sans insultes, mais sans violences – on note au passage qu’un film a été extrait par les policiers d’un site de la fachosphère alors que ces images provenaient initialement d’une télé locale tout à fait accessible… Bref, la défense martèle : « Aucun passage en force. »

      La compagne de Jean-Luc Jalmain, 52 ans, l’aîné des prévenus, a pourtant diffusé ce jour-là le message suivant sur Facebook : « Passage en force, mon copain est sur place. Passage réussi, flics dépassés et exilés en sécurité. » Mais « je ne suis pas responsable des publications des autres », balaie ce tatoué aux dreadlocks poivre et sel, habitué de « Chez Marcel », un squat de Briançon ouvert aux exilés. Il semblerait que son chien dispose également d’un compte Facebook où il se vante d’avoir fait passer vingt-deux migrants.

      « J’ai fait du braquage et du stupéfiant, et on attend que je fasse de l’humanitaire pour me coller une bande organisée », tonne Jean-Luc, doté en effet d’un casier fourni, également renvoyé jeudi pour des faits annexes de « participation à un attroupement » sur le terrain de golf de Montgenèvre en septembre. Sa motivation pour la marche ? « Les identitaires jouaient aux policiers avec la complicité des policiers. Si c’est la norme dans le pays où je suis né, condamnez-moi. »

      « Mon inculpation est basée sur un a priori raciste ! »

      « C’est des fascistes, c’est comme ça qu’il faut appeler les Identitaires, clame aussi Mathieu Burellier, 35 ans, militant de « Chez Marcel », et au RSA. C’était hors de question qu’il n’y ait aucune réponse à cette invasion brune. » Lui risque en prime une condamnation pour « rébellion » puisqu’il a fait échouer sa tentative d’interpellation au soir de la marche, alors qu’il était désigné comme l’un des meneurs par les renseignements territoriaux (ex-RG). Les policiers qui se sont constitués parties civiles sont d’ailleurs au tribunal, à cinq, en tenue. Ce qui n’empêche pas Mathieu de les accuser, à son tour, et malgré leurs démentis, de « violences », avec entorse cervicale à la clef.

      « Je ne sais plus si je suis partie de Claviere », esquive pour sa part Lisa Malapert, une charpentière de 22 ans, en godillots de cuir et banane à la taille, impliquée dans la vie de « Chez Marcel ». « Est-ce que vous avez passé la frontière ? », persiste la présidente, tandis que la jeune femme souffle ostensiblement : « Mon intention n’était pas de traverser la frontière. Si la manifestation nous a conduits à traverser la frontière, j’ai suivi la manifestation. »

      La magistrate essaie la confidence : « J’étais sur le Larzac quand j’avais votre âge… Y a pas de piège dans mes questions : est-ce qu’il était important symboliquement de faire passer des personnes étrangères ? » Raté. « L’intention n’était pas de faire passer la frontière à des personnes dans une quelconque situation, rétorque Lisa. Toute personne a le droit de manifester. S’il y avait eu des personnes en situation irrégulière… » Isabelle Defarge la coupe : « On en a une. » Mais une seule.

      Bien qu’il évoque « une vingtaine de migrants » dans ses chefs de renvoi devant le tribunal, le procureur n’a en effet trouvé – ou fait entendre dans la procédure – qu’un « marcheur » noir sans papiers. « Je ne vois pas pourquoi ces personnes se verraient dénier le droit de manifester, mon inculpation est basée sur un a priori raciste ! », attaque Lisa, repérée par les policiers tenant le bras d’un individu noir sur une vidéo. Il se trouve que l’intéressé avait bien un titre de séjour. Mais puisque le parquet en tient déjà un…

      Depuis son estrade, Raphaël Balland semble cependant surpris de la défense adoptée par les prévenus, qui avaient tous gardé le silence en garde à vue. « Si je comprends bien, aucun d’entre vous ne revendique le fait d’avoir voulu ce jour-là faire entrer des personnes étrangères sur le territoire national, et je ne parle même pas de personnes en situation irrégulière ? »

      Les jeans frémissent sur le banc. Théo Buckmaster, 24 ans, « gardien de bain saisonnier » dans une piscine en Suisse, placé neuf jours en détention provisoire au début de l’affaire (avec deux autres), hésite visiblement : « J’ai envie de discuter [avec les autres et les avocats] pour voir si on parle, si on parle pas… »

      Le procureur s’engouffre : « Le dossier est composé de nombreuses revendications qui sont sur les réseaux sociaux, des articles de presse, c’était clair, net et précis : “On a passé la frontière en force, on a fait la démonstration qu’on pouvait abattre la frontière et faire passer les migrants”… »

      Sur Facebook, le squat « Chez Jesus », côté italien, assumait par exemple de « rompre ce dispositif de frontière qui tente de rendre la traversée impossible à ceux qui ne sont pas les bienvenus ». Mais rien d’écrit par des prévenus. Alors Raphaël Balland tente un dernier coup : « Vous n’êtes pas solidaires avec tout ça ? Aucun ? » Silence. « Donc vous dites à tous ceux qui sont dehors : “Nous, on n’assume pas ça” ? » Silence encore. « Dont acte. »

      Dans ses réquisitions, le procureur renonce finalement à la circonstance aggravante de « bande organisée » (faisant retomber la peine encourue à cinq ans de prison), parce que certains critères jurisprudentiels, telle l’existence d’une « forme de hiérarchisation et de pérennisation », ne sont pas démontrés. À tout le moins. « J’attendais les débats, se justifie le parquetier. Si j’avais eu avant les explications des uns et des autres… »

      Mais il ne lâche rien sur « l’aide à l’entrée irrégulière ». « Lorsque des gendarmes vous demandent de vous arrêter et que vous passez, ce n’est pas du pacifisme. Les gendarmes font leur boulot de contrôle ; s’ils laissent passer, c’est quoi la société ? La loi du plus fort. »

      Pour Jean-Luc et Mathieu, poursuivis pour une infraction supplémentaire et déjà condamnés par le passé, Raphaël Balland demande 12 mois de prison dont 4 ferme (avec un sursis avec mise à l’épreuve pour le trentenaire). Pour les cinq autres, il requiert 6 mois avec sursis. « J’aurais pu poursuivre pour outrage, c’est cadeau si j’ose dire. »

      À l’heure d’entamer les plaidoiries (minuit déjà), Me Vincent Brengarth ne parvient « toujours pas à comprendre pourquoi ces sept-là ont été extraits de la masse ». À ses yeux, rien ne permet de démontrer « l’élément moral » (ou intentionnel), indispensable pour caractériser une infraction. Qui plus est, « la flagrance [retenue par le parquet] se fonde sur un indice discriminatoire : rien ne permet d’indiquer que les personnes ne circulent pas en vertu d’un titre qu’elles auraient pu obtenir en Italie. C’est un peu l’armée des 100 qui se transforme en une seule personne ! ».

      Son collègue Yassine Djermoune, de son côté, insiste sur « la zone de violations des droits des migrants quasi systématiques » qu’est devenu le Briançonnais, où les exilés affluent maintenant depuis un an et demi. Dans sa manche : un rapport de la CNCDH (Commission nationale consultative des droits de l’homme), autorité administrative indépendante, consacré à la frontière italo-française vers Briançon et Menton.

      On y lit ce constat : « La CNCDH a été profondément choquée par les violations des droits des personnes migrantes constatées et par les pratiques alarmantes observées sur ces deux zones frontalières où la République bafoue les droits fondamentaux, renonce au principe d’humanité et se rend même complice de parcours mortels », au nom d’une « volonté politique de bloquer les frontières ».

      À 1 h 30, c’est une figure du barreau parisien, Me Henri Leclerc, fatigué mais debout, qui conclut. « Bien sûr qu’ils ont su qu’il y avait [des migrants], fallait-il qu’ils les chassent ? » lance l’avocat au tribunal. S’« ils ont participé à une manifestation qui, de fait, a aidé un certain nombre de gens, vous n’avez pas d’élément prouvant que chacun d’entre eux ait commis personnellement le délit d’aide ». Et d’en référer à l’article premier de la Déclaration universelle des droits de l’homme : « Tous les êtres humains doivent agir les uns envers les autres dans un esprit de fraternité. »

      Pour Me Leclerc, les « 7 de Briançon » « n’ont fait que ça ».

      https://www.mediapart.fr/journal/france/091118/les-7-de-briancon-en-proces-pas-question-de-laisser-les-identitaires-parad

    • À Gap, un procès fleuve pour « juger la fraternité »

      Sept militant.e.s solidaires passaient ce jeudi 8 novembre en procès au tribunal de Gap pour « aide à l’entrée irrégulière » d’étrangers « en bande organisée ». En cause, leur participation, le 22 avril 2018, à une marche à travers la frontière entre l’Italie et la France qui aurait permis l’entrée illégale de personnes migrantes sur le territoire français. Radio Parleur était dans la salle d’audience et devant le tribunal où s’étaient réunies plus d’un millier de personnes pour soutenir les accusé.es.

      « Maitre Djermoune, restez-en au fond de l’affaire ! » Isabelle Defarge a la tête dans les mains, celle des journées trop longues. Celle que l’on affiche lorsqu’on est présidente d’un tribunal qui attaque sa quinzième heure d’audience et que l’on se rappelle avoir annoncé, le matin même, tout sourire, qu’à 20h30 tout le monde serait chez soi. Un scénario marathon qui semblait pourtant écrit d’avance tant le programme de ce procès apparaissait, dès son ouverture, gargantuesque.

      Sur le banc des prévenus, 6 personnes : 4 français, 1 suisse et 1 belgo-suisse. La septième, une italienne, ne s’est pas présentée à l’audience. Leurs soutiens les appellent les « 3+4 », pour bien signifier que l’État s’acharne sur eux. Trois ont en effet été arrêtés au lendemain d’une manifestation en avril, puis quatre autres en juillet pour les mêmes faits.

      La justice leur reproche des faits datés du 22 avril dernier. En réaction à l’action des militants de Génération Identitaire au col de l’échelle, un groupe d’extrême-droite qui prétend interdire aux personnes migrantes l’entrée en France, les prévenu.es participent à une marche à travers la frontière entre la France et l’Italie en compagnie d’environ 200 militants et militantes. Cette mobilisation aurait permis à « une vingtaine » d’étrangers de pénétrer de façon illégale en France, affirme Raphaël Balland, le procureur de la République. Intitulé du délit : « aide à l’entrée irrégulière » sur le territoire avec la circonstance aggravante de « bande organisée ». Des charges passibles de 10 ans de prison et 750 000 euros d’amende.

      A ce menu bien rempli, le tribunal a jugé bon d’ajouter deux affaires annexes, une accusation de « rébellion » portée par des policiers de Briançon contre l’un des accusés et une autre pour un « attroupement illégal » auquel l’un des prévenus aurait participé en septembre dernier.

      Ajoutés à cela la dimension politique d’un dossier transformé en symbole par les associations de défense des personnes migrantes, et un millier de personnes massées sur la place à l’extérieur du tribunal pour soutenir les accusés. Vous avez la recette parfaite pour une audience sans fin.

      Les faits d’un jour, l’engagement d’une vie

      Les cheveux blancs, la stature petite et les lunettes rondes, le docteur Max Duez ressemble au professeur Tournesol. Comme le personnage d’Hergé, il n’est pas facile à interrompre mais lui n’est pas sourd, il est seulement déterminé. « Les accusés présents sur ce banc ont participé à sauver des dizaines de personnes dans la montagne » explique-t-il sans laisser la présidente du tribunal stopper le flot de ses paroles. « Moi, en tant que médecin, j’ai soigné des doigts gelés, des blessures. Eux ils sont allés chercher des personnes perdues dans la montagne ». En se tournant vers les accusés, il les nomme « les maraudeurs » et assure : « moi je n’ai sauvé la vie d’aucun migrants, eux oui ».

      Sur leur siège, dominant les accusés, la présidente et le procureur ne parviennent pas à faire comprendre leur point de vue de magistrats. « Nous sommes là pour juger les faits du 22 avril, ceux pour lesquels nous sommes saisis et seulement ceux-la » répète, telle une litanie, la présidente du tribunal. Elle rappelle « On n’est pas là pour régler un problème de société, ce n’est pas l’assemblée nationale », rien n’y fera.

      La stratégie de la défense est simple. Les prévenus contestent avoir eu l’intention, le 22 avril, de faire entrer des personnes migrantes. Tout au long des débats, les accusés et leurs représentants rappellent à quel point cette manifestation du 22 avril était pour eux une réaction au coup de communication monté par Génération Identitaire (faits pour lesquels ces derniers n’ont d’ailleurs été ni poursuivis, ni même interpellés). Elle s’inscrivait dans un contexte plus large que cette simple journée. C’est d’abord le rapport de la Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme (CNCDH), qui en juin dernier s’est dit « profondément choquée » par la situation à la frontière franco-italienne, qui est brandit par les avocats de la défense. Puis ce sont les histoires de violences policières, de poursuites dans la neige, de négation du droit des personnes migrantes, racontées à chaque intervention par l’accusé Benoît Ducos, la gorge serrée par l’émotion. Le tribunal voulait juger des faits, il se retrouve après plus de 16 heures de débats, à « juger la solidarité » lance Maître Henri Leclerc, illustre avocat de la défense, dans sa plaidoirie prononcée passé une heure du matin.

      « Ce qu’on leur reproche, c’est de pallier les carences de l’Etat »

      A l’extérieur, toute la journée, un village solidaire accueille les soutiens des accusés, ils et elles sont venus de Lyon, Grenoble ou Marseille, la plupart en car. Certains, comme l’agriculteur de la Roya et héros de la mobilisation pour l’accueil des personnes migrantes Cédric Herrou, ont été bloqués quelques heures par les gendarmes sur les routes menant à Gap. Michelle est arrivée de Toulouse, où elle héberge des personnes migrantes. « Vu ce qu’on fait au quotidien, ça pourrait tout à fait être nous sur le banc des accusés. » estime-t-elle, malgré la récente décision du Conseil Constitutionnel qui a mis fin au délit de solidarité. À ses côtés, Fatima acquiesce. « Ce qu’on leur reproche, c’est de pallier les carences de l’Etat, eux ils appliquent le droit humain. La justice en France elle a oublié le droit des Hommes ».

      Dans la salle d’audience, le procureur Raphaël Balland n’est pas du même avis. Les quelques rires qui parcourent la salle au gré des échanges entre la présidente et les accusés ne l’amusent pas. Depuis le début du procès, il entend les accusés et leurs avocats critiquer les forces de l’ordre et cela ne lui plaît pas. Il ne se prive donc pas de défendre régulièrement l’action de l’Etat. Au docteur Max Duez, il lance « vous savez combien de mineurs étrangers isolés ont été pris en charge cette année ! 947 ! ». À plusieurs reprises, il s’accroche avec les avocats de la défense et demande à la présidente de serrer les boulons d’un débat qui, il est vrai, lui échappe à plusieurs reprises.

      Dans ses réquisitions, il pointe le silence des accusés qui ont refusé de répondre aux enquêteurs, et présente plusieurs articles de presse qui citaient des militants et parfois même les accusés, en leur prêtant des propos en faveur de l’ouverture des frontières, du passage des personnes migrantes en France. Il met en doute le caractère spontané de la manifestation du 22 avril. S’il abandonne la charge de bande organisée, il pense tout de même « qu’une forme d’organisation, non caractérisable sur le plan judiciaire, était en place » au moment des faits. Au final, il demande 6 mois avec sursis pour Théo Buckmaster, Bastien Steufer, Lisa Malapert, Eleonora Laterza, et Benoît Ducos, qui n’ont pas de casier judiciaire. Par contre, 12 mois, dont 4 fermes et 8 de mise à l’épreuve, sont requis contre Matthieu Burrellier et Jean-Luc Jalmain. Ces deux-là ont déjà été condamnés. Burrellier est visé par l’accusation de « rébellion », Jalmain par celle « d’attroupement ». Les deux dossiers annexes qui accompagnent la principale accusation.

      Des plaidoiries au bout de la nuit

      A 22h30, plus de quatre heures après que chacun fut censé être de retour chez soi, les avocats et avocates de la défense plaident enfin. Ils sont 6. Un par un, ils et elles vont pointer les failles de l’accusation. Des vidéos qui ne montrent pas le moment du passage de la frontière à l’abandon de la charge de bande organisée, tout y passe. Pour Maître Philippe Chaudon par exemple : « s’il n’y a pas bande organisée, il ne peut pas y avoir délit. Sans cette organisation on ne peut pas étayer l’intention d’aider à entrer sur le territoire. » Bien au-delà de 1h du matin, c’est le doyen, Maître Henri Leclerc, qui conclut cette audience fleuve. « Est-ce que celui qui participe à une manifestation est responsable de toute la manifestation ? Certainement pas ! Sinon, tous sont coupables ! Alors pourquoi ce sont eux qui sont sur le banc des accusés ? Je parlerais presque d’arbitraire. » A 1h30, la présidente libère la salle, la décision est mise en délibéré, elle sera rendue le 13 décembre.

      https://radioparleur.net/2018/11/10/proces-migrants-gap-briancon

    • Hautes-Alpes : procès des sept de Briançon, le délibéré a été rendu ce jeudi

      Le délibéré du procès des sept de Briançon a été rendu ce jeudi en début d’après-midi. Quatre mois de prison ferme et huit mois avec sursis avec mise à l’épreuve pour Mathieu pour aide à l’entrée irrégulière et rébellion. Quatre mois également de prison ferme et huit mois avec sursis pour Jalmin. Il était aussi jugé pour participation à un attroupement. Théo, Bastien, Benoit, Lisa et Eleonora sont condamnés à six mois de prison avec sursis pour aide à l’entrée irrégulière d’un étranger en France. Ils ont dix jours pour faire appel. Selon nos informations, ils pourraient faire appel de cette décision de justice.

      Plus de 200 personnes se sont rassemblées ce jeudi devant le tribunal.

      Pour rappel, le procès avait duré plus de 17 heures au début du mois de novembre. Ces sept femmes et hommes comparaissaient pour aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière et en bande organisée. C’était le 22 avril dernier lorsqu’un cortège de 150 manifestants avait forcé le barrage de gendarmerie de Montgenèvre, avant de prendre la direction de Briançon. Parmi les mobilisés, une 20aine de migrants en situation irrégulière.

      Notez qu’une marche dans les rues de Gap a eu lieu ce jeudi après-midi durant laquelle les manifestants ont scandé, « Nous sommes tous des enfants d’immigrés ».


      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/74038/hautes-alpes-proces-des-sept-de-briancon-le-delibere-a-ete-rendu-

    • Les 7 de Briançon lourdement condamné·e·s par le tribunal de Gap [Communiqué Comité de soutien aux 3+4, Gisti, Anafé et La Cimade]

      Le 13 décembre 2018, le tribunal correctionnel de Gap a déclaré les 7 de Briançon coupables d’aide à l’entrée sur le territoire d’une personne en situation irrégulière. Si la circonstance aggravante de bande organisée a été abandonnée, la lourdeur des peines prononcées (conformes aux réquisitions du parquet) marque un tournant dangereux dans la répression des personnes solidaires.

      Benoit, Théo, Bastien, Lisa et Eleonora ont été condamnés à 6 mois d’emprisonnement avec sursis simple. Juan a été condamné à 12 mois d’emprisonnement dont 8 avec sursis simple et 4 fermes et Mathieu à 12 mois d’emprisonnement dont 4 fermes et 8 avec sursis avec mise à l’épreuve.

      Nos organisations sont scandalisées et indignées par ce jugement qui criminalise encore une fois et de manière inédite des militant·e·s agissant en faveur des droits des personnes migrantes.

      Le droit fondamental constitutionnel de manifester a donc été nié au profit d’une pénalisation toujours plus forte des personnes solidaires. Aussi, ce jugement va-t-il à l’encontre de l’obligation légale qu’a chacun·e de porter secours à une personne en danger. C’est un signal alarmant pour les défenseurs des droits humains en France qui font l’objet de pressions de plus en plus fortes de la part des forces de l’ordre et des autorités judiciaires.

      Nos organisations se dressent aux côtés de Bastien, Benoît, Eleonora, Juan, Lisa, Mathieu et Théo et continueront de les soutenir et de dénoncer la situation de péril imminent des personnes migrantes dans les Alpes.

      Lors de l’audience du 8 novembre 2018, les avocat·e·s et les prévenu·e·s ont pu dénoncer les violations quotidiennes des droits des personnes migrantes commises par les forces de l’ordre à la frontière franco-italienne, les agissements illégaux restés impunis à ce jour du groupuscule Génération Identitaire et les tentatives d’entraves au droit fondamental de manifester à la fois des prévenu·e·s mais aussi des personnes exilées.

      Le Ministère public avait demandé au tribunal de condamner respectivement à 6 mois d’emprisonnement avec sursis simple pour Bastien, Benoît, Eleonora, Lisa et Théo ; 12 mois dont 4 mois d’emprisonnement ferme et 8 avec sursis simple pour Juan ; et 12 mois dont 4 mois d’emprisonnement ferme et 8 avec sursis avec mise à l’épreuve pour Mathieu.

      Au-delà de la condamnation des 7 solidaires, le tribunal est resté sourd aux témoignages et preuves apportées par la défense, faisant le jeu ainsi des pratiques illégales de l’administration, les violations des droits et la traque des personnes migrantes. Alors que des personnes exilées, auxquelles nous essayons de venir en aide, meurent sur les routes dangereuses de la frontière franco-italienne, le tribunal correctionnel de Gap a fait le choix de condamner la solidarité.

      Ce jugement est rendu alors que la Cour de cassation a annulé hier des décisions condamnant des militants pour « délit de solidarité ». L’occasion de rappeler que d’autres militants solidaires des personnes migrantes de Briançon sont convoqués devant la justice en janvier et en mars 2019.

      Par ailleurs, les associations alertent sur la militarisation de la frontière qui contraint les personnes migrantes à se mettre en danger en montagne dans le froid et la neige. La présence policière permanente entrave le déroulement des maraudes visant à secourir les exilé·e·s.

      Soutenues par près de 50 000 personnes qui ont signé la pétition, nos organisations demandent l’abandon de toutes les poursuites pour délit de solidarité contre les personnes, dans les Alpes et ailleurs, qui agissent dans un esprit de fraternité.

      Rappel des faits :
      Bastien, Benoit, Eleonora, Juan, Lisa, Mathieu et Théo étaient poursuivi·e·s pour avoir participé, en avril dernier, à une marche solidaire pour dénoncer les violences commises par le groupuscule identitaire à l’encontre des personnes exilées dans la région de Briançon et pour protester contre la militarisation de la frontière franco-italienne. L’État leur reproche d’avoir à cette occasion « facilité l’entrée de personnes illégales sur le territoire français », et de l’avoir fait « en bande organisée ».

      Comité de soutien aux 3+4 : Article 1er, Le Cesai, CGT 05, Chemins Pluriels, Chez Marcel, CHUM, Collectif Maraudes, Comité de soutien aux 3+4 Genève, Comité de soutien aux 3+4 Marseille, Les Croquignards, Ensemble 05, La Fanfare Invisible, Icare 05, NO THT 05, PCF 05, Réseau hospitalité 05, Sud 05, Les Tabliers Volants, Tous Migrants.

      http://www.anafe.org/spip.php?article510

    • Condamnation des « sept de Briançon » : « Nous continuerons à résister tant qu’il y aura des frontières qui tuent »

      Condamnés pour avoir aidé des étrangers en situation irrégulière à entrer sur le territoire français en avril dernier, les militants ont annoncé qu’ils feraient appel.


      https://www.liberation.fr/france/2018/12/13/condamnation-des-sept-de-briancon-nous-continuerons-a-resister-tant-qu-il

    • Aide aux migrants : jusqu’à 4 mois de prison ferme pour les « 7 de Briançon »

      Sept militants solidaires, surnommés les « 7 de Briançon », ont été condamnés, jeudi 13 décembre, à des peines de prison avec sursis, et jusqu’à quatre mois de prison ferme. Tous avaient participé à une marche ayant permis à des « sans-papiers » de franchir la frontière entre l’Italie et la France.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/131218/aide-aux-migrants-jusqua-4-mois-de-prison-ferme-pour-les-7-de-briancon

    • Les « 7 de Briançon » ont été condamnés

      En avril, les « 7 de Briançon » avaient manifesté contre des militants d’extrême droite venus chasser les migrants à la frontière franco-italienne. Accusés d’avoir aidé des exilés à pénétrer en France, ils viennent d’être condamnés à des peines de prison.

      « Où étiez-vous le 21 avril ? », demande la présidente. « J’étais au refuge de Clavière, répond Theo, 24 ans. Je faisais à manger et je barricadais les entrées, parce qu’on s’attendait à une attaque des Identitaires. » Ce jour-là, dans le Briançonnais, le petit monde du soutien aux migrants est sens dessus dessous : Génération identitaire, groupe d’extrême droite, vient de débarquer à la frontière franco-italienne. Son objectif ? Repousser les migrants tentant de franchir les cols enneigés, pour dénoncer « le laxisme des autorités ». Cela fait pourtant des mois que les bénévoles solidaires secourent des exilés en perdition dans la montagne, essayant d’échapper à la traque des forces de l’ordre.

      Alors, que faire ? Dimanche 22 avril, une conférence était prévue de longue date à Clavière, dernier village italien avant la frontière. « Chez Jésus », dans le squat où sont réunis migrants et militants solidaires, l’idée d’une manifestation émerge. Sitôt dit, sitôt fait : quelque 120 personnes, accompagnées d’une trentaine d’exilés, se mettent en route. Peu après la frontière, un cordon de gendarmes français attend le cortège. Mathieu, 35 ans, tout en filmant, invective les pandores : « Vous n’êtes pas formés pour ça, vous êtes là pour protéger la veuve et l’orphelin. Démissionnez de la gendarmerie, faites autre chose. Pôle emploi c’est mieux ! » Petite bousculade, puis les gendarmes, trop peu nombreux, renoncent. La foule passe et rejoint Briançon, où les exilés sont mis à l’abri.
      « Ils ont sauvé des vies »

      Six mois plus tard, au tribunal de Gap (Hautes-Alpes), sept manifestants passent en procès. Quatre autochtones (Benoît, Lisa, Mathieu et Jean-Luc) et deux Genevois de passage (Bastien et Théo) sont sur le banc des prévenus. La septième, Eleonora, anarchiste italienne, a décliné l’invitation. Bien lui a pris : les débats vont durer dix-sept heures, ne s’achevant qu’à 1 h 30 du matin. Audience interminable, et pourtant si expéditive... Car ce 8 novembre, les « 7 de Briançon » risquent tout de même dix ans de prison. Pour quel délit ? « Aide à l’entrée irrégulière » d’étrangers sur le territoire français, « en bande organisée ».

      Alors, que faire ? D’abord, contextualiser. La frontière, la montagne et ses dangers. Le docteur Max Duez témoigne : « En tant que chirurgien, j’ai sauvé des tas de doigts gelés. Mais si aucun migrant n’a été amputé l’hiver dernier, c’est grâce aux maraudeurs. Sans eux, il y aurait eu bien plus de trois morts. Ceux qui sont accusés aujourd’hui sont les mêmes qui ont sauvé des vies. » Pour la présidente, ce n’est pas le sujet : « Le tribunal est saisi de faits précis, on n’est pas à l’Assemblée nationale ou au Sénat pour faire un débat de société. » Les prévenus insistent : « Il y a trois éléments de contexte importants, résume Benoît, 49 ans. D’abord, la militarisation de la frontière, qui fait prendre de nombreux risques aux exilés ; on a des témoignages qui attestent de courses-poursuites, de délaissements de personnes nécessitant des soins sur la voie publique. Ensuite, il y a Génération identitaire ; on sait tous que ce sont des gens dangereux. On ne pouvait pas leur laisser notre montagne comme ça. Et puis, il y a le rapport de la Commission consultative des droits de l’homme sur la zone de non-droit qu’est devenue cette frontière. » Un texte qui établit notamment que « les personnes migrantes [y] subissent des traitements inhumains et dégradants ».
      « Fallait-il qu’ils les chassent ? »

      Ensuite, que faire ? Revendiquer haut et fort la victoire qu’a représentée la manifestation contre le système des frontières ? Les avocats de la défense s’y refusent. « Il y a un aléa judiciaire assez considérable et de toute façon, le procès a servi de tribune politique, justifiera Me Vincent Brengarth après l’audience. En termes déontologiques, c’est quand même difficile de prendre le risque pour son client d’une défense de rupture qui l’expose à une peine d’emprisonnement aussi lourde – surtout quand vous avez un dossier qui permet juridiquement de plaider la relaxe. »

      Le dossier d’accusation, il est vrai, n’est pas franchement accablant. Certes, les vidéos sont formelles : les prévenus ont participé à la manifestation. Mais rien ne vient étayer leur responsabilité individuelle. « Je ne parviens toujours pas à comprendre pourquoi ces sept-là ont été extraits de la masse [des manifestants] », raille d’ailleurs l’avocat. Y a-t-il une preuve qu’un prévenu en particulier a « forcé » le barrage des gendarmes ? Empêché le contrôle d’un exilé par un gendarme ? Non. D’ailleurs, à part des a priori basés sur leur couleur de peau (noire), qu’est-ce qui démontre que ces « migrants » étaient en situation irrégulière ? Pas grand-chose. En tout et pour tout, le procureur n’a pu retrouver qu’un seul sans-papiers ayant pris part à la marche. Pour Me Henri Leclerc, les prévenus « ont fait une manifestation sans demander les papiers de ceux qui venaient avec eux. Bien sûr qu’il y en avait [des migrants]. Fallait-il qu’ils les chassent ? »

      « La manifestation était spontanée, décrit Benoît. Elle n’avait que deux objectifs : dénoncer la militarisation de la frontière et les actions de Génération identitaire. » Un brin bancale, cette stratégie de défense vacille par moments. « Si je comprends bien, questionne le procureur, aucun d’entre vous ne revendique le fait d’avoir voulu ce jour-là faire entrer des personnes étrangères sur le territoire national ? » Silence. Le parquetier enchaîne, ressort des communiqués victorieux [1] publiés après la manifestation sur les réseaux sociaux. « Vous dites à tout le monde que vous n’êtes pas solidaires de ça ? Aucun ? » Silence gêné.
      Le procureur demande du sursis et du ferme

      C’est l’heure des réquisitions. Faute d’éléments suffisants, le procureur renonce à la circonstance aggravante de « bande organisée ». Les prévenus ne risquent « plus que » cinq ans de prison. Cinq d’entre eux n’ont pas de casier judiciaire : le procureur requiert six mois de prison avec sursis [2]. Les deux autres manifestants ont des antécédents judiciaires et ne sont pas jugés uniquement pour « aide à l’entrée irrégulière ». Mathieu est accusé d’avoir résisté physiquement à une tentative d’arrestation (« rébellion ») – lui, parle de violences policières et d’une entorse cervicale. Le procureur demande quatre mois de prison ferme, et huit de sursis. Même réquisition contre Jean-Luc, 52 ans, accusé de « délit d’attroupement ». Lors du rassemblement « Passamontagna » à la frontière en septembre, il ne se serait pas dispersé de la masse des manifestants après sommations – lui dit que ce jour-là, il est toujours resté en Italie.

      En défense, Me Henri Leclerc revient sur les principes. Pour lui, les prévenus « sont des gens qui se souviennent de l’article 1 de la Déclaration universelle des droits de l’homme », qui stipule que « les êtres humains […] doivent agir les uns envers les autres dans un esprit de fraternité ». Aux yeux de l’avocat, les « 7 de Briançon » « n’ont fait que ça ».
      Le tribunal suit le procureur

      Ce jeudi 13 décembre, le tribunal a finalement rendu son jugement. Les sept prévenus ont été jugés coupables et condamnés aux peines demandées par le procureur. Cinq d’entre eux écopent donc de six mois de prison avec sursis, les deux autres de douze mois d’emprisonnement (huit avec sursis et quatre ferme, mais aménageables : en toute logique, aucun d’entre eux n’ira réellement en prison). Ils ont l’intention de faire appel.

      « L’enjeu, c’était de savoir si la justice allait confirmer l’engagement de l’État auprès des identitaires et contre les personnes solidaires, a résumé Benoît, l’un des prévenus, habitué des maraudes de secours dans la neige. L’État et la justice ont fait le choix de la mort. Nous, on continuera d’être là pour accueillir la vie qui vient. »

      Et Mathieu d’adresser ce message à toutes les personnes de bonne volonté : « On appelle tout le monde à venir en montagne nous filer la main, pour que le col de l’Echelle et le col de Montgenèvre ne deviennent pas des cimetières. Et peu importe si on a les flics au cul. »


      http://cqfd-journal.org/Les-7-de-Briancon-ont-ete
      #caricature #dessin_de_presse

    • #7deBriançon : Du délit de solidarité au déni d’humanité.

      La justice peut-elle être folle ? C’est la question posée après le verdict rendu ce 13 décembre 2018 à Gap contre ceux qu’on appelle les « 7 de Briançon ».

      Leur crime ? Avoir manifesté de Clavières à Briançon contre le blocage illégal de la frontière par une bande organisée d’une ligue fasciste « Génération identitaire » dont Leurs membres ont également sillonnés Briançon et ses alentours pour menacer et harceler des personnes sans que ni la police aux frontières, ni la préfecture n’interviennent.

      La justice considère que manifester avec des noirs venus d’Afrique est un délit, voire une aide à l’entrée irrégulière de personnes humaines. Parce que oui… Il y a des personnes humaines dont l’état considère qu’elles n’ont le droit ni à la Liberté, ni à l’Égalité et… par conséquent, ni à la Fraternité. Il faut avoir la carte pour ça ou bien le passe droit économique en dollars sonnant.

      Alors la police en a pris 7… Pourquoi ceux-là ? Pourquoi pas d’autres ? Elle a sûrement consulté ses fiches de renseignements et s’est dit « tiens lui là il a déjà manifesté contre la destruction par RTE de la Haute vallée de la Durance… L’autre là fait des maraudes dans la montagne pour sauver des êtres en perdition… Il est dangereux. etc etc »… Parce que c’est de ça dont on parle : un procès hautement politique pour condamner la solidarité et militariser la frontière afin de bloquer toute manœuvre de secours en vue de sauver quelques personnes… Qui n’ont pas la carte !

      Pourtant, l’optimisme était de mise ce 13 décembre après l’annulation par la Cour de cassation de la condamnation du « délinquant en bande organisé » Cédric Herrou de la Vallée de la Roya. Celle-ci s’appuyant sur la décision du Conseil constitutionnel qui rappelle que la Fraternité n’est pas juste une idée en l’air, un truc pour faire joli sur les frontons des écoles, des mairies, des préfectures (mais aussi des tribunaux) mais c’est bien une donnée fondamentale qui entre dans le champ d’action du droit juridique.

      Optimisme d’autant de rigueur que le premier procès avait été reporté le 31 mai dernier pour attendre la décision du Conseil constitutionnel… Le second ayant eu lieu le 8 novembre dernier, et si le réquisitoire à charge du procureur Raphaël Balland était sans surprise, on pouvait espérer que la justice était suffisamment indépendante pour ne pas entrer dans sa grossière démonstration. Entre le report et le procès, 4 solidaires de plus étaient jugés. D’autres le seront en janvier et en mars prochain.

      Plus de 300 personnes attendaient à l’extérieur le verdict qui ne tarda pas à venir : TOUS CONDAMNÉS !!! 6 mois avec sursis pour cinq d’entre-eux et 12 mois dont quatre fermes pour deux d’entre-eux. « Ils avaient le choix de la solidarité, ils ont fait le choix de la mort » dira l’un d’eux à juste titre. Au delà de ses condamnations ce sont les maraudes et l’accueil qui sont mises face au mur, à genou, les mains derrière la tête sous l’œil menaçant d’une police aux ordres, non plus de la République, mais d’un état qui a fait sécession avec ce qu’elle portait de plus noble.

      Tristesses, larmes, bien entendu pour les condamnés mais aussi pour la principale incriminée : LA FRATERNITÉ ! La voilà salie, mise au ban d’une simple délinquance, une incivilité. Malgré tous les débats, les prises de position du Conseil constitutionnel, les annulations de condamnations, il semblerait que le tribunal de Gap soit déconnecté, à moins que pas si indépendant que ça d’un parquet rayé jusqu’à l’usure de la dent dure.

      Mais le cynisme du verdict ne s’arrête pas là et la justice n’en n’avait pas fini de montrer un visage hargneux, méprisant et provocateur. Alors que les condamnés informaient à l’aide d’une petite sono tous les « délinquants en bande organisée » venus les soutenir, elle vint, de la hauteur de sa robe noire demander en personne que l’on fasse moins de bruit et qu’on s’en aille tous… « circulez y a rien à dire » ! Eh bien si il y a à dire ! Madame le juge s’en est prise directement aux condamnés, hors de sa salle d’audience pour demander le silence sous l’œil médusé des journalistes, de la police et des centaines de soutiens présents. On voyait dans l’œil du chef des garde-mobiles un air de « c’est quoi ce bordel ? »

      Il n’en fallait pas autant pour que s’exprime la colère de tous mais ce fut le déclencheur d’une manifestation improvisée dans les rues de Gap. « Madame le juge, c’est votre provocation qui sème le trouble à l’ordre public » entendions-nous dire. « C’est de la folie » murmura un gardien de la paix à sa collègue. Durant 3 heures, les manifestants ont parcourus sous les klaxons et les applaudissements, plus nombreux que les railleries, les rues de la Capitale pas si douce que ça ce jeudi.

      Après la question de la constitutionnalité du « délit de solidarité » faudra-t-il poser celle du « déni d’humanité » ?

      Mathieu, Juan, Théo, Bastien, Benoît, Lisa et Éleonora font appel de la décision et aucun mandat de dépôt n’a été requis.

      https://alpternatives.org/2018/12/14/7debriancon-du-delit-de-solidarite-au-deni-dhumanite

      Deux vidéos :
      https://www.youtube.com/watch?v=d60lncDNeRw


      https://www.youtube.com/watch?v=d2LG1zd3zhs

    • #7deBriançon : Juge tout puissant (récit d’un jugement par Alice Prud’homme)

      Il est 14 heures, la salle du tribunal est remplie. Une classe de collégiens est présente pour assister à l’audience. Ils disent ne pas savoir pourquoi ils sont là, ils ne vont pas être déçus…

      Si il fallait résumer cette séance de 25 minutes en un mot, il n’y en aurait qu’un seul et comme par hasard c’est le premier écrit sur nos notes : MÉPRISANT. Dés les premières phrases de la juge, on sent cette attitude, cette envie, et malheureusement la suite du verdict. La juge a le mérite de ne pas cacher son jeu !!!

      Après quelques explications juridiques faites à toute vitesse de façon à ce que personne ne comprennent rien puisqu’en fait il n’y a rien à comprendre, tant elles sont sans sens et unilatérales. Seule une chose est importante pour la juge : l’entrée en situation irrégulière sur le territoire. Le principe de solidarité du conseil constitutionnel n’en fait pas partie, l’acte d’humanité encore moins. La déclaration des droits de l’homme sauvegarde les personnes mais pas leur circulation. Le Pacte de Marrakech (cf : https://alpternatives.org/2018/12/11/pacte-de-marrakech%e2%80%89-sachons-raison-garder) de lundi rappelle que les états ont un droit indéniable sur les entrée et sorties… en enfin le délit d’aide à l’entrée n’est pas déclaré contraire à la déclaration des droits de l’Homme.

      La présence de Générations identitaires, le contexte d’une manifestation libre, les violences policières, les risques de blessures et mortalités des migrants, la montagne, les 17 heures de procès, les témoins et les plaidoiries ? Oubliés…

      Alors que les accusés présents à la barre, accompagnés de leurs avocats, se resserrent les uns contre les autres, se regardent… La juge tourne ses feuilles à la va vite comme si elle était pressée d’en finir. Les collégiens sont déjà perdus.

      Les 7 sont alors jugés coupables les uns après les autres pour des raisons assez floues… Certains avaient un camion en fin de cortège donc organisateurs, d’autres ont reçu des sms donc savaient qu’ils allaient à une manifestation, d’autres on ne sait pas mais sont coupables, et pour le dernier la juge dira textuellement « on n’a pas de preuves mais au vu de la façon dont il haranguait en tête de cortège, il est jugé coupable ! ». Pour la rébellion d’un des 7 il est admis qu’il n’y a pas rébellion physique contre les forces de l’ordre étant donné que ce dernier est à terre dés le début mais il y a rébellion car il a refusé d’être menotté… donc il devra des indemnités pour préjudices physiques à ces policiers même si il est reconnu qu’il n’a pu ne serait-ce que les toucher étant à terre… tout cela est très logique… là c’est sûr déjà que les collégiens ne doivent rien comprendre !

      Alors qu’un des désormais condamné s’assoit car assommé, la juge lui dira « bah alors vous êtes déjà fatigué ? Vous ne l’étiez pas pour marcher debout le 22 avril ! » … vient alors les peines, la juge les aurait presque oublié tournant toujours ses feuilles à toute vitesse… Celles-ci sont annoncées à l’identique des réquisitions du procureur. La somme des indemnités de 4000 euros en tout est annoncée pour la rébellion, après que la juge calcule à voix haute en ajoutant au condamné « il va falloir travailler pour payer maintenant, car c’est pas avec ce que vous gagnait que cela va suffire… » Accompagné d’un petit sourire… Les nouveaux condamnés ont dix jours pour faire appel, fin du débat.

      Les collégiens n’auront pas compris le jugement mais ils auront vu comment un adulte, professionnel, représentant la justice s’était comporté ; méprisant. Il faut juste sortir au plus vite de cette salle, prendre de l’air pur.

      Après réflexion au vu de ce raisonnement incohérent, partial et dénué de toute humanité, les 200 personnes présentes le 22 avril à la marche solidaire sont toutes coupables, alors pourquoi eux ?

      Alice Prud’homme

      https://alpternatives.org/2018/12/15/7debriancon-juge-tout-puissant-recit-dun-jugement-par-alice-prudhomme

    • Mobilisation avec les maraudeurs solidaires en procès – 9 et 10 janvier Gap/Briançon

      Le collectif Délinquants Solidaires relaie ces appels à mobilisation de l’association Tous Migrants en solidarité avec les maraudeurs poursuivis à Gap et de manière plus large avec les personnes exilées, premières victimes de politiques migratoires inhumaines.


      Mercredi 9 et Jeudi 10 janvier : Rassemblements en solidarité avec Pierre et Kevin, deux nouveaux maraudeurs solidaires poursuivis

      En 2019, l’acharnement contre les solidaires, malheureusement, se poursuit… mais notre mobilisation fraternelle et solidaire aussi !
      Suite à l’inimaginable condamnation des « 7 de Briançon » (verdict tombé le 13 décembre dernier), qui bien entendu font appel de cette décision, la pression sur les solidaires ne faiblit pas, puisque ce vendredi 10 janvier, deux autres personnes passeront en procès au Tribunal de Gap.

      Pour les soutenir, pour continuer d’affirmer notre devoir d’assistance à personnes en danger, à travers notamment les maraudes solidaires, et pour dénoncer les violences institutionnelles et policières qui sévissent à la frontière, comme ailleurs sur le territoire français, nous vous donnons deux rendez-vous importants, organisés par le Comité de Soutien des 4+3+2+… dont fait partie Tous Migrants :

      – MERCREDI 9 JANVIER A 15 HEURES SUR LE FRONT DE NEIGE DE MONTGENEVRE

      Rassemblons-nous pour rendre visible et soutenir l’action des maraudeurs solidaires en ce lieu, sensibiliser la population aux démarches à suivre pour aider une personne en détresse en montagne, dénoncer les violences policières liées à la frontière. Distribution de flyers de sensibilisation.

      – JEUDI 10 JANVIER A 8H30 DEVANT LE TRIBUNAL DE GAP

      Retrouvons-nous très nombreux encore (2000 personnes ont répondu présentes pour le procès des 7 !) pour exprimer notre soutien aux deux nouveaux maraudeurs solidaires poursuivis et exiger leur relaxe, affirmer le droit de circulation pour tous, exiger l’arrêt des violences policières partout où elles s’exercent.

      http://www.delinquantssolidaires.org/item/mobilisation-maraudeurs-solidaires-proces-9-10-janvier-gap-br

    • Procès des solidaires de Briançon Acte II (récit par Agnès Antoine)

      Ce jeudi 10 janvier 2019, en l’absence de la justice et du droit, Pierre et Kévin ont été condamnés pour ASSISTANCE à PERSONNE EN DANGER. La stupéfaction nous a saisi lorsque le tribunal refuse les demandes de renvoi des avocats. Dès lors nous avons compris que ce procès n’était en fait qu’un procès politique pour condamner l’engagement militant et humaniste de ces deux solidaires. Pourtant les demandes de renvoi étaient parfaitement justifiées et Maître Chaudon nous confiera « qu’il n’a jamais vu ça ». Et oui, ici dans les Hautes-Alpes, il se passe des choses extraordinaires.

      Maître Chaudon, avocat de Pierre, exprime sa difficulté à explorer et analyser sérieusement le dossier de plusieurs centaines de pages (contenant entre autre fadaises : relevés gps et tutti quanti…) alors qu’ il ne l’a reçu que le 27 décembre. Il ajoute qu’il détient des pièces capitales à joindre au dossier : les rushs du film tourné par les journalistes qui accompagnait Pierre ce soir là que l’instruction ne s’est même pas préoccupée de demander.

      Que nenni rien n’y fera, le film ne sera même pas visionné à l’audience.

      Pour Maître Binimelis, avocate de Kévin, la demande de renvoi se justifiait tout simplement parce qu’elle n’avait pas reçu le dossier de son client. La procureur d’expliquer que oui ce dossier avait bien été envoyé par lettre recommandée tardivement parce que le fax du tribunal, malgré 4 essais, ne marchait pas, et que même par mail, c’était impossible, “vous savez les moyens de la justice” … Nous ne savons pas où est passé le soi-disant recommandé puisque Maître Binimélis n’a jamais reçu…

      Qu’à cela ne tienne, le parquet de Gap a décidé que ce procès devait se tenir, il se tiendra : droit de la défense bafouée, on se croirait dans un film de Costa Gavras…

      Pierre est appelé à la barre. La juge nous fait la lecture du rapport de la police qui est en parfaite inadéquation avec les images que nous avons pu voir sur la 7 ( télé italienne qui était présente ce soir la) vous pouvez les voir ici http://www.la7.it/piazzapulita/video/bardonecchia-il-viaggio-dei-migranti-nella-neve-11-01-2018-231246

      Regardez ces images, on y voit Pierre à partir de la 6eme minute distribuer du thé des gâteaux des gants. La police arrive, contrôle d’identité, lorsqu’une exilée fait un malaise. Pierre la transporte dans la voiture de la police et demande aux agents des force de l’ordre d’appeler les secours.

      Pour justifier interpellation de Pierre, et sa convocation devant le tribunal, la police ment et l’accuse d’avoir fait fuir deux autres personnes. Ainsi donc la police mentirait… alors en plus de malmener les exilés, de les mettre en danger à la frontière, de les frapper de les voler, la police est aussi coupable de faux témoignages ?

      Et voilà pourquoi Pierre se retrouve à la barre : parce qu’il a porter assistance à une personne en danger !

      Fermez le ban et vive la République…

      Devant cette mascarade, Kévin va user de son droit au silence, et son avocat ne plaidera pas un dossier qu’elle n’a pas pu étudier.

      Plusieurs personnes présentes dans la salle expriment alors leur colère, un médecin très connu dans le briançonnais part en claquant la porte du tribunal.

      Nous sommes atterrés, révoltés, nous savons ce qu’il se passe à la frontière, nous avons signalé à Mr le Procureur de Gap les maltraitances, les tabassages, les vols, les propos racistes et xénophobes, les dénis de droit et d’humanité, la mise en danger quotidienne subis par les exilé-e-s, la traque dans la montagne avec des chiens…

      NOUS SOMMES ATTERRÉS PARCE QUE NOUS SAVONS QUE PIERRE, KEVIN ET TOUS LES AUTRES MARAUDEURS SAUVENT DES VIES, ET QUE CES VIES ONT UNE VALEUR INFINIMENT PLUS IMPORTANTE QU’UNE QUELCONQUE FRONTIÈRE !

      Le verdict tombe dans l’après midi.

      #Pierre est condamné à trois de prison avec sursis.

      #Kévin est condamné à quatre mois de prison avec sursis.

      Pendant ce temps là, deux ministres, M. Blanquer et Lecornu se baladaient dans les Hautes-Alpes en compagnie des élus et du député Joël Giraud , dans la plus parfaite indifférence du drame qui se joue à Montgenèvre, à la frontière franco italienne.

      https://alpternatives.org/2019/01/11/proces-des-solidaires-de-briancon-acte-ii-recit-par-agnes-antoine

    • Alerte Plaidoyer - 15 janvier 2019

      Après le verdict scandaleux du 13 décembre 2018 à l’encontre des 3+4 de Briançon, Tous Migrants et la CIMADE Sud-Est s’alarment du déni de justice inacceptable et des nouvelles condamnations infligées à 3 autres montagnard.e.s solidaires

      Le 10 janvier 2019, Marie, Pierre et Kevin étaient jugés au tribunal de Gap. Ils ont été jugés coupables et sanctionnés pour avoir été solidaires avec des personne exilées. Qui par sa voiture, son thermos ou sa couverture de survie.
      Mais ne nous trompons pas, c’est à nouveau la solidarité et le devoir de fraternité qui ont été condamnés et pénalisés (rappel du verdict : 3 et 4 mois de prison avec sursis pour Pierre et Kevin et peine d’amende pour Marie).
      Comme bien d’autres personnes solidaires auparavant, Marie, Pierre et Kevin n’auraient pas dû être à la barre d’un tribunal français puisqu’ils ou elle n’ont fait qu’aider une personne exilée en danger ou distribuer un thé chaud.
      Au cœur de ce procès auraient dû se trouver non pas des personnes solidaires mais les vraies raisons politiques de cette situation catastrophique dans nos montagnes alpines qui deviennent des zones de non-droit, de violences et de souffrances mortelles. Ces violations des droits des personnes exilées à la frontière franco-italienne sont connues et déjà maintes fois dénoncées par nos organisations (cf Communiqué de Presse inter-associatif en date du 16 octobre 2018). Le parquet le sait : mettant en danger de mort des personnes, la Police aux frontières traque et poursuit des exilé·e·s dans la montagne. Des signalements ont été envoyés au procureur pour illustrer ces intimidations, ces violences répétées dans les montagnes. Une plainte et des témoignages accablants ont été recueillis et envoyés - en date des 25 et 26 septembre puis du 22 octobre 2018 - au procureur qui ne peut ignorer la situation dans les Alpes.

      Une justice qui obéit à quels principes ?
      Des gestes de solidarité, d’hommes et de femmes qui apportent soutien, assistance à leur prochain ne devraient pas être poursuivis par les procureurs. Et pour faire écho à la question posée par l’un des avocats devant le tribunal de Gap : pourquoi le procureur a-t-il choisi de continuer ses poursuites à charge contre les solidaires alors qu’il a le choix de les abandonner ?
      Les raisons sont là encore éminemment politiques : tout d’abord viser à faire passer pour des délinquant·e·s les personnes solidaires qui défendent les droits humains ; ensuite dissuader d’intervenir celles et ceux qui un jour croiseront sur le bord de la route ou au détour d’un chemin des personnes exilées épuisées, en hypothermie près de la frontière. Enfin, chercher à casser le mouvement citoyen de celles et ceux qui remettent en cause les frontières telles qu’elles sont vécues actuellement. Pour ces trois raisons, des défenseurs des droits humains sont condamnés à des peines de prison.
      Quand la magistrature à Gap s’aligne sur le ministère public, nous nous inquiétons de l’indépendance de la justice, de son impartialité. Le tribunal de Gap semble incapable de prononcer des relaxes face à cette « impérieuse » nécessité de condamner pour faire trembler la solidarité. Preuve en est : le tribunal a passé outre les droits de la défense lors de ce procès. En effet, l ‘un des avocats n’avait pas eu accès au dossier pénal de son client avant l’ouverture du procès ; et un second l’avait reçu très tardivement. Le report a été demandé et chaque fois refusé… Alors même qu’aucune urgence vitale ne justifiait la tenue de ces procès comme l’a rappelé l’un des avocats. Tout aussi grave, des preuves qui auraient disculpé Pierre d’une version policière des faits totalement fallacieuse et mensongère ont été refusées.
      Ces faits révèlent une justice à charge, une justice qui ne respecte pas ses propres règles, une justice qui frappe les défenseurs des droits au lieu de frapper les responsables politiques et policiers qui non seulement ne respectent pas l’obligation de porter assistance à personne en danger mais contribuent à créer ces mises en danger mortel.

      Il n’y a pas de bons ou de mauvais défenseurs des droits humains
      « Puis je vous demander si vous êtes engagé.e dans une association de soutien aux migrants ? », a demandé la magistrate à chacun des trois solidaires. Poser cette question n’est pas anodin. A celle qui répondait par la négative, une amende, à ceux qui étaient perçus comme « militants », des peines de prison.
      La question récurrente de la magistrate laisse entendre que le principe de fraternité pourrait accepter plusieurs définitions. Or il n’y en a qu’une : celle qui affirme que le respect des droits fondamentaux de toute personne est une nécessité, quelle que soit sa situation administrative ou autres. Cette question crée la confusion entre la définition d’un principe et les diverses manières et possibilités de le mettre en œuvre dans la pratique. Enfin, elle gomme le fait que les citoyens sont confrontés à un Etat qui ne respecte pas les droits fondamentaux des personnes exilées comme le rappellent inlassablement le Défenseur des Droits, la Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme et plus largement les défenseurs des droits humains.

      La dérive de l’Etat de droit
      Dans ce contexte, on peut s’interroger sur qui sont les « militants », et pour qui « militantisme » signifie l’instrumentalisation d’une situation pour la poursuite d’une finalité prédéfinie :
      S’agit-il des personnes qui viennent en aide à d’autres personnes en détresse, dans le respect du principe de fraternité, que ce soit à titre individuel ou dans un cadre associatif ?
      Ou bien celles qui cautionnent délibérément les multiples entraves au droit et les violences policières à l’encontre des personnes exilées ? Celles qui s’acharnent à poursuivre ces personnes solidaires et à les condamner ? Celles qui prennent a priori pour vraies les versions policières et qui accusent a priori les solidaires de fabriquer des faux, tout en refusant d’examiner les documents apportés à l’appui de leurs dires ? Celles qui définissent et soutiennent des politiques migratoires qui ont pour conséquence la mort de milliers de personnes qui cherchent un coin de terre où vivre en paix ?
      Qu’on y prenne garde : la multiplication des poursuites et des condamnations pénales à l’encontre des personnes solidaires fait apparaître plusieurs marqueurs des sociétés inégalitaires et des régimes autoritaires :
      la réduction de la fraternité à un acte charitable individuel et isolé (le privilège des riches)
      le discrédit de l’engagement collectif consistant à mettre en pratiques des valeurs humanistes et à combattre les injustices
      le traitement des opposants politiques comme des délinquants.

      Nous réaffirmons que les maraudes soulagent des souffrances et permettent de sauver des vies dans les montagnes. Qu’il s’agit d’une solidarité active qui va bien au-delà du geste charitable isolé auquel les dirigeants actuels voudraient le réduire. A Briançon, comme à Paris, Calais ou dans tant de grandes villes, les maraudes sont les conséquences de ces politiques migratoires qui érigent en principe de ne pas accueillir et de mal accueillir celles et ceux qui ne nous ressemblent pas.

      C’est pourquoi, Tous Migrants et La Cimade Sud-Est :
      affirment que les maraudes continueront tant que ces politiques illégales et dangereuses persisteront : tous les procureurs de France ne suffiront pas à endiguer les personnes solidaires qui, chaque jour plus nombreuses devant ces exigences de solidarité qu’elles découvrent, agissent pour défendre les droits des exilé·e·s.
      appellent à une maraude géante solidaire le 15 mars prochain à Montgenèvre : « Tous solidaires ! tous maraudeurs ! »

      Message reçu via la mailing-list de Tous Migrants, le 15.01.2019

    • Communiqué de presse, Mercredi 2 octobre à 14h

      Procès d’un citoyen solidaire du Briançonnais. Mobilisation à Grenoble

      Le mercredi 2 octobre à 14h, un solidaire briançonnais (#Kévin) comparaîtra devant la cour d’appel de Grenoble (38) pour délit de solidarité. Il est accusé d’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière sur le territoire français et de délit de fuite, alors qu’il portait secours à des personnes en danger en montagne, en hiver dans les Hautes-Alpes. Le tribunal de grande instance de Gap (05) l’a condamné le 10 janvier 2019 à une peine de 4 mois de prison avec sursis. Ce jugement faisait suite à celui des « 3+4 de Briançon » en décembre 2018, condamnés pour des faits similaires. Une mobilisation citoyenne aura lieu à Grenoble devant la cour d’appel.

      Au-delà d’un soutien face à la répression, au harcèlement et aux intimidations, tous les solidaires veulent - à l’occasion de ce procès en appel d’un citoyen épris de solidarité - dénoncer le durcissement des politiques migratoires françaises et européennes.

      En particulier :

      – Les pratiques illégales et les violences commises contre les personnes exilées aux frontières : traques mortelles et arrestations violentes dans la montagne, refoulements de personnes vers l’Italie sans examen individuel de leur situation ni possibilité d’exercer leur droit à déposer une demande d’asile, non-prise en compte de la minorité de jeunes qui se sont déclarés tels auprès des forces de l’ordre.

      – La situation scandaleuse dans les Centres de Rétention Administrative (CRA), qui procède d’une volonté d’expulser encore plus de personnes réfugiées et migrantes. Notamment les 892 Afghans qu’un projet d’accord européen envisage de renvoyer plus facilement dans de pays dit « sûr ».

      – L’hébergement insuffisant qui laisse à la rue des milliers de personnes sans logements.

      – La volonté française de durcir le règlement Dublin.

      – La diminution et les restrictions de l’Allocation pour Demandeur d’Asile (ADA) et le durcissement de l’accès à l’Aide Médicale d’État (AME).

      – La coopération entre le 115 (hébergement d’urgence) et l’Office Français de l’Immigration et de l’Intégration (OFII) visant à ficher les étrangers, refusée par les travailleurs sociaux.

      – Le manque de moyens consacrés par l’État et les Conseils départementaux pour la prise en charge des Mineurs non Accompagnés (MNA), les logiques arbitraires et les obstacles à la reconnaissance de minorité des jeunes étrangers.

      – La poursuite mortifère du scandale des frontières de l’Europe : en Méditerranée (seulement 80% de rescapés !), en Libye et au Niger, aux abords de Melilla..., scandale lié au refoulement des migrants tentant la traversée par l’opération navale européenne "Sophia", et à la délégation de la gestion des flux migratoires à des États comme la Turquie et la Libye.

      Pour toutes ces raisons ce procès en appel est le symbole d’un délit d’inhumanité commis par des responsables politiques de notre pays. Nous donnons rendez-vous aux citoyen.ne.s le mercredi 2 octobre à 13h30 devant le palais de justice de Grenoble, pour soutenir les solidaires et lutter contre l’aggravation des politiques migratoires.

      Le comité de soutien des 3+4+2+…. de Briançon.

    • A Grenoble, des militant.es « pourchassé.es par les procureurs »

      Kévin, #maraudeur solidaire dans les Alpes, est jugé en #appel à Grenoble. Un nouveau rendez-vous judiciaire qui fait suite à sa condamnation à sa peine de prison avec sursis, en première instance, comme une quinzaine de ses camarades. Leurs soutiens dénoncent un procès contre la solidarité de celles et ceux qui offrent assistance aux exilé・e・s durant leur traversée des montagnes.

      « Tant qu’il y aura du sang d’immigrés sur les semelles des flics ». Sur la banderole, le message est clair : les militant・e・s porteront secours malgré leurs condamnations par la justice. Ils et elles sont une centaine à s’être rassemblé・e・s devant le Palais de Justice de Grenoble, mardi 2 octobre, en début d’après-midi. Certains installent un stand de discussion, d’autres étendent les banderoles qui synthétisent leur engagement : « Oui au droit de trouver un asile dans le pays de son choix ».

      Tout・e・s sont venu・e・s soutenir Kévin Lucas. Ce berger de 32 ans est condamné en janvier dernier à quatre mois de prison avec sursis par le tribunal correctionnel de Gap pour le délit « d’aide à l’entrée d’étranger en situation irrégulière ». Une condamnation dont il a immédiatement fait appel.

      Une quinzaine de maraudeurs condamnés à la prison en première instance

      Pour #Michel_Rousseau, porte-parole de l’association Tous Migrants, « c’est un important de voir comment la Cour d’appel de Grenoble va trancher ce litige. ». En première instance, le sentiment d’#injustice règne parmi les militant·es. « Il a été condamné à une peine de prison, comme une quinzaine de ses camarades, alors qu’on exerce simplement notre devoir de citoyen vis-à-vis de personnes en détresse, qui nous demandent l’hospitalité. », s’indigne-t-il.

      Michel Rousseau tient également à rappeler que l’infraction d’aide à l’entrée, à la circulation ou au séjour irrégulier d’un étranger, telle qu’elle existe aujourd’hui, vient du décret-loi du 2 mai 1938 du gouvernement #Daladier qui, selon lui, « visait à pourchasser ceux qui aidaient les juifs et tout ceux qui fuyaient le nazisme et le fascisme ».

      « Démolir ce #délit_de_solidarité »

      Contre cette répression judiciaire, Michel Rousseau estime qu’il faut « être toujours plus nombreux à se comporter comme des citoyens ordinaires et refuser que notre pays dérive dans une logique régressive vis-à-vis des droits et répressive vis-à-vis de ceux qui veulent faire respecter ces droits ». Le militant y voit une persécution insupportable : « ce sont les procureurs qui nous pourchassent, et tous les serviteurs de cet Etat régressif et répressif, dont certains membres harcèlent les solidaires ».

      Sauveur ou passeur : le débat au cœur de l’audience

      Vers 14 heures, plusieurs militant·es gagnent le Palais de Justice. L’audience commence par un rappel des faits reprochés à Kévin Lucas. Le 25 mars 2018, vers trois heures du matin, il est arrêté au volant d’un véhicule, sur une route au milieu des Hautes-Alpes, en direction de Briançon. À son bord, il transporte cinq personnes en situation irrégulière. À la barre, Kevin Lucas revient avec fermeté sur cet épisode. « Je les ai rencontrés dans les montagnes, dans des conditions de fortes neiges et de risque d’avalanche ».

      Il explique que régulièrement, il effectue des maraudes pour surveiller certains passages dans les montagnes et sauver celles et ceux qui les empruntent. « Ils prennent des risques inconsidérés », explique-t-il, « souvent pour éviter des dispositifs de police. Il faut mettre en sécurité ces personnes et leur permettre de faire une demande d’asile ». Kévin Lucas assure avoir agit uniquement dans un but humanitaire. « Je les ai trouvés, je ne suis pas allé les chercher ».

      C’est pourtant cette théorie qui est défendu par le représentant du ministère public, pour qui « un faisceau d’indices » le confirme : le téléphone de Kévin Lucas, ses relations, son engagement « d’ultra-gauche ». Un qualificatif qui ne manque pas de faire ricaner les autres militant.es présent.es dans la salle.

      « Sans les maraudes, les morts et les blessés seraient bien plus nombreux »

      Pour l’avocat général, il a volontairement pris son véhicule pour faire passer la frontière à cinq étrangers en situation irrégulière. Le parquet requiert la même peine qu’en première instance : quatre mois de prison avec sursis.

      L’avocate de Kévin Lucas, maître #Maeva_Binimelis, soulève de son côté l’importance de la #fraternité et de la #solidarité ainsi que la #détresse dans laquelle se trouvent les exilé·es qui mettent en péril leur vie pour demander l’asile. « Sans les maraudes, les morts et les blessés seraient bien plus nombreux », soulève-t-elle. Kévin Lucas remplit « l’obligation naturelle de porter secours ».

      « Il y aura toujours des gens pour apporter cette aide »

      Elle s’appuie notamment sur une question prioritaire de constitutionnalité rendue par le Conseil constitutionnel en juillet 2018, à propos de ce délit de solidarité. Selon le Conseil, interdire l’aide à la circulation étranger en situation irrégulière est contraire à la constitution et à son principe de fraternité lorsque cette aide est motivée par un but humanitaire.

      À la fin de l’audience, Kévin Lucas ajoute que « il y aura toujours des gens pour apporter cette aide ». La décision de la Cour d’appel de Grenoble sera rendue le 23 octobre. L’audience se termine. Pour l’avocate de Kévin Lucas, « on ne peut plus détourner l’imprécision d’un texte pour poursuivre des gens qui agissent par simple humanité ».

      Des procès de maraudeurs qui se succèdent

      À l’extérieur, les soutiens de Kévin Lucas sont toujours présent・e・s devant le Palais de Justice. Cela « va de soi » pour Didier. « Plus on sera nombreux, plus le nombre fera de l’effet ». Aux yeux d’Isabelle, « on devrait être plus nombreux encore pour soutenir ces personnes. Je ne comprends pas cette justice, je ne comprends pas où on habite. Que l’Etat soit dans une telle posture d’inhumanité, ça me chamboule ». Les associations chercheront de nouveau à rassembler des soutiens le 24 octobre pour le jugement en appel d’un autre maraudeur à Grenoble. Une affaire similaire sur laquelle la Justice devra encore trancher.

      https://radioparleur.net/2019/10/03/proces-grenoble-solidarite
      #délit_de_solidarité #fraternité

      ping @isskein @karine4

    • Message de #Myriam_Laïdouni-Denis sur FB (02.10.2019)

      #DelitDeSolidarité Procès en appel de #Kévin Lucas : un appel au respect des #droits de l’homme, du #principe de #fraternité, de liberté et d’égalité.

      Voici mes premiers retours qui s’ajouteront aux autres comptes rendus prévus par les associations présentes sur les bancs du tribunal lors de l’#audience à laquelle nous avons assistée aujourd’hui 2 octobre 2019 à Grenoble.

      Après le procès en première instance au tribunal correctionnel de #Gap en janvier dernier où nous avions assisté à une parodie de justice, cette audience a été le théâtre de débats forts , émouvants et dignes, permettant enfin à Kévin et sa défense d’exposer la réalité du drame humain qui se joue à la frontière, d’exprimer la question qui est au cœur de ces procès : celle du respect des droits de l’homme.

      Deux chefs d’accusation :
      –refus de se soumettre à un contrôle de véhicules
      –Aide à l’entrée et au séjour irréguliers.

      I /Un appel au respect du droit : le principe de fraternité au cœur de l’examen.

      Les magistrats ont dès le départ évoqué l’application de la décision du conseil constitutionnel reconnaissant le principe de fraternité qui rend possible l’aide humanitaire sans contrepartie aux personnes en situation irrégulière. Les questions posées à Kévin ont été clairement axées sur les critères qui permettent d’établir la nature de l’aide apportée. « Avez vous reçu une contrepartie ? » A cette question Kévin a répondu « non », et son avocate Maître Maeva Binimelis d’ajouter :pas de contrepartie financière ou intéressée, car Kévin comme tous ceux qui font du sauvetage ne sont pas de ceux qui font commerce de la détresse humaine au contraire, mais des moments d’échanges, de partage entre être humains ;
      En filigrane : l’empathie et le bien être que génère l’altruisme sont-ils a considérer comme des contreparties ? Encore une fois s’invite la question de la définition de la notion de contrepartie qui reste sujette à interprétation.

      II/ Un appel au discernement :
      Concernant le refus de contrôle du véhicule que le procureur a demandé de requalifier en « refus obtemperer »( qualification plus grave), comment la cour pourrait elle raisonnablement adhérer à cette interprétation des faits qui révèlent une" course poursuite" à...... 40km/h ! Ça pourrait faire sourire mais au sein d’une cour d’appel de justice n’est ce pas plutôt à pleurer ?

      III/ Un appel aux respect de la liberté d’opinion et d’expression qui est un droit !
      Il a été évoqué comme portant le doute sur les intentions de Kévin, ses fréquentations avec des associations dites « pro migrants » , ses prises de positions et expressions de ses opinions politiques, or être militant, avoir des opinions, s’associer à d’autres pour les exprimer n’est pas un délit ! N’est ce pas cela aussi être citoyen et agir en démocratie... Cela n’est pas un délit, pas encore !

      IV/ Un appel au respect du droit à la liberté de chacun quant à l’utilisation de la téléphonie mobile , droit à la déconnexion.( Un élément aussi très symptômatique de la notion de ce qu’est un comportement" normal" dans notre société connectée....) .
      Parmi les éléments apportés pour incriminer Kevin, il a été mis sur la table le bornage de son téléphone qui parfois n’émettait plus de signal. D’abord la défense a avancé la question des zones blanches nombreuses dans la montagne , pour ensuite ajouter que couper son téléphone n’est de toute façon pas un délit !

      V/ Un appel au respect du droit de circulation dans l’union européenne pour les ressortissants européens .
      Le bornage de téléphone indiquant de Kévin était allé en Italie dans la journée, l’accusation a tenté de démontrer que ces trajets avaient servi au transport des personnes en situation irrégulière. Or Kévin a expliqué que comme beaucoup de Français, il s’était en effet rendu en Italie pour apporter matelas et autres matériels pour permettre l’hebergement des personnes en situation de vulnérabilité accueillies par les associations de solidarité en Italie. Il n’est pas illégal de franchir la frontière pour un ressortissant européen et pas non plus illégal de transporter du matériel ! Aucun élément ne permet d’affirmer que Kévin a transporté des passagers entre l’Italie et la France. La seule chose avérée, c’est le transport des personnes migrantes entre Briançon et Montgenèvre c’est à dire entre deux communes Françaises ! Et ça non plus ce n’est pas répréhensible puisque s’inscrivant dans le principe de fraternité.
      Et au passage, il aurait pu être soulevées les raisons qui ont conduit les forces de l’ordre à contrôler cette voiture, à définir comme sans papiers ces personnes sans même les avoir encore contrôlées... depuis quand dans le droit français, être noir est signe d’irrégularité ? Contrôle aux faciès ?

      VI/ Enfin , quant au silence de Kévin lors de la première audience ( silence conseillé par son avocate qui n’avait pas eu accès au dossier dans des délais permettant la préparation de sa défense) , maître Binimelis a rappelé qu’il est un droit et ne saurait induire la culpabilité de son client.

      Avant les derniers mots de Kévin, la plaidoirie de la défense a raisonné avec fermeté et émotion : rappellant que 80 ans après la déclaration universelle des droits de l’homme, l’ inconditionnalité de ses droits ne devrait même plus être remise en question, que Kévin comme toutes celles et ceux, nombreux qui œuvrent pour le respect effectif de l’inconditionnalité de ces droits ne devrait pas être poursuivis. Elle a donc demandé, pour lui comme pour l’ensemble de ceux qui risquent de comparaître devant cette cour pour les mêmes raisons, la relaxe.

      Le délibéré est prévu le 23 octobre prochain, ce sera la veille du procès de Pierre , coïncidence administrative ? Qui sait
      A suivre....

      Tous Migrants Apardap Asso @La Cimade Anvita - Association nationale des villes et territoires accueillants et beaucoup d’autres , heureusement nombreux.

      https://www.facebook.com/myriam.laidounidenis.5/posts/10157493018079194?__tn__=H-R

    • Procès de Kévin : Un appel apaisé n’est pas gagné…

      Ce mercredi 2 octobre, le premier solidaire du Briançonnais, Kévin est passé en jugement à la #cour_d’appel de Grenoble. Après un jugement du tribunal de Gap du 10 janvier dernier sans appel pour la fraternité, les solidaires étaient préparés au pire. Condamné à 4 mois de prison avec suris pour entrée sur le territoire Français de personnes en situation irrégulières et pour refus de contrôle des forces de l’ordre, le maraudeur, son avocate et les personnes en soutien étaient bien présentes à Grenoble pour faire entendre enfin leur voix.

      Alors que 200 personnes se sont réunies dans l’après-midi devant le tribunal de Grenoble, une quarantaine de personnes ont suivies le déroulement du jugement à l’intérieur. Quelques journalistes sont présents, l’avocat général est à la gauche des trois magistrats qui sont là pour juger cette affaire peu ordinaire qui deviendra courante dans les mois qui viennent pour eux… Le public attend avec appréhension de revivre le cauchemar du tribunal de Gap, dénigrement, à la va vite et non écoute… Il est évident que les conditions de travail ne sont pas les mêmes, ici les salles sont closes, portes blindées, aucun bruits de l’extérieur pour perturber les juges, des forces de l’ordre qui font régner le silence et éteindre les téléphones portables…aucunes fuites possibles. Rassurant ou inquiétant, on ne sait pas.

      Kévin s’avance à la barre, les magistrats déclinent son identité, travail… demandent son salaire (?). Le public retient son souffle et n’aime pas cette question sans rapport. Puis avec calme, il rappel les faits du rapport, l’incident, les circonstances, un homme avec 5 personnes dans sa voiture à Val des près qui met du temps à s’arrêter à l’appel de la police, il est mentionné qu’il fait parti d’un environnement pro-migrant d’après son téléphone. Puis avant de commencer à poser des questions, le magistrat rappelle que désormais la loi est plus souple concernant l’infraction d’entrée de « migrants » sur le sol français dans le cas du principe de fraternité, et donc ils appliqueront le droit actuel. Le public respire, et se détend… Plusieurs questions sont posées au maraudeur, il explique que c’est un droit de pouvoir demander l’asile en France, il marche juste dans la montagne pour sauver des vies au cas où ces vies se mettent en danger pour fuir la répression policière à la frontière sur la route, il n’a pas fuit le contrôle de police car il roulait à 40km/heure sur la nationale. Puis le magistrat lui demande s’il a reçu une contrepartie directe ou indirecte ? Aucune ! Si d’après la loi, il a fait acte d’humanité ? Il en conclut que Kévin pourrait avoir fait acte d’humanité en emmenant en sécurité les personnes au refuge solidaire pour fuir la situation difficile d’Italie et que selon les mots de l’accusé c’est un retour du passé colonial pour la France. On sent de la bienveillance dans l’attitude des magistrats mais c’est au tour de l’avocat général… Il demande que le refus de contrôle soit modifié en refus d’obtempéré approuvé par les magistrats, l’argument du 40km/heure étant mis en avant. Concernant l’aide à l’entrée des « migrants », il ne comprend pas pourquoi Kevin a gardé le silence en garde à vue et plus maintenant, il ne comprend pas comment on peut trouver des personnes dans la nuit en montagne, il ne comprend pas pourquoi il y a des zones d’ombres et d’absence de bornage de son téléphone, pourquoi il a été au refuge « chez Jésus » en Italie ce même jour, et, quand même, est d’un milieu d’ultragauche ! Donc d’après lui, Kevin est passé en voiture avec les migrants, par la route et donc la frontière, donc il doit être condamné aux mêmes peines. Le public écoute mais bon, il n’a pas l’air très convaincu parce qu’il avance, il fait son boulot…

      Enfin l’avocate de Kévin prend la parole et plaide pour une justice qui respecte les droits humains, l’égalité, liberté et fraternité. Elle rappelle ces textes de lois sur la fraternité qui régit cette justice depuis 1936… Évoque ce carnage auquel on assiste, qui n’est que des traces évidentes des exploitations humaines, des morts dans le désert, des naufragés en mer et en devenir. Les migrants sont avant tout des êtres humains qui sont le symbole de la crise économique mondiale, mais, eux, n’ont pas les bons papiers ! Il faut replacer le contexte, des êtres humains qui mettre péril leur vie pour pouvoir demander l’asile. Et finalement ceux qui ont les bons papiers aident ceux qui ne les ont pas. Sans les maraudes il y aurait plus de blessés et de morts, les maraudeurs font leur devoir d’humanité et dons d’eux même, sans recevoir. Mais aujourd’hui tous les moyens sont permis pour dissuader quiconque d’aider en montagne ou ailleurs, la longue liste des solidaires qui vont suivre dans votre tribunal en ait la preuve. Les « preuves » sont démontées les unes après les autres. Est-ce une infraction d’avoir 5 personnes noires dans sa voiture, en roulant à 40km/heure ? Le refus d’obtempérer ne peut être reconnu car la peine est plus lourde que celle demandée ! Est-ce un délit d’être d’ultra-gauche ou pro-migrant, selon les droits de l’homme c’est un délit d’opinion et d’expression de penser cela. Est-ce une preuve d’être allée « Chez Jésus » pour apporter à manger ou des couvertures ? « Moi aussi j’y suis allée » dira l’avocate. Est-ce une infraction commise de garder le silence ? C’est un droit, et non une culpabilité. Peut-on se fier au bornage des téléphones ? Avons-nous encore le droit d’éteindre son téléphone et est-ce un délit ? Et faut-il rappeler qu’il existe encore des zones en montagne ou le téléphone ne capte pas, les fameuses zones d’ombres pour le procureur et blanches pour les opérateurs ! Ainsi elle conclura donc que la fraternité est un devoir qui s’impose, qu’il n’y a jamais eu de business sur la misère, la relaxe est demandée.

      Le délibéré sera rendu le 23 octobre, la vieille du procès en appel d’un autre solidaire, Pierre. La salle semble soulagée, les solidaires ont été cette fois écouté, reste à savoir s’ils seront entendus.

      https://alpternatives.org/2019/10/07/proces-de-kevin-un-appel-apaise-nest-pas-gagne

    • APPEL AU SOUTIEN DES MARAUDEURS POURSUIVIS EN JUSTICE
      Procès devant la #Cour_d’appel de #Grenoble le 24 octobre 2019

      Je m’appelle #Pierre, condamné en première instance à 3 mois de prison pour avoir aidé des personnes en détresse en montagne.
      Pourquoi suis-je poursuivi en justice ?
      Pour ceux qui me connaissent, j’ai toujours été sensible aux difficultés qu’un être humain peut rencontrer : handicap, détresse, différences... Modestement, je propose mon aide dans ces situations, préparant des repas chauds pour des associations d’aide aux SDF, pilotant des personnes handicapées sur les pistes de ski.
      J’habite dans le Briançonnais, territoire de montagne frontalier avec l’Italie. Mes métiers sont l’accueil et l’accompagnement en montagne. Je tâche de les accomplir du mieux que je peux. Ils m’ouvrent à l’autre.
      C’est pour ces raisons que naturellement quand des personnes en exil ont frappé à nos portes, j’ai ouvert la mienne.
      Protéger et mettre à l’abri est la moindre des choses à faire et je participe à ce qu’on appelle des maraudes, afin de prévenir les accidents encourus par des êtres humains vulnérables, venus chercher protection chez nous. Il n’est pas acceptable que des personnes perdent la vie en tentant d’échapper à la police qui les refoule systématiquement en Italie. C’est pourtant ce qui s’est déjà produit. Depuis 2015 des dizaines de personnes n’ont trouvé que la mort en tenant de franchir la frontière entre l’Italie et la France. D’autres sont handicapées à vie.
      Lors de ces maraudes j’ai découvert combien la loi n’était pas respectée par les personnes en charge de la faire appliquer : le 06 janvier 2018, alors que je portais secours à 4 personnes par -10° dans la neige dans le village de Montgenèvre, la Police aux frontières m’a interpellé. Je n’ai pu qu’assister impuissant aux arrestations des personnes exilés, mais la police déclare que je les ai aidé à s’échapper. Les faits ont été entièrement filmés et j’ai donc la preuve que cette déclaration est purement mensongère.
      Le 24 octobre, je passerai devant la Cour d’appel de Grenoble pour que la justice soit rétablie.
      Ce qui m’a conduit devant un tribunal, c’est un abus de pouvoir de la police à l’encontre des personnes exilées, ce sont les fausses déclarations de policiers censés représenter la loi,
      c’est la volonté de faire un exemple de mon cas pour instaurer la peur... la peur d’aider l’autre, la peur de la solidarité.
      En première instance à Gap, la justice a refusé de considérer les preuves de ces mensonges et a délibérément ignoré les éléments apportés pour ma défense.
      Dans ce climat d’intimidation et d’arbitraire, c’est la solidarité qui est attaquée, c’est la fraternité qui est menacée. Nous sommes tous en danger.
      C’est pourquoi j’appelle votre soutien, pour moi, pour toutes les personnes démunies devant cette non-justice, pour les personnes en exil que vous avez rencontrées sur votre chemin et qui vous ont montré leur propre humanité, pour toutes les personnes que vous croiserez.
      Merci.

      Pierre, avec le soutien des personnes morales et physiques suivantes (premiers signataires) :

      Comité de soutien des 3+4+2+... de Briançon : ATTAC 05, Chemins Pluriels, Chez Marcel, Cimade 05, Collectif Maraudes, Les Croquignards, Icare 05, Refuges Solidaires, Réseau Hospitalité 05, Sud Education 05, Tous Migrants, Union communiste libertaire 05, Union Syndicale Solidaires 05, Un jour la Paix.

      Associations nationales et internationales : Act for Ref, ANAFÉ, Association Autremonde, Assemblée Citoyenne des Originaires de Turquie, Association Française des Juristes Démocrates (AFJD), Association Nationale des Villes et Territoires Accueillants (ANVITA), APICED, Association des Travailleurs Maghrébins de France (ATMF), ATTAC France, CADTM France, Caravana Abriendo Fronteras (Espagne), Carovane Migranti (Italie), Collectif Délinquants Solidaires (61 organisations membres), CCFD-Terre Solidaire, la Cimade, CNT, Confédération des Travailleurs - Solidarité Ouvrière, CRID, Droit au Logement, Emmaüs International, Emmaüs France, Espacio Sin Fronteras (Espagne), Etats généraux des Migrations (EGM), FASTI, Fédération des Tunisiens pour une Citoyenneté des deux rives (FTCR), Femmes Egalité, Fondation France Libertés, Fondation Franz Fanon, GISTI, Le Group’, Ligue des Droits de l’Homme (LDH), MRAP, Organisation pour une citoyenneté universelle, Réseau Euro-Maghrébin Citoyenneté et Culture (REMCC), Réseau Education sans Frontières (RESF), Riders for Refugees, Union syndicale Solidaires, Sang pour Sans, Utopia.

      Associations régionales et locales : Association pour la Démocratie (Nice), Artisans du Monde 06, ASTI (Romans 26), Association Kolone, Bagagérue, Cimade 06, Citoyens Solidaires 06, CMB 34, Collectif de soutien de l’EHESS aux sans-papiers et aux migrant-es, Collectif Migrants 83, Collectif Réfugiés du Vaucluse, CSP 95, Collectif Urgence Welcome de Mulhouse, Collectif Vigilance pour les droits des étrangers Paris 12ème, Collectif Ivryen de Vigilance contre le Racisme, Comité des Sans Papiers 59, Éducation.World 86, FCPE 06, FSU 06, GAT Réfugiés Migrants Fi35, Habitat & Citoyenneté (Nice), InFLEchir, Kâlî, LDH Nice, LDH Nord-Alpilles Châteaurenard, LDH PACA, LDH Ivry-Vitry-Charenton, Mouvement de la Paix Gap, Mouvement de la Paix 06, MRAP 06, Ongi Etori Errefuxiatuak Bizkaia, Paris d’Exil, Planning familial 06, RESF 06, RESF 23, RESF 63, RESF 80, Roya Citoyenne, Solidaritat Ubaye, Solidaires 06, Solidaires étudiant.e.s Nice, Syndicat des avocats de France 06, Terre d’errance, Tous Citoyens (Nice), Tous Migrants Savoie, TPC Maison Solidaire, Vallées solidaires 06, WISE (soutien aux jungles du Nord Pas-de-Calais),

      Personnalités : Catherine CANDELIER, conseillère municipale EELV de Sèvres (92) ; David CORMAND, député européen, secrétaire national EELV ; Marie DORLEANS, fondatrice de Tous Migrants ; Carol FERER, citoyenne solidaire ; Guillaume GONTARD, sénateur ; Cédric HERROU, citoyen solidaire ; Jacques HULEUX, GL EELV PVM ; Myriam LAÏDOUNI-DENIS, conseillère régionale ; Bernard LETERRIER, maire de Guillestre (05) ; Pierre-Alain MANNONI, citoyen solidaire ; Monique NOUDIER, sympathisante ; François PHILIPONNEAU, Mouvement ATD Quart Monde ; Mounier SATORI, député européen EELV ; Rose Silvente, citoyenne ; Marie TOUSSAINT, député européenne écologiste ; Sylvie ZORA, citoyenne solidaire.

      Reçu par email le 22.10.2019

    • Procès de Kévin : Un appel apaisé n’est pas gagné…

      Ce mercredi 2 octobre, le premier solidaire du Briançonnais, Kévin est passé en jugement à la cour d’appel de Grenoble. Après un jugement du tribunal de Gap du 10 janvier dernier sans appel pour la fraternité, les solidaires étaient préparés au pire. Condamné à 4 mois de prison avec suris pour entrée sur le territoire Français de personnes en situation irrégulières et pour refus de contrôle des forces de l’ordre, le maraudeur, son avocate et les personnes en soutien étaient bien présentes à Grenoble pour faire entendre enfin leur voix.

      Alors que 200 personnes se sont réunies dans l’après-midi devant le tribunal de Grenoble, une quarantaine de personnes ont suivies le déroulement du jugement à l’intérieur. Quelques journalistes sont présents, l’avocat général est à la gauche des trois magistrats qui sont là pour juger cette affaire peu ordinaire qui deviendra courante dans les mois qui viennent pour eux… Le public attend avec appréhension de revivre le cauchemar du tribunal de Gap, dénigrement, à la va vite et non écoute… Il est évident que les conditions de travail ne sont pas les mêmes, ici les salles sont closes, portes blindées, aucun bruits de l’extérieur pour perturber les juges, des forces de l’ordre qui font régner le silence et éteindre les téléphones portables…aucunes fuites possibles. Rassurant ou inquiétant, on ne sait pas.

      Kévin s’avance à la barre, les magistrats déclinent son identité, travail… demandent son salaire(?). Le public retient son souffle et n’aime pas cette question sans rapport. Puis avec calme, il rappel les faits du rapport, l’incident, les circonstances, un homme avec 5 personnes dans sa voiture à Val des près qui met du temps à s’arrêter à l’appel de la police, il est mentionné qu’il fait parti d’un environnement pro-migrant d’après son téléphone. Puis avant de commencer à poser des questions, le magistrat rappelle que désormais la loi est plus souple concernant l’infraction d’entrée de « migrants » sur le sol français dans le cas du principe de fraternité, et donc ils appliqueront le droit actuel. Le public respire, et se détend… Plusieurs questions sont posées au maraudeur, il explique que c’est un droit de pouvoir demander l’asile en France, il marche juste dans la montagne pour sauver des vies au cas où ces vies se mettent en danger pour fuir la répression policière à la frontière sur la route, il n’a pas fuit le contrôle de police car il roulait à 40km/heure sur la nationale. Puis le magistrat lui demande s’il a reçu une contrepartie directe ou indirecte ? Aucune ! Si d’après la loi, il a fait acte d’humanité ? Il en conclut que Kévin pourrait avoir fait acte d’humanité en emmenant en sécurité les personnes au refuge solidaire pour fuir la situation difficile d’Italie et que selon les mots de l’accusé c’est un retour du passé colonial pour la France. On sent de la bienveillance dans l’attitude des magistrats mais c’est au tour de l’avocat général… Il demande que le refus de contrôle soit modifié en refus d’obtempéré approuvé par les magistrats, l’argument du 40km/heure étant mis en avant. Concernant l’aide à l’entrée des « migrants », il ne comprend pas pourquoi Kevin a gardé le silence en garde à vue et plus maintenant, il ne comprend pas comment on peut trouver des personnes dans la nuit en montagne, il ne comprend pas pourquoi il y a des zones d’ombres et d’absence de bornage de son téléphone, pourquoi il a été au refuge « chez Jésus » en Italie ce même jour, et, quand même, est d’un milieu d’ultragauche ! Donc d’après lui, Kevin est passé en voiture avec les migrants, par la route et donc la frontière, donc il doit être condamné aux mêmes peines. Le public écoute mais bon, il n’a pas l’air très convaincu parce qu’il avance, il fait son boulot…

      Enfin l’avocate de Kévin prend la parole et plaide pour une justice qui respecte les droits humains, l’égalité, liberté et fraternité. Elle rappelle ces textes de lois sur la fraternité qui régit cette justice depuis 1936… Évoque ce carnage auquel on assiste, qui n’est que des traces évidentes des exploitations humaines, des morts dans le désert, des naufragés en mer et en devenir. Les migrants

      sont avant tout des êtres humains qui sont le symbole de la crise économique mondiale, mais, eux, n’ont pas les bons papiers ! Il faut replacer le contexte, des êtres humains qui mettre péril leur vie pour pouvoir demander l’asile. Et finalement ceux qui ont les bons papiers aident ceux qui ne les ont pas. Sans les maraudes il y aurait plus de blessés et de morts, les maraudeurs font leur devoir d’humanité et dons d’eux même, sans recevoir. Mais aujourd’hui tous les moyens sont permis pour dissuader quiconque d’aider en montagne ou ailleurs, la longue liste des solidaires qui vont suivre dans votre tribunal en ait la preuve. Les « preuves » sont démontées les unes après les autres. Est-ce une infraction d’avoir 5 personnes noires dans sa voiture, en roulant à 40km/heure ? Le refus d’obtempérer ne peut être reconnu car la peine est plus lourde que celle demandée ! Est-ce un délit d’être d’ultra-gauche ou pro-migrant, selon les droits de l’homme c’est un délit d’opinion et d’expression de penser cela. Est-ce une preuve d’être allée « Chez Jésus » pour apporter à manger ou des couvertures ? « Moi aussi j’y suis allée » dira l’avocate. Est-ce une infraction commise de garder le silence ? C’est un droit, et non une culpabilité. Peut-on se fier au bornage des téléphones ? Avons-nous encore le droit d’éteindre son téléphone et est-ce un délit ? Et faut-il rappeler qu’il existe encore des zones en montagne ou le téléphone ne capte pas, les fameuses zones d’ombres pour le procureur et blanches pour les opérateurs ! Ainsi elle conclura donc que la fraternité est un devoir qui s’impose, qu’il n’y a jamais eu de business sur la misère, la relaxe est demandée.

      Le délibéré sera rendu le 23 octobre, la vieille du procès en appel d’un autre solidaire, Pierre. La salle semble soulagée, les solidaires ont été cette fois écouté, reste à savoir s’ils seront entendus.

      Alice Prud’homme

      https://alpternatives.org/2019/10/07/proces-de-kevin-un-appel-apaise-nest-pas-gagne
      #tribunal #tribunal_de_Grenoble

    • A Grenoble, la défense des soutiens aux migrants enfonce un coin

      Au procès en appel de Pierre Mumber « condamné pour aide à l’entrée d’un étranger », les images d’un journaliste italien infirment la version des policiers. Mais d’autres dossiers montrent que la répression judiciaire contre les maraudeurs se poursuit.

      Est-ce l’esquisse d’un fiasco judiciaire ? Les images d’une télé italienne diffusées jeudi 24 octobre 2019 devant la cour d’appel de Grenoble ont jeté le doute sur la version policière ayant conduit à la condamnation en première instance d’un « maraudeur » venu au secours de migrants à Montgenèvre (Hautes-Alpes), tout près de la frontière italienne, le 6 janvier 2018.

      Pierre Mumber, 55 ans, conteste une peine de trois mois de prison avec sursis prononcée le 10 janvier 2019 par le tribunal correctionnel de Gap pour « aide à l’entrée, à la circulation et au séjour irréguliers d’un étranger ». Son avocat n’avait à l’époque de cette audience pas eu le temps de mettre la main sur les « rushes » du journaliste italien, et le tribunal lui avait refusé un renvoi. Jeudi, en appel, la cour a visionné les 19 minutes, et l’accusation s’en trouve fragilisée. Sans toutefois émouvoir l’avocat général qui a requis la confirmation du jugement.

      Selon les policiers, Pierre Mumber a voulu les empêcher de charger des migrants dans leur voiture, dont il a ensuite ouvert la portière pour leur permettre de s’échapper. Au moins deux d’entre eux se sont fait la malle. Ce gérant de gîte au Monêtier-les-Bains a aussi été condamné pour avoir aidé certains des migrants à franchir la frontière, ce que rien ne prouve, sinon le fait que son téléphone a « borné » en Italie ce soir-là.

      Mais comme cet homme posé et carré l’explique, « quand on est dans les environs de Briançon, c’est très souvent que notre téléphone nous indique qu’on est en Italie ». Et s’il s’y est trouvé, cela ne prouve pas qu’il a accompagné les exilés. « Très surpris par le rapport de police qui ne correspond en aucun point avec ce qui a été filmé », le prévenu, soutenu devant le palais de justice par plus de 300 personnes dénonçant « le durcissement des politiques migratoires », répète : « Je n’ai pas franchi de frontière, je n’ai pas fait d’obstacle à la police. »

      Ce soir-là, il fait –10 °C, et Pierre Mumber effectue une maraude avec deux autres bénévoles. À 20 h 20, le poste de police situé sur la frontière à Montgenèvre (1 800m d’altitude) reçoit un appel anonyme indiquant que des migrants se trouvent au pied des pistes de ski. Un policier s’y rend, trouve les migrants, les maraudeurs et les journalistes.

      Sur leurs images, on voit que l’une des migrantes, #Aargau_Kanton, Nigériane, va très mal. Elle s’agenouille à terre, pleure. Pierre Mumber l’enveloppe d’une couverture de survie puis la porte dans la voiture de police en réclamant d’appeler les pompiers. Ensuite, on voit cette voiture arrêtée un peu plus loin, les portes ouvertes : deux ou trois des migrants qui s’y trouvaient ont disparu, ne reste que la Nigériane. Les pompiers la conduiront à l’hôpital, et elle finira au Refuge solidaire de Briançon, qui accueille les exilés. Exactement ce que Pierre Mumber aurait fait sans l’intervention de la police. Il sera à nouveau arrêté onze mois plus tard, le 13 décembre 2018, dans la descente du col de Montgenèvre, avec trois migrants dans son véhicule. Le Parquet ne le poursuivra pas, lui accordant l’immunité pour motif « humanitaire ».

      Rien de tel ce soir du 6 janvier 2018. Pourtant, on voit sur les images que, quand il arrive au véhicule de police, les migrants se sont déjà enfuis. Il n’aurait donc pas ouvert les portières. « Comment expliquer que la police s’acharne sur vous ?, s’interroge l’avocat général. C’est votre parole contre la sienne. » Et pour le magistrat, « ce DVD n’est pas probant de telle manière qu’il puisse contredire le rapport de police ». À ses yeux, il manque des images pour connaître le film complet de la soirée.

      L’avocat général se plaint « qu’on accuse clairement la police de mensonge ». « On me dit que c’est à moi de rapporter les preuves, ajoute-t-il. Mais pour moi, il y a les procès-verbaux de police. » Ils lui suffisent, alors qu’ils n’ont valeur que de « simple renseignement », comme le remarque en défense Me Philippe Chaudon. Et qu’ils sont faux au moins sur un point. Un policier y affirme avoir gardé les papiers d’identité du cameraman italien « par inadvertance », alors que les images démontrent qu’il l’a fait sciemment en répétant : « Je veux voir son film, je ne veux pas être dans son film ! » Sous-entendu : les papiers seront rendus si le journaliste lui montre ses images.

      Tout en plaidant la relaxe, Me Chaudon se garde de faire le procès de la police : « Chaque être humain a le droit de commettre des erreurs », lâche l’avocat, qui a sa version : après un contrôle improvisé ne respectant aucune règle, les policiers ont « entassé » quatre migrants dans leur voiture, sans fermer les portes, et avec un seul fonctionnaire à bord. Trois en ont profité pour s’enfuir. Me Chaudon imagine le dialogue à l’arrivée : « Chef, on a eu un souci. On en a perdu trois ou quatre. » Or, commente l’avocat, les policiers « n’ont pas envie d’être la risée du commissariat ». On saura le 21 novembre ce que la cour d’appel décidera.

      Mercredi, elle a condamné un autre maraudeur de Briançon, Kevin Lucas, à deux mois de prison avec sursis, contre quatre mois en première instance. Il avait été intercepté avec cinq migrants dans sa voiture la nuit du 24 au 25 mars 2018 au pied du col de Montgenèvre. Son avocate va se pourvoir en cassation. « Rien ne démontre qu’il est entré avec eux sur le territoire français et pour le reste, il doit bénéficier de l’immunité accordée à ceux qui aident quelqu’un dans le besoin », affirme Me Maeva Binimelis.

      Mais la répression se poursuit contre les bénévoles de la région. Outre ces deux dossiers, une troisième personne a été condamnée en janvier. En août, un quatrième a été reconnu coupable mais a bénéficié d’une dispense de peine. L’association briançonnaise Tous migrants dénombre quatre autres gardes à vue pour « délit de solidarité » en 2019, sans suite judiciaire pour l’instant. S’y ajoutent les « 4+3 » condamnés en décembre dernier à des peines allant jusqu’à quatre mois de prison ferme. Ces sept prévenus, qui attendent leurs audiences d’appel, avaient participé le 22 avril 2018 à une marche au cours de laquelle des « sans-papiers » avaient franchi la frontière.

      Même si les arrivées de migrants par cette frontière ont baissé de moitié par rapport à 2018, selon le Refuge solidaire de Briançon, le rôle des maraudeurs reste « indispensable », comme le relatait Médecins du monde dans un rapport de juin dernier, en rappelant que quatre migrants sont morts depuis 2017, et deux ont été grièvement blessés en 2016. L’un a dû être amputé des pieds, ce qui a provoqué l’instauration des maraudes.

      En mai dernier, Médecins du monde a, en quinze rondes, secouru 27 personnes, dont cinq présentaient « des signes visibles de détresse ». Selon l’ONG, une personne interpellée se trouvant « à terre, souffrante et exténuée » a été renvoyée en Italie « sans avoir bénéficié d’une prise en charge médicale ». Avec l’hiver qui approche, les maraudeurs vont se remettre à la tâche, mais en craignant que policiers et gendarmes ne fassent de même.

      Dans un rapport (https://www.hrw.org/fr/report/2019/09/05/ca-depend-de-leur-humeur/traitement-des-enfants-migrants-non-accompagnes-dans-les) du 5 septembre, Human Rights Watch (HRW) dénonce le « harcèlement » que les bénévoles subissent. « Systématiquement, lorsqu’on part en maraude à Montgenèvre, il y a des contrôles [...], souvent plusieurs fois dans la soirée », a indiqué l’un d’eux à HRW. Pour un maraudeur, « il faut que nos véhicules soient nickel ». Citant des amendes pour un essuie-glace défectueux, un feu arrière cassé, ou « pour ne pas avoir mis l’autocollant pneus cloutés », l’ONG demande qu’il soit mis fin à ces « intimidations ».

      https://www.mediapart.fr/journal/france/251019/grenoble-la-defense-des-soutiens-aux-migrants-enfonce-un-coin

    • France. La condamnation d’un homme qui a offert du thé et des vêtements chauds à des demandeurs d’asile doit être annulée

      À l’approche de l’audience en appel, jeudi 24 octobre, de Pierre Mumber, un guide de haute montagne ayant offert du thé et des vêtements chauds à quatre demandeurs d’asile originaires d’Afrique de l’Ouest dans les Alpes qui a été condamné pour « aide à l’entrée irrégulière d’un étranger », Amnesty International appelle à l’annulation de sa condamnation.

      « Le geste humain qu’a fait Pierre Mumber en offrant des vêtements chauds et du thé à quatre demandeurs d’asile arrivés en France par les Alpes depuis l’Italie devrait être applaudi, a déclaré Rym Khadhraoui, chercheuse d’Amnesty International sur l’Europe occidentale.

      « Pierre n’a commis aucune infraction. Pourtant, sa condamnation à la suite de cet acte de gentillesse montre comment les autorités françaises utilisent abusivement la législation destinée à lutter contre le trafic d’êtres humains pour sanctionner pénalement des citoyens qui offrent leur aide aux personnes en mouvement. »

      Pierre Mumber a été reconnu coupable d’« aide à l’entrée irrégulière d’un étranger » car trois des quatre demandeurs d’asile ont ensuite échappé à la surveillance de la police.

      Amnesty International estime que les actions de Pierre ne constituent pas une « aide à l’entrée irrégulière d’un étranger » mais plutôt une aide humanitaire, qui est légale au regard du droit français et international.

      Son audience en appel se déroulera devant la cour d’appel de Grenoble à 13 h 45 (heure française) le 24 octobre 2019.

      Complément d’information

      Pierre Mumber a été déclaré coupable et condamné à trois mois de prison avec sursis par le tribunal correctionnel de Gap le 10 janvier 2019.

      Le 6 janvier 2018, Pierre Mumber a donné du thé et des vêtements à un homme et une femme originaires du Nigeria, un Camerounais et un Guinéen à Montgenèvre, près de Briançon (Hautes-Alpes). Durant l’hiver, des bénévoles de la région font régulièrement des maraudes au bord des routes enneigées pour aider les personnes qui se trouvent en difficulté après avoir traversé les montagnes dans des conditions dangereuses depuis l’Italie. Deux policiers sont arrivés et ont emmené les demandeurs d’asile jusqu’à leurs voitures, en demandant à Pierre Mumber de venir avec eux. Un peu plus tard, alors que Pierre Mumber se trouvait à distance, trois des quatre demandeurs d’asile ont échappé à la surveillance des policiers et pris la fuite.

      Connaissant les risques et conséquences encourus par les personnes qui tentent de franchir les Alpes de l’Italie à la France, notamment le risque de se perdre dans les montagnes enneigées en hiver, Pierre Mumber et de nombreux autres habitants de la région de Briançon ont commencé à fournir une aide humanitaire aux personnes en mouvement, souvent mal équipées pour ce périlleux voyage.

      À la frontière franco-italienne, la police française refuse l’entrée des demandeurs d’asile et des migrants et les refoule illégalement vers l’Italie, en plus de criminaliser les actions légitimes des personnes qui les aident.

      https://www.amnesty.org/fr/latest/news/2019/10/france-conviction-of-man-who-offered-tea-and-warm-clothes-to-asylum-seekers

    • Le militant pro-migrants de Briançon #Pierre_Mumber relaxé en appel à Grenoble

      L’accompagnateur en montagne des Hautes-Alpes avait été condamné en première instance à 3 mois de prison avec sursis pour avoir porté assistance à des migrants lors d’une maraude près de la frontière italienne au cours de l’hiver 2018.

      En première instance, le 10 janvier dernier, le tribunal correctionnel de Gap avait condamné Pierre Mumber à 3 mois de prison avec sursis pour « aide à l’entrée irrégulière d’étrangers ». La justice lui reprochait également de les avoir « aidés à se soustraire » à un contrôle de police, un fait qu’il contestait.

      Des images de la télévision italienne visionnées

      Le procès en appel s’est tenu le 24 octobre à Grenoble. Lors de l’audience, les magistrats ont visionné des images de la télévision tournées lors de la maraude au col de Montgenèvre, qui contredisent la version policière.

      « Les mentions des procès-verbaux apparaissent au vu des images visionnées particulièrement dénuées de véracité », a estimé la cour d’appel, allant à l’encontre de l’interprétation de l’avocat général qui avait requis la confirmation de la peine à l’encontre du gérant de gîte de 55 ans au casier judiciaire vierge.

      La cour ajoute qu’"aucun élément ne permet de forger la conviction que Pierre Mumber est intervenu directement pour empêcher les policiers d’appréhender les étrangers en situation irrégulière, ces difficultés d’interpellation tenant manifestement plus aux moyens en présence qu’à l’obstruction alléguée".

      Selon la cour, les éléments de téléphonie ne permettent pas davantage de démontrer que Pierre Mumber a accompagné les migrants lorsqu’ils ont franchi la frontière.

      Le militant soulagé mais amer

      Pierre Mumber a fait part de son « soulagement » à l’AFP

      « C’était tellement incohérent ! C’est difficile de se sentir incriminé sur des faits faux.

      Je garde une sorte d’incompréhension et un peu de dégoût par rapport au fait que des policiers se permettent de provoquer ce genre de situation (...) alors que les maraudeurs apportent juste une #aide_humanitaire qui n’a rien d’illégal », a-t-il encore commenté.

      https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/hautes-alpes/gap/militant-pro-migrants-briancon-pierre-mumber-relaxe-app

    • Aide aux migrants : le militant Pierre Mumber relaxé en appel

      Pierre Mumber, qui avait porté assistance à des migrants à l’hiver 2018 lors d’une maraude au col de Montgenèvre (Hautes-Alpes) près de la frontière italienne, a été relaxé jeudi par la cour d’appel de Grenoble.

      En première instance, au tribunal de Gap, cet accompagnateur en montagne de 55 ans avait été condamné à 3 mois de prison avec sursis pour « aide à l’entrée irrégulière » d’étrangers et pour les avoir « aidés à se soustraire » à un contrôle de police, ce qu’il avait toujours nié.

      À l’audience en appel, fin octobre, les magistrats avaient accepté de visionner des images d’une équipe italienne de télévision qui avait accompagné la maraude, qui contredisaient la version policière. Ce que la cour d’appel a mis notamment en exergue dans sa décision, que l’Agence France-Presse (AFP) a pu consulter.

      « Les mentions des procès-verbaux apparaissent au vu des images visionnées particulièrement dénuées de véracité », a estimé la cour d’appel, allant à l’encontre de l’interprétation de l’avocat général qui avait requis la confirmation de la peine à l’égard de ce gérant de gîte, au casier judiciaire vierge.

      De plus, ajoute-t-elle, « aucun élément ne permet de forger la conviction que Pierre Mumber est intervenu directement pour empêcher les policiers d’appréhender les étrangers en situation irrégulière, ces difficultés d’interpellation tenant manifestement plus aux moyens en présence qu’à l’obstruction alléguée ».

      Enfin, sur les éléments de téléphonie, sur lesquels l’avocat général s’était appuyé pour prouver le passage de la frontière du maraudeur, même s’il a été expliqué que les portables bornent aussi bien en Italie qu’en France dans cette zone frontière, la cour a tranché : « Rien ne permet de démontrer que Pierre Mumber a accompagné [les migrants] lorsqu’ils ont franchi la frontière. »

      Joint par l’AFP, Pierre Mumber a fait part de son « soulagement ». « C’était tellement incohérent ! C’est difficile de se sentir incriminé sur des faits faux », a ajouté ce militant aux multiples engagements à Briançon, que ce soit auprès de SDF, de personnes handicapées ou d’exilés, depuis qu’ils ont commencé à franchir massivement les Alpes par le col de Montgenèvre.

      « Je garde une sorte d’incompréhension et un peu de dégoût par rapport au fait que des policiers se permettent de provoquer ce genre de situation […] alors que les maraudeurs apportent juste une aide humanitaire qui n’a rien d’illégal, a poursuivi Pierre Mumber. On fabrique de l’illégalité mais elle n’est pas de notre côté », a-t-il souligné.

      Voici le compte rendu d’audience publié le 24 octobre 2019 sur Mediapart.

      *

      Grenoble (Isère), envoyé spécial. – Est-ce l’esquisse d’un fiasco judiciaire ? Les images d’une télé italienne diffusées jeudi 24 octobre 2019 devant la cour d’appel de Grenoble ont jeté le doute sur la version policière ayant conduit à la condamnation en première instance d’un « maraudeur » venu au secours de migrants à Montgenèvre (Hautes-Alpes), tout près de la frontière italienne, le 6 janvier 2018.

      Pierre Mumber, 55 ans, conteste une peine de trois mois de prison avec sursis prononcée le 10 janvier 2019 par le tribunal correctionnel de Gap pour « aide à l’entrée, à la circulation et au séjour irréguliers d’un étranger ». Son avocat n’avait à l’époque de cette audience pas eu le temps de mettre la main sur les « rushes » du journaliste italien, et le tribunal lui avait refusé un renvoi. Jeudi, en appel, la cour a visionné les 19 minutes, et l’accusation s’en trouve fragilisée. Sans toutefois émouvoir l’avocat général qui a requis la confirmation du jugement.

      Selon les policiers, Pierre Mumber a voulu les empêcher de charger des migrants dans leur voiture, dont il a ensuite ouvert la portière pour leur permettre de s’échapper. Au moins deux d’entre eux se sont fait la malle. Ce gérant de gîte au Monêtier-les-Bains a aussi été condamné pour avoir aidé certains des migrants à franchir la frontière, ce que rien ne prouve, sinon le fait que son téléphone a « borné » en Italie ce soir-là.

      Mais comme cet homme posé et carré l’explique, « quand on est dans les environs de Briançon, c’est très souvent que notre téléphone nous indique qu’on est en Italie ». Et s’il s’y est trouvé, cela ne prouve pas qu’il a accompagné les exilés. « Très surpris par le rapport de police qui ne correspond en aucun point avec ce qui a été filmé », le prévenu, soutenu devant le palais de justice par plus de 300 personnes dénonçant « le durcissement des politiques migratoires », répète : « Je n’ai pas franchi de frontière, je n’ai pas fait d’obstacle à la police. »

      Ce soir-là, il fait –10 °C, et Pierre Mumber effectue une maraude avec deux autres bénévoles. À 20 h 20, le poste de police situé sur la frontière à Montgenèvre (1 800m d’altitude) reçoit un appel anonyme indiquant que des migrants se trouvent au pied des pistes de ski. Un policier s’y rend, trouve les migrants, les maraudeurs et les journalistes.

      Sur leurs images, on voit que l’une des migrantes, Aargau Kanton, Nigériane, va très mal. Elle s’agenouille à terre, pleure. Pierre Mumber l’enveloppe d’une couverture de survie puis la porte dans la voiture de police en réclamant d’appeler les pompiers. Ensuite, on voit cette voiture arrêtée un peu plus loin, les portes ouvertes : deux ou trois des migrants qui s’y trouvaient ont disparu, ne reste que la Nigériane. Les pompiers la conduiront à l’hôpital, et elle finira au Refuge solidaire de Briançon, qui accueille les exilés. Exactement ce que Pierre Mumber aurait fait sans l’intervention de la police. Il sera à nouveau arrêté onze mois plus tard, le 13 décembre 2018, dans la descente du col de Montgenèvre, avec trois migrants dans son véhicule. Le Parquet ne le poursuivra pas, lui accordant l’immunité pour motif « humanitaire ».

      Rien de tel ce soir du 6 janvier 2018. Pourtant, on voit sur les images que, quand il arrive au véhicule de police, les migrants se sont déjà enfuis. Il n’aurait donc pas ouvert les portières. « Comment expliquer que la police s’acharne sur vous ?, s’interroge l’avocat général. C’est votre parole contre la sienne. » Et pour le magistrat, « ce DVD n’est pas probant de telle manière qu’il puisse contredire le rapport de police ». À ses yeux, il manque des images pour connaître le film complet de la soirée.

      L’avocat général se plaint « qu’on accuse clairement la police de mensonge ». « On me dit que c’est à moi de rapporter les preuves, ajoute-t-il. Mais pour moi, il y a les procès-verbaux de police. » Ils lui suffisent, alors qu’ils n’ont valeur que de « simple renseignement », comme le remarque en défense Me Philippe Chaudon. Et qu’ils sont faux au moins sur un point. Un policier y affirme avoir gardé les papiers d’identité du cameraman italien « par inadvertance », alors que les images démontrent qu’il l’a fait sciemment en répétant : « Je veux voir son film, je ne veux pas être dans son film ! » Sous-entendu : les papiers seront rendus si le journaliste lui montre ses images.

      Tout en plaidant la relaxe, Me Chaudon se garde de faire le procès de la police : « Chaque être humain a le droit de commettre des erreurs », lâche l’avocat, qui a sa version : après un contrôle improvisé ne respectant aucune règle, les policiers ont « entassé » quatre migrants dans leur voiture, sans fermer les portes, et avec un seul fonctionnaire à bord. Trois en ont profité pour s’enfuir. Me Chaudon imagine le dialogue à l’arrivée : « Chef, on a eu un souci. On en a perdu trois ou quatre. » Or, commente l’avocat, les policiers « n’ont pas envie d’être la risée du commissariat ». On saura le 21 novembre ce que la cour d’appel décidera.

      Mercredi, elle a condamné un autre maraudeur de Briançon, Kevin Lucas, à deux mois de prison avec sursis, contre quatre mois en première instance. Il avait été intercepté avec cinq migrants dans sa voiture la nuit du 24 au 25 mars 2018 au pied du col de Montgenèvre. Son avocate va se pourvoir en cassation. « Rien ne démontre qu’il est entré avec eux sur le territoire français et pour le reste, il doit bénéficier de l’immunité accordée à ceux qui aident quelqu’un dans le besoin », affirme Me Maeva Binimelis.

      Mais la répression se poursuit contre les bénévoles de la région. Outre ces deux dossiers, une troisième personne a été condamnée en janvier. En août, un quatrième a été reconnu coupable mais a bénéficié d’une dispense de peine. L’association briançonnaise Tous migrants dénombre quatre autres gardes à vue pour « délit de solidarité » en 2019, sans suite judiciaire pour l’instant. S’y ajoutent les « 4+3 » condamnés en décembre dernier à des peines allant jusqu’à quatre mois de prison ferme. Ces sept prévenus, qui attendent leurs audiences d’appel, avaient participé le 22 avril 2018 à une marche au cours de laquelle des « sans-papiers » avaient franchi la frontière.

      Même si les arrivées de migrants par cette frontière ont baissé de moitié par rapport à 2018, selon le Refuge solidaire de Briançon, le rôle des maraudeurs reste « indispensable », comme le relatait Médecins du monde dans un rapport de juin dernier, en rappelant que quatre migrants sont morts depuis 2017, et deux ont été grièvement blessés en 2016. L’un a dû être amputé des pieds, ce qui a provoqué l’instauration des maraudes.

      En mai dernier, Médecins du monde a, en quinze rondes, secouru 27 personnes, dont cinq présentaient « des signes visibles de détresse ». Selon l’ONG, une personne interpellée se trouvant « à terre, souffrante et exténuée » a été renvoyée en Italie « sans avoir bénéficié d’une prise en charge médicale ». Avec l’hiver qui approche, les maraudeurs vont se remettre à la tâche, mais en craignant que policiers et gendarmes ne fassent de même.

      Dans un rapport du 5 septembre, Human Rights Watch (HRW) dénonce le « harcèlement » que les bénévoles subissent. « Systématiquement, lorsqu’on part en maraude à Montgenèvre, il y a des contrôles [...], souvent plusieurs fois dans la soirée », a indiqué l’un d’eux à HRW. Pour un maraudeur, « il faut que nos véhicules soient nickel ». Citant des amendes pour un essuie-glace défectueux, un feu arrière cassé, ou « pour ne pas avoir mis l’autocollant pneus cloutés », l’ONG demande qu’il soit mis fin à ces « intimidations ».

      La cour d’appel de Grenoble a relaxé jeudi le maraudeur, qui avait été condamné à trois mois de prison avec sursis en première instance à Gap pour aide à l’entrée irrégulière d’un étranger en France.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/211119/aide-aux-migrants-le-militant-pierre-mumber-relaxe-en-appel

    • Lettre ouverte à Pierre, premier maraudeur solidaire de Briançon innocenté

      Cher Pierre,

      Avant de t’écrire, aux yeux du monde, nous avons attendu les cinq jours de délai donnés par la loi au procureur pour se pourvoir en cassation. Nous avions trop peur que l’immense soulagement que nous voulions partager avec toi puisse être brisé en vol. On s’attendait à tout, vu l’absurdité et les injustices auxquelles nous assistons depuis des mois.

      Il n’en a rien été, le procureur s’est tu.
      Nous avons donc le loisir de laisser éclater notre joie.

      Pour ceux qui ne le sauraient pas encore, donc, la cour d’appel de Grenoble t’a relaxé, Pierre, le 21 novembre dernier. Contrairement au jugement en première instance du Tribunal de Gap, elle a compris que tu étais innocent. Coupable de rien : ni du délit d’aide à l’entrée de personnes étrangères en situation irrégulière, ni du délit d’obstruction à l’action des forces de l’ordre.

      Ainsi, la cour d’appel a a enfin assuré un peu de cohérence entre les décisions de justice et celle du conseil constitutionnel de consacrer le principe de fraternité : ce que tu as fait n’était autre que le mettre en oeuvre avant l’heure.
      Face à l’évidence des images vidéos, elle a aussi officiellement reconnu les mensonges des forces de l’ordre ; et pour nous, c’est une porte, timidement entrouverte, vers la reconnaissance d’autres mensonges, des forces de l’ordre, mais aussi parfois de l’Etat.
      Mine de rien, ce jugement assoit aussi la légitimité des maraudes, l’assistance à personnes en danger ; non, il n’y a pas de délit de solidarité.
      Enfin, et c’est loin d’être anecdotique, mais loin d’être irréversible aussi, cet heureux dénouement redonne un peu confiance en l’impartialité de la justice, dont on ne pouvait que finir par douter avec l’intensification en toute impunité des intimidations policières, des poursuites judiciaires, les procès à charge, le déni des droits de la défense...
      ...même s’il subsiste, comme tu le disais après le verdict, ce constat amer qu’il ait fallu que tu apportes toi-même la preuve de ton innocence... mieux vaut ne plus penser à ce qui serait advenu s’il n’y avait eu par chance ce jour-là des journalistes qui t’accompagnaient, s’ils n’avaient pas refusé de céder leurs images à la police... dans un système judiciaire censé reposer sur la présomption d’innocence, cela pose question... espérons, gageons que cela amène surtout nos magistrats et dirigeants à réfléchir !

      Cher Pierre,

      C’est important la mémoire, dans nos temps troublés, qu’elle soit liée à l’Histoire ou aux petites histoires....
      En 2015, tu assistais aux premières réunions citoyennes de ce qui allait devenir Tous Migrants ; tu y avais proposé de réfléchir à un signe de ralliement, pour que chaque personne qui souhaitait montrer son soutien aux migrants ait un outil simple pour le faire. Et tu nous as inspiré un autocollant, plus parlant et plus pratique qu’un long discours ; on le retrouve sur les voitures, les ordinateurs, les frigos…
      En 2019, tu as été blanchi d’accusations fausses et viles, toi qui te contentes de vivre pleinement ton humanité... Et tu continues ainsi à nous inspirer.

      Tu n’es pas pro-migrant Pierre, tu es un simple défenseur des droits humains ; comment réussir à faire comprendre aux médias que leur vocable lapidaire et clivant est non seulement faux, mais aussi populiste, à leur corps défendant souvent …

      Cher Pierre,

      Merci. Nous sommes si heureux, et quelque part honorés que tu sois entré au conseil d’administration de Tous Migrants récemment. Tes gestes de solidarité innocentés, l’histoire même de ce procès font tant écho à notre combat.

      Tu dis que "c’est d’abord par la solidarité et le soutien des associations comme Tous Migrants que je me sors de cette situation" ; tu dis aussi que "ce qui maintient la tête hors de l’eau, c’est cette solidarité pour les personnes quelles qu’elles soient, exilées ou solidaires".
      En retour, nous voudrions te dire encore ceci. Chaque jour, parmi nos actions de sensibilisation et de plaidoyer, nous nous efforçons de mettre au jour les violations des droits et les mensonges institutionnels, à travers le recueil de témoignages, ou les actions en justice ; un travail de longue haleine, à la fois minutieux et ingrat, qui exige constance et persévérance. Depuis quelques temps, grâce au partenariat avec Médecins du Monde, nous avons aussi monté une « unité mobile de mise à l’abri », UMMA, comme humanité. Sache tous ces efforts trouvent, dans la grande victoire dont tu es le symbole, un encouragement sans pareil, l’énergie de continuer sans relâche.

      Depuis le début, nous avons opté pour une approche la plus collective possible, contre les tentations des médias ou des institutions d’avoir quelques figures emblématiques. Nous tenons à être « tous migrants », à la force du nombre, anonymes, car la cristallisation ou la personnalisation rendrait plus simple la tâche de sape des pourfendeurs des droits. Mais une fois n’est pas coutume. Aujourd’hui Pierre, nous avons envie d’être « tous Pierre »… Pierre qui roule ? En ces temps hivernaux, qui sait quelles autres injustices quotidiennes ta boule de neige peut réussir encore à balayer sur sa route…

      Désolée d’avoir été un peu longue, ça nous semblait important de te dire tout ça, publiquement.

      L’équipe de coordination Tous Migrants,
      au nom de tous les adhérents et sympathisants

      Reçue par email, le 28.11.2019

    • Nessun «crimine di solidarietà»: guida alpina che aiutò migranti sulle Alpi assolta in appello

      Una guida alpina francese accusata di aver aiutato dei migranti nella zona alpina frontaliera tra Francia e Italia è stato assolto dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il verdetto della corte d’appello di Grenoble è arrivato il 21 novembre.

      Pierre Mumber, 55 anni, era stato condannato in primo grado a Gap ad una pena detentiva sospesa di 3 mesi di reclusione per «favoreggiamento dell’ingresso illegale» di stranieri e «aiuto per eludere» un controllo di polizia. L’uomo aveva sempre negato ogni addebito.

      In francese si chiamano maraudes, e sono quelle operazioni a cui hanno partecipato centinaia di attivisti e guide di montagna finalizzate a portare assistenza a chi ha più bisogno ed evitare decessi.

      Nell’udienza di appello di fine ottobre, i magistrati francesi hanno accettato di prendere in considerazione le riprese di una troupe televisiva italiana presente al Passo del Monginevro il 6 gennaio 2018, data a cui risalgono i fatti. Le immagini contraddicono la versione della polizia, scrivono i magistrati della Corte d’appello nella decisione, visionati da AFP.

      La versione di Mumber e dei suoi avvocati, tra cui Amnesty International, è stata che la guida alpina aveva solamente offerto del tè caldo e dei vestiti a quattro africani che avevano sconfinato, provenienti dall’Italia. Tra essi c’era anche una donna nigeriana gravemente ferita.

      Secondo l’accusa, che aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado contro l’uomo, incensurato, Mumber avrebbe aperto le porte della macchina della polizia sopraggiunta sul posto per aiutare i migranti a fuggire.

      La guida ha sempre sostenuto che gli agenti non hanno detto il vero, «raccontando una storia che non è la mia, dandomi la colpa per cose che non ho fatto», come ha spiegato a Euronews.

      Nella sentenza su legge che «non ci sono prove a sostegno della convinzione che Pierre Mumber sia intervenuto direttamente per impedire alla polizia di arrestare gli stranieri in situazione irregolare, poiché queste difficoltà di arresto sono chiaramente più legate ai mezzi a disposizione che alla presunta ostruzione».

      Caduto anche l’argomento dei tabulati telefonici, sui quali l’Avvocatura Generale aveva fatto affidamento: «Non vi è alcuna prova che Pierre Mumber abbia accompagnato (i migranti) quando hanno attraversato la frontiera».

      «Sono soddisfatto del risultato, sono soddisfatto del fatto che in Francia vi sia un minimo di giustizia. Ma ho addosso un sentimento ambivalente, di sollievo ma anche di inquietudine nel constatare che ci si possa trovare in tribunale semplicemente perché delle persone, agenti di polizia, si permettano di fare dichiarazioni e denunce false», la dichiarazione della guida alpina rilasciata a Euronews. «Avevo le prove della mia non-colpevolezza, ma se non le avessi avute, non so come avrei fatto».

      «Le marauds continueranno perché purtroppo oggi i diritti non sono necessariamente rispettati al confine, ed è importante essere vigili».

      Secondo le ONG locali, circa 200 persone hanno preso parte alle azioni in sostegno dei migranti al confine franco-italiano, contribuendo al salvataggio di 800 di loro.

      Il portavoce di Tous Migrants, Michel Rousseau ha elogiato «una vittoria sia per noi sia per il sistema giudiziario che ritrova il suo blasone».

      Secondo Rousseau, questa serie di processi porta a «rendersi conto che non siamo gli unici a subire la repressione poliziesca e giudiziaria. La quale favorisce il crearsi di legami più stretti tra i movimenti sociali di fronte alla deriva autoritaria del potere».

      Un altro maraudeur delle Alpi, Kevin Lucas, è stato invece condannato lo scorso 23 ottobre - pur a fronte di una riduzione della pena - a due mesi di reclusione che tuttavia non sconterà in prigione. La sentenza iniziale prevedeva una condanna a quattro mesi. Il suo avvocato ha detto a Euronews che impugnerà la sentenza davanti alla corte di cassazione francese.

      I processi di Kevin Lucas e Pierre Mumber rientrano entrambi sotto l’etichetta di «crimine di solidarietà», ritiene il legale, Maeva Binimelis.

      Per entrambi i processi, numerose sono state le manifestazioni di sostegno da parte di numerose associazioni che si battono per i diritti dei più deboli.
      Cosa dice la legge francese?

      Secondo una legge del 1945, «qualsiasi persona che, con assistenza diretta o indiretta, ha facilitato o tentato di facilitare l’ingresso, la circolazione o il soggiorno illegale di uno straniero in Francia» è punito con una pena detentiva fino a cinque anni e una multa di 30mila euro.

      Tuttavia, in alcuni casi il governo francese è stato costretto ad ammorbidire la sua posizione. L’anno scorso, un tribunale francese ha stabilito che il «principio di fratellanza» avrebbe dovuto proteggere l’olivicoltore Cedric Herrou dal finire a processo per aver aiutato centinaia di migranti ad entrare illegalmente nel paese.

      Nell’agosto 2018 il governo del presidente Emmanuel Macron ha adottato una nuova legge che mette al riparo dai procedimenti giudiziari «qualsiasi persona o organizzazione quando l’atto non ha dato luogo ad alcuna compensazione, diretta o indiretta, ed è consistito nel fornire consulenza o sostegno legale, linguistico o sociale, o qualsiasi altro aiuto fornito esclusivamente per scopi umanitari».

      Tuttavia, le azioni penali contro i volontari sono proseguite. Secondo le Ong, una delle ragioni è che i tribunali tendono a considerare l’attivismo a favore dei migranti non come una forma di assistenza gratuita, e quindi che non rientra nell’eccezione umanitaria. «Il nostro governo, come molti governi europei, ha deciso di trasformare i migranti in capri espiatori», indica Rousseau. «E, come molti altri governi, ha deciso di costruire muri, simbolici o reali, in modo che le persone in fuga dalla povertà e dall’oppressione non possano trovare rifugio nei nostri paesi».
      Esistono «crimini di solidarietà» in altri paesi europei?

      Secondo il GISTI, un’organizzazione francese senza scopo di lucro, la Francia non è la sola a criminalizzare la solidarietà verso i migranti.

      La Germania, il Belgio, la Danimarca, la Grecia e l’Italia puniscono l’ingresso illegale di stranieri quando avviene a scopo di lucro. Tuttavia, l’organizzazione ha documentato una serie di esempi di persone che hanno aiutato gratuitamente i migranti in questi paesi e sono finite in tribunale.

      Open Democracy, una piattaforma mediatica globale, ha compilato «una lista di oltre 250 persone in 14 paesi che sono state arrestate, accusate o indagate in base a una serie di leggi negli ultimi cinque anni per sostenere i migranti». Sette paesi concentrano la stragrande maggioranza dei casi: Italia, Grecia, Francia, Regno Unito, Germania, Danimarca e Spagna.

      https://it.euronews.com/2019/11/21/nessun-crimine-di-solidarieta-guida-alpina-che-aiuto-migranti-sulle-alp

    • 1 Relaxe pour les 3+4+2 de Briançon

      Le printemps 2021 sera marqué par deux procès politiques, criminalisant la solidarité avec les exilé-es et les sans papiers.

      Le 22 avril au tribunal de Gap jugement de deux solidaires en première instance pour « aide à l’entrée et à la circulation sur le territoire national de personnes en situation irrégulière »
      Le 27 mai jugement en appel des "7 de Briançon"suite à la condamnation prononcée le 13 décembre 2018.

      https://seenthis.net/messages/909136

    • Gap : deux mois de prison avec sursis requis contre des maraudeurs

      Deux maraudeurs de l’association Tous Migrants étaient convoqués jeudi au tribunal correctionnel de Gap pour avoir porté assistance à une famille d’exilés à la frontière franco-italienne en novembre 2020. Ils sont accusés « d’aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière sur le territoire français » .

      Jeudi 22 avril, au tribunal correctionnel de Gap, le procureur de la République a requis deux mois de prison avec sursis assortis d’une interdiction de séjour dans les Hautes-Alpes d’une durée de cinq ans à l’égard de deux maraudeurs, bénévoles de l’association Tous Migrants, qui vient en aide aux exilés dans le Briançonnais depuis près de six ans en organisant des maraudes solidaires.

      Ces derniers sont poursuivis pour être venus en aide à une famille d’exilés afghans – dont une femme enceinte de huit mois – qui traversait la frontière franco-italienne par le col de Montgenèvre, le 19 novembre 2020. Les maraudeurs, âgés de 28 et 31 ans, l’un tisserand, l’autre éducateur, sont accusés « d’aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière en France » selon les gendarmes qui les ont interpellés ce jour-là, ce qu’ils nient fermement, assurant avoir porté assistance à la famille une fois que celle-ci avait franchi la frontière.

      « Comment concevoir que vous ayez décidé de poursuivre nos maraudeurs sur des allégations une fois de plus mensongères ? », interroge au micro Benoît, un bénévole de Tous Migrants, en s’adressant au procureur de la République lors du rassemblement organisé peu avant l’audience, devant le tribunal judiciaire de Gap jeudi midi. « Nos deux maraudeurs ne sont allés chercher personne en Italie. Ils ont une connaissance fine du terrain, contrairement aux policiers et gendarmes venus en renfort ponctuellement. »

      Dès midi, la place Saint-Arnoux prend vie, accueillant près de 300 personnes venues témoigner leur soutien aux deux maraudeurs renvoyés devant le tribunal correctionnel. C’est la quatrième fois que des solidaires sont poursuivis en justice. « La solidarité n’est pas un délit », rappelle une banderole. Des stands aux couleurs du syndicat Solidaires font face à une foule attentive aux discours des uns et des autres. L’eurodéputé Damien Carême (EELV) et le sénateur Guillaume Gontard (président du groupe écologiste au Sénat) ont fait le déplacement.

      « Je trouve scandaleux que la solidarité soit mise en accusation dans notre pays », dénonce le premier, pour qui l’action des bénévoles « pallie les carences de l’État ». Le parlementaire européen s’était rendu, le 12 février dernier, à la police aux frontières de Montgenèvre pour constater les dégâts d’une politique migratoire défaillante et destructrice (lire sur Twitter son expérience : https://twitter.com/DamienCAREME/status/1360596801548615688).

      « L’État français ne respecte plus l’État de droit, refoule les personnes allègrement, en opposition avec toutes les conventions internationales. La situation est grave et dramatique pour tous ces exilés qui essaient de passer la frontière. »

      À 14 heures, dans l’une des salles d’audience du tribunal, A. et T. sont appelés à la barre. Les deux prévenus se positionnent face au président, qui rappelle les faits leur étant reprochés. « Le 19 novembre 2020, une patrouille de gendarmerie détachée de la PAF de Montgenèvre apercevait un groupe d’individus franchir la frontière de l’Italie vers la France, dont quatre Afghans et deux Français », déroule le président.

      Lors de son audition, l’Afghan explique vouloir aller en Allemagne pour y rejoindre des proches. Il affirme avoir été récupéré en France et précise que les bénévoles des associations d’aide aux migrants à la frontière « ne lui ont pas demandé d’argent ». Son épouse est, quant à elle, peu précise dans le déroulé des faits. Interpellés, les deux maraudeurs de Tous Migrants sont alors placés en garde à vue. Ils ne reconnaissent pas les faits.

      « Sur les circonstances dans lesquelles vous avez pris en charge ces personnes, pouvez-vous expliquer comment vous vous êtes organisés et comment la journée s’est déroulée ? », interroge le président.

      A. et T. étaient en maraude, comme à leur habitude depuis deux ans. L’unité mobile de Médecins du Monde les accompagnait. « On s’est réunis à 11 heures pour se briefer et monter ensemble à Briançon, commence A. Un peu plus tard, à 300 mètres de la frontière coté français, une famille est arrivée sur le chemin et on est allés la voir pour demander si tout allait bien. »

      « Le procès-verbal dit que les gendarmes vous ont vus passer la frontière en compagnie de ces personnes. Ce qui ressort de la procédure, c’est que la frontière n’est pas matérialisée. Comment savez-vous de quel côté vous étiez ?

      -- Je connais très bien la montagne, rétorque A. Cela fait deux ans que j’effectue des maraudes, je suis conscient des risques encourus. À aucun moment je ne franchis la frontière. Elle était à 300 mètres de nous. »

      Et son voisin, les mains jointes derrière le dos, d’ajouter : « C’est impossible qu’ils nous aient vus traverser la frontière car on ne la franchit jamais. On est équipés de cartes IGN précises sur la zone de Montgenèvre. Et on sait qu’une attention particulière est portée aux solidaires, donc on ne donne pas de prétexte à des arrestations. »

      Interrogés sur le fait de ne pas s’être exprimés sur ce point précis lors de la procédure, les deux maraudeurs laissent percevoir l’ombre d’un regret. « Si ça avait pu nous éviter tout ce temps et cette énergie, ça aurait été plus judicieux. Mais sur le moment, ça ne paraissait pas entendable ... », susurre l’un deux. « On l’a dit aux gendarmes au moment de l’interpellation. Mais arrivés au poste, on a tout de suite été présentés comme des passeurs. Toute la rhétorique des questions était orientée là-dessus », complète le second.

      « Quand vous avez pris en charge ces migrants, présentaient-ils des signes de vulnérabilité ?, demande le procureur de la République lorsque vient son tour, s’attardant sur le cas de la femme enceinte. L’avez-vous précisé aux enquêteurs ?

      -- Ça a été martelé aux gendarmes lors de l’interpellation, assurent A. et T. La femme enceinte de 8 mois avait des difficultés pour se déplacer. »

      En visioconférence, le premier témoin, un gendarme mobile de l’escadron de Pontivy, en mission sur le secteur de Briançon le 19 novembre 2020, prend la parole. Brièvement. « Suite à une opération montée en coordination avec la PAF et les collègues de l’escadron, on a pu intercepter les deux prévenus, à hauteur de la PAF. Je les ai vus franchir la frontière de l’Italie vers la France », affirme-t-il après avoir prêté serment.

      Comment parvient-il à identifier la frontière à cet endroit-là, précisément ? « C’est la deuxième mission que j’effectue là-bas. Avant le terrain, on nous définit bien le secteur. » Un point sur lequel l’avocat de la défense, Me Vincent Brengarth, ne tarde pas à réagir. « Vous étiez affecté à Pontivy et vous en étiez donc uniquement à votre deuxième mission. Est-il facile pour vous de distinguer ce qui relève de la frontière française ou italienne ? »

      « Ma crainte, c’est qu’il y ait d’autres mensonges policiers à l’avenir »

      Aucune photographie des maraudeurs franchissant la frontière, ni aucune carte géographique permettant de localiser la présence des maraudeurs côté italien ne figurent dans la procédure. Un manque de preuves matérielles criant aux yeux de la défense. « Finalement, il n’y a que l’audition qui fait foi », constate, un brin effaré, Me Brengarth devant la cour, tandis que T. joue nerveusement avec ses doigts le long de sa jambe.

      À la barre, deux autres témoins se succèdent et corroborent la version des maraudeurs. L’un est médecin au sein de l’unité mobile de Médecins du Monde, qui participe aux maraudes, l’autre est bénévole de Tous Migrants. Cette dernière avait un rôle d’observation le jour de l’interpellation d’A. et T., consignant les allées et venues des maraudeurs comme des forces de l’ordre sur le secteur.

      « On circule sur les routes du Briançonnais dans la zone de la frontière française », détaille Jean-Luc, de Médecins du Monde. L’occasion de préciser que, depuis l’hiver 2020, les équipes ont observé l’arrivée de nombreuses familles originaires d’Afghanistan et d’Irak. 110 maraudes et 520 personnes prises en charge, dont 3 femmes enceintes, 95 enfants et 15 bébés.

      « On fait une évaluation rapide des personnes, on appelle les secours, on les emmène à l’hôpital ou au refuge solidaire de Briançon si besoin », énumère le médecin bénévole. Ce 19 novembre, l’unité mobile prend en charge une autre famille afghane qu’elle achemine au refuge de Briançon, avant de reprendre la route vers Montgenèvre pour poursuivre sa mission.

      « Lors de votre matinée de maraude, avez-vous rencontré les deux prévenus ?, interroge le procureur de la République.

      -- Le matin lors du briefing. C’est d’ailleurs le moment où on rappelle qu’il y a une ligne rouge à ne pas dépasser, qui est celle de la frontière, et où on se répartit les rôles. Je ne les ai plus vus après. »

      Le troisième témoin, dont le rôle était d’observer les mouvements ce jour-là, reprend le déroulé des événements, heure par heure, minute par minute. « Tous Migrants organise très fréquemment des maraudes et tous les maraudeurs sont briefés, conclut-elle. Tous se contentent de faire des opérations de mise à l’abri et ne font rien d’illégal. Ces deux maraudeurs sont expérimentés et ont vu le déploiement des forces de l’ordre ce jour-là. L’idée qu’ils aient traversé la frontière est aberrante. »

      Et de rappeler qu’il n’est pas toujours facile de discerner une frontière qui ne suit pas une ligne droite. « Il y a des bornes, et donc des repères. Nous, on sait très bien où est-ce qu’elles se situent », précise-t-elle, tout en mettant en avant la bonne maîtrise du terrain des deux prévenus.

      Dans son réquisitoire, le procureur de la République évoque la « crise migratoire » ayant touché les Hautes-Alpes, et plus particulièrement Montgenèvre depuis plusieurs années. Depuis début 2021, 20 passeurs ont été interpellés, souligne-t-il.

      « Dans le délit d’aide à l’entrée, la solidarité n’est pas un critère prévu par le législateur. On doit toutefois reconnaître que les deux prévenus ne sont pas des passeurs classiques, qui prennent en charge des personnes en Italie. Ici, on a affaire à des personnes qui ont décidé d’apporter leur aide aux migrants », concède le procureur, insistant sur le fait que le parquet de Gap « n’a jamais poursuivi et ne poursuivra jamais » des personnes dans le cadre de l’aide au séjour ou à la circulation d’étrangers en France.

      « L’objectif de Tous Migrants n’est pas d’aller chercher des personnes en Italie », poursuit-il, invitant Me Brengarth à remuer la tête en guise d’acquiescement. « Ce qu’on leur reproche, c’est d’avoir aidé des personnes en situation irrégulière à entrer en France, ce qui illégal », martèle-t-il, avant de requérir deux mois de prison avec sursis assortis d’une interdiction de séjour dans les Hautes-Alpes d’une durée de cinq ans.

      L’avocat de la défense plaide, lui, la relaxe. D’abord parce qu’il y a un contexte à prendre en compte. Une frontière qualifiée de « zone de non-droit », où il existe une défaillance des pouvoirs publics et où les associations « jouent un rôle essentiel ». « La situation a été objectivée par la position d’autorités administratives indépendantes telles que la Commission nationale consultative des droits de l’homme », rappelle-t-il.

      Parce que le couple d’exilés afghans avait, aussi, la capacité de demander l’asile. « Il n’y a aucun élément dans ce dossier qui montre que ça n’était pas leur intention. » Parce qu’il n’y a, enfin, « aucun niveau de détail par rapport à l’endroit et la démonstration matérielle de ce franchissement de frontière » pour les deux maraudeurs. « A-t-on déjà vu des dossiers dans lesquels la charge de la preuve reposait uniquement sur une déclaration [celle des gendarmes - ndlr] ? »

      À l’extérieur du tribunal en fin d’après-midi, les soutiens des maraudeurs sont encore présents. Beaucoup sont abasourdis. « Cette interdiction de séjour est tout simplement choquante », lâche Agnès Antoine, fervente militante des droits des étrangers, bénévole de l’association Tous Migrants. « Ça n’a jamais été demandé pour ce supposé délit. C’est énorme ! Dans la tête des maraudeurs, ça fait son chemin. Ça fait peur et ça décourage », poursuit-elle, y voyant un signal fort envoyé aux solidaires pour « continuer de faire pression sur eux ».

      « On sait qu’on ne fait rien d’illégal, relativise T. devant le tribunal. Ce procès n’a pas lieu d’être : ils jouent sur le fait de nous avoir soi-disant vus passer la frontière, car en dehors de ça, ils n’ont rien. Moi, ma crainte, c’est qu’il y ait d’autres mensonges policiers à l’avenir. »

      Pour Me Brengarth, le procureur de la République n’a pas caché « son ambiguïté » sur la notion de « passeurs », utilisée à demi-mot durant l’audience. « Il y avait une certaine vigilance dans son argumentation. Il a tout de même expliqué qu’il y aurait pu avoir des alternatives à ce procès, avant de finalement requérir deux mois de prison avec sursis. Cela veut bien dire que la gravité des faits reprochés est minime », note l’avocat.

      « Cela rentre dans le jeu de l’État français qui, aux frontières, bafoue le droit continuellement et criminalise les maraudeurs qui agissent sur le terrain. Tout le monde sait que des vies sont sauvées grâce à ces maraudes. Mais que la justice elle-même tombe dans cette ambiguïté... », s’inquiète Agnès Antoine.

      « L’intervention des ONG et associations met le doigt sur les lacunes des gouvernements à trouver des accords au niveau européen, abonde l’eurodéputé Damien Carême. S’il n’y avait pas les maraudeurs à Briançon, qui aborderait ce problème ? Certainement pas l’État français, ni les habitants, puisque les arrivées se font de nuit et qu’ils ne les voient pas. La pression qu’on met sur les bénévoles vise à invisibiliser le problème. »

      Ironie du sort, la décision sera rendue le 27 mai prochain, le jour du procès en appel des 7 de Briançon à la cour d’appel de Grenoble. Agnès Antoine dit « se préparer » à une condamnation des maraudeurs. « Je pense qu’ils vont vouloir en faire un exemple. Mais on ira en appel, car il n’y a rien dans ce dossier. On ne lâchera rien pour la symbolique », promet-elle, ajoutant que la solidarité est un « travail de longue haleine ».

      Elle sait pouvoir compter sur le soutien de parlementaires et de nombreux collectifs. « C’est aussi ça qui dérange : le fait qu’on devienne une structure solide. Ce sont toutes ces rencontres et l’idée de mettre des gens à l’abri qui nourrissent notre lutte. »

      https://www.mediapart.fr/journal/france/230421/gap-deux-mois-de-prison-avec-sursis-requis-contre-des-maraudeurs

    • Non à la criminalisation de la solidarité

      Sept personnes vont comparaître devant la cour d’appel de Grenoble, le 27 mai pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière ». Un « délit » en totale contradiction avec le droit européen, dénonce un collectif de personnalités civiles et politiques.

      Le 27 mai 2021, sept personnes comparaîtront devant la cour d’appel de Grenoble pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière ». Ils et elles risquent jusqu’à cinq années de prison, et 30 000 euros d’amende pour avoir, supposément, facilité l’entrée d’étrangers exposés aux dangers de la montagne et aux violences d’un groupuscule d’extrême droite.

      Ce nouveau procès de la solidarité est emblématique de la répression s’abattant sur les citoyens cherchant à mettre en œuvre concrètement le principe de fraternité. A l’origine des poursuites, il y a l’inaction de l’Etat face à un groupuscule d’extrême droite, Génération identitaire. Ce dernier, récemment dissous par le gouvernement, avait déployé au col de l’Echelle, le 21 avril 2018, avec le soutien d’un hélicoptère, une milice d’une centaine d’hommes pour bloquer la frontière franco-italienne.

      Après 24 heures d’enquête, le procureur de la République de Gap avait déclaré dans un communiqué n’avoir pu « constater aucune infraction pénale ». Ni le ministre de l’Intérieur, ni le gouvernement n’avaient tenté d’empêcher ce groupe, pourtant connu pour sa violence, de mener ses actions factieuses.

      Cette intervention de l’extrême droite s’inscrivait dans un climat de maltraitance des migrants par les pouvoirs publics. Dans un avis, la Commission nationale consultative des droits de l’homme s’était déclarée « profondément choquée par les violations des droits des personnes migrantes constatées et par les pratiques alarmantes observées sur ces deux zones frontalières où la République bafoue les droits fondamentaux, renonce au principe d’humanité́ et se rend même complice de parcours mortels ».

      Face à cette double maltraitance des exilés, 100 à 150 personnes ont quitté Clavières (en italien, Claviere), dans le Piémont, le 22 avril 2018 et pris le chemin de la France. Prétextant du fait que des migrants en auraient profité pour passer la frontière, le procureur de la république a intenté des poursuites contre sept des participants à la manifestation, qui comparaissent le 27 mai.
      Vers une abrogation définitive du « délit de solidarité » ?

      L’audience qui aura lieu à Grenoble devra, selon nous, poser la question de l’abrogation définitive du « délit de solidarité », qui est non seulement inique sur le plan éthique et politique, mais est également contraire au droit européen sur le plan juridique. Rappelons que si le Conseil constitutionnel a reconnu la nécessité d’exempter de poursuites pénales ceux qui aident des étrangers à circuler ou séjourner en France « lorsque ces actes sont réalisés dans un but humanitaire », ce dernier continue d’autoriser la pénalisation de l’action de ceux qui aident à l’entrée pour un motif humanitaire.

      Ce maintien d’un délit d’« aide à l’entrée » d’étrangers sur le territoire dote les pouvoirs publics de moyens de répression permettent de faire condamner, sans distinction aucune, tant les « passeurs » exploitant les exilés, que les militants et associatifs portant assistance aux étrangers pour sauvegarder leurs droits et leur dignité. Or, cet état du droit est en contrariété flagrante avec le droit européen, et ce pour trois raisons.

      D’une part, la directive de 2002 définissant « l’aide à l’entrée, au transit et au séjour irrégulier », qui a instauré un délit d’aide à l’entrée irrégulière, ne peut selon nous que viser l’aide à l’entrée d’étrangers dans une frontière externe de l’Union européenne. Elle ne peut en aucun cas concerner l’aide au franchissement d’une frontière interne, telle que la frontière entre l’Italie et la France. Au demeurant, cette interprétation est confirmée par la jurisprudence de l’Union européenne, qui a rappelé que les États ne peuvent prévoir des peines de prison pour les étrangers traversant une telle frontière. Dès lors que l’« entrée irrégulière » (sic) ne constitue plus un délit, il ne peut plus y avoir de délit d’« aide à l’entrée irrégulière » au regard de la directive de 2002.

      Deuxièmement, la directive exige que ne soient condamnées que les personnes qui aident « sciemment » à l’entrée irrégulière d’étrangers, c’est-à-dire, en pleine connaissance de l’irrégularité de la situation administrative des personnes. A cette exigence européenne répond en droit français le principe de l’intentionnalité des délits, qui implique qu’il n’y a pas de délit sans volonté de le commettre Or, par définition, des militants ou associatifs assistant des étrangers dans des conditions d’urgence ne peuvent connaître le statut administratif de ceux qu’ils aident, notamment parce que nombre d’entre eux sont des demandeurs d’asile qui par définition ne sont jamais coupables d’entrée « irrégulière ». En effet, la Convention de Genève sur le droit d’asile prévoit explicitement l’interdiction de toute mesure restreignant l’entrée de demandeurs d’asile sur leur territoire.
      Des peines grossièrement disproportionnées

      Imagine-t-on un membre de Médecins du monde ou de Tous Migrants demander à un exilé frigorifié et en attente de soins, des preuves détaillées des persécutions dont il fait l’objet dans son pays d’origine ? Imagine-t-on un automobiliste demander à une personne racisée ses papiers avant d’accepter de le prendre en stop ?

      Condamner des militants pour « aide à l’entrée irrégulière » est non seulement absurde, mais porte atteinte à l’obligation de porter secours à des personnes en danger, et au principe de non-discrimination.

      Enfin, le délit viole frontalement l’article 49 alinéa 3 de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, qui énonce que l’« intensité des peines ne doit pas être disproportionnée par rapport à l’infraction ». Or, et alors même que le droit européen autorise à exempter les militants et associations, prévoir des peines de cinq années de prison pour des personnes ayant mis en œuvre leur devoir de fraternité apparaît grossièrement disproportionné.

      Ce procès doit rappeler la nécessité de mettre un terme aux poursuites contre ceux qui ne font que poursuivre un élan de pure solidarité, en plus de permettre au droit de progresser sur la question de la criminalisation du « délit de solidarité » en lumière avec le droit européen.
      26 mai 2021

      Premiers signataires :

      François Crépeau, rapporteur spécial des Nations unies pour le droit des migrants, Fabienne Jault-Seseke, professeure de droit privé à l’université Versailles-Saint-Quentin, Damien Carême, député européen, Malik Salemkour, président de la Ligue des droits de l’homme, Cédric Herrou, Emmaüs Roya, Frédérique Michéa, maîtresse de conférences en droit public à l’université Rennes 1, Emilio De Capitani, directeur Exécutif, FREE Group (Bruxelles),Olivier Clochard, géographe, chargé de recherche au CNRS, Geneviève Azam, économiste, Michel Ruehrer, professeur Emerite, université Côte-d’Azur, Lionel Daudet, alpiniste et auteur, Mireille Damiano, avocate, Vanina Rochiccioli, présidente du Groupe d’information et de soutien aux Immigré·e·s, Serge Slama, professeur de droit public, université Grenoble-Alpes, Frédéric Rosmini, ex-député européen, Isabelle Bordet, élue à la mairie de Marseille, Peter Van der Heijde, sociologue, Catherine Gautier, professeure de droit public, université de Bordeaux, Myriam Martin, conseillère régionale, région Occitanie, Jean-Pierre Martin, psychiatre, Médecins du monde, Bernard Lamizet, ancien professeur à Sciences-Po Lyon, Gilbert Orsoni, professeur en droit public, université Aix-Marseille, Jacques Bouleisteix, astrophysicien, Claude Calame, directeur d’études à l’EHESS, Romain Tinière, professeur de droit public, université Grenoble-Alpes, Jean-Francois Pelissier, porte-parole d’ENSEMBLE !, Esther Benbassa, sénatrice écologiste de Paris, Marie-Caroline Saglio-Yatzimirski, professeur d’anthropologie à l’Inalco, Cristina Del Biaggio, maîtresse de conférences en géographie, université Grenoble-Alpes, Michel Rousseau, co-président de Tous Migrants, Marie-Christine Vergiat, ancienne députée européenne, Philippe Hanus, coordinateur ethnopôle « Migrations, Frontières, Mémoires » Cpa Valence-Romans-agglo et réseau Mémorha, Olivier Dubuquoy, géographe, Georges Gumpel, enfant juif caché, fils de déporté « mort pour la France », Michaël Rössler, écrivain.

      http://www.gisti.org/spip.php?article6606

    • Aide aux migrants : les « 7 de Briançon » jugés en appel à Grenoble

      « Si demain Génération identitaire remonte à la montagne, je repars aussi sec »

      « Je suis arrivé à la marche côté français, elle avait déjà commencé. Je me suis mis en première ligne, bien sûr, et si demain Génération identitaire remonte à la montagne, je repars aussi sec. Je suis grand-père et je ne veux pas que mes petits-enfants me reprochent un jour d’avoir laissé faire. »

      Comme Mathieu, Jean-Luc est poursuivi pour une infraction supplémentaire, celle de « #participation_à_un_attroupement » sur le terrain de golf de Montgenèvre en septembre 2018, pour avoir notamment couvert une partie de son visage (surtout, selon lui, pour se protéger du gaz lacrymogène en remontant son sweat-shirt au niveau du nez). L’avocat général, dans son réquisitoire, propose une relaxe, admettant qu’il est aisément « reconnaissable d’entre tous » et qu’il n’avait sans doute pas la volonté de dissimuler, comme les autres, son visage ainsi.

      Évoquant une « pression migratoire » dans le contexte de l’époque, le représentant du ministère public reconnaît un « profond respect pour les #valeurs qu’ils [les militants] véhiculent ». « Ils ont des #idées qui sont nobles, humanistes, qu’on peut entendre », concède-t-il, avant de mettre dans la balance les « vociférations » et « harangues » à l’endroit des forces de l’ordre le jour de la manifestation. « Cette fois-ci, ils sont allés un peu trop loin : ce n’était pas une simple manif, il y avait la volonté de faire passer des migrants, en force. »
      Avant de requérir – dans une logique « d’apaisement » – trois mois de prison avec sursis pour six des sept prévenus et huit mois de prison intégralement assorti d’un sursis probatoire sur une durée de deux ans pour Mathieu, l’avocat général assène : « C’est manipuler les migrants quand même, pas au point d’en tirer des ressources, un profit monétaire ou électoral, mais c’est les utiliser. On les embarque avec soi et on leur fait passer la frontière en disant : “Voyez ce qu’on est capables de faire !” Je ne sais pas si ça, c’est de l’aide humanitaire. »

      Dès 20 h 10, après cinq heures d’audience, les plaidoiries des avocats de la défense s’enchaînent, insistant sur le manque d’éléments matériels venant démontrer « l’aide à l’entrée de personnes en situation irrégulière » sur le territoire. « A-t-on la certitude, dans cette procédure, celle qu’il faut pour condamner, qu’Eleonora a sciemment favorisé l’entrée d’une personne ou de plusieurs personnes en situation irrégulière sur le territoire en empêchant la vérification de leur identité ? », interroge la première robe noire, représentant la seule absente parmi les prévenus ce jeudi.

      Et de rappeler toute la complexité du Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (#Ceseda) : « Il faudrait vérifier aussi si les personnes entrées de façon irrégulière n’avaient pas vocation à demander l’asile, cela ne se devine pas à la couleur de peau. » L’avocat de Jean-Luc abonde : « L’élément qui permet de savoir si une personne est en situation irrégulière n’est pas l’absence de titre de séjour mais si elle est réfugiée ou pas. Ce qui me dérange, c’est que le parquet, donc le garant, ne le sache pas. »

      Et de toute façon ici, l’avocat a beau avoir cherché, « aucun élément matériel, aucun refus d’entrée ou vérification d’identité » ne sont venus démontrer que des personnes en situation irrégulière sont entrées illégalement sur le territoire. « Mon client est poursuivi pour une vingtaine d’étrangers, on ne nous en sort qu’un. Et tout le monde considère que les faits sont établis », s’agace-t-il devant la cour.

      Me Brengarth, qui a débuté l’audience en demandant à la cour de saisir la Cour de justice de l’Union européenne sur la question de « l’#aide_à_l’entrée » (par le biais d’une question préjudicielle), rappelle le contexte et un avis de la CNCDH, autorité administrative indépendante, soulignant l’amalgame fait entre #aidants et #passeurs. Comment expliquer par ailleurs que sept personnes sur deux cents ayant participé à la marche soient poursuivies ? « La seule raison était de penser qu’il y avait #bande_organisée. Mais aujourd’hui, devant votre propre constat, vous voyez que ces personnes ne se connaissaient même pas. » L’avocat demande la relaxe pour Mathieu, « stupéfait » par la gravité des réquisitions de l’avocat général, qui « ne correspondent ni aux intentions ni à la personnalité du prévenu ».

      Son associé Me Bourdon conclut l’audience, dans les envolées lyriques qui lui sont propres, mettant en lumière « ces jeunes gens [qui] incarnent quelque chose qui doit être une source de fierté pour notre pays, la tradition d’hospitalité aujourd’hui stigmatisée par ceux qui baignent dans l’intolérance. » À propos de l’importance de saisir la cour de justice de l’UE, il évoque un « cortège de décisions de cours d’appel, de Cours de cassation et de tribunaux judiciaires » venant brouiller encore davantage le « délit d’aide à l’entrée ». « La décision du Conseil constitutionnel [de consacrer le principe de fraternité et de censurer ainsi le délit de solidarité – ndlr] nous éclaire, mais pas sur l’aide à l’entrée », argue-t-il.

      Manque d’éléments matériels pour démontrer que les prévenus auraient facilité, voire encouragé le passage de la frontière, doute sur l’intention des prévenus, exemption de demande de titre de séjour pour entrer sur le territoire lorsqu’un individu veut demander l’asile, libre-arbitre des migrants, liberté de manifester… la liste des « hypothèses » est longue au point de former une « constellation » selon l’avocat, qui pourrait plaider « toute la nuit » sur le délit de solidarité. « La relaxe s’impose ! », martèle Me Bourdon à l’endroit de la présidente de la cour, avant de retourner à sa place. La décision sera rendue le 9 septembre 2021.

      À la nuit tombée, une poignée des quelque trois cents soutiens venus en masse – dont plusieurs élus – devant la cour d’appel en début d’après-midi sont encore là pour accueillir les prévenus. Ce même jour, deux maraudeurs de l’association Tous Migrants ont été condamnés, par le tribunal de Gap, à deux mois de prison avec sursis pour « aide à l’entrée d’étrangers en France de personnes en situation irrégulière » à Montgenèvre, alors qu’ils niaient formellement avoir franchi la frontière franco-italienne (lire ici notre compte-rendu de l’audience qui s’était tenue à Gap le 22 avril dernier : https://www.mediapart.fr/journal/france/230421/gap-deux-mois-de-prison-avec-sursis-requis-contre-des-maraudeurs).

      https://www.mediapart.fr/journal/france/280521/aide-aux-migrants-les-7-de-briancon-juges-en-appel-grenoble

    • Juger hors-contexte? Le procès en appel des 7 de Briançon

      La justice sépare les #faits du #contexte. En appel, refuser d’entendre les témoins du contexte, c’est juger que les faits parlent d’eux-mêmes. Or l’affaire des 7 de Briançon, dont l’action répondait au coup de force de Génération identitaire, montre le contraire : les solidaires manifestaient pour une frontière démocratique. Décontextualiser, c’est nier cette signification. Quoi de plus politique ?

      Aujourd’hui, jeudi 27 mai 2021, j’étais cité comme témoin devant la cour d’appel de Grenoble. C’était dans l’affaire dite des 7 de Briançon : la justice les accuse d’avoir aidé des migrants à franchir la frontière au col de l’Échelle, le 22 avril 2018, lors d’une #marche_solidaire. J’avais publié une tribune sur ce « procès politique » le 8 novembre 2018 (https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/081118/les-3-4-de-briancon-un-proces-politique), jour de son ouverture devant le Tribunal correctionnel de Gap. La lourdeur des peines prononcées le 13 décembre suivant, conformes aux réquisitions du parquet, ne démentait pas cette analyse : 6 mois de prison avec sursis dans 5 cas, 12 mois dont 4 fermes pour les deux autres.

      Mais aujourd’hui, à Grenoble, la cour a refusé de m’entendre, tout comme l’autre témoin cité par la défense : Olivier Clochard, géographe au CNRS, spécialiste des migrations, engagé dans le réseau Migreurop. Il est vrai que, pour la présidente, nous n’étions pas témoins des faits ; nous allions donc témoigner du contexte. La justice n’aurait-elle que faire du contexte ? Pourtant, les faits n’existent pas en dehors des contextes qui leur donnent sens. C’est ce que montrent les sciences sociales ; c’est ce que je comptais expliquer aux juges ; et c’est donc ce que j’écris maintenant dans le train du retour, pour tirer les leçons de ce refus.

      Le contexte est effacé dès le chef d’accusation qui figure sur ma citation à témoigner : le délit serait d’avoir, « par aide directe ou indirecte, facilité ou tenté de faciliter l’entrée irrégulière en France de plus d’une vingtaine d’étrangers, avec circonstance que les faits ont été commis en bande organisée, en l’espèce en leur faisant passer la frontière franco-italienne par l’organisation d’un attroupement concerté de plus d’une centaine de personnes entourant physiquement ces étrangers et les encadrant avec des véhicules afin d’empêcher leur contrôle au poste de la police aux frontières ». Or il manque ici des éléments essentiels : il s’agissait d’une marche ; et elle était improvisée.

      Voilà ce qu’occulte le choix de parler d’un « #attroupement_concerté ». Ce n’est pas un fait ; c’est un parti pris d’interprétation. Il revient à nier le caractère politique de ce qui se joue alors à la frontière franco-italienne. Pour le comprendre, il faut commencer par restituer le contexte immédiat. La veille, Génération identitaire avait réussi une spectaculaire opération (avec hélicoptère, avion, et caméras) pour refouler des étrangers à la frontière. C’était le 21 avril – date dont la résonance symbolique ne pouvait échapper à son organisateur, Damien Rieu, attaché parlementaire d’un député du Rassemblement national. Le lendemain, l’action des solidaires n’avait rien à voir avec une tentative furtive de passeurs : c’était en plein jour, les médias étaient au courant, et les forces de l’ordre bien présentes. Bref, c’est ce qu’on appelle une #manifestation.

      Ou plutôt une #contre-manifestation, qui prend sens dans un deuxième contexte : l’absence de réaction de l’État face à un groupe néofasciste qui prétend se substituer à lui. À l’époque, Gérard Collomb, ministre de l’Intérieur, ne voit dans cette démonstration de force que « gesticulations » (https://www.huffingtonpost.fr/2018/04/21/generation-identitaire-gerard-collomb-condamne-une-gesticulation-mais) ; face à ce commando en uniforme, nul ne parle de « #bande_organisée ». Pour monter ce coup publicitaire, il fallait cependant bien plus de moyens, et d’abord d’argent, que pour marcher dans la montagne. Il n’empêche : dès le 27 avril, après 24 heures d’enquête, le procureur de la République de Gap déclare dans un communiqué n’avoir pu « constater aucune infraction pénale. » (https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/non-a-la-criminalisation-de-la-solidarite-20210526_OZZNXRVPKBEYZIAAOFV5QC6Z4Q/?redirected=1) Les 7 de Briançon participent donc à une contre-manifestation qui dénonce, non seulement Génération identitaire, mais aussi la complaisance complice de l’État.

      Le ministère de la Justice s’est vu contraint de le reconnaître dans une circulaire du 4 mai (https://www.mediapart.fr/journal/france/090518/hautes-alpes-les-identitaires-auraient-pu-etre-poursuivis), les militants identitaires auraient pu être poursuivis, accusés « de s’immiscer dans l’exercice d’une fonction publique », voire d’« exercer une activité dans des conditions de nature à créer dans l’esprit du public une confusion avec l’exercice d’une fonction publique. » C’est ainsi que le 29 août 2019, presque 10 mois après les solidaires, le tribunal de Gap, jugeant cette affaire « particulièrement délicate » (https://www.lefigaro.fr/actualite-france/operation-antimigrants-dans-les-alpes-generation-identitaire-a-nouveau-en-p), finit par condamner trois identitaires à six mois de prison ferme, allant au-delà des réquisitions du parquet qui se contentait du sursis.

      Or aujourd’hui, témoigner du contexte devant la cour d’appel m’aurait aussi permis de rappeler qu’en deuxième instance, le 16 décembre 2020, celle-ci a déjà annulé leur condamnation (https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/12/17/l-operation-anti-migrants-de-generation-identitaire-relaxee-en-appel_6063781). « Il est certain que les membres de cette association ont un fonctionnement de type militaire », écrit la cour, mais « cette action, purement de propagande politique, à visée médiatique, n’était pas de nature à créer une confusion dans l’esprit du public avec l’exercice de la fonction des forces de l’ordre ». Simple manifestation ? « La présidente avait prévenu », se réjouissait alors un avocat de la défense, « que la politique n’influerait en rien sur la décision. » (https://www.lefigaro.fr/actualite-france/operation-antimigrants-dans-les-alpes-generation-identitaire-relaxee-202012). En relaxant les chefs d’une milice néofasciste qui allait être dissoute cent jours plus tard, la cour d’appel de Grenoble ne faisait-elle pas de politique ? La comparaison avec sa décision sur la contre-manifestation permettra d’en juger.

      Pour l’instant, en refusant d’entendre ces contextes, cette même cour d’appel ampute de son sens politique l’action de militantes et de militants solidaires. Ils et elles s’indignent non seulement que l’État ne fasse pas respecter la loi à Génération identitaire, mais aussi que lui-même ne la respecte pas. C’est ce qu’a démontré en particulier Cédric Herrou avec son association Roya Citoyenne, en faisant condamner à plusieurs reprises le préfet des Alpes-Maritimes par le tribunal administratif (https://www.lemonde.fr/immigration-et-diversite/article/2017/09/04/le-prefet-des-alpes-maritimes-a-nouveau-condamne-pour-atteinte-au-droit-d-as). Le 16 octobre 2018, une douzaine d’associations (dont Amnesty, la Cimade, Emmaüs, le GISTI et Médecins sans frontières) ont dénoncé « les violations systématiques des droits des personnes exilées » à Briançon, avec des « pratiques illégales » telles que « refoulements de personnes exilées dont des mineurs, contrôles discriminatoires », mais aussi « entraves à l’enregistrement des demandes d’asile, absence d’interprètes, etc. » (https://www.gisti.org/spip.php?article6006). Dans un avis de juin 2018, la Commission nationale consultative des droits de l’homme (CNCDH) s’était déclarée « profondément choquée par les violations des droits des personnes migrantes constatées et par les pratiques alarmantes observées sur ces deux zones frontalières où la République bafoue les droits fondamentaux » (https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwj37vum2OvwAhUt8uAKHf44D9Q).

      Si les 7 subissent un procès politique, c’est bien pour avoir fait le procès d’une telle politique de l’État. De fait, ces militantes et militants ont repolitisé la frontière : leur manifestation transfrontalière du 22 avril 2018 remet de la #politique là où il n’y a plus aujourd’hui que de la police. Que se passe-t-il en effet ? On assiste depuis quelques années au grand retour des frontières à l’intérieur de l’Europe (https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/non-a-la-criminalisation-de-la-solidarite-20210526_OZZNXRVPKBEYZIAAOFV5QC). Pour voyager dans l’espace Schengen, il faut à nouveau montrer ses papiers. Et poursuivre les 7 activistes comme des passeurs, c’est traiter les frontières internes de l’Europe comme des #frontières_externes. Autrement dit, c’en est fini de la #libre_circulation. Or ce renoncement à l’une des valeurs cardinales de l’Europe n’a jamais été débattu démocratiquement : c’est une décision administrative, comme s’il s’agissait d’une simple décision de police. Ce que rappelle la contre-manifestation des solidaires, en réponse à la manifestation de Génération identitaire, c’est qu’en démocratie, ce devrait être une question politique.

      Enfin, manifester à travers la frontière avec des migrant.es, c’est affirmer que la solidarité, loin d’être un délit, est une valeur – non seulement humanitaire, mais aussi politique. C’est bien ainsi qu’il faut comprendre la reconnaissance du #principe_de_fraternité par le Conseil constitutionnel, dans sa décision du 6 juillet 2018 (soit moins de trois mois après la contre-manifestation) (https://www.lemonde.fr/immigration-et-diversite/article/2018/07/06/aide-aux-migrants-le-conseil-constitutionnel-consacre-le-principe-de-fratern) : il suppose notre commune #humanité. Or le #retour_des_frontières la nie, voire l’abolit, entraînant les forces de l’ordre, dans la manifestation comme à Vintimille et ailleurs aux frontières et dans le pays, à identifier les étrangers par leur #couleur_de_peau : c’est ainsi qu’on glisse d’une politique xénophobe à une police raciste.

      La fraternité est une valeur morale, sans doute ; mais c’est aussi et surtout un #principe_démocratique : aussi figure-t-elle au fronton des mairies républicaines, au même titre, tout aussi politique, que la liberté et l’égalité. Or, depuis la Révolution française, la fraternité ne s’arrête pas aux frontières : elle les traverse – comme le font les 7 de Briançon. C’est aujourd’hui une manière exemplaire de faire de remettre de la politique, quand l’État lui substitue la police. La justice peut-elle faire abstraction de ce contexte politique pour juger les faits, ou doit-elle le prendre en compte pour les caractériser ? Une chose est certaine : dépolitiser, ou bien démocratiser, les deux options sont également politiques. Avec le contexte, voilà ce que la cour d’appel n’a pas voulu entendre.

      https://blogs.mediapart.fr/eric-fassin/blog/280521/juger-hors-contexte-le-proces-en-appel-des-7-de-briancon

      #Eric_Fassin #dépolitisation

  • #métaliste sur des cas d’exilés détenus pendant des mois dans un #aéroport... impossible pour eux de sortir, retourner en arrière ou repartir ailleurs (manque de #visa).

    Il s’agit évidemment uniquement de cas recensé sur seenthis, il y en a hélas probablement beaucoup plus...

    Des réflexions plus générales/théoriques sur les zones de transit et la #détention dans les aéroports :
    https://seenthis.net/messages/732101

    #limbe #terminal #attente #no-solution #migrations #asile #réfugiés #aéroports #transit #zone-tampon #limbo #rétention #captivité #migrerrance

    cc @aude_v (merci de m’avoir inspiré pour créer une métaliste !) @reka

  • (je me répète mais 1. il y a de la joie dans la répétition, 2.là c’est un peu plus clair que mes posts de ci, de là)

    Après presque 14 piges sans aucune (je dis bien aucune) vidéo (sérieuse) de Prince à se mettre sous la dent, voilà qu’une chaîne YouTube o f f i c i e l l e sort enfin de la tombe.

    Enjoy :

    (la première c’est la quintessence du hard-rock et de la permanente d’avant-garde (j’adore) après c’est que la bombe (les deux dernières ça joue-danse-chante un truc de dingue (showtime bébé)

    https://www.youtube.com/watch?v=fPaYtVJouYA

    https://www.youtube.com/watch?v=mZO5HLRk7KE

    https://www.youtube.com/watch?v=c3GPPnVz1fw&list=PLrwXzbX3SWnu1H2yesZA0-28anAKGK6ZE&index=14

    https://www.youtube.com/watch?v=ZiuSRQHLv88&list=PLrwXzbX3SWnu1H2yesZA0-28anAKGK6ZE&index=15

    https://www.youtube.com/watch?v=SVEFRQavTNI

    https://www.youtube.com/watch?v=9Lgf2VU_M70

    PS : ah, pour moi, évidence du lien entre le monde de Prince et les zombies de Roméro

    Edit : bon, disons 10 piges

    • beh, vivant, après avoir été un des premiers à balancer sa musique sur le net (début 2000), il était en guerre contre les GAFA (disons) parce que la diffusion « gratuite » de sa musique leur rapportait de la thune, et pas à lui. Du coup, il a fait tout retirer de YT et d’ailleurs (mais alors tout (genre la vidéo d’un enfant dansant dans sa cuisine sur un de ses sons)). Maintenant, il est mort, et ils (qui, je ne sais pas) viennent de sortir un purple rain deluxe remasterisé (avec de chouettes inédits dedans) et j’imagine qu’ils en font la promo via YT.

      Sinon, autre sujet, côté féminisme, tu remarquera que le mec s’entoure de super musiciennes, presqu’aussi culte que lui. Il y a trente mille articles sur le féminisme de Prince (même s’il a eut une sérieux virage réac après 2000). Bref, je fais un peu une fixette sur lui en ce moment.

      edit : virage réac dès 1990 disons plutôt

    • Merci pour les explications @tintin
      Prince c’est trop rock pour moi mais son engagement queer me le rendait sympatique (surtout que je suis pas au courrant de son revirement reac post 2000)
      Bonne fixette à toi, après toutes ces années de manque, profite en bien :)

    • de rien... Oui queer même si son engagement est franchement alambiqué si tu le suis à travers les années (vêtu de tongs à plateforme tout aussi blanches que son pantalon de yoga évasé, il se prononce contre le mariage gay). ProtoQueer disons

    • en fait t’as l’impression qu’il jaillit des années 70, complétement libre (enfin surtout en string et talons sous sa gabardine de RG) et que tout se tasse petit à petit pendant les années 80 (qu’il finira tout de même nu, dans une sorte d’orchidée), jusqu’à ce que le gansta rap devienne un concurrent commercial sérieux et qu’il se rende (plus ou moins, chassez le naturel) au courant dominant en faisant 1.de la musique de merde, 2. un revirement puritain-jéovah-jazz-métal-funk-rap-chelou absolument incompréhensible.

  • #Lisa_Selin_Davis : Ma fille n’est pas transgenre. C’est une « tomboy ».
    http://tradfem.wordpress.com/2017/04/21/ma-fille-nest-pas-transgenre-cest-une-tomboy

    « Je voulais juste vérifier », a dit la prof. « Votre enfant veut être appelé un garçon, n’est-ce pas ? Ou est-elle un garçon qui veut être appelé une fille ? Pouvez-vous me rappeler ce qui en est ? »

    J’ai incliné la tête. Je suis habituée à corriger des inconnus, qui prennent ma fille de 7 ans pour un garçon 100 pour cent du temps.

    En fait, j’aime les corriger, en les amenant à remettre en question leur perception de ce que à quoi ressemble une fille. Mais il y avait déjà six mois que ma fille participait au programme parascolaire où cette femme enseigne.

    « C’est une fille », dis-je. La femme ne semblait pas convaincue. « Vraiment. C’est une fille, et vous pouvez l’appeler une fille. »

    Traduction : #Tradfem
    Version originale : http://www.nytimes.com/2017/04/18/opinion/my-daughter-is-not-transgender-shes-a-tomboy.html?smid=fb-nytopinion&smtyp=

    #trans #tomboy #enfant #stéréotype

    • "Se Lisa è colpevole, lo sarebbero tutti coloro che hanno provato a alleviare le sofferenze dei profughi". Chiesta la cittadinanza onoraria di Como

      Una trentina di consiglieri comunali ha inviato la richiesta al sindaco, in segno di solidarietà dopo il decreto d’accusa che ha colpito la deputata, che scrive: «sono intimorita dall’onore che mi fate»

      http://www.ticinolibero.ch/it/article/34687/se-lisa-colpevole-lo-sarebbero-tutti-coloro-che-hanno-provato-a-allevia

    • La passionaria des migrants condamnée à Bellinzone

      Tout en reconnaissant les valeurs humanistes de Lisa Bosia Mirra, le Tribunal de Bellinzone a confirmé la peine pécuniaire pour infraction à la loi fédérale sur les étrangers. L’élue a fait passer clandestinement 24 migrants en Suisse


      https://www.letemps.ch/suisse/2017/09/28/passionaria-migrants-condamnee-bellinzone
      #condamnation

    • v. aussi :
      Délit de solidarité | Procès de Lisa Bosia Mirra

      Aujourd’hui, le 21 septembre 2017 à 9 heures, Lisa Bosia Mirra comparaît devant le Tribunal pénal fédéral de Bellinzone. Elle est accusée d’avoir facilité à neuf reprises l’entrée irrégulière de personnes migrantes, dont des mineur-e-s non accompagné-e-s, entre août et septembre 2016. Le site Osservatorio Giuridico propose une documentation exhaustive de l’affaire (en italien, lire le communiqué ci-dessous).

      https://asile.ch/2017/09/21/tessin-proces-de-lisa-bosia-mirra

    • Migranti tra Como e Ticino, la socialista Bosia Mirra ricorrerà in appello

      Ricorrerà in appello Lisa Bosia Mirra, la deputata socialista ticinese accusata di aver aiutato, tra l’agosto e il settembre 2016, in almeno 9 circostanze, alcuni rifugiati, tra cui bambine e bambini, a entrare illegalmente in Svizzera (erano i mesi caldi della tendopoli alla Stazione San Giovanni di Como).


      http://www.corrieredicomo.it/migranti-como-ticino-la-socialista-bosia-mirra-ricorrera-appello

    • La pasionaria tessinoise des migrants en appel

      Condamnée en 2017 pour avoir fait entrer illégalement 24 migrants en Suisse, Lisa Bosia Mirra réclame son acquittement.
      Une peine d’un franc symbolique. C’est ce qu’a réclamé Lisa Bosia Mirra devant la Cour d’appel aujourd’hui à Locarno. Trois semaines après la confirmation de la sentence d’Anni Lanz en Valais pour violation de la loi fédérale sur les étrangers (LEtr), la travailleuse sociale et ancienne députée socialiste tessinoise fait appel contre sa condamnation qui l’a frappée il y a deux ans.
      L’inertie des autorités italiennes

      En 2017, Lisa Bosia Mirra, 46 ans, avait été condamné à une amende de 8800 francs, pour avoir fait entrer illégalement 24 migrants en Suisse. Mardi, lors de son procès en appel, la militante tessinoise est revenue, la voix tremblante d’émotion, sur la crise migratoire de 2016. En réponse aux questions de la juge Giovanna Roggero-Will, elle a décrit comment les jeunes refoulés à la frontière suisse vivaient dans le parc devant la gare de Côme et souligné l’inertie des autorités italiennes. « Ils se lavaient et faisaient leurs besoins dans les toilettes de la gare, a-t-elle expliqué. Ils dormaient par terre, et l’eau pour boire et nettoyer les vêtements provenait d’une petite fontaine. »

      Elle a cité quelques cas spécifiques de migrants qui avaient traversé le Sahara à pied, avant d’être incarcérés et torturés en Libye, dont elle a facilité la réunification avec des parents en Allemagne. Elle assure avoir fourni de l’aide « aux personnes que je jugeais comme étant les plus vulnérables, afin de les soustraire à l’extrême précarité du site de Côme, pour qu’ils rejoignent des membres de leur famille et se retrouvent dans un lieu sûr ».
      « Ce n’est pas ainsi qu’on aide les migrants »

      S’exprimant à son tour, la procureure Margherita Lanzillo a réitéré la justesse du décret d’accusation et la peine qu’elle a émis en avril 2017, confirmés par le Tribunal de Bellinzone en septembre 2017, lequel « tient compte des valeurs humanistes qui ont motivé Lisa Bosia Mirra ». La solidarité ne peut cependant pas primer sur la justice, a-t-elle fait valoir, ajoutant que l’inculpée a commis des illégalités en connaissance de cause, de surcroît en faisant courir des risques aux migrants.

      https://www.letemps.ch/suisse/pasionaria-tessinoise-migrants-appel

    • Pena ridotta per Lisa Bosia Mirra

      Parziale vittoria in Appello per Lisa Bosia Mirra. Il suo ricorso contro la sentenza di primo grado è stato infatti parzialmente accolto dalla Corte d’appello e revisione penale (CARP), che l’ha prosciolta dall’accusa di aiuto al soggiorno illegale e riconosciuta invece colpevole di ripetuto aiuto all’entrata e alla partenza illegale. Nella sua senzenza, comunicata oggi alle parti, la Corte ha ridotto la pena pecuniaria sospesa portandola da 8’800 a 2’200 franchi, e ha annullato la multa di 1’000 franchi inflittale in primo grado.

      In sostanza, la CARP ha ritenuto la colpa dell’autrice qualificata in considerazione del numero di persone che ha aiutato/cercato di aiutare ad eludere le norme della Legge federale sugli stanieri (LStr), ma la stessa è «notevolmente attenuata» dal fatto Bosia Mirra ha «agito per motivi non solo ideali ma, in parte, anche onorevoli, spinta dall’ansia di aiutare persone che vivevano momenti di evidente difficoltà e sofferenza che lei - sofferente di un burnout dovuto a precedenti esperienze vissute con i migranti - riteneva, non solo ingiuste e indegne di una società civile, ma anche non più sopportabili da persone che già avevano vissuto tragedie», ha «collaborato praticamente sin dall’inizio delle indagini con il Ministero pubblico, ammettendo, da subito, i fatti che le venivano contestati e, persino, confessando un episodio di cui gli inquirenti non sapevano» e ha «già pesantemente pagato in termini di sofferenza e perdita di qualità di vita a causa di una campagna denigratoria (in particolare, via social) insolitamente e incomprensibilmente aspra e feroce».

      «La Corte - si legge in una nota dell’Osservatorio giuridico, che ha commentato la sentenza definendola «una vittoria per i diritti umani» - ha però ritenuto che alla stazione di Como erano accampati tra 400 e 600 migranti con minori non accompagnati, donne con bambini, in un giardino pubblico, cioè in uno spazio assolutamente non attrezzato quale centro di accoglienza». La CARP ha però negato che esistesse uno stato di necessità per i rifugiati che Lisa Bosia Mirra aiutò ad entrare in Svizzera, pertanto - conferma l’Osservatorio - si presenterà ricorso al Tribunale federale (TF).

      Nel processo di primo grado, celebrato il 28 settembre 2017, il giudice della Pretura penale Siro Quadri aveva sì tenuto conto del «sentimento umanitario» dell’imputata, ma non aveva riconosciuto l’attenuante dei «motivi onorevoli», né quella del «pericolo imminente» per la vita dei migranti, condannandola a una pena pecuniaria di 80 aliquote giornaliere e a una multa per ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale. Il processo di appello si era invece tenuto il 10 settembre scorso.

      https://www.cdt.ch/ticino/pena-ridotta-per-lisa-bosia-mirra-LG1976926

    • Sono felice e grata perché la corte di appello ha notevolmente ridotto la pena inflittami e riconosciuto l’attenuante dei motivi onorevoli. Ma soprattutto sono contenta che la corte abbia riconosciuto, in maniera inequivocabile in alcuni passaggi della sentenza, la gravità della situazione di Como e la sofferenza delle persone che li si trovavano.
      È un passo nella giusta direzione perché viene riconosciuto il diritto a esprimere solidarietà e pena per chi si trova nella sfortunata condizione di essere migrante senza alcuna sicurezza (e verso chiunque altro nelle medesime condizioni). Per contro la Corte conferma che l’attraversamento della frontiera è un delitto punibile.

      Condivido la mia gioia con tutte le persone che in Svizzera e altrove si impegnano per i diritti delle persone migranti e con chi ha sofferto per me è con me in questi lunghi 3 anni.

      A loro, alle persone in cammino va invece, ancora e sempre, tutta la mia ammirazione e la mia solidarietà. La condizione di esule è una delle peggiori condizioni al mondo. Nessuno lascia il proprio Paese e affronta un viaggio tanto pericoloso senza una buona motivazione, per una volta, sta scritto su una sentenza.

      Grazie di cuore

      https://www.facebook.com/lisabosiamirra/photos/a.780405752046847/2530247523729319/?type=3&theater

    • Un geste insuffisant : la solidarité n’est pas un crime !

      La Cour d’appel de Locarno a allégé la peine infligée à Lisa Bosia Mirra par le Tribunal de Bellinzone. Un geste insuffisant déplore Amnesty International Suisse, qui estime que les pouvoirs judiciaires des différents cantons devraient cesser de poursuivre et de condamner les actes de solidarité. Elle avait aidé 20 personnes, pour la plupart des mineurs non accompagnés, à franchir la frontière entre l’Italie et la Suisse entre août et septembre 2016.

      Suite au procès en appel, qui a eu lieu mardi 10 septembre, la Cour d’appel de Locarno a acquitté Lisa Bosia Mirra de l’accusation d’aide au séjour illégal, mais a maintenu l’accusation d’aide à l’entrée et à la sortie illégales. La Cour a allégé la peine pécuniaire de 8800 francs avec sursis de deux ans assortie d’une amende de 1000 francs. Selon le verdict, la peine pécuniaire est réduite à 2’200 francs et l’amende est supprimée. L’ancienne élue tessinoise fera appel devant le Tribunal fédéral.

      « La Cour de Locarno a confirmé que le fait d’accueillir un migrant clandestin en Suisse pour quelques jours n’est pas punissable. Elle a en outre confirmé qu’il n’est pas punissable de fournir de la nourriture à un étranger en difficulté, ni d’offrir une assistance médicale et des conseils juridiques à un immigrant clandestin sur le point de passer la frontière. C’est un pas dans la bonne direction », a déclaré Pablo Cruchon, responsable de campagne Migrations pour Amnesty Suisse. « Toutefois la peine infligée à Lisa Bosia Mirra demeure inscrite dans son casier judiciaire. Or, elle n’est ni une passeuse, ni une criminelle, elle n’aurait jamais dû être poursuivie ni condamnée en première instance ». Désemparée face au désespoir des jeunes rencontrés à la gare de Côme, et face aux violations de leurs droits de la part des autorités suisses et italiennes, l’ancienne élue tessinoise n’a eu d’autre choix que d’agir selon sa conscience, même si ceci impliquait de violer la loi. »

      « L’article 18 du code pénal prévoit une possibilité de supprimer la peine lorsque l’auteur d’un acte illicite l’a commis pour préserver autrui d’un grave danger. Pourtant, les autorités judiciaires se sont abstenues d’acquitter Lisa Bosia Mirra », déplore Pablo Cruchon. « Les pouvoirs judiciaires des différents cantons devraient cesser complètement de poursuivre et de condamner les personnes qui s’engagent en faveur des droits des migrants, des requérants d’asile et des exilés ».
      Une situation catastrophique aux portes de la Suisse

      En première ligne dans la défense des droits des personnes migrantes et réfugiées, pendant l’été 2016, l’ancienne élue tessinoise avait joué un rôle crucial dans la mise en place de l’aide aux migrants et aux réfugiés qui, dans l’impossibilité de franchir la frontière suisse, campaient aux alentours de la gare de Côme, à quelques kilomètres de la frontière entre l’Italie et la Suisse. Avec son association Firdaus elle a organisé la distribution quotidienne de nourriture et de vêtements, et la mise en place d’une d’assistance légale minimum, en particulier pour les mineurs non accompagnés et les personnes les plus vulnérables.

      La situation précaire à Côme a été amplifiée par de graves violations des droits fondamentaux de la part des autorités italiennes et suisses. L’Italie n’a pas été en mesure de garantir une assistance sanitaire ou un soutien aux mineurs non accompagnés et aux personnes les plus vulnérables, les structures disponibles étant toutes surpeuplées.

      « De son côté, la Suisse à elle aussi agi en violation des droits des mineurs. Pendant l’été 2016, les gardes-frontières suisses ont régulièrement renvoyé vers l’Italie des mineurs, même lorsque ceux-ci avaient demandé la protection de la Suisse, pays dans lequel beaucoup d’entre eux affirmaient avoir de la famille », rappelle Pablo Cruchon. Les autorités chargées de la surveillance des frontières ont aussi empêché des mineurs de transiter par la Suisse pour rejoindre leurs familles en Allemagne ou ailleurs en Europe, en violation du règlement sur le regroupement familial prévu par les accords de Dublin. »
      La société civile se mobilise

      Avec une pétition, Amnesty International et Solidarité sans frontières demandent la révision des lois qui limitent et répriment la solidarité envers les migrants et les réfugiés. Les deux organisations demandent notamment aux parlementaires de soutenir l’initiative parlementaire 18.461 « En finir avec le délit de solidarité », déposée par la conseillère nationale verte Lisa Mazzone, qui vise à modifier l’article 116 de la Loi sur les étrangers et l’intégration (LEI) de façon à ce que la justice ne puisse plus criminaliser des individus prêtant assistance, dès lors qu’ils agissent de manière désintéressée et n’en retirent aucun profit.

      L’initiative parlementaire rappelle que jusqu’à 2008, la Loi fédérale sur le séjour et l’établissement des étrangers (LSEE) contenait une disposition selon laquelle prêter assistance n’était pas punissable dans certaines situations et si les mobiles étaient honorables (art. 23 al. 3 LSEE). Cette disposition a disparu en 2008, lors du remplacement de la LSEE par la Loi sur les étrangers (LEtr).

      Un appel au changement des lois en vigueur est aussi partagé par 134 avocats suisses qui ont rejoint la campagne en faveur de la modification de l’article 116 de la loi sur les étrangers et l’intégration (LEI) et de la dépénalisation de l’aide aux personnes en fuite lorsque le mobile est honorable. Dans leur Déclaration commune, ils invitent les pouvoirs judiciaires des différents cantons à cesser de poursuivre et de condamner des actes de solidarité.

      https://www.amnesty.ch/fr/pays/europe-asie-centrale/suisse/docs/2019/la-peine-de-lisa-bosia-mirra-allegee

  • « Dalida », le #Biopic et l’être pour la mort
    https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/210117/dalida-le-biopic-et-letre-pour-la-mort

    Sorti le 11 janvier, #Dalida de #Lisa_Azuelos n’est pas qu’un biopic de plus. Il pousse dans ses derniers retranchements une tendance forte du genre : tout pour la vie et rien pour l’œuvre.

    #Culture-Idées #chanson #Cinéma #Claude_François #Coluche #La_Môme #LOL #Marie_Laforêt #Nicolas_Duvauchelle #Olympia #Orlando #Pathé #Riccardo_Scarmacio #Serge_Gainsbourg #Sveva_Alviti