Gli utili record dei padroni del cibo a scapito della sicurezza alimentare
I cinque principali #trader di prodotti agricoli a livello mondiale hanno fatto registrare utili e profitti record tra il 2021 e il 2023. Mentre il numero di persone che soffrono la fame ha toccato i 783 milioni. Il report “Hungry for profits” della Ong SOMO individua le cause principali di questa situazione. E propone una tassa sui loro extra-profitti
Tra il 2021 e il 2022 -anni in cui il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è tornato ad aumentare, così come i prezzi dei beni agricoli spinti verso l’alto da inflazione e speculazione finanziaria- i profitti dei primi cinque trader di materie prime agricole a livello globale sono schizzati verso l’alto.
Nel 2022 le multinazionali riunite sotto l’acronimo Abccd (Archer-Daniels-Midland company, Cargill, Cofco e Louis Dreyfus Company) hanno comunicato ai propri stakeholder un aumento degli utili per il 2021 compreso tra il 75% e il 260% rispetto al 2016-2020. “Mentre nel 2022 i profitti netti sono raddoppiati o addirittura triplicati rispetto allo stesso periodo. In base ai rapporti finanziari trimestrali disponibili al pubblico, i profitti netti dei commercianti di materie prime agricole sono rimasti eccessivamente alti nei primi nove mesi del 2023”, si legge nel rapporto “Hungry for profits” curato dalla Ong olandese Somo. Dati che fanno comprendere meglio quali sono i fattori che influenzano l’andamento del costo dei prodotti agricoli e -soprattutto- chi sono i reali vincitori dell’attuale sistema agroindustriale.
La statunitense Cargill è la prima tra i Big five in termini di ricavi (165 miliardi di dollari nel 2022) e utili (6,6 miliardi), seguita dalla cinese Cofco (che nello stesso anno ha superato i 108 miliardi di dollari e i 3,3 miliardi di utili) e da Archer-Daniels-Midland company (Adm, con 101 miliardi di ricavi e 4,3 miliardi di utili). Nello stesso anno il numero di persone che soffrono la fame ha raggiunto i 783 milioni (122 milioni in più rispetto al 2019) e i prezzi dei prodotti alimentari hanno continuato a crescere, spinti dall’inflazione.
Complessivamente questi cinque colossi detengono una posizione di oligopolio sul mercato globale dei prodotti di base come i cereali (di cui controllano una quota che va dal 70-90%), soia e zucchero. “Questo alto grado di concentrazione e il conseguente controllo sulle più importanti materie prime agricole del mondo, conferisce loro un enorme potere contrattuale per plasmare il panorama alimentare globale”, spiega Vincent Kiezebrink, ricercatore di Somo e autore della ricerca.
La posizione dominante che di fatto ricoprono sul mercato globale rappresenta uno dei fattori che ha permesso agli Abccd di registrare profitti e utili da record negli ultimi tre anni. “La sola Cargill è responsabile della movimentazione del 25% di tutti i cereali e i semi di soia prodotti dagli agricoltori statunitensi -si legge nel report-. Anche il principale mercato agricolo per l’approvvigionamento di soia, l’America Latina, è dominato dagli Abccd: oltre la metà di tutte le esportazioni di questo prodotto passano da loro”.
La situazione non cambia se si guarda a quello che succede in Europa: l’olandese Bunge e la statunitense Cargill da sole sono responsabili di oltre il 30% delle esportazioni di soia dal Brasile verso l’Unione europea. Bunge, in particolare, è il principale fornitore di soia per l’industria della carne dell’Ue con una chiara posizione di monopolio in alcuni mercati come il Portogallo, dove controlla il 90-100% delle vendite di olio di soia grezzo.
Questa concentrazione è stata costruita nel tempo attraverso fusioni e acquisizioni che non sono state limitate dalle autorità per la concorrenza: quelle europee, ad esempio, hanno valutato un totale di 60 fusioni relative alle società Abccd dal 1990 a oggi. “Tutte le operazioni, tranne una, sono state autorizzate incondizionatamente -si legge nel report-. La prossima grande fusione in arrivo è quella tra la canadese Viterra (specializzata nella produzione e nel commercio di cereali, ndr) e Bunge. Un’operazione senza precedenti nel settore agricolo globale e che avvicinerà la nuova società alle dimensioni di Adm e Cargill”.
Un secondo elemento che ha permesso a queste Big five di accumulare ricavi senza precedenti in questi anni è poi la loro capacità di influenzare la disponibilità dei beni alimentari attraverso un’enorme potenzialità di stoccaggio. “Il rapporto speciale 2022 del Gruppo internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (Ipes) ha evidenziato che i trader conservano notevoli riserve di cereali -si legge nel report-. E sono incentivati ‘a trattenere le scorte fino a quando i prezzi vengono percepiti come massimi’”. Per avere un’idea delle quantità di materie prime in ballo, basti pensare che la capacità di stoccaggio combinata di Adm, Bunge e Cofco, è pari a circa 68 milioni di tonnellate, è simile al consumo annuo di grano di Stati Uniti, Turchia e Regno Unito messi assieme.
Terzo e ultimo elemento individuato nel report è il fatto che queste società sono integrate verticalmente e hanno il pieno controllo della filiera produttiva dal campo alla tavola: forniscono cioè agli agricoltori prestiti, sementi, fertilizzanti e pesticidi; immagazzinano, trasformano e trasportano i prodotti alimentari.
A fronte di questa situazione, Somo ha invitato la Commissione europea a intervenire per porre un freno alla crescente monopolizzazione del comparto: “L’indagine dovrebbe concentrarsi sul potere che può essere esercitato nei confronti dei fornitori per comprimere i loro margini di profitto -concludono i ricercatori-. È preoccupante che alle multinazionali sia stato permesso di triplicare i loro profitti facendo salire i prezzi degli alimenti, mentre le persone in tutto il mondo soffrono di una crisi del costo della vita e i più poveri sono alla fame”. Per questo motivo l’organizzazione suggerisce di applicare un’imposta sugli extra-profitti delle società Abccd che, con un’ipotetica aliquota fiscale del 33%. A fronte di utili che hanno toccato i 5,7 miliardi di dollari nel 2021 e i 6,4 miliardi nel 2022, permetterebbe di generare un gettito fiscale pari rispettivamente a 1,8 e 2 miliardi di dollari.
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Il nuovo volto del #water_grabbing e la complicità della finanza
Fondi pensione e società di private equity investono sulla produzione di colture di pregio, dai piccoli frutti alle mandorle, che necessitano abbondanti risorse idriche. Il ruolo del fondo emiratino #Adq che ha acquisito l’italiana #Unifrutti.
Per osservare più da vicino il nuovo volto del water grabbing bisogna andare nella regione di Olmos, nel Nord del Perù, dove il Public sector pension investment board (Psp), uno dei maggiori gestori di fondi pensionistici canadesi (con un asset di circa 152 miliardi di dollari) ha acquistato nel 2022 un’azienda agricola di 500 ettari specializzata nella coltivazione di mirtilli. Un investimento finalizzato a sfruttare il boom della produzione di questi piccoli frutti, passata secondo le stime della Banca Mondiale dalle 30 tonnellate del 2010 alle oltre 180mila del 2020: quantità che hanno fatto del Paese latino-americano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti.
Nella regione di Olmos l’avvio di questa coltivazione intensiva è stato reso possibile grazie a un progetto idrico, costato al governo di Lima oltre 180 milioni di dollari, per deviare l’acqua dal fiume Huancabamba verso la costa e migliorare la produzione agricola locale. “Ma il progetto non ha ottenuto i risultati annunciati”, denuncia il report “Squeezing communities dry” pubblicato a metà settembre 2023 da Grain, una Ong che lavora per sostenere i piccoli agricoltori nella loro lotta per la difesa dei sistemi alimentari controllati dalle comunità e basati sulla biodiversità. Chi ha realmente beneficiato del progetto, infatti, sono state le grandi realtà agroindustriali. “Quasi tutta l’acqua convogliata dalle Ande va alle aziende di recente costituzione che producono avocado, mirtilli e altre colture che vengono vendute a prezzi elevati all’estero -continua Grain-. Il progetto, finanziato con fondi pubblici, ha avuto pochi benefici per la popolazione ma ha creato una fonte di profitti per le aziende che hanno accesso libero e gratuito all’acqua e i loro investitori”.
I protagonisti di questa nuova forma di water grabbing sono fondi pensione, società di private equity e altri operatori finanziari che si stanno muovendo in modo sempre più aggressivo per garantirsi le abbondanti risorse idriche necessarie alla produzione di colture di pregio. A differenza del passato, però, non cercano più di acquisire enormi superfici di terre coltivabili.
“L’accesso all’acqua è sempre stato un fattore cruciale -spiega ad Altreconomia Delvin Kuyek, ricercatore di Grain e autore dello studio-. Ma negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo modello: investimenti in colture come mirtilli, avocado o mandorle che richiedono meno terra rispetto al grano o alla soia, ma quantità molto maggiori di acqua. A guidare l’investimento, in questo caso, è proprio la possibilità di accedere ad abbondanti risorse idriche per mettere sul mercato prodotti che permettano di generare un ritorno economico importante”. Una forma di sfruttamento che Grain paragona all’estrazione di petrolio: si pompa acqua da fiumi o falde fino all’esaurimento, senza preoccuparsi degli impatti sull’ambiente o dei bisogni della popolazione locale. Gli operatori finanziari, infatti, non prevedono di sviluppare attività produttive sul lungo periodo ma puntano a ritorno sui loro investimenti entro 10-15 anni. Un’altra caratteristica di questi accordi, è che tendono a realizzarsi in località in cui l’acqua è già scarsa o in via di esaurimento.
Negli ultimi anni il fondo pensionistico canadese ha acquistato direttamente o investito in società che gestiscono piantagioni di mandorle in California, di noci in Australia e California. Mentre in Spagna, attraverso la controllata Hortifruit, è diventato uno dei principali produttori di mirtilli nella regione di Huelva (nel Sud-Ovest del Paese) dove si concentra anche la quasi totalità della coltivazione di fragole spagnole, destinata per l’80% all’export.
In Perù nel 2020 sono stati prodotte 180mila tonnellate di mirtilli. Numeri che fanno del Paese latinoamericano il secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti. Nel 2010 erano solo 30
Tutto questo sta avendo effetti devastanti sulle falde che alimentavano le zone umide della vicina riserva di Doñana, ricchissimo di biodiversità e patrimonio Unesco: un riconoscimento oggi messo a rischio proprio dall’eccessivo sfruttamento idrico. Lo studio “Thirty-four years of Landsat monitoring reveal long-term effects of groundwater abstractions on a World heritage site wetland” pubblicato ad aprile 2023 sulla rivista Science of the total environment, evidenzia come tra il 1985 e il 2018 il 59,2% della rete di stagni sia andata perduta a causa delle attività umane. “Il problema è collegato anche alla produzione di frutti rossi che ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni Ottanta, grazie alla presenza di condizioni climatiche ottimali e a un suolo sabbioso”, spiega ad Altreconomia Felipe Fuentelsaz del Wwf Spagna. Ma la crescita del comparto ha portato a uno sfruttamento eccessivo delle falde, da cui viene prelevata troppa acqua rispetto al tempo che necessitano per rigenerarsi. L’organizzazione stima che nel corso degli anni siano stati scavati più di mille pozzi illegali: “L’80% dei produttori rispetta le norme per l’utilizzo delle risorse idriche, ma il restante 20%, che equivale a circa duemila ettari di terreno, pompa acqua senza averne diritto”, puntualizza Fuentelsaz.
Questa nuova forma di water grabbing interessa diversi Paesi: dal Marocco (dove il settore agro-industriale pesa per l’85% sul consumo idrico nazionale) al Messico dove è attiva la società di gestione Renewable resources group. Secondo quanto ricostruito da Grain, nel 2018 ha acquisito centomila ettari di terreni agricoli in Messico, Stati Uniti, Cile e Argentina, nonché diritti idrici privati negli Stati Uniti, in Cile e in Australia, generando rendimenti annuali superiori al 20% per i suoi investitori, che comprendono fondi pensione, di private equity e compagnie di assicurazione.
Tra le società indicate nel report di Grain figura anche Adq, il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, che negli ultimi anni ha effettuato importanti investimenti nel comparto agro-alimentare: attraverso la sua controllata Al Dahra ha acquistato terreni in Egitto, Sudan e Romania. Nel 2020 ha acquisito il 45% di Louis Dreyfus Company, una delle quattro principali aziende che controllano il mercato globale del commercio agricolo. E nel 2022 ha comprato la quota di maggioranza di Unifrutti group, società italiana specializzata nella produzione e nella commercializzazione di frutta fresca con oltre 14mila ettari di terreni tra Cile, Turchia, Filippine, Ecuador, Argentina, Sudafrica e Italia.
Unifrutti group ha sede fiscale a Cipro, uno dei Paesi dell’Unione europea a fiscalità agevolata che garantiscono vantaggi alle società che vi hanno sede. Ma a sfruttare i benefici sono anche oligarchi russi colpiti dalle sanzioni dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014 e inasprite a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. A rivelarlo l’inchiesta “Cyprus confidential” pubblicata a novembre dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij)
“Questi investimenti hanno un doppio obiettivo -spiega ad Altreconomia Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi- da un lato, sono orientate a trarre profitto dal commercio internazionale e dalle materie prime. In secondo luogo, si preoccupano di garantire la sicurezza alimentare. Queste due logiche in qualche modo sono intrecciate tra loro, in modo da rendere la sicurezza alimentare redditizia per gli Emirati Arabi Uniti. C’è poi un altro elemento: penso che i Paesi del Golfo siano piuttosto preoccupati dal fatto di essere visti come ‘accaparratori’ di terra. In questo modo, invece, possono affermare di aver effettuato un semplice investimento sul mercato”.
Fondata dall’imprenditore Guido De Nadai nel 1948 ad Asmara come compagnia di import/export di frutta e verdura, oggi Unifrutti group è una realtà globale “che produce in quattro diversi continenti e distribuisce in oltre 50 Paesi” si legge sul sito. Trecento tipologie di prodotti commercializzati, 14mila ettari di terreni (di proprietà o in gestione) e 12mila dipendenti sono solo alcuni numeri di una realtà che ha ancora la propria sede principale a Montecorsaro, in provincia di Macerata, dove si trova il domicilio fiscale di Unifrutti distribution spa. La società è controllata da Unifrutti international holdings limited, con sede fiscale a Cipro, Paese a fiscalità agevolata. Con l’ingresso di Adq come socio di maggioranza sono cambiati anche i vertici societari: il 13 novembre 2023, ha assunto l’incarico di amministratore delegato del gruppo Mohamed Elsarky che ha alle spalle una carriera ventennale come Ceo per società del calibro di Kellog’s Australia e Nuova Zelanda e Godiva chocolatier e come presidente di United biscuits del gruppo Danone. Mentre Gil Adotevi, chief executive officer per il settore “Food and agriculture” del fondo emiratino Adq, ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione: “Mentre il Gruppo si avvia verso un nuovo entusiasmante capitolo di crescita -ha dichiarato- siamo certi che la guida e la leadership di Mohamed porteranno l’azienda a realizzare i suoi ambiziosi piani”.
Nel 2021 il gruppo ha commercializzato circa 620mila tonnellate di prodotti (in primo luogo banane, uva, mele, pere, limoni e arance) registrando un fatturato complessivo di 720 milioni di dollari (in crescita del 2% rispetto al 2020) e un margine operativo lordo di 78 milioni. Una performance estremamente positiva che “si è verificata nonostante le numerose sfide che hanno caratterizzato il perimetro operativo del gruppo a partire dalle condizioni climatiche avverse senza precedenti in Cile e in Italia”. Il Paese latino-americano -principale sito produttivo del gruppo, con oltre seimila ettari di terreno dove si producono mele, uva, pere e ciliegie- è stato infatti colpito per il quarto anno di fila da una gravissima siccità che alla fine del 2021 ha visto 19 milioni di persone vivere in aree caratterizzate da “grave scarsità d’acqua”. Come ricorda Grain nel report “Squeezing communities dry” tutte le regioni cilene specializzate nella produzione di frutta “stanno affrontando una crisi idrica aggravata dalla siccità causata dal cambiamento climatico”.
▻https://altreconomia.it/il-nuovo-volto-del-water-grabbing-e-la-complicita-della-finanza
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La grande corsa alla terra di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita
▻https://irpimedia.irpi.eu/grainkeepers-controllo-filiera-alimentare-globale-emirati-arabi-uniti
Le aziende controllate dai fondi sovrani delle potenze del Golfo stanno acquistando aziende lungo tutta la filiera dell’agroalimentare, anche in Europa. Con la scusa di garantirsi la propria “sicurezza alimentare” Clicca per leggere l’articolo La grande corsa alla terra di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita pubblicato su IrpiMedia.
]]>Le système alimentaire mondial menace de s’effondrer
Aux mains de quelques #multinationales et très liée au secteur financier, l’#industrie_agroalimentaire fonctionne en #flux_tendu. Ce qui rend la #production mondiale très vulnérable aux #chocs politiques et climatiques, met en garde l’éditorialiste britannique George Monbiot.
Depuis quelques années, les scientifiques s’évertuent à alerter les gouvernements, qui font la sourde oreille : le #système_alimentaire_mondial ressemble de plus en plus au système financier mondial à l’approche de 2008.
Si l’#effondrement de la finance aurait été catastrophique pour le bien-être humain, les conséquences d’un effondrement du #système_alimentaire sont inimaginables. Or les signes inquiétants se multiplient rapidement. La flambée actuelle des #prix des #aliments a tout l’air du dernier indice en date de l’#instabilité_systémique.
Une alimentation hors de #prix
Nombreux sont ceux qui supposent que cette crise est la conséquence de la #pandémie, associée à l’#invasion de l’Ukraine. Ces deux facteurs sont cruciaux, mais ils aggravent un problème sous-jacent. Pendant des années, la #faim dans le monde a semblé en voie de disparition. Le nombre de personnes sous-alimentées a chuté de 811 millions en 2005 à 607 millions en 2014. Mais la tendance s’est inversée à partir de 2015, et depuis [selon l’ONU] la faim progresse : elle concernait 650 millions de personnes en 2019 et elle a de nouveau touché 811 millions de personnes en 2020. L’année 2022 s’annonce pire encore.
Préparez-vous maintenant à une nouvelle bien plus terrible : ce phénomène s’inscrit dans une période de grande #abondance. La #production_alimentaire mondiale est en hausse régulière depuis plus de cinquante ans, à un rythme nettement plus soutenu que la #croissance_démographique. En 2021, la #récolte mondiale de #blé a battu des records. Contre toute attente, plus d’humains ont souffert de #sous-alimentation à mesure que les prix alimentaires mondiaux ont commencé à baisser. En 2014, quand le nombre de #mal_nourris était à son niveau le plus bas, l’indice des #prix_alimentaires [de la FAO] était à 115 points ; il est tombé à 93 en 2015 et il est resté en deçà de 100 jusqu’en 2021.
Cet indice n’a connu un pic que ces deux dernières années. La flambée des prix alimentaires est maintenant l’un des principaux facteurs de l’#inflation, qui a atteint 9 % au Royaume-Uni en avril 2022 [5,4 % en France pour l’indice harmonisé]. L’alimentation devient hors de prix pour beaucoup d’habitants dans les pays riches ; l’impact dans les pays pauvres est beaucoup plus grave.
L’#interdépendance rend le système fragile
Alors, que se passe-t-il ? À l’échelle mondiale, l’alimentation, tout comme la finance, est un système complexe qui évolue spontanément en fonction de milliards d’interactions. Les systèmes complexes ont des fonctionnements contre-intuitifs. Ils tiennent bon dans certains contextes grâce à des caractéristiques d’auto-organisation qui les stabilisent. Mais à mesure que les pressions s’accentuent, ces mêmes caractéristiques infligent des chocs qui se propagent dans tout le réseau. Au bout d’un moment, une perturbation même modeste peut faire basculer l’ensemble au-delà du point de non-retour, provoquant un effondrement brutal et irrésistible.
Les scientifiques représentent les #systèmes_complexes sous la forme d’un maillage de noeuds et de liens. Les noeuds ressemblent à ceux des filets de pêche ; les liens sont les fils qui les connectent les uns aux autres. Dans le système alimentaire, les noeuds sont les entreprises qui vendent et achètent des céréales, des semences, des produits chimiques agricoles, mais aussi les grands exportateurs et importateurs, et les ports par lesquels les aliments transitent. Les liens sont leurs relations commerciales et institutionnelles.
Si certains noeuds deviennent prépondérants, fonctionnent tous pareil et sont étroitement liés, alors il est probable que le système soit fragile. À l’approche de la crise de 2008, les grandes banques concevaient les mêmes stratégies et géraient le risque de la même manière, car elles courraient après les mêmes sources de profit. Elles sont devenues extrêmement interdépendantes et les gendarmes financiers comprenaient mal ces liens. Quand [la banque d’affaires] Lehman Brothers a déposé le bilan, elle a failli entraîner tout le monde dans sa chute.
Quatre groupes contrôlent 90 % du commerce céréalier
Voici ce qui donne des sueurs froides aux analystes du système alimentaire mondial. Ces dernières années, tout comme dans la finance au début des années 2000, les principaux noeuds du système alimentaire ont gonflé, leurs liens se sont resserrés, les stratégies commerciales ont convergé et se sont synchronisées, et les facteurs susceptibles d’empêcher un #effondrement_systémique (la #redondance, la #modularité, les #disjoncteurs, les #systèmes_auxiliaires) ont été éliminés, ce qui expose le système à des #chocs pouvant entraîner une contagion mondiale.
Selon une estimation, quatre grands groupes seulement contrôlent 90 % du #commerce_céréalier mondial [#Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill et #Louis_Dreyfus]. Ces mêmes entreprises investissent dans les secteurs des #semences, des #produits_chimiques, de la #transformation, du #conditionnement, de la #distribution et de la #vente au détail. Les pays se divisent maintenant en deux catégories : les #super-importateurs et les #super-exportateurs. L’essentiel de ce #commerce_international transite par des goulets d’étranglement vulnérables, comme les détroits turcs (aujourd’hui bloqués par l’invasion russe de l’Ukraine), les canaux de Suez et de Panama, et les détroits d’Ormuz, de Bab El-Mandeb et de Malacca.
L’une des transitions culturelles les plus rapides dans l’histoire de l’humanité est la convergence vers un #régime_alimentaire standard mondial. Au niveau local, notre alimentation s’est diversifiée mais on peut faire un constat inverse au niveau mondial. Quatre plantes seulement - le #blé, le #riz, le #maïs et le #soja - correspondent à près de 60 % des calories cultivées sur les exploitations. La production est aujourd’hui extrêmement concentrée dans quelques pays, notamment la #Russie et l’#Ukraine. Ce #régime_alimentaire_standard_mondial est cultivé par la #ferme_mondiale_standard, avec les mêmes #semences, #engrais et #machines fournis par le même petit groupe d’entreprises, l’ensemble étant vulnérable aux mêmes chocs environnementaux.
Des bouleversements environnementaux et politiques
L’industrie agroalimentaire est étroitement associée au #secteur_financier, ce qui la rend d’autant plus sensible aux échecs en cascade. Partout dans le monde, les #barrières_commerciales ont été levées, les #routes et #ports modernisés, ce qui a optimisé l’ensemble du réseau mondial. On pourrait croire que ce système fluide améliore la #sécurité_alimentaire, mais il a permis aux entreprises d’éliminer des coûts liés aux #entrepôts et #stocks, et de passer à une logique de flux. Dans l’ensemble, cette stratégie du flux tendu fonctionne, mais si les livraisons sont interrompues ou s’il y a un pic soudain de la demande, les rayons peuvent se vider brusquement.
Aujourd’hui, le système alimentaire mondial doit survive non seulement à ses fragilités inhérentes, mais aussi aux bouleversements environnementaux et politiques susceptibles de s’influencer les uns les autres. Prenons un exemple récent. À la mi-avril, le gouvernement indien a laissé entendre que son pays pourrait compenser la baisse des exportations alimentaires mondiales provoquée par l’invasion russe de l’Ukraine. Un mois plus tard, il interdisait les exportations de blé, car les récoltes avaient énormément souffert d’une #canicule dévastatrice.
Nous devons de toute urgence diversifier la production alimentaire mondiale, sur le plan géographique mais aussi en matière de cultures et de #techniques_agricoles. Nous devons briser l’#emprise des #multinationales et des spéculateurs. Nous devons prévoir des plans B et produire notre #nourriture autrement. Nous devons donner de la marge à un système menacé par sa propre #efficacité.
Si tant d’êtres humains ne mangent pas à leur faim dans une période d’abondance inédite, les conséquences de récoltes catastrophiques que pourrait entraîner l’effondrement environnemental dépassent l’entendement. C’est le système qu’il faut changer.
▻https://www.courrierinternational.com/article/crise-le-systeme-alimentaire-mondial-menace-de-s-effondrer
#alimentation #vulnérabilité #fragilité #diversification #globalisation #mondialisation #spéculation
]]> Guerre en Ukraine : Auchan, Decathlon, Lactalis, Danone… les Français exposés
▻https://www.lsa-conso.fr/guerre-en-ukraine-auchan-leroy-merlin-decathlon-lactalis-danone-les-entrep
L’attaque dans la nuit du 23 au 24 février par l’armée russe d’un grand nombre de cibles militaires en Ukraine place sous les projecteurs l’importante activité des entreprises françaises dans le pays, en particulier les distributeurs avec la présence de 3 enseignes du groupe Mulliez (Auchan, Leroy Merlin et Decathlon) mais aussi l’industrie agroalimentaire avec des implantations pour Lactalis, Danone, Savencia, Soufflet, etc… Selon un extrait d’un document des douanes françaises, près de 160 entreprises françaises sont aujourd’hui implantées en Ukraine, employant 30 000 personnes et faisant de la France le premier employeur international en Ukraine. Elles sont présentes notamment dans la grande distribution (groupe Auchan, Decathlon), la banque (Crédit Agricole et BNP Paribas), l’agroalimentaire (notamment Louis Dreyfus, groupe Soufflet, Danone, Lactalis, Savencia, Malteurop, Limagrain), et le numérique (Ubisoft, Blablacar).
15 entreprises agroalimentaires tricolores présentes en Ukraine
Le site de la direction du Trésor indique par ailleurs qu’une quinzaine d’entreprises agroalimentaires et agricoles françaises sont présentes en Ukraine, plus particulièrement dans les domaines de la production, du négoce et de la transformation des céréales (Soufflet, Louis Dreyfus, Malteurop), de la transformation du lait (Danone, Lactalis, Savencia - Bongrain Zveniogorod), et de la production de semences végétales : Limagrain, MAS seeds (qui a ouvert récemment un centre de recherche à Borispil) et Euralis, groupes coopératifs ayant investi dans des unités de production.
40 magasins Auchan, 5 Decathlon, 6 Leroy Merlin
La distribution française est également présente en Ukraine via essentiellement des enseignes appartenant à la galaxie Mulliez. Contacté par LSA, Auchan retail qui mentionnait 26 magasins dans le pays dans son dernier rapport annuel, en compte en fait 40 aujourd’hui suite à des acquisitions notamment, dont 21 hypers, ce qui le situe au troisième rang de la distribution alimentaire locale. "Nous restons très attentifs à la situation, commente un porte parole du groupe qui ne notait néanmoins pas d’incidence sur les ouvertures de la plupart de ses magasins ce matin, précisant que l’enseigne ne compte aucun magasin dans le Donbass. Auchan emploie 6000 salariés dans le pays dont 3 expatriés (2 Français). Leroy Merlin, autre paquebot de l’Association Familiale Mulliez compte lui 6 magasins en Ukraine, 5 à Kiev 1 à Odessa. Enfin, Decathlon exploite 5 magasins en Ukraine, dont le premier a ouvert en 2019. « Nous restons attentifs, suivons et suivrons scrupuleusement les consignes gouvernementales », indique sobrement à LSA un porte-parole de l’enseigne de sport.
Quid des activités françaises en Russie ?
Mais pour ces trois distributeurs, ainsi que certains des industriels cités, s’ajoute un autre point de préoccupation, sans doute au moins aussi important. Quelles vont être les conséquences de la guerre pour leurs implantations et leurs activités en Russie cette fois-ci, où leurs infrastructures et leur poids économiques sont bien plus importants qu’en Ukraine. Selon son dernier rapport annuel, Auchan retail exploite 255 magasins en Russie (63 hypers, 193 supers) pour un chiffre d’affaires évalué à 4 milliards d’euros selon la presse locale, ce qui en fait le second pays du groupe après la France. L’enseigne emploie 30000 personnes en Russie, dont 25 expatriés. Pour Leroy Merlin, le pays est encore plus important. On estime que le champion français du bricolage y réalise plus de 5 milliards d’euros de chiffre d’affaires avec 112 magasins en Russie dans 56 villes selon les dernières données de l’enseigne. Quant à Decathlon, il compte 61 magasins en Russie, pays où il s’est implanté dès 2006. Est-ce que l’opposition française à la guerre contre l’Ukraine aura des répercussions directes ou indirectes sur leurs ventes et leur activité ? Bien malin qui pourra le prévoir au premier jour du conflit.
Danone et Lactalis plus exposés en Russie qu’en Ukraine
La Russie est aussi le pays où Danone est le plus exposé à des conséquences du conflit. Selon les données du groupe, le pays présidé par Vladimir Poutine représente environ 5% des revenus de Danone en 2021, et l’Ukraine moins de 1%. « Dans ces deux pays, nous opérons principalement dans la catégorie EDP (produits laitiers et d’origine végétale), avec un modèle principalement local, de la collecte de lait à la production et à la distribution », indique un porte-parole qui précise : Nos équipes locales suivent évidemment de près la situation et mettent en place toutes les actions nécessaires pour assurer la sécurité de nos salariés, ainsi que la continuité de nos activités."
Chez Lactalis, les deux pays occupent également des positions non négligeables. L’industriel lavallois réalise 175 millions d’euros de chiffre d’affaires en Russie avec 4 sites de production (Istra, Belgorod, Effremov et Ekaterinbourg), 1 siège à Istra et 1900 salariés. A noter que Belgorod est proche de la frontière Ukrainienne et qu’une base militaire importante se trouve sur cette zone. Lactalis y produit localement les produits du marché russe et indique à LSA qu’il n’y a pas, à date, « de précautions particulières prises côté russe ». Comme « il n’y a pas de relations d’affaires entre la Russie et l’Ukraine depuis 2014. » L’entreprise française exploite 3 sites de production en Ukraine (Soumy / Pavlograd / Nikolaeiev) et 1 siège (Kiev) et emploie 850 collaborateurs Ukrainiens (pas d’expatriés) pour un chiffre d’affaires d’environ 100 millions d’euros. Elle y exporte vers la Géorgie, la Moldavie et les républiques d’Asie centrale. Lactalis précise à LSA qu’en Ukraine « nous nous efforcerons de maintenir notre contribution à l’alimentation des populations dans la limite d’assurer la sécurité de nos collaborateurs, fournisseurs et clients. A date, 100% de nos sites sont opérationnels et il n’y a pas de perturbation d’approvisionnement (Lait, Emballages, Ingrédients,…). En cas de risque dans les zones où des usines sont situées, nous demanderons l’arrêt de la production et le retour anticipé des salariés à leur domicile. »
La France, 9e fournisseur de l’Ukraine
Autre élément à ajouter aux conséquences économiques du conflit pour les entreprises françaises : le commerce extérieur avec l’Ukraine. Les douanes françaises dans le document précité précisent que la France est le 9ème fournisseur de l’Ukraine avec une part de marché de 2,8 %, en hausse constante par rapport à son niveau d’avant crise (2,2% en 2013). Le total des échanges commerciaux entre la France et l’Ukraine atteint 1,8 Md€ en 2019, en forte augmentation par rapport à 2018 (1,5 Md€). La France occupe notamment de solides positions sur les segments des produits chimiques, parfums et cosmétiques (35,4% de nos exportations en 2019), des équipements mécaniques, matériel électrique, électronique et informatique (19,1%, dont plus des deux tiers correspondant à des machines agricoles et forestières), des matériels de transport (9,2%), des produits pharmaceutiques (8,8%) et des produits agricoles (8%). Les biens importés en France en provenance d’Ukraine sont essentiellement des produits agricoles et agroalimentaires (66,2%).
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]]>#Gluten, l’ennemi public ?
En abordant le sujet de l’explosion contemporaine d’#intolérance au gluten, ce film raconte en fait d’une bataille menée par certaines des sociétés les plus puissantes de la planète contre la science libre et notre #santé à nous tous. En jeu, en plus, est la survie de millions de petits agriculteurs, tout autour de la planète, qui risquent d’être chassés du marché. Comment ces choses peuvent être liées entre elles ?
▻http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/62747_1
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voir aussi, via @odilon :
▻https://seenthis.net/messages/911865
Terres suisses d’outre-mer
Les traders domiciliés en Suisse possèdent de gigantesques territoires agricoles à l’étranger qu’ils cultivent souvent sans égard pour les populations locales et la nature.
Des superficies de plantations équivalentes à près de sept fois les terres arables de la Suisse. C’est ce que quatorze des principaux négociants en matières premières basés en Helvétie contrôlent dans des pays du Sud, comme le Brésil, le Cameroun et le Laos. C’est le résultat d’une nouvelle enquête de Public Eye, ONG qui surveille de près depuis 2011 le secteur des matières premières, dont la Suisse est devenue la première place mondiale depuis une quinzaine d’années1. Ainsi, des traders qui opèrent principalement depuis Genève ou Zoug tels que Cargill, Cofco ou LDC ont la haute main sur au moins 2,7 millions d’hectares dans 561 plantations de 24 pays. Canne à sucre, huile de palme, céréales, oléagineux et caoutchouc tiennent le haut du pavé.
Cette mainmise s’accompagne souvent de violations des droits humains, d’atteintes à l’environnement et prive les populations locales de leurs moyens de subsistance. « La concurrence pour la terre entre les multinationales de l’agro-industrie et les communautés locales augmente alors que ces dernières ont un besoin vital de ces ressources », détaille Silvie Lang, responsable du dossier chez Public Eye. Un accaparement des terres (land grabbing) qui a explosé depuis la crise financière de 2008 et qui est aussi régulièrement dénoncé pour sa dimension néocoloniale (lire ci-après).
En tant qu’hôte de ces géants de l’agronégoce, la Suisse aurait une responsabilité toute particulière pour réglementer leurs activités dans ce secteur à risque, mais elle n’en prendrait pas le chemin. Publiée il y a quinze jours, l’ordonnance du Conseil fédéral sur l’application du contre-projet à l’initiative pour des multinationales responsables n’imposerait presque aucune obligation à ces dernières (lire ci-dessous).
Dépossédés sans compensation
Pourtant, expulsions de populations, déforestations illégales, dégâts environnementaux seraient légion autour des plantations contrôlées par les traders helvétiques. En coopération avec ses partenaires de la société civile locale, Public Eye a documenté dix cas problématiques dans neuf pays. Ils sont présentés sur une carte interactive constellée de petits drapeaux suisses où sont recensés de nombreux autres « territoires suisses d’outre-mer ».
En Ouganda, les 4000 personnes expulsées de force il y a vingt ans pour faire place nette à une plantation de café aux mains du groupe allemand Neumann Kaffee (NKG) attendent toujours une indemnisation digne de ce nom. « La filiale suisse de NKG, qui gère non seulement le négoce de café vert mais aussi les plantations – y compris en Ouganda –, a une part de responsabilité à assumer », estime Public Eye.
De même, 52 familles d’agricultrices et d’agriculteurs auraient perdu leurs moyens de subsistance sur le plateau du Boloven au Laos au bénéfice du trader Olam, qui dispose d’un de ses principaux départements de négoce en Suisse. Histoire similaire en Tanzanie, où nombre d’habitants assurent, selon l’association allemande Misereor, avoir été dépossédés de 2000 hectares par Olam qui cultive des caféiers sur leurs terres. En 2015, mille personnes œuvraient dans ces plantations dans des conditions de travail déplorables, privées d’accès à l’eau, à une nourriture décente, et exposées à l’épandage de pesticides dangereux, selon l’ONG.
Une autorité de surveillance ?
Au Brésil aussi, en plus de l’accaparement des terres, les pesticides posent des problèmes insolubles dans les plantations de canne à sucre. Le négociant Biosev, propriété jusqu’à peu du groupe suisse Louis Dreyfus, n’a toujours pas réparé les destructions environnementales occasionnées sur et autour de vastes étendues de terres qu’il exploitait illégalement dans la région de Lagoa da Prata.
Au Cambodge, enfin, l’expulsion des autochtones qui a eu lieu en 2008 sous la responsabilité de Socfin pour y exploiter le caoutchouc n’aurait pas encore abouti à une réparation. Un processus de médiation entre la firme et les communautés, initié en 2017 et cofinancé par la Suisse, devait finalement permettre de trouver une solution à l’amiable. Mais « les personnes concernées sont insatisfaites de la procédure totalement opaque et globalement inutile », indique Public Eye, relayant les rapports de plusieurs autres ONG. Pain pour le prochain et Alliance Sud avaient pour leur part dénoncé en octobre les pratiques d’évasion fiscale agressive de Socfin au Cambodge à destination de Fribourg, qui privent ce pays de précieuses ressources3.
Ce nouveau dossier donne toujours plus d’arguments à Public Eye pour réclamer une action déterminée des autorités fédérales. Les mannes financières apportées par les traders en Suisse entraîneraient une responsabilité correspondante : « Le Conseil fédéral reconnaît certes officiellement que le secteur des matières premières est confronté à des défis à prendre au sérieux, notamment en matière de droits humains, mais il continue de miser principalement sur la bonne volonté des entreprises à assumer leurs responsabilités. » Regrettant l’échec de l’initiative pour des multinationales responsables, l’ONG recommande à nouveau la création d’une autorité de surveillance du secteur des matières premières (Rohma), proposée en 2014 déjà. Celle-ci s’inspirerait de l’Autorité fédérale de surveillance des marchés financiers (Finma), créée en 2009 sous la pression internationale.
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Un accaparement ralenti mais prometteur
Le phénomène de l’accaparement des terres a fait grand bruit au début des années 2010. Après la crise financière de 2008, on avait assisté à une ruée sur ce nouvel investissement estimé plus sûr et prometteur pour les détenteurs et détentrices de grands capitaux. Le tumulte s’est ensuite calmé avec le tassement progressif du nombre de terres achetées depuis. Entre 2013 et 2020, indique le dernier rapport de l’initiative de monitoring Land Matrix, qui dispose d’une base de données étendue sur l’accaparement dans les pays à revenus bas et moyens, seuls 3 millions d’hectares supplémentaires ont été enregistrés, sur un total de 30 millions. Le grand bon avait été réalisé entre 2006 (6 millions d’hectares environ) à 2013 (27 millions).
Différentes raisons expliquent ce ralentissement, selon Land Matrix. D’abord, l’envolée attendue des prix dans la décennie 2010 des produits alimentaires, des agrocarburants et du pétrole n’aurait pas atteint les niveaux espérés. D’autre part, alertés par la société civile, certains Etats ont pris de mesures : « Citons, notamment, les moratoires sur les terres dans d’importants pays cibles, la diminution du soutien aux biocarburants de première génération et les restrictions sur la vente de terres aux investisseurs étrangers, dans certains cas », explique l’initiative.
Les prix repartent à la hausse
Mais la vapeur pourrait s’inverser sitôt la crise du Covid-19 passée, craint Land Matrix, d’autant que les prix reprennent l’ascenseur. « Certains pays, dont l’Indonésie et l’Inde, ont déjà libéralisé leurs marchés fonciers afin d’attirer les investissements étrangers. » Le Brésil représente également une plateforme florissant en matière agro-industrielle et connaît des évolutions favorables à un possible boom de l’accaparement des terres, indique un rapport en voie de publication de l’Université fédérale rurale de Rio de Janeiro (nous y reviendrons dans une prochaine édition.)
Cette situation inquiète la société civile, qui souligne les conséquences souvent désastreuses du phénomène pour les populations paysannes, les autochtones, l’environnement et le climat. Certaines ONG, cependant, se focalisent parfois uniquement sur les violations des droits humains qui accompagnent le processus, sans remettre en cause sur le fond les dynamiques néocoloniales de l’accaparement et l’expansion du capitalisme foncier basé sur l’expropriation des communautés locales, regrettent certains observateurs : « Nous observons aujourd’hui un véritable processus d’enclosure (clôture des parcelles provenant de la division des terrains) à l’échelle mondiale », observe Michel Merlet, ex-directeur de l’Association pour l’amélioration de la gouvernance de la terre, de l’eau et des ressources naturelles (AGTER) en France. « Tout comme en Angleterre avant et pendant la révolution industrielle, ce phénomène se traduit par la dépossession des populations rurales, le développement d’un prolétariat rural, de nouvelles modalités de gestion des pauvres, une foi aveugle dans le progrès. » Une logique qui s’oppose de front à la terre en tant que bien commun.
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La Suisse, carrefour du land grabbing ?
Difficile de connaître l’importance relative de la Suisse dans l’accaparement de terres dans le monde. Pour l’heure, aucune étude exhaustive n’existe. Observons pour commencer que le chiffre de 2,7 millions d’hectares contrôlés par des traders suisses est très élevé comparé au total de 30 millions d’hectares de territoires agricoles recensés par Land Matrix dans le monde (qui n’incluent pas les traders basés en Suisse recensés par Public Eye). Un indicateur à considérer avec prudence toutefois, car cette base de données est probablement loin d’être exhaustive, selon plusieurs sources.
D’autres acteurs helvétiques possèdent-ils ou louent-ils sur une longue durée des terres ? Firmes, fonds de pension, banques, assureurs disposent-ils de ce type d’actifs ? Land Matrix a recensé 6,3 millions d’hectares contrôlés via des investissements de firmes helvétiques, incluant des territoires forestiers cette fois, en plus des terres agricoles. A noter toutefois que 5,9 millions de ces 6,3 millions d’hectares se trouvent en Russie et concernent des concessions forestières, via la société Ilim, domiciliée en Suisse (les fonds pourraient provenir de Russie, ou d’ailleurs).
Autres pays concernés : la Tanzanie, le Cameroun, la Sierra Leone, le Paraguay, l’Argentine, le Brésil, etc. En tout sont impliquées une quarantaine d’entreprises suisses, dont Nestlé, Louis Dreyfus, Chocolats Camille Bloch, Novartis et Addax Bioenergy SA.
Aucune information, en revanche, sur les acteurs purement financiers : « Nos données n’incluent pas de banques ou de fonds de pension suisses. Nous ne savons pas s’ils sont impliqués dans ce type d’affaires. Leur investissement n’est pas transparent. Beaucoup passent par des paradis fiscaux ou des hubs financiers, comme Chypre, Singapour, Hong-Kong et les île Vierges », détaille Markus Giger, coresponsable de Land Matrix et chercheur au Centre pour le développement et l’environnement de l’université de Berne.
L’opacité règne donc. On sait par ailleurs que le secteur financier helvétique cible par exemple des investissements dans l’agriculture, surtout là où il y a de fortes opportunités de profits, et les proposent ensuite sous forme de fonds. Les entreprises financées de cette manière peuvent elles-mêmes être impliquées dans l’accaparement de terres.
En tant qu’une des principales places financières du monde, la Suisse joue indéniablement un rôle dans les transactions opérées sur nombre de ces terres. Après avoir enquêté sur l’accaparement et la financiarisation des terres au Brésil, le chercheur Junior Aleixo a pu le constater : « De nombreux acteurs impliqués dans l’achat ou la location de terres passent par des intermédiaires suisses ou possèdent des comptes dans des banques helvétiques parce que la Suisse dispose de législations peu regardantes et permet l’évasion fiscale », a confié au Courrier l’universitaire, membre du Groupe d’étude sur les changements sociaux, l’agronégoce et les politiques publiques (GEMAP) de l’Université fédérale rurale de Rio de Janeiro. Le gouvernement suisse lui-même voit d’un bon œil ces investissements sur le principe : « Le Conseil fédéral est d’avis que des investissements privés effectués avec circonspection dans l’agriculture ont des répercussions positives, à condition que les standards sociaux et écologiques soient respectés », avait-il répondu en 2011 à une interpellation de la conseillère nationale verte Maya Graf. Le gouvernement prône des normes et des codes de nature volontaire pour réglementer ce négoce et éviter la spoliation des communautés locales.
▻https://lecourrier.ch/2021/12/16/terres-suisses-doutre-mer
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Condamnations du Monde et de Samuel Laurent pour diffamation envers Olivier Berruyer
▻https://www.les-crises.fr/condamnations-du-monde-et-de-samuel-laurent-pour-diffamation-envers-olivi
Dans deux jugements du 17 décembre 2019, le Tribunal de Paris a condamné le Monde et Samuel Laurent pour diffamation envers Olivier Berruyer. I. Condamnation du journal Le Monde Le Monde a été condamné (par l’intermédiaire de son Directeur de publication, Louis Dreyfus) pour son article du 16 mars 2017 d’Adrien Senecat sur l’industrie de […]
]]>#Accaparement_de_terres : le groupe #Bolloré accepte de négocier avec les communautés locales
–-> un article qui date de 2014, et qui peut intéresser notamment @odilon, mais aussi d’actualité vue la plainte de Balloré contre le journal pour diffamation. Et c’est le journal qui a gagné en Cour de cassation : ►https://www.bastamag.net/Bollore-perd-definitivement-son-premier-proces-en-diffamation-intente-a
Des paysans et villageois du Sierra-Leone, de #Côte_d’Ivoire, du #Cameroun et du #Cambodge sont venus spécialement jusqu’à Paris. Pour la première fois, le groupe Bolloré et sa filiale luxembourgeoise #Socfin, qui gère des #plantations industrielles de #palmiers_à_huile et d’#hévéas (pour le #caoutchouc) en Afrique et en Asie, ont accepté de participer à des négociations avec les communautés locales fédérées en « alliance des riverains des plantations Bolloré-Socfin ». Sous la houlette d’une association grenobloise, Réseaux pour l’action collective transnationale (ReAct), une réunion s’est déroulée le 24 octobre, à Paris, avec des représentants du groupe Bolloré et des communautés touchées par ces plantations.
Ces derniers dénoncent les conséquences de l’acquisition controversée des terres agricoles, en Afrique et en Asie. Ils pointent notamment du doigt des acquisitions foncières de la #Socfin qu’ils considèrent comme « un accaparement aveugle des terres ne laissant aux riverains aucun espace vital », en particulier pour leurs cultures vivrières. Ils dénoncent également la faiblesse des compensations accordées aux communautés et le mauvais traitement qui serait réservé aux populations. Les représentants africains et cambodgiens sont venus demander au groupe Bolloré et à la Socfin de garantir leur #espace_vital en rétrocédant les terres dans le voisinage immédiat des villages, et de stopper les expansions foncières qui auraient été lancées sans l’accord des communautés.
▻https://www.bastamag.net/Accaparement-de-terres-le-groupe-Bollore-accepte-de-negocier-avec-les
#terres #Sierra_Leone #huile_de_palme
Un rapport de 2012 de #Oxfam sur les #céréales mais qui peut toujours être utile...
CEREAL SECRETS The world’s largest grain traders and global #agriculture
The world’s largest commodity traders have a significant impact on the modern agri-food system. #Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill and #Louis_Dreyfus, are dominant traders of grain globally and central to the food system, but their role is poorly understood.
Lien vers le rapport :
▻https://www.oxfam.org/sites/www.oxfam.org/files/rr-cereal-secrets-grain-traders-agriculture-30082012-en.pdf
Le méga projet agro-alimentaire de Mohamed Moctar Chleuh, PDG de SDC Holding Sénégal avance à grands pas
▻https://www.lejecos.com/Le-mega-projet-agro-alimentaire-de-Mohamed-Moctar-Chleuh-PDG-de-SDC-Holding
La crédibilité et la solidité du projet ont suscité un intérêt manifeste de la part de deux banques locales qui veulent financer les 70% restants du financement global du projet, renseignent des sources crédibles. Mais, rassure une source autorisée, le point de discorde réside dans le taux d’intérêt estimé élevé. Et pourtant vu l’expérience, le parcours, le sérieux du promoteur, qui est l’un des collaborateurs et partenaires stratégiques du leader mondial des commodities Groupe #Louis_Dreyfus et de sa marque connue pour sa qualité et sa présence régulière de plus de décennies en Afrique, les banques devaient offrir des taux préférentiels.
]]>Les journalistes du « Monde » vont perdre leur minorité de blocage
▻https://www.mediapart.fr/journal/france/110117/les-journalistes-du-monde-vont-perdre-leur-minorite-de-blocage
Selon nos informations, les journalistes du groupe #Le_Monde vont perdre la minorité de blocage dont ils disposent et ne plus conserver qu’une « golden share ». Les trois milliardaires #Xavier_Niel, Pierre Bergé et #Matthieu_Pigasse renforcent donc leur pouvoir sur le journal, dont les garanties d’indépendance, issues du passé, deviennent de plus en plus fictives.
#France #Economie #l'Obs #Louis_Dreyfus #médias #Pierre_Bergé
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