• 28.12.2023, Migrante travolto da un treno trovato morto sui binari a #Taggia
    (pour archivage)

    Il corpo di un migrante è stato trovato all’interno della galleria “Santo Stefano”, subito dopo la stazione di Taggia in direzione Genova dal personale delle Ferrovie dello Stato intorno all’una e trenta della scorsa notte.

    Non è ancora chiaro se il migrante sia stato investito in quel punto o in un altro tratto e poi trascinato lì dal treno.

    Sul posto sono accorsi i vigili del fuoco del distaccamento di Sanremo, la polizia e il medico legale. Accertamenti sono in corso per ricostruire l’accaduto. Al termine del primo sopralluogo, effettuato intorno alle 5, è stato riattivato un binario con riduzione di velocità ed attivata circolazione alternata.

    Alle 7.15, la circolazione ferroviaria è stata nuovamente sospesa, e lo è tuttora, per consentire l’intervento dei necrofori giunti sul posto.
    Tre i treni regionali fermi nelle stazioni, mentre un Intercity è stato cancellato. Personale di assistenza alla clientela è presente nella stazione di Taggia.

    https://www.riviera24.it/2023/12/migrante-travolto-da-un-treno-trovato-morto-sui-binari-a-taggia-845357

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes

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    • Taggia, forse caduto dal tetto del treno il migrante trovato morto sui binari

      Probabilmente il giovane egiziano cercava di raggiungere la Francia.

      Potrebbe essere morto cadendo dal tetto del treno, il migrante egiziano di 24 anni trovato ieri cadavere all’interno di una galleria ferroviaria tra la stazione di Taggia e quella di Imperia. Nel corso dell’esame autoptico, eseguito oggi all’ospedale di Sanremo dal dottor Davide Bedocchi dell’istituto di Medicina Legale di Genova, sono infatti state riscontrate diverse fratture craniche e agli arti superiori.

      Probabilmente il giovane era salito sul treno nella speranza di attraversare il confine e raggiungere clandestinamente la Francia, sbagliando però convoglio e finendo nella direzione opposta. Poi, forse, ha perso la presa a causa dell’alta velocità ed è caduto sui binari, battendo la testa.

      https://www.riviera24.it/2023/12/taggia-forse-caduto-dal-tetto-del-treno-il-migrante-trovato-morto-sui-bina

  • 17.07.2022, Frontière franco-italienne : deux personnes sans-papiers renversées sur l’autoroute près de #Menton

    (pour archivage)

    Deux personnes, vraisemblablement migrantes, ont été renversées au bord de l’autoroute A8, près de Menton, à la frontière franco-italienne, dans la nuit de samedi à dimanche. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident et une femme a été évacuée dans un état grave. Pour l’association Tous citoyens, la région est devenue « une zone de non-droit meurtrière ».

    Nouvelle victime à la frontière franco-italienne. Vers 1h du matin dimanche 17 juillet, deux personnes ont été renversées le long de l’autoroute A8 près de #Roquebrune-Cap-Martin, une des premières villes françaises depuis l’Italie voisine. Un homme a succombé à ses blessures sur les lieux de l’accident, tandis que la femme qui l’accompagnait a été transportée à l’hôpital dans un état grave, indique à InfoMigrants la préfecture des Alpes-Maritimes, confirmant une information de Nice matin. Les deux piétons auraient tenté de traverser les voies quand la voiture « circulant en direction de l’Italie » est arrivée dans cette zone peu éclairée.

    Selon le média local, les corps ont été retrouvés sans documents d’identité, laissant penser que ces personnes étaient entrées en France de manière illégale. « Cet accident [est] survenu dans un secteur où les passeurs déposent fréquemment des migrants », signale la préfecture.

    Une enquête a été ouverte pour identifier les deux exilés, qui « semblent assez jeunes », précise encore Nice matin.
    Des drames « évitables »

    David Nakache, président de l’association Tous citoyens, déplorent de son côté des drames qui « pourraient être évités » si « les autorités françaises respectaient la loi et le droit d’asile ».

    Sur le tronçon de 32 km allant du poste-frontière jusqu’à Nice, les migrants sont régulièrement interpellés par les forces de l’ordre et renvoyés manu militari côté italien, sans avoir la possibilité de déposer une demande de protection.

    Pour éviter d’être repérés et refoulés de l’autre côté de la frontière, les exilés se cachent et prennent tous les risques, au péril de leur vie. Ils montent sur le toit des trains, traversent la montagne ou empruntent des routes dangereuses, le plus souvent la nuit, pour échapper aux policiers et gendarmes. Pour David Nackache, cette région est devenue au fil des années « une zone de non-droit meurtrière ». Le militant réclame l’ouverture de voie légale pour les personnes cherchant à trouver refuge en France.

    Le dernier accident remonte à février, quand le corps carbonisé d’un homme avait été retrouvé sur le toit d’un train régional qui reliait la ville italienne de Vintimille à la France. Depuis 2015, au moins 30 personnes ont perdu la vie à la frontière franco-italienne, d’après les associations.

    Mais le chiffre pourrait être plus élevé car le nombre de morts n’est plus systématiquement recensé par les médias et les autorités. Certains décès passent ainsi en dehors des radars. David Nackache dénonce des drames qui se produisent désormais dans « l’indifférence générale » et qui « n’émeuvent plus personne ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/42033/frontiere-francoitalienne--deux-personnes-sanspapiers-renversees-sur-l

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Italie #France #frontières #Alpes_Maritimes
    #Roquebrune-Cap-Martin

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  • 26.11.2021, Ventimiglia. migrante trovato morto : si indaga per omicidio
    (pour archivage)

    Il corpo di un uomo, un migrante, è stato trovato stamani sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Durante l’esame esterno del cadavere sono state notate alcune ferite da taglio. Sul posto sono intervenuti il personale sanitario del 118 e i carabinieri. La zona, che è area di bivacco per alcuni migranti, è stata isolata e chiusa al transito. Si indaga per omicidio che potrebbe essere avvenuto ieri tra le 19 e le 24. Potrebbe essere secondo gli inquirenti un regolamento di conti o coinvolgere il traffico gestito dai passeur che si fanno pagare per accompagnare i migranti oltre frontiera.

    E’ stata confermata l’ipotesi di omicidio del migrante trovato morto sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia. Il cadavere presentava diverse ferite da taglio a schiena e addome. La vittima, probabilmente un giovane nordafricano, potrebbe essere stata accoltellata nel corso di una lite, ma non è ancora chiara la dinamica dell’accaduto. I carabinieri di Ventimiglia stanno ascoltando diverse testimonianze anche da parte di altri migranti, tra cui quelli che stamani hanno segnalato la presenza del cadavere.
    L’area del cavalcavia di Roverino, infatti, è frequentata da numerosi migranti che vivono nella tendopoli in attesa di espatriare. Sul posto sono intervenuti il medico legale e il magistrato Luca Scorza Azzarà. Il Comune di Ventimiglia ha reso disponibile l’impianto di videosorveglianza cittadino per esaminare i filmati e trovare nuovi elementi investigativi.

    https://genova.repubblica.it/cronaca/2021/11/26/news/ventimiglia_migrante_trovato_morto_si_indaga_per_omicidio-32790820

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #mort #décès #Alpes #Vintimille #Italie #France #frontières #Roverino #Alpes_Maritimes

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    • Ventimiglia: giovane migrante trovato morto. Ferite da taglio su schiena e addome, ipotesi omicidio/Le immagini

      In breve: Il corpo senza vita di un giovane migrante, apparentemente tra i 20 e i 30 anni, è stato trovato sotto il cavalcavia di Roverino.

      L’ipotesi più accreditata è quella dell’omicidio. Sul cadavere, infatti, sono state trovate diverse ferite da taglio, all’addome e alla schiena. La vittima, trovata riversa a terra, vicino ad un pilone del cavalcavia, dove con tuttà probabilità aveva trovato riparo per la notte, potrebbe essere stata uccisa a coltellate al cultime di una lite. Ad allertare i soccorsi alcuni migranti.

      Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Ventimiglia, affiancati dalla sezione Investigazioni Scientifiche dell’Arma. Presenti anche il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Colonnello Marco Morganti, il Comandante del nucleo investigativo, Tenente Colonnello Pier Enrico Burri e il comandante della Compagnia di Imperia, Tenente Colonnello Pierluigi Giglio.

      Il corpo è stato trovato questa mattina e la morte, secondo una prima ricostruzione, potrebbe risalire a questa notte. I Carabinieri della sezione Investigazioni Scientifiche hanno effettuato tutti i rilievi del caso, alla ricerca dell’arma del delitto e di eventuali elementi utili a chiarire la dinamica dei fatti. Sentiti anche diversi migranti che bivaccano nella zona alla ricerca di eventuali testimoni.

      Le indagini sono state affidate al Pubblico Ministero Luca Scorza Azzarà. Il primo esame sul corpo è stato eseguito dal medico legale Andrea Leoncini.

      https://www.imperiapost.it/533859/ventimiglia-giovane-migrante-trovato-morto-ferite-da-taglio-su-schiena-e

    • Migrante ucciso: all’origine lite per un telefonino

      Difesa omicida, situazione di grave disagio tra connazionali.

      C’è il presunto furto di un telefonino all’origine della lite tra due connazionali sudanesi che ieri notte è terminata nel sangue con un migrante di 35 anni che ha accoltellato e ucciso un giovane sotto il cavalcavia di Roverino, a Ventimiglia (Imperia).

      L’omicida è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria e lunedì sarà sottoposto a interrogatorio di convalida.

      A quanto risulta, avrebbe accusato la vittima di avergli sottratto il telefonino, tra i due è scoppiata una lite e il sudanese ha estratto un coltellino aggredendo il rivale.
      «Dal primo interrogatorio - afferma l’avvocato della difesa, Stefania Abbagnano - è emerso un quadro di grave disagio tra questi connazionali, ma non è emersa l’effettiva volontà di uccidere il ragazzo da parte del mio assistito, che anzi non pensava di aver commesso un atto così grave».
      In un primo tempo si pensava che la lite tra i due connazionali fosse iniziata nel centro di Ventimiglia, visto che dalle telecamere risultava che il presunto killer avesse litigato con altri connazionali. Invece quel diverbio si è concluso senza conseguenze, mentre l’omicidio è avvenuto sotto il cavalcavia, sull’argine del fiume Roya, dove da anni i migranti vivono in una tendopoli in attesa di trovare il momento opportuno per espatriare clandestinamente in Francia.
      Sembra che l’aggressore vivesse da parecchio tempo in Italia e dopo un primo tentativo di ottenere il permesso di soggiorno si sarebbe pian piano «irregolarizzato». La vittima sarebbe stata uccisa con almeno cinque coltellate. Le indagini sono condotte dei carabinieri di Ventimiglia, coordinate dal pm Luca Scorza Azzarà della procura di Imperia.

      https://www.ansa.it/liguria/notizie/2021/11/27/migrante-ucciso-allorigine-lite-per-un-telefonino_d28c6b5b-420f-46fa-875e-3dc95

  • 17.02.2017, Cannes : électrocuté sur le toit d’un train qui venait de Vintimille

    (pour archivage)

    Le corps carbonisé d’un homme a été retrouvé vendredi matin sur le toit d’un train en provenance de Vintimille (Italie). Il pourrait s’agir d’un migrant.

    Le corps d’un homme entièrement carbonisé a été retrouvé vendredi matin au centre de maintenance SNCF de #Cannes La Bocca (Alpes-Maritimes) sur le toit d’un train en provenance de Vintimille. Selon les premiers éléments de l’enquête, il pourrait s’agir d’un migrant qui aurait tenté de passer la frontière. L’homme n’avait pas de papiers sur lui et était difficilement identifiable.

    Confirmant des informations parues dans les médias locaux français et italiens, la SNCF a indiqué qu’un train de voyageurs, un TER, parti de Vintimille a effectivement connu des problèmes électriques. Une fois les voyageurs descendus, il a dû être remorqué pour le centre de Cannes la Bocca. C’est là que le personnel de maintenance a fait la macabre découverte sur le toit d’une des voitures de cette rame.
    De nombreux migrants meurent en voulant passer la frontière

    Selon une source policière, il y a de fortes présomptions que la personne retrouvée décédée soit un migrant qui serait monté sur le train en gare de Vintimille. Une enquête a été confiée à la police locale pour déterminer les circonstances exactes du drame et le parquet de Grasse a été saisi.

    Ces dernières mois, plusieurs migrants ont perdu la vie en tentant de passer la frontière franco-italienne, soit par l’autoroute, soit par la voie ferrée, après avoir été heurtés par des trains ou des automobiles ou avoir chuté depuis des viaducs.

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #morts #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #France #Italie #Alpes_Maritimes

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    • Ventimiglia, migrante morto sul tetto di un treno

      E’ stato trovato all’arrivo della stazione di #Cannes_La_Bocca, probabilmente folgorato dai cavi dell’alta tensione.

      Ennesima tragedia sulla linea ferroviaria Ventimiglia-Cannes, dove ancora una volta e’ un migrante ad aver perso la vita. ‎La drammatica vicenda e’ avvenuta questa mattina sul treno partito alle 5.30 da Ventimiglia e diretto a Cannes. Secondo una prima ricostruzione fatta dalle autorita’ italiane e francesi, un migrante sarebbe salito sul tetto del treno, con la speranza di poter varcare il confine ed eludendo i controlli alla frontiera dei francesi ma e’ rimasto poi folgorato dai cavi dell’alta tensione che alimentano il locomotore, rimanendo poi incastrato tra il pantografo. La macabra scoperta e’ avvenuta alla stazione di Cannes La Bocca e per questo motivo il traffico ferroviario, nella mattinata odierna, ha subito dei rallentamenti in direzione Francia. E ancora una volta la morte corre sui binari e le vittime sono sempre migranti che a rischio della propria vita provano in tutti i modi a varcare quel muro invisibile che divide l’Italia dalla Francia. Due settimane fa un migrante era stato investito da un treno ad un chilometro dal confine di Ponte San Ludovico.

      https://genova.repubblica.it/cronaca/2017/02/17/news/ventimiglia_migrante_morto_sul_tetto_di_un_treno-158536549

  • 05.02.2017, #Tal_Abdoul, VENTIMIGLIA : MIGRANTE TRAVOLTO E UCCISO DA UN TRENO NELL’ULTIMA GALLERIA PRIMA DELLA FRANCIA
    (pour archivage)

    Un migrante è stato travolto e ucciso da un treno regionale francese, che procedeva verso l’Italia, intorno alle 7, a Ventimiglia, all’interno della galleria «Dogana», di 407 metri di lunghezza, l’ultima prima del confine con la Francia. Sul posto sono presenti il personale sanitario del 118 con polizia, carabinieri e vigili del fuoco. La vittima si trovava assieme ad altri stranieri e, come solitamente accade in questi casi, sarebbe stato lo spostamento d’aria provocato dal treno in corsa, a rivelarsi fatale.

    Il traffico ferroviario è stato inizialmente interrotto in entrambi i sensi di marcia e sarà ripristinato a senso unico alternato, prima del definitivo ripristino della circolazione. Il bilancio degli ultimi due anni è di due morti e un ferito sulla linea ferroviaria Ventimiglia-Mentone (in territorio italiano).

    Episodi, comunque, tutti risalenti al periodo tra l’agosto del 2016 e il gennaio del 2017. Nel pomeriggio del 5 agosto scorso, in concomitanza con i disordini tra «no border» e forze dell’ordine, ai Balzi Rossi di Ventimiglia, veniva investito e gravemente ferito un giovane africano che assieme ad altri stranieri cercava di raggiungere la Francia.

    La sera del 23 dicembre scorso, un algerino di 25 anni veniva ucciso sullo stesso tratto di linea, compreso tra Ventimiglia e Mentone. Assieme ad altri stranieri era appena saltato sulla ferrovia, quando è passato il treno che lo ha centrato. A questi si aggiungono altri morti sulla strada. Sull’autostrada, in particolare. Africani travolti da auto piuttosto che furgoni o, in un caso, anche da uno scooter.

    https://primalariviera.it/cronaca/ventimiglia-migrante-travolto-e-ucciso-da-un-treno-nellultima-galleri
    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #morts #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #France #Italie #Alpes_Maritimes

    Nom présent sur cette liste :
    5 février 2017 : Tal Abdoul (1997,Guinée) est mort percuté par un train de la SNCF dans le tunnel des Douanes.
    https://www.roya-citoyenne.fr/2023/02/frontiere-de-tous-les-dangers-la-fermeture-des-frontieres-tue-les-dec

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    • Muore travolto da un trenoi sogni infranti di un migrante

      La vittima non ancora identificata investita in galleria dopo Latte.

      Non si sa ancora chi fosse. Si sa soltanto che cercava disperatamente di oltrepassare il confine con la Francia, verso una nuova vita, ma che a pochi metri dalla meta ha trovato la morte, nella galleria ferroviaria «Dogana», l’ultima dopo #Latte di Ventimiglia, prima della frontiera. E’ stato investito da un treno in corsa ed è deceduto sul colpo. Il migrante, secondo i primi accertamenti, proverrebbe dall’Africa Centrale e avrebbe tra i 25 e i 30 anni. Viaggiava solo, a piedi, lungo i binari. Addosso pochi effetti personali e nessun documento: per questo gli agenti della scientifica del commissariato di Ventimiglia stanno faticando a identificarlo. Il suo corpo è stato composto all’obitorio di Sanremo e in queste ore saranno prelevate le impronte digitali, per tentare di scoprirne l’identità e di ricostruire il suo viaggio (non è escluso che sia stato fotosegnalato durante altri controlli).

      L’allarme è stato lanciato dal macchinista del treno francese che ha investito lo straniero. Il convoglio era partito da Cannes alle 5,18 e sarebbe dovuto arrivare a Ventimiglia alle 6,53. Già in territorio italiano, a una manciata di minuti dall’arrivo in stazione, l’incidente. In galleria, in un tratto buio, dove sarebbe stato praticamente impossibile evitare l’impatto. Il macchinista, che ha riferito alla polizia di aver soltanto avvertito l’impatto improvvisamente, ha fermato il treno e chiamato i soccorsi. Sono intervenuti gli agenti della polizia Ferroviaria di Ventimiglia, agli ordini del dirigente Sergio Moroni. Il traffico ferroviario è stato interrotto ed è ripreso soltanto verso le 11,30.

      «Sono tragedie ormai annunciate - commenta Maurizio Marmo, direttore della Caritas diocesana che da anni è in prima linea per gli aiuti ai profughi - Sono già capitate e non è cambiato nulla. Il blocco francese alla frontiera rende il viaggio più pericoloso (per chi vuole evitare i controlli), o più costoso (per chi sceglie di affidarsi ad un passeur)». Marmo sottolinea anche che è necessario comunque predisporre luoghi di accoglienza adeguati, «soprattutto per le donne e i minori. Le istituzioni devono dare una risposta umana a chi è in viaggio». Senza contare che dalla scorsa settimana sono stati anche sospesi gli arrivi al centro migranti del Parco Roja, per svolgere alcuni lavori di manutenzione ai moduli abitativi che ospitano i bagni e le docce. «L’unica cosa da fare è proseguire con gli accordi e arrivare a diminuire gli arrivi. Altrimenti continueremo a fare i conti con tragedie come questa - spiega il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano - Distribuire i profughi è l’unica strada per aiutare loro ed evitare disagi per i cittadini».

      https://www.lastampa.it/imperia-sanremo/2017/02/06/news/muore-travolto-da-un-trenoi-sogni-infranti-di-un-migrante-1.34649005

  • 04.01.2017, #Mohamed_Hani : Migrante investito a Ventimiglia : limite di 30 km/h sulla strada
    (pour archivage)

    Il Comune di Ventimiglia ha emesso un’ordinanza con cui istituisce il limite di velocità unico a 30 chilometri all’ora sulla strada dove il 4 gennaio scorso si è verificato l’impatto tra uno scooterista e un migrante costato la vita sia al profugo, Mohamed Hani, di 26 anni che al conducente dello scooter Luciano Guglielmi di 66 anni.

    Fino ad oggi su quella strada il limite andava, a seconda delle zone, dai 30 ai 70 chilometri orari. la decisione è stata assunta proprio per il rischio della presenza di migranti per strada unitamente alla scarsa visibilità.

    https://www.primocanale.it/archivio-news/181064-migrante-investito-a-ventimiglia-limite-di-30-km-h-sulla-strada.h 

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #morts #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #France #Italie #Alpes_Maritimes

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  • 07.10.2026, #Milet_Tesfamariam : Une jeune migrante meurt sur l’autoroute à la frontière italienne

    (pour archivage)

    La jeune fille faisait partie d’un groupe de migrants qui tentaient de gagner la France depuis Vintimille. Elle est décédée après avoir été percutée par un poids-lourds alors qu’elle marchait sur la bande d’arrêt d’urgence.

    Selon le site italien Riviera24.it, qui a diffusé des images de l’intervention des secours après l’accident, La victime est une Erythréenne de 17 ans. « La victime est une femme à ma connaissance. Quatre autres personnes, des femmes, ont été hospitalisées en état de choc à Bordighera mais ne sont pas blessées »,a indiqué la police italienne de Vintimille qui n’a pas pu préciser les circonstances de l’accident.

    Le drame s’est produit « au niveau du #tunnel_de_la_Giraude, côté italien, un poids-lourd a percuté un migrant », a-t-on précisé au centre opérationnel de la gendarmerie de Nice.

    Début septembre, un jeune Africain avait été retrouvé mort sous un viaduc autoroutier près de Menton, dans le même secteur, et une enquête a été ouverte pour déterminer s’il aviat pu se tuer après avoir paniqué à la vue d’une patrouille de gendarmes et enjambé la glissière de sécurité.

    Vintimille, une impasse pour les migrants africains

    L’Italie, notamment l’ONG catholique Caritas et la Croix-Rouge, continuent d’apporter une aide humanitaire. Les opérations de police se multiplient aussi. Les migrants prennent des risques importants pour gagner l’Hexagone, par la montagne, l’autoroute ou le train tout en tentant d’échapper aux contrôles. Plus de 24.000 migrants ont été interpellés depuis janvier dans les Alpes-Maritimes, selon le dernier décompte de la préfecture fin septembre.

    https://france3-regions.francetvinfo.fr/provence-alpes-cote-d-azur/jeune-migrante-meurt-autoroute-frontiere-italienne-1104

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #morts #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #France #Italie #Alpes_Maritimes

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    • Giovane migrante a piedi in autostrada, travolta da un camion muore sul colpo

      Una giovane migrante di 17 anni, di origine eritrea, è morta sul colpo nel tardo pomeriggio di oggi dopo essere stata investita da un tir spagnolo all’interno della galleria Cima Girata.

      La tragedia è avvenuta verso le 18.15, sull’A10, nell’ultimo tunnel prima del confine di Stato al chilometro 158, sei chilometri dopo la barriera autostradale, a pochi metri dalla Francia. Secondo quanto ricostruito la donna stava camminando a piedi lungo la corsia di marcia della galleria dell’Autofiori, insieme alla sua famiglia composta da altre sei persone, rimaste miracolosamente illese.

      Quattro migranti sono stati accompagnati all’ospedale Saint Charles di Bordighera in stato di choc. Mentre altri due familiari della vittima sono rimasti sul luogo della tragedia per vegliare il cadavere. Sul posto, oltre agli agenti della polizia stradale, è intervenuto anche il personale del 118 con l’automedica e una ambulanza con i militi della Croce Verde Intemelia e la gendarmeria. Già informata la Procura della Repubblica di Imperia che disporrà l’autopsia, mentre la polstrada, attraverso la testimonianza dell’autista del camion, cercherà di ricostruire la dinamica dell’incidente. Da accertare inoltre se la donna fosse ospitata nei locali della chiesa di Sant’Antonio, alle Gianchette.

      L’autista del tir, uno spagnolo, è ora indagato per omicidio colposo e il mezzo è sotto sequestro: un atto dovuto vista la dinamica dell’incidente. Sottoposto ad alcoltest, l’uomo è risultato negativo: nel sangue nemmeno una goccia di alcol. Le indagini sono coordinate dal pm Marco Zocco.

      Non è la prima volta che in quel tratto di autostrada automobilisti e camionisti di passaggio incontrano migranti che procedono verso la Costa Azzurra rischiando di essere travolte dai mezzi in transito e oggi pomeriggio una di loro è morta travolta da un tir in corsa.

      https://www.riviera24.it/2016/10/giovane-migrante-a-piedi-in-autostrada-travolta-da-un-camion-muore-sul-col

    • Milet Tesfamariam, « victime de nos frontières »

      Une collecte pour rapatrier le corps de Milet Tesfamariam à Asmara, la capitale de l’Erythrée est organisée par Caritas. Le 7 octobre, cette jeune migrante de 17 ans a été tuée par un semi-remorque sur l’autoroute italienne, sous le tunnel de la Giraude, alors qu’elle tentait de rejoindre la France avec un groupe de cinq ou six personnes. Lors d’une cérémonie le 15 octobre, l’évêque de Vintimille-Sanremo, Monseigneur Antonio Suetta, a estimé que Milet Tesfamariam est une « victime de nos frontières », tout en pointant « l’hypocrisie » des sociétés européennes dans ce dossier.

      https://monaco-hebdo.com/actualites/international/milet-tesfamariam-caritas-intemelia

  • C’est pas le gros drame, mais ça me semble la suite du psycho-drame de Carnon qui veut faire payer le parking du Grand Travers, mais qui est (était ?) bloqué parce que le terrain ne lui appartient pas (ça appartient au Littoral)… : hier donc il faisait 28°, alors évidemment entre les vacances, le week-end et la chaleur, tout #Montpellier s’était donné rendez-vous à la plage. Et la plage familiale de Montpellier, c’est le Grand Travers, entre Carnon et la Grande Motte.

    Arrivé là, le parking du Grand Travers (le grand parking gratuit de 1000 places que la municipalité rêve de rendre payant) est fermé, depuis des mois, pour cause de « travaux ». Et l’autre parking (le payant, un peu plus petit), hé ben il est fermé aussi (pourquoi ? on ne sait pas).

    Donc hier, toutes les familles de Montpellier en train d’errer pour réussir tenter de trouver une place pour se garer. (Mission impossible : j’ai déposé la familia à la plage et je suis allé dessiner à La Grande Motte.)

    (Et pour les ceusses qui ne suivraient pas : Carnon, c’est aussi un de ces bleds qui ne veulent surtout pas faire partie de la Métropole de Montpellier et qui refusent absolument que le tram aille jusqu’à la mer. J’y ai habité pendant mes études : c’est même pas vraiment une ville qui existe avec des habitants : c’est une station balnéaire vide la plupart de l’année, avec des studios à louer l’été. Le reste du temps, c’était la même ambiance que dans 28 Jours plus tard. La seule raison d’être de ce truc, c’est de maximiser le pognon soutiré aux touristes, mais en ne vivant surtout pas là. Et donc, autant que possible, éviter que les habitants de Montpellier et la région viennent profiter de la plage, parce que ce ne sont pas les consommateurs captifs dont on veut.)

  • How the Vatican helped legitimise the autocracy in #Azerbaijan
    https://irpimedia.irpi.eu/en-how-the-vatican-helped-legitimize-the-autocracy-in-azerbaijanen

    Relations with Baku are emblematic of how the Holy See is trying to gain credit in the Caucasus as a peace mediator. With some privileged relations L’articolo How the Vatican helped legitimise the autocracy in Azerbaijan proviene da IrpiMedia.

    #Mondo #Armenia #Politica #Religione #Vaticano

  • Inchiesta su #Ousmane_Sylla, morto d’accoglienza

    A distanza di un mese dal suicidio di Ousmane Sylla nel #Cpr di #Ponte_Galeria, il 4 febbraio 2024, sono emersi nuovi elementi sulla sua triste vicenda, non raccontati nelle prime settimane. La prima cosa che sappiamo ora per certo è che Ousmane voleva vivere. Lo dimostrano i video e le foto che ho avuto da persone che lo hanno conosciuto, che lo ritraggono mentre balla, gioca, canta, sorride e scherza con il suo compagno di stanza. La sua vita però è stata stravolta da una violenza ingiustificabile, che scaturisce dalle dinamiche perverse su cui si basa il nostro sistema di accoglienza (ma non solo) e che impongono di farsi delle domande.

    Già nei primi giorni dopo la morte si venne a sapere che Ousmane aveva denunciato maltrattamenti nella casa famiglia di cui era stato ospite, prima di essere trasferito al Cpr di Trapani. Gli avvocati che si stanno occupando del caso e alcune attiviste della rete LasciateCIEntrare hanno rintracciato la relazione psico-sociale redatta dalla psicologa A.C. del Cpr di Trapani Milo il 14 novembre 2023. Era passato un mese dal suo ingresso nella struttura, a seguito del decreto di espulsione emesso dalla prefettura di Frosinone in data 13 ottobre 2023.

    La relazione dice che Ousmane “racconta di essere arrivato in Italia sei anni fa; inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria, poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino). Racconta che all’interno della struttura era solito cantare, ma questo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti. Così, un giorno, la direttrice del centro decide di farlo picchiare da un ospite tunisino. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al consiglio comunale di Cassino, convinto di trovarsi in Questura, per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima”.

    La casa famiglia di Sant’Angelo in Theodice è menzionata anche sulla scritta lasciata da Ousmane – sembrerebbe con un mozzicone di sigaretta – su una parete del Cpr di Roma, prima di impiccarsi a un lenzuolo, la notte tra il 3 e il 4 febbraio 2024.

    “LASCIATEMI PARLARE”
    Sulle cronache locali della Ciociaria, l’8 ottobre 2023 venne pubblicata la notizia di un giovane profugo africano presentatosi in consiglio comunale venerdì 6 ottobre (due giorni prima) per denunciare di aver subito violenze fisiche e maltrattamenti nella casa famiglia di cui era ospite, in questa frazione di Cassino di circa cinquecento abitanti. “Lasciatemi parlare o mi ammazzo”, avrebbe gridato, secondo Ciociaria oggi, che riferiva inoltre che “il giovane adesso ha paura di tornare nella casa famiglia”. La struttura era stata inaugurata sei mesi prima, il 3 aprile 2023, dal sindaco di Cassino Enzo Salera, originario proprio di Sant’Angelo, e dall’assessore con delega alle politiche sociali Luigi Maccaro, alla presenza del funzionario dei servizi sociali, Aldo Pasqualino Matera. Si trovano diversi articoli datati 4 aprile 2023, corredati di foto della cerimonia e della targa con il nome della casa famiglia. La struttura si chiamava Revenge, che significa rivincita ma anche vendetta.

    La casa famiglia è stata chiusa tra dicembre e gennaio per “irregolarità”; le indagini sono ancora in corso. Era gestita dalla società Erregi Progress s.r.l.s. con sede in Spigno Saturnia, in provincia di Latina; la titolare della società e responsabile della casa famiglia è Rossella Compagna (non Campagna, come riportato in alcune cronache), affiancata nella gestione dall’avvocato Michelangiolo Soli, con studio legale a Minturno. Oggi sappiamo che mancavano le autorizzazioni della Asl locale all’apertura, e altri adempimenti; e che la maggior parte degli operatori che si sono succeduti nel corso dei circa nove mesi di apertura non ha mai percepito lo stipendio, né la malattia: almeno quelli che non erano vicini alla responsabile. Alcuni di essi hanno fatto causa alla società e sono in attesa di risarcimento. Altri non avevano neanche le qualifiche per operare in una struttura per minori stranieri non accompagnati.

    Sono stata a Sant’Angelo in Theodice e ho incontrato diverse persone che hanno conosciuto Ousmane, che lo hanno seguito e aiutato durante il mese e mezzo circa della sua permanenza in paese. Grazie a loro ho potuto capire chi era Ousmane e ciò che ha vissuto in quel periodo. Ousmane è arrivato a Sant’Angelo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, insieme a un ragazzo marocchino, oggi maggiorenne. Provenivano da Ventimiglia, dove avevano trascorso insieme circa un mese in un campo della Croce Rossa Italiana, prima di essere trasferiti nella casa famiglia di Cassino. Ousmane non era però “da sei anni in Italia”, come trascritto dalla psicologa del Cpr di Trapani nella sua relazione. Sembrerebbe che fosse arrivato l’estate prima, nel 2023, a Lampedusa, come si intuisce anche dalla sua pagina Fb (“Fouki Fouki”). Il 3 agosto ha pubblicato un video in cui canta sulla banchina di un porto, quasi certamente siciliano. Forse era arrivato nella fase di sovraffollamento, caos e ritardi nei trasferimenti che spesso si verificano sull’isola in questa stagione. Avrebbe poi raggiunto Roma e successivamente Ventimiglia.

    Il suo “progetto migratorio” era quello di arrivare in Francia, dove ha un fratello, cantante rap e animatore d’infanzia, Djibril Sylla, che ho incontrato di recente: è venuto a Roma per riconoscere il corpo di Ousmane e consentirne il ritorno in Africa. Ousmane parlava bene il francese e lo sapeva anche scrivere, come dimostra la scritta che ha lasciato sul muro prima di uccidersi. Con ogni probabilità è stato respinto al confine francese, verso l’Italia. Ousmane non era minorenne; si era dichiarato minorenne probabilmente perché né allo sbarco né al confine con la Francia ha potuto beneficiare di un orientamento legale adeguato che lo informasse dei suoi diritti e delle possibilità che aveva. Il regolamento “Dublino”, in vigore da decenni, prevede che i migranti restino o vengano rinviati nel primo paese in cui risultano le loro impronte (ci sono delle apposite banche dati europee), impedendo loro di raggiungere i luoghi dove hanno legami e comunità di riferimento o semplicemente dove desiderano proseguire la loro vita.

    Una volta respinto, però, anziché fare domanda di protezione internazionale in Italia, Ousmane si è dichiarato minore, pur essendo ventunenne. Non sarà facile ricostruire chi possa averlo consigliato, guidato o influenzato in queste scelte e nei suoi rapporti con le autorità, dal suo arrivo in Italia in poi. Sappiamo, tuttavia, che dichiarandosi “minore” ha determinato l’inizio, incolpevole e inconsapevole, della fine della sua breve vita, non più in mano a lui da quel momento in poi.

    Dichiarandosi maggiorenne, Ousmane avrebbe potuto presentare una domanda di protezione. Nel paese da cui proveniva, la Guinea Conakry, vige una dittatura militare dal 2021. I migranti possono chiedere protezione internazionale se manifestano il timore, ritenuto fondato da chi esamina il loro caso, di poter subire “trattamenti inumani e degradanti”, ovvero un danno grave, nel proprio paese di provenienza, laddove lo Stato di cui sono cittadini non fornisca loro adeguate protezioni. A Ousmane è accaduto l’inverso: i trattamenti inumani e degradanti li ha subiti in Italia.

    Sin dal suo arrivo nella casa famiglia di Cassino, Ousmane ha patito uno stillicidio di vessazioni, minacce e deprivazioni, come ci riferiscono tutte le persone che lo hanno assistito e accompagnato in quel mese e mezzo, che testimoniano delle modalità inqualificabili con cui veniva gestita quella struttura, della brutalità con cui venivano trattati gli ospiti, del clima di squallore e terrore che vigeva internamente. Abbiamo ascoltato i messaggi vocali aggressivi che la responsabile inoltrava ai suoi operatori, sia ai danni degli operatori che degli ospiti, scarsamente nutriti e abbandonati a sé stessi, come appare anche dalle foto. Ousmane, a causa del suo atteggiamento ribelle e “resistente”, sarebbe stato punito ripetutamente con botte, privazione di cibo, scarpe, coperte e indumenti, e di servizi cui aveva diritto, non solo in quanto “minore”, ma in quanto migrante in accoglienza: per esempio, l’accesso ai dispositivi di comunicazione (telefono e scheda per poter contattare i familiari), la scuola di italiano, il pocket money.

    Tutte le persone con cui ho parlato sono concordi nel descrivere Ousmane come un ragazzo rispettoso, intelligente, altruista e sensibile; sano, dinamico, grintoso, si ispirava alla cultura rasta e cantava canzoni di rivolta e di libertà in slang giamaicano e in sousou, la sua lingua madre. La sua unica “colpa” è stata opporsi a quello che vedeva lì, riprendendo con foto e video le ingiustizie che subiva e vedeva intorno a sé. A causa di questo suo comportamento è stato discriminato dalla responsabile e da alcuni personaggi, come un ragazzo tunisino di forse vent’anni. Dopo un mese di detenzione lo stesso Ousmane raccontò alla psicologa del Cpr di Trapani che la responsabile della casa famiglia l’avrebbe fatto picchiare da un “ospite tunisino”.

    Il 6 ottobre 2023, forse indirizzato da qualche abitante del luogo, Ousmane raggiunse il consiglio comunale di Cassino, nella speranza che le autorità italiane potessero proteggerlo. Una consigliera comunale con cui ho parlato mi ha descritto lo stato di agitazione e sofferenza in cui appariva il ragazzo: con ai piedi delle ciabatte malridotte, si alzava la maglietta per mostrare i segni di percosse sul torace. Ousmane non fu ascoltato dal sindaco Salera, tutore legale dei minori non accompagnati della casa famiglia. Ousmane fu ascoltato solo dalla consigliera che comprendeva il francese, in presenza di poche persone, dopo che il sindaco e la giunta si erano allontanati. A quanto pare quel giorno si presentò in consiglio anche una delegazione di abitanti per chiedere la chiusura della struttura, ritenuta mal gestita e causa di tensioni in paese.

    Una settimana dopo, il 13 ottobre, Ousmane tornò al consiglio comunale, dichiarando di essere maggiorenne. Pare che prima avesse provato a rivolgersi alla caserma dei carabinieri – chiedeva dove fosse la “gendarmerie” – per mostrare i video che aveva nel telefono: la sua denuncia non fu raccolta, perché in quel momento mancava il maresciallo. Di nuovo, forse non sapremo mai da chi Ousmane sia stato consigliato, guidato e influenzato, nella sua scelta di rivelare la sua maggiore età. Perché non gli fu mai consentito di esporre denuncia e di ottenere un permesso di soggiorno provvisorio, per esempio per cure mediche, o per protezione speciale, visto che aveva subito danni psicofisici nella struttura di accoglienza, e che voleva contribuire a sventare dei crimini?

    Come in molte strutture per minori migranti, la responsabile era consapevole della possibilità che molti dei suoi ospiti fossero in realtà maggiorenni. “Una volta che scoprono che sono maggiorenni, devono tornare a casa loro, perché le strutture non li vogliono”, spiega in un messaggio audio ai suoi operatori. In un altro dei messaggi che ho sentito, questa consapevolezza assume toni intimidatori: “Quindi abbassassero le orecchie, perché io li faccio neri a tutti quanti”, diceva. “Io chiudo la casa, e poi riapro, con altra gente. Dopo un mese. Ma loro se ne devono andare affanculo. Tutti! Ne salvo due o tre forse. Chiudiamo, facciamo finta di chiudere. Loro se ne vanno in mezzo alla strada, via, e io faccio tutto daccapo, con gente che voglio io. Quindi abbassassero le orecchie perché mi hanno rotto i coglioni”. Nello stesso messaggio, la responsabile aggiunge: “Tu devi essere educato con me; e io forse ti ricarico il telefono; sennò prendi solo calci in culo, e io ti butto affanculo nel tuo paese di merda”.

    La minore età può essere usata come arma di ricatto. I migranti che si dichiarano minori, infatti, entrano nel circuito delle strutture per minori stranieri non accompagnati, e ottengono un permesso di soggiorno per minore età appena nominano un tutore (solitamente il sindaco). In caso di dubbio sulla minore età questi vengono sottoposti ad accertamenti psico-fisici, che consistono nella radiografia del polso e in una serie di visite specialistiche presso una struttura sanitaria.

    Per l’accoglienza di un minore straniero non accompagnato, il ministero dell’interno eroga ai comuni che ne fanno richiesta (tramite le prefetture) dai novanta ai centoventi euro al giorno, che finiscono in buona parte nelle tasche degli enti gestori (che per guadagnare possono risparmiare su cibo, servizi, personale, in quanto non sono previsti controlli davvero efficaci sulla gestione dei contributi statali). Ma anche i comuni hanno da guadagnare sull’accoglienza ai minori. A questo proposito, vale la pena richiamare le parole pronunciate dall’assessore ai servizi sociali Maccaro in occasione dell’apertura della casa famiglia e riportate in un articolo di Radio Cassino Stereo, presente in rete: “Una nuova realtà sociale al servizio del territorio è una ricchezza per tutto il sistema dei servizi sociali che vive della collaborazione tra pubblico e privato sociale. Siamo certi che questa nuova realtà potrà integrarsi in una rete sociale che in questi anni sta mostrando grande attenzione al tema dei minori”.

    Le autorità possono in qualsiasi momento sottoporre i giovani stranieri non accompagnati ad accertamento dell’età. È così che questi ragazzi divengono vulnerabili e costretti a sottostare a qualsiasi condizione venga loro imposta, poiché rischiano di perdere l’accoglienza e finire nei Cpr. Molti migranti ventenni con un viso da adolescente, come Ousmane, vengono incoraggiati a dichiararsi minori: più ce ne sono, più saranno necessarie strutture e servizi ben sovvenzionati (molto più dei servizi per maggiorenni).

    NEL LIMBO DEI CPR
    Dopo la seconda apparizione in consiglio comunale, il 13 ottobre, anziché essere supportato, tutelato e orientato ai suoi diritti, Ousmane è stato immediatamente colpito da decreto di espulsione, e subito trasferito (il 14 ottobre) nel Cpr di Trapani Milo, dove trascorrerà tre mesi. Inutile il tentativo dell’avvocato del Cpr Giuseppe Caradonna di chiederne dopo un mese il trasferimento, con una missiva indirizzata alla questura di Trapani, in cui scriveva “continua purtroppo a mantenere una condotta del tutto incompatibile con le condizioni del Centro [Cpr] (probabilmente per via di disturbi psichici derivanti da esperienze traumatiche) al punto da mettere a serio rischio la propria e l’altrui incolumità. A supporto della presente, allego una relazione psico-sociale, redatta in data odierna dalla dottoressa A.C., psicologa che opera all’interno della struttura, la quale ha evidenziato dettagliatamente la condizione in cui versa Ousmane Sylla. Pertanto, mi permetto di sollecitare un Suo intervento per far sì che quest’ultimo venga trasferito al più presto in una struttura più idonea e compatibile con il suo stato di salute mentale”.

    La psicologa aveva scritto: “Ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte”. Richiesta alla quale la questura di Trapani risponderà negativamente, con la motivazione che “lo straniero aveva fatto ingresso nella struttura munito di adeguata certificazione sanitaria che attesta l’idoneità alla vita in comunità ristretta e che costituisce condicio sine qua non per l’accesso all’interno dei Cpr”.

    Chi aveva redatto quella “adeguata certificazione sanitaria” di cui Ousmane era munito all’ingresso nel Cpr di Trapani, se ancora portava addosso i segni delle violenze subite, come testimoniato dalla consigliera cassinese che lo aveva ascoltato nella settimana precedente, rilevandone anche lo stato di estremo disagio psicologico?

    Ousmane affermava, ripetutamente, di voler tornare in Africa. Lo diceva anche alle operatrici della casa famiglia con cui abbiamo parlato: “Gli mancava la mamma”, hanno riferito, con la quale non poteva neanche comunicare, perché privato del telefono. Un’operatrice ricorda che una volta la disegnò, perché Ousmane amava anche disegnare, oltre che cantare e giocare a pallone. Studiava l’italiano con lei ed “era molto bravo”, dice, apprendeva rapidamente.

    Voleva tornare in Africa, non perché volesse rinunciare al sogno di una vita migliore in Europa, in Francia o in Italia, anche per poter aiutare la famiglia che vive in povertà in un sobborgo di Conakry (madre, sorelle e fratelli più piccoli), ma perché non aveva trovato qui alcuna forma di accoglienza degna di chiamarsi tale, se non nelle persone che lo hanno assistito, ascoltato e che testimoniano oggi in suo favore; persone che hanno fatto il possibile per lui, tuttavia non sono “bastate” a salvargli la vita; non per loro responsabilità, ma perché ignorate o sovrastate dalle istituzioni e dalle autorità che avrebbero potuto e dovuto tutelare Ousmane.

    Dopo tre mesi trascorsi nel Cpr di Trapani, Ousmane verrà trasferito a fine gennaio nel Cpr di Roma, per continuare a restare in un assurdo limbo, in condizioni “inumane e degradanti” nelle quali è ben noto versino i Cpr. L’Italia non ha accordi bilaterali con la Guinea Conakry, come con tanti altri paesi di provenienza dei migranti detenuti nei Cpr.

    Il 19 settembre 2023, il sito istituzionale integrazionemigranti.gov.it, informava che il giorno prima il Consiglio dei ministri aveva varato nuove norme contro l’immigrazione irregolare: “Si estende – come consentito dalla normativa euro-unitaria – a diciotto mesi (sei mesi iniziali, seguiti da proroghe trimestrali) il limite massimo di permanenza nei centri per il rimpatrio degli stranieri non richiedenti asilo, per i quali sussistano esigenze specifiche (se lo straniero non collabora al suo allontanamento o per i ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione da parte dei paesi terzi). Il limite attuale è di tre mesi, con una possibile proroga di quarantacinque giorni. […] Inoltre, si prevede l’approvazione, con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della difesa, di un piano per la costruzione, da parte del Genio militare, di ulteriori Cpr, da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili”. È il cosiddetto Decreto Cutro.

    Secondo la relazione del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, sono transitate nei Cpr 6.383 persone, di cui 3.154 sono state rimpatriate. Quelle provenienti da Tunisia (2.308), Egitto (329), Marocco (189) e Albania (58), rappresentano il 49,4%. In base allo scopo dichiarato per cui esistono i Cpr, la maggioranza è stata trattenuta inutilmente.

    Come riporta il Dossier statistico sull’immigrazione 2023, “il governo si ripromette di aprire altri dodici centri, uno per ogni regione, in luoghi lontani dai centri abitati […]. Nei dieci centri attivi in Italia possono essere ospitate 1.378 persone. Tuttavia, complici la fatiscenza delle strutture e le continue sommosse, la cifra reale si dimezza. […] Dal 2019 al 2022, otto persone sono morte nei Cpr, in circostanze diverse. Infiniti sono i casi di autolesionismo e di violenza. Numerose sono le inchieste che confermano come in questi luoghi si pratichi abuso di psicofarmaci a scopo sedativo”.

    Il caso più noto è quello del ventiseienne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, deceduto nel novembre 2021, ancora in circostante sospette, dopo essere rimasto legato a un letto per cento ore consecutive nel reparto psichiatrico del San Camillo di Roma. La detenzione amministrativa di Ousmane si sarebbe potuta protrarre molto a lungo, inutilmente. Sono pochissimi i migranti che a oggi beneficiano dei programmi di “rimpatrio assistito”, che prevedono anch’essi accordi e progetti con i paesi di origine per la loro effettiva attuazione. Con la Guinea Conakry non ci risultano accordi neanche sui rimpatri assistiti.
    Ousmane, trovato impiccato a un lenzuolo la mattina del 4 febbraio, non vedeva forse vie di uscita e ha scelto di morire per “liberarsi”, chiedendo, nel messaggio lasciato sul muro prima di togliersi la vita, che il suo corpo venisse riportato in Africa “affinché riposi in pace” e sua madre non pianga per lui. Alcuni migranti che hanno condiviso con lui la detenzione nel Cpr di Trapani, dicono fosse stato “imbottito di psicofarmaci”. A oggi, sono ancora tanti i lati oscuri di questa vicenda, ma sono in molti a invocare verità e giustizia per Ousmane Sylla, come per tutte le persone schiacciate dall’insostenibile peso del “sistema”, al quale alcune di esse – come Ousmane – hanno provato a ribellarsi, con coraggio e dignità.

    https://www.monitor-italia.it/inchiesta-su-ousmane-sylla-morto-daccoglienza
    #migrations #asile #réfugiés #Italie #décès #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #Trapani #détention_administrative #rétention

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    Vu que Ousmane a été arrêté à Vintimille pour l’amener dans un centre de détention administrative dans le Sud de l’Italie et que, selon les informations que j’ai récolté à la frontière Vintimille-Menton, il avait l’intention de se rendre en France, j’ai décidé de l’inclure dans les cas des personnes décédées à la #frontière_sud-alpine.
    Ajouté donc à cette métaliste des morts à la frontière #Italie-#France (frontière basse, donc #Vintimille / #Alpes_Maritimes) :
    https://seenthis.net/messages/784767

  • Presenti mai assenti. Camminata sonora e opera d’immersione sulle rotte migranti
    https://onborders.altervista.org/presenti-mai-assenti-camminata-sonora-e-opera-dimmersione-sull

    di Simona Sala e Valentina Bosio Installazione sonora e field recordings BANDITE. Sound editor Giuseppe Giordano. Canti: Marjan Vahdat, Selda Özturk. Poesie: Rahma Nur da Il grido e il sussurro, Capovolte editrice. Con SENTIERI SOLIDALI e ONBORDERS È un’opera pensata per la commemorazione del 6 febbraio dei morti nel deserto, in mare, sulle nostre montagne […] L’articolo Presenti mai assenti. Camminata sonora e opera d’immersione sulle rotte migranti proviene da ON BORDERS.

    #LINGUAGGI_VISUALI

  • Fin de vie : Entretien avec François Guillemot et Bertrand Riff sur Radio Campus Lille !

    Ce Samedi 13 Avril, une heure avec l’AMD. Pour écouter l’émission en mp3, LE LIEN : https://www-radio-campus.univ-lille1.fr/ArchivesN/LibrePensee/LP240413.mp3

    La fin de vie. C’est un sujet qui fait débat en France en ce moment. La convention citoyenne sur la fin de vie a rendu ses conclusions après 27 jours de débats et d’entretiens avec une soixantaine spécialistes. Dans leur rapport, les citoyens tirés au sort déclarent : « Après en avoir largement débattu, la majorité de la Convention s’est prononcée en faveur d’une ouverture à l’aide active à mourir. »

    Si en France l’aide active à mourir n’est pas encore possible, elle l’est par contre dans un pays tout proche : la Belgique. Pour aider les Français qui souhaitent en bénéficier, l’Association pour le Droit de Mourir dans la Dignité (ADMD) propose son aide. Elle dispose d’un local à Lille (Nord), à moins d’une heure de la Belgique. A Lille, c’est Monique et le docteur François Guillemot qui s’occupent des personnes et les accompagnent.

    La suite : https://actu.fr/hauts-de-france/lille_59350/depuis-lille-ils-accompagnent-des-patients-en-belgique-pour-leur-fin-de-vie_589

    Source : http://federations.fnlp.fr/spip.php?article2296

    #AMD #mort #fin_de_vie #aide_à_mourir #aide_active_à_mourir #handicap #Belgique #Santé #liberté #décès #santé #mort #mort_choisie #acharnement_thérapeutique #AMM #souffrances #femmes #radio #Hôpital #soins_palliatifs

  • Protocole sur le commerce numérique de la ZLECAf : Des problèmes critiques dévoilés | bilaterals.org
    https://www.bilaterals.org/?protocole-sur-le-commerce&lang=fr

    Très intéressant de voir comment le capitalisme numérique vit grâce à l’imposition de règles d’exception. Et comment leur capacité de lobbying fait qu’ensuite les États acceptent ces règles d’exception, au nom de projets futurs (même si depuis 20 ans, on sait que les promesses cachent souvent un deal avec le diable).

    9 April 2024

    Protocole sur le commerce numérique de la ZLECAf : Des problèmes critiques dévoilés

    Dans les eaux troubles de l’économie numérique, où l’innovation technologique dépasse les cadres réglementaires, la version finale du projet de protocole sur le commerce numérique de la Zone de libre-échange continentale africaine (ZLECAf), divulguée le 9 février 2024, soulève de profondes inquiétudes.

    Champ d’application et préoccupations

    Le protocole vise à libéraliser le commerce électronique et l’économie numérique en Afrique, mais les règles proposées restreindraient le droit des gouvernements africains à réglementer dans l’intérêt public. Les États africains pourraient être traduits devant un organe de règlement des différends et jugés responsables s’ils introduisent de nouvelles lois qui limitent la capacité des entreprises du secteur technologique à opérer dans un environnement presque non réglementé, même face à de nouvelles preuves scientifiques.

    Le champ d’application du protocole s’étend bien au-delà du commerce numérique intra-africain, suscitant la crainte que des pays plus développés n’exploitent ses dispositions sans concessions réciproques. Ce champ d’application étendu, qui comprend des mesures telles que le commerce sans papier, risque de permettre aux acteurs mondiaux de piétiner les économies africaines. Les grandes entreprises, telles que Google, Amazon, Meta, Alibaba et Temu, pourraient en sortir gagnantes.

    Le texte comprend également des clauses précédemment rejetées par les États-Unis lors des négociations de l’Organisation mondiale du commerce (OMC) sur le commerce électronique parce qu’elles limitaient leur capacité à réglementer. Bien que les intérêts des États-Unis soient sans doute différents de ceux des Etats africains, de telles dispositions pourraient rendre les nations africaines vulnérables à des pratiques de concurrence déloyale.

    En outre, l’article 46 du protocole stipule que les parties à la ZLECAf « élaboreront, après l’adoption du présent protocole, [plusieurs] annexes », notamment sur les transferts transfrontaliers de données, la divulgation des codes sources et des technologies financières. Cependant, le protocole ne précise pas le contenu de ces annexes, alors que leur contenu pourrait avoir un impact significatif sur la manière dont le commerce numérique est mené sur le continent. Le texte principal de la ZLECAf définit la procédure d’entrée en vigueur de l’accord et des protocoles, mais ne mentionne pas les annexes (article 23). Il est donc difficile de savoir quand ces annexes seront finalisées et si elles feront l’objet d’un débat démocratique ou si elles seront négociées à huis clos, après l’entrée en vigueur des protocoles.

    Atteinte au droit de réglementer

    L’un des aspects les plus controversés du protocole réside dans les restrictions sévères qu’il impose à l’autonomie réglementaire, qui vont même au-delà des restrictions imposées par les accords de libre-échange antérieurs des États-Unis. Cela représente une menace sérieuse pour divers cadres réglementaires, y compris ceux qui régissent des secteurs clés tels que la finance.

    Les gouvernements africains, déjà aux prises avec des paysages réglementaires labyrinthiques, sont confrontés à un dilemme. De nombreuses lois et réglementations existantes peuvent être en porte-à-faux avec le protocole, ce qui jette le doute sur l’efficacité de la gouvernance dans des domaines multiples.

    L’article 4, qui traite du droit de réglementer, pose un problème flagrant. Tout en accordant prétendument ce droit, la formulation du protocole le laisse ouvert à l’interprétation, ce qui risque d’entraver l’efficacité de l’action réglementaire. Par exemple, le mot « légitime » a été interprété par les tribunaux de l’OMC, ou des tribunaux d’arbitrage dans le cadre d’accords sur le commerce et l’investissement, comme signifiant le respect de bonnes pratiques réglementaires communément reconnues, qui excluent en général les considérations politiques ou éthiques du processus d’élaboration des réglementations par les pouvoirs publics et favorisent les intérêts des entreprises. La charge de la preuve incombe à la partie défenderesse, qui doit démontrer qu’elle n’a pas imposé d’obstacles « non nécessaires » au commerce.

    Le protocole aurait pu inclure des exclusions spécifiques pour protéger efficacement le droit des États à réglementer, comme celle que l’on trouve dans le chapitre sur le commerce numérique de l’accord commercial entre la Nouvelle-Zélande et l’Union européenne, qui exclut les mesures prises par la Nouvelle-Zélande pour protéger les droits des populations autochtones. En outre, la charge de la preuve incomberait au demandeur. Mais l’objectif du protocole semble avoir délibérément exclu des exceptions fortes, laissant aux gouvernements le risque d’être bridés par des règles juridiques opaques qui entravent leur capacité à protéger le bien public et à poursuivre des objectifs politiques appropriés.

    Interdiction des droits de douane sur les produits numériques

    L’article 6.1 stipule que l’interdiction des droits de douane sur les produits numériques est soumise à l’annexe sur les règles d’origine, ce qui suscite des inquiétudes quant à la perte de revenus pour les pays africains. De nombreux pays en développement taxent encore les produits importés à la frontière par le biais de droits de douane ou de taxes. Cela permet de générer des recettes pour financer les gouvernements et les services publics. En 1996, les membres de l’OMC ont convenu d’une interdiction temporaire des droits de douane sur les transmissions électroniques. Cette interdiction a été prolongée tous les deux ans. En 2020, ce moratoire a coûté aux pays africains plus de 2 milliards de dollars de pertes de revenus. L’ambiguïté entourant l’inclusion de grandes entreprises numériques telles qu’Amazon, Netflix ou Spotify renforce les inquiétudes relatives à la perte potentielle de revenus à laquelle les pays africains pourraient être confrontés, car il est devenu très courant de télécharger des livres, des films, de la musique et d’autres contenus par voie électronique, plutôt que d’en acheter des copies physiques.

    Permettre les flux de données transfrontaliers

    Les entreprises du secteur technologique s’intéressent tout particulièrement aux transactions de données à données, la collecte, le stockage et la vente de données personnelles à travers les frontières étant devenus la pierre angulaire de leurs activités. Ces données ne façonnent pas seulement l’expérience des individus, elles ont aussi une immense valeur pour divers domaines, notamment les assurances, l’éducation et les fournisseurs de soins de santé, les créanciers et les agences gouvernementales. Toutefois, au-delà de l’individu, le véritable cœur de cette économie numérique réside dans les ensembles de données et de métadonnées colossaux qui alimentent les algorithmes à la base du profilage, du ciblage et de l’analyse prédictive. L’article 20 du protocole numérique de la ZLECAf impose des flux de données transfrontaliers illimités, une disposition qui va à l’encontre des réglementations existantes de nombreux gouvernements africains. Le protocole stipule également qu’une annexe spécifique définira plus précisément les règles relatives aux flux de données, mais aucun calendrier n’a été fixé pour son élaboration. Tout en promouvant en apparence l’intégration numérique, cette partie du protocole pose des défis importants aux gouvernements qui cherchent à réglementer le paysage numérique et à protéger les données personnelles. Cela soulève des questions essentielles en matière de protection de la vie privée, de réglementation et de gouvernance démocratique à l’ère du numérique.

    Restrictions sur la localisation des données

    Les restrictions de l’article 22 sur la localisation des données constituent un obstacle direct à l’intérêt national, à la protection de la vie privée et aux lois sur la sécurité de nombreux pays africains. En limitant la capacité des gouvernements à faire respecter les exigences en matière de localisation des données, le protocole menace tout contrôle réglementaire réel. Les entreprises de technologie décrivent les exigences de « localisation forcée », telles que l’obligation d’utiliser des serveurs situés dans les pays où elles opèrent, comme des « barrières » au commerce numérique. En résistant à ces exigences, elles cherchent à garder le contrôle sur l’endroit où les données sont stockées, en optant souvent pour des juridictions aux réglementations plus souples, comme les États-Unis. Toutefois, cette position est en contradiction directe avec les lois sur la localisation des données appliquées par de nombreux pays africains, dont le Botswana, le Kenya, le Nigeria et d’autres, qui imposent le stockage local des données pour diverses raisons, telles que la sécurité, le respect des obligations fiscales et la protection de la vie privée. Ces réglementations servent des intérêts gouvernementaux plus larges en permettant une gestion efficace des crises, la régulation financière et l’application de la loi.

    Contraintes relatives à la propriété intellectuelle

    Le protocole introduit une disposition controversée limitant la capacité des gouvernements à exiger l’accès aux codes sources (article 24.1). Cette restriction, qui va au-delà de ce qu’exige l’accord de l’OMC sur les aspects des droits de propriété intellectuelle qui touchent au commerce (ADPIC), impose d’importantes protections de la propriété intellectuelle. Les pays non membres de l’OMC, ainsi que les pays les moins avancés d’Afrique, devront se conformer à cette clause ADPIC+. Or, les gouvernements ont besoin d’accéder aux codes sources ou de les transférer pour diverses raisons, comme l’application des lois sur la concurrence, les réglementations fiscales, la surveillance du secteur financier, la sécurité automobile, la réglementation des jeux d’argent, la facilitation des procédures judiciaires, la gestion des marchés publics et le transfert de technologies. C’est l’une des raisons pour lesquelles elle a été critiquée par les États-Unis, qui ont retiré leur soutien aux négociations de l’OMC sur le commerce électronique, craignant qu’elle n’étouffe les options réglementaires, en particulier à la lumière des progrès de l’intelligence artificielle (IA). Ce clivage souligne un débat plus large sur l’équilibre des pouvoirs entre les entités privées et les régulateurs.

    Le dilemme des technologies émergentes

    L’article 34.1 promet de faciliter l’adoption des technologies émergentes et avancées, mais derrière cette façade se cache un champ de mines potentiel. L’avènement des technologies émergentes et avancées a révélé des risques et des problèmes inhérents, en particulier lorsque la perspective des progrès technologiques futurs nous est inconnue. Cependant, le champ d’application étendu de cet accord ne permet pas de faire la distinction entre les innovations bénéfiques et les technologies potentiellement nuisibles. Les récents incidents liés à l’IA, qu’il s’agisse des préoccupations de ChatGPT en matière de protection de la vie privée, ou des appels téléphoniques robotisés générés par l’IA et manipulant l’opinion publique, mettent en évidence les dangers de l’IA. Alors que les gouvernements sont confrontés aux répercussions des incertitudes liées aux innovations à venir, la nécessité d’une réglementation plus stricte devient de plus en plus urgente.

    Problèmes de mise en œuvre

    Les mécanismes d’application du protocole de règlement des différends de la ZLECAf soulèvent des inquiétudes quant à l’influence des entreprises multinationales. Des cas antérieurs ont montré la manière dont ces sociétés peuvent subtilement façonner les procédures judiciaires, ce qui soulève des questions concernant l’intégrité du processus de règlement des différends. Par exemple, par le passé, de grandes entreprises ont incité des gouvernements à poursuivre des litiges en leur faveur, dans le cadre de l’OMC. Des sociétés telles que Google, Amazon et Meta pourraient potentiellement financer des procès contre des gouvernements africains pour non-respect des dispositions du protocole qui bénéficient à leurs intérêts. À mesure que le paysage du commerce numérique évolue, il sera essentiel de naviguer à travers la complexité des interactions entre les accords commerciaux, l’influence des entreprises et la souveraineté des gouvernements, afin de protéger les intérêts des nations africaines.

    L’urgence d’un débat public plus large sur la ZLECAf et ses conséquences néfastes pour les populations africaines

    Sous la promesse que le commerce numérique apportera croissance économique et emplois, le protocole de commerce numérique de la ZLECAf sacrifie les protections de la souveraineté réglementaire. Les entreprises du secteur technologique devraient en être les principales bénéficiaires, ce qui soulève de sérieuses inquiétudes quant à la nécessité de défendre les intérêts publics et l’autonomie réglementaire nationale.

    La ZLECAf a été négocié dans le secret depuis sa création. Très peu de personnes en Afrique sont au courant de ses conséquences, et sans parler de son existence. Le protocole sur le commerce numérique confirme cette tendance et souligne le besoin urgent d’un débat public plus large sur l’accord de libre-échange et son impact potentiellement préjudiciable sur la vie des populations africaines. Un accord commercial fondé en grande partie sur des concepts néolibéraux issus des pays du Nord, qui ont contribué à l’accroissement des inégalités, des tensions sociales et économiques, de la dégradation de l’environnement et du changement climatique, ne peut être la réponse aux différents défis auxquels le continent est confronté.

    #Commerce_numérique #Afrique #Mondialisation

  • Consumers will finally see FCC-mandated ‘nutrition labels’ for most broadband plans - The Verge
    https://www.theverge.com/2024/4/10/24125572/fcc-broadband-nutrition-labels-isp-deadline-today

    Viva Lina Khan

    It appears that a nearly eight-year-long battle by the FCC to require internet companies to display information on the costs, fees, and speeds of their broadband services is finally over. Starting on Wednesday, all but the smallest ISPs will be required to publish broadband “nutrition labels” on all of their plans, the regulator announced. The FCC’s intention behind the labels is that they’ll allow consumers to more easily comparison shop between plans and avoid any hidden fees.

    The next time you shop for either a standalone home or fixed internet plan, or a new mobile broadband plan, you should notice such a label. Each label will include monthly broadband prices, introductory rate details, data allowances, broadband speeds, and links to find out about any available discounts or service bundles. Links to network management practices and privacy policies should be listed as well. The labels should appear both online and at physical stores.
    Sample fixed internet nutrition label
    Sample fixed internet nutrition label Image: FCC
    Sample mobile internet nutrition label.
    Sample mobile internet nutrition label. Image: FCC

    Most of the information in the labels is publicly available but would require some time and research for the average consumer to sleuth out. In the past, the broadband industry has published advertised speeds for broadband plans that misrepresent the actual connection speeds available for most customers. The new labels should cut down on this practice; ISPs must now publish “typical” download and upload speeds with each plan.

    Major broadband providers have fought vigorously over the years to kill the rule, arguing that such labels would be too costly and complicated to implement. Some consumer advocates also criticize the FCC for not addressing the more serious problem of regional broadband monopolies. Many Americans, especially in rural or less economically prosperous areas, only have one or two options for their broadband provider. Adding to the sense of urgency is that a program that gives low-income Americans additional money to purchase broadband internet plans is set to expire at the end of the month.

    Regional ISPs with only one or zero competitors have little incentive to lower their prices or improve their speeds. Dozens of cities have tried to address the problem on their own by building out their own municipal broadband networks, though, of course, the telecom industry is trying its best to fight this.

    So far, Verizon, Google Fiber, and T-Mobile have released labels ahead of the deadline. Although the FCC’s official deadline for compliance (if you’re a major ISP) is April 10th, small ISPs (with fewer than 100,000 lines) have until October 10th to implement the nutritional labels.

    #Lina_Khan #Concurrence #Fournisseurs_accès #Monopoles_numériques

  • Consumers will finally see FCC-mandated ‘nutrition labels’ for most broadband plans - The Verge
    https://www.theverge.com/2024/4/10/24125572/fcc-broadband-nutrition-labels-isp-deadline-today

    Viva Lina Khan

    It appears that a nearly eight-year-long battle by the FCC to require internet companies to display information on the costs, fees, and speeds of their broadband services is finally over. Starting on Wednesday, all but the smallest ISPs will be required to publish broadband “nutrition labels” on all of their plans, the regulator announced. The FCC’s intention behind the labels is that they’ll allow consumers to more easily comparison shop between plans and avoid any hidden fees.

    The next time you shop for either a standalone home or fixed internet plan, or a new mobile broadband plan, you should notice such a label. Each label will include monthly broadband prices, introductory rate details, data allowances, broadband speeds, and links to find out about any available discounts or service bundles. Links to network management practices and privacy policies should be listed as well. The labels should appear both online and at physical stores.
    Sample fixed internet nutrition label
    Sample fixed internet nutrition label Image: FCC
    Sample mobile internet nutrition label.
    Sample mobile internet nutrition label. Image: FCC

    Most of the information in the labels is publicly available but would require some time and research for the average consumer to sleuth out. In the past, the broadband industry has published advertised speeds for broadband plans that misrepresent the actual connection speeds available for most customers. The new labels should cut down on this practice; ISPs must now publish “typical” download and upload speeds with each plan.

    Major broadband providers have fought vigorously over the years to kill the rule, arguing that such labels would be too costly and complicated to implement. Some consumer advocates also criticize the FCC for not addressing the more serious problem of regional broadband monopolies. Many Americans, especially in rural or less economically prosperous areas, only have one or two options for their broadband provider. Adding to the sense of urgency is that a program that gives low-income Americans additional money to purchase broadband internet plans is set to expire at the end of the month.

    Regional ISPs with only one or zero competitors have little incentive to lower their prices or improve their speeds. Dozens of cities have tried to address the problem on their own by building out their own municipal broadband networks, though, of course, the telecom industry is trying its best to fight this.

    So far, Verizon, Google Fiber, and T-Mobile have released labels ahead of the deadline. Although the FCC’s official deadline for compliance (if you’re a major ISP) is April 10th, small ISPs (with fewer than 100,000 lines) have until October 10th to implement the nutritional labels.

    #Lina_Khan #Concurrence #Fournisseurs_accès #Monopoles_numériques

  • Political Instincts ?
    https://newleftreview.org/sidecar/posts/political-instincts

    V.O. de https://seenthis.net/messages/1049118 L’échec des protestations de masse à l’ère de l’atomisation

    19.3.2024 by Anton Jäger - Two men flank each other in shabby paramilitary attire, their MAGA caps hovering above the swirling tide of flags and megaphones. ‘We can take that place!’, exclaims the first. ‘And then do what?’, his companion asks. ‘Heads on pikes!’ Three years later, these rocambolesque scenes from the Capitol riot on January 6th – now firmly encrusted on liberalism’s political unconscious – have become a revealing historical hieroglyph. Above all, they epitomize a culture in which politics has been decoupled from policy. The protest galvanized thousands of Americans to invade the headquarters of the world hegemon. Yet this action had no tangible institutional consequences. America’s Winter Palace was stormed, but the result was not a revolutionary coup or a dual power stand-off. Instead, most of the insurgents – infantrymen for the American lumpenbourgeoisie, from New York cosmetics salesmen to Floridian real estate agents – were swiftly arrested en route home, incriminated by their livestreams and social media posts. Today little remains of their Trumpian fronde, even as the mountain king prepares for his next crusade. A copycat putsch in Brazil also came to naught.

    The same disarticulation afflicts campaigns across the political spectrum, from the BLM protests in summer 2020, which saw nearly twenty million Americans rail against police violence and racial inequity, to France’s gilets jaunes and the current Palestinian solidarity movement. Compared to the long period of relative demobilization and apathy during the 1990s and 2000s, in which citizens protested, petitioned and voted less, the events that followed the 2008 financial crash signalled a clear shift in Western political culture. The Economist informed its readers in the early summer of 2020 that ‘political protests have become more widespread and more frequent’, and that ‘the rising trend in global unrest is likely to continue.’ Yet these eruptions had little effect on the spectacularly skewed class structure of Western societies; BLM has failed to defund the police or curb their brutality; and the regular marches against Western sponsorship of Israel’s punishment campaign have not stopped the unrestrained bloodshed in Gaza. As James Butler recently remarked in the London Review of Books, ‘Protest, what is it good for?’

    This is partly an effect of state repression. Yet we can further delineate the present situation by examining a different, downward rather than upward-sloping curve. Throughout the recent ‘decade of protest’, the secular decline in mass membership organizations, which began in the 1970s and was first anatomised by Peter Mair in the pages of this journal, only accelerated. Unions, political parties, and churches continued to bleed members, exacerbated by the rise of a new digital media circuit and tightening labour laws, and compounded by the ‘loneliness epidemic’ that metastasized out of the actual one of 2020. The result is a curiously K-shaped recovery: while the erosion of organized civic life proceeds apace, the Western public sphere is increasingly subject to spasmodic instances of agitation and controversy. Post-politics has ended, but what has taken its place is hardly recognizable from twentieth-century mass political templates.

    Contemporary political philosophy seems ill-equipped to explain the situation. As Chantal Mouffe points out, we still live in an age of ‘apolitical’ philosophy, where academics are reduced to pondering why certain people decide to become activists or join political organizations given the prohibitive costs of ideological commitment. By contrast, Aristotle once dared to suggest that humans displayed an inborn instinct for socialisation: a feature shared with other herd animals, such as bees or ants, which also exhibit strong cooperative traits. As exceptionally gregarious creatures, he contended, men also had a spontaneous urge to unite within a πολις, a term only meagrely translated by the Germanic compound ‘city state’ – the highest form of community. Anyone surviving outside such a community was ‘either a beast or a god’.

    The classical Aristotelian assumption of man as a zoön politikon was called into question by modern political philosophy, starting with Hobbes, Rousseau and Hume (the latter two idiosyncratic Hobbesians). It was fiercely contested in Leviathan, where man appears as an instinctively antisocial animal who must be coerced into association and commitment. Yet even Hobbes’s pessimistic anthropology hoped to re-establish political association on a higher plane. For him, man’s antisocial instincts opened a vista onto even sturdier collective structures. This was an implicit appeal to Europe’s republican nobility: they should no longer get involved in murderous civil wars and, out of self-interest, submit to a peace-abiding sovereign. Similarly for Rousseau, antisocial amour propre offered the prospect of a higher political association – this time in the democratic republic, where the lost freedom of the state of nature could be regained. For Kant, too, ‘unsociable sociability’ functioned as a dialectical harbinger of perpetual peace. In each case, the apolitical postulate implied a potentially political conclusion: a lack of strong sociability served to temper political passions, guaranteeing the stability of state and society.

    The nineteenth century saw a more pressing need to assure generalized political passivity. As Moses Finley has noted, to be a citizen in Aristotle’s Athens was de facto to be active, with little distinction between civil and political rights, and with rigid lines between slaves and non-slaves. In the 1830s and 40s, the suffrage movement made such demarcations impossible. Proletarians sought to transform themselves into active citizens, threatening the propertied order built up after 1789. To neutralize this prospect, it was necessary to construct a new cité censitaire, in which the masses would be shut out of decision-making while elites could continue to enact the so-called democratic will. The plebiscitary regime of Louis Bonaparte III, famously characterized as ‘potato sack politics’ in The Eighteenth Brumaire, offered an exemplar. This ‘creative anti-revolution’, as Hans Rosenberg called it, was an attempt to redeem general suffrage by placing it within authoritarian constraints that would enable capitalist modernization.

    Walter Bagehot – luminary of The Economist, central bank theorist and eulogist of the English Constitution – defended Bonaparte’s 1851 coup d’état as the only means to reconcile democratization with capital accumulation. ‘We have no slaves to keep down by special terrors and independent legislation’, he wrote. ‘But we have whole classes unable to comprehend the idea of a constitution, unable to feel the least attachment to impersonal laws.’ Bonapartism was a natural solution. ‘The issue was put to the French people . . . “Will you be governed by Louis Napoleon, or will you be governed by an assembly?” The French people said, “We will be governed by the one man we can imagine, and not by the many people we cannot imagine.”’

    Bagehot asserted that socialists and liberals who complained about Bonaparte’s authoritarianism were themselves guilty of betraying democracy. Commenting on the result of an 1870 plebiscite which ratified some of Bonaparte’s reforms, he argued that such critics ‘ought to learn . . . that if they are true democrats, they should not again attempt to disturb the existing order at least during the Emperor’s Life’. To them, he wrote, ‘democracy seems to consist as often as not in the free use of the people’s name against the vast majority of the people’. Here was the proper capitalist response to mass politics: the forcible atomization of the people – nullifying organized labour to secure capital’s interests, with semi-sovereign support from a demobilized society.

    Richard Tuck has described the further modulations of this tradition in the twentieth century, visible in the work of Vilfredo Pareto, Kenneth Arrow and Mancur Olson among others. For these figures, collective action and interest-pooling were demanding and unattractive; voting in elections was usually carried out with reluctance rather than conviction; trade unions were equally beneficial to members and non-members; and the terms of the social contract often had to be forcibly imposed. In the 1950s, Arrow recycled an insight originally proffered by the Marquis de Condorcet, stating that it was theoretically impossible for three voters to ensure perfect harmony between their preferences (if voter one preferred A over B and C, voter two B over C and A, and three C over A and B, the formation of a majority preference was impossible without dictatorial intervention). Arrow’s ‘impossibility theorem’ was seized upon as evidence that collective action itself was bursting with contradictions; Olson radicalized it to advance his claim that free riding was the rule rather than the exception in large organizations. The conclusion that man was not naturally inclined to politics thus came to dominate this field of sceptical post-war literature.

    Towards the end of the twentieth century, with the drastic decline in voter turnout, the plunge in strike days and the wider process of withdrawal from organized political life, human apoliticism seemed to mutate from an academic discourse into an empirical reality. Whereas Kant spoke of ‘ungesellige Geselligkeit’, one could now speak of ‘gesellige Ungeselligkeit’: a social unsociability which reinforces rather than sublates atomization.

    As the decade of protests made clear, however, Bagehot’s formula no longer holds. Passive support for the ruling order cannot be assured; citizens are willing to revolt in significant numbers. Yet fledgling social movements remain crippled by the neoliberal offensive against civil society. How best to conceptualize this new conjuncture? Here the concept of ‘hyperpolitics’ – a form of politicization without clear political consequences – may be useful. Post-politics was finished off by the 2010s. The public sphere has been repoliticized and re-enchanted, but on terms which are more individualistic and short-termist, evoking the fluidity and ephemerality of the online world. This is an abidingly ‘low’ form of politics – low-cost, low-entry, low-duration, and all too often, low-value. It is distinct both from the post-politics of the 1990s, in which public and private were radically separated, and from the traditional mass politics of the twentieth century. What we are left with is a grin without a cat: a politics without policy influence or institutional ties.

    If the hyperpolitical present appears to reflect the online world – with its curious mix of activism and atomization – it can also be compared to another amorphous entity: the market. As Hayek noted, the psychology of planning and mass politics were closely related: politicians would bide their time over decades; Soviet planners read human needs across five-years plans; Mao, keenly aware of the longue durée, hibernated in rural exile for more than twenty years; the Nazis measured their time in millennia. The horizon of the market, however, is much nearer: the oscillations of the business cycle offer instant rewards. Today, politicians wonder whether they can launch their campaigns in a matter of weeks, citizens turn out to demonstrate for a day, influencers petition or protest with a monosyllabic tweet.

    The result is a preponderance of ‘wars of movement’ over ‘wars of position’, with the primary forms of political engagement as fleeting as market transactions. This is more a matter of necessity than of choice: the legislative environment for durable institution-building remains hostile, and activists must contend with a vitiated social landscape and an unprecedentedly expansive Kulturindustrie. Beneath such structural constraints lie questions of strategy. While the internet has radically lowered the costs of political expression, it has also pulverized the terrain of radical politics, blurring the borders between party and society and spawning a chaos of online actors. As Eric Hobsbawm observed, collective bargaining ‘by riot’ remains preferable to post-political apathy. The jacquerie of European farmers in the last months clearly indicates the (right-wing) potential of such wars of movement. Yet without formalized membership models, contemporary protest politics is unlikely to return us to the ‘superpolitical’ 1930s. Instead, it may usher in postmodern renditions of ancien régime peasant uprisings: an oscillation between passivity and activity, yet one that rarely reduces the overall power differential within society. Hence the K-shaped recovery of the 2020s: a trajectory that would please neither Bagehot nor Marx.

    #politique #philosophie #libéralisme #société #organisations #mouvement_ouvrier #activisme #individualisme

  • L’échec des protestations de masse à l’ère de l’atomisation
    https://lvsl.fr/lechec-des-protestations-de-masse-a-lere-de-latomisation

    L’époque est marquée par une résurgence des protestations, et une radicalisation de leur mode opératoire. Paradoxalement, elles ont une prise de moins en moins forte sur la réalité politique. Que l’on pense à l’invasion du Capitole aux États-Unis à l’issue de la défaite de Donald Trump, ou aux manifestations de masse qui secouent aujourd’hui l’Europe sur la question palestinienne, un gouffre se creuse entre les moyens déployés et l’impact sur le cours des choses. Pour le comprendre, il faut appréhender les décennies d’atomisation qui ont conduit à la situation actuelle, où la politique de masse semble condamnée à l’impuissance. Par Anton Jäger, traduction Alexandra Knez.
    Cet article a été originellement publié sur Sidecar, le blog de la New Left Review, sous le titre « Political Instincts ? ».

    Deux hommes en tenue paramilitaire de piètre qualité se tiennent l’un à côté de l’autre, leurs casquettes MAGA dépassant la marée tourbillonnante de drapeaux et de mégaphones. « On peut prendre ce truc », s’exclame le premier. « Et après, on fera quoi ? », demande son compagnon. « On mettra des têtes sur des piques ». Trois ans plus tard, ces scènes rocambolesques de l’émeute du Capitole du 6 janvier, désormais bien ancrées dans l’inconscient politique, apparaissent comme un miroir grossissant de l’époque. Elles illustrent surtout une culture dans laquelle l’action politique a été découplée de ses résultats concrets.

    Ce soulèvement a incité des milliers d’Américains à envahir le siège de l’hégémonie mondiale. Pourtant, cette action n’a pas eu de conséquences institutionnelles tangibles. Le palais d’hiver américain a été pris d’assaut, mais cela n’a pas débouché sur un coup d’État révolutionnaire ni sur un affrontement entre deux pouvoirs. Au lieu de cela, la plupart des insurgés – des fantassins de la lumpenbourgeoisie américaine, des vendeurs de cosmétiques new-yorkais aux agents immobiliers floridiens – ont rapidement été arrêtés sur le chemin du retour, incriminés par leurs livestreams et leurs publications sur les réseaux sociaux. Aujourd’hui, il ne reste plus grand-chose de cette fronde trumpienne, alors que l’ex-président se prépare à sa prochaine croisade. Un putsch similaire au Brésil n’a pas non plus abouti.

    • Le XIXè siècle a été marqué par un besoin plus pressant de garantir une passivité politique généralisée. Comme l’a fait remarquer Moses Finley, être citoyen dans l’Athènes d’Aristote c’était de facto être actif, avec peu de distinction entre les droits civiques et politiques, et des frontières rigides entre les esclaves et les non-esclaves. Dans les années 1830 et 1840, le mouvement pour le suffrage universel a rendu ces démarcations impossibles. Les prolétaires ambitionnaient de se transformer en citoyens actifs, menaçant ainsi l’ordre établi du règne de la propriété privée construit après 1789. Pour enrayer cette perspective, il fallait construire une nouvelle cité censitaire, dans laquelle les masses seraient exclues de la prise de décision, tandis que les élites pourraient continuer à mettre en œuvre la soi-disant volonté démocratique. Le régime plébiscitaire de Louis Bonaparte III, qualifié de « politique du sac de pommes de terre » dans Le 18 Brumaire de Marx, en est une manifestation. Cette « antirévolution créative », comme l’a appelée Hans Rosenberg, était une tentative de cadrer le suffrage universel en le plaçant dans des contraintes autoritaires qui permettraient la modernisation capitaliste.

      Walter Bagehot – sommité du magazine The Economist, théoricien de la Banque centrale et chantre de la Constitution anglaise – a défendu le coup d’État de Bonaparte en 1851 comme le seul moyen de concilier démocratisation et accumulation du capital. « Nous n’avons pas d’esclaves à contenir par des terreurs spéciales et une législation indépendante », écrivait-il. « Mais nous avons des classes entières incapables de comprendre l’idée d’une constitution, incapables de ressentir le moindre attachement à des lois impersonnelles. Le bonapartisme était une solution naturelle. La question a été posée au peuple français : « Voulez-vous être gouvernés par Louis Napoléon ? Serez-vous gouvernés par Louis Napoléon ou par une assemblée ? » Le peuple français répondit : « Nous serons gouvernés par le seul homme que nous pouvons imaginer, et non par le grand nombre de personnes que nous ne pouvons pas imaginer ».

      Bagehot affirmait que les socialistes et les libéraux qui se plaignaient de l’autoritarisme de Bonaparte étaient eux-mêmes coupables de trahir la démocratie. Commentant le résultat d’un plébiscite de 1870 qui a ratifié certaines des réformes de Bonaparte, il a affirmé que ces critiques « devraient apprendre […] que s’ils sont de vrais démocrates, ils ne devraient plus tenter de perturber l’ordre existant, au moins pendant la vie de l’empereur ». Pour eux, écrivait-il, « la démocratie semble consister le plus souvent à utiliser librement le nom du peuple contre la grande majorité du peuple ». Telle était la réponse capitaliste appropriée à la politique de masse : l’atomisation forcée du peuple – réprimant le syndicalisme pour garantir les intérêts du capital, avec le soutien passif d’une société démobilisée.

      Richard Tuck a décrit les nouvelles variantes de cette tradition au XXè siècle, dont témoignent les travaux de Vilfredo Pareto, Kenneth Arrow et Mancur Olson, entre autres. Pour ces personnalités, l’action collective et la mise en commun des intérêts étaient exigeantes et peu attrayantes ; le vote aux élections était généralement exercé avec réticence plutôt qu’avec conviction ; les syndicats profitaient autant aux membres qu’aux non-membres ; et les termes du contrat social devaient souvent être imposés par la force.

      Dans les années 1950, Arrow a recyclé une idée proposée à l’origine par le marquis de Condorcet, affirmant qu’il était théoriquement impossible pour trois électeurs d’assurer une harmonie parfaite entre leurs préférences (si l’électeur un préférait A à B et C, l’électeur deux B à C et A, et l’électeur trois C à A et B, la formation d’une préférence majoritaire était impossible sans une intervention dictatoriale). Le « théorème d’impossibilité » d’Arrow a été considéré comme une preuve que l’action collective elle-même était pleine de contradictions ; Olson l’a radicalisé pour promouvoir sa thèse selon laquelle le parasitisme était la règle plutôt que l’exception dans les grandes organisations. Ainsi la conclusion selon laquelle l’homme n’est pas naturellement enclin à la politique a fini par dominer ce domaine de la littérature sceptique de l’après-guerre.

      Vers la fin du vingtième siècle, avec la baisse drastique de la participation électorale, la forte baisse du nombre de jours de grève et le processus plus large de retrait de la vie politique organisée, l’apolitisme humain a semblé passer d’un discours académique à une réalité empirique. Alors que Kant parlait d’une « insociable sociabilité », on pourrait désormais parler d’une « insociabilité sociable » : une insociabilité qui renforce l’atomisation au lieu de la sublimer.

      Toutefois, comme l’a montré la décennie de contestations, la formule de Bagehot ne tient plus. Le soutien passif à l’ordre en place ne peut être assuré ; les citoyens sont prêts à se révolter en grand nombre. Pourtant, les mouvements sociaux naissants restent paralysés par l’offensive néolibérale contre la société civile. Comment conceptualiser au mieux cette nouvelle conjoncture ? Le concept d’ « hyperpolitique » – une forme de politisation sans conséquences politiques claires – peut s’avérer utile. La post-politique s’est achevée dans les années 2010. La sphère publique a été repolitisée et réenchantée, mais dans des termes plus individualistes et court-termistes, évoquant la fluidité et l’éphémérité du monde en ligne. Il s’agit d’une forme d’action politique toujours « modique » – peu coûteuse, accessible, de faible durée et, trop souvent, de faible valeur. Elle se distingue à la fois de la post-politique des années 1990, dans laquelle le public et le privé ont été radicalement séparés, et des politiques de masse traditionnelles du vingtième siècle. Ce qui nous reste, c’est un sourire sans chat (ndlr. Le chat de Cheshire d’Alice aux pays des merveilles) : une action politique sans influence sur les politiques gouvernementales ni liens institutionnels.

      Si le présent hyperpolitique semble refléter le monde en ligne – avec son curieux mélange d’activisme et d’atomisation – il peut également être comparé à une autre entité amorphe : le marché. Comme l’a noté Hayek, la psychologie de la planification et la politique de masse sont étroitement liées : les politiciens guettent leurs opportunités sur des décennies ; Les planificateurs soviétiques évaluaient les besoins humains au travers de plans quinquennaux ; Mao, très conscient de la longue durée, a hiberné en exil rural pendant plus de vingt ans ; les nazis mesuraient leur temps en millénaires. L’horizon du marché, lui, est beaucoup plus proche : les oscillations du cycle économique offrent des récompenses instantanées. Aujourd’hui, les hommes politiques se demandent s’ils peuvent lancer leur campagne en quelques semaines, les citoyens manifestent pour une journée, les influenceurs pétitionnent ou protestent avec un tweet monosyllabique.

      Il en résulte une prépondérance des « guerres de mouvement » sur les « guerres de position », les principales formes d’engagement politique étant aussi éphémères que les transactions commerciales. Il s’agit plus d’une question de nécessité que de choix : l’environnement législatif pour la mise en place d’institutions durables reste hostile, et les militants doivent faire face à un paysage social vicié et à une Kulturindustrie d’une ampleur sans précédent. Sous ces contraintes structurelles se cachent des questions de stratégie. Si l’internet a radicalement réduit les coûts de l’expression politique, il a également pulvérisé le terrain de la politique radicale, brouillant les frontières entre le parti et la société et engendrant un chaos d’acteurs en ligne. Comme le remarquait Eric Hobsbawm, la négociation collective « par l’émeute » reste préférable à l’apathie post-politique.

      La jacquerie des agriculteurs européens au cours des derniers mois indique clairement le potentiel (conservateur) de ces guerres de mouvement. Cependant, en l’absence de modèles d’adhésion formalisés, il est peu probable que la politique de protestation contemporaine nous ramène aux années « superpolitiques » de la décennie 1930. Au contraire, elle pourrait donner lieu à des reproductions postmodernes de soulèvements paysans de l’ancien régime : une oscillation entre la passivité et l’activité, mais qui réduit rarement le différentiel de pouvoir global au sein de la société. D’où la reprise en forme de K des années 2020 : une trajectoire qui n’aurait agréé ni à Bagehot, ni à Marx.

    • Texte original (EN) https://seenthis.net/messages/1049204

      Très intéressant.

      Le sujet mérite qu’on s’intéresse à ses raisons et expressions matérielles précises. Le texte en qustion ne mentionne jamais les relations entre les classes économiques et nous prive ainsi d’une compréhention effective du problème.


      Là on nous décrit des phénomènes et indique quelques penseurs non-matérialistes historiques qui ont travaillé sur la philosophie politique. Bref c’est le point de vue des puissants . Il faudra développer les idées en attaquant la réalité.

      cf. https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Th%C3%A8ses_sur_Feuerbach

      Le titre français de l’article est intéressant parce qu’il n’a rien à faire avec le sens de l’article. « Political Instinct ? » est le titre du text anglais. On y apprend qu’il y a « atomisation » et baisse des journées de grève mais c’est tout. On le savait déjà. On peut aller plus loin en passant de la théorie à la pratique.

      Conséquence de la réflexion : il faut défendre les organisations ouvrières et travailler pour la constitution de structures acceuillantes, solidaires et solides qui seront adaptées à notre existence à l’ère de l’internet.

      #politique #philosophie #libéralisme #société #organisations #mouvement_ouvrier #activisme #individualisme

  • De l’Europe à Bruxelles : Dites NON au Pacte sur la migration et l’asile !
    https://migreurop.org/article3244.html

    À l’occasion du vote du Parlement européen sur le nouveau Pacte sur la migration et l’asile, Migreurop se mobilise aux côtés de ses membres et de nombreuses associations de la société civile européenne pour résister collectivement contre les politiques européennes inhumaines sur la migration et l’asile. #Mobilisations

  • Von Europa nach Brüssel: Nein zur GEAS-Verschärfung! Für Widerstand und Solidarität, gegen Europas unmenschliche Migrations- und Asylpolitik!
    https://migreurop.org/article3247.html

    Anlässlich der Abstimmung des Europäischen Parlaments über den neuen Migrations- und Asylpakt mobilisiert Migreurop gemeinsam mit seinen Mitgliedern und zahlreichen europäischen Verbänden der Zivilgesellschaft zum kollektiven Widerstand gegen die inhumane europäische Migrations- und Asylpolitik. #Mobilisations

  • Bien manger, pour tout le monde : vers une #Sécurité_sociale_de_l’alimentation

    Pour donner accès à de bons aliments, produits localement et de bonne qualité, des initiatives essaiment à travers la France pour créer une #Sécurité_sociale de l’#alimentation. Le principe : donner accès à tout le monde au bien manger, en remboursant les aliments grâce à la solidarité. On vous emmène à #Saint-Étienne, dans un village du #Vaucluse et à #Montpellier, où citoyennes et citoyens montrent la voie.

    https://basta.media/bien-manger-pour-tout-le-monde-vers-une-securite-sociale-de-l-alimentation

    #SSA #sécurité_sociale_alimentaire

  • La féodalité latine en Palestine
    https://laviedesidees.fr/Florian-Besson-Les-Seigneurs-Terre-sainte

    L’installation des croisés en Palestine au XIe siècle donne naissance à un monde original : une féodalité orientale née de bricolages multiples entre différentes cultures politiques, au sein de laquelle les seigneurs manient les armes, l’argent et les mots, dans une perpétuelle compétition. À propos de : Florian Besson, Les Seigneurs de la Terre sainte. Pratiques du pouvoir en Orient latin (1097-1230), Classiques Garnier

    #Histoire #Moyen_Âge #Moyen-Orient
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240404-carraz.pdf