• Nantes : des fusils d’assaut au milieu des charges de CRS
    Contre Attaque - 19 mars 2023
    Le HK G36 est un fusil d’assaut de la firme allemande Heckler et Koch, calibre 5,56 mm.
    https://contre-attaque.net/2023/03/19/nantes-des-fusils-dassaut-au-milieu-des-charges-de-crs

    La police française en a été dotée au nom de l’antiterrorisme, à partir de 2015. Cette arme de guerre tire jusqu’à 750 coups par minute. Les balles de ce calibre éclatent au contact d’un os ou perforent le corps, elles sont destinées à faire le plus de dégât possible sur un champ de bataille. Leur usage est militaire.

    Sur cette photo prise samedi 18 mars, au cœur de la ville de Nantes, ce fusil d’assaut est brandi par un CRS dépassé, en plein milieu de charges et de tirs de lacrymogènes, entre les manifestant-es et les passant-es. (...)

    #Maintien_de_l'ordre, #Violences_policières

  • La politica dell’Unione europea sui biocarburanti fa male al clima e ai sistemi alimentari

    Per produrre gli eco-combustibili utilizzati oggi in Europa si coltivano mais, colza e palma da olio su una superficie di 9,6 milioni di ettari, che basterebbe a sfamare 120 milioni di persone. “L’Ue non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi”, denunciano T&E e Oxfam

    “I biocarburanti vegetali sono probabilmente la cosa più stupida mai promossa in nome del clima”. Non ha usato mezzi termini Maik Marahrens, biofuels manager di Transport&Environment nel commentare il nuovo rapporto pubblicato il 9 marzo che la federazione europea per i trasporti e l’ambiente ha curato insieme all’Ong Oxfam.

    Oggi l’Europa utilizza l’equivalente di circa 9,6 milioni di ettari di terre agricole (una superficie pari a quella dell’Irlanda) per coltivare colza, mais, soia, barbabietole da zucchero, grano e altre derrate alimentari che, invece di finire sulle nostre tavole, vengono utilizzati per produrre bioetanolo, biodiesel e biometano. “Stiamo cedendo vaste porzioni di terra per coltivazioni che poi bruciamo nelle nostre automobili -riprende Marahrens-. È uno spreco scandaloso: questi terreni potrebbero sfamare milioni di persone o, se restituiti alla natura, potrebbero diventare serbatoi di carbonio ricchi di biodiversità”.

    L’utilizzo di questi combustibili era stato introdotto a livello europeo con la Eu Renewable energy directive (Red) del 2009 con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili; ma già le successive direttive in materia (2015 e 2018) hanno introdotto delle limitazioni all’uso di biocarburanti di origine alimentare. Oggi Germania e Francia sono i due Paesi che ne consumano le maggiori quantità (facendo affidamento rispettivamente sull’olio di palma, che viene importato, e sulla colza) seguiti da Svezia, Regno Unito, Spagna e Italia.

    “Il consumo di biocarburanti di origine vegetale in Europa richiede un’area totale di 9,6 milioni di ettari, pari al 9,2% del totale dei terreni coltivati nel continente”, si legge nel report che evidenzia come la gran parte di questa superficie (circa due terzi) si trovi in Europa. Mentre la quota restante, dove vengono coltivate soprattutto palma da olio e soia, si trova in Asia e in America Latina.

    Ma che cosa succederebbe se queste superfici venissero destinate ad altri scopi? La prima opzione presa in considerazione nel report riguarda la possibilità di abbandonare le monocolture per la produzione di mais e colza per da trasformare in biocombustibili per lasciare spazio al ritorno della vegetazione naturale e al ripristino dei boschi: “Questo permetterebbe di rimuovere dall’atmosfera 64,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno -si legge nel report- circa il doppio del risparmio netto generato, in termini di minori emissioni, dall’utilizzo di biocarburanti pari a circa 32,9 milioni di tonnellate”. La rinaturalizzazione di queste aree avrebbe poi ulteriori benefici, rappresentando un argine alla perdita di biodiversità che oggi interessa circa l’80% degli habitat del continente, secondo una stima della Commissione europea: “L’occupazione di vaste aree con monocolture per i biocarburanti significa invariabilmente meno spazio per gli ecosistemi naturali e meno habitat per piante e animali selvatici”, sottolinea il report.

    La seconda possibilità prevede la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. I biocarburanti consumati in Europa consentono di percorrere circa 329mila milioni di chilometri: “Per coprire la stessa distanza con auto elettriche alimentate con energia prodotta da pannelli fotovoltaici servirebbe una superficie di 0,133 milioni di ettari -spiega Horst Fehrenbach dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale (Ifeu), che ha curato la ricerca per conto di T&E e Oxfam-. In questo modo il 97,5% della superficie oggi utilizzata per produrre biocombustibili potrebbe essere destinata ad altro uso”.

    La terza possibile alternativa riguarda l’utilizzo dei terreni oggi destinati alla produzione di biocarburanti per coltivare generi alimentari destinati al consumo umano: secondo le stime contenuta nel report se la superficie oggi utilizzata solo in Europa (escludendo quindi dal conteggio le piantagioni in altri continenti) venisse utilizzata per produrre grano questo permetterebbe di soddisfare il fabbisogno calorico di circa 120 milioni di persone, circa un quarto della popolazione del continente. “La politica dell’Unione europea sui biocarburanti è una catastrofe per centinaia di milioni di persone che lottano per portare in tavola il loro prossimo pasto -commenta Julie Bos, consulente per la giustizia climatica dell’Unione europea di Oxfam-. Non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi dei prodotti alimentari. I Paesi europei devono smettere una volta per tutte di usare il cibo per produrre carburante”.

    Marahrens ricorda poi come “ogni giorno 15 milioni di pagnotte e 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e di colza vengono bruciati nei motori di camion e automobili. Continuare a farlo mentre il mondo sta affrontando una crescente crisi alimentare globale è al limite del criminale. Paesi come la Germania e il Belgio stanno discutendo di limitare i biocarburanti per le colture alimentari. Il resto dell’Europa deve seguirne l’esempio”.

    https://altreconomia.it/la-politica-dellunione-europea-sui-biocarburanti-fa-male-al-clima-e-ai-

    #biocarburants #alimentation #terres #agriculture #maïs #colza #huile_de_palme

    • Biofuels: An obstacle to real climate solutions

      The EU wastes land the size of Ireland on biofuels, missing enormous opportunities to fight climate change, biodiversity loss and the global food crisis.

      A new study by the IFEU institute quantifies for the first time the enormous opportunity costs across Europe of dedicating millions of hectares of fertile cropland to the production of biofuels. The results are clear – this land could be used much better in the interest of mitigating climate change, stemming biodiversity loss or increasing global food security.

      In 2009, the European Union (EU) introduced a biofuels mandate as part of its green fuels law, the ‘#Renewable_Energy_Directive’ (RED). The proposition at the time was attractive: farmers would be supported to produce ‘green fuels’. In reality, biofuels have harmed food security and obstructed climate change mitigation.

      The study carried out by the Institut für Energie- und Umweltforschung (IFEU) on behalf of T&E shows that production of crops for biofuels consumed in Europe requires 9.6 Mha of land – an area larger than the island of Ireland. This is 5.3 Mha if the production of co-products, mainly feed for industrial livestock farming, is taken into account.
      Key findings

      - If this land were returned to its natural state (‘rewilded’) it could absorb around 65 million tonnes of CO2 from the atmosphere – nearly twice the officially reported net CO2 savings from biofuels replacing fossil fuels.
      - Using the land for solar farms would be far more efficient. You need 40 times more land to power a car using biofuels vs an electric car powered by solar. Using an area equivalent to just 2.5% of this land for solar panels would produce the same amount of energy.
      - Crops cultivated on these lands could be used to provide the calorie needs of at least 120 million people.

      https://www.transportenvironment.org/discover/biofuels-an-obstacle-to-real-climate-solutions

      #rapport

  • Il y a 8 ans, le 6 mars 2015, lors d’un Cercle Léon Trotsky, LO analysait le conflit dans lequel était déjà plongée l’Ukraine. On peut consulter cet exposé ici :

    Un quart de siècle après l’éclatement de l’URSS, le peuple ukrainien victime des rivalités entre l’impérialisme et la Russie de Poutine
    https://www.lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/un-quart-de-siecle-apres-l
    #conférenceLO du 6 mars 2015

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/CLT-Ukraine-part1.mp4

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20150306_CLT_Ukraine_part2.mp4

    Sommaire :

    De la «  prison des peuples  » à l’Union des républiques socialistes soviétiques
    – La guerre civile en Ukraine

    Le charcutage de l’Europe de l’Est par l’impérialisme

    La bureaucratie stalinienne piétine le droit des peuples

    De Yalta à l’éclatement de l’Union soviétique

    La disparition de l’Union soviétique sous l’effet des forces centrifuges
    – La prudence initiale des dirigeants impérialistes
    – Le pillage légalisé sous couvert de «  l’économie de marché  »
    – L’indépendance des Républiques ex-soviétiques

    L’indépendance de l’Ukraine en 1991
    – Bureaucrates et oligarques se partagent pouvoir et richesses…

    Les grandes manœuvres des impérialistes autour de la Russie

    Poutine et la restauration de la puissance de l’État russe

    L’Ukraine, arène sanglante des rivalités entre les impérialistes et le Kremlin
    – L’Union européenne n’a que du sang et des larmes à proposer à l’Ukraine
    – La population ukrainienne, victime des oligarques et de la crise économique
    – Les manifestations du Maïdan encadrées par des partis réactionnaires
    – L’Ukraine bascule dans une guerre civile meurtrière

    Les travailleurs doivent opposer leurs propres intérêts au piège mortel de la guerre

    #ukraine #maïdan #guerre #lutte_de_classe #Poutine #oligarchie #oligarques #État_russe #russie #impérialisme #manifestations #bureaucratie #histoire #droit_des_peuples #UE #union_européenne #États-Unis #révolution_russe

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.

  • Cyberattaque de la mairie de Lille : « on apprend à travailler sans ordinateur » Alice Rougerie

    Retour au papier et au crayon à la mairie de Lille. Les ordinateurs restent éteints, les systèmes informatiques sont désactivés depuis la cyber attaque qu’a subi la ville mardi soir. Et cela pourrait durer.

    Ecran noir toujours sur les ordinateurs de la ville. A la mairie de Lille, une nouvelle organisation se met en place et cela pourrait durer plusieurs semaines. Trois, au moins. « Mais 95% des services fonctionnent normalement pour les usagers, rassure Audrey Linkenheld, première adjointe au maire de Lille, les plus touchés sont l’administratif et le support, cela ne change rien pour les Lillois. » Certes, le standard de la mairie restera coupé jusqu’à lundi mais les services courants fonctionnent : état civil, cantine, etc.

    Par mesure de précaution, tous les ordinateurs des employés restent éteints donc, jusqu’à nouvel ordre. « On se voit, on se parle, on va d’un bureau à l’autre, ça marche bien aussi », ironise l’élue. Une autre mesure, encore plus contraignante, a même été prise :

    Maintenir hors ligne tous les systèmes informatiques : une mesure décidée dès mercredi matin, quelques heures après la cyberattaque. Pas d’informatique, cela veut dire, plus de billetteries pour les services payants de la ville comme le zoo, les piscines ou les musées. Pas question pour la mairie de fermer ces lieux. Mais pas moyen non plus de payer par carte bancaire, seuls les chèques et espèces pourraient être acceptés. Alors sans parler de « gratuité » , la mairie parle pour l’instant de lieux « ouverts ». « Nous réfléchissons à un plan de continuité pour ces activités, précise l’adjointe au maire, il pourrait être présenté en début de semaine prochaine ». 
    . . . . .
    La suite : https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/nord-0/lille/cyberattaque-de-la-mairie-de-lille-c-est-une-source-de-

    #dématérialisation des #services_publics #Cyberattaque #mairie #Lille #administration

    • #Quebec La transition informatique à la SAAQ tourne au cauchemar pour certains commerçants Stéphane Bordeleau - Stéphane Bordeleau - Radio Canada

      Les perturbations entourant l’implantation du système SAAQclic à la Société de l’assurance automobile du Québec (SAAQ) causent de sérieux maux de tête à des commerçants du secteur automobile, dont certains se retrouvent dans l’incapacité complète de livrer des véhicules aux clients.

      C’est notamment le cas de Stéphane Laframboise, président d’Unik Auto Import, une entreprise d’importation de véhicules automobiles, dont les opérations sont paralysées depuis des jours faute de pouvoir mener à bien les processus d’immatriculation à la SAAQ.

      Lorsqu’ils achètent des véhicules à l’extérieur du Québec, les concessionnaires ou les entreprises doivent d’abord les faire intégrer à la banque des véhicules du Québec via les services de la SAAQ. Ils doivent ensuite faire subir une inspection mécanique obligatoire au véhicule et finalement le faire immatriculer au nom du client.

      Tout cela nécessite en moyenne trois rendez-vous à la SAAQ pour un petit commerçant comme Stéphane Laframboise. Du moins avant l’arrivée du nouveau système informatique SAAQclic, qu’il a rebaptisé “le crash”.

      En ce moment, il y a plein de mes véhicules qui sont pris au CN “. Je suis obligé de les laisser là. J’ai aussi un entrepôt que j’ai loué à Lachine [3500 $ par mois] qui est complètement plein de véhicules et j’en ai huit chez nous depuis hier. Ça n’a aucun sens !”

      “J’ai un petit marché. C’est 100 véhicules par année. Ça demande tout l’effort du monde. En ce moment, j’ai 100 000 $ en inventaire, je fais quoi avec ça ? Je ne suis pas Lexus”, s’inquiète l’importateur.

      Tout naturellement, Stéphane Laframboise s’est tourné vers la ligne téléphonique de soutien aux commerçants de la SAAQ, où il a passé des heures sans jamais parler à un humain. La ligne raccroche automatiquement après 3 h 20 d’attente. (#IA)

      Dans l’incapacité de faire intégrer, inspecter et immatriculer les véhicules qu’elle achète, l’entreprise de Stéphane Laframboise est complètement paralysée. “On est foutu, sincèrement […] qu’est-ce que tu veux que je fasse”, se demande le commerçant.

      La situation est aussi problématique dans les plus gros commerces et les concessionnaires de grandes marques, confirme Ian P. Sam Yue Chi, PDG de la Corporation des concessionnaires automobiles du Québec.

      “Oui, on vit des difficultés à l’échelle de tous les concessionnaires du Québec. Vous savez, on en a 890”, explique M. Sam Yue Chi.

      Or, pour les concessionnaires, qui doivent déjà composer avec des délais de livraison en raison des perturbations de la chaîne d’approvisionnement, l’ajout de délais supplémentaires dus aux problèmes informatiques à la SAAQ n’était pas envisageable.
      . . . . .
      La suite : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1960499/saaq-concessionnaires-commercants-delais-majeurs

      #voitures #immatriculation nouveau #logiciel #dématérialisation des #services_public #informatisation

    • #Canada : Hélicoptères militaires : Ottawa devra payer pour résoudre un problème de logiciel La Presse canadienne - Radio Canada

      Un problème logiciel toujours non résolu, défini comme la principale cause d’un accident mortel d’hélicoptère militaire au large des côtes grecques en 2020, sera éventuellement réglé, mais aux frais d’Ottawa − à un coût et dans un délai encore à déterminer.

      Le ministère de la Défense et le constructeur américain Sikorsky Aircraft ont déclaré qu’ils avaient convenu d’un plan pour résoudre le problème du pilote automatique, qui permet à l’ordinateur du CH-148 Cyclone de prendre la place des humains dans certaines situations. Mais près de trois ans après que cet ennui technique a provoqué la chute d’un Cyclone dans la mer Ionienne, tuant les six militaires canadiens à bord, on ne sait toujours pas à quel moment cette solution sera mise en oeuvre


      La porte-parole du ministère de la Défense, Jessica Lamirande, a indiqué dans un courriel qu’il était trop tôt pour discuter des coûts et du calendrier. Une chose a cependant été finalisée : c’est le fédéral qui paiera la note.

      Mme Lamirande a précisé que les mises à niveau prévues des logiciels ne sont pas couvertes par le contrat de 9 milliards de dollars conclu par le gouvernement canadien avec Sikorsky en 2004 pour la livraison et l’entretien de 28 hélicoptères Cyclone.

      . . . . . .
      La suite : https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1960670/sikorsky-aircraft-helicoptere-militaire-canada-logiciel

  • « Que les pays du Nord puissent faire appel à une main-d’œuvre des pays du Sud inépuisable, bon marché et prête à migrer, est aujourd’hui plus que questionnable » Tribune de Jamal Bouoiyour
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/02/27/que-les-pays-du-nord-puissent-faire-appel-a-une-main-d-uvre-des-pays-du-sud-

    La migration de travail a toujours navigué entre des besoins de qualification de plus en plus pressants du marché du travail et les atermoiements à répétition des responsables politiques. Il est vrai que ces derniers sont soumis à la pression d’une opinion publique généralement peu favorable au recours à la main-d’œuvre étrangère. Mais avec l’accélération du vieillissement de la population, sous le double effet d’une natalité chancelante et d’une espérance de vie qui n’en finit pas d’augmenter, cet équilibre devient fragile. Le gouvernement, en proposant un projet de loi instaurant la création d’un titre de séjour des « métiers sous tension », réactive un vieux débat, celui de la fuite des cerveaux. Si certaines des branches qui souffrent d’un manque structurel de main-d’œuvre (BTP, hôtellerie-restauration, transport routier, infirmiers, aides à domicile, sans oublier le secteur agricole) donnent l’impression que les besoins se font sentir principalement dans des secteurs où la main-d’œuvre est peu ou moyennement qualifiée, il s’avère que les pénuries sont aussi persistantes dans les secteurs demandant du personnel hautement qualifié (ingénieurs, médecins…). Ce phénomène n’est pas propre à la France, il concerne pratiquement tous les pays du Nord. On assiste dès lors à une vraie bataille entre ces pays afin d’attirer les talents, surtout ceux, plus nombreux, originaires des pays du Sud. Cette course aux talents est exacerbée par les mutations technologiques et la double transition verte et numérique. (...)
    Le recours à la main-d’œuvre étrangère paraît dès lors comme une évidence malgré les réticences de l’opinion publique. Ce qui nous renvoie à une question éthique : la migration de personnes hautement qualifiées apparaît en effet comme une action qui peut nuire au pays d’origine. Le schéma classique, qui repose sur l’hypothèse que les pays du Nord puissent faire appel à une main-d’œuvre des pays du Sud inépuisable, bon marché et prête à migrer, est aujourd’hui plus que questionnable. La littérature économique est unanime sur le rôle primordial du capital humain dans l’accélération de la croissance économique et du développement des pays. Puiser sans contrepartie dans le vivier des talents des pays du Sud, c’est leur ôter leur facteur de production le plus important. C’est économiquement coûteux, politiquement indéfendable et éthiquement impardonnable.
    Certains économistes avaient proposé, dans les années 1970, de taxer les travailleurs qualifiés des expatriés au bénéfice de leur pays d’origine (la « taxe Bhagwati », du nom de l’économiste indo-américain Jagdish Natwarlal Bhagwati), afin de compenser la perte causée par leur émigration et les coûts de leur éducation supportés par ces pays pauvres.(...) Ce raisonnement nous semble aujourd’hui suranné : la mobilité est un droit, et on ne peut pas empêcher une personne, surtout si elle est éduquée et bien informée, de choisir sa destinée librement. Mais, compte tenu du manque à gagner des pays d’origine et du coût de formation des futurs migrants, surtout les plus diplômés (la formation d’un ingénieur peut coûter la bagatelle de 150 000 euros), on ne peut faire l’économie d’une réflexion sereine sur la question de la « fuite des cerveaux » : ......

    #Covid-19#migrant#migration#postcovid#politiquemigratoire#migrationqualifiée#diaspora#retour#circulation#maindoeuvre#formation#Nord#Sud

  • At least one open source vulnerability found in 84% of code bases: Report | CSO Online
    https://www.csoonline.com/article/3688911/at-least-one-open-source-vulnerability-found-in-84-of-code-bases-report.h

    Almost all applications contain at least some open source code, and 48% of all code bases examined by Synopsys researchers contained high-risk vulnerabilities.

    By Apurva Venkat

    Principal Correspondent, CSO | Feb 23, 2023 11:36 am PST

    At a time when almost all software contains open source code, at least one known open source vulnerability was detected in 84% of all commercial and proprietary code bases examined by researchers at application security company Synopsys.

    In addition, 48% of all code bases analyzed by Synopsys researchers contained high-risk vulnerabilities, which are those that have been actively exploited, already have documented proof-of-concept exploits, or are classified as remote code execution vulnerabilities.

    The vulnerability data — along with information on open source license compliance — was included in Synopsys’ 2023 Open Source Security and Risk Analysis (OSSRA) report, put together by the company’s Cybersecurity Research Center (CyRC).
    [ Learn 8 pitfalls that undermine security program success and 12 tips for effectively presenting cybersecurity to the board. | Sign up for CSO newsletters. ]

    The report is based on analysis of audits of code bases involved in merger and acquisition transactions and highlights trends in open source usage across 17 industries. (Synopsys’ Audit Services unit audits code to identify software risks for companies involved in merger and acquisition deals.)

    The audits examined 1,481 code bases for vulnerabilities and open source licensing compliance, and 222 other code basess were analyzed only for compliance.

    Open source vulnerabilities increase

    The OSSRA report is based on code audits done in 2022, in which the number of known open source vulnerabilities rose by 4% from 2021.

    “Open source was in nearly everything we examined this year; it made up the majority of the code bases across industries,” the report said, adding that the code bases contained troublingly high numbers of known vulnerabilities that organizations had failed to patch, leaving them vulnerable to exploits.

    All code bases examined from companies in the aerospace, aviation, automotive, transportation, and logistics sectors contained some open source code, with open source code making up 73% of total code. Sixty-three percent of all code in this sector (open source and proprietary) contained vulnerabilities classified as high risk, those with a CVSS severity score of 7 or higher.

    In the energy and clean tech sector, 78% of the total code was open source and 69% contained high-risk vulnerabilities.

    Though code bases from companies in these sectors had higher percentages of total vulnerabilities than other sectors, “similar findings, to lesser degrees, played out across all industries,” according to the report.

    Open source adoption jumps

    The percentage of open source code has risen in code bases in all industry verticals over the last five years, according to the OSSRA report.

    Between 2018 and 2022, for example, the percentage of open source code within scanned code bases grew by 163% in technology for the education sector; 97% in aerospace, aviation, automotive, transportation, and logistics; and 74% in manufacturing and robotics.

    “We attribute EdTech’s explosive open source growth to the pandemic; with education pushed online and software serving as its critical foundation,” the report said.
    High-risk vulnerabilities rise

    Meanwhile, there has been an increase in high-risk vulnerabilities across all sectors. For instance, aerospace, aviation, automotive, transportation, and logistics companies recorded a 232% increase in high-risk vulnerabilities in the 5-year period.

    “Much of the software and firmware used in these industries operate within closed systems, which can reduce the likelihood of an exploit and may lead to a lack of urgency in the need to patch it,” Synopsys said.

    High-risk vulnerabilities in IoT-related code bases have jumped 130% since 2018.

    “This is particularly concerning when we think about the utility of IoT devices; we connect many aspects of our lives to these devices and trust in the inherent safety in doing so,” the researchers noted.
    Available patches not applied

    Of the 1,481 code basess examined by the researchers that included risk assessments, 91% contained outdated versions of open-source components, which means an update or patch was available but had not been applied.

    The reason for this could be that devsecops teams might determine that the risk of unintended consequences outweighs whatever benefit would come from applying the newer version. Researchers say that time and resources could also be a reason.

    “With many teams already stretched to the limit building and testing new code, updates to existing software can become a lower priority except for the most critical issues,” the report said.

    In addition, devsecops teams may not know when there is a newer version of an open source component available — if they are aware of the component at all, the report said.
    SBOMs help maintain code quality, compliance

    To avoid vulnerability exploits and keep open source code updated, organizations should use a software bill of materials (SBOM), the report suggests.

    A comprehensive SBOM lists all open source components in applications as well as licenses, versions, and status of patches.

    An SBOM of open source components allows organizations to pinpoint at-risk components quickly and prioritize remediation appropriately, the report added.

    #Logiciels_libres #Sécurité #Maintenance

    • LE MEURTRIER PRÉSUMÉ DE M. TRAMONI EST ARRÊTÉ
      https://www.lemonde.fr/archives/article/1977/12/06/le-meurtrier-presume-de-m-tramoni-est-arrete_2855506_1819218.html

      En Allemagne comme en France ou Japon les tentatives maoïstes d’appliquer les stratégies du grand timonier dans un milieu citadin moderne ont tragiquement échoué. Il faut leur reprocher comme aux groupes armés autonomes et anarchistes que leurs actions ont permis à la droite de justifier l’introduction de mesures de surveillance et d’articles du code pénal qui visent encore aujourd’hui les militants et symdicalistes pacifiques. Cette histoire de violence est aussi un bon exemple pour expliquer pourquoi les justifications morales contrairement à l’analyse scientifique sont un leurre. Ce n’est pas parce que tu es révolté par l’injustice que ton sentiment romantique sera partagé par qui que ce soit.

      M. Christian Harbulot, recherché depuis le meurtre, le 23 mars, à Limeil-Brévannes (Val-de-Marne), de Jean-Antoine Tramoni (qui avait lui-même tué, le 25 février 1972, un jeune militant maoïste, Pierre Overney), a été arrêté samedi 3 décembre à Paris dans un café du troisième arrondissement.

      Cinq ans après avoir tué, par balles, le 25 février 1972, devant la porte Zola des usines Renault, à Boulogne-Billancourt (Hauts-de-Seine) Pierre Overney, son meurtrier, Jean-Antoine Tramoni, ancien employé des services de surveillance de la régie Renault, était tué de cinq balles de 11,43.

      Condamné le 13 janvier 1973 à quatre ans de prison par la cour d’assises de Paris, J.-A. Tramoni avait bénéficié le 29 octobre 1974 d’une libération conditionnelle et trouvé un emploi dans une autoécole.

      Trois suspects ont été arrêtés le 31 mars. MM. Henri Savouillan, Maurice Marais et Egbert Slaghuis ont été inculpés de complicité d’assassinat. L’un d’eux est accusé d’avoir fourni l’arme qui a tué Jean-Antoine Tramoni, les deux autres, les projectiles (le Monde du 5 avril).

      Trois autres personnes arrêtées le 13 mai portant des armes qui avaient servi à plusieurs attentats mortels, dont le meurtre de Jean-Antoine Tramoni, sont aussi détenues dans cette affaire ; il s’agit de MM. Michel Lapeyre, Frédéric Oriach et Jean-Paul Gérard (le Monde des 28 mai et 6 octobre).

      Le meurtre de Tramoni était bientôt revendiqué par l’organisation dite Noyaux armés pour l’autonomie populaire . Les soupçons de la police se portaient aussi sur M. Christian Harbulot, car une carte d’identité portant son nom avait été trouvée, trois semaines avant la mort de Tramoni, ainsi que des armes, dans une automobile. Cette voiture stationnait devant le domicile de J.-A. Tramoni, à Alfortville. Poursuivi par la police, le conducteur avait tiré sur les policiers avant de s’enfuir.

      #souvenir_de_luttes #noyaux_armés_pour_l_autonomie_populaire

    • https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Pierre_Overney

      Grâce à Wikipedia on découvre que la police a fait publier dans Le Monde les noms de militants qui n’ont pas été impliqués dans l’assassinat. Ce genre de sale coup a beaucoup nuit aux mouvement contestataires.

      Le 23 mars 1977, vers 19 heures, Jean-Antoine Tramoni est assassiné à Limeil-Brévannes par deux tueurs à moto. Le crime est revendiqué par les NAPAP (Noyaux armés pour l’autonomie populaire), composés pour partie d’anciens militants de la Gauche prolétarienne. Les assassins ne seront jamais retrouvés.

      On a eu droit à la reprise du terme #terrorisme qui a d’abord servi à l’occupant allemand pour dénoncer les actes de résistance en France. Désormais tu risquais d’être poursuivi en justice pour avoir soutenu des #terroristes dès qu’on te répérait au sein d’une manifestation sous attaque des forces de l’ordre. On fît taire les moins courageux en les accusant de terrorisme pour leur critique écrite du capitalisme. En Allemagne les associations kurdes sont sytématiquement objets de ce procédé.

      https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Noyaux_arm%C3%A9s_pour_l%27autonomie_populaire

      Les Noyaux armés pour l’autonomie populaire (NAPAP) sont un groupuscule armé français maoïste, qui apparaît en France en décembre 1976.

      Ils sont issus de l’organisation légale des Brigades internationales, Vaincre et vivre. D’obédience marxiste-léniniste, l’un des principaux dirigeants et idéologues des NAPAP fut Frédéric Oriach, un proche de Pierre Carette, membre-fondateur des Cellules communistes combattantes belges. Frédéric Oriach des NAPAP influença idéologiquement les CCC. Le chef présumé des NAPAP, selon la police, fut Christian Harbulot.

    • 25 février 1972 : assassinat de Pierre Overney (#Renault_Billancourt) | #archiveLO (7 mars 1972)
      – Malgré la désertion du #PCF & de la #CGT, une foule immense avec #Pierre_Overney (28 février)
      – Ce qui compte le plus : la liberté !
      – La direction réagit en licenciant les témoins du meurtre

  • État de droit vs état de "droite" : dérives d’un #maintien_de_l'ordre assujetti à l’idéologie du #trouble_à_l'ordre_public, tout est configuré pour que soient acceptées les #violences_policières

    Sebastian Roché : « Un certain degré de brutalité est accepté au prétexte du maintien de l’ordre » - Basta !
    https://basta.media/sebastien-roche-un-certain-degre-de-brutalite-est-accepte-au-pretexte-du-ma

    Une autre particularité du maintien de l’ordre en France est d’envoyer face aux mouvements sociaux des unités non ou très peu formées… Comment cela a-t-il pu se produire ?

    Ces unités sont clairement constituées pour faire peur, pour sidérer les gens. C’est leur but. Pendant les gilets jaunes, les DAR (détachements d’action rapide), les blindés à roues de la gendarmerie nationale, les hélicoptères, les drones, sont destinés à montrer la supériorité matérielle de la police. Tout comme les policiers en civil, équipés de casques de motos et de leurs propres matraques – cela fait penser à la police sud-américaine peu sous contrôle de la loi. Ce qui a provoqué cela, c’est probablement le sentiment qu’a eu Emmanuel Macron d’être submergé lors du mouvement des Gilets jaunes.
    Le pouvoir a alors confondu une série d’incidents – quand par exemple des Gilets jaunes ont tenté de forcer la porte d’un ministère avec un engin de chantier trouvé par hasard à proximité – avec une tentative planifiée de renversement de régime. Le mouvement des Gilets jaunes, ce n’est pas la préparation par les Soviets de la prise du pouvoir en Russie en 1917 ! Quand on qualifie d’« extrêmement violent » des groupes dont la principale revendication est d’introduire un référendum d’initiative populaire, c’est que l’on n’a pas compris le désespoir des citoyens.

    • #mouarf Le comportement de la police peut varier d’une période à une autre, parce qu’il est en large partie déterminé par la violence des rapports sociaux eux-mêmes. Mais il n’y a pas, et il n’y aura jamais de «  bonne police  » tant que la société sera construite sur les bases de l’exploitation (État de droit ou pas). Pour que les violences policières cessent, il faudra que cessent les violences de classe.

    • Je ne vois pas où l’article parle de « bonne police » (sauf à citer Sarkozy, ce qui, tu en conviens, n’est pas contreproductif). L’article est intéressant dans le sens où il compare des situations de violences de classes différentes suivant les états de l’UE et met en évidence le contexte social lié aux actions répressives de la police. Bon, bref : je ne vais pas paraphraser ce qui est dit dans l’article, je t’invite juste à le relire.

      Pour que les violences policières cessent, il faudra que cessent les violences de classe.

      ... et réciproquement.
      Continuons à nous payer de mots et à enfoncer des portes ouvertes. Pendant ce temps, les crapules fascistoïdes arment leurs « polices ».

    • Le chercheur interviewé ne pose jamais fondamentalement la question du pouvoir, il déplore seulement que celui-ci « ne regarde plus la manifestation comme une colère collective, mais uniquement comme un trouble potentiel à l’ordre public ». Partant, il ne propose aucune solution d’ordre social, mais, en chercheur partisan de l’ordre existant, proposent que ce pouvoir bonifie sa « culture politique » (sa vision des choses) et prenne d’autres « décisions politiques » – des décisions plus « protectrice des droits individuels » comme, par exemple, l’institution de « mécanisme de contrôle ». C’est peut-être enfoncer une porte ouverte que de rappeler que la police (à l’instar de l’État) est une arme de classe contre les travailleurs, il ne me semble pas que l’auteur fasse beaucoup mieux en faisant mine de croire que la lutte contre les violences et les exactions policières passerait par une réforme de la police ou du ministère de l’Intérieur. Cette lutte, elle se fera sur le terrain des masses en lutte, et nulle par ailleurs. C’est par leur nombre, par leur force collective, par leur organisation, que ces masses en lutte devront trouver les moyens de s’opposer à la police, de contre-attaquer face à ses attaques, voire de la vaincre – et certainement pas du côté de l’État et de ses administrateurs. Car quoi qu’il soit décidé aujourd’hui pour encadrer et contrôler la police, le jour où, dans une période révolutionnaire, celle-ci sera lâchée sur les manifestants, les grévistes, les militants, elle ne fera aucun détail, quitte à massacrer et à assassiner en masse. Et alors il n’y aura aucune vision ni aucun texte de loi pour les rappeler à l’ordre – si je puis dire.

    • https://www.liberation.fr/france/2019/08/27/l-ecole-des-commissaires-evince-un-sociologue-critique-a-l-egard-de-la-po

      Directeur de recherche au CNRS et spécialiste des relations entre police et population, le chercheur avait dénoncé plusieurs fois, pendant le mouvement des gilets jaunes, un usage disproportionné de la force, ainsi que la faiblesse du contrôle des agents. « L’école reste dans un système dirigé par le ministre de l’Intérieur, je pense que j’ai déplu au prince et que c’est une décision politique », estime-t-il.

  • Loi sur l’immigration : diviser dans l’intérêt du patronat

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/02/08/loi-sur-limmigration-diviser-dans-linteret-du-patronat_49414

    Le projet de #loi_Immigration a été présenté en Conseil des ministres le 1er février. Depuis les années 1980, c’est le 29e texte législatif consacré au droit d’asile et à l’#immigration, le second de l’ère Macron.

    L’ objectif est toujours le même : faire diversion en cette période de crise et diviser les travailleurs, le tout sans léser le patronat à la recherche d’une main-d’œuvre sous-payée.

    Chaque loi a introduit un tour de vis supplémentaire contre les candidats à l’asile. Le dernier projet « rogne un petit peu plus le droit de l’asile, le droit à une vie familiale normale, les droits de l’enfant et le droit à un procès équitable », selon le président d’#Amnesty_International_France. La loi supprime la ­possibilité de déposer un recours lors du rejet de la demande d’asile ; et l’ordre de quitter le territoire, qui fera l’objet d’une inscription sur un fichier, sera délivré plus rapidement.

    Le caractère expéditif des décisions risque d’être renforcé par le recours à un juge unique, alors que jusqu’à présent la Cour nationale du #droit_d’asile statuait de façon collégiale. « Là, ça va confiner à l’abattage. On veut juger plus vite, pour débouter plus vite, pour expulser plus vite », a commenté la présidente de l’association des avocats du droit d’asile Elena.

    Cette fermeté revendiquée se double d’une volonté de garantir aux secteurs prétendus sous tension, comme l’hôtellerie ou le bâtiment, une main-d’œuvre d’origine étrangère, en délivrant des cartes de séjour au compte-gouttes et renouvelables tous les ans. Aucun démagogue anti-immigrés ne songe à priver le patronat de sa chair à exploiter à bas coût. Ainsi, en plus de s’inscrire dans l’objectif de diviser les travailleurs français et immigrés, cette nouvelle loi introduit une division entre immigrés, dont les patrons seront les seuls gagnants, car le chantage aux papiers, qui existe déjà de fait mais qui entrera dans la loi, permettra de faire pression sur les #salaires et les #conditions_de_travail.

    Contre toutes les divisions, entre travailleurs français et #immigrés, entre #travailleurs_immigrés, la ­liberté de circulation et d’installation doit être rappelée comme un #droit_humain élémentaire, mais aussi comme un moyen de défense de la classe ouvrière qui, par-­delà les différences de nationalités, doit être unie face au patronat et au gouvernement à son service.

    #exploitation #capitalisme #main_d’oeuvre

  • Du rififi au Maitron
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#rififi

    La dernière assemblée générale des Amis du Maitron, en décembre 2022, n’a pas été un long fleuve tranquille. Quelque temps après, on apprenait que, au cours de celle-ci, le Centre national de la recherche scientifique (CNRS) avait mené ce qu’on pourrait appeler un « putsch » : mise à l’écart de Claude Pennetier qui a grandement contribué pendant quarante ans à faire du dictionnaire ce qu’il est aujourd’hui (au côté du fondateur Jean Maitron, puis en tant que directeur), nomination d’Emmanuel Bellanger (Centre d’histoire sociale du CNRS) comme nouveau directeur, pour « remettre à plat le fonctionnement du Maitron dans les six mois qui viennent » (...)

    #Maitron #libertaire #CNRS #AmisduMaitron #dictionnaire #biographie

    • Bien qu’affirmant sa volonté de se maintenir « dans une perspective de science ouverte », il semblerait que ce soit justement l’ouverture du Maitron à des auteurs non universitaires qui constitue l’un des problèmes. Pour prendre exemple sur le dictionnaire des anarchistes, un travail coopératif et collaboratif a permis la publication de l’ouvrage Les Anarchistes. Dictionnaire biographique du mouvement libertaire francophone (Les Editions de l’Atelier, 2014, 526 p.) et surtout la création d’une division consacrée aux anarchistes (plus de 3 000 entrées) sur le site du Maitron. De nombreuses notices anciennes (parues dans les différents tomes de la version papier) ont été révisées et complétées, et de nouvelles ont été créées, directement ou non par des militants (toutes tendances confondues), qui se sont consacrés à l’étude du mouvement, et des historiens, sous le contrôle d’administrateurs qui assuraient la coordination (lire avant-propos).

      La nouvelle direction aurait, entre autres, pour projet de mettre fin à l’action « des administrateurs (corrections, mises à jour, mises en ligne, statistiques…). Il faudrait communiquer les notices sous Word à des salariés du CNRS qui les contrôleraient et les mettraient en ligne par lot au rythme lent de la publication d’un dictionnaire papier. Ce serait la fin de ce que nous avons construit avec la réactivité du site et la fin de l’esprit du Maitron, la fin de sa dynamique », confie Claude Pennetier. Le terme de « gouvernance » peut également faire tiquer. De quoi s’agit-il ? Pour le philosophe Alain Deneault (1), la gouvernance est à l’opposé de la démocratie (2). Ce concept a semble-t-il été élaboré par des néolibéraux au cours des années 1980, niant la chose commune et publique, et tendant à substituer le management à la politique. Plus de débat et de décision élaborés en commun mais une « bonne gestion ». Un dictionnaire des anarchistes, par exemple, sera-t-il compatible avec le mode de gouvernance en cours d’élaboration ?

  • Orpea confirme passer sous le contrôle de la Caisse des Dépôts | Les Echos
    https://www.lesechos.fr/industrie-services/pharmacie-sante/la-caisse-des-depots-prete-a-prendre-le-controle-dorpea-1902118


    (SOLAL/SIPA)

    Après le feu vert de la commission de surveillance de la CDC à une injection de 1,35 milliard d’euros, Orpea confirme, ce mercredi, l’entrée de la Caisse des Dépôts et ses alliés à 50,2 % de son capital. S’ils ne participent pas aux augmentations de capital, ses actionnaires existants seront dilués à 0,4 %. Le cours reculait à l’ouverture.

    C’est officiel. Orpea bascule vers la galaxie publique. Le groupe d’Ehpad aux 250.000 résidents passe sous le contrôle de la Caisse des Dépôts et de sa filiale CNP associée à des mutualistes, la Maif et la MACSF.

    Après le feu vert de la commission de surveillance de l’institution publique, ces derniers vont bien injecter 1,355 milliard d’euros contre 50,2 % du capital du groupe plombé par plus de 7 milliards de dette. Ils obtiennent également la majorité au sein du conseil d’administration (sept administrateurs sur 13). Au total, Orpea se trouve assuré de répondre à son besoin en capital puisqu’il obtient 1,55 milliard d’euros avec les autres parties à l’accord. Et surtout il réduit de 60 % son endettement, qui ne pèsera « plus que » 6,5 fois son résultat.

  • Quand Langlois s’engeula avec Malraux ...


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Henri_Langlois#L'%C2%AB_affaire_Langlois_%C2%BB
    C’est une jolie image tirée d’un documentaire sur Malraux. Quelques années plus tard Fassbinder retorqua à la question bête s’il soutenait des terroristes

    „Ich werfe keine Bomben, ich mache Filme.“

    ... encore faudrait-t-il que la présentation dans wikipedia de l’affaire Langlois soit vraie. Elle contribua à une ambiance propice à l’escalade d’engagement des acteurs opposés. La violence des flics et des bombes marqua l’époque suivant le mai ’68.

    En 1968, le ministre français de la Culture André Malraux qui, depuis 1958, a mis à la disposition de Langlois d’importants moyens financiers, décide de le priver de la direction administrative de la cinémathèque, tout en lui offrant la direction artistique. Au ministère de la Culture, on reproche à Langlois de négliger complètement l’administration, la comptabilité et la gestion, d’être incapable de donner les informations établissant le droit de propriété de la cinémathèque sur certaines bobines, et d’être si peu soucieux des conditions matérielles de conservation que des milliers de films se détériorent dans des blockhaus dont il refuse l’accès aux techniciens et à certains chercheurs7. Langlois est finalement remplacé par Pierre Barbin, choisi et nommé par le ministère.

    C’est le début de ce qu’on appellera l’« affaire Langlois ». Le limogeage du fondateur de la Cinémathèque française provoque une avalanche de protestations dans le milieu du cinéma et au-delà, à l’étranger, avec la participation entre autres de Charles Chaplin, Stanley Kubrick, Orson Welles, Luis Buñuel, et, en France, avec François Truffaut, Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Alain Resnais, Jean-Luc Godard, Jean Marais, etc. Un très actif Comité de défense de la Cinémathèque française est créé le 16 février 1968 pour soutenir Langlois. Son trésorier est Truffaut, qui fait partie des fondateurs du comité, avec notamment Godard et Jacques Rivette8. L’opposition politique au gouvernement s’émeut. Daniel Cohn-Bendit, alors encore inconnu, participe à une manifestation en faveur de Langlois, rue de Courcelles, où se trouve le siège de la Cinémathèque9. Le 25 février 1968, à l’Assemblée nationale, François Mitterrand qualifie l’éviction de Langlois de choquante7.

    Malraux fait marche arrière et Langlois est réintégré dans ses fonctions le 22 avril 19689. Hostile aux soutiens de Langlois dans cette affaire, Raymond Borde estime que la gauche s’est reniée à cette occasion, en défendant « le droit d’un individu sur un patrimoine qui appartient à la Nation9 ».

    « Ich werfe keine Bomben, ich mache Filme ! » | kultur-online
    https://kultur-online.net/inhalt/ich-werfe-keine-bomben-ich-mache-filme

    #histoire #photographie #mai68

  • [enthousiasme] A Paris, des opérations de maintien de l’ordre en rupture avec la « méthode Lallement »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/01/20/a-paris-des-operations-de-maintien-de-l-ordre-en-rupture-avec-la-methode-lal

    Après des années de gestion offensive du maintien de l’ordre, le nouveau préfet de police, Laurent Nunez, a entendu démarquer son action de celle de son prédécesseur.
    Par Antoine Albertini

    En langage administratif, cela s’appelle un « changement de posture », mais, vu au ras du cortège parisien – 80 000 personnes selon le ministère de l’intérieur, un chiffre indiscutablement sous-évalué –, la gestion du #maintien_de_l’ordre, jeudi, a inauguré un changement d’ère. Ou, plutôt, le retour à une doctrine éprouvée, faite de mise à distance des forces de l’ordre, de cogestion avec les organisations syndicales et, lorsque la situation le réclame, d’un traitement ponctuel et quasi chirurgical des incidents.

    .... Discret, le dispositif n’en était pas moins présent dans la quasi-totalité des rues adjacentes, dissimulé à la vue des manifestants mais prêt à intervenir. A deux reprises au moins, il a témoigné de son efficacité ; lorsque des #black_blocs se sont attaqués à une agence bancaire puis à la succursale d’une compagnie d’assurances. En quelques minutes dans le premier cas, en moins de soixante secondes dans le second, des unités spécialisées appuyées par des effectifs en tenue de maintien de l’ordre sont intervenues pour procéder à des #interpellations et extraire les fauteurs de troubles. « Sans compromettre le déroulement de la manifestation, alors que la présence d’éléments à risque en plein cœur du cortège compliquait considérablement la manœuvre », souligne une source policière.
    https://justpaste.it/a8npf

    #police #manifestation #répression

    • Laurent Nunez, a entendu démarquer son action de celle de son prédécesseur

      Oui, ça se voit : son visage est plus grand que son chapeau.

      Sinon, bien vu, c’est un très joli mélange d’éléments de langage du gouvernement et de copspeak, cet article. Ils font jamais de burnout, les gens à qui on demande de pondre ces trucs indignes ?

    • Discret, le dispositif n’en était pas moins présent dans la quasi-totalité des rues adjacentes, dissimulé à la vue des manifestants mais prêt à intervenir

      Dissimulé à la vue, discret, mais qui n’a donc pas échappé à la vigilance du journaliste, qui les a repérés « dans la quasi-totalité des rues adjacentes ». Très joli travail de terrain, donc… :-)

    • présent dans la quasi-totalité des rues adjacentes

      c’est toujours le cas à Paris, donc pas besoin d’aller vérifier, ce que j’ai pour ma part quand même fait hier avant la manif. mais je trouve que lire la police, les économistes, les patrons, la bourgeoisie, c’est un des plus grands services que rend la presse

      il me semble l’avoir dit ici à sa nomination, Nunez a été coordinateur national du renseignement et de la lutte contre le terrorisme (2020-2022), secrétaire d’État auprès du ministre de l’Intérieur Christophe Castaner (2018-2020), ce qui augurait d’un changement de style (la jouer plus fine, coups tordus, et pas seulement démonstration e force ostentatoire, même si hier, la rapidité des interventions policières était pas mal dans le genre), d’autant que les innombrables apologies du MDO allemand (informations dans les cortèges, liens permanents avec les organisateurs, tout pour séparer le bon grain manifestant de l’ivraie émeutière) publicisées par divers sociologues et journalistes finissent pas traverser le cerumen idéologique des grandes oreilles et de leurs bosses. et puis, on le sait, tout rapport de force implique de savoir changer de pied pour déstabiliser la partie adverse...

      par ailleurs, la répétitivité de cortège de tête a depuis un bon moment réduit leur marge de manoeuvre (l’ingouvernabilité s’y exprime de manière fondamentalement prévisible). la force de ces comportements grégaires où ce qui compte c’est de se rassembler sans se soumettre aux modalités officielles, aux organisations, de « tenir la rue », finit par se réduire à un centrement sur la police (que « tout le monde déteste », c’est devenu l’un des seuls slogans...) assorti de dégradations superficielles (sauf coup de bol), sans coordination politique, sans capacité de décision tactique, avec son lot d’arrestations, qu’elles soient le fruit de gestes trop « beaux » (s’isolant) pour être tenables ou du ratissage policier

      à preuve, pour l’heure

      Devant le carré syndical, un imposant cortège de tête - comme dans à peu près toutes les manifestations importantes depuis 2016.
      Notons que celui-ci paraissait particulièrement bigarré et transgénérationnel. Notons aussi que sa disponibilité à l’affrontement était inversement proportionnelle à son niveau d’organisation tactique
      les quelques affrontements avec la police au niveau du métro Chemin Vert tournant court, non sans plusieurs arrestations au passage.

      https://twitter.com/actazone/status/1616417004822450179

      si il y a une chose que ces dirigeants que l’on décrit à raison comme coupés des réalités communes n’ont pas oublié, c’est la trouille d’une grande bourgeoisie en panique lorsqu’en décembre 2018 des manifestants avaient fait de profondes incursions dans le XVIe. le gouvernement fera tout ce qu’il peut pour que la mobilisation actuelle ne soit pas giléjaunée

      Borne hier soir sur twitter :

      Je salue l’engagement des forces de l’ordre, comme des organisations syndicales, qui ont permis aux manifestations de se dérouler dans de bonnes conditions.
      Permettre que les opinions s’expriment est essentiel pour la démocratie.
      Continuons à débattre et à convaincre.

      comme ça se passe après plus de deux ans de mise sous le boisseau des luttes (pandémie), il n’y a rien d’équivalent à ce qui avait servi de terreau pour la création du cortège de tête en 2016 (les luttes lycéennes sur Paris), rien ce qui a conduit à la dernière grande grève (l’autonomie ouvrière à la RATP, dont les grèves avaient dès l’été précédent commencé de contraindre l’agenda des confs syndicales).

      c’est parti pour deux mois ou plus, qu’est-ce qui va s’inventer (ou pas) par et dans le mouvement à la faveur de cette durée, nul peut le dire

      #syndicat

    • À Paris, des opérations de maintien de l’ordre en rupture avec la « méthode Lallement » : hé, t’entends ça, ma couille ?
      https://seenthis.net/messages/987737

      On voit qu’on assiste à un spectaculaire changement de doctrine : on ne crève plus les yeux, on n’arrache plus les mains. Juste on leur coupe les testicules.

      (Après, pour les yeux et les mains, je pense que ce n’est qu’une question de temps.)

    • @PaulRocher10
      https://twitter.com/PaulRocher10/status/1616781189049720836

      Beaucoup de gens retweetent cet article, et en déduisent qu’un « meilleur » maintien de l’ordre est possible, il fallait juste de débarrasser du méchant Lallement. Pourtant, il est bourré d’incohérences et d’erreurs. Voici pourquoi

      L’auteur parle d’une « rupture » avec Lallement. Mais #Lallement n’était pas une parenthèse, il était dans la continuité de ses prédécesseurs. Il suffit de regarder l’explosion du recours aux armes non létales, elle n’a pas commencé avec ce préfet.

      ....

      mais, oui, pour cette première grosse manif depuis l’automne 2019, les tirs était moins nourri que bien souvent ces dernières années
      si il ne s’agissait pas d’un photographe de presse [rectificatif : un ingénieur prenant des photos, présenté par la presse inquiète pour le sort de ses photographes comme un « photographe espagnol »], cette émasculation partielle aurait probablement été tranquillement rangée au rayon des usuels coups de matraques et de blessés dont on fait peu de cas (il y a bien un problème de formation des keufs ! se faire filmer à faire ça, ça fait désordre), là, presse, propos de Véran (contexte ?? les images interpellent et blabla) etc.

      #grenades_lacrymogènes #balles_en_caoutchouc #flashball #GMD GLIF4

  • Sur les pavés, la campagne
    https://metropolitiques.eu/Sur-les-paves-la-campagne.html

    Les campagnes électorales continuent de rythmer la vie politique. Laurent Godmer montre ainsi comment elles mobilisent les #partis, les élus et les candidats et mettent à l’épreuve leur ancrage territorial. Les pavés historiques de la rue Mouffetard et de la place Monge accueillent le chaland et les touristes : comme d’autres quartiers commerçants de #Paris, ces lieux sont un théâtre politique quand des campagnes électorales se déroulent et que les militants battent le pavé. C’est là, dans le 5e #Terrains

    / Paris, #élections, #mobilisation, partis, #élus_locaux, #élections_municipales, #maires

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-godmer.pdf

  • L’État sur le banc des accusés pour les blessures au Flashball du 8 juillet 2009 à #Montreuil ! | Se défendre de la police
    https://collectif8juillet.wordpress.com/2023/01/16/letat-sur-le-banc-des-accuses-pour-les-blessures-au-fla

    Il y a plus de13 ans, la police tirait au Flashball sur des manifestant·es venu·es soutenir les habitant·es expulsé·es d’une ancienne clinique occupée aujourd’hui détruite. Six personnes étaient blessées dont l’une à l’oeil, gravement.
    Après dix années de lutte dans la rue et les tribunaux, deux policiers ont finalement été condamnés à des peines symboliques – quelques mois de prison avec sursis, sans interdiction d’exercer ni amende ou indemnité à payer.

    Une autre procédure était cependant toujours en cours, devant le Tribunal administratif, visant cette fois non pas à condamner les policiers, mais l’instance qui les recrute, les habille, les forme, et enfin les arme, à savoir l’État.

    L’audience aura enfin lieu au Tribunal administratif de Montreuil le jeudi 19 janvier à 13h30.

    La récente relaxe aux Assises du policier qui a éborgné Laurent Théron en 2016 rappelle l’impunité judiciaire dont bénéficient les policiers au pénal. Et si seule une procédure pénale peut obliger un policier à justifier ses actes devant une Cour de justice, l’action devant le Tribunal administratif est un recours dont les victimes de la police peuvent se saisir pour faire condamner l’État et obtenir une indemnisation, même lorsque l’identité du policier les ayant blessé·es n’est pas prouvée. ....

    #police #justice #flashball #violence_policière #impunité #violence_d'État #maintien_de_l'ordre

  • Rappasciona, soupe italienne de légumes secs
    https://www.cuisine-libre.org/rappasciona-soupe-italienne-de-legumes-secs

    Soupe italienne savoureuse et légère avec des ingrédients de la tradition paysanne pauvre. La veille, faites tremper le blé et le maïs dans des récipients séparés pendant 24 heures et faites tremper les haricots pendant 12 heures. Le lendemain matin, remplissez une grande marmite d’eau et laissez mijoter le blé environ 1h30. Faites de même pour le maïs en le faisant cuire pendant 45 minutes et les haricots pendant 40 minutes en ajoutant de l’eau chaude si nécessaire. Lorsque tous les trois sont cuits,… #Blé_entier, #Haricot_blanc, #Maïs_sec, #Pouilles / #Végétarien, #Sans œuf, Végétalien (vegan), #Sans lactose, #Sans viande

    #Végétalien_vegan_

  • [Vidéo] Petite histoire des anarcho-syndicalistes ardoisiers de Trelaze (Angers)
    https://www.partage-noir.fr/video-petite-histoire-des-anarcho-syndicalistes-ardoisiers-de

    Avec biographie d’un militant anarchiste, Ludovic Ménard. Anarcho-syndicaliste, fondateur de la fédération des ardoisiers (ouvriers des carrières d’ardoises), l’histoire de Ludovic Ménard est très liée au lieu où il a toujours milité, Trélazé, à proximité d’Angers... Dans ce sens, son histoire est aussi celle de l’anarcho-syndicalisme à Trélazé, chez les ardoisiers...

    #anarchosyndicalisme #trelaze #ludovic_menard #angers #video #maitron

  • Les migrants forment la 3e économie mondiale. Et s’ils habitaient un pays, ce serait le 4e plus peuplé. (Les Échos)

    Ensemble, les #migrants formeraient aujourd’hui la 3e économie mondiale en générant environ 9.000 milliards de dollars de #production économique chaque année. C’est l’un des faits notables mis en lumière par le BCG Henderson Institute, le centre de réflexion du Boston Consulting Group, dans un rapport publié en collaboration avec les Nations unies.
    Ce chiffre, en outre, est sousestimé. Tous les impacts économiques des migrants en tant que consommateurs, entrepreneurs et innovateurs ne sont pas pris en compte. En plus, à l’avenir, il va probablement encore augmenter pour doubler et atteindre environ 20.000 milliards de dollars d’ici à 2050.

    Outre l’automatisation, la délocalisation et l’augmentation de la participation au marché du travail, les migrations seront essentielles pour remédier à la #pénurie de #main-d'oeuvre dans les sociétés vieillissantes.

    C’est la presse patronale qui le dit.
    #exploitation

  • Le policier qui a éborgné Laurent Theron acquitté | StreetPress
    https://www.streetpress.com/sujet/1671115456-policier-eborgne-laurent-theron-acquitte-justice-violences-m

    Le policier Alexandre M. a été acquitté par la cour d’assises. Il était jugé pour la grenade de désencerclement qui a éborgné Laurent Theron lors d’une manifestation en 2016. La cour a invoqué la légitime défense, malgré des vidéos contraires.

    Cour d’assises de Paris sur l’île de la Cité – Il est plus de 20 heures ce mercredi 14 décembre quand le verdict tombe : « Acquitté. » Le brigadier-chef Alexandre M., jugé depuis trois jours pour avoir éborgné le syndicaliste Laurent Theron en 2016, repart libre de la cour d’assises. Alors que l’avocat général avait demandé « deux à trois ans » de prison avec sursis et une interdiction de port d’armes pendant cinq ans, ou que la partie civile ne voulait pas de prison mais une « révocation » du policier, la cour a estimé qu’Alexandre M. avait agi en état de légitime défense . Tout de suite, des soutiens du mutilé dans le public crient et commencent à chanter :

    « Police partout, justice nulle part. »

    « Vous détruisez des vies », « Grâce à vous, ils vont continuer », lancent-ils à l’égard de la cour qui plie bagage rapidement. Comme Alexandre M., qui s’efface via une porte dérobée. Une vingtaine de gendarmes se placent au milieu du public, répartis entre les pro-Laurent et les policiers. Les agents partent en premier pendant que les autres continuent de chanter. Certains pleurent. « C’est la démonstration de l’impunité. Rien d’autre » , lance à une justice qui a quitté les lieux Cédric D., membre du collectif contre les violences d’État Désarmons-les.

    À côté, Laurent Theron est dépité. « On y a cru, on a cru au Père Noël au final » , souffle-t-il à son avocate, maître Lucie Simon. Face aux autres, il ne sait « pas quoi dire ». Avant l’audience, il avait déclaré à StreetPress qu’envoyer « un policier aux assises, c’est déjà une victoire », vu le peu de fois où c’est arrivé. Ce sentiment n’existe plus quand il quitte le tribunal de l’île de la Cité.

    Une vidéo combattue

    Dans cette affaire, outre le fait qu’Alexandre M. n’était pas habilité au lancement de la grenade de désencerclement (GMD) et qu’il n’avait pas été formé au maintien de l’ordre, comme StreetPress le racontait avant le procès, l’IGPN a surtout noté qu’ « aucun groupe hostile ni danger imminent n’était perceptible » lors du lancement de la grenade. L’inspection s’est basée sur des vidéos au moment où Laurent Theron a été éborgné (dont celle ci-dessous, projetée à l’audience). Une version que maître Laurent-Franck Liénard – l’avocat favori de la police – s’est attelé à démolir au bazooka verbal durant trois jours. Face au premier enquêteur de l’IGPN, il attaque :

    « Vous dites qu’il n’y a pas d’individus hostiles au moment où le policier lance sa grenade. Est-ce que vous les avez cherchés ? »
    Face au deuxième, il est encore plus direct :
    « Vous avez le sentiment de bien avoir fait votre boulot ? »
    À un expert en balistique qui avait eu le malheur de dire qu’il n’y avait pas beaucoup de monde en face d’Alexandre M. lors de son lancer, l’avocat s’énerve :
    « Vous n’y étiez pas, vous voyez ce qu’on vous a montré dans une vidéo de quatre secondes. »

    Un amoncellement de témoignages policiers

    Ses remarques provoquent l’acquiescement des dizaines de policiers présents derrière lui. Parmi eux, il y a le secrétaire général d’Alliance, Fabien Vanhemelryck, ou celui d’Unité SGP Police Grégory Joron, qui est venu bavarder avec le prévenu. Linda Kebbab, la déléguée nationale de ce syndicat, a aussi squatté les bancs. D’anciens collègues du prévenu sont également là. Dès le premier jour, certains tombent dans l’injure. Lorsque l’enquêteur de l’IGPN passe devant la cour, plusieurs témoins auraient entendu des policiers chuchoter :

    « Lui, ce n’est pas un collègue, c’est un bâtard. »
    Quelques-uns auraient également traité maître Lucie Simon, l’avocate de Laurent Theron, de « conne ». « Qu’elle ferme sa gueule », auraient soufflé des agents.

    Le deuxième jour, six policiers sont entendus tour à tour. Loin de ne parler que du moment où la grenade a été jetée, à 16h53, ils reviennent sur l’ensemble de la manifestation, marquée par des affrontements entre les forces de l’ordre et certains groupes. Deux pandores ont été touchés par un jet de cocktails Molotov. Le commissaire Alexis M. parle lui d’une « nuée » de ces engins incendiaires. « C’était destiné à nous tuer », assure Sébastien C., supérieur du brigadier-chef Alexandre M. « J’ai vu des collègues brûler. On était plus dans un climat de peur », soutient Jérôme P. Le commandant Léon R. décrit d’une « journée violente du début à la fin ». Un autre commissaire évoque des « nébuleuses violentes ». En face, maître Liénard demande rhétoriquement à un policier :

    « Vous pensez que vous méritez de mourir pour avoir défendu l’ordre public ? »
    « Condamner mon client, c’est castrer tous les CRS. »

    Et lorsqu’on aborde la question du lancer de la grenade d’Alexandre M. à 16h53, la situation ne serait pas différente. « Pour moi, la menace est toujours présente », dit le second du commandant. « C’est toujours hostile », indique son supérieur, tandis qu’un CRS de la compagnie estime qu’ils sont « pris à partie de manière éloignée ». Le commissaire Alexis M. va même jusqu’à justifier la grenade par des lancers de pavés. « Menteur », crie-t-on dans la salle. Le gradé réitère quand on revoit la vidéo des faits, où les projectiles sont invisibles. Face à ces propos, maître Lucie Simon est « stupéfaite » :

    « Alors que vous n’étiez pas là et que vous n’avez jamais dit ça avant, vous nous dites de manière très certaine que les bonds offensifs de la CRS 07 sont justifiés par des jets de pavés. »


    Le brigadier-chef a formulé des excuses envers Laurent Theron. Il a aussi décrit son parcours de policier : 20 ans dans la brigade de nuit d’un commissariat. Il est devenu CRS deux semaines avant d’éborgner Laurent Theron / Crédits : Anaële Pichot

    (...)

    Nadia Sweeny remarque
    https://seenthis.net/messages/983445

    L’évolution du taux de poursuites [ des policiers accusés de violences] reste stable autour de 16 %. Une augmentation sensible a cependant eu lieu en 2016 – 22 % des auteurs signalés étaient poursuivis – probablement dû à la mobilisation contre la #loi_travail.

    Avec l’affaire Théron, tout se passe comme si même dans le cas de plaignants plus insérés, syndiqués, militants, obstinés, l’impunité policière devait rester inentamée, y compris avec un dossier pourri pour le brigadier auteur des faits, des témoignages de collègues contradictoires quant aux circonstances de son acte, et un réquisitoire du procureur demandant à la cour d’entrer en voie de condamnation.

    https://seenthis.net/messages/983077

    #Laurent_Théron #police #justice #violences_d’Etat #maintien_de_l'ordre #légitime_défense présumée et confirmée #impunité_policière #jurés #justice_populaire #fascisation

    • reste la possibilité que le parquet fasse appel, comme seul il en a le pouvoir... un policier qui utilise une GLD alors qu’il n’est pas habilité, qu’il n’en a pas reçu l’ordre, qui la lance avec un tir en cloche, alors que les circonstances, établies par des vidéos et une partie des témoignages de ses propres collègues (!) n’en justifient en rien l’usage, c’est énorme, et c’est une occasion rêvée de faire comme si des limites légales avaient effectivement cours. mais le proc n’avait même pas jugé bon de requérir la révocation, peine visée à titre principal par Laurent Théron. si honneur de la police il y eut, celui de rares rétifs au régime de Vichy, ou celui des fachos qui s’en réclamèrent des décennies plus tard, il n’y a probablement plus rien à défendre sur ce terrain.

    • Procès 1312 : suite à l’acquittement du flic éborgneur, les mots de la rage
      https://paris-luttes.info/proces-1312-suite-a-l-acquittement-16498

      Nous rassemblons dans cet article trois textes écrits à chaud par des personnes ayant assisté aux trois jours d’audience de la cour d’assises de Paris qui a finalement acquitté le CRS mutilateur — reconnu coupable mais exonéré de sa responsabilité pour « légitime défense » !

      .... Mais plus grave encore, cette négation à l’encontre de Laurent, syndicaliste, l’a été plus encore par l’absence des syndicats dans leur ensemble à ce procès. Cela démontre une fois de plus ce manque de courage politique, voire même une tacite complicité avec l’État dans la conduite de cette guerre sociale qu’on nous inflige par des lois certes républicaines mais anti démocratiques.

      Encore une fois, ils se tirent une balle dans le pied, ...

  • Un policier jugé aux assises pour avoir éborgné un manifestant à Paris 

    .... Depuis 2016, Laurent Théron a subi cinq opérations chirurgicales, de longs arrêts maladie et des dizaines de rendez-vous médicaux. Il décrit de lourdes « difficultés physiques, psychologiques, financières et professionnelles ». Mais aussi sa découverte des « violences d’État, policières et judiciaires ».
     
    « Obtenir un procès est déjà une victoire, commente-t-il aujourd’hui. La règle, c’est le non-lieu et la criminalisation de la victime, qui l’aurait “bien cherché”. Je l’ignorais. Il y a des centaines de victimes avant moi et des milliers de complices : ceux qui commettent les violences et ceux qui les couvrent, les valident, les défendent. »

    Pour son avocate, Lucie Simon, « Laurent Théron aimerait que la cour d’assises rompe le cercle de l’impunité policière. Il a bien conscience que c’est la responsabilité individuelle d’un policier qui va être recherché dans un contexte précis. Mais c’est aussi l’occasion d’interroger la dangerosité de l’arme qui l’a mutilé, et qui peut aussi tuer »

    « Alexandre M. a agi de sa propre initiative »

    Dans leur ordonnance de renvoi, rendue en mai 2019, les juges d’instruction Matthieu Bonduelle et Carine Rosso concluent qu’Alexandre M. a agi « hors de tout cadre légal et réglementaire ».
    Ils considèrent que son geste, « disproportionné au regard de la situation », n’était « justifié ni par la légitime défense, ni par l’état de nécessité » puisque le policier et sa compagnie « n’étaient ni assaillis, ni encerclés, ni même réellement pris à partie » au moment des faits. « Alexandre M. a agi de sa propre initiative, sans recevoir d’ordre de quiconque, contrairement à ce qu’exige la doctrine d’emploi de cette arme » pour laquelle il ne disposait d’aucune habilitation, ajoutent-ils. 

    Le policier a fait appel de son renvoi devant les assises, qualifié par le syndicat Unité SGP Police de « décision politique » à l’époque. En janvier 2021, la chambre de l’instruction a intégralement conforté l’analyse des juges et maintenu le procès aux assises, contre l’avis du parquet. 

    L’enquête, ouverte dès le lendemain des faits et confiée à l’IGPN, a permis d’établir la chronologie précise d’une manifestation houleuse. Dans l’après-midi, des bouteilles, pavés, pétards et cocktails Molotov volent en direction des policiers et gendarmes, qui dénombrent quinze blessés, dont un CRS brûlé à la jambe. Aux alentours de 16 h 30, les forces de l’ordre enchaînent plusieurs « bonds offensifs » pour reprendre le contrôle de la place de la République, avant une relative accalmie. 

    Depuis la salle de commandement de la préfecture de police, le commissaire Alexis Marsan ordonne de procéder aux sommations réglementaires pour disperser les derniers manifestants. Entre 16 h 46 et 16 h 51, le commissaire Paul-Antoine Tomi relaie ces consignes sur le terrain : il tire trois fusées rouges. Comme en témoignent plusieurs vidéos versées au dossier, la place est en cours d’évacuation quand Laurent Théron est touché, à 16 h 53. 

    Plusieurs manifestants sont témoins de la scène. L’un d’entre eux voit « le bras d’un policier sortir d’une ligne de CRS et jeter une grenade en l’air », ce qui sera corroboré par l’enquête. Un autre décrit l’explosion, « à un mètre de distance » de la victime, après « un rebond ». Tous sont surpris par cette grenade, lancée à un moment où la situation paraît stabilisée. Plusieurs policiers auditionnés s’étonnent également du geste de leur collègue et s’en désolidarisent. 

    Grâce aux images, l’IGPN parvient à identifier à quelle compagnie appartient le tireur : la CRS 07, basée à Deuil-la-Barre (Val-d’Oise). Trois de ses membres ont déclaré un usage de grenade ce jour-là, dans le fichier dédié à cet effet. Parmi eux, Alexandre M., le seul gaucher, s’est signalé à sa hiérarchie. 

    Face aux enquêteurs puis devant le juge, le policier reconnaît être l’auteur du tir qui a blessé Laurent Théron. Mais il soutient avoir agi en légitime défense, alors qu’une foule hostile jetait des projectiles et qu’il venait d’être touché au bras, juste avant de riposter. Seul hic : ni ses collègues ni les images ne confirment sa version. Une autre compagnie était bien aux prises avec des manifestants sur la place, à sa droite, mais hors de sa portée. La victime se trouvait quant à elle sur sa gauche, à quatorze mètres. 

    Comme le procureur, les juges d’instruction ont écarté la légitime défense. Ils ont néanmoins exploré une autre piste : peut-être qu’Alexandre M. a obéi à un ordre de sa hiérarchie. Lui-même a esquissé cette hypothèse. Une heure plus tôt, alors que des cocktails Molotov avaient été lancés sur les forces de l’ordre, le capitaine de sa compagnie aurait donné l’instruction orale d’utiliser les grenades « en cas de danger ». Mais là encore, ses chefs et ses collègues démentent une telle consigne. 

    Une grenade mise de côté

    En tout état de cause, Alexandre M. n’aurait jamais dû se retrouver avec une grenade de désencerclement dans la main ce jour-là. Policier depuis 20 ans, dans une brigade de nuit du Val-d’Oise, il n’a rejoint la CRS 07 que deux semaines avant les faits et n’a encore reçu aucune formation au maintien de l’ordre. 
     
    Au cours de la manifestation, alors que cela chauffe sur la place, Alexandre M. accompagne un collègue au camion-armurerie pour ravitailler sa compagnie en grenades. Il prend alors l’initiative d’en garder une pour lui, au cas où, même s’il n’a pas l’habilitation nécessaire. Il dit d’ailleurs ignorer les dommages que peut causer cette arme et n’envisager que des blessures « minimes » aux jambes.

    Au moment où le CRS décide de tirer, il ne prévient pas ses collègues, comme le voudrait l’usage. Enfin, il lance la grenade [comme il l’a vu faire par ses collègues, ndc] d’une manière irrégulière et dangereuse : « en cloche », vers le haut, ce qui est strictement interdit. La doctrine exige de la lancer au ras du sol.
     
    « C’est l’échec de ma vie », a déclaré le CRS devant les magistrats, se disant « très affecté par les blessures » causées à Laurent Théron. Pour sa défense, il affirme qu’il s’est réellement senti en danger et n’avait pas l’intention de blesser quiconque. Depuis sa mise en examen, intervenue il y a cinq ans et demi, Alexandre M. est chargé de l’entretien des bâtiments de sa compagnie. 

    Un débat judiciaire particulièrement important s’est tenu en fin d’instruction. Les faits pour lesquels Alexandre M. est mis en examen – des « violences volontaires ayant entraîné une mutilation ou une infirmité permanente » – sont de nature criminelle, passibles de la cour d’assises. Mais le parquet de Paris a demandé leur « correctionnalisation », c’est-à-dire une requalification à la baisse, pour qu’ils soient considérés comme un délit et jugés devant le tribunal correctionnel. 

    La correctionnalisation permet de raccourcir les délais, pour que le procès ait lieu plus tôt. Elle conduit aussi à « zapper » le jury populaire au profit de trois juges professionnels. Favorable à cette solution « dans l’intérêt d’une bonne administration de la justice », le parquet tient un raisonnement surprenant : il avance que l’expertise médicale ordonnée par le juge d’instruction « a certes conclu à la perte définitive de l’usage de son œil par Laurent Théron mais évalué une ITT à 30 jours ». « Aucune expertise n’a établi une incapacité permanente », ajoute-t-il, substituant la durée de l’interruption de travail (temporaire) à celle de « l’infirmité » (définitive). 

    Les juges d’instruction se sont cependant opposés à cette « confusion entre des notions juridiques distinctes » et ont maintenu le renvoi aux assises, confirmé par la cour d’appel. L’avocate de Laurent Théron, Lucie Simon, reproche au parquet d’avoir voulu « minimiser la responsabilité du policier de manière purement opportune et spécieuse ».
     
    Redonner « une dimension politique et collective » au procès

    Pour des mutilations causées par un policier dans l’exercice de ses fonctions, un procès aux assises est particulièrement rare : il ne semble exister que trois précédents. Dont deux condamnations à des peines de prison avec sursis.

    En octobre 2022, un policier de la BAC de Reims a été condamné par la cour d’assises de la Marne à deux ans de prison avec sursis et deux ans d’interdiction de port d’arme pour avoir éborgné un supporter bastiais avec sa matraque télescopique en février 2016. Il a fait appel du verdict. 

    En 2018, trois policiers étaient jugés devant la cour d’assises de Seine-Saint-Denis pour une intervention à Villemomble, en 2013, lors de laquelle une femme a été éborgnée par une grenade de désencerclement. Ils ont été acquittés en première instance et en appel, la légitime défense ayant été retenue. La victime, Fatouma Kebé, est décédée d’une maladie entre les deux procès. 

    En 2015, un gendarme a comparu devant la cour d’assises de Mayotte pour avoir éborgné un enfant de neuf ans sur une plage, en 2011, par un tir de flashball. Il a été condamné à deux ans de prison avec sursis, sans inscription au casier judiciaire. Il n’a pas fait appel. 

    Pour les collectifs Désarmons-les et L’Assemblée des blessés, dont Laurent Théron fait désormais partie, le procès d’Alexandre M. est une occasion rare de rouvrir le débat sur les violences policières. 
    En amont de l’audience, ces deux organisations ont diffusé un communiqué de presse commun rappelant que « plus de 66 personnes ont perdu l’usage d’un œil en 25 ans, dont près de 40 au cours du premier mandat de Macron ». N’attendant « rien de l’institution judiciaire », elles s’engagent à « faire le procès de l’État hors de l’enceinte des tribunaux »

    Ce débat devrait toutefois se glisser jusqu’à l’intérieur de la cour d’assises, où Laurent Théron a fait citer plusieurs témoins pour redonner « une dimension politique et collective » au procès. « Je veux profiter de cette parenthèse dans la norme du non-lieu pour donner la parole aux autres. La grande majorité des victimes de violences policières sont des personnes noires ou arabes, avec un destin plus tragique : elles ont été tuées par la police. C’est un privilège d’avoir un procès aujourd’hui, et si cela est possible, c’est parce que d’autres sont entrés en lutte pour que le sujet soit visible. Je suis donc aussi héritier de combats qui ont eu lieu avant moi. » À l’issue des trois jours d’audience, un verdict est attendu le mercredi 14 décembre.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/111222/un-policier-juge-aux-assises-pour-avoir-eborgne-un-manifestant-paris

    https://seenthis.net/messages/982579

    #violences_d’Etat #maintien_de_l'ordre #police

    • "Irresponsabilité pénale". Syndicaliste éborgné en manifestation : le CRS acquitté aux assises
      https://www.leparisien.fr/faits-divers/syndicaliste-eborgne-en-manifestation-le-crs-acquitte-aux-assises-14-12-2

      À l’ouverture de son procès, le policier de 54 ans s’était dit « sincèrement navré de la blessure gravissime » infligée au syndicaliste Laurent Theron, qui a perdu son œil droit lors d’une manifestation contre la loi travail en 2016.

      Il avait présenté ses excuses à l’ouverture du procès. La cour d’assises de Paris a acquitté mercredi soir un CRS jugé pour avoir lancé une grenade qui a éborgné un syndicaliste lors d’une manifestation contre la loi travail en septembre 2016, estimant qu’il avait agi en état de #légitime_défense (tout sauf les dires policiers démontre l’inverse !)

      Après trois heures et demi de délibéré, la présidente de la cour Catherine Sultan a annoncé que le brigadier-chef de 54 ans, Alexandre M., bénéficiait d’une cause d’#irresponsabilité_pénale, une décision immédiatement accueillie dans le public aux cris de « Police partout, justice nulle part ».

      Laurent Theron, définitivement aveugle de l’œil droit depuis qu’il a été atteint par cette grenade, a immédiatement quitté la salle d’audience alors que ses soutiens continuaient de scander « Honte sur vous ».

      Alexandre M. est sorti avec son avocat Laurent-Franck Liénard par une petite porte.

      Un tir « légitime »

      Le CRS a toujours défendu un tir « légitime », en réaction aux jets de projectiles de « groupes hostiles » sur la place de la République à Paris ce 15 septembre 2016, alors qu’il dispersait avec sa compagnie un cortège d’opposants à la loi travail.

      Il s’est aussi déclaré prêt à recommencer. Le proc avait refusé de requérir l’interdiction d’exercer. La justice reste une institution policière.

      #Laurent_Théron #justice #police #justice #la_hogra

    • Une condamnation reviendrait à « castrer tous les CRS de France », Laurent-Franck Liénard, avocat.

      [Le brigadier] Alexandre Mathieu semble lui-même très mal à l’aise. Il jette des coups d’oeil brefs et discrets à Laurent Théron.

      L’experte parle de son enfance difficile et évoque une période de "dérive sociale" dans sa jeunesse pour faire référence à son adhésion au mouvement punk (qu’elle qualifie de mouvement "sectaire" et "violent")... Ça pouffe très fort dans la salle.

      Acclamations et sifflements du côté droit du public, où se trouvent la majorité des soutiens de Laurent Théron. Son avocate, Maître Lucie Simon décrit cette analyse comme étant une « nouvelle violence pour la victime. »

      .... Arrivé sur la place, il constate une "nébuleuse de 200 hommes qui ont prit possession de la place et du skatepark." Pour se réapprovisionner, il se dirige avec un collègue, Claude M. témoin plus tôt dans l’après-midi. Il "découvre" qu’un camion armurerie les suit depuis le début.

      Malgré les avertissements de son collègue, Alexandre Mathieu garde une GMD dans sa poche. Il justifie son geste par le choc d’avoir vu son collègue brûler quelques dizaine de minutes plus tôt. "J’ai choisi de protéger la vie de mes hommes."

      S’en suit, selon lui, offensives policières et projectiles de manifestants. "Je confond un bout de verre et un cocktail Molotov loupé" et c’est à ce moment que le drame se produit : il choisit, par panique, de lancer cette grenade pour "provoquer un repli et avancer".

      La présidente s’interroge. "Avez-vous commis une erreur d’appréciation ? Vous êtes le seul à lancer une grenade. Les autres collègues, pour la plupart, ne semblent pas s’être senti dans un cas de légitime défense." Il ne se démonte pas. "Je pense, oui, qu’il fallait le faire."

      "J’ai lancé la grenade avec force, je voulais la faire rouler, elle s’est élevée, elle a fait une courbe. je le reconnais, je l’assume, j’ai raté mon jet. C’est malheureux."

      Parfois, les mots d’AM s’apparentent à une grosse blague. "Quand nous sommes rentrés dans le camion, on s’est quand même dit, c’est étrange ce qui s’est passé là... Ce serait quand même pas cette grenade ?"

      Margaux Harivel @margauxhrvl
      https://twitter.com/margauxhrvl/status/1602699092534169603

      en presse :

      Oui, le lancer de son client était « raté » et n’a pas atteint la cible visée, distante de plusieurs dizaines de mètres de la victime. Mais il n’empêche qu’il était « justifié », martèle l’avocat. Il répète ad nauseam les dangers encourus par les policiers, avant d’en venir aux « causes exonératoires de la responsabilité pénale ». Elles sont toutes remplies, selon Laurent-Franck Liénard : il y a eu un « commandement de l’autorité » validant l’usage de la #GMD (celui-ci est pourtant intervenu une heure avant les faits), Alexandre M. était en état de légitime défense (l’accusé dit avoir reçu une bouteille en verre), et de nécessité (le chef de groupe voulait « protéger ses hommes »)… Pour tout cela, l’avocat demande l’acquittement au jury. Une condamnation reviendrait à « castrer tous les CRS de France », et donc à menacer la sécurité de la société tout entière.

      idem

      .... Le défilé des CRS à la barre, entre amnésie et soupçon d’une volonté de protection de leur collègue, a donné une impression de louvoiement, que résument ces mots du voisin d’Alexandre Mathieu à l’instant des faits : « On était plus ou moins pris à partie, mais de façon éloignée. » ....

      Il n’y a donc pas de coupable dans cette affaire, a décidé la justice. En revanche, il y a bien une victime. Laurent Théron, père de deux enfants de 14 et 20 ans dont il a la garde exclusive, a raconté sa vie de cyclope depuis le 15 septembre 2016. Le champ de vision réduit et le relief qui disparaît. Les portes dans lesquelles on se cogne, l’eau qu’on verse à côté du verre, l’hésitation devant une petite marche. La fin du ping-pong et du football américain – impossible de renvoyer une balle ou d’attraper un ballon. Le certificat à obtenir pour continuer à conduire, la gêne pour faire ses créneaux à droite, les cinq accrochages en quatre ans qui ont incité la GMF à résilier son assurance. Les six opérations qu’il a subies. L’implant qui n’a pas tenu. Le mélange de lymphe et de sang qui coule la nuit, et le réveille. L’obligation de se laver l’œil cinq fois par jour, dix en été quand l’air est sec et chaud. Sans même parler de la dépression et des difficultés financières. « Ce 15 septembre 2016, je veux l’oublier, a dit Laurent Théron. Mais tous les jours, le miroir me le rappelle. »

      https://justpaste.it/ajtq4

      #porcherie

  • #Flee

    Le film raconte l’histoire vraie d’Amin Nawabi (pseudonyme), réfugié afghan. Il raconte son enfance heureuse à Kaboul, l’arrestation de son père sous le régime communiste, puis sa disparition. Lorsque la guerre s’installe en Afghanistan, le frère ainé d’Amin s’enfuit pour éviter la conscription. Le reste de la famille quitte l’Afghanistan pour la Russie lors du retrait des troupes soviétiques en 1989.

    En Russie, la famille, en situation irrégulière, est harcelée par la police, et ils souhaitent rejoindre le frère ainé qui vit en Suède. Il faut pour cela réunir une somme importante pour payer les passeurs. Les deux sœurs d’Amin rejoignent la Suède après une traversée traumatisante de la mer Baltique. Amin, sa mère et son autre frère échoue lors d’une première tentative pour traverser la Baltique. Leur bateau prend l’eau, et l’équipage d’un paquebot qu’ils croisent contacte la police estonienne qui les renvoie à Moscou.

    La famille décide ensuite qu’Amin fera une nouvelle tentative, avec un passeur capable de lui procurer un faux passeport et de le faire voyager en avion. Le passeur envoie Amin au Danemark et non en Suède, lui ordonne de détruire son faux passeport à l’arrivée et de prétendre que toute sa famille est morte. Il bénéficie du statut de mineur non accompagné, mais est séparé de sa famille et craint le renvoi si on découvre qu’il a menti.

    Amin est homosexuel, et craint de l’avouer à sa famille car l’homosexualité est taboue en Afghanistan. Sa famille finira néanmoins par l’accepter. Il fait une carrière scientifique qui l’oblige à sacrifier sa vie de couple avec un Danois. Amin décide finalement de se marier avec son concubin Kasper, et ils emménagent dans une jolie maison.

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Flee_(film)

    #film #film_d'animation #réfugiés #migrations #Afghanistan #réfugiés_afghans #maison #LGBT #mourir_aux_frontières #parcours_migratoire #itinéraire_migratoire #passeurs

  • Emission de #radio du avec des membres du réseau « Entraide, Vérité et Justice » |
    https://laparoleerrantedemain.org/index.php/2022/12/05/emission-de-radio-avec-des-membres-du-reseau-entraide-verite-

    Les 12, 13 et 14 décembre 2022, aura lieu le procès [en cour d’assises !] du policier accusé d’avoir mutilé Laurent Théron lors d’une manifestation du mouvement contre « la Loi-Travail ». Pour soutenir Laurent et les autres victimes de la #police, un procès populaire de la police, de la #justice et de l’#Etat sera également organisé avant les audiences au tribunal, le 11 décembre de 14h à 18h.

    A cette occasion, une émission de radio a été réalisé le 27/10/2022 avec des membres du réseau d’Entraide, Vérité et justice, Christian, Fatou, Mélanie et Isaac, au studio son de la #Parole_errante. L’entretien revient sur l’histoire des mobilisations contre les crimes racistes et sécuritaires, l’importance d’articuler combats judiciaires et luttes sociales et de faire exister le récit de celles et ceux qui font face aux #violences_d’Etat.

    Bonne écoute et venons nombreux le 11 décembre à la Parole errante, puis les 12, 13 et 14 décembre au procès du policier-tireur pour soutenir Laurent et toutes celles et ceux qui font face à la violence d’Etat.

    #Laurent_Théron #maintien_de_l'ordre #crimes_racistes_et_sécuritaires #violences_d'État