• Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Les migrants forment la 3e économie mondiale. Et s’ils habitaient un pays, ce serait le 4e plus peuplé. (Les Échos)

    Ensemble, les #migrants formeraient aujourd’hui la 3e économie mondiale en générant environ 9.000 milliards de dollars de #production économique chaque année. C’est l’un des faits notables mis en lumière par le BCG Henderson Institute, le centre de réflexion du Boston Consulting Group, dans un rapport publié en collaboration avec les Nations unies.
    Ce chiffre, en outre, est sousestimé. Tous les impacts économiques des migrants en tant que consommateurs, entrepreneurs et innovateurs ne sont pas pris en compte. En plus, à l’avenir, il va probablement encore augmenter pour doubler et atteindre environ 20.000 milliards de dollars d’ici à 2050.

    Outre l’automatisation, la délocalisation et l’augmentation de la participation au marché du travail, les migrations seront essentielles pour remédier à la #pénurie de #main-d'oeuvre dans les sociétés vieillissantes.

    C’est la presse patronale qui le dit.
    #exploitation

  • Au-delà des barrières

    Dans son rapport, « Au-delà des barrières », le Programme des Nations-Unies pour le développement (PNUD) analyse la situation et le parcours des personnes arrivées de manière irrégulière en Europe depuis l’Afrique. Il rappelle que celles qui tentent de gagner l’Europe sont pour la plupart plus éduquées que leurs pairs. Elles ont probablement « bénéficié des progrès du développement en Afrique » sans pour autant faire partie d’une élite. Le PNUD remet en question l’idée selon laquelle les migrations peuvent être réduites ou freinées au moyen d’interventions politiques conçues pour les arrêter. Il critique aussi l’ambivalence européenne dont le marché du travail recourt volontiers à la main-d’œuvre migrante irrégulière tout en appliquant des politiques nationales dissuasives en matière d’immigration. Enfin,il rappelle que l’approche visant à détériorer les conditions d’accueil des migrants afin de dissuader leur venue ne fait qu’aggraver les populismes en Europe.

    https://asile.ch/2020/02/01/chronique-europe-du-20-septembre-au-21-octobre-2019

    Le #rapport :
    Au-delà des barrières

    The Scaling Fences: Voices of Irregular African Migrants to Europe report presents the results of an extensive study exploring the perspectives and experiences of 1970 individuals who migrated through irregular routes from Africa to Europe, originating from 39 African countries.

    Its aim is to contribute to a better understanding of the relationship between migration and development. The Scaling Fences report is the second major review of contemporary development issues affecting Africa to be published by UNDP’s Regional Bureau for Africa.

    Highlights

    - 58% of respondents were either earning (49%) or in school (9%) at the time of their departure. For a majority of those earning, income appears to have been competitive in the national context.
    – For 66% of respondents earning, or the prospect of earning, was not a factor that constrained the decision to migrate.
    - 62% of respondents felt they had been treated unfairly by their governments, with many pointing to ethnicity and political views as reasons for perception of unfair treatment.
    - 77% felt that their voice was unheard or that their country’s political system provided no opportunity through which to exert influence on government.
    - 41% of respondents said ‘nothing’ would have changed their decision to migrate to Europe Average earnings in Europe far outstrip average earnings in Africa, even in real terms.
    - 67% of those who did not want to stay permanently in Europe said their communities would be happy if they returned, compared to 41% of those who did want to live permanently in Europe.

    https://www.undp.org/fr/publications/au-dela-des-barrieres

    #PNUD

    @karine4 @isskein :

    « Il critique aussi l’ambivalence européenne dont le marché du travail recourt volontiers à la main-d’œuvre migrante irrégulière tout en appliquant des politiques nationales dissuasives en matière d’immigration. »

    #hypocrisie #marché_du_travail #sans-papiers #travail #migrations #main-d'oeuvre #politique_migratoire #politiques_migratoires #développement #ambivalence

  • Le #Royaume-Uni va accorder 10.500 #visas post-Brexit face aux pénuries de #main-d'oeuvre

    Le Royaume-Uni va accorder jusqu’à 10.500 visas de travail provisoires en réponse à des pénuries de main-d’oeuvre, un virage inattendu en matière d’immigration après le Brexit, pris samedi par le gouvernement.

    Ces permis de trois mois, d’octobre à décembre, doivent pallier un manque criant de #chauffeurs routiers mais aussi de personnel dans des secteurs clés de l’#économie britannique, comme les #élevages de volailles.

    Ces derniers jours et malgré des appels du gouvernement à ne pas paniquer, les #stations-service ont été prises d’assaut en raison de ruptures de stocks qui touchent aussi les rayons de produits agroalimentaires.

    Pour l’instant, le gouvernement n’a pas donné suite aux appels l’exhortant à déployer des soldats pour aider à la distribution du #carburant.

    Cette décision de rouvrir les vannes de l’#immigration_professionnelle va à l’encontre de la ligne défendue par le Premier ministre Boris Johnson, dont le gouvernement ne cesse d’insister pour que le Royaume-Uni ne dépende plus de la #main-d'oeuvre_étrangère.

    Pendant des mois, le gouvernement a essayé d’éviter d’en arriver là, malgré les avertissements de nombreux secteurs économiques et le manque estimé de 100.000 #chauffeurs_routiers.

    Outre ces #visas_de_travail, d’autres mesures exceptionnelles doivent permettre d’assurer l’approvisionnement avant les fêtes de #Noël, a mis en avant le secrétaire aux Transports, Grant Shapps.

    Les examinateurs du ministère de la Défense seront mobilisés pour faire passer des milliers de #permis_poids-lourds dans les semaines qui viennent.

    – « Insuffisant » -

    Le ministère de l’Education et ses agences partenaires vont débloquer des millions de livres sterling pour former 4.000 #camionneurs en mettant sur pied des camps de formation afin d’accélérer le rythme.

    M. Shapps a aussi appelé les employeurs à jouer le jeu « en continuant d’améliorer les #conditions_de_travail et les #salaires pour retenir de nouveaux chauffeurs ».

    Sous pression, le gouvernement va battre le rappel de tous les détenteurs du permis #poids-lourds : un million de lettres doivent partir pour demander à ceux qui ne conduisent pas de retourner au travail.

    Toutefois, la présidente de la Chambre de commerce britannique Ruby McGregor-Smith a estimé que le nombre de visas était « insuffisant » et « pas assez pour régler un problème d’une telle ampleur ».

    « Cette annonce équivaut à vouloir éteindre un feu de camp avec un verre d’eau », a-t-elle déclaré.

    Boris Johnson faisait face à une pression croissante. La crise du Covid-19 et les conséquences du Brexit ont accentué les #pénuries, qui se conjuguent à une envolée des #prix de l’énergie.

    Des usines, des restaurants, des supermarchés sont affectés par le manque de chauffeurs routiers depuis des semaines, voire des mois.

    Le groupe de produits surgelés Iceland et la compagnie de vente au détail Tesco ont mis en garde contre des pénuries à l’approche de Noël.

    La chaîne de restauration rapide McDonald’s s’est trouvée en rupture de milkshakes et de boissons le mois dernier. Son concurrent KFC a été contraint de retirer des articles de son menu, tandis que la chaîne Nando’s a fermé provisoirement des douzaines de restaurants faute de poulets.

    https://www.courrierinternational.com/depeche/le-royaume-uni-va-accorder-10500-visas-post-brexit-face-aux-p
    #post-brexit #Brexit #travail #pénurie_de_main-d'oeuvre #travailleurs_étrangers #UK #Angleterre #transport_routier

    ping @karine4

    • Hauliers and poultry workers to get temporary visas

      Up to 10,500 lorry drivers and poultry workers can receive temporary UK visas as the government seeks to limit disruption in the run-up to Christmas.

      The government confirmed that 5,000 fuel tanker and food lorry drivers will be eligible to work in the UK for three months, until Christmas Eve.

      The scheme is also being extended to 5,500 poultry workers.

      The transport secretary said he did not want to “undercut” British workers but could not stand by while queues formed.

      But the British Chambers of Commerce said the measures were the equivalent of “throwing a thimble of water on a bonfire”.

      And the Road Haulage Association said the announcement “barely scratches the surface”, adding that only offering visas until Christmas Eve “will not be enough for companies or the drivers themselves to be attractive”.

      Marc Fels, director of the HGV Recruitment Centre, said visas for lorry drivers were “too little” and “too late”.

      However, the news was welcomed by freight industry group Logistics UK, which called the policy “a huge step forward in solving the disruption to supply chains”.

      A shortage of lorry drivers has caused problems for a range of industries in recent months, from supermarkets to fast food chains.

      In recent days, some fuel deliveries have been affected, leading to lengthy queues at petrol stations - despite ministers insisting the UK has plenty of fuel.

      There are reports of dozens of cars queuing in London by 07:00 BST on Sunday morning, while many filling stations had signs up saying they had no fuel.

      Transport Secretary Grant Shapps told the BBC’s Andrew Marr that there was enough fuel in the country and that if people were “sensible” and only filled up when they needed to there would not be shortages.

      As well as allowing more foreign workers, other measures include using Ministry of Defence examiners to increase HGV (heavy goods vehicle) testing capacity, and sending nearly one million letters to drivers who hold an HGV licence, encouraging them back into the industry.

      Officials said the loan of MoD examiners would help put on “thousands of extra tests” over the next 12 weeks.

      Recruitment for additional short-term HGV drivers and poultry workers will begin in October.

      Mr Shapps said: “We are acting now, but the industries must also play their part with working conditions continuing to improve and the deserved salary increases continuing to be maintained in order for companies to retain new drivers.”
      Survey findings about why there are driver shortages

      Logistics UK estimates that the UK is in need of about 90,000 HGV drivers - with existing shortages made worse by the pandemic, tax changes, Brexit, an ageing workforce, and low wages and poor working conditions.

      The British Poultry Council has previously warned it may not have the workforce to process as many turkeys as normal this Christmas because it has historically relied on EU labour - but after Brexit it is now more difficult and expensive to use non-UK workers.

      The Department for Transport said it recognised that importing foreign labour “will not be the long-term solution” to the problem and that it wanted to see employers invest to build a “high-wage, high-skill economy”.

      It said up to 4,000 people would soon be able to take advantage of training courses to become HGV drivers.

      This includes free, short, intensive courses, funded by the Department for Education, to train up to 3,000 new HGV drivers.

      These new “skills bootcamps” will train drivers to be road ready and gain a Cat C or Cat C&E license, helping to tackle the current HGV driver shortage.

      The remaining 1,000 drivers will be trained through courses accessed locally and funded by the government’s adult education budget, the DfT said.

      Fuel tanker drivers need additional safety qualifications and the government said it was working with the industry to ensure drivers can access these as quickly as possible.

      Mr Fels said many young people were “desperate” to get into the industry but couldn’t afford the thousands of pounds it costs to get a HGV license.

      He called for the government to recognise the industry as a “vocation” and offer student loans to help fund training.

      Sue Terpilowski, from the Chartered Institute of Logistics and Transport, said conditions for drivers also needed to improve, pointing out that facilities such as overnight lorry parks were much better on the continent.

      Richard Walker, managing director at supermarket Iceland, said it was “about time” ministers relaxed immigration rules in a bid to solve the HGV driver shortage and called for key workers, including food retail workers, to be prioritised at the pumps.

      On Saturday the BBC spoke to a number of drivers who had queued or struggled to get fuel.

      Jennifer Ward, a student paramedic of three years for Medicare EMS, which provides 999 frontline support to the East of England Ambulance Service, said she had to travel to five stations to get diesel for her ambulance.

      Matt McDonnell, chief executive of Medicare EMS, said a member of staff cancelled their shift because they had been unable to get fuel and said he was waiting to see if the government would introduce measures to prioritise key workers, like they had for shopping during the pandemic.
      ’Thimble of water on a bonfire’

      Industry groups the Food and Drink Federation and Logistics UK both welcomed the visa changes, with federation chief Ian Wright calling the measures “pragmatic”.

      But the British Retail Consortium said the number of visas being offered would “do little to alleviate the current shortfall”.

      It said supermarkets alone needed an additional 15,000 HGV drivers to operate at full capacity ahead of Christmas.

      Labour’s shadow foreign secretary Lisa Nandy said the changes were needed but described them as “a sticking plaster at the eleventh hour”.

      “Once again the government has been caught asleep at the wheel when they should have been planning for months for this scenario,” she told the BBC.

      https://www.bbc.com/news/business-58694004

  • En #Allemagne... deux nouvelles qui se télescopent...

    1ère nouvelle:

    Deutschland braucht 400.000 Migranten pro Jahr

    Deutschland braucht viel mehr Zuwanderer. Aber qualifiziert sollten sie sein, sagt BA-Chef Scheele, um den Fachkräftemangel auszugleichen.

    –-> L’Allemagne a besoin de 400’000 migrant·es par an
    https://www.dw.com/de/deutschland-braucht-400000-migranten-pro-jahr/a-58962209

    2ème nouvelle, un sondage:

    80% of Germans think Afghanistan could unleash another wave of refugees heading their way like in 2015. Fascinatingly, though a clear majority - 62% still think “#Wir_schaffen_das

    https://twitter.com/tomescritt/status/1431183175129223170
    https://www.zdf.de/nachrichten/politik/politbarometer-bundestagswahl-union-spd-gleichauf-100.html?slide=1630041666725

    #accueil #réfugiés_afghans #travail #main-d'oeuvre #migrations #asile #réfugiés #marché_du_travail #sondage

    un hasard?

    #pragmatisme allemand?

    ping @isskein @karine4 @_kg_

  • Petite #métaliste (probablement pas complète) sur l’#instrumentalisation de l’#accueil de #réfugiés à des fins de #repeuplement ou pour accueillir de la nouvelle #main-d'oeuvre en Europe.

    A mettre en lien avec le sous-métaliste sur les villes-refuge :
    https://seenthis.net/messages/878327

    –-> les articles cités ici se focalisent sur la question de l’instrumentalisation de l’accueil à des fins économique/démographiques/sociaux

    #dépeuplement #démographie #travail #marché_du_travail #migrations #économie

    ping @karine4

  • #Coronavirus : manquant de bras, l’Italie va régulariser 200.000 sans-papiers

    Des secteurs essentiels comme celui de l’#agriculture souffrent du manque de #main-d'oeuvre qui menace les #récoltes. Un #décret va permettre la régularisation d’environ 200.000 clandestins qui pourront obtenir un contrat dans des #entreprises_agricoles. Cela déclenche des attaques de la Ligue de Matteo Salvini.
    L’agriculture italienne manque de bras. Environ 300.000 travailleurs saisonniers, essentiellement en provenance de l’Est de l’Europe, qui sont restés bloqués chez eux à cause du coronavirus. Confagricoltura et Coldiretti, les principaux représentants du secteur agricole transalpin, demandent la régularisation d’une partie des 600.000 sans-papiers présents en Italie. Beaucoup travaillent déjà de manière illégale dans les champs. La proposition est soutenue par les ministres de l’Intérieur, du Mezzogiorno, du Travail et de l’Agriculture. Un décret sera prochainement adopté pour régulariser environ 200.000 clandestins qui auront la possibilité d’obtenir un contrat de travail dans la filière agricole. Cela représenterait la plus importante régularisation depuis plus d’une décennie en Italie.
    La survie du secteur agricole est en jeu

    La ministre de l’Agriculture Teresa Bellanova la réclamait depuis le mois de janvier, avant l’épidémie de coronavirus qui a provoqué dans certaines régions une baisse de 50 % des récoltes. L’Italie, deuxième producteur de fruits et légumes en Europe avec un chiffre d’affaires de 13 milliards d’euros, ne peut se le permettre. Selon la Coldiretti, 40 % des produits de la terre pourraient ne pas être récoltés cette année. La prolongation des permis de séjour et l’instauration prochaine de « couloirs verts » pour faire venir de Roumanie près de 110.000 travailleurs saisonniers et leur garantir un contrat jusqu’au mois de décembre sont des mesures nécessaires mais insuffisantes.

    « Il y va de , insiste la ministre qui rappelle que l’urgence, déterminée par l’absence de main-d’oeuvre, met en danger les produits, le travail, les investissements, la nourriture. La régularisation des sans-papiers est une question économique mais aussi sociale et humanitaire. Dans le sud, ils vivent dans des bidonvilles et sont exposés à la faim, aux risques sanitaires et à . »

    Polémique sur les clandestins

    La Ligue de Matteo Salvini s’insurge et dénonce « un nouvel appel d’air pour une invasion de migrants avec un retour des débarquements sur les côtes italiennes ». Les chiffres du ministre de l’Intérieur offrent un démenti avec 2.800 arrivées au cours du premier trimestre 2020 et des frontières qui restent fermées. L’économiste et ancien président de la Sécurité sociale italienne Tito Boeri propose quant à lui d’aller plus loin en régularisant la totalité des clandestins. La moitié est constituée de femmes d’Europe de l’Est et d’Amérique du Sud travaillant comme aides aux personnes âgées mais aussi de nombreux ouvriers des travaux publics. Autant de secteurs indispensables pour surmonter la crise et envisager la relance de l’économie.

    https://twitter.com/LesEchos/status/1252181051889332231

    #régularisation #sans-papiers #Italie #travailleurs_étrangers #travail

    Ajouté à la métaliste agriculture / coronavirus :
    https://seenthis.net/messages/836693

    ping @karine4 @isskein

    • L’appello di economisti, giuristi e virologi : « Regolarizzare gli immigrati in tutti i settori economici »

      La proposta di una sanatoria per dare un permesso di soggiono agli invisibili, potenziale bacino di manovalanza per la criminalità organizzata.

      Un appello con 360 firmatari - tra economisti, immunologi, virologi, giuristi ed esperti di immigrazione - per sollecitare la regolarizzazione degli immigrati irregolari non solo in agricoltura ma anche in tutti gli altri settori economici del Paese. Gli «invisibili», infatti, rischiano di essere uno dei maggiori fattori di rischio nella nascita di nuovi focolai dell’epidemia di coronavirus. Inoltre rappresentano un potenziale bacino di manovalanza per la criminalità. La via legislativa potrebbe essere quella di una sanatoria tramite dichiarazione di un datore di lavoro, che consente di ottenere un permesso di soggiorno e lavoro temporaneo che, finita la fase di emergenza, sarà sottoposto all’iter previsto per questi tipi di permesso.

      «Sta circolando in questi giorni nelle commissioni parlamentari la bozza di un disegno di legge per la regolarizzazione degli immigrati irregolari in agricoltura - si legge nel documento - In questo nostro appello vogliamo sottolineare l’opportunità di estendere la proposta agli irregolari che lavorano in tutti gli altri settori economici del Paese (e, in primis, in quelli cruciali dei servizi alla persona, dell’artigianato, dell’industria e dei servizi ad essa collegati). Non soffermandoci sulle evidenti motivazioni umanitarie ma su quelle di carattere sanitario, di sicurezza, economico e sociale».

      I firmatari espongono poi le motivazioni e i contenuti della proposta.
      Motivazioni
      "I costi psicologici, sociali ed economici della paralisi della vita sociale ed economica a cui siamo stati costretti per combattere il coronavirus sono drammatici e sotto gli occhi di tutti. E’ urgente passare il prima possibile alla fase 2 ma dopo 6 settimane di distanziamento sociale il declino dei nuovi positivi, e soprattutto dei decessi, appare ancora troppo lento, soprattutto nella regione Lombardia, che è il cuore produttivo del paese e anche, di gran lunga, la regione più colpita con più del 50 percento dei decessi.

      E’ stato sottolineato di recente come la presenza di centinaia di migliaia di migranti irregolari e «invisibili» possa essere un problema serio in questo frangente. Secondo le stime più recenti (ISPI, 2020) i migranti irregolari sono circa 600mila vivono in genere occupando in molti piccole abitazioni e, anche in caso di malattia, ritardano il contatto coi medici a meno di versare in condizioni veramente gravi. Un’indagine ISFOL (2014) sottolinea come gran parte di essi lavora fuori dal settore agricolo (13.6% sono artigiani, operai specializzati o agricoltori e 72,6% svolgono professioni non qualificate che includono badanti, colf e piccolo commercio in grandi centri urbani). Non si hanno stime della loro distribuzione regionale ma è del tutto presumibile che siano concentrati in misura maggiore nelle regioni a maggiore attività economica del paese che sono anche le più colpite (in Lombardia, applicando le percentuali di migranti regolari gli irregolari sarebbero almeno 100mila). E’ del tutto evidente dunque che la presenza di un gran numero di irregolari nelle aree oggi più a rischio rende di fatto altamente aleatorie le probabilità di successo di attività di somministrazione di test sanitari, tracciamento e monitoraggio di massa necessarie per assicurare il successo della fase due. In parallelo, con la graduale riapertura delle attività economiche gli irregolari rischiano di essere uno dei maggiori fattori di rischio nella nascita di nuovi focolai".

      "Oltre a queste dirimenti motivazioni di carattere sanitario - continua il testo - è ben noto che gli irregolari costituiscono un potenziale bacino di manovalanza per la criminalità con rischi che aumentano quando, in momenti come questi, condizioni di vita decente sono ulteriormente precluse. Da un punto di vista economico è stato sottolineato più volte come lavoratori immigrati irregolari e poco qualificati sottrarrebbero opportunità occupazionali a lavoratori italiani e determinerebbero una concorrenza al ribasso sul costo del lavoro che finisce per peggiorare dignità del lavoro e condizioni di vita anche dei lavoratori italiani a bassa qualifica. L’improvvisa scarsità di stagionali stranieri a seguito della chiusura delle frontiere per la pandemia ha evidenziato come i mercati del lavoro non siano in realtà così flessibili da ipotizzare una facile sostituzione tra lavoratori italiani e stranieri, lontani per mansioni e localizzazione. La regolarizzazione dei lavoratori stranieri avrebbe in questo caso un potenziale doppio beneficio. Rendere più facile lo spostamento tra diverse aree di chi già si trova nel nostro paese e, attraverso la sanatoria e la regolarizzazione, ridurre quelle condizioni di scarsa dignità e precarietà che rendono purtroppo il lavoro degli immigrati irregolari più «competitivo» rispetto a quello di lavoratori italiani che non accettano quelle condizioni.

      In linea di principio, come sostenuto da forze politiche del nostro Paese, gli irregolari potrebbero essere espulsi. I dati recenti insegnano però che, neanche nella stagione politica nella quale il ministro dell’interno ha sostenuto con forza questa strategia, i «risultati» delle politiche di rimpatrio sono stati significativi. L’espulsione di massa degli irregolari si è dimostrata non praticabile per diversi motivi (onerosità dei costi complessivi di identificazione e trasferimento nei paesi di origine, difficoltà di stipulare accordi con i paesi di origine). Tanto meno si può pensare sia praticabile per sventare i rischi sanitari di cui sopra in breve tempo e in un momento difficile come questo.

      In conclusione, motivazioni non soltanto umanitarie, ma anche sanitarie, di sicurezza, economiche e sociali suggeriscono l’opportunità della regolarizzazione degli irregolari seguendo una via già tracciata dal governo portoghese".
      Contenuti e forma legislativa
      «Trovando fondamento in queste motivazioni - sostengono ancora i firmatari - proponiamo dunque di estendere a tutti gli altri settori produttivi oltre quello agricolo la regolarizzazione dei migranti irregolari. La via suggerita è quella di una sanatoria tramite dichiarazione di un datore di lavoro che consente di ottenere un permesso di soggiorno e lavoro temporaneo che, finita la fase di emergenza, sarà sottoposto all’iter previsto per questi tipi di permesso. In questo modo, seppure in misura limitata, la regolarizzazione potrà contribuire con il versamento di contributi al finanziamento dell’ingente impegno di spesa pubblica necessario per superare questa crisi.

      Per rendere operativa la nostra proposta sarebbe necessario modificare la proposta di decreto legge attualmente in discussione in Commissione Lavoro che limita questa possibilità ai settori dell’agricoltura, della pesca e della silvicoltura estendo la misura agli altri settori produttivi. Inoltre dato che la regolarizzazione è innanzitutto per ragioni di salute pubblica, occorre rilasciare a tutti gli stranieri in condizioni di soggiorno illegale un permesso di soggiorno per asilo, in base ad art. 11 DPR 394/1999 e art. 10 Cost., prevedendo che sia utilizzabile da subito per iscriversi al SSN e al Centro per l’impiego e per accedere alle provvidenze di assistenza sociale. Le motivazioni umanitarie spesso non bastano a convincerci a realizzare passi avanti verso il progresso civile. Sarebbe però un grave errore per la nostra classe politica non fare quei passi quando queste s’incontrano, come in questo caso, con ragioni di convenienza ed opportunità».

      https://www.repubblica.it/politica/2020/04/25/news/appello_regolarizzazione_immigrati_agricoltura-254873997

      –--------

      @karine4 et @isskein —> faits intéressants :
      – il y a aussi des virologues qui ont signé
      – on met en avant le fait que la régularisation réduit les #risques liés à la #sécurité (et notamment le #risque que ces personnes appelées dans l’appel « invisibles » risquent de tomber dans les mains de la #criminalité (et notamment la #criminalité_organisée)
      – le fait de souligner que "en théorie les irréguliers pourraient être expulsés, mais dans les faits il ne le sont pas (et ils expliquent les raisons qu’on connaît)

      Mais... la proposition se base sur des permis de séjours temporaires temporaires en un premier temps, mais au-delà du secteur de l’agriculture comme d’autres propositions le suggèrent :

      Per rendere operativa la nostra proposta sarebbe necessario modificare la proposta di decreto legge attualmente in discussione in Commissione Lavoro che limita questa possibilità ai settori dell’agricoltura, della pesca e della silvicoltura estendo la misura agli altri settori produttivi. Inoltre dato che la regolarizzazione è innanzitutto per ragioni di salute pubblica, occorre rilasciare a tutti gli stranieri in condizioni di soggiorno illegale un permesso di soggiorno per asilo, in base ad art. 11 DPR 394/1999 e art. 10 Cost., prevedendo che sia utilizzabile da subito per iscriversi al SSN e al Centro per l’impiego e per accedere alle provvidenze di assistenza sociale.

    • Italy to give 600,000 migrants the right to stay

      Ministers thank unregistered workforce that proved essential during lockdown.

      More than half a million illegal migrants in Italy will be given permits to stay and work under plans put forward by the government, which said they had proved essential for caring for the elderly and picking crops in recent weeks.

      https://www.thetimes.co.uk/article/italy-to-give-600-000-migrants-the-right-to-stay-n3l8935bj

      #paywall

    • La grande bufala della regolarizzazione

      Permettere ai migranti già presenti in Italia di rimanerci solo per spaccarsi la schiena corrisponde ad una visione del mondo opposta rispetto a quella di chi chiedeva una sanatoria.

      Nella mattinata di mercoledì 13 maggio la battaglia portata avanti dalla Ministra delle politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova ha finalmente sortito qualche effetto, facendo trovare a Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle un accordo che per settimane era sempre stato rinviato: quello sulla regolarizzazione dei migranti.

      Il motivo per cui la Ministra la stessa sera nell’annunciarlo era quasi in lacrime non è l’aver riconosciuto a tante persone la possibilità di vivere legalmente su territorio italico, ma il fatto di aver in cuor suo abbandonato la lotta per l’uguaglianza che l’aveva portata nei lontani anni Ottanta ad essere in prima fila nella lotta al caporalato. La scelta di indicare Bellanova lo scorso settembre per un ministero che ha così tanto a che fare con il mondo del lavoro era stata accolta positivamente da molti, perché per quanto abbia come titolo di studio la terza media avrebbe potuto compensare con l’esperienza diretta, essendo stata una bracciante a partire dai 14 anni, poi una sindacalista della CGIL e solo in seguito una deputata dei Democratici di Sinistra prima e del Partito Democratico poi, per passare infine a Italia Viva.

      Nonostante i suoi trascorsi, negli ultimi anni il suo interesse per le tematiche delle migrazioni e del lavoro ha definitivamente cambiato segno: ha sostenuto convintamente sia il Jobs Act (contestato persino dai sindacati confederali di cui era stata paladina), sia l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ossia la legge sui licenziamenti, scontrandosi più volte con i lavoratori in qualità di vice ministra dello Sviluppo economico tra il 2016 e il 2018. Per tutti questi motivi, quando a metà aprile Bellanova ha rilanciato sulle pagine del Il Foglio la proposta di una regolarizzazione, gli attivisti per i diritti dei migranti hanno appreso con moderato entusiasmo la notizia e hanno continuato a ritenere quella della sanatoria l’unica soluzione percorribile.

      Questo naturalmente non certo per la scelta singolare della ministra di intervenire su un quotidiano di destra (a bassa diffusione e di cui non è nemmeno nota la tiratura) e non solo per l’uso di espressioni quali “dare risposte al presente per mettere a dimora il futuro” che allontanano la Ministra dai giorni in cui rimproverava a Bersani di utilizzare termini vaghi o incomprensibili. Senza contare che mentre a fine marzo il Portogallo votava un’ordinanza per dare maggiori tutele alle persone in attesa di regolarizzazione (cioè non una regolarizzazione a tutti gli effetti come alcuni hanno scritto, ma un decisivo passo avanti in termini di tutele), Bellanova faceva pubblicare sul sito del suo ministero un appello alla Grande Distribuzione Organizzata in vista della Pasqua che diceva: «Acquistate ancora più prodotti italiani, assicurate anche la presenza nei vostri negozi dei prodotti della tradizione pasquale».

      Non esattamente le stesse priorità degli attivisti (Legal Team Italia, Campagna LasciateCIEntrare, Progetto MeltingPot Europa e Medicina Democratica in primis) che poco dopo l’inizio dell’emergenza avevano chiesto una sanatoria subito, senza fare distinzioni legate all’esercizio o meno di una professione, e senza avere come riferimento un datore di lavoro (cosa che invece era stata richiesta da altre realtà). Giorno dopo giorno questa idea raccoglieva consensi e gli attivisti si incontravano virtualmente, fornendo riflessioni e analisi che sarebbero state molto utili al Governo, ma anche ai tanti che non sanno che il migrante irregolare, tanto per fare un esempio pratico, non può proprio iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale, e non ha di conseguenza un medico di base cui rivolgersi, e se va al Pronto Soccorso c’è l’eventualità di un controllo che può portare alla sua espulsione o ad essere recluso in un CPR. Ma in realtà tutti noi rischiamo la salute per il suo silenzio forzato, dunque c’è un valido motivo in più per regolarizzare la sua presenza. E poi ci sono i tanti migranti che sono stati regolari per un po’, ossia finché hanno avuto un lavoro, ma poi l’hanno perso e sono così divenuti irregolari. Moltissimi lavoratori originari dell’Europa Orientali sono infatti usciti dall’Italia allo scoppio della pandemia e non sono potuti tornare a causa della chiusura delle frontiere

      Colpevolmente la ministra non ha mai condiviso queste informazioni necessarie per arrivare ad una valutazione, e forse ha fatto leva prodotta sulla confusione creata da anni di allarmismi ingiustificati in tema di immigrazione quando nel suo intervento sul Foglio il 14 aprile ha delineato due urgenze: «la salute, in primis, e poi fronteggiare l’urgenza, determinata dall’assenza di manodopera, che sta investendo in modo pesantissimo l’agricoltura del nostro paese e che mette a repentaglio prodotti, lavoro, investimenti, cibo. Che rischia di mandare in enorme sofferenza le nostre aziende agricole e che nelle prossime settimane, quando saranno arrivati a maturazione molti raccolti, può determinare l’irreparabile. Mentre la filiera alimentare è impegnata con enormi sforzi a garantire cibo al paese, non si può, allo stesso tempo, lasciare marcire i prodotti nei campi e fare i conti con l’emergenza alimentare che sta investendo parti sempre più ampie della popolazione». Insomma: «siano i migranti a spaccarsi la schiena per noi: regolarizzare conviene!».

      E aggiungeva una sentenza: «Sia ben chiaro. Non esistono filiere sporche».

      Filiere che invece sono ben documentate. Ne hanno scritto numerose ong e associazioni nei loro report, e poi autori come Stefano Liberti, Yvan Sagnet, Antonello Mangano, Francesco Caruso, Stefania Prandi e il compianto Alessandro Leogrande. Ne hanno parlato attraverso il cinema Andrea Segre, Andrea Paco Mariani, Stefano Liberti ed Enrico Parenti. Con la legge 199/2016 di cui la ministra va fiera il caporalato non è certo defunto, anzi; come sintetizza il sindacalista Giovanni Minnini sul Manifesto è “inapplicata proprio nella parte che oggi sarebbe più necessaria, cioè: l’incontro della domanda e offerta di lavoro (il collocamento) e l’accoglienza dignitosa per i lavoratori stagionali.” Ed è un altro sindacalista la persona che più si è spesa sul campo per una degna regolarizzazione, Aboubakar Soumahoro (USB), che dando conto quotidianamente delle condizioni nei campi si è sempre rivolto tanto alle istituzioni, quanto ai consumatori. Così siamo arrivati ad una concessione fatta dal governo solo a chi si trova già sul territorio con un permesso scaduto, o con un lavoro irregolare, previa domanda del datore di lavoro, che dovrà autodenunciarsi rivolgendosi poi all’Inps o alla Questura e pagare 400 euro a domanda (soldi che magari vorrà farsi ridare poi dal lavoratore, come già successo in casi analoghi), più altri costi che non sono ancora chiari.

      Di tutto questo dibattito conclusosi male ieri sera con la ministra che non spiega tali limiti dell’accordo (o scambio?) con i Cinque Stelle non resta che una distanza incolmabile, quella tra due visioni opposte sulla regolarizzazione, e in definitiva due visioni opposte del mondo.

      Da un lato il discorso opportunista della ministra, che annuncia al paese la sua vittoria personale, un provvedimento di cinque pagine compreso all’interno di un decreto contenente essenzialmente misure economiche. Bellanova presenta infatti i migranti come corpi destinati irrimediabilmente - e indipendentemente dalle qualità personali - al lavoro fisico, minus habentes che proprio a causa dei loro deficit trovano un collocazione nei termini della locuzione do ut des: non bisogna far marcire i prodotti nei campi, si è ripetuto, perciò ora nella Fase 2, possiamo integrarvi nella norma, includervi temporaneamente in ragione di una condizione eccezionale, sempre se rispettate le regole e rimanete confinati nel vostro ruolo di oppressi. Il messaggio è che non vi vogliamo, ma adesso ci servite per raccogliere frutta sotto il sole e pulire il sedere agli anziani, costituite una scelta economica che va fatta in fretta per salvarci e per dare una risposta agli imprenditori che non vogliono che il paese si fermi nemmeno per un attimo. Ma poi, più o meno tra la Fase 3 e la 4, finita la pandemia o comunque scaduti i sei mesi concessi, tutti illegali come prima, senza alcuna soluzione giuridica prevista, pronti a farvi umiliare dalle peggiori destre e a rappresentare un problema di difficile risoluzione per quel che resta della sinistra. I profitti prima delle persone.

      Dal lato opposto c’è invece il discorso umanitario, quello degli attivisti che hanno sì esposto tutte le ricadute positive che una sanatoria slegata dalla volontà dei datori di lavoro avrebbe avuto, ma che sono legati da ragioni più profonde. Per indole si schierano dalla parte di tutti i subalterni, hanno costruito le proprie relazioni nel corso delle mobilitazioni in nome dell’antirazzismo e contro le guerre che causano migrazioni. Muovono da considerazioni basilari, come quelle alla radice del principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Principio che può essere condiviso da chi conosce bene la Storia, anche quella violenta e coloniale dell’Italia. In questo specifico caso, le persone prima dei profitti.

      Ma in tempi di antipolitica Bellanova ha gioco facile e con le sue lacrime ne esce meglio di tutti, e così tanti le scrivono su Twitter che in quel momento di commozione hanno visto quello che non avevano ancora trovato dall’inizio lockdown: un comprensibile crollo dovuto ad una grande impresa, un’ammissione della paura di prendere decisioni prima impensabili. Le emozioni vincono sempre, ed è curioso che già un’altra ministra, Elsa Fornero, abbia singhiozzato proprio mentre annunciava le misure rispetto ad un’altra questione del mondo del lavoro, quella degli esodati nel 2011 e sia ricordata anche per questo. «Lo Stato è più forte del caporalato» e «gli invisibili saranno meno invisibili» sono gli slogan con cui Bellanova ha chiuso la partita. E tra lei e la società civile c’è la stessa distanza che c’è tra sfruttamento e dignità.

      https://www.globalproject.info/it/in_movimento/la-grande-bufala-della-regolarizzazione/22780

    • Italy’s coronavirus amnesty: Migrant rights or economic self-interest?

      ’The systematic use of this tool has always postponed the bigger problem: a long-term legalisation solution.’

      The Italian government passed a law on 13 May paving the way for around 200,000 undocumented workers to apply for six-month legal residency permits. But just a few weeks later, the initial atmosphere of hope has quickly faded to a lukewarm welcome.

      The amnesty was one measure in a 55 billion euro ($59.6 billion) stimulus package meant to support Italy’s economy as the country struggles with the effects of the coronavirus. Italy has had one of the most severe outbreaks in the world, with nearly 230,000 confirmed cases and more than 32,500 deaths as of 25 May.

      The new regularisation law was initially greeted as a major step forward for migrant rights and as an example of good migration policy during the coronavirus pandemic. “From now on, the invisible will be a bit less invisible,” Italy’s minister of agriculture, Teresa Bellanova, said at a press conference announcing the law.

      Supporters still say the new law is an important, if tentative, improvement. But critics argue that it amounts to little more than a temporary amnesty that puts economic interests ahead of human rights and will do little to address the rampant exploitation of migrant labour, especially in Italy’s agricultural industry.

      Italy’s fields have long attracted migrant workers from eastern Europe, hundreds of thousands of whom flock to the country to work the harvest every year. They are joined in the fields by thousands of Africans and other non-Europeans who have crossed the Mediterranean to apply for asylum or to seek better lives in the EU. Nearly 500,000 people have made the journey since 2015. Many intended to move on to northern Europe but found themselves stuck with little choice but to try to find work in Italy’s informal economy.

      “[The law] is not exactly what we were hoping for because it is a very limited regularisation. But at this point, after decades of total invisibility, anything is better than nothing. It is a starting point,” Francesco Piobbichi, a social worker with the migrant support organisation Mediterranean Hope, told The New Humanitarian.

      Not everyone agrees.

      The Unione Sindacale di Base (USB), an Italian trade union that represents agricultural workers, called a national strike on 21 May to protest the law’s shortcomings. The union argues that the law is too limited in scope and will do little to protect exploited migrant agricultural workers. “Legal papers don’t necessarily protect you from exploitation,” said Michele Mililli, a USB representative in Sicily. “This is a structural problem that should not have been addressed during a healthcare emergency, but much earlier.”
      Exclusions, and only temporary

      There are an estimated 560,000 undocumented migrants in Italy. But the new law only applies to people working in agriculture or as domestic helpers, leaving out people who work in other sectors of the economy that rely heavily on undocumented labour, such as construction and food services.

      To regularise their status, undocumented migrants need the support of an employer or proof they were working in one of the eligible sectors prior to October 2019. “There is no guarantee that many [employers] will do it,” Enzo Rossi, a professor of migration economics at Tor Vergata University in Rome, told TNH. “And when the six months… expire, these people will be faced with the same dilemma as before the pandemic.”

      The amnesty also excludes people who were stripped of humanitarian protection or legal status by a series of anti-migrant security decrees issued in late 2018 by former far-right interior minister Matteo Salvini that Human Rights Watch said “eviscerated Italy’s asylum procedure and reception system”.

      The law focuses instead on people working in sectors of the economy deemed to be “essential” during the coronavirus crisis, such as undocumented agricultural workers who account for about 25 percent of Italy’s agricultural workforce, about double the amount of other economic sectors, according to Italy’s National Institute of Statistics.

      Portugal’s decision in March to treat people with pending immigration applications as residents for the duration of the coronavirus crisis has been regarded as an effort to guarantee that undocumented migrants have access to healthcare and social services during the pandemic. But Italy’s regularisation is seen by USB and other trade unions and humanitarian groups as a more cynical attempt to plug its labour gap – an estimated 250,000 worker shortfall stemming from coronavirus-related travel restrictions and fears.

      It’s also not the first time Italy has offered a path toward temporary regularisation for undocumented workers, mainly in agriculture. Over the past 35 years, there have been at least five amnesties, but they’ve never led to a comprehensive solution, according to Rossi.

      “The systematic use of this tool has always postponed the bigger problem: a long-term legalisation solution,” Rossi said. “That’s why the numbers of undocumented workers have always been so high.”
      Exploitation in Italy’s south

      Every week, Monday through Saturday, Bachir Ahmed Ali wakes up at the crack of dawn in the tented slum near the village of Cassibile in eastern Sicily and quickly runs to a nearby road where his employer waits for him in a truck with a dozen other migrant workers.

      In less than an hour, they are dropped at the edge of one of the many fruit and vegetable fields in the province of Syracuse where migrant workers pick produce, mostly strawberries and potatoes, from 6am to 2pm, earning 35 euros (about $38) per day.

      This is the daily reality for more than 430,000 migrants working irregularly in Italy’s agricultural sector who are at risk of exploitation. Many of them live in makeshift encampments close to Italy’s agricultural fields, especially in the country’s south.These informal settlements consist of improvised tents or derelict buildings and often lack access to running water and electricity. The people who live in them are caught in what is known as the caporalato system, a 17 billion euro ($18.45 billion) a year industry of illegal employment and labour exploitation run by organised criminal groups and agricultural speculators.

      In #Cassibile, Ali shares his tent with eight other farmworkers from Senegal, Gambia, Sudan, and Burkina Faso. He doesn’t complain about the overcrowding. During the Muslim holy month of Ramadan, which ended on 24 May, he appreciated having the company. “They make me feel part of a family. I haven’t seen my real one since I was 14,” he told TNH.

      Ali is now 30 years old. Originally from a village in Chad, bordering Sudan, he fled his home in 2006 when the country was on the brink of civil war and settled in Libya where he scraped by as a day labourer until the Libyan revolution erupted in 2011.

      “I decided to leave, like many other African migrants, because it was no longer safe for us there,” he said. “We all embarked on boats heading to Europe, so overwhelmed with fear that we couldn’t fully grasp what was happening. But I thought… I could at least get an education, maybe a job.”

      But none of that happened. Ali didn’t receive any guidance on how to rebuild his life at the migrant reception centres in Sicily he stayed in after he arrived. Eventually, the only job he could find was in the agricultural fields outside of Rome. “I worked there for four years then I returned to Sicily. I just couldn’t find anything else,” he explained.

      Ali was granted political asylum and has legal residency. Nonetheless, he has been living in the makeshift camp of Cassibile, home to around 300 people, since 2015. Even during the coronavirus crisis, he has continued harvesting potatoes in Syracuse’s fields. “For me, the virus is not as scary as war or hunger. But I think our conditions should get more attention,” he said.

      Staying afloat

      Ali’s story highlights the limitations of Italy’s new regularisation law: if people with refugee status and legal residency have no choice but to work in the caporalato system, how will the new law help undocumented migrants escape exploitation?

      Employers know that undocumented migrants are desperate for jobs and use that as leverage to continue explotative practices. “[Migrants] accept whatever gig and conditions that keep them afloat and allow them to send money home,” Mililli, the labour organiser from USB, said.

      Most of the migrants working in Sicily’s fields have been in Italy for an average of 10-12 years, according to Mililli. Salvini’s security decrees made them even more vulnerable and, in certain cases, made it more difficult for them to access healthcare.

      The 5,500 farms in the southeastern area of Sicily, home to southern Italy’s biggest wholesale produce market, employ about 30,000 workers. Sixty percent of them are foreigners making as little as 15 euros ($16.35) per day, according to USB. More than half of the migrant labourers continued to work throughout the coronavirus crisis – despite the health hazards and intensified police checks – because they had no access to financial relief from the government.
      ‘Health hazard’

      While the coronavirus has intensified the situation, health risks are nothing new for Italy’s exploited migrant labourers. In the past six years, around 1,500 agricultural workers have died due to the living conditions in the informal camps, from suffocating in overcrowded trucks used to transport undocumented workers or from car accidents on the way to the fields, according to the Italian NGO Doctors with Africa.

      When potato harvesting season ends at the beginning of summer, Ali heads for the tomato fields in Apulia, a region covering the heel of Italy’s boot. Seven informal settlements close to the town of Foggia host up to 6,500 people during the summer months.

      “These places are a health hazard. They were before the virus came, and [they] became a reason of great concern during the pandemic,” Alessandro Verona, the leader of a medical team for the Italian NGO Intersos, told TNH. “If one person gets sick here, it can turn the whole ghetto into a mass slaughter.”

      “Paradoxically, it took a pandemic to improve the situation here. We were granted more water access and toilets,” Verona continued. “But to tame what we consider no less than a humanitarian crisis, these ghettos need to disappear completely. And that will only happen when all undocumented workers are recognised and can rent real places to live [in] decently.”

      In opting for a temporary amnesty, Verona added, Italy lost a great opportunity to promote human dignity.

      On 18 May, five days after Italy’s regularisation law passed, a 33-year old Indian migrant working in a field outside of Rome was fired after asking his employer for a face mask for protection while at work. When the worker requested his daily wage, he was beaten up and thrown in a nearby canal.

      https://www.thenewhumanitarian.org/feature/2020/05/25/Italy-coronavirus-migrant-labour

    • ’Cynical’: Critics slam Italy’s amnesty for undocumented migrants

      New measure that grants temporary permits to migrants in agriculture and care work is act of ’cynicism’, activists say.

      A partial six-month amnesty for Italy’s undocumented migrants was announced this month in a move described by some as “a watershed moment” in the country’s migration policy and “an act of cynicism” by others.

      “Thanks to the choice made by this government, the invisible will become less invisible,” said Teresa Bellanova, Italy’s agriculture minister, in her emotional announcement speech on May 13.

      The former trade unionist was referring to people working in the agriculture and fishing industries, as well as care workers who have been without a residency permit.

      The measure, which grants a six-month residency, has been praised by CGIL-FLAI, the country’s biggest farmworkers’ union, as an “historic achievement”.

      But migrant activists have criticised the limited nature of the amnesty, which will affect only about 200,000 people, according to the Italian government’s estimates.

      The total number of undocumented migrants in the country ranges between 560,000 to 700,000, according to various estimates.
      ’Farcical scene’

      “The tears of the minister provided a really farcical scene,” said Abdel El Mir, a spokesperson of Movement of Migrants and Refugees of Naples (MMRN) - a group of migrants and Italians of foreign origin with up to 300 members, based in the southern city of Naples.

      The group held some of the first street protests in the city after the recent easing of the coronavirus lockdown.

      “If there are about 700,000 undocumented people in Italy and you choose to regularise only a small fraction of them, that is not an act of courage, but of cynicism. You’re only giving papers to the workforce you need, not caring at all about people’s health,” El Mir told Al Jazeera.

      Italy made it clear that its provision was only intended to fill gaps in the labour market as the coronavirus pandemic hit the country.

      Agriculture lobbies had warned the government that Italy would have to throw away huge amounts of fruit and vegetables because there was nobody to pick them, worsening the effects of a shutdown costing the food sector seven billion euros ($7.58bn).

      “We are not making a favour to immigrant citizens by giving them a residence permit,” said Bellanova. “We are simply addressing our need for additional workforce.”

      Under her scheme, the power to regularise migrants lies predominantly with landowners, who will be able to request residence permits for their workers by providing an employment contract and paying a 500-euro ($548) fee.

      In response, the country’s migrant agriculture workers went on a nationwide strike on May 21, protesting against employment sponsorship being the basis for residency permits.

      Aboubakar Soumahoro, the strike organiser, accused the government of “putting fruit and vegetables above people’s lives”.

      The strike was not endorsed by any major union.

      “In Italy, immigration is only ever understood as permissible when it is seen as having economic utility,” said Camilla Hawthorne, an assistant professor of sociology at the University of California Santa Cruz, who has studied migrant activism in Italy.

      The country passed its first comprehensive immigration legislation in 1990, in the wake of the racially motivated murder of Jerry Masslo. He was an asylum seeker from apartheid South Africa who worked as an undocumented agriculture labourer in the region of Naples.

      ‏According to Hawthorne, the current situation resembles the 1990 case, because a humanitarian rhetoric was used to pass immigration laws at the time, but “every subsequent law linked residence permits to work contracts”.
      More vulnerable

      El Mir said the recession caused by the coronavirus pandemic was likely to produce a spike in the number of undocumented people as the employment rates fall, leaving them more vulnerable.

      “Lacking a document means lacking every right, including ordinary access to healthcare,” he said.

      The group of migrants and refugees El Mir is associated with run a free legal help desk, a small health surgery and an Italian language school in Naples. They are providing assistance to more than 4,000 people.

      During the coronavirus lockdown, the group set up a mutual aid network that delivered food and other essential goods to 120 migrant households.

      Their activities also serve as a point of inquiry into the challenges faced by migrants, and informs the political strategy of the movement.

      A citizen of Bangladesh, who has asked not to be identified, requested their assistance shortly after the amnesty was introduced.

      He has been living and working in Italy without a permit for fours years, but as a shoe factory worker he is excluded from the regularisation initiative.

      “An employer asked me to pay 5,000 euros (about $5,487) for a work contract in agriculture. But where am I going to get that money?” he wrote in a text message to El Mir.

      El Mir said such cases were frequent, and were a direct result of the government’s discriminatory provision, but even before the pandemic, foreigners in Italy were under major stress.

      He pointed to the so-called “security decrees”, a set of measures passed last year by the former Interior Minister Matteo Salvini that restricted access to asylum and drastically cut public services available to migrants.
      Salvini’s legacy

      After the far-right leader was removed from office in September last year, the new government failed to deliver on an initial pledge to reverse his most controversial anti-migrant legislation.

      In a further blow to the expectations of human rights groups, Italy renewed a much-criticised deal with Libya to curb migration, and closed its ports to asylum seekers during the pandemic.

      “Too many people think that not having a minister that shouts against migrants means that migration policy has changed. Reality says otherwise,” El Mir said.

      The fact that “even after the fall of Salvini the government has continued many of the same right-wing policies” has pushed migrant activists “to create autonomous political spaces, away from the more traditional sights of political organising in Italy”, said Hawthorne.

      “What gets lost in mainstream anti-racist activism - with its emphasis on tolerance and inclusivity as the antidote to the far-right rhetoric - is the structural critique of racism that is not just about populist leaders saying really racist things,” Hawthorne said.

      “It is part of a broader system of capitalist globalisation and border fortification and militarism that work together to produce a racist system that disadvantages Black people across the spectrum, whether they were born in Italy, or they migrated to Italy,” she added.

      In their demonstrations, the Naples activists tried to address the daily issues affecting migrants’ lives, such as the delay in issuance of residence permits or access to healthcare while also pointing at what they see as the structural causes of racism in Italy.

      “We can’t skip over the fact that Italy openly sells arms to dictators and deals with criminal organisations in Africa; or that ENI [Italy’s state-owned oil and gas company] ravages entire African regions,” El Mir said.

      He said such criticism does not always go down well with the wider anti-racist movement.

      “They tell us that these issues are divisive. But what for them is divisive in terms of political consent, for us is a matter of life,” he said.

      https://www.aljazeera.com/news/2020/05/critics-slam-italy-amnesty-undocumented-migrants-200526104154789.html

    • Il gioco crudele della regolarizzazione 2020

      Il provvedimento del governo sui migranti senza permesso di soggiorno è confuso e iniquo. Abbiamo perso una grande occasione. La rubrica di Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

      Olga è ucraina, fa la badante di una anziana malata; è arrivata in Italia quasi per caso ormai quattro anni fa, per sostituire per un mese una sua amica. È arrivata regolarmente non avendo obbligo di visto. Poi ha trovato un lavoro in nero e ha deciso di rimanere. Il lavoro è pesante ma lei ha bisogno di soldi da mandare a casa e c’è poco da discutere. Tutti conoscono Olga e tutti possono attestare che vive con quella anziana donna alla quale si è affezionata. Olga ha saputo della sanatoria e pensa che finalmente si metterà in regola. Non sa ancora che non sarà così perché non è mai stata fotosegnalata e neanche espulsa (sulla carta) ed essere stati fotosegnalati, o almeno disporre di una attestazione di presenza rilasciata da organismi pubblici, è condizione essenziale per “fare” la regolarizzazione. Olga è, per così dire, troppo invisibile, come lo sono quasi tutte le donne straniere che nel nostro Paese fanno un lavoro di cura.

      Abdul è un richiedente asilo con ricorso pendente contro il diniego della domanda; da quando, nel 2018, è stata abrogata la protezione umanitaria dal primo decreto (in)sicurezza, sono tante le domande come le sue che sono finite così.
      Ma Abdul ha già da un anno un lavoro regolare e con contratto a tempo indeterminato; è disponibile ad abbandonare il suo ricorso per un permesso di soggiorno per lavoro; crede che sia arrivato il momento giusto ma non sa che non è così perché è, per così dire, troppo regolare e non è possibile la conversione da richiesta asilo a lavoro. Abdul resterà in Italia con il suo lavoro a tempo indeterminato fino al momento della decisione sul ricorso; se, come probabile, lo perderà, diventerà un “clandestino”, dopo avere vissuto e lavorato in Italia per anni.

      Asif è pakistano, un tempo aveva un permesso di soggiorno ma poi non è riuscito a rinnovarlo. Gestisce un albergo; il suo datore di lavoro sa che lui parla quattro lingue e con i turisti ci sa fare. Asif ha deciso che è la volta buona: il padrone non può dirgli di no. Ma Asif ancora non sa che la regolarizzazione è solo per i settori agricoli e il lavoro domestico e di cura. Per lui non c’è niente da fare neanche questa volta.

      Mohammed è un bracciante agricolo, vive da dieci anni in Italia ed è stato espulso, sempre sulla carta, già tre volte. Ogni anno, per tre mesi raccoglie i pomodori, poi per altri due raccoglie le olive, per altri due ancora le arance e poi fa lavori qua e là. Nessuno lo mai assunto e non vive da nessuna parte e nello stesso tempo ovunque in giro per la penisola, sempre in qualche baracca vicino al campo di raccolta. Ha sentito che questa è la sanatoria dei braccianti, proprio la sua, “Stavolta è fatta”. Chiederà a tutti i suoi padroni che l’hanno sfruttato in questi anni per 25 euro al giorno (dieci ore al giorno di lavoro) di fargli un contratto; anche brevissimo, solo per avere finalmente quel maledetto documento, e poi, s’intende, l’ammenda la paga lui. Nessuno dei suoi molti padroni lo farà, perché mai dovrebbero? Per due mesi di lavoro all’anno non se ne parla neanche; che se ne vada pure al diavolo e avanti un altro senza pretese.

      Olga, Abdul, Asif, Mohammed sono nel gioco crudele della regolarizzazione 2020, che non è né aperta né restrittiva ma divide i migranti salvati da quelli sommersi senza alcuna ragionevolezza trattando le persone come merce a disposizione. Il testo di legge afferma, non senza solennità, che il fine della norma è quello di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da Covid-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolare”. Intenzioni annunciate ma non realizzate. Neppure questa volta, nell’anno della pandemia, abbiamo infatti scelto di fare emergere gli stranieri senza permesso di soggiorno sulla base della loro semplice presenza, con semmai poche e nette esclusioni connesse a seri profili penali, dando loro un permesso per “ricerca lavoro”. Per permettere di cercarlo o di tenerlo o ancora di cambiarlo e soprattutto di liberarsi dallo sfruttamento di chi li ricatta. Per permettere a loro, e a noi, di vivere in una società migliore.

      https://altreconomia.it/il-gioco-crudele-della-regolarizzazione-2020

    • La protesta di #Aboubakar_Soumahoro

      Si è incatenato vicino a #Villa_Pamphilj e alla fine è stato ascoltato da Conte, chiedendogli una riforma della filiera agricola, un «piano nazionale emergenza lavoro» e una modifica delle politiche migratorie

      Martedì 16 giugno, il sindacalista dell’USB Aboubakar Soumahoro si è incatenato vicino a Villa Pamphilj, a Roma, dove sono in corso gli “Stati generali dell’economia”, una serie di incontri organizzati dal governo tra il governo stesso, istituzioni internazionali, sindacati e associazioni di categoria. Accompagnato da altri attivisti del sindacato, Aboubakar Soumahoro ha anche iniziato uno sciopero della fame e della sete, chiedendo al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di essere ascoltato. Alla fine, dopo oltre otto ore di presidio, il sindacalista è stato ricevuto nel pomeriggio da Conte alla presenza del ministro dell’Economia Gualtieri e della ministra del Lavoro Catalfo. Il colloquio è durato circa mezz’ora.

      Aboubakar Soumahoro, impegnato attivamente da anni per le persone migranti e i braccianti, ha presentato al governo tre richieste in particolare: una riforma della filiera agricola, un “piano nazionale emergenza lavoro” e una modifica delle politiche migratorie.

      Sul primo punto: l’USB vuole l’approvazione della cosiddetta “patente del cibo” per dare cioè alle persone, ha spiegato Aboubakar Soumahoro, un cibo «eticamente sano». La “patente del cibo” prevede che vengano esplicitate una serie di informazioni che dicano dove quel cibo è stato prodotto e che garantiscano che sia stato prodotto senza sfruttamento. Il “piano nazionale emergenza lavoro” è stato spiegato per ora in modo piuttosto generico: l’obiettivo è comunque quello di tutelare «coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della crisi sanitaria». Le richieste legate al terzo e ultimo punto, sulle politiche migratorie, sono invece più definite: «Regolarizzazione di tutti gli invisibili con rilascio di un permesso di soggiorno per emergenza sanitaria convertibile per attività lavorativa», cancellazione degli accordi con la Libia, dei decreti sicurezza, riforma radicale per le politiche dell’accoglienza, abolizione della legge Bossi-Fini e cittadinanza per chi è cresciuto o nato in Italia. «Si tratta di una lotta di civiltà», ha spiegato Aboubakar Soumahoro.

      Nel cosiddetto “decreto rilancio“, che contiene decine di nuove misure per sostenere l’economia dopo il picco della pandemia da coronavirus, il governo aveva inserito anche una procedura per regolarizzare una parte dei migranti irregolari che vivono in Italia, legando il provvedimento al problema della raccolta della frutta nei campi agricoli. Aboubakar Soumahoro e l’USB chiedono invece che la regolarizzazione non venga legata alla raccolta della frutta, ma alla crisi sanitaria e che il permesso sia poi convertibile per attività lavorativa.

      All’inizio di febbraio il governo italiano aveva rinnovato il controverso Memorandum d’intesa (PDF) firmato nel 2017 con il governo di unità nazionale libico guidato da Fayez al Serraj, servito soprattutto ad addestrare e fornire mezzi alla cosiddetta Guardia costiera libica, formata da milizie private spesso in combutta coi trafficanti di esseri umani, e finanziare quelli che il documento chiama «centri di accoglienza» in Libia, dove i migranti sono sistematicamente torturati, stuprati e al centro di richieste di riscatto per essere liberati. Aboubakar Soumahoro ne chiede la cancellazione, così come dei “decreti sicurezza”.

      I cosiddetti “decreti sicurezza“ sono le due leggi molto restrittive sull’immigrazione fortemente volute dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e approvate durante il governo precedente. Il primo “decreto sicurezza” è entrato in vigore il 5 ottobre 2018 e interviene soprattutto sul sistema di accoglienza italiano. La principale misura contenuta nel decreto è l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, una forma di protezione molto diffusa della durata di due anni, sostituita da altri permessi più specifici e quasi impossibili da ottenere. Il secondo “decreto sicurezza” modifica invece le norme che riguardano gli sbarchi dei migranti soccorsi in mare attraverso la cosiddetta politica dei “porti chiusi”, ingenti multe per i comandanti delle navi che ignorano il divieto di ingresso, e nuovi fondi per il rimpatrio dei migranti irregolari, cioè senza alcun tipo di permesso per rimanere in Italia.

      Entrambi hanno peggiorato le condizioni del sistema di gestione e accoglienza dei migranti: non hanno portato alla diminuzione degli sbarchi né dei morti in mare, non hanno portato alla riduzione del numero di irregolari né del numero dei rimpatri. Aboubakar Soumahoro chiede la cancellazione anche della legge Bossi-Fini del 2002, che rende impossibile trovare un lavoro regolare per quasi tutti gli stranieri extracomunitari.

      Dopo l’incontro con Conte, Aboubakar Soumahoro ha spiegato che l’idea della “patente del cibo” ha trovato grande riscontro nel governo: «Il presidente Conte ha detto che è un’idea bellissima, un’idea geniale e che si attiverà per metterla in pratica». Sul piano del lavoro, Conte ha chiesto “proposte articolate in merito” che l’USB presenterà dunque al più presto. La risposta più deludente è stata sui “decreti sicurezza”: «Ci ha detto che il programma di governo prevede di riformarli, non ha mai parlato di cancellarli come noi chiediamo». Il sindacalista ha infine detto di aver informato Conte che stanno lavorando «alla convocazione degli Stati popolari. Loro hanno fatto gli Stati generali, noi faremo gli Stati popolari nelle prossime settimane a Roma: chiameremo a parlare giovani, precari, disoccupati».

      https://www.youtube.com/watch?v=_z5xME3T7WM&feature=emb_logo

      https://www.ilpost.it/2020/06/17/protesta-aboubakar-soumahoro

    • Regolarizzazioni, le Acli: «Migliaia di pratiche gestite, ma poca chiarezza»

      Ci sono casi di lavoratori che emergono, poi i datori scompaiono (si pensi ai badanti di anziani) e loro restano nel limbo

      Migliaia di pratiche gestite per la regolarizzazione degli stranieri prevista dal decreto Rilancio che è legge da metà luglio, ma ancora tante incertezze a riguardo.

      E’ quel che emerge dai Patronati dell’Acli, in prima fila nella vicenda. «Abbiamo gestito finora circa 6000 pratiche» racconta Marco Calvetto, Capo Area dei Nuovi Servizi di Tutela del Patronato Acli «e devo dire che una buona percentuale sta andando avanti senza problemi però ci sono anche tante domande che si scontrano con criticità e ambiguità che la norma non ha affrontato. Parliamo in percentuale di un quinto delle domande, quindi non sono poche quelle che aspettano dei chiarimenti, prima di tutto da parte del Ministero dell’Interno che da giorni ha preannunciato la pubblicazione di una circolare che dovrebbe dirimere una serie di questioni sollevate da parte di tutte le associazioni coinvolte nella regolarizzazione. A poche settimane dalla scadenza dei termini per presentare le domande di emersione, che rimane il 15 agosto, desta un po’ di sconcerto che non siano ancora chiare e certe le normative e le procedure che a cui dovranno attenersi datori di lavoro e cittadini stranieri».

      Tra gli stranieri che si sono rivolti al Patronato Acli per chiedere la regolarizzazione, si conta la stessa percentuale nazionale di un 90% di stranieri categorizzabili nel lavoro domestico e 10% di stranieri che invece fanno parte del mondo agricolo.

      «Ai dubbi relativi all’invio dell’istanza si aggiunge anche - continua Calvetto - l’incertezza sull’esito e, spesso, la gestione degli eventi che possono incidere sul regolare soggiorno o sul rapporto di lavoro instauratosi fra il momento dell’invio dell’istanza e la convocazione in prefettura per il rilascio del permesso di soggiorno. Purtroppo la verità è che si tratta di almeno 5-6 mesi prima che le parti vengano chiamate per la firma definitiva e in questi mesi, si sta già verificando, il datore di lavoro purtroppo può morire, visto che spesso si tratta di persone anziane affette da qualche malattia grave, con il risultato che lo straniero è ormai emerso, perché ha fatto richiesta di regolarizzazione, però non ha più la possibilità di continuare l’attività lavorativa collegata con l’istanza di emersione e non sa bene come potrebbe essere assunto da altro datore di lavoro, non avendo ancora il titolo di soggiorno, o come si dovrebbe regolare il datore di lavoro in caso di infortunio del lavoratore, visto che il contratto di lavoro sarà comunicato agli enti solo in fase di presentazione allo Sportello Unico. Ad oggi non abbiamo nessuna risposta in merito, abbiamo sollecitato sia le amministrazioni che il Ministero degli interni affinché diano a tutti delle linee guida chiare con delle FAQ che rispondano a tutti i dubbi e le criticità che stanno insorgendo in queste settimane».

      Certo, sono situazioni limite, ma non si tratta certo di casi isolati. «Spesso, i datori di lavoro sono molto anziani o comunque non sono autosufficienti, - aggiunge Giamaica Puntillo, Segretaria Nazionale Acli Colf - non è scontato che possano presentarsi in procura per la firma delle parti. Quando ci sono queste sacche di disinformazione non si fa che alimentare la paura di fare qualsiasi passo in avanti e in qualche modo si scoraggiano persone magari ben intenzionate.»

      Il decesso del datore di lavoro durante l’iter dell’istruttoria di regolarizzazione non è il solo caso limite che è arrivato agli sportelli delle Acli in queste settimane: per esempio ci sono molti stranieri titolari di permesso di soggiorno diversi da quello per motivi di lavoro, permessi «deboli» o che a breve andranno a scadere (come ad esempio permesso per attesa asilo o per studio...), che stanno svolgendo un regolare rapporto di lavoro, ma che vorrebbero usufruire della regolarizzazione per avere maggiori garanzie a livello di stabilità , ma ancora non sanno se potranno collegare quel lavoro, anche se in uno dei settori coinvolti dalla regolarizzazione, con l’istanza di emersione. Oppure c’è il caso di un minore che ha un permesso di soggiorno non rinnovabile e non convertibile il cui datore di lavoro attuale sarebbe disponibile a mettere in regola, ma cosa succede in questo caso? Non è chiaro insomma se è possibile procedere con una novazione del contratto, ad oggi, che permetterebbe al datore di tenere in piedi lo stesso tipo di contratto o bisogna per forza far cessare il vecchio rapporto di lavoro.

      «Anche nel settore agricolo - sottolinea Gianluca Mastrovito Vicepresidente di Acli Terra - c’è poca chiarezza. Ad esempio i datori di lavoro fanno fatica a capire qual sia il minimo economico richiesto per poter accedere alla regolarizzazione. Si tratta di piccoli imprenditori agricoli che non fanno neanche il Modello unico perché spesso sono coltivatori da soli, oppure sono realtà familiari di poche persone, senza una vera struttura. In questa incertezza legislativa, con interpretazioni che variano anche da territorio a territorio, hanno gioco facile i faccendieri».

      Stupisce, inoltre, viste le finalità della regolarizzazione strettamente connesse a ragioni sanitarie, che non sia ancora stato esplicitato come sia possibile per i soggetti coinvolti dall’emersione, possessori di una mera istanza di regolarizzazione, ottenere un Codice Fiscale e iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale.

      «Fra tante incertezze e dubbi colpisce che in fase di conversione a legge del Decreto Rilancio siano stati accolti auna serie di emendamenti e modifiche in materia di bonus e di politica fiscale, per esempio, ma non sia stato accolto nemmeno un emendamento sulla norma delle regolarizzazioni, ed erano centinaia , compresi i nostri e soprattutto compresi quelli presentati dalla maggioranza stessa - dichiara Emiliano Manfredonia, Presidente del Patronato Acli - è chiaro che ci troviamo di fronte ad uno scontro politico. Così perdiamo una grande occasione, il decreto si poteva e andava migliorato, dopo una risposta iniziale dettata anche dall’emergenza.»

      L’altro problema, a cui la legge di conversione non ha posto rimedio, riguarda il fatto che la norma sia applicabile solo agli stranieri irregolari che lavorino in tre settori specifici: agricoltura, assistenza alla persona, lavoro domestico. «Dai dati resi noti dal Ministero dell’Interno emerge che molti lavoratori domestici coinvolti dalla regolarizzazione appartengono a nazionalità che tradizionalmente vedevano bassi indici di coinvolgimento nel settore. O ci troviamo di fronte ad un positivo superamento dell’etnicizzazione che caratterizza il lavoro domestico del nostro Paese o forse ad un vincolo legislativo che genera delle distorsioni.... » - ha aggiunto Calvetto - e d’altronde più la normativa è stringente più si fa il gioco di chi non ha peli sullo stomaco. Basti pensare che le istanze di emersione le possono inviare giustamente i singoli, ma forse un po’ più di perplessità le suscita il fatto che ogni soggetto privato può inviare fino a 5 istanze per altri. Facile capire come si possa trasformare in un’occasione di lucro per la criminalità organizzata e anche per la microcriminalità delle comunità straniere presenti nel nostro Paese: si illudono persone bisognose, in situazioni di fragilità, chiedendogli magari i risparmi di una vita o facendoli indebitare, creando legami di subalternità che rischiano di alimentare l’illegalità invece di processi di autonomia e partecipazione a cui l’emersione dovrebbe tendere. E non sono poche le domande che gli operatori Acli non accolgono perché palesemente in contrasto con i requisiti. «Chiediamo maggiore chiarezza, mancano ormai pochi giorni, visto che si avvicina anche la chiusura estiva - ha concluso Manfredonia - e crediamo che sia una questione di rispetto sia per chi ha intenzione di regolarizzare uno straniero ma anche per gli operatori dei patronati che si trovano a non poter dare le giuste risposte a persone che magari ne avrebbero il diritto.»

      https://www.repubblica.it/economia/miojob/lavoro/2020/08/04/news/regolarizzazioni_le_acli_migliaia_di_pratiche_gestite_ma_poca_chiarezza_-

    • Migrants in Italy: 220,000 workers applied for regularization

      Since a new decree went into effect in Italy this summer, 220,000 migrants have applied to get temporary papers, according to Deputy Interior Minister Matteo Mauri. Meanwhile, he also said that the exploitation of undocumented farmworkers in the Foggia region had to be stopped.

      Deputy minister Mauri announced the numbers on October 13 after a meeting at the prefecture of Foggia in the region of Puglia.

      “207,000 people applied for the regularization, in addition to 13,000 who asked for a permit to look for a job, so we are talking about 220,000 people,” Mauri said. “In the report we drafted before the start of the regularization, we wrote on a piece of paper that we would probably regularize 220,000 people, which is exactly what happened.”

      Permit extension for migrant workers

      The decree that allowed these people to apply for temporary papers came into force on June 1: Foreigners who had a stay permit that expired after October 31, 2019 could apply for a new six-month-long permit. The decree applied to migrant workers employed in specific sectors, including agriculture and domestic work, as well as unemployed migrants who previously worked in these sectors.

      “More legality, more regularity and as a consequence more benefits for all, because producing conditions for high-quality integration is in everybody’s interest,” deputy minister Mauri said.

      He said his administration was actively fighting the exploitation of undocumented migrants in agriculture in the Foggia region. “We have met with law enforcement, the prefecture, unions and associations. Unfortunately, we are not dealing with an emergency but with a problem that has existed for a very long time,” he said.

      Exploitation of farmworkers

      The Foggia region is known for makeshift migrant camps where gangmasters look for workers. Living conditions in these shanty towns are poor. This summer, several inhabitants caught COVID-19, and one migrant died in a fire.

      Mauri said that “a different, dignified living solution must be found” for migrant workers, and that ending exploitative work situations was key to this.

      “At the center of everything there is always the problem of exploitation, because if a person is not paid for what he or she does but is underpaid and in some cases enslaved, these situations become inevitable,” he said.

      https://www.infomigrants.net/en/post/27936/migrants-in-italy-220-000-workers-applied-for-regularization

    • France : 73 Bulgares venus travailler comme saisonniers ont été refoulés à #Roissy

      Bien que ressortissants de l’Union européenne, 73 Bulgares, venus travailler comme saisonniers ont été refoulés jeudi après leur arrivée à l’aéroport de Roissy. Pour les défenseurs de ces migrants, ces refoulements vont à l’encontre des #dérogations annoncées par le ministère de l’Intérieur.

      Soixante-treize Bulgares, qui avaient atterri mardi à l’#aéroport de Roissy, en banlieue parisienne, pour venir travailler comme saisonniers, ont été refoulés jeudi 7 mai du territoire français.

      Dès leur arrivée, ces ressortissants de l’Union européenne ont été placés en #zone_d'attente au sein de l’aéroport, zone où sont notamment maintenues les personnes non admises, en vue de leur renvoi en Bulgarie, a affirmé à l’AFP Laure Palun, directrice de l’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (Anafé).

      Ils étaient pourtant munis d’#attestations_de_travail en France, prouvant qu’ils avaient été recrutés par des entreprises pour travailler dans le #maraîchage ou le #BTP, poursuit Laure Palun, qui s’est rendue sur place.

      Interrogée par l’AFP, une source aéroportuaire a affirmé que les 73 Bulgares avaient été refoulés car leur motif d’entrée en France ne relevait pas d’un « #intérêt_économique_national », comme la production de masques.

      ’’Violation des droits fondamentaux’’

      Pour les défenseurs des migrants toutefois, ce motif va directement à l’encontre des annonces du gouvernement. Si les restrictions aux frontières de la France avec les pays de l’espace européen (Union européenne, espace Schengen, Royaume-uni) seront prolongées a minima jusqu’au 15 juin, « certaines dérogations supplémentaires seront rendues possibles », a expliqué, jeudi 7 mai, le ministre de l’Intérieur Christophe Castaner. Parmi les dérogations, « un #motif-économique_impérieux, en particulier les #travailleurs_saisonniers_agricoles », a énoncé ce dernier.

      https://twitter.com/anafeasso/status/1258327723908481024

      « D’après les dernières circulaires, [ces ressortissants bulgares] avaient la possibilité de se déplacer », déplore encore Laure Palun, qui affirme avoir saisi en vain le Défenseur des droits ainsi que la Contrôleure générale des lieux de privation de liberté. Ces travailleurs ont été « refoulés en violation de la #protection_de_la_santé et des #droits_fondamentaux », explique-t-elle.

      L’Observatoire de l’enfermement des étrangers (OEE) a pour sa part estimé dans un communiqué que les 73 personnes renvoyées avaient « subi les pressions non seulement du gouvernement français mais aussi des autorités bulgares qui se sont rendues en zone d’attente (mercredi) soir ».

      « Contrairement à ce qui est annoncé depuis plusieurs semaines, les frontières ne sont pas ’fermées’, les refoulements continuent et ce, au mépris des préconisations de l’OMS quant aux risques d’exportation du virus », a dénoncé l’OEE.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/24617/france-73-bulgares-venus-travailler-comme-saisonniers-ont-ete-refoules

      #Bulgarie #migrants_bulgares #travailleurs_bulgares #refoulement #saisonniers #fermeture_des_frontières

    • 78 Européens enfermés dans la zone d’attente de Roissy en pleine épidémie du Covid-19 : L’acharnement du gouvernement doit cesser !

      Depuis le 5 mai, 73 ressortissant·es européen·nes sont maintenu·es dans la zone d’attente de l’aéroport de Roissy Charles de Gaulle après s’être vu refuser l’entrée sur le territoire français. La plupart ont des contrats de travail avec des attestations de déplacements professionnels national et international. Il y a, parmi elles, une famille avec un enfant de plus de 13 ans et 6 résidents permanents en France.

      Arrivées le matin à l’aéroport, ces personnes ont été entassées toute la journée, et pour certaines une partie de la nuit, dans deux pièces sans fenêtre d’une quinzaine de mètres carrés chacune, devant les postes de police dans les aérogares A et E du terminal 2. Au cours de la soirée et durant une partie de la nuit, elles ont progressivement été transférées dans le lieu d’hébergement de la zone d’attente de Roissy, la ZAPI 3.

      Ces personnes viennent s’ajouter aux 5 ressortissants chinois maintenus en ZAPI, qui se sont vu refuser l’entrée sur le territoire lundi 4 mai. En provenance de Shanghai, ces derniers ont été refoulés depuis Mexico à Paris. La PAF (police aux frontières) veut les renvoyer vers Shanghai.

      Les gestes barrières et la distanciation sociale ne peuvent pas être respectés en ZAPI. L’étage où se trouvent les chambres, les couloirs et les sanitaires et douches n’est pas équipé en gel hydroalcoolique. Les cabines téléphoniques et lieux collectifs ne sont pas désinfectés après chaque usage. Chaque occupant·e se verrait délivrer un masque par jour, alors que les préconisations sanitaires recommandent le changement de masque toutes les 4 heures maximum.

      Cette situation met en danger à la fois les personnes maintenues et le personnel qui travaille dans la ZAPI 3, lequel ne dispose pas toujours, lui non plus, du matériel nécessaire pour se protéger.

      Depuis le début de la crise sanitaire liée au Covid-19, l’Observatoire de l’enfermement des étrangers n’a cessé d’alerter sur les risques sanitaires et les atteintes aux droits humains du fait de la privation de liberté en zone d’attente. Ses inquiétudes actuelles concernent principalement les conditions de maintien en ZAPI, notamment l’impossibilité de respecter les gestes barrières et la distanciation sociale, mais aussi la violation des droits des personnes.

      Des avocats des barreaux de Bobigny, de Paris et de Pontoise ont saisi le juge des référés du tribunal administratif de Montreuil pour qu’il mette un terme à cette situation inacceptable.

      Contrairement à ce qui est annoncé depuis plusieurs semaines, les frontières ne sont pas « fermées », les refoulements continuent et ce, au mépris des préconisations de l’OMS quant aux risques d’exportation du virus. Les 73 ressortissants bulgares qui avaient explicitement manifesté leur volonté d’entrer sur le territoire, ont subi les pressions non seulement du gouvernement français mais aussi des autorités bulgares qui se sont rendues en ZAPI hier soir. Ce matin, elles ont été réveillées vers 5h et sont en cours de tentative d’embarquement, un vol étant prévu à 10h20.

      L’OEE demande une nouvelle fois que le gouvernement en finisse avec son acharnement. Il faut fermer les zones d’attente et tous les lieux privatifs de liberté. La politique migratoire ne saurait prévaloir ni sur l’impératif de protection de la santé, quels que soient le statut et la nationalité des personnes concernées, ni sur le respect des droits fondamentaux.

      https://www.gisti.org/spip.php?article6390

    • Des réfugiés à la rescousse d’exploitants agricoles en #Aquitaine

      Dans le sud-ouest de la France, l’association bordelaise #Ovale_Citoyen a créé un pont entre des réfugiés sans activité professionnelle et des exploitants agricoles en manque de personnel à cause de la pandémie de Covid-19.

      Arshad, un Afghan de 22 ans, n’avait jamais rêvé d’être charpentier. Réfugié statutaire à Bordeaux, il a pourtant suivi une formation dans ce sens et s’est retrouvé à exercer ce métier, faute d’autre option. Mais voilà que, le confinement venu et son activité professionnelle mise à l’arrêt, une nouvelle opportunité s’est présentée à ce jeune homme : travailler dans l’agriculture.

      Grâce à l’association Ovale Citoyen, qui oeuvre en temps normal à l’intégration des migrants et personnes en situation d’exclusion via la pratique du rugby, Arshad a suivi en avril une formation de deux jours pour apprendre les rudiments de la viticulture. Depuis, il a commencé à travailler dans une exploitation. « Quand on lui parle d’agriculture, il a les yeux qui pétillent, il est hyper heureux », commente Jeff Puech, président de cette association basée en Aquitaine, dans le sud-ouest de la France.

      Arshad fait partie d’un groupe de 70 personnes qui ont pu bénéficier d’une formation professionnelle accélérée mise sur pied en pleine crise sanitaire. « Nous sommes partis d’un double constat : d’une part, tous nos réfugiés statutaires et jeunes de quartiers défavorisés vont pâtir de cette période de confinement due au Covid-19 au niveau professionnel. C’est déjà compliqué pour eux de trouver du travail, alors avec la crise économique qui s’annonce… », explique Jeff Puech. « D’autre part, le monde agricole manque de bras [en raison des fermetures de frontières qui causent une pénurie de travailleurs saisonniers, venus principalement du Maroc, de Tunisie et de Turquie, NDLR]. Or l’agriculture représente un pôle économique crucial pour la région Aquitaine. »

      L’idée a donc germé de mettre en relation ces personnes dans le besoin et ces agriculteurs en attente de main d’oeuvre. Un peu comme une « agence d’intérim » mais constituée de bénévoles, s’amuse Jeff Puech. Après avoir obtenu l’aval de la préfecture, le projet « Un drop dans les champs », inspiré du terme « drop » qui désigne un type de coup de pied au rugby, était né.

      « Beaucoup ne savaient pas ce qu’était un pied de #vigne »

      Le monde viticole a été le premier à être ciblé par l’association, qui envisage de collaborer dans un futur proche avec les exploitations de maïs et d’autres cultures maraîchères. Pour ce faire, Jeff Puech a pu compter sur l’aide de Jacky Lorenzetti, président du club de rugby Racing 92, partenaire d’Ovale Citoyen, qui possède des exploitations dans le Bordelais.


      https://twitter.com/OvaleCitoyen/status/1258073068150427661?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E12

      « Le personnel d’une de ces exploitations a été mis à disposition des apprentis », se réjouit l’organisateur. « Certains apprentis avaient déjà des connaissances en agriculture mais beaucoup ne savaient pas ce qu’était un pied de vigne. Ils ont notamment été formés à l’épamprage, une opération qui consiste à couper les branches en trop sur un pied. »

      Depuis, 38 personnes, âgées de 18 ans à 48 ans, ont déjà commencé à travailler. Parmi ce groupe, 75% sont des réfugiés statutaires, originaires majoritairement d’Afghanistan, d’Érythrée, de Somalie et d’Éthiopie, 10% sont des personnes « en très grande précarité, parfois logées dans les hébergements du 115 », et le reste vient des quartiers défavorisés de Bordeaux.

      « Une opération d’urgence qui va peut être aboutir à un projet pérenne »

      Cette mobilisation de main d’oeuvre fait écho à un appel lancé dès le mois de mars par le ministre français de l’Agriculture, lequel avait encouragé les personnes sans activité à rejoindre « la grande armée de l’agriculture française » sujette à un manque de 200 000 travailleurs saisonniers.

      L’initiative « Un drop dans les champs » est considérée comme la bienvenue par les premiers concernés. « La réaction du monde agricole a été plus que favorable, se félicite » Jeff Puech. « Cela n’arrive pratiquement pas que l’on nous dise ’Ah non, je ne veux pas de ces gens-là dans mon champs !’, au contraire, on reçoit des appels d’agriculteurs qui ont entendu parler du projet et qui sont intéressés. »

      Face à la demande, Ovale Citoyen, qui depuis la mi-mars organise des distributions de nourriture pour environ 900 personnes par semaine, compte mettre en place de nouvelles formations. L’association a déjà recensé 150 candidats et espère pouvoir faire travailler entre 200 et 220 personnes au plus fort de la saison. « Certains ont signé des CDD de six mois jusqu’à la fin des vendanges », commente Jeff Puech. « D’autres sont partis sur des contrats de deux-trois mois, comme cela se fait généralement dans ce secteur. » Plusieurs, en tout cas, se projettent plus loin.

      « Beaucoup m’ont déjà dit qu’ils avaient envie de continuer à travailler dans l’agriculture. Il y a, par exemple, un gros manque de conducteurs de tracteur, cela pourrait être un débouché… Au final, cette opération qui répondait à une urgence va peut être aboutir à un projet sur le long terme », veut croire Jeff Puech. À condition, toutefois, précise ce dernier, que des solutions soient trouvées pour la mobilité de ces salariés souvent sans permis et devant se rendre dans des zones rurales non desservies par les transports en commun. « Il faudrait un plan d’action permis de conduire pour les réfugiés. »

      En attendant, l’activité principale de l’association, le rugby, ne devrait pas reprendre de sitôt en raison de la pandémie. « Durant les matchs, on doit être au contact et on ne veut prendre aucun risque avec le coronavirus », dit encore le président de l’association. Certains réfugiés pourraient cependant avoir trouver une solution à ce problème. « On me demande de plus en plus de jouer au cricket. Mais ça, ça ne va pas être possible », rit Jeff Puech.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/24635/des-refugies-a-la-rescousse-d-exploitants-agricoles-en-aquitaine

    • Communiqué - Collectif de Défense des travailleur-euses étranger-ères dans l’agriculture

      Créé en 2003, les objectifs du CODETRAS restent la lutte contre l’exploitation de la main-d’œuvre étrangère, contre les dénis de droits, contre les discriminations et contre toutes formes d’exploitation dans l’agriculture. Il associe en son sein des paysans, des syndicats, des associations, des militants, des chercheurs.ses, des journalistes, des avocats et juristes…

      Une main d’œuvre saisonnière aux abonnés absents et une armée de « volontaires » sur la paille pour sauver les productions agricoles, arboricoles, horticoles, assurer une distribution logistique de proximité, achalander les rayons frais des supermarchés et alimenter les populations confinées.

      « Continuez à aller faire vos courses, nous nous occupons du reste... »

      Dès le début de la pandémie, les questions liées à l’approvisionnement de l’alimentation ont pris une ampleur politique et médiatique rare. Les images de rayons de supermarchés vides ont vite laissé place aux mots d’ordre pour la reconstitution des stocks et le maintien de l’approvisionnement. La grande distribution a martelé qu’il n’y aurait pas de rupture de stock.

      Pourtant, en France comme d’autres pays, la fermeture des frontières et l’arrêt des flux migratoires a révélé la survaleur du travail des saisonnier-ères étranger-ères dans la chaîne productive du travail de la terre : de la taille aux semis, jusqu’au conditionnement et à l’expédition des récoltes. Depuis quelques semaines, le gouvernement a appelé les chômeur-euses, étudiant-es, réfugié-es et autres précaires à remplacer ces travailleur-euses saisonnier-ères immigré-es via la plateforme numérique « des bras pour ton assiette », largement relayé par la Fédération Nationale des Syndicats d’Exploitants Agricoles (FNSEA).

      La crise sanitaire liée au Covid-19 a bien mis en difficulté le modèle « agro-industriel » qui garantit aux consommateurs d’avoir toute l’année des fruits et légumes à foison et à bas prix. Ce dernier s’appuie sur une production intensive sous serre et en plein champs, une distribution reposant sur une logique de « flux tendus » et, à la base de cette filière, sur une main-d’œuvre migrante précarisée qui pourvoit habituellement à (main)tenir l’intensité du travail et la constitution des stocks alimentaires, assurant ainsi la performance économique des filières des secteurs agricole et agro-alimentaire. La fermeture des frontières a rendu manifeste la dépendance de la société entière dans tous les États européens à ces travailleur-euses issu-es du Maroc, d’Espagne, de Pologne, de Roumanie ou encore d’Equateur.

      Le travail de cette main-d’œuvre agricole immigrée prend différentes formes : du travail non-déclaré des sans-papiers, aux contrats de l’Office national d’immigration en 1945 (Maroc, Pologne, Italie), puis aux contrats d’introduction de main-d’œuvre de l’Office des Migrations Internationales, jusqu’aux contrats de mission dans des exploitations de mise à disposition, via des agences d’intérim internationales basées en Europe (ETT).

      Censée répondre au besoin de main d’œuvre « temporaire » des exploitations agricoles françaises, la présence annuelle de ces travailleur-euses étranger-ères est en réalité une base invariable de l’agro-industrie intensive, prédatrice et exportatrice. En effet, ce statut de « travailleur saisonnier » ne décrit pas une réalité liée au cycle des saisons mais la nécessité capitaliste de réduire les coûts dans le cadre d’une production intensive sous serres et en plein champs. Cette fiction d’une temporalité saisonnière naturelle permet par contre au secteur de justifier une main-d’œuvre flexible, révocable à tout moment, moins chère et non informée de ses droits. Non-paiement des heures supplémentaires, logement indigne et harcèlement moral, physique et sexuel dans le cas des ouvrières, sont monnaie commune.

      La crise actuelle a mis en évidence l’invisibilité de ces travailleur-euses dans l’espace public et leur division dans les espaces privés des exploitations. La loi et l’imaginaire politique dominant en font une catégorie périphérique et marginalisée alors qu’ils occupent au contraire le cœur de la production et reproduction de notre société. Cette exclusion sociale est d’ailleurs redoublée par une ségrégation spatiale, puisqu’ils et elles sont souvent logé-es directement sur les exploitations ou dans des campings, loin des regards mais toujours disponibles pour l’employeur. Cela éloigne et complexifie l’organisation de réseaux de solidarité entre et avec ces travailleur-euses de l’ombre.

      Leur absence a créé un vide dans la filière logistique et agro-industrielle, conduisant dans un premier temps les employeurs agricoles et les pouvoirs publics à s’assurer de la disponibilité d’autres catégories de la population pour répondre à la demande des consommateurs et continuer à faire tourner la machine de l’agriculture intensive : ont été « volontairement » enrôlé-es les chômeur-euses, les étudiant-es, les demandeur-euses d’asile, les solidaires...

      De même, à l’heure où de nombreux pays européens mettent en place des ponts aériens pour acheminer des travailleur-euses dans les zones agricoles sous tension, la crise révèle à quel point la question sanitaire se révèle cruciale. En dépit des dangers sanitaires encourus habituellement dans le secteur (surexposition aux produits phytosanitaires, surcharge de travail, non-respect des règles de sécurité, absence de fourniture des équipements de protection), les travailleur-euses étranger-ères « temporaires » n’ont ni prévenance, ni prévoyance, ni assurance face aux risques de maladie, d’accident, de péril... dans les pays de mise à disposition. En outre, les risques de contracter le Covid-19 sont exacerbés par la promiscuité des espaces de travail et l’exiguïté des lieux résidentiels qui ne garantissent pas les distances spatiales de sécurité. L’urgence liée à la crise sanitaire et économique ne peut supplanter le respect des conditions de vie, d’accueil et de travail décent de ces travailleur-euses.

      Suivre la composition du travail agricole dans les prochains mois et ses effets au-delà de la pandémie permettra de comprendre, au croisement d’enjeux sociaux, économiques et géopolitiques, les éxigences de « libre » circulation des travailleur-euses pour assurer la « libre circulation » des marchandises dans le marché unique. Alors que la crise a mis en lumière la centralité structurelle et la performance, dans les circonstances actuelles, de ces travailleur-euses étranger-ères intra et extracommunautaires dans les agricultures européennes, comment faire pour que la parenthèse ouvre un champ de lutte réunissant premier-ères concerné-es, réseaux solidaires et acteur-rices du monde paysan ?

      #CODETRAS - Collectif de défense des travailleur-euses étranger-ères dans l’agriculture

      https://mars-infos.org/communique-collectif-de-defense-5051

  • #coronavirus, alleanza cooperative, “filiera agroalimentare non si ferma, ma problemi aumentano. raccolti a rischio per l’assenza di manodopera”

    Occorrono strumenti straordinari di flessibilità e semplificazione nella ricerca di manodopera. Stiamo lavorando con il Ministero dell’agricoltura per individuare soluzioni al problema.

    Ancora ritardi e blocchi degli autotrasportatori destinati all’estero.

    Roma, 19 marzo 2020 – “La filiera agricola è una di quelle che non può fermarsi in questa situazione di emergenza, ma non possiamo tacere il fatto che i problemi, in campagna come negli stabilimenti produttivi, stiano aumentando di giorno in giorno, rendendo sempre più arduo riuscire a garantire ancora a lungo ai cittadini una assoluta continuità nella fornitura di cibo”. A dirlo Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza cooperative agroalimentari, che con le sue 5.000 imprese associate, detiene il 25% del fatturato alimentare del paese.

    Il primo grande problema è relativo alla mancanza di disponibilità manodopera. “Abbiamo assistito in queste settimane – spiega Mercuri - ad una partenza di lavoratori UE ed extra Ue: non c’è personale adesso che accetti di venire a lavorare nel nostro Paese. Pesantissime sono le ripercussioni sulle produzioni attualmente in campo, come gli asparagi - per i quali mancano all’appello migliaia di lavoratori – ma sono a rischio tutte le produzioni primaverili, a partire dalle fragole, che si avvicenderanno nelle prossime settimane nelle varie regioni d’Italia”.

    “Nel Decreto Cura Italia approntato dal governo per l’emergenza – prosegue Mercuri – non sono stati introdotti strumenti straordinari di flessibilità e semplificazione nella ricerca della manodopera. Stiamo in queste ora lavorando con il Ministero dell’agricoltura per individuare soluzioni al problema: una proposta potrebbe essere quella di prolungare i permessi di soggiorno per i lavoratori extracomunitari oppure la possibilità di impiegare in campagna, nella congiuntura di emergenza, i cittadini idonei ai quali viene attualmente erogato il reddito di cittadinanza. Per garantire più personale alle nostre cooperative associate, abbiamo anche richiesto di estendere gli istituti della codatorialità e del distacco ai rapporti tra socio e cooperativa per aiutare a rafforzare la continuità produttiva, garantendo più personale nelle nostre imprese in questa fase delicata”.

    Le regole introdotte dal governo italiano per contrastare la diffusione COVID19 in relazione alla sicurezza sui posti di lavoro e dei lavoratori – dotazioni strumentali, varianti organizzative, sanificazione dei locali, sicurezza linee di lavorazione – stanno inoltre generando, ammonisce il presidente Mercuri, “carichi di responsabilità e non poco stress psicologico alle nostre aziende, che sentono in primo luogo il dovere di tutelare i propri dipendenti. Possiamo già stimare un aumento dei costi sostenuti nei centri di lavorazione e nei magazzini nell’ordine di un +20%, che potrebbe incidere anche sul costo complessivo del prodotto, pur se di pochi centesimi”.

    “Proseguono intanto, nonostante gli appelli della Commissione europea ad una libera circolazione delle merci – conclude Mercuri – i problemi logistici legati alle consegne degli ordinativi con l’autotrasporto: ci sono in direzione di alcuni Paesi come Polonia, Romania, Austria, Croazia, Slovenia e Serbia, controlli e persino divieti di transito dei camion, che determinano nell’ipotesi migliore gravi ritardi e costi aggiuntivi ingiustificati. Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di prodotti destinati all’export e non riassorbili dal consumo interno”.

    http://www.agciagrital.it/coronavirus-alleanza-cooperative-filiera-agroalimentare-non-si-ferma-ma-
    #Italie #main-d'oeuvre #manque #travail #agriculture #Italie #alimentation #travailleurs_étrangers #saisonniers #fraises #asperges #Cura_Italia #décret #permis_de_séjour #migrations

    ping @albertocampiphoto @wizo

  • Aide aux agriculteurs : « Nous n’entendons pas demander à un enseignant qui aujourd’hui ne travaille pas de traverser toute la #France pour aller récolter des #fraises », précise Sibeth Ndiaye, porte-parole du gouvernement

    https://twitter.com/BFMTV/status/1242810900387631106
    #agriculture #main-d'oeuvre #fermeture_des_frontières #aide #solidarité

    Et cette belle petite phrase...

    « Il va s’en dire que nous nous entendons pas demander à un #enseignant qui aujourd’hui ne travaille pas compte tenu de la fermeture des écoles de traverser la France entière pour aller récolter des fraises »...

    –-> on dirait que #Sibeth_Ndiaye n’a pas entendu parler du #plan_de_continuité_pédagogique #continuité_pédagogique

    • Pour Sibeth Ndiaye, les enseignants ne travaillent pas actuellement

      Oups.

      La déclaration passe mal. Alors que la porte-parole du gouvernement Sibeth #Ndiaye précisait en sortie de Conseil des ministres l’appel aux personnes sans activité à venir « rejoindre la #grande_armée_de_l'agriculture_française », un des exemples utilisés a provoqué l’ire des enseignants. « Nous n’entendons pas demander à un enseignant qui aujourd’hui ne travaille pas compte tenu de la fermeture des écoles de traverser toute la France pour aller récolter des fraises », a-t-elle lancé avec aplomb.

      Petit bémol, comme le martèle le ministre de l’Education nationale Jean-Michel Blanquer depuis le début de la crise sanitaire, les élèves et par conséquent leurs enseignants ne sont pas en vacances. Ces derniers rivalisent d’ailleurs d’ingéniosité pour assurer la fameuse « continuité pédagogique » à distance, la plupart du temps via des outils numériques plus ou moins saturés. D’autres sont également encore dans les locaux pour assurer la garde des enfants des personnels soignants.

      Les profs n’ont pas tardé à réagir sur les réseaux sociaux. Certains se demandent avec une pointe d’ironie s’ils doivent cesser leurs efforts, tandis que d’autres réclament des excuses. Des parents d’élèves n’ont pas hésité non plus à apporter leur soutien. Deux heures après sa fameuse déclaration, Sibeth Ndiaye a fait son « mea culpa » sur Twitter : « Mea culpa. Mon exemple n’était vraiment pas le bon. Je suis la première à mesurer combien l’engagement quotidien des professeurs est exceptionnel. »

      https://www.liberation.fr/direct/element/sibeth-ndiaye-declare-que-les-enseignants-ne-travaillent-pas-actuellement

    • Tu voudrais aller cueillir des fraises quand :

      tu te fais engueuler par une mère de famille parce que tu as appelé sur le portable de Monsieur, alors que son portable à elle ne fonctionne plus, que le fixe ne fonctionne plus, que le numéro de portable écrit sur Pronote pour monsieur ne fonctionne plus, que tu avais un deuxième numéro de fixe (et que tu en étais déjà au 4e numéro essayé) mais que la dame t’explique être la grand-mère de l’élève que tu désespères pouvoir un jour joindre parce qu’en fait, « vous gardez ça pour vous », Monsieur est revenu vivre un temps ici, donc c’est son numéro qu’il avait écrit, et donc elle te file le nouveau numéro de portable de Monsieur, mais que ça ne plaît pas à Madame que tu aies appelé Monsieur alors que tu t’en fous royalement de leurs histoires...

      tu appelles une famille qui vient d’apprendre que la maman et le fiston sont malades (Covid 19) et que tu te retrouves complètement démunie face à l’injonction d’appeler les familles une fois par semaine, sans savoir si tu ne vas pas être intrusive à un moment où, franchement, l’exercice d’histoire non fait, on s’en fout...

      tu viens d’écrire un mail pour expliquer un exercice de technologie alors que tu es prof d’histoire-géo

      tu te lèves avec 50 mails en attente parce que les mômes galèrent à déposer sur Pronote avec une fonction que tu n’as jamais pu leur montrer puisque tu n’y as eu accès qu’après la fermeture du collège

      tu viens de signer un mail à une maman d’élève « Bénée » comme tu le fais quand c’est un mail pour tes collègues

      tu n’as aucune idée du jour qu’il est, mais tu es devant ton ordinateur à répondre à des mails alors que tu as quitté l’université pour ne pas vivre à courir après les mails

      * tu commences tous tes pots Facebook avec une histoire de fraises

      texte de @ville_en posté sur Facebook :
      https://www.facebook.com/benedicte.tratnjek.2/posts/229925068373116

    • Tu as raison @aude_v . Si je me souviens bien le prix du travail correspond au coût de sa réproduction . C’est le principe de l’affaire decouvert il y a ca. 150 ans par un certain Karl ;-)

      Comme toutes les statistiques et découvertes d’une science économique sérieuse c’est vrai en principe et ne dit rien sur un cas précis ou une courte époque

      Pour nous il est surtout intéressant de savoir ce qui se passe entre le moment quand des immigrés arrivent dans leur nouveau pays et le moment quand leur situation sociale et leurs revenus arrivent au même niveau que ceux de la population « autochtone ». C’est un processus qui dure plusieurs générations, si tout va bien. Il faut le gérer afin de limiter le nombre de victimes et pour empêcher que ce soit un processus qui tire tout le monde vers le bas.

      C’est malheureusement ce qui est arrive aux immigrés et réfuigiés depuis les années 1960. La concurrence capitaliste et la transformation libérale des 40 annés passées ont jeté dans l’abîme du désespoir les populations dont les enfants n’ont pas accès aux grandes écoles, universités internationales et formations poussées dans les métiers technologiques. Nous venons d’assister à l’exécution de la dernière victime de cette transformation.

      https://seenthis.net/messages/721513

      Une des mesures qui s’imposent sont des lois contre le dumping social et le travail au noir. Malheureusement l’UE a été concue pour établir la concurrence à tous les niveaux et nous impose de règles qui rendent difficile une gestion du processus d’immigration dans l’intérêt des gens simples. Pire encore je ne vois aucun parti politique qui soit capable d’imposer des mesures allant dans ce sens.

      Pour nous défendre et pour créer un terrain d’acceuil où les migrants pourront rejoindre notre combar plutôt que de se laisser utiliser contre nous, il faut qu’on s’organise et qu’on se batte ensemble avec nos collègues et nos syndicats

      #migration #travail #syndicalisme #économie

  • Les routes de l’#esclavage (1/4)
    476-1375 : au-delà du désert

    Domination, violence, profit : le système criminel de l’esclavage a marqué l’histoire du monde et de l’humanité. Au fil de ses routes, cette série documentaire retrace pour la première fois la tragédie des traites négrières. Captivant et implacable. Premier volet : de la chute de Rome en 476 à la fin du XIVe siècle.

    Après la chute de Rome en 476, les peuples (Wisigoths, Ostrogoths, Berbères, Slaves, Byzantins, Nubiens et Arabes) se disputent les ruines de l’Empire. Tous pratiquent l’asservissement – « esclave » viendrait du mot « slave ». Mais au VIIe siècle émerge un Empire arabe. Au rythme de ses conquêtes se tisse, entre l’Afrique et le Moyen-Orient, un immense réseau de traite d’esclaves, dont la demande ne cesse de croître et qui converge vers Bagdad, nouveau centre du monde. Après la révolte des Zanj – des esclaves africains –, qui s’achève dans un bain de sang, le trafic se redéploie vers l’intérieur du continent. Deux grandes cités commerciales et marchés aux esclaves s’imposent : Le Caire au nord, et Tombouctou au sud, place forte de l’Empire du Mali d’où partent les caravanes. Au fil des siècles, les populations subsahariennes deviennent la principale « matière première » de ce trafic criminel.

    https://www.arte.tv/fr/videos/068406-001-A/les-routes-de-l-esclavage-1-4

    #film #documentaire #Afrique #Empire_romain #histoire #pratique_généralisée #traite #Fustat #économie #Nubie #guerre #violence #butins_de_guerre #Bagdad #main-d'oeuvre #Islam #Berbères #dromadaires #Sahara #Tombouctou #Empire_du_Mali #or #altérité #Touareg #essentialisme #fatalité #Basora #Le_Caire #esclaves_domestiques #paternalisme #négation_de_l'être #domination #esclavage_doux #oasis #Atlas_catalan

    #Catherine_Coquery-Vidrovitch :

    Dans l’Empire arabo-musulman, « l’#esclave n’était pas différencié par sa couleur, ça ne comptait pas. L’esclave était différencié par sa #culture. Il n’avait pas la culture du dominant »

    #géographie_culturelle #domination

    #Ibrahima_Thioub, université Cheickh Anta Diop, Sénégal :

    « Pour mettre en esclavage un individu, un des phénomènes importants c’est de le construire comme autre, de construire une #altérité. Les sociétés humaines ont des registres assez larges. On peut utiliser la différence de #couleur_de_peau, la différence de #religion. Dans la #traite_trans-saharienne, on va combiner les deux ».

    https://fr.wikipedia.org/wiki/Ibrahima_Thioub

    Ibrahima Thioub :

    « L’intérêt des maîtres, c’est de faire croire à l’individu qu’il est esclave non pas parce qu’un jour on lui a opposé un rapport de force qui est réversible, mais parce que, par sa nature, il est destiné à être un esclave. C’est une #idéologie extrêmement forte. Si votre sang est considéré comme un sang servile, et que cette nature vous la transmettez à votre descendance, il devient impossible de sortir du phénomène esclavagiste »

    Selon ce qui est dit dans ce reportage, 3,5 millions d’Africains ont circulé sur les routes de l’esclavage entre le 7ème et le 14ème siècle.

  • L’Allemagne a besoin de migrants et facilite leur mise à l’emploi
    http://www.rtbf.be/info/monde/europe/detail_les-pays-europeens-ont-ils-besoin-des-migrants-pour-assurer-leur-avenir?

    "A court et moyen terme, il sera de plus en plus difficile d’améliorer, voire même de maintenir le niveau d’activité de l’économie allemande. Et à plus long terme, c’est la question du coût vieillissement qui va se poser.

    La conclusion est donc claire : l’Allemagne doit impérativement augmenter sa population pour assurer son avenir. Et c’est tout de suite : en mai dernier, 557 000 postes de travail étaient à pourvoir.

    Il y a des besoins urgents de main d’œuvre qualifiée dans de nombreux secteur : la santé, l’aide aux personnes ou encore l’industrie."(Permalink)

    #emploi #immigration

  • Debunking the Myth of the Job-Stealing Immigrant

    When I was growing up in the 1980s, I watched my grandfather — my dad’s stepdad — struggle with his own prejudice. He was a blue-collar World War II veteran who loved his family above all things and was constantly afraid for them. He carried a gun and, like many men of his generation, saw threats in people he didn’t understand: African-Americans, independent women, gays. By the time he died, 10 years ago, he had softened. He stopped using racist and homophobic slurs; he even hugged my gay cousin. But there was one view he wasn’t going to change. He had no time for Hispanics, he told us, and he wasn’t backing down. After all, this wasn’t a matter of bigotry. It was plain economics. These immigrants were stealing jobs from “Americans.”


    http://www.nytimes.com/2015/03/29/magazine/debunking-the-myth-of-the-job-stealing-immigrant.html?_r=1
    #mythe #migration #travail #immigration #main-d'oeuvre

  • Sans les étrangers, point de prospérité

    Sans l’apport des étrangers, certains secteurs économiques seraient en sous-effectif de main-d’œuvre, la population déclinante et vieillissante, et les manques à gagner se chiffreraient en milliards. C’est ce qui ressort de trois études récemment réalisées par des chercheurs de l’UNIGE

    http://www.unige.ch/communication/lejournal/journal77/article1/article1bis.html

    #étrangers #migration #économie #prospérité #main-d'oeuvre #démographie

  • Saisonnières à la carte : Flexibilité du travail et canalisation des flux migratoires dans la culture des fraises andalouses

    A Huelva, en Andalousie, depuis 2000, le système des « contrats en origine » permet aux exploitants de fraises d’employer des saisonniers étrangers pour récolter leur production. Le recrutement des travailleurs a eu lieu majoritairement en Pologne, en Roumanie et au Maroc.
    La sélection vise des personnes au profil « adéquat à la fraise », c’est-à-dire des femmes d’âge moyen, ayant des obligations familiales dans leur pays d’origine. Une fois la saison terminée, ces femmes doivent rentrer chez elles et attendre une éventuelle invitation de l’agriculteur pour la saison suivante. L’accès au marché du travail européen ainsi que le droit au séjour dépendent de l’employeur. En créant une précarité juridique légale et en se servant des inégalités économiques entre pays, la contratación en origen permet de fournir la main-d’œuvre abondante, flexible et bon marché et considérée par les agriculteurs comme indispensable à la rentabilité de cette production agricole sous serre.

    http://urmis.revues.org/1203

    #saisonnières #Espagne #Andalousie #migration #fraise #agriculture #Pologne #Roumanie #Maroc #travail #contrats_en_origine #genre #migration_féminine #marché_du_travail #précarité #main-d'oeuvre #production_agricole