• Les migrants coincés dans le bourbier maltais

    Depuis que l’Italie a fermé ses ports aux bateaux des ONG, Malte a vu le nombre d’exilés exploser. L’absence de cadre européen contraint l’île à utiliser la manière forte pour obliger l’UE à respecter ses engagements d’accueil.

    https://www.liberation.fr/planete/2019/04/14/les-migrants-coinces-dans-le-bourbier-maltais_1721348
    #Malte #asile #migrations #réfugiés #routes_migratoires #Méditerranée #déplacement_des_routes_migratoires #fermeture_des_ports

  • L’histoire de M., première personne #intersexe au monde à porter #plainte pour #mutilations

    Dès les premiers jours de sa vie, on lui injecte des #hormones. Entre 1980 et 1993, iel subit cinq #interventions_chirurgicales lourdes. M. devra suivre des traitements à vie et ne pourra pas avoir d’enfant.


    http://www.slate.fr/story/175530/histoire-m-premiere-personne-intersexe-plainte-mutilations
    #LGBT #LGBTIQ #genre #justice

    • Les mutilations sexuelles des femmes sont la plus part du temps désigné comme des pratiques d’autres cultures, on parle de l’excision pour le continent africain, parfois pour l’Asie, pas pour nos pratiques. Les épisiotomies à la chaine additionnées du « point du mari » sont comparable à l’infibulation. Les piercings gynécologiques, la labioplastie, le blanchiment des muqueuses... et autres pratiques « esthétiques » sont à destination du regard masculin hétéro #male_gaze
      Ca me fait pensé aussi aux premières visites des jeunes femmes chez les gynecos que j’avais vu être comparé à des rituels de préparations au sexe hétéro et donc au confort des penis qui sont dispensés de contraception et qui ne sont aucunement préparés de leur coté au sexe des femmes (cf l’obsession des gros penis et l’ignorance du clito dont tu parlait il y a quelques jours).

  • Where is the ‘Malta’ of Asia?
    https://hackernoon.com/where-is-the-malta-of-asia-e4b3117c396f?source=rss----3a8144eabfe3---4

    The digital economy has given rise to megacities like London, Singapore, Hong Kong, and New York. A recent McKinsey study indicated that 600 cities across the world are creating over 60% of the global GDP and over 130 new cities are expected to enter the top 600 by 2025 , all of them from developing countries and 100 new cities from China. These cities are becoming smarter and will benefit from the fourth industrial revolution.Connectivity , human capital , use of internet service, integration of digital technology , and digital public services are indicators used to measure the success and impact of a digital economy.However, this is the case for developed cities. What about the other side?The Case of Emerging EconomiesIndia is a fine example. In spite of a proactive approach to digitise (...)

    #blockchain-technology #blockchain #malta #cryptocurrency #telangana

    • #Mare_Jonio ha salvato 49 persone da un naufragio: adesso l’Italia ci indichi un porto sicuro

      La Mare Jonio di #Mediterranea_Saving_Humans, nave battente bandiera italiana impegnata nella missione di monitoraggio del Mediterraneo centrale ha soccorso, a 42 miglia dalle coste libiche, 49 persone che si trovavano a bordo di un gommone in avaria che imbarcava acqua.
      La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ONG Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali.

      Mare Jonio si è diretta verso la posizione segnalata e, Informata la centrale operativa della Guardia Costiera Italiana, ha effettuato il soccorso ottemperando alle prescrizioni del diritto internazionale dei diritti umani e del mare, e del codice della navigazione italiano.
      Attenendosi alle procedure previste in questi casi e per scongiurare una tragedia, Mare Jonio ha tratto in salvo tutte le persone a bordo comunicando ad una motovedetta libica giunta sul posto a soccorso iniziato di avere terminato le operazioni. Tra le persone soccorse, 12 risultano minori.
      Le persone a bordo si trovavano in mare da quasi 2 giorni e, nonostante le condizioni di salute risultino abbastanza stabili, sono tutte molto provate con problemi di disidratazione. Il personale medico di Mediterranea sta prestando assistenza.
      La Mare Jonio si sta dirigendo in questo momento verso Lampedusa, ovvero verso il porto sicuro più vicino rispetto alla zona in cui è stato effettuato il soccorso. Nel frattempo, è in arrivo una forte perturbazione nel Mediterraneo centrale.
      Abbiamo chiesto formalmente all’Italia, nostro stato di bandiera e stato sotto il quale giuridicamente e geograficamente ricade la responsabilità, l’indicazione di un porto di sbarco per queste persone.
      Oggi abbiamo salvato la vita e la dignità di 49 esseri umani. Le abbiamo salvate due volte: dal naufragio e dal rischio di essere catturate e riportate indietro a subire di nuovo le torture e gli orrori da cui stavano fuggendo. Ogni giorno, nel silenzio a moltissime altre tocca questa sorte. Grazie ai nostri straordinari equipaggi di terra e di mare, alle decine di migliaia di persone che in tutta Italia ci hanno sostenuto, oggi quel mare non è stato più solo cimitero e deserto.

      https://mediterranearescue.org/news/mare-jonio-ha-salvato-49-persone-da-un-naufragio-adesso-litalia-
      #Méditerranée #ONG (même si c’est pas une ONG, mais une #initiative_citoyenne) #asile #migrations #frontières #mer_Méditerranée #sauvetage

    • La direttiva di Matteo Salvini sulle frontiere non ha valore

      “Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.

      “Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.

      La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.

      Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.

      Linea dura

      Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.

      Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.

      Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.

      Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.

      Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.

      Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.

      Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.

      Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/03/19/matteo-salvini-mare-ionio

    • Italian police escort migrant boat, open trafficking probe

      An Italian charity ship was escorted into the port of Lampedusa by police on Tuesday after rescuing 49 Africans in the Mediterranean, with Interior Minister Matteo Salvini calling for the crew to be arrested.

      A judicial source said a magistrate had ordered that the boat, the Mare Jonio, be seized as an investigation is launched into allegations of aiding and abetting human trafficking.

      The vessel picked up the migrants, including 12 minors, on Monday after their rubber boat started to sink in the central Mediterranean, some 42 miles (68 km) off the coast of Libya.

      The humanitarian ship immediately set sail for the nearby Italian island of Lampedusa, defying Salvini, the leader of the hard-right League party who has ordered the closure of all ports to boats carrying rescued migrants.

      After initially being prevented from docking, the Mare Jonio was unexpectedly accompanied into port by police at nightfall as a storm approached.

      The judicial source said the migrants would be allowed to disembark, while the boat would be impounded and the crew faced possible questioning.

      “Excellent,” Salvini wrote on Twitter. “We now have in Italy a government that defends the borders and enforces the law, especially against human traffickers. Those who make mistakes pay the price,” he said.

      The government has repeatedly accused charity rescue boats of being complicit with people smugglers, who charge large sums to help migrants get to Europe. The NGOs deny the accusation.

      There was no immediate comment from the collective that organized Monday’s sea operation, “Mediterranea”. It said in an earlier statement that the rescue had been carried out in accordance with international human rights and maritime law.
      ARRIVALS FALL

      New arrivals to Italy have plummeted since Salvini took office last June, with just 348 migrants coming so far this year, according to official data, down 94 percent on the same period in 2018 and down 98 percent on 2017.

      His closed-port policy has helped support for his League party double since March 2018 elections. However, humanitarian groups say his actions have driven up deaths at sea and left migrants languishing in overcrowded Libyan detention centers.

      Salvini said on Monday the Mare Jonio should have let the Libyan coastguard pick up the migrants. Failing that, it should have taken them either to Libya or Tunisia rather than disobey initial orders not to enter Italian waters.

      “If a citizen forces a police roadblock they are arrested. I trust the same thing will happen here,” Salvini said.

      Mediterranea said its rescue operation had saved the migrants either from drowning or from being picked up by the Libyans and “taken back to suffer again the torture and horror from which they were fleeing”.

      Last August, Salvini blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week before finally letting it dock. Magistrates subsequently put him under investigation for abuse of power and kidnapping and have asked parliament to strip him of his immunity from prosecution.

      The upper house Senate is due to vote on that on Wednesday, but the request looks certain to be rejected, with Salvini arguing that he acted in the national interest.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy/italys-salvini-in-new-migrant-boat-stand-off-idUSKCN1R021Q?il=0

    • Sequestro Mare Jonio. Indagato il comandante, che dice «Avrei dovuto lasciarli morire?»

      Al vaglio degli inquirenti i contenuti delle comunicazioni via radio, in particolare gli alt intimati dalla Guardia di finanza e la decisione invece della nave di proseguire.

      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra previsto all’articolo 1099 del codice della navigazione. Sono questi i reati contestati al comandante Pietro Marrone della nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e dal pubblico ministero Cecilia Baravelli. La Procura ha anche convalidato il sequestro della nave «Mare Jonio» fatto nella tarda serata di ieri dalla Guardia di finanza.

      Pronta la replica dell’Ong: «Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso contro il sequestro. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 49 persone», si legge in un tweet Mediterranea saving humans.

      In quanto al comandante l’avvocato Fabio Lanfranco che, insieme alla collega Serena Romano, lo difende, fa sapere: «Abbiamo appreso che il comandante è indagato e che questo é prodromico al sequestro della nave, quindi è un atto dovuto. Non conoscendo gli atti stiamo ricostruendo il fatto. Il comandante si è comportato in modo estremamente corretto, ha salvato vite umane, il favoreggiamento a mio giudizio non sta né in cielo né in terra».

      Ne è certo anche lo stesso comandante. «Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone», ha detto Pietro Marrone ai cronisti prima di entrare nel comando Brigata Lampedusa della Guardia di finanza, accompagnato dai suoi legali, per essere interrogato dal pm di Agrigento.
      La giornata

      Giornata di interrogatori oggi a Lampedusa, sul caso della Mare Jonio, la nave della missione Mediterranea sequestrata e fatta attraccare ieri dopo circa tredici ore d’attesa al largo dell’Isola con 50 migranti a bordo, fatti infine sbarcare.

      La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In serata era volato a Lampedusa il procuratore aggiunto Salvatore Vella. Sentiti dalla Guardia di finanza fino a notte il comandante Pietro Marrone il provvedimento di sequestro, e poi l’armatore Beppe Caccia. Si continuano a sentire persone informate, compreso il capo missione Luca Casarini.

      Entro domani sera la procura dovrà decidere se convalidare il sequestro. Al vaglio degli inquirenti, in particolare, i contenuti delle comunicazioni via radio fra la Guardia di finanza che aveva intimato l’alt, chiedendo di non avvicinarsi al porto di Lampedusa, e il comandante dell’imbarcazione che ha disobbedito, decidendo di proseguire, a suo dire per questioni di sicurezza, per mantenere in assetto la nave in un mare fortemente agitato con onde alte.

      Verificata anche la «catena di comando istituzionale», dal ministero dell’Interno alle forze dell’ordine intervenute intimando l’arresto dei motori alla nave di soccorso battente bandiera italiana.

      INTERVISTA «Direttiva illegittima. Un abuso di potere come negli Stati autoritari» di Nello Scavo
      Migranti trasferiti in hotspot, non ancora interrogati

      Non sono stati ancora ascoltati dagli investigatori i 40 migranti soccorsi dalla Mare Jonio, che hanno trascorso la notte nell’ hotspot di Lampedusa dopo lo sbarco di ieri sera. Gli operatori del Centro li hanno rifocillati, alcuni di loro hanno pregato. «Sono bravi
      ragazzi, educati e pacati» dicono dal centro dove la situazione è tranquilla. Non si sa quando lasceranno la struttura di contrada Imbriacola, anche perché le condizioni meteo-marine a Lampedusa non sono buone e sono previste in peggioramento.
      Il comunicato di Mediterranea

      «All’indomani dello sbarco dei naufraghi a Lampedusa il sentimento prevalente in Mediterranea è la gioia profonda di aver portato in salvo in un porto sicuro 49 persone sottratte ai pericoli della traversata e alle torture libiche. Sono entrate in Italia cantando ’libertà, liberta» perché per loro il nostro è ancora il paese dei diritti umani e della salvezza possibile" informa in una nota Mediterranea Saving Humans.

      «Ieri sera è stato notificato al Comandante della Mare Jonio il sequestro probatorio della nave, su iniziativa della Polizia Giudiziaria, nello specifico la Guardia di Finanza. La contestuale identificazione del comandante è un atto dovuto per procedere al sequestro - si legge - Lo si accusa di non avere spento i motori, come ordinato dalla Guardia Costiera a poche miglia dalle acque territoriali italiane, mentre la Mare Jonio fronteggiava onde alte più di due metri, come si vede nel video che abbiamo diffuso ieri. Era un ordine impossibile da eseguire senza mettere in serio pericolo la sicurezza della nave e di tutte le persone a bordo, la cui tutela è l’obbligo prioritario di ogni comandante. Al momento non sono in corso interrogatori e non sono arrivate ulteriori notifiche. L’armatore di Mare Jonio è stato semplicemente convocato in capitaneria per le procedure di routine», sottolinea la Ong. «La nostra azione di obbedienza civile si è sempre mossa nel quadro giuridico delle norme vigenti, rispettando anche la loro gerarchia, avendo come bussola il diritto e i diritti che tutelano la vita e la dignità delle persone. Ancora una volta si potrà dimostrare che le navi della società civile sono gli unici soggetti del Mediterraneo centrale che agiscono con queste priorità», conclude la nota.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/mare-jonio-interrogatori

    • L’ammiraglio. «Direttiva illegittima. Un abuso di potere, come negli Stati autoritari»

      «Il provvedimento di chiusura del mare territoriale firmato dal ministro Salvini sospinge definitivamente il soccorso in mare nella pura strumentalizzazione politica con il rischio di creare, nella realtà operativa, situazioni ingestibili di confusione e di pericolo». Il contrammiraglio Vittorio Alessandro non nasconde la preoccupazione, specie dopo aver letto la direttiva di Salvini per fermare le Ong. «Un testo anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere», dice l’ufficiale, ora in congedo. Temi che Alessandro conosce anche per essere stato a guida del reparto am- bientale marino della Guardia Costiera e per 3 anni a capo dell’ufficio relazioni esterne del comando generale, dal 2010 al 2013, gli anni delle primavere arabe e delle migliaia di sbarchi a Lampedusa.

      Cosa non la convince?
      La premessa della direttiva sta nella paventata ipotesi di “strumentalizzazione” delle convenzioni per la salvaguardia della vita umana in mare al fine di eludere le norme in materia di immigrazione clandestina. Una premessa del genere non vale a sospendere o a ridurre l’obbligo del soccorso (che si conclude con l’assegnazione di un porto sicuro), in quanto ogni principio a tutela dei diritti fondamentali (quello della libertà, per esempio, o il diritto alla salute) può essere strumentalizzato a fini illeciti, ma non per questo può essere ristretto.

      Quindi si tratta di un’escamotage per scopi politici?
      Tanto più quando, come nel nostro caso, il paventato rischio di un pregiudizio alla «pace, buon ordine, e sicurezza dello Stato costiero» è solo una lontana ipotesi mai constatata, e comunque perfettamente affrontabile allorché i naufraghi siano giunti a terra.

      Perché ritiene che la direttiva non possa superare l’esame di un eventuale ricorso giudiziario?
      Perché il provvedimento, per i suoi aspetti formali, è illegittimo. L’articolo 83 del codice della navigazione prevede, infatti, l’ipotesi della chiusura del mare territoriale (assai remota in un ordinamento che considera tali spazi aperti alla sosta e al transito inoffensivi delle navi) assegnandola alla esclusiva attribuzione del ministro delle Infrastrutture.

      Invece cosa prevedono le nuove indicazioni degli Interni?
      Il Viminale si interpone fra il vertice istituzionale dell’organizzazione marittima e del soccorso e la competenza operativa delle Capitanerie di Porto. Non, come giusto, con una missiva al ministro competente, ma con un proprio provvedimento indirizzato alle Forze di polizia e a una Forza armata, come negli stati autoritari.

      Però si tratta di ipotesi che dovranno poi misurarsi con la realtà.
      Ma è già successo proprio nel caso della Mare Jonio. La Guardia di Finanza ha ordinato, infatti, alla nave italiana di «fermare le macchine» in mezzo al mare agitato. Un ordine inaudito, sotto il profilo nautico: le macchine non servono soltanto a navigare, ma anche a difendersi dal moto ondoso, a mantenere a galla il natante. Non a caso la Guardia Costiera ha subito provveduto ad assegnare alla nave un punto di ancoraggio a ridosso di Lampedusa.


      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/direttiva-illegittima-un-abuso-di-potere-come-negli-stati-autoritari

    • Italy seizes migrant rescue boat Mare Jonio

      A rescue boat carrying nearly 50 migrants has docked at the Italian island of Lampedusa. Interior Minister Matteo Salvini had denied the ship access to Italian ports, but relented in order to bring aid workers to trial.

      Sicilian prosecutors on Tuesday ordered the seizure of the Italian-flagged ship “Mare Jonio.” The rescue boat was allowed to dock on the Italian island of Lampedusa while accompanied by coast guard ships following nearly two days at sea.

      The decision ended a standoff between the migrant rescue boat and the Italian government. Italian Interior Minister Matteo Salvini had earlier ordered authorities to deny the ship access to Italian ports.

      Before issuing the permit to dock, prosecutors launched an investigation into possible aiding and abetting of illegal immigration. A move Salvini praised.

      “Now in Italy there is a government that defends the borders and ensures respect for the law, most of all for human traffickers,” he said. “He who makes mistakes, pays.”

      The group of 49 migrants, including 12 minors, were rescued by humanitarian group Mediterranea Saving Humans. “Those on board had been at sea for almost two days,” the NGO said in a statement. “(They) are exhausted and dehydrated.”

      ’Repressive’

      Salvini has come under fire for attempting to block migrant rescue boats from docking at Italian ports.

      Human rights watchdog Amnesty International last year accused the Italian government of “repressive management of the migratory phenomenon.”

      Italy has taken the brunt of a wave of migration after EU member states cut-off the so-called Balkan route. Nearly half a million irregular migrants have made the dangerous journey across the central Mediterranean and made landfall in Italy, according to the International Organization for Migration(IOM).

      Rome has conceded that saving lives at sea is a priority, but maintains that national authorities must be obeyed and premeditated action to bring immigrants to Italy would amount to facilitating human trafficking.

      Italy, with the support of the EU, has trained the Libyan coast guard to intercept boats carrying migrants in a bid to prevent migrants from reaching European shores.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15804/italy-seizes-migrant-rescue-boat-mare-jonio?ref=fb

    • Le navire humanitaire « Mare Jonio » mis sous #séquestre en Italie

      Le ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a lancé lundi 18 mars un avertissement aux organisations humanitaires qui recueillent des migrants au large de la Libye.

      Le lendemain, le « Mare Jonio », un navire ayant secouru 49 migrants était bloqué au large de Lampedusa, et mis sous séquestre dans la soirée. Les membres de l’équipage ont été arrêtés.

      « Les ports ont été et restent FERMES ». C’est par un message lapidaire posté sur Twitter que le dirigeant de La Ligue et ministre de l’intérieur italien Matteo Salvini a annoncé lundi 18 mars que l’Italie ne laisserait pas débarquer les migrants secourus par les ONG.


      Cet avertissement de Rome contre les ONG humanitaires intervient alors que le « Mare Jonio », affrété par le Collectif Mediterranea, aussi connu sous le nom de Mediterranea Saving Humans, venait de recueillir 49 migrants au large des côtes libyennes.
      Le Mare Jonio bloqué puis placé sous séquestre.

      Mardi 19 mars au matin, le navire humanitaire s’est positionné au large de Lampedusa, petite île italienne située entre l’île de Malte et la Tunisie, mais aussi dans la principale zone de passage des migrants en provenance des côtes libyennes. « En raison de conditions météo défavorables, il nous a été assigné un point d’ancrage à l’abri, à Lampedusa. Nous abriter était la priorité pour garantir la sécurité de toutes les personnes à bord », avait tweeté Mediterranea en fin d’après-midi.

      Le ministère italien de l’intérieur a annoncé, mardi 19 mars au soir, que « les douanes sont en train de procéder à la saisie du navire Mare Jonio », précisant que « les interrogatoires des membres d’équipage pourraient avoir lieu dans les prochaines heures ». Mercredi 20 mars, de fait, la justice italienne a confirmé le placement sous séquestre du Mare Jonio dans le cadre d’une enquête pour « aide à l’immigration clandestine ».

      Mediterranea, le soir même, a posté un message sur Twitter : « évidemment nous allons déposer un recours dans les prochains jours. Nous ne jouissons d’aucune immunité, mais nous sommes certains d’avoir agi dans le respect du droit et heureux d’avoir porté ces 49 personnes en lieu sûr ».
      Un accord Italie – Libye au détriment des droits de l’homme.

      Alors que Matteo Salvini menace de « sanctions » ceux qui « violent explicitement les règlementations (…) concernant les sauvetages », il ajoute au sujet du « Mare Jonio », « il ne s’agit pas d’une opération de sauvetage, c’est de l’aide à l’immigration clandestine ».

      Fidèle à sa ligne politique, le leader de La Ligue (extrême droite) a quasiment stoppé les arrivées de migrants, invoquant l’accord passé entre la Libye et l’Italie, signé le 2 février 2017, et soutenu par l’Europe, qui prévoit un soutien logistique et financier de l’Italie et de l’UE aux garde-côtes libyens, chargés d’assurer la surveillance en mer dans leurs eaux territoriales. En échange, ces derniers empêchent les personnes quittant la Libye de se rendre en Europe.

      Vincent Cochetel, envoyé spécial du Haut-Commissariat de l’ONU pour la Méditerranée centrale, a commenté sur Twitter que « le droit maritime est clair : la Libye n’est pas un lieu sûr (…). L’Italie et les autres pays méditerranéens, eux, le sont », légitimant ainsi le sauvetage des migrants par les ONG humanitaires.
      Le 16 novembre 2017, les pratiques d’esclavage en Libye sur des migrants originaires d’Afrique subsahariennes avaient été révélées au grand jour à la suite d’une vidéo publiée par la chaîne américaine CNN. « La Libye est un pays déchiré par la guerre et où les personnes réfugiées et migrantes sont régulièrement détenues dans des conditions terribles en violation de leurs droits humains les plus élémentaires », précise une lettre ouverte à l’attention du ministre de l’intérieur Français, Christophe Castaner, et signée par une trentaine d’ONG européennes.
      Quels navires humanitaires croisent encore en mer Méditerranée ?

      De janvier à juin 2018 l’espace humanitaire continue de se rétrécir en Méditerranée, explique pour sa part l’ONG SOS Méditerranée. « Les garde-côtes libyens sont de plus en plus présents et effectuent des interceptions dans les eaux internationales au large de la Libye, conséquence d’un transfert de responsabilités de plus en plus systématique du Centre de coordination des sauvetages italien vers les garde-côtes libyens ».

      La mise sous séquestre du « Mare Jonio » prive désormais un peu plus la Méditerranée d’aide humanitaire. D’autres embarcations européennes ont été empêchées de prendre la mer et de porter secours ces derniers mois : le « Juventa », le « Sea Watch », et l’« Aquarius ».

      Matteo Salvini dresse un bilan positif de son action. « Moins de départs, moins d’arrivées, moins de morts », martèle-t-il.

      L’Organisation Internationale pour les migrations (OIM) fait état de 152 morts et disparus en Méditerranée centrale depuis le début de l’année. Les chiffres sont par contre en augmentation au large de l’Espagne, devenue la principale porte d’entrée sur le continent.

      En 2018, toujours selon l’OIM, 144 166 personnes ont migré vers l’Europe : presque 4 000 de moins qu’en 2017. Le nombre de personnes mortes en tentant la traversée a également baissé, à 2 299. Il est toutefois proportionnellement plus élevé que les années précédentes.

      https://www.la-croix.com/Monde/Europe/Le-navire-humanitaire-Mare-Jonio-mis-sequestre-Italie-2019-03-21-120101032

      –-> commentaire de Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Les rares journalistes français qui évoquent le Mare Jonio continuent de le présenter comme partie prenante d’un projet humanitaire. Le sauvetage en mer n’est pourtant qu’une des ambitions de cette coalition, soutenue par MIgreurop, qui a toujours défendu la dimension politique de son action. C’est également pour cela qu’elle est si durement attaquée par Salvini.

    • Hotspot di Lampedusa: si teme che i migranti della Mare Jonio siano detenuti arbitrariamente

      Le 50 persone soccorse dalla Mare Jonio e condotte all’Hotspot di Lampedusa il 19 sera sono da allora trattenute all’interno della struttura. ASGI chiede l’autorizzazione urgente all’ingresso nell’hotspot.

      Inviata il 20 mattina alla Prefettura e alla Questura di Agrigento una richiesta di informazioni circa la condizione dei cittadini stranieri presenti nell’hotspot. Ad oggi non è stata ricevuta nessuna risposta.

      In particolare nella richiesta inviata dall’ASGI, nell’ambito delle azioni promosse dal Progetto Inlimine, si richiedevano chiarimenti rispetto all’accesso alla protezione internazionale, alla tutela dei minori e all’eventuale privazione della libertà delle persone presenti.

      Di fatto i cittadini stranieri, nel corso di questi giorni, non hanno lasciato la struttura e l’ente gestore ha comunicato per via telefonica a In Limine che non sussistono meccanismi di regolamentazione in merito all’uscita e al rientro dalla struttura delle persone presenti. L’ente gestore ha infatti sostenuto che trattandosi di un Centro di primo soccorso e accoglienza i cittadini stranieri debbano essere trattenuti al suo interno.

      Questa situazione desta grandi preoccupazioni: l’hotspot è percepito dall’ente responsabile della sua gestione come un centro di detenzione e le autorità pubbliche responsabili sembrano assecondare tale visione. Il problema della detenzione illegittima all’interno dell’hotspot di Lampedusa era già stato sollevato dal Garante dei diritti dei detenuti in data 11 maggio 2017. In tale occasione il prefetto di Agrigento alla richiesta del perché non venisse permesso alle persone di uscire dal Centro aveva risposto “se vogliono possono uscire da un buco nella rete”. In seguito, nel febbraio del 2018 il Prefetto inviava una comunicazione all’allora ente gestore con l’indicazione di dotarsi di sistemi per consentire ai richiedenti asilo di circolare liberamente. A oltre un anno da tale comunicazione, tali sistemi non sono stati adottati.

      Di fronte a questa allarmante situazione ricordiamo che la libertà personale è un diritto inviolabile, in quanto tale tutelato dalla Costituzione (art. 13) nonché da norme di diritto internazionale, tra cui l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. La privazione della libertà può avvenire solo sulla base di norme che ne disciplinino tassativamente casi e modi, deve essere disposta da provvedimenti scritti e motivati e deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria competente. Nel caso dei cittadini stranieri presenti a Lampedusa ci troviamo potenzialmente di fronte a tre diverse situazioni:

      Il trattenimento nel corso delle procedure di identificazione. Tale forma di detenzione non è prevista da alcuna norma ed è quindi di per sé illegittima.

      Per quanto concerne la privazione della libertà dei richiedenti protezione internazionale all’interno dei centri hotspot questa è prevista dall’art. 6 del D.lgs. n. 142/2015, che stabilisce che il richiedente asilo può essere trattenuto solo in appositi locali, al fine di determinare o verificare l’identità o la cittadinanza e, in ogni caso, esclusivamente ove vi sia un provvedimento scritto emesso e notificato dall’autorità competente e convalidato dall’autorità giudiziaria.

      Per quanto riguarda i cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento l’unica eccezione al trattenimento presso i Centri per il rimpatrio è contenuta nell’art. 13, co. 5-bis, del Testo Unico sull’Immigrazione. Questo prevede che in caso di indisponibilità dei posti all’interno dei CPR tali cittadini possono essere trattenuti in strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza solo dietro autorizzazione del giudice di pace e comunque non oltre le quarantotto ore successive all’udienza di convalida.

      In base a quanto visto sopra si ritiene che la detenzione cui sono sottoposti i 36 adulti, nel centro di Lampedusa potrebbe essere illegittima, sia nella sua fase iniziale – ovvero durante l’identificazione –sia nei momenti successivi, a meno che non siano stati emessi i provvedimenti di trattenimento e non vi sia stata la relativa convalida.

      Per quanto riguarda i minori, la situazione è evidentemente ancora più grave. Infatti, in nessun caso i minori non accompagnati possono essere trattenuti e devono essere accolti in “strutture governative di prima accoglienza a loro destinate” e, in caso di indisponibilità di posti in tali strutture, l’assistenza e l’accoglienza devono essere garantite dal Comune. Il trattenimento ovvero la permanenza dei minori nel centro hotspot è estremamente preoccupante in quanto illegittima e contraria al principio del superiore interesse del minore.

      Si invitano pertanto le autorità competenti a fornire nel minor tempo possibile informazioni sulla condizione delle persone soccorse dalla Mare Jonio, sulla messa in campo delle garanzie previste per gli eventuali trattenimenti e sulle misure adottate per l’immediato trasferimento dei minori. In data odierna è stata inviata richiesta di ingresso all’hotspot di una delegazione del progetto al fine di verificare l’effettivo rispetto dei diritti delle persone presenti.

      In ultimo, riteniamo sia indispensabile, dal punto di vista della società civile, prestare l’opportuna attenzione nei confronti delle procedure applicate alle 50 persone attualmente presenti a Lampedusa. Riteniamo, da questa prospettiva, che il tema del rispetto dei diritti e le potenziali frizioni tra diritto e prassi non si esauriscano con l’approdo e lo sbarco. Viceversa, è indispensabile continuare a mantenere alta la soglia dell’attenzione: va puntualmente garantito il rispetto dei diritti all’interno degli hotspot e nelle delicate fasi successive.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/lampedusa-mare-jonio-detenzione-hotspot

    • Refugee Ships Are Trying To Call Them During Emergencies — But They Aren’t Answering

      Twenty-nine calls from BuzzFeed News to a variety of numbers meant to summon the Libyan coast guard to help for drowning refugees in the Mediterranean went completely unanswered.

      Four years after the refugee crisis first brought the horrors of the dangerous Mediterranean crossing to the world’s attention, hundreds of people continue to die each year hoping to reach Europe’s shores.

      Over the course of 2016, the European Union determined that the coast guard in Libya, from whose shores many refugee boats set off, would to be the first call for groups undertaking rescue missions in hopes of saving the lives of those adrift at sea. Since last June, the main international body that issues guidelines on rescues at sea has agreed — Libya has the lead in the Mediterranean.

      A BuzzFeed News investigation has found that five different phone numbers provided by Libyan officials as contact numbers for search and rescue missions are barely functioning, and when they do, the staffers manning the phones are unable to speak English, in violation of international law.

      A reporter from BuzzFeed News tried to reach these five numbers on three different days and at six different times in a total of 30 contact attempts. Of those, 29 failed because the call was not answered. Among the numbers where no one could be reached were the two numbers listed in the international database for emergencies at sea — the UN International Maritime Organization’s (IMO) Search and Rescue database. The IMO entry says that the Libyans should be available 24 hours a day.

      The failure to adequately man the phones can have dire consequences. In 2016, at the peak of the crisis, more than 3,800 people are estimated to have died when attempting to make the crossing into Europe. According to the UN, the route between Libya and Italy was the most deadly, with one death for every 47 arrivals. That number has fallen but still remains high: 2,262 people were estimated to have died on the voyage last year.

      In response to the surge in migrants and asylum-seekers, the European Union opted in 2016 to divert money and personnel from its own rescue missions to the Libyan coast guard, hoping to discourage migrants and asylum-seekers from making the trek in the first place. The program has been renewed several times since then, most recently in the form of a pledge of $52 million this January to pay for maritime surveillance equipment.

      The UN database also lists a Gmail address as an official contact for the Tripoli mission. There are three further email addresses available that BuzzFeed News was able to locate, which are supposed to represent official contacts to the Libyan coast guard. One is a second Gmail account; the other is an address that belongs to the Italian Navy. None of the addresses contacted responded to BuzzFeed News requests for comment.

      Other organizations have had little better luck contacting Tripoli. Sea-Watch, an NGO that provides search and rescue efforts in the Mediterranean, has also provided BuzzFeed News radio recordings of several attempts on different days to reach the Libyan coast guard.

      Sea-Watch also provided a list of recorded attempts to reach the Libyan coast guard from the bridge of the Sea-Watch 3, one of their rescue ships. The list of 15 calls show 10 failed contact attempts — in five other cases, the Libyan side simply hung up.

      Ruben Neugebauer, a crew member who also acts as spokesperson for Sea-Watch, told BuzzFeed News that the situation had become the new normal.

      “The accessibility of the JRCC Tripoli is more than poor, it happens again and again that the control center is not accessible at all,” he said, using the Libyan mission’s official name. “If it can be reached, often only the local Arabic dialect is spoken.”

      Under the terms of the 1979 International Convention on Maritime Search and Rescue, which Libya has signed, all rescue coordination centers must be staffed around the clock and include staffers who speak English.

      Neugebauer recalled one case where a person on the Libyan end of the call could not communicate in English, French, or Egyptian Arabic: “Even though it was an emergency, the JRCC Tripoli employee simply hung up before we were able to share the most necessary information.”

      The operator’s lack of English language skills can also jeopardize the rescuers. Last November, a Libyan patrol boat intervened aggressively in an ongoing rescue mission. Five people died as a result.

      The Aquarius, a ship jointly operated by NGOs Doctors Without Borders and SOS Mediterranee, has noted in its public logbook almost 30 unsuccessful attempts to reach the Libyans during missions since June 2018 alone. Nine unsuccessful attempts to reach Libyan units on the radio channel reserved for emergency calls are also listed in the logbook.

      “For us, the JRCC Tripoli has never been reachable by phone so far,” Axel Steier, founder and chair of the NGO Mission Lifeline, told BuzzFeed News in an email. “Emails are answered after days.” BuzzFeed News asked Steier to estimate how often the Libyan authorities were available in cases of distress at sea in which Mission Lifeline’s rescue vessel was involved. His answer: “Zero percent.”

      Ina Fisher, a spokesperson for Alarm Phone, another NGO focused on rescues, told BuzzFeed News that in only two cases did phone calls placed to numbers meant to belong to the Libyan coast guard actually get answered. One number turned out to belong not to the coast guard but a retired general, she said. In the other call, the voice on the other end of the line said they could not help but did ask if they’d managed to save the boat in question.

      “We regularly send complaints to MRCC Rome about the JRCC’s inaccessibility, but again and again get the answer that the JRCC is working well,” Fisher said.

      “According to our experience, in case of SAR events involving our assets, the communication with the relevant MRCC, including the Libyan one, has been satisfactory,” Antonello de Renzis Sonnino, a captain in the Italian Navy and spokesperson for Operation Sophia, the EU’s international rescue mission, said in response to a BuzzFeed News request for comment.

      Last year, Italian and Maltese ports began refusing ships with refugees on board permission to enter their harbors, leaving ships to wait for days with refugees on board on the Mediterranean Sea. As a result, civilian sea rescuers have given up on contacting the rescue coordination center based in Rome and switched over to contacting the German Maritime Search and Rescue Association during emergencies in the Mediterranean, hoping to enlist them to contact the Libyans. The Germans, based out of the city of Bremen, are responsible for maritime search and rescue operations in the North and Baltic seas.

      Even they don’t always manage to reach the Libyan coast guard. Christian Stipeldey, the German rescue association’s press officer, confirmed to BuzzFeed News: “In January 2019 we tried to reach Tripoli by telephone in one case. The connection was not established.” The mission in Rome “was already aware of this case,” Stipeldey said.

      A spokesperson for the International Maritime Organization told BuzzFeed News that they were not in a position to comment on the reporting gathered for this article, adding that the IMO has no mandate to investigate the accessibility and reliability of regional command centers. A member state of the IMO could make such a request, however.

      The German Federal Ministry of Transport is considering putting the work of the Libyan coast guard on the agenda at the next meeting of the IMO’s subcommittee responsible for sea rescues, the ministry confirmed to BuzzFeed News. The ministry also said that in talks with Libyan representatives, it has regularly demanded that the protection of refugees in sea rescue be guaranteed.

      “You must appreciate that not every State can execute this function properly, especially if it has been under turmoil, like Libya,” George Theocharidis, a professor of maritime law and policy at World Maritime University in Sweden, told BuzzFeed News. “On the other hand, as every State has sovereignty, it is not possible to enforce those duties and it is left to the goodwill of States to perform what is required from them,” he added, noting that even the IMO can’t force a country to comply with the standards.

      BuzzFeed News has also asked the European External Action Service, the responsible EU commissioner, for comment on the Libyans’ inaccessibility. It has not provided a response at this time.

      Despite widespread knowledge of the problem, the confusion has not improved in recent months. A screenshot of an internal Sea-Watch chat provided to BuzzFeed News shows one crew member attempting to get in touch with the Libyans as recently as March 15. They were subsequently provided with a new phone number and instructed to speak very slowly.

      When someone actually answered the phone, the chat reads, “it was a Russian-sounding man replying, saying in English that he didn’t speak English, only Russian.

      “To my question, if anyone there spoke English, he replied, ‘Afternoon, English!’”

      https://www.buzzfeednews.com/article/marcusengert/libya-coast-guard-not-answering-emergency-refugee-rescue-cal

    • Rescued migrants hijack merchant ship off Libya

      Migrants have hijacked a merchant ship which rescued them off the coast of Libya and it is now heading towards Malta, Italian Deputy Prime Minister Matteo Salvini and Maltese authorities said on Wednesday.

      The 108 migrants were picked up by the cargo ship #Elhiblu_1 and hijacked the vessel when it became clear that it planned to take them back to Libya, according to the website of Italian daily Corriere della Sera and Italian news agencies.

      “These are not migrants in distress, they are pirates, they will only see Italy through a telescope,” said Salvini, who has cracked down on illegal immigration, including closing Italy’s ports to charity ships, since he took office in June last year.

      A spokeswoman for Malta’s armed forces confirmed the ship had been hijacked and said Maltese authorities were monitoring its progress and it would not be allowed to dock in Malta.

      “This is clearly a case of organized crime,” Salvini said on Facebook. “Our ports remain closed.”

      Salvini, the leader of the right-wing League party, has been at the center of several international stand-offs over his refusal to let humanitarian ships dock in Italy.

      This month parliament rejected a request by prosecutors to investigate him for kidnapping over a case in August when he blocked an Italian coastguard ship with 150 migrants aboard for almost a week off Sicily before finally letting it dock.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-hijacking/rescued-migrants-hijack-merchant-ship-off-libya-idUSKCN1R81YF?feedType=RSS&

    • Un pétrolier, détourné par les migrants secourus, arrive à Malte

      Le pétrolier ravitailleur #Elhiblu 1, détourné par des migrants qu’il avait secourus mais qui ne voulaient pas être reconduits en Libye, est arrivé jeudi à Malte. Un commando de la marine maltaise en a repris le contrôle dans la nuit.

      Ce navire de 52 mètres qui bat pavillon de Palau avait secouru mardi au large de la Libye 108 migrants, dont 31 femmes ou enfants, à bord de deux canots en détresse, signalés par un avion militaire européen. Mais alors qu’il s’approchait de Tripoli pour les débarquer mercredi, il a subitement fait demi-tour et mis le cap au nord.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a immédiatement prévenu que le navire ne serait pas autorisé à pénétrer dans les eaux italiennes.

      Or, l’Elhiblu 1 faisait route vers Malte, où la marine a pu entrer en contact avec le capitaine alors que le navire était à 30 milles des côtes.

      Le contrôle « rendu au capitaine »

      Le capitaine a répété plusieurs fois qu’il n’avait plus le contrôle du navire et que lui-même et son équipage étaient forcés et menacés par un certain nombre de migrants exigeant qu’il fasse route vers Malte", a ajouté la marine dans un communiqué.

      Un patrouilleur a empêché le pétrolier de pénétrer dans les eaux territoriales de Malte et un commando des forces spéciales, soutenu par plusieurs navires de la marine et un hélicoptère, a été dépêché à bord « pour rendre le contrôle du bateau au capitaine ».

      Escorté par la marine maltaise, le navire est arrivé tôt ce matin dans le port de La Valette, où l’équipage et les migrants doivent être confiés à la police pour déterminer ce qui s’est passé et les responsabilités.


      https://www.rts.ch/info/monde/10324359-un-petrolier-detourne-par-les-migrants-secourus-arrive-a-malte.html

    • #IOM: Libya isn’t a safe haven for immigrants

      The International Organization for Migration (IOM) said Libya cannot yet be considered a safe port, saying it is present at the disembarkation points to deliver primary assistance to migrants that have been rescued at sea.

      In a statement on Tuesday, IOM added that following the migrants’ disembarkation, they are transferred to detention centres under the responsibility of the Libyan Directorate for Combatting Illegal Migration (DCIM) over which the Organization has no authority or oversight.

      “The detention of men, women and children is arbitrary. The unacceptable and inhumane conditions in these detention centres are well documented, and IOM continues to call for alternative solutions to this systematic detention.” The statement remarks.

      It indicates that the number of migrants returned to Libyan shores has reached over 16,000 since January 2018, and concern remains for their safety and security in Libya, due to the conditions in the detention centres.

      “IOM only has access to centres to provide direct humanitarian assistance in the form of non-food items, health and protection assistance, as well as Voluntary Humanitarian Return support for migrants wishing to return to their countries of origin.” It explained.

      The IOM also clarified that its access to detention centres in Libya is part of the efforts to alleviate the suffering of migrants but cannot guarantee their safety and protection from serious reported violations.

      It said it advocates for alternatives to detention including open centres and safe spaces for women, children and other vulnerable migrants.

      “A change of policy is needed urgently as migrants returned to Libya should not be facing arbitrary detention.” The statement reads.

      IOM further explained that security and humanitarian situations in Libya remain dangerous, and reiterated that Libya cannot be considered a safe port or haven for migrants.

      https://www.libyaobserver.ly/news/iom-libya-isnt-safe-haven-immigrants
      #Libye #ports_sûrs #port_sûr #asile #migrations #réfugiés #IOM #OIM

    • Refugee rescue ship running out of food and water with 64 on board as European countries argue over who should let it dock

      A newborn baby, five children and 20 women are among those on board the stranded vessel.
      A ship carrying 64 refugees is stranded at sea and running out of food and drinking water while European countries refuse to let it dock.

      The Alan Kurdi is a private rescue ship owned by Sea-Eye, a German NGO.

      The group on the vessel includes 20 women, five children and one newborn baby, according to a spokesperson for Sea-Eye.

      Staff on board rescued the group of refugees from a rubber dinghy near the Libyan coast last week and asked Italy and Malta, the two nearest countries, to open a port so the ship could dock.

      But both countries refuse to accept humanitarian ships that patrol the Mediterranean to rescue refugees.

      The Alan Kurdi has now spent six days at sea as European countries argue over who should accept the vessel.

      Matteo Salvini, Italy’s anti-immigration deputy prime minister, said the rescue ship was not welcome in the country.

      “A ship with a German flag, German NGO, German ship owner, captain from Hamburg. It responded in Libyan waters and asks for a safe port,” he said.

      “Good, go to Hamburg.”

      As supplies on the vessel run low, the European Union (EU) has entered discussions with its member states.

      On Tuesday, Sea-Eye said it had informed Malta, which is nearest to the boat, about the scarcity of food on board.

      Dominik Reisinger, a spokesperson for the organisation, said the “political question about the distribution of those rescued ... overshadows the human rights” of the refugees.

      The vessel’s difficulties come after the aid organisation Médecins Sans Frontières (MSF) ended its refugee rescue missions in the area.

      In December 2018, the group’s rescue vessel, Aquarius, was withdrawn from operations after what MSF alleged was a “sustained smear campaign” led by the Italian government.

      Operation Sophia, the EU’s maritime rescue mission, has also been downgraded, in a move that was condemned by rights groups and charities when it was announced in March 2019.

      The EU mission was credited with saving thousands of lives but no longer carries out maritime patrols in the Mediterranean, after Italy refused to receive the people rescued at sea.

      A spokesperson for Amnesty International described the decision as an “outrageous abdication of EU governments’ responsibilities”.

      The Alan Kurdi is named after the three-year-old boy whose body was found on a beach in Turkey in September 2015 at the height of the refugee crisis.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/refugee-rescue-ship-sea-eye-boat-eu-countries-refusing-to-let-it-dock

    • Avril 2019

      #Alarmphone was called this morning at approx. 6am CEST by 20ppl, incl. women & children in distress off the coast of #Libya +++ They report that 8ppl have fallen into the sea and are missing. They lost their engine, water is coming into their boat. Authorities are informed.

      Avec un fil twitter sur l’évolution de la situation :
      https://twitter.com/alarm_phone/status/1115945935601831940

      Fin de l’histoire : les Libyens sont intervenus et ont ramené les migrants en Libye...

      Li hanno ripresi i Libici. Il caso è chiuso. 15 ore senza interventi di soccorso. Governi europei, civilissime nazioni di grandi tradizioni e valori, sono riusciti a riconsegnare ai lager in una zona di guerra da cui scappavano, donne uomini bambini. Crimine e vergogna infinita.

      https://twitter.com/RescueMed/status/1116054434742714368

      Tweet de #sea_watch :

      While today 8 people already drowned, 20 others are alive but abandoned in distress. Meanwhile the Dutch gov. keeps our ship blocked with random policy changes. #SeaWatch 3 could be there to save lives now, but that doesn’t fit the European migration policy of letting drown.

      https://twitter.com/seawatch_intl/status/1115955541099057152

    • #Castaner persiste sur des « interactions » entre ONG et passeurs en Méditerranée

      Après avoir affirmé que les ONG « ont pu se faire complices des passeurs » en Méditerranée, Christophe Castaner a tenté une mise au point mardi, dégainant deux « rapports de Frontex » censés démontrer des « interactions ». Emmanuel Macron lui-même juge que des humanitaires font « le jeu des passeurs ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/castaner-persiste-sur-des-interactions-entre-ong-et-passeurs-en-mediterran

    • La Mare Jonio torna a navigare. Siamo tutti coinvolti

      In questo momento il rimorchiatore Mare Jonio e la barca a vela d’appoggio Alex stanno solcando il mare in direzione del Mediterraneo Centrale, la rotta migratoria più mortifera a livello globale. «Torniamo a navigare ancora una volta decisi a rispettare fino in fondo il diritto internazionale del mare, i diritti umani e i principi della nostra Costituzione – hanno scritto ieri gli attivisti sul profilo facebook della missione – Ringraziamo le migliaia e migliaia di persone diventate in questi mesi Mediterranea. È solo grazie al loro supporto che possiamo farlo».

      La Mare Jonio era ferma dal 19 marzo scorso, quando tornò in Italia con a bordo 49 naufraghi salvati dalla morte o dal ritorno nell’inferno libico. Dopo l’apertura di indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il rimorchiatore era stato sottoposto a qualche giorno di sequestro probatorio presto revocato dalla procura di Agrigento. La nuova missione parte con la benedizione dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice che lunedì scorso ha incontrato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea, affermando pubblicamente di essere dalla parte di chi salva esseri umani.

      Ieri sera, invece, è stato pubblicato un comunicato congiunto degli equipaggi di Sea-Watch, Open Arms, Mediterranea Saving Humans, Sea-Eye, Alarm Phone, Seebrücke sulla vicenda che ha riguardato la nave Alan Kurdi. L’imbarcazione della ong Sea-Eye aveva salvato 64 persone il 3 aprile scorso. Solo ieri i naufraghi sono stati prelevati e fatti sbarcare dalle motovedette militari maltesi. L’attracco della nave nel porto di La Valletta, invece, non è stato autorizzato. I profughi saranno ora «redistribuiti» tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.

      «I negoziati intergovernativi portati avanti mentre le persone soccorse erano costrette a rimanere in condizioni non sicure in alto mare per oltre dieci giorni – recita il comunicato congiunto – sono pratiche illegittime e insostenibili che violano il diritto internazionale, i principi fondamentali dei diritti umani e non rispettano la dignità delle persone salvate». «Per noi, la società civile impegnata nel Mediterraneo centrale – continua il testo – la dignità e i diritti delle persone sono sempre una priorità assoluta e guidano tutte le nostre pratiche».

      La missione di Mediterranea iniziata questa mattina si inserisce in un nuovo contesto politico, segnato dalla rinnovata instabilità libica e dall’escalation militare che interessa Tripoli. Il conflitto tra le milizie di Haftar e quelle di Serraj, sostenuto dal governo italiano e dall’Unione Europea, hanno reso evidente a tutti, amesso che ancora ce ne fosse bisogno, che la Libia non è un «paese sicuro». Chi continua a ripeterlo diffonde fake news e menzogne che producono morte e legittimano l’inferno dei lager, delle violenze, degli stupri.

      A tutto questo bisogna reagire adesso. Mediterranea lo sta facendo. Lo stanno facendo gli equipaggi di mare, che hanno deciso di sfidare senza paura le aggressioni politiche e giudiziarie e i possibili comportamenti scomposti della cosiddetta «guardia costiera libica». Lo stanno facendo gli equipaggi di terra, che instancabilmente lavorano a livello economico, organizzativo e legale per rendere possibili le missioni. Dovrebbe farlo chiunque non accetta questa situazione, sostenendo come può la missione Mediterranea, che è completamente autofinanziata e ha urgente bisogno di nuovi fondi, ma anche preparandosi a mobilitarsi affinché nessuno resti solo, né in mare né in terra.

      https://www.dinamopress.it/news/la-mare-jonio-torna-navigare-tutti-coinvolti

    • Nella direttiva contro Mare Jonio solo propaganda. Il Viminale rispetti i diritti umani

      Apprendiamo che il Viminale ha dedicato, nella sua intensa attività di produzione di “direttive ad navem”, una nuova direttiva interamente dedicata alla nostra nave, Mare Jonio, salpata per la seconda missione del 2019 il 14 aprile scorso.

      La direttiva appare scritta come se il Governo vivesse in un mondo parallelo. Nessun accenno alla guerra che infiamma la Libia e ai corrispettivi obblighi internazionali né alle migliaia e migliaia di persone torturate negli ultimi anni in quel Paese né a quelle annegate nel Mediterraneo centrale (in proporzione in numero sempre crescente, 2.100 nel solo 2018). Forse dovrebbero parlarsi tra Ministeri: la Ministra della Difesa italiana ha appena affermato infatti che “con la guerra non avremmo migranti ma rifugiati e i rifugiati si accolgono”.

      Nelle considerazioni introduttive della direttiva in questione, si leggono una serie di slogan di propaganda, oltre che un elenco di bugie, peraltro relative a eventi al momento sotto l’attenzione della Procura di Agrigento nel corso dell’indagine che ci riguarda e che abbiamo accolto offrendo tutta la nostra collaborazione. Sappiamo infatti di avere sempre rispettato i diritti e il diritto, cosa che i governi europei, e il nostro in particolare, dovrebbero cominciare a fare in relazione a quanto avviene nel Mediterraneo Centrale.

      La direttiva dice che la nostra presenza in mare sarebbe un incentivo per chi lascia la Libia: bisognerebbe appunto ricordare al Viminale che in Libia c’è una guerra, e che in ogni caso, come l’ONU e l’UE non perdono occasione di ricordare, quel paese non è mai stato un porto sicuro, ma piuttosto il teatro di “indicibili orrori”, stupri quotidiani, torture, esecuzioni sommarie per tutti i migranti, inclusi i bambini.

      La direttiva dice che rischiamo di favorire l’ingresso di pericolosi terroristi. Auspichiamo che, una volta sbarcate nel porto più sicuro le persone eventualmente soccorse, questo governo sia in grado di effettuare tutte le indagini necessarie a garantire la sicurezza pubblica, ricordando però che i terroristi solitamente non viaggiano su barche che in un caso su tre affondano, ma che hanno ben altri mezzi per spostarsi.

      La direttiva dice che avremmo rifiutato il coordinamento SAR di autorità straniere legittimamente responsabili. Ricordiamo che nel nostro soccorso avvenuto il 18 marzo, nessuna autorità ci ha ordinato alcunché, se non di stare lontani 8 miglia da un punto dal quale siamo rimasti ben più distanti per tutto il tempo. In ogni caso, ci auguriamo che la direttiva non faccia riferimento all’autorità libica, poiché in questo caso, si tratterebbe di una istigazione a delinquere: se già in precedenza era un reato riportare in Libia le persone soccorse, oggi, con la guerra in corso, è un’affermazione semplicemente criminale.

      La cosiddetta guardia costiera libica, su delega e finanziamenti italiani, ha catturato per anni le persone in mare riportandole in quell’inferno e rimettendole in mano ai trafficanti, contrastati di fatto solo dalla presenza delle navi della società civile, le uniche a strappare le persone soccorse dalle mafie criminali. Sempre in relazione all’evento del 18 marzo, contrariamente alle menzogne riportate dalla direttiva, ricordiamo di avere fatto rotta verso l’Italia, obbedendo linearmente a quanto previsto dal diritto internazionale, in quanto Lampedusa era il porto sicuro più vicino per i naufraghi soccorsi.

      La direttiva ci accusa infine di volere condurre nuovamente le stesse attività: lo confermiamo. Siamo di nuovo nel Mediterraneo, grazie alle tantissime realtà e persone che ci sostengono, per continuare nella nostra missione di monitoraggio e denuncia della violazione dei diritti umani, senza sottrarci mai all’obbligo giuridico ed etico di salvare le vite in pericolo e portarle in salvo.

      Ci atterremo, nel farlo, esattamente come chiede la direttiva, alle vigenti norme nazionali e internazionali, cosa che implica l’impossibilità di fare alcun riferimento alla Libia, certi che anche l’illegittimità della sua zona SAR sarà presto definitivamente riconosciuta.

      Diffidiamo altresì chiunque, e nella fattispecie il Ministro dell’Interno italiano, dal mettere in atto comportamenti che violino le leggi nazionali ed internazionali in materia di rispetto dei diritti umani e di obbligo di salvataggio in mare.

      https://mediterranearescue.org/news/nella-direttiva-contro-mare-jonio-solo-propaganda-il-viminale-ri

    • Pourquoi l’extrême-droite européenne a quasiment réussi à faire interdire les sauvetages de réfugiés en Méditerranée

      Des navires comme l’Aquarius ou le Sea Watch, affrétés par des associations, ont sauvé des dizaines de milliers de vies en Méditerranée. Mais depuis deux ans, les autorités italiennes et européennes ont multiplié les entraves. L’Italie leur a fermé ses ports depuis l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini et de son parti d’extrême droite. Il n’est pas le seul à harceler les sauveteurs. Des bateaux sont saisis ou bloqués à Malte, en Espagne, leurs équipages sont menacés de poursuites. Et ce, dans l’indifférence des autres gouvernements européens. Les réfugiés, eux, continuent de mourir ou sont interceptés par les garde-côtes libyens. Bilan d’un naufrage européen.

      Quand une majorité d’électeurs français ont élu Emmanuel Macron contre Marine Le Pen en mai 2017, ils ne pensaient probablement pas que l’un de ses futurs ministres de l’Intérieur tiendrait le même discours que la candidate du FN et le reste de l’extrême droite européenne. C’est pourtant ce qui est arrivé le 5 avril. En marge du G7 des ministres de l’Intérieur, Christophe Castaner a déclaré que les ONG qui secourent des embarcations de migrants en péril en Méditerranée ont « pu se faire complices des passeurs ». C’est exactement l’argumentaire utilisé par Marine Le Pen un an plus tôt [1] en échos aux déclarations du ministre d’extrême-droite italien Matteo Salvini. Depuis que celui-ci est au pouvoir, les entraves mises aux organisations de sauvetage en mer ont redoublé.

      En juin 2018, dès la formation du gouvernement de coalition entre la Ligue du Nord (extrême-droite) et le Mouvement 5 Étoiles (M5S), Matteo Salvini décide de fermer les ports italiens aux bateaux des organisations non-gouvernementales de sauvetage. L’Italie refuse alors le droit d’accoster à l’Aquarius, affrété par l’ONG française SOS Méditerranée, et au Lifeline, d’une association allemande, alors qu’ils ont recueilli à bord des dizaines de réfugiés. « Normalement, selon le droit maritime, les gouvernements ne peuvent pas fermer leurs ports à des embarcations », déplore une activiste française de l’ONG allemande Sea Watch, qui souhaite garder l’anonymat. Mais les autorités italiennes cherchent tous les prétextes possibles pour le faire.
      Des accusations de collusion avec les passeurs, sans aucune preuve

      Sur le front juridique, les attaques contre les ONG ont commencé depuis deux ans. Au printemps 2017, le procureur de Catane, en Sicile, déclare soupçonner une collaboration entre des organisations de sauvetage et des trafiquants d’êtres humains. Sans aucun élément de preuves, l’affaire s’est finalement dégonflée. Les menaces de poursuites judiciaires et de mises sous séquestre des navires se sont cependant poursuivies. En août 2017, le parquet de Trapani, toujours en Sicile, saisit le navire Luventa de l’ONG allemande Jugend Rettet. Raison invoquée : soupçon de collaboration avec des passeurs lors de trois opérations de sauvetage en 2016 et 2017 (voir le travail d’enquête qu’a réalisé à ce sujet le collectif de recherche Forensic Architecture, basé à l’université Goldsmiths de Londres). L’ONG avait refusé, avec d’autres, de signer le « code de conduite » que les autorités italiennes voulaient leur imposer. Le texte leur demandait notamment de s’engager à ne pas entrer dans les eaux territoriales libyennes.

      « Notre navire se trouve en saisie préventive, fait savoir à Basta ! le président de Jugend Rettet, Julian Pahlke. La saisie peut être effectuée sans qu’aucune procédure judiciaire ne soit lancée. Elle est couverte par un paragraphe de loi anti-mafia ». Les autorités italiennes ont mis sous séquestre le navire de l’ONG allemande depuis plus d’un an et demi sans même qu’une procédure judiciaire ne soit ouverte ni contre l’ONG, ni contre ses membres. « Nous sommes allés jusqu’à la plus haute instance juridique italienne pour contester cette saisie », poursuit le jeune homme. En vain. L’ONG dit aujourd’hui préparer une plainte devant la Cour européenne des droits humains pour pouvoir récupérer son bateau.
      Des navires saisis ou bloqués de manière arbitraire, sans procédure judiciaire

      En mars 2018, c’est le navire de l’organisation espagnole Open Arms qui est placé sous séquestre par les autorités italiennes. Le procureur de Catane leur reproche d’avoir refusé de remettre aux garde-côtes libyens plus de 200 réfugiés secourus en mer. Une enquête pour organisation criminelle d’aide à l’immigration illégale est alors ouverte contre le capitaine du navire, le coordinateur et le directeur de l’ONG. Quelques mois plus tard, en novembre, la justice italienne déclare soupçonner l’Aquarius de traitement illégal de déchets toxiques. La menace d’un placement sous séquestre plane, mais l’accusation ne tient pas. La même année, le bateau de SOS Méditerranée reste coincé pendant des semaines dans le port de Marseille parce qu’il vient de perdre son pavillon, le pays de rattachement du bateau. Le Panama lui retiré l’immatriculation suite à une plainte de l’Italie. Juste avant, Gibraltar avait fait de même. Résultat : entre fin septembre et fin novembre 2018, plus aucun bateau d’ONG de sauvetage n’était présent au large de la Libye.

      Tout récemment encore, début février 2019, le parquet de Catane a bloqué plusieurs jours l’un des navires humanitaires de Sea Watch. Il venait de débarquer avec 47 réfugiés secourus au large des côtes libyennes, après avoir été coincés des jours sur le bateau au large, parce que Salvini leur refusait l’accès au port. Le ministre menace aussi l’ONG de poursuites en justice. Le parquet a finalement considéré qu’aucun délit n’a été commis par l’ONG, mais ordonne des vérifications techniques, ce qui immobilise le navire. Sea Watch a dénoncé un blocage politique injustifié. Puis, c’est le Mare Jonio, affrété par le collectif d’activistes italiens Mediterranea, qui est saisi pendant huit jours, mi-mars, au port de Lampedusa. Il venait de secourir 49 personnes.
      « Une preuve accablante que certains États abusent de leurs pouvoirs »

      Le zèle des autorités italiennes pour bloquer les navires inspire aussi d’autres pays. Sea Watch rencontre des difficultés avec les Pays-Bas, le pavillon sous lequel ses bateaux naviguent. Après des travaux d’entretien, les autorités néerlandaises ont empêché leur bateau Sea Watch 3 de retourner en zone de sauvetage. « Jusqu’à ce que le gouvernement néerlandais soit sûr que nous nous conformions aux exigences techniques d’un nouveau règlement, Sea Watch est obligé de suspendre ses missions et sera probablement soumis à une nouvelle série d’inspections grotesques », a réagi l’ONG dans un communiqué. Les Pays-Bas invoquent des préoccupations pour la sécurité des personnes secourues si le navire doit rester longtemps en mer, faute de port prêt à les accueillir, comme cela arrive de plus en plus souvent.

      « Nous ne pouvons être tenus responsables de l’état actuel des blocages prolongés et inhumains en mer. Au contraire, cette situation est une preuve accablante que certains États européens abusent de leurs pouvoirs », répond Sea Watch. Pour elle, les Pays-Bas, derrière des prétextes techniques, cherchent à empêcher les opérations de sauvetage en inventant « de nouveaux moyens pour contrôler les navires d’ONG dans le contexte de la politique migratoire ».

      Une troisième ONG allemande, celle qui affrète le bateau Lifeline, a fait l’objet d’un long procès à Malte. En juillet 2018, les autorités maltaises ont laissé accoster le Lifeline avec plus de 200 personnes réfugiées, après une semaine d’errance en Méditerranée. Puis, Malte a mis le navire sous séquestre et engagé un procès contre le capitaine. L’accusation ? Ne pas avoir correctement enregistré le bateau. Le jugement doit finalement être rendu le 14 mai prochain. En Espagne aussi, les conditions se durcissent. En janvier, les autorités maritimes espagnoles ont refusé au navire d’Open Arms de repartir en mer. Il venait d’accoster dans un port du sud de l’Espagne avec plus de 300 réfugiés fin décembre.
      Renvoyer les embarcations vers la Libye

      « Des barrières se mettent en place à tous les niveaux pour qu’on ne puisse plus retourner dans la zone de sauvetage dans les eaux libyennes », analyse l’activiste française de Sea Watch. Depuis juin 2018, la Libye dispose de son propre Centre régional opérationnel de surveillance et de sauvetage en mer (Cross), un centre de coordination pour les sauvetages maritimes. La mise en place d’un tel centre sur le sol libyen fait partie du plan de la Commission européenne de 2017 pour réduire les flux migratoires en Méditerranée [2]. « La zone de sauvetage où nous naviguons est un carré au nord de Tripoli, vers lequel les courants et les vents emmènent les embarcations qui partent de la capitale libyenne. Avant, le Cross dont dépendait cette zone de navigation était Rome. Nous avions l’obligation de diriger les embarcations en difficulté vers les ports les plus proches du Cross de Rome, donc des ports italiens ou maltais. »

      Avec la création d’un Cross à Tripoli, les embarcations peuvent être renvoyées vers la Libye. Alors même que, depuis début avril, des combats se déroulent, aux abords de Tripoli, entre les forces de l’Armée nationale libyenne autoproclamée du général Haftar, et les milices alliées au gouvernement reconnu par la communauté internationale. « Certains affrontements ont lieu également à proximité des centres de rétention des services de l’immigration à Qasr Ben Gashir et Ain Zara, où quelque 1300 personnes réfugiées et migrantes sont actuellement détenues », rappelle Amnesty International le 8 avril.
      80 000 personnes sauvées en deux ans

      En 2017, l’Union européenne a alloué 46 millions d’euros d’aide aux gardes-frontières et gardes-côtes libyens. En février, la France leur a même offert des navires [3]. L’objectif de ces généreux dons est de maintenir les migrants de l’autre côté de la Méditerranée. Pourtant, un rapport de l’Onu avertissait encore fin 2018 des « horreurs inimaginables » auxquelles sont confrontés les personnes migrantes en Libye. En novembre 2017, un documentaire de CNN montrait comment des migrants y étaient vendus comme esclaves.

      La politique italienne et européenne semble avoir pour priorité d’empêcher les personnes d’arriver sur le sol européen, quel qu’en soit le prix en termes de violation des droits humains, de conséquences humanitaires, et de morts. En 2018, plus de 2200 personnes ont péri en tentant la traversée entre la Libye et l’Italie, mais aussi entre le Maroc et l’Espagne. Au moins 350 sont morts depuis janvier (selon les chiffre du Haut commissariat aux réfugiés de l’Onu, ici). Fin mars, l’Union européenne a décidé de retirer ses bateaux de l’opération Sophia des eaux méditerranéennes (des navires militaires français, italiens, allemands, espagnols ou belges placés sous commandement franco-italien). Même si ce n’était pas leur mission principale – qui était de lutter contre les passeurs –, ces navires avaient secouru environ 45 000 personnes depuis 2015. Sur la seule période allant de 2015 à avril 2017, les différentes ONG de sauvetage en Méditerranée ont de leur côté sauvé plus de 80 000 personnes (voir notre article et ce rapport d’Amnesty de juillet 2017).
      « Nous n’avons plus de bateaux en mer pour le moment »

      « Nous n’avons plus de bateau en mer pour le moment », signale l’activiste de Sea Watch. SOS Méditerranée, qui est à la recherche d’un nouveau navire, non plus. Le Lifeline est toujours bloqué à Malte, le navire de Jugend Rettet en Italie, et celui d’Open Arms en Espagne. Le Mare Jonio opère toujours. Et le navire Alan Kurdi de Sea Eye, une autre organisation allemande, a secouru le 4 avril 64 personnes au large de la Libye. Le gouvernement italien a déclaré qu’il ne le laisserait pas accoster. Il a fallu dix jours, et deux évacuations pour urgences médicales, pour que Malte laisse enfin le Alan Kurdi accoster. La France et l’Allemagne se sont engagés à accueillir une partie des 64 réfugiés.

      Toute l’Italie n’est pas sur la ligne de Salvini. Des maires de gauche s’opposent publiquement à cette politique de fermeture des ports et au décret adopté en novembre qui ampute les droits des exilés. En mars, une manifestation antiraciste a réuni 200 000 personnes dans les rues de Milan. La justice italienne a même ouvert une enquête contre Salvini pour séquestration, pour les 46 réfugiés du Sea Watch à qui il avait refusé le droit de débarquer fin janvier. C’est la deuxième enquête de ce type lancée contre le ministre. La première avait été bloquée par le Sénat italien. En Allemagne, des dizaines de villes se sont déclarées « ports sûrs » ces derniers mois à l’appel de l’association Seebrücke. Ces communes se sont engagées à accueillir des personnes secourues en Méditerranée ou à soutenir les ONG de sauvetage.

      https://www.bastamag.net/Pourquoi-l-extreme-droite-europeenne-a-quasiment-reussi-a-faire-interdire-

    • Migranti sono in pericolo di vita, ma soccorritori italiani e libici non si capiscono: le intercettazioni

      Alle 13.25 del 17 marzo scorso arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve «girare» ai colleghi libici l’sos del gommone in avaria con a bordo 48 migranti in imminente pericolo di vita. Per la legge, al centralino di Tripoli dovrebbe rispondere 24 ore al giorno un ufficiale della guardia costiera locale in grado di parlare l’inglese. Gli italiani impiegheranno quasi due minuti a trovare l’ufficiale e quasi un quarto d’ora a comunicare – chiamando poi un interprete arabo - le coordinate del gommone.

      https://video.repubblica.it/dossier/migranti-2019/migranti-sono-in-pericolo-di-vita-ma-soccorritori-italiani-e-libici-non-si-capiscono-le-intercettazioni/332460/333055
      #gardes-côtes_libyens #vidéo

    • « Salvini répète que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’à #Lampedusa, les migrants arrivent toujours ? »

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont rarissimes mais la route traditionnelle entre la Tunisie et l’île italienne s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal »

      Les deux navires orange et blancs de la « guardia di finanza » n’ont pas bougé de la nuit. Immobiles, ils mouillent toujours à l’entrée du petit port de Lampedusa, qui s’éveille mollement en ce premier jour du mois de mai.

      La lumière printanière est déjà là, mais les cohortes de touristes apportées par les compagnies charter ne sont pas encore arrivées. Bientôt les hôtels seront pleins, et cette île microscopique perdue au milieu de la Méditerranée, à moins de 150 km à l’est des côtes tunisiennes, sera complètement congestionnée. Mais pour quelques jours, les 5 000 habitants sont encore entre eux.

      Il a plu une bonne partie de la nuit, si bien que peu de bateaux sont partis en mer. Du coup, l’activité dans l’anse est particulièrement réduite. A quai, les pêcheurs s’affairent en silence. A vrai dire, rien ne laisserait paraître qu’il s’est passé quelque chose de particulier dans la nuit. Et pourtant…

      A quelques centaines de mètres de là, au pied de la mairie – un bloc de béton sans charme particulier, qui fait figure de centre du bourg –, une petite centaine d’habitants préparent les cérémonies de la fête des travailleurs, tandis qu’une mauvaise sono crache en boucle, à plein volume, des standards de la pop italienne des années 1970-1980. Air un peu fermé, teint buriné et écharpe au vent, le maire de l’île, Salvatore (dit « Toto ») Martello, passe d’un petit groupe à l’autre, discutant avec chacun à voix basse.

      Il s’arrête près de nous et nous confie, comme s’il reprenait une conversation interrompue cinq minutes plus tôt : « On les cherchait partout et ils sont arrivés dans le port hier soir, un peu avant 23 heures, sous la pluie. Vingt personnes à bord, quinze hommes et cinq femmes. On les a immédiatement conduits au centre d’accueil, pour enregistrement ». « Ils », ce sont les migrants partis de Tunisie sur une barque de bois que, durant toute la journée précédente, les maigres moyens de secours subsistant dans la zone avaient recherché avec inquiétude.
      Une situation inconfortable

      On avait suivi leur équipée heure par heure, et, dans l’après-midi, on avait craint le pire pour les occupants de ce gros canot qui semblaient avoir été avalés par la mer. Les avions de reconnaissance avaient multiplié les manœuvres infructueuses, alors que le ciel menaçant compliquait de plus en plus les recherches. Et soudain, au milieu de la nuit, le canot est arrivé à bon port tout seul. Comme par miracle.

      « Vous avez l’air surpris, mais ce genre d’arrivée est très fréquent, assure le maire. Les côtes africaines sont juste à côté, le trajet depuis la Tunisie n’est pas si difficile et les Tunisiens connaissent bien la mer. Seulement, pour l’instant, le gouvernement fait tout pour qu’on n’en parle pas. Vu que [le ministre de l’intérieur] Matteo Salvini répète partout que les ports sont fermés, comment pourrait-il admettre qu’ici, les migrants arrivent toujours ? »

      Natif de l’île et figure historique de la gauche locale, Toto Martello a été réélu à la mairie de Lampedusa – il avait déjà occupé le poste de 1993 à 2002 –, à l’été 2017, après la défaite retentissante de la sortante, Giusi Nicolini, dont l’aura de pasionaria des droits des migrants avait fini par irriter une partie de la population de l’île. Moins militant que ne l’était sa devancière, il reste partisan de l’ouverture des ports, et de l’assistance aux personnes perdues en mer – comment pourrait-il en être autrement quand on est fils de pêcheurs ?

      Aussi l’arrivée au ministère de l’intérieur du dirigeant de la Ligue, Matteo Salvini, en juin 2018 a-t-il placé l’île tout entière dans une situation inconfortable.

      « Mes rapports avec la région Sicile, à laquelle Lampedusa est rattachée, sont très bons. Quand je suis allé à Bruxelles, il y a quelques mois, j’ai été reçu par le président du Parlement Antonio Tajani, le commissaire européen aux migrations Dimitris Avramopoulos et aussi des membres du staff de Federica Mogherini [à la tête de la diplomatie européenne],énumère Toto Martello. Mais quand j’écris au ministère de l’intérieur, il ne répond pas, il n’accuse même pas réception. Comme Salvini ne peut pas changer la situation à Lampedusa, il cherche à nous faire disparaître. Il veut qu’on nous oublie. »
      « Bateaux mères »

      Certes, en comparaison des années précédentes, la pression migratoire à Lampedusa a considérablement décru.

      « Quand je suis arrivé sur l’île, en 2015, il y avait eu 23 000 arrivées enregistrées. En 2016 on était passé à 13 000, puis 9 500 et 2017 et finalement 3 500 en 2018. Le début de l’année a été marqué par une mer très difficile, si bien que le chiffre des arrivées doit être très bas, mais il n’est pas vraiment significatif », explique Alberto Mallardo, représentant de l’ONG Mediterranean Hope, émanation des églises protestantes italiennes, très active sur l’île.
      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR

      « La porte de Lampedusa - porte de l’Europe » est une sculpture de Mimmo Paladino. Réalisée en 2008, elle rend hommage aux milliers de migrants arrivés sur l’île ces dernières années. | GIOVANNI CIPRIANO POUR "LE MONDE"

      Le « hotspot » de Lampedusa, où les migrants doivent être enregistrés avant de partir dans d’autres centres d’accueil, en Sicile ou sur le continent, était naguère plein à craquer. Il tourne désormais au ralenti, et on ne croise plus, comme c’était encore le cas en 2017, de groupes de demandeurs d’asile africains dans les environs de l’église.

      Depuis l’été 2017, les arrivées depuis les côtes libyennes sont devenues rarissimes, et c’est plutôt la route traditionnelle entre les côtes tunisiennes et Lampedusa qui s’est rouverte, sur un mode plus « artisanal ». Mais l’équilibre de cette situation est très fragile, et pourrait être remis en cause en cas d’effondrement de l’actuel gouvernement de Tripoli.

      Par ailleurs, les derniers mois ont vu un certain changement du mode d’arrivée des demandeurs d’asile. Après les grands bateaux contenant plusieurs centaines de migrants, qui ont cessé de venir après 2014, il y avait eu les canots gonflables, qui n’avaient plus pour objectif d’atteindre Lampedusa mais plutôt d’arriver dans les eaux internationales où ils étaient secourus par les navires de l’opération Sophia ou ceux des ONG.

      Ce type de départs s’est tari depuis la mi-2017 et les accords avec la Libye.« Ce qui se développe actuellement, c’est un système dans lequel les migrants sont convoyés par des sortes de “bateaux mères”, détaille Alberto Mallardo. Ces embarcations sont assez importantes, elles peuvent faire le voyage jusqu’à Lampedusa ou la Sicile. Et une fois arrivés à proximité des côtes italiennes, elles débarquent discrètement leurs passagers dans de plus petites embarcations, de dix à douze personnes ». Puis les passeurs s’éloignent.
      « Efficacité de la propagande mise en place par Salvini »

      Observateur des incessantes mutations des routes migratoires, le journaliste Mauro Seminara, qui vit sur l’île depuis le milieu des années 2000, relativise l’importance des changements des derniers mois.

      « Tout cela est très fragile, et peu évoluer à tout moment assure-t-il. Ce qui me frappe, en revanche, c’est l’efficacité de la machine de propagande mise en place par Matteo Salvini. Le 11 avril , un bateau avec 70 migrants est arrivé ici depuis la Tunisie. Le ministère de l’intérieur a affirmé qu’après 24 heures ils avaient tous été renvoyés chez eux, et ici, sur l’île, beaucoup l’ont cru. Alors même qu’on sait bien qu’une moitié est partie assez vite en Sicile, à Porto Empedocle, et que l’autre moitié est restée un temps à Lampedusa… »

      Au-delà de cela, les observateurs de l’activité migratoire en mer savent bien que les « navires fantôme » qui arrivent à Lampedusa ne sont que la partie émergée de l’iceberg.

      En effet, un navire qui arrive à Lampedusa, si petit soit-il, ne pourra pas passer inaperçu. En revanche, si le même débarque sur les côtes siciliennes, il est autrement plus facile de se fondre dans la nature. « Pour un navire qui arrive ici, assure Mauro Seminara, il y en a au moins trois ou quatre qui débarquent quelque part dans la région d’Agrigente, au sud de la Sicile, et dont on ne saura jamais rien. »


      https://www.lemonde.fr/international/article/2019/05/07/a-lampedusa-en-depit-de-ce-que-dit-salvini-les-migrants-arrivent-toujours_54

  • AFM rescues 87 migrants as another group leaves Malta for France

    An AFM patrol boat rescued 87 migrants off Lampedusa overnight and brought them to Malta on Wednesday morning.

    The Armed Forces of Malta said it was informed by Rome rescue centre on Monday evening about the presence of the wooden boat with 87 migrants on board. The boat was located some 30NM south of Lampedusa.

    An Italian naval asset operating under Frontex, the EU border control agency, was dispatched to assist. However the vessel was unable to provide any assistance due to technical faults.

    Times Talk: ’They say we help smugglers... but they’re the ones financing them’

    An AFM patrol craft rescued the migrants last night.

    This was the first major rescue of migrants by the AFM since 180 were picked up at the end of December and 69 more were rescued a few days previously. Most were later transferred to other EU countries along with other migrants rescued by NGO rescue ships.

    Prime Minister Joseph Muscat announced on Wednesday morning that another group of migrants brought to Malta a few weeks ago had left for France.

    No further details were immediately available.


    https://www.timesofmalta.com/articles/view/20190306/local/afm-rescues-87-migrants-bringing-them-to-malta.703733
    #Malte #France #sauvetage #naufrage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés
    Dans le cadre des #relocalisations ?
    On ne sait d’ailleurs pas combien ont été transféré à Malte parmi les 87 migrants sauvés.

    signalé par @isskein

  • Argentine : une césarienne sur une enfant de 11 ans relance le débat sur l’avortement
    https://www.lemonde.fr/international/article/2019/02/27/argentine-une-cesarienne-sur-une-enfant-de-11-ans-relance-le-debat-sur-l-avo

    La césarienne pratiquée sur une fillette de 11 ans violée par le compagnon de sa grand-mère a relancé le débat sur l’avortement en Argentine, où l’accès à l’interruption volontaire de grossesse (IVG) reste très limité. « Je veux que vous m’enleviez ce que le vieux m’a mis dans le ventre », avait réclamé la fillette dans sa plainte auprès de la justice de la province de Tucuman (nord). La fillette et sa mère avaient formulé une demande d’avortement alors que la grossesse datait de 19 semaines.

    Mais la procédure a tardé près de sept semaines de plus, des médecins invoquant l’objection de conscience et le Service provincial de santé (Siprosa) demandant à l’hôpital de tenter de « sauver les deux vies », un slogan des militants #antichoix. Il est fréquent en #Argentine que les autorités fassent traîner les dossiers jusqu’à ce que l’avancement dans la grossesse soit tel qu’il rende impossible un avortement. A 23 semaines de #grossesse, les médecins ont jugé que la fillette était en danger et qu’il fallait pratiquer non pas un #avortement, mais une césarienne, alors que les #IVG tardives sont possibles.

    #viol #pédocriminalité #maltraitance_féminine

  • Que reste-t-il du #droit_d’asile ?

    Fouilles corporelles systématiques, privation d’argent de poche ou encore interdiction de sortie… En ce début d’année, le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) est sommé par le Tribunal administratif fédéral (TAF) de s’expliquer sur les sanctions et pratiques appliquées dans un centre d’hébergement de demandeurs d’asile.

    Mardi, nous découvrions avec horreur le renvoi forcé vers l’Allemagne d’un homme, suivi par le CHUV, souffrant d’un cancer de la lymphe, deux jours avant sa chimiothérapie. Et ceci alors qu’il avait signé un accord de départ volontaire agendé au 9 mai.

    Jeudi, la Cour administrative fédérale reconnaissait qu’une femme, assurant avoir été victime de traite d’êtres humains, n’aurait pas dû être renvoyée vers l’Italie tant que sa procédure pénale n’avait pas été tranchée.

    Ces cas, en l’espace de quelques jours, démontrent l’ampleur et la #brutalité aveugle et arbitraire de la politique d’asile suisse. Une vision basée sur la #maltraitance, érigée comme solution à un phénomène qui perdurera aussi longtemps que les conflits et les inégalités existeront. Un choix inefficace, que la Suisse a plébiscité dans les urnes à mesure que ses peurs irrationnelles validaient les durcissements successifs.

    Dans quinze jours, une #restructuration de l’asile entrera en vigueur. L’occasion de s’interroger sur ce qui reste, en Suisse, de ce devoir impératif. La nouvelle procédure accordera encore moins de #droits aux réfugiés que la situation actuelle : demandeurs d’asile astreints à un régime quasi carcéral, délais de recours divisés par quatre, dossiers traités au pas de charge et une #protection_juridique qui donne des signes d’affaiblissement.

    Pire, le Conseil fédéral, par la voix de la socialiste Simonetta Sommaruga, promettait en septembre que 90% des demandes d’asile déboucheraient sur des décisions négatives et des procédures de renvoi. Pour les migrants, un destin joué d’avance.

    Alors que la politique fédérale se fixe des objectifs chiffrés, qu’on scrute les statistiques, des drames se jouent. Et nous retirent, à chaque fois, un peu de notre humanité.

    https://lecourrier.ch/2019/02/14/que-reste-t-il-du-droit-dasile
    #Suisse #asile #migrations #réfugiés

  • Des patients et des soignants « furieux » de la couverture médiatique de leur journée d’action
    https://www.bastamag.net/Des-patients-et-des-soignants-furieux-de-la-couverture-mediatique-de-leur

    Le 22 janvier, des centaines de soignants de la psychiatrie et des membres d’associations de patients manifestaient à Paris pour demander des moyens et du personnel pour le soin psychiatrique. Cela fait des mois qu’un mouvement social d’ampleur secoue le secteur. Les initiateurs de ce mouvement se disent « furieux du traitement médiatique qui a été réservé à la manifestation nationale » du 22 janvier. Ils regrettent la mise en avant dans les médias de psychiatres partisans d’une psychiatrie centrée sur (...)

    #Débattre

    / #Luttes_sociales, Santé , #Services_publics

    #Santé_

  • Is the #malta #ico #regulation crypto-friendly?
    https://hackernoon.com/is-the-malta-ico-regulation-crypto-friendly-69c2bbb0a552?source=rss----3

    Malta-based ICO regulationIn November, Malta passed a 63-page regulation detailing the requirements for issuing virtual financial assets, better known as cryptocurrencies, cryptoassets or tokens. While many in the crypto community welcome this change as the beginning of the end of the “Wild West” stage, it has both benefits and downsides to issuers of new tokens. When it comes to ICO whitepaper writing, it’s new territory.Is the Malta regulation crypto-friendly?As one of the first jurisdictions to pass clear and detailed requirements around ICOs, including details on ICO whitepapers, Malta has attracted a tremendous amount of attention as a crypto-friendly jurisdiction. On the one hand, clarity in regulation provides a level of protection and assurance for founders and investors. Just (...)

    #token-sale #blockchain

  • CE FIL DE DISCUSSION COMPLÈTE CELUI COMMENCÉ ICI :
    https://seenthis.net/messages/724156

    v. aussi la métaliste sur les ONG et les sauvetages en Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/706177

    –-----------

    Un bateau de pêche espagnol « coincé » en mer Méditerranée après avoir secouru 12 migrants

    Un navire de pêche espagnol est « coincé » en mer Méditerranée depuis plusieurs jours avec 12 migrants à son bord. Aucun pays n’a en effet accepté de les accueillir depuis leur sauvetage la semaine dernière, a indiqué mardi 27 novembre le capitaine du bateau.

    « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré à l’AFP Pascual Durá, capitaine du « #Nuestra_Madre_Loreto ». Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du navire cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte. Ils ont été secourus après le naufrage de leur bateau pneumatique en provenance de Libye.

    « Renvoyés vers l’endroit qu’ils fuient »

    L’Italie et Malte leur ont refusé l’entrée dans leurs ports. Quant aux services espagnols de sauvetage maritime, avec lesquels les marins sont en contact, ils ont seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye. ""Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie", a indiqué le capitaine, précisant que « dès qu’ils entendent le mot ’Libye’, ils deviennent très nerveux et hystériques, il est difficile de les rassurer »."

    « Nous ne voulons pas renvoyer ces pauvres gens en Libye. Après ce qu’ils ont accompli pour venir jusqu’ici, nous ne voulons pas les renvoyer vers l’endroit qu’ils fuient », a-t-il ajouté. Le capitaine du navire assure qu’il ne dispose plus que de six ou sept jours de provisions et qu’une tempête approche.

    Depuis le début de l’année, plus de 106.000 migrants sont arrivés en Europe par la mer, selon l’Organisation internationale pour les migrations, qui a enregistré 2.119 décès pendant cette période.

    https://www.nouvelobs.com/monde/migrants/20181128.OBS6155/un-bateau-de-peche-espagnol-coince-en-mer-mediterranee-apres-avoir-secour
    #asile #migrations #réfugiés #sauvetage #Méditerranée #frontières

    • #Nuestra_Madre_de_Loreto”: appello urgente dei parlamentari europei per l’apertura di porti sicuri.

      “NUESTRA MADRE DE LORETO”. APPELLO URGENTE DEI PARLAMENTARI EUROPEI PER L’APERTURA DI PORTI SICURI.

      RICHIESTA URGENTE ALL´UE ED AI GOVERNI EUROPEI PER CONSENTIRE AL PESCHERECCIO “NUESTRA MADRE LORETO” DI SBARCARE IN UN PORTO SICURO.

      Stiamo rischiando di essere testimoni di un’altra tragedia nel Mar Mediterraneo. Un peschereccio spagnolo, “Nuestra Madre de Loreto”, è bloccato da giorni in mare dopo aver salvato 12 persone che tentavano di raggiungere la costa Europea dalla Libia a bordo di un gommone.

      Nessun Paese Europeo ha consentito all’imbarcazione spagnola di attraccare e probabilmente sono in corso negoziati per riportare questi migranti, che potrebbero avere diritto di protezione internazionale, in Libia.

      Secondo l’UNHCR e la Commissione Europea la Libia non è un Paese sicuro. Per cui non può essere considerato un porto sicuro per lo sbarco. Non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mentre media e organizzazioni internazionali riportano violazioni sistematiche dei diritti umani nei centri di detenzione per migranti.

      Mentre si attende l’autorizzazione allo sbarco, le condizioni metereologiche stanno peggiorando e l’imbarcazione scarseggia beni essenziali, cibo e carburante. Si sta esaurendo il tempo a disposizione: abbiamo urgentemente bisogno di una soluzione sensata, nel pieno rispetto delle leggi internazionali ed Europee, inclusa la Convenzione SAR. I governi Europei non possono chiedere all’imbarcazione spagnola di violare il principio di “non-respingimento”.

      Chiediamo ai governi Europei di rispettare pienamente la legge internazionale e la Convenzione SAR e di offrire un porto sicuro alla “Nuestra Madre de Loreto”, evitando così un’altra tragedia nel Mediterraneo. Chiediamo alla Commissione Europea di prendere una posizione chiara e di facilitare una soluzione rapida.

      Questo è un appello aperto, chiediamo a ciascuno di condividerlo e di chiedere ai nostri governi di rispettare i diritti umani e di dimostrare solidarietà alle persone in pericolo in mare.

      Marina Albiol, Sergio Cofferati, Eleonora Forenza, Ska Keller, Elly Schlein, Miguel Urban Crespo, Ernest Urtasun, Gabriele Zimmer (Parlamentari Europei)

      https://mediterranearescue.org/news/nuestra-madre-de-loreto-appello-urgente-dei-parlamentari-europei

    • Faute de port d’accueil, un bateau espagnol erre toujours en Méditerranée avec 12 migrants à bord

      Le Nuestra Madre Loreto, un navire espagnol, erre depuis une semaine en Méditerranée avec 12 migrants à son bord. Les rescapés refusent d’être renvoyés en Libye. Le navire demande à l’Europe l’autorisation de débarquer dans l’un de ses ports.

      Le gouvernement espagnol a indiqué mercredi 28 novembre être en contact avec l’Italie et Malte en vue de trouver un port d’accueil pour un bateau de pêche espagnol errant en mer Méditerranée avec 12 migrants à bord.

      Depuis jeudi dernier, les 13 membres de l’équipage du « Nuestra Madre Loreto » cohabitent avec 12 migrants originaires du Niger, de Somalie, du Soudan, du Sénégal et d’Egypte rescapés d’un bateau pneumatique en provenance de Libye.

      « Nous sommes coincés en mer, nous ne pouvons aller nulle part », a déclaré Pascual Durá, le capitaine du bateau.

      Le gouvernement espagnol a dans un premier temps demandé à la Libye de prendre les réfugiés en charge, comme le prévoit le droit international. Les embarcations de migrants secourues dans la SAR zone (zone de détresse en Méditerranée où ont lieu les opérations de recherche et de sauvetage) relèvent en effet de l’autorité de Tripoli depuis le mois de juin 2018.

      Les migrants refusent d’être ramenés en Libye. Face à leur refus, le navire espagnol « fait des démarches auprès des gouvernements de l’Italie et de Malte, dont les côtes sont proches du lieu où se trouve le bateau, dans le but de favoriser une solution alternative, rapide et satisfaisante » pour les accueillir, a indiqué la vice-présidente de l’exécutif Carmen Calvo dans un communiqué.

      « En aucune circonstance, [les migrants] ne devraient être renvoyées en Libye, où elles risquent d’être victimes de détention arbitraire, de torture et d’autres violences. Toute instruction donnée au capitaine du Nuestra Madre de Loreto de transférer les survivants en Libye serait contraire au droit international », s’est alarmé de son côté Matteo de Bellis, chercheur sur l’asile et les migrations à Amnesty International.

      « Si nous allons en Libye, nous risquons une mutinerie »

      Face à l’aggravation des conditions météorologiques, le bateau a pris mardi la direction de l’île italienne de Lampedusa, selon le gouvernement espagnol.

      Le capitaine du « Nuestra Madre Loreto », avait indiqué de son côté mardi que l’Italie, dont le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini (Ligue, extrême droite) s’oppose à l’arrivée de nouveaux migrants dans son pays, et Malte lui avaient refusé l’entrée dans leurs ports.

      Il avait également souligné que les services espagnols de sauvetage maritime lui avaient seulement offert la possibilité de les renvoyer en Libye.

      Selon le capitaine, les migrants à bord de son bateau « deviennent très nerveux et hystériques dès qu’ils entendent le mot ‘Libye’ ». « Si nous allons vers la Libye, nous risquons une mutinerie », avait-il averti.

      Depuis l’arrivée du socialiste Pedro Sanchez au pouvoir, l’Espagne a accueilli un navire humanitaire, l’Aquarius, refusé par l’Italie et Malte et à trois reprises un bateau de l’ONG Open Arms. Mais elle a refusé un retour de l’Aquarius, préférant négocier avec d’autres États européens la répartition des migrants qu’il avait à bord.


      http://www.infomigrants.net/fr/post/13639/faute-de-port-d-accueil-un-bateau-espagnol-erre-toujours-en-mediterran

    • #Sophia mission will cease unless rules changed - Salvini

      The EU’s anti-human trafficking Sophia naval mission in the Mediterranean will stop when its current mandate expires at the end of the year unless the rules of the operation are changed, Deputy Premier and Interior Minister Matteo Salvini said on Wednesday. The government says the operation currently puts too much of the burden of rescued migrants on Italy.

      “We are staying firm in our unwillingness to accept landing procedures that involve dockings only in Italian ports,” Salvini told a Schengen committee hearing.

      “Unless there is convergence on our positions, we do not consider it opportune to continue the mission”.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2018/12/05/sophia-mission-will-cease-unless-rules-changed-salvini_05836d11-3f8c-474c-
      #Opération_Sophia #EUNAVFOR_MED

      #Salvini (encore lui)

    • MSF et SOS Méditerranée mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius »

      Déplorant les « attaques » répétées, les ONG étudient des options pour un nouveau navire et un futur pavillon. Depuis février 2016, le bateau a secouru 30 000 personnes.

      L’Aquarius est devenu le symbole de la crise politique autour de l’accueil des migrants. Il ne sera bientôt plus. Médecins sans frontières (MSF) et SOS Méditerranée ont annoncé, jeudi 6 décembre, devoir « mettre un terme » aux opérations de sauvetage de leur navire humanitaire, privé de pavillon depuis deux mois.

      « Renoncer à l’Aquarius a été une décision extrêmement difficile à prendre », a déclaré dans un communiqué Frédéric Penard, directeur des opérations de SOS Méditerranée, en déplorant « les attaques incessantes dont le navire et ses équipes ont fait l’objet ». Mais l’ONG basée à Marseille « explore déjà activement les options pour un nouveau navire et un nouveau pavillon », et « étudie sérieusement toutes les propositions d’armateurs qui lui permettraient de poursuivre sa mission de sauvetage ». « Nous refusons de rester les bras croisés sur le rivage alors que des gens continuent de mourir en mer », a assuré M. Penard.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2018/12/07/msf-et-sos-mediterranee-mettent-un-terme-aux-operations-de-sauvetage-de-l-aq

    • MSF forced to terminate search and rescue operations as Europe condemns people to drown

      As men, women and children continue to die in the Mediterranean Sea, international medical humanitarian organisation Médecins Sans Frontières/Doctors Without Borders (MSF) and its partner SOS Méditerranée have been forced to terminate the lifesaving operations of their search and rescue vessel, Aquarius.

      Over the last two months as people have continued to flee by sea on the world’s deadliest migration route, the Aquarius has remained in port, unable to carry out its vital humanitarian work.

      This is due to a sustained smear campaign, spearheaded by the Italian government and backed by other European countries to delegitimise, slander and obstruct aid organisations trying to save the lives of vulnerable people in the Mediterranean.

      Coupled with ill-conceived policies aimed at trapping people outside Europe’s borders, this campaign has undermined international law and humanitarian principles.

      With no immediate solution to these attacks, MSF and SOS Méditerranée have no option but to end the operations of the Aquarius.

      https://www.msf.org.uk/article/msf-forced-terminate-search-and-rescue-operations-europe-condemns-people-dro

    • « Aquarius » : « La #non-assistance_à_personnes_en_danger est revenue en force en Méditerranée »

      Mego Terzian, président de MSF-France et Michaël Neuman, directeur d’études à MSF expliquent dans une tribune au « Monde » pourquoi leur ONG et SOS Méditerranée, l’Association européenne de sauvetage en mer, mettent un terme aux opérations de sauvetage de l’« Aquarius ».

      « Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’“Aquarius”, déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée. » usage worldwide/DPA / Photononstop

      Tribune. Dont acte, la politique de harcèlement judiciaire, administratif, politique aura eu raison de l’« Aquarius », déployé entre 2015 et le milieu de l’année 2018 en mer Méditerranée.
      En 2014, l’opération « Mare Nostrum », mise en place par les autorités italiennes inaugurait pourtant une séquence pendant laquelle le sauvetage d’embarcations de migrants en détresse fut pourtant considéré comme légitime.

      Ce qui est d’abord, rappelons-le, une obligation légale était alors politiquement et publiquement acceptable. En 2018, les Italiens furent de nouveau à la manœuvre, signifiant cette fois-ci qu’ils ne sauraient accepter davantage que se poursuivent ces interventions : dès le début de l’été, Matteo Salvini, tout récent ministre de l’intérieur, œuvra pour fermer ses ports aux bateaux de secours, accélérant une politique de dissuasion largement entamée par Marco Minniti, son prédécesseur, qui aboutit, in fine, à la liquidation des moyens destinés à secourir les personnes fuyant la Libye.

      Bien sûr, des organisations de la société civile tentent vaille que vaille et, avec une
      remarquable ténacité, de maintenir leurs activités de secours en mer : Sea Watch, Mare Jonio, Proactiva Open Arms sont de celles-là. Les pilotes volontaires du Moonbird et du Colibri poursuivent leurs survols, tentant de déceler entre les vagues des embarcations à la dérive et d’éviter ainsi que la longue liste des décès – plus de 17 000 depuis 2014 – ne s’allonge davantage.

      Pressions italiennes

      Mais toutes le font avec d’extrêmes difficultés : ennuis administratifs récurrents, obstacles posés aux escales techniques, interdiction d’accoster en Europe, et poursuites judiciaires, comme c’est le cas de l’« Aquarius », navire de secours affrété en partenariat avec SOS Méditerranée. Celui-ci, déjà privé de pavillon sous pressions italiennes, est maintenant menacé d’une mise sous séquestre à la suite des accusations grotesques de crime organisé, de nouveau, en Italie.

      Une partie de l’équipage et des membres des équipes de MSF sont mis en cause : leur activité de secours est criminalisée. Force est de constater que ce dispositif de secours en mer, auquel nous avons participé depuis 2015 avec cinq navires différents, quelquefois en partenariat avec d’autres organisations, est mis hors-la-loi.

      Les victimes de ce combat à armes inégales sont évidemment ces personnes migrantes, demandeuses d’asiles ou réfugiées, dont plus grand monde ne semble désormais se soucier. D’ailleurs combien sont-elles, ces victimes ? Aujourd’hui, sans témoin en mer, personne ne le sait, tandis que le piège libyen se referme, un piège dont la maintenance est assurément l’œuvre d’autorités libyennes disparates mais dont la mécanique est bien due à l’ingéniosité européenne.

      Des milliers de personnes sont condamnées à tenter de survivre dans l’entrelacs de centres de détention dits « officiels » et de prisons clandestines en Libye. On ne saurait suffisamment conseiller à nos décideurs d’aller visiter ces geôles pour se faire une idée de l’avenir qu’ils promettent à leurs frères humains. Beaucoup d’autres personnes, enfin, prises dans les mailles serrées d’un dispositif militaro-technique de pointe, meurent plus en amont sur les routes dans la vaste région sahélienne.

      Absence de l’Europe

      S’il est beaucoup question d’Italie, il ne faudrait pas négliger l’unanimisme européen dans lequel cette dynamique mortifère s’est mise en place : ni la France, ni l’Espagne, ni aucun Etat ou institution européenne ne s’est réellement opposé à la mise en coupe réglée de la politique européenne de gestion des frontières par des dirigeants aux pratiques racistes et violentes. Rien de surprenant puisque la manœuvre était en cours depuis quelque temps déjà.

      Ainsi, on ne trouva personne ou presque, pour se résoudre à accueillir quelques centaines de personnes qui, par une chance inouïe, bénéficiaient ça et là du programme de relocalisation du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR). Depuis longtemps, le refoulement des indésirables aux frontières, notamment franco-italienne, était acté, tout comme l’abandon de 15 000 personnes sur les îles grecques dans des conditions épouvantables, laissés-pour-compte d’une mise en scène sordide de la frontière.

      L’errance durant plus d’une semaine du Nuestra Madre de Loreto, en est le dernier avatar : ayant secouru douze personnes, ce chalutier espagnol s’est vu refuser l’autorisation de débarquer dans les ports européens, y compris de l’Espagne, jusque-là bonne élève dans l’accueil des rescapés de la mer mais qui là prôna leur retour dans l’univers carcéral libyen. Ce n’est qu’après la décision du capitaine de faire, malgré tout, route vers l’Espagne, que le navire obtint le transfert des rescapés vers Malte.

      Non-assistance généralisée

      Aujourd’hui s’ouvre une séquence bien plus lourde de menaces. Aux côtés de la délégation du secours en mer aux gardes-côtes libyens, la généralisation de la non-assistance à personnes en danger est revenue en force en Méditerranée. On se souvient, en effet, qu’en 2011, en pleine intervention militaire occidentale en Libye, des dizaines de migrants étaient morts noyés, au terme d’une dérive de plusieurs jours, malgré les survols et observations d’un nombre important d’avions et de bateaux de l’OTAN.

      Ces pratiques de non-assistance ressurgissent : par crainte de ne pas savoir où débarquer leurs rescapés, les navires commerciaux se détournent de leurs routes habituelles, ou s’écartent lorsqu’ils aperçoivent l’embarcation redoutée. Telle est, en tout cas, la teneur des témoignages que nos équipes travaillant en Libye ont recueillis auprès des rescapés du Nivin, un porte-véhicules dont l’histoire raconte l’ensemble des lâchetés des responsables politiques européens et des agences internationales.

      Tous ceux-là avaient, pourtant, affirmé, à un moment ou à un autre, que les migrants interceptés ne sauraient être ramenés en Libye contre leur gré. Ce fut pourtant exactement ce qu’il s’est passé avec le Nivin, duquel les quatre-vingt-quinze rescapés qu’il transportait refusèrent de débarquer au port de Misrata, à l’est de Tripoli. L’occupation du navire se poursuivit une dizaine jours pendant lesquels nos équipes apportèrent de l’aide médicale à bord et constatèrent qu’aucune solution alternative à la remise en détention ne fut sérieusement examinée.

      Elle prit fin lorsque les forces libyennes lancèrent un assaut, au cours duquel une dizaine de personnes furent blessées, dont certaines grièvement. Certains sont aujourd’hui poursuivis par la justice libyenne pour crimes de piraterie. Telle est donc l’alternative pour les migrants de Libye : la folie, la torture, ou la mort. Et pour les marins, fuir leurs obligations ou subir les persécutions européennes.

      Alors que, de part et d’autre de la Méditerranée, les Etats s’arrogent le droit de vie et de mort sur des gens n’ayant pour motivation que celle de rendre leur vie meilleure, nous ne renonçons pas pour autant à porter secours là où nous le pouvons encore, à soutenir les initiatives de secours en mer et participer à en renouveler le modèle. Spectateurs et acteurs lucides, nous ne renonçons pas à contester ces logiques de sacrifice.

      Mego Terzian (Médecin, président de Médecins sans frontières (MSF)) et Michaël Neuman(Directeur d’études à MSF)

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2018/12/07/aquarius-la-non-assistance-a-personnes-en-danger-est-revenue-en-force-en-med

    • Le accuse a Open Arms, ovvero il mondo capovolto.

      Proactiva Open Arms è compagna di viaggio di Mediterranea fin dall’inizio. Insieme noi e a Sea Watch è parte dell’alleanza United4Med: una piattaforma aperta per un’Europa solidale in mare e in terra.
      Ma le ipotesi di reato contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari depositate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa non ci lasciano sgomenti solo perché colpiscono ancora una volta delle persone di cui conosciamo direttamente l’integrità, e perché rilanciano la criminalizzazione del salvataggio della vita umana in mare e del rispetto della dignità delle persone salvate.

      L’accusa di violenza privata, unita a quella del favoreggiamento dell’immigrazione illegale, rappresenta un pericolosissimo uso del diritto che estende all’inverosimile il concetto di violenza, e, rispetto al soggetto offeso che in questo caso sarebbe il Ministero dell’Interno come Istituzione, rappresenta un precedente particolarmente inquietante che potrebbe estendersi praticamente ad ogni azione giuridicamente rilevante. Rimandando per i dettagli all’articolata e preziosa analisi elaborata in merito dal Giudice del Tribunale di Torino Andrea Natale, quello che emerge sempre più chiaramente è che davvero il mondo per come lo conoscevamo appare capovolto.
      Il comandante della nave Proactiva Open Arms, Marc Reig Creus, e la capo missione Ana Isabel Montes avrebbero esercitato violenza privata, disattendendo gli ordini dell’Italia e poi delle autorità libiche di non intervenire, per avere salvato centinaia di persone che stavano rischiando di annegare in mare. Successivamente, quando la cosiddetta guardia libica si è presentata sul posto, la violenza privata sarebbe consistita nel rifiuto di riconsegnare le persone salvate ai libici, ovvero nel fatto di non restituire 216 donne, bambini e giovani uomini alle sevizie e alle torture già subite nei campi della Libia.
      Anabel e Marc avrebbero poi esercitato violenza privata per non aver chiesto a Malta di fornire un porto sicuro, cosa che Malta negli anni precedenti aveva rifiutato sistematicamente di fare, ed essersi diretti verso l’Italia. Il culmine della violenza privata sarebbe stato quindi quello di avere obbligato l’Italia a fornire un porto sicuro di approdo, e quindi di avere costretto il nostro governo a non avere anche questi profughi sulla propria coscienza.
      Cosa ci sia di violento e di privato in tutti questi accadimenti, e come possa un Ministero dell’Interno in quanto Istituzione essere soggetto a violenza privata è qualcosa che davvero appare ad oggi circondata da un alone di mistero, a meno che non si guardi a queste accuse come a ipotesi di reato fortemente ideologiche e orientate da una precisa visione politica.
      Appare già distintamente, a prescindere da quello che accadrà in sede processuale, che il diritto rischia sempre di più di diventare uno strumento di potere che colpisce in maniera arbitraria, paradossalmente, il rispetto del diritto stesso, proprio mentre la violazione dei diritti diventa normale maniera di procedere dei decisori politici europei e italiani innanzitutto. E questa riflessione andrebbe estesa ad ogni ambito e non solo alle politiche migratorie che colpendo le persone rese più vulnerabili sono, come sempre, un campanello d’allarme che ci dice fino a che punto le garanzie di libertà e i diritti di ogni persona siano sempre più messi in discussione.
      Rispettare i diritti umani è un reato, violarli è un merito: c’è ancora qualcuno che crede che questo capovolgimento del mondo vada arrestato prima che travolga tutti? La storia di Mediterranea, la sua comunità di mare e quella sempre più grande di terra ci racconta di sì. E si stringe intorno a Open Arms, Marc e Anabel, ringraziandoli profondamente per ogni singola vita sottratta alla morte e portata in salvo, per tutto il coraggio, per avere difeso da anni la nostra possibilità di essere umani e di immaginare una società più giusta.

      https://mediterranearescue.org/news/accuse-open-arms

    • L’Italie ferme ses ports à un navire d’une ONG et 300 migrants à bord

      Les ports italiens seront fermés aux quelque 310 migrants sauvés en Méditerranée par l’ONG espagnole, Proactiva Open Arms, a déclaré samedi le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, après un premier refus des autorités de Malte.

      « Ma réponse est claire : les ports italiens sont fermés ! », a twitté le ministre d’extrême droite. « Pour les trafiquants d’êtres humains et pour ceux qui les aident, la fête est terminée ».

      M. Salvini a précisé que la demande de l’ONG de permettre l’accès au territoire italien des hommes, femmes, enfants et bébés sauvés vendredi, avait été déposée après une réponse négative de Malte.

      L’ONG a précisé que parmi les migrants, une femme et son bébé, né sur une plage libyenne, ont été emmenés à Malte par un hélicoptère des gardes-côtes.

      « Nous restons avec 311 personnes à bord, sans port où accoster, et avec des besoins », a twitté l’ONG de son côté.

      Proactiva Open Arms a annoncé vendredi avoir secouru près de 300 migrants au large de la Libye, dont des femmes enceintes, qui se trouvaient à bord de trois embarcations.

      L’ONG a posté en ligne une vidéo de certains des migrants secourus « d’une mort certaine en mer ». « Si vous pouviez aussi ressentir le froid, il serait plus facile de comprendre l’urgence. Aucun port pour débarquer, et refus de Malte de nous donner de la nourriture. Ceci n’est pas Noël ».

      Le navire avait repris fin novembre, avec deux autres bateaux d’ONG, ses missions de sauvetage en Méditerranée centrale, au large de la Libye.

      Cet itinéraire de l’immigration clandestine est le plus mortel, avec plus de 1.300 migrants morts en tentant de gagner l’Italie ou Malte depuis le début de l’année, selon l’Organisation internationale pour les Migrations (OIM).

      Les navires humanitaires opèrent dans cette zone malgré l’opposition farouche de M. Salvini, qui leur ferme les ports en les accusant de favoriser les affaires des passeurs, et les réticences de Malte.

      Une autre ONG, l’allemande Sea-Eye, a annoncé vendredi soir le départ, depuis Algésiras dans le sud de l’Espagne, d’un nouveau bateau vers le large des côtes libyennes, le « Professor Albrecht-Penck ».

      Une partie des 18 membres de son équipage sont d’anciens volontaires de l’Aquarius, ce bateau qui avait déclenché l’été dernier une crise diplomatique entre les États européens et mis définitivement à l’arrêt début décembre.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/litalie-ferme-ses-ports-un-navire-dune-ong-et-300-migrants-bo

    • Sea Watch 3 e Sea Eye: le due navi che nessuno vuole far attraccare

      Le navi delle due Ong vagano da giorni nel Mediterraneo con decine di migranti a bordo, senza un porto sicuro dove approdare e in condizioni sempre più complicate. I sogni delle persone salvate

      32 esseri umani, tra cui 3 minori non accompagnati, 2 bambini piccoli e un neonato, sono da 10 giorni in mare. Sono stati salvati dalla Ong tedesca Sea Watch. A questi si sono aggiunti altre 17 persone salvati da un’altra Ong tedesca, Sea Eye.
      Nessuno li vuole, nessun Paese europeo vuol farsi carico del destino di queste persone. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha chiesto agli Stati Ue di garantire lo sbarco delle due navi.

      «Non vogliamo che le persone che ci hanno salvato la vita, i nostri fratelli, passino dei guai per averci soccorso in mare», dice Youssef. «Siamo sfuggiti a torture e violenze. Quando abbiamo lasciato la nostra casa abbiamo perso i nostri affetti più cari, e proprio per questi motivi la nostra vita in futuro non potrà che essere migliore», aggiunge Lamin.

      Nonostante tutto, in queste parole c’è speranza. Se i loro nomi sono di fantasia, per proteggerne le identità, i loro sogni, ma anche le loro paure e le loro attese sono autentiche: così come lo sono le loro vite sottratte alla morte dal coraggio dei volontari della nave Sea Watch 3. Da dieci giorni è con queste 32 persone salvate dai marosi che l’equipaggio del comandante Anne Paul Lancet condivide umanità, cibo e riparo: «Durante la notte stiamo stretti sotto coperta, in questo modo tutti quanti possiamo stare all’asciutto ed evitare che qualcuno debba dormire sul ponte esposto alle intemperie», racconta Ayla, uno dei medici a bordo della nave della Ong tedesca.
      «Stamattina ho quasi pianto - aggiunge l’altro medico a bordo - perché tante persone mi pregavano solo di poter contattare le loro famiglie almeno per dire loro che erano al sicuro e stavano arrivando in Europa: volevano solo sentire le voci dei loro cari per qualche secondo. E noi non possiamo far nulla: e se io mi trovassi al loro posto, e se io avessi quegli stessi bisogni e desideri?», si chiede ancora il medico tedesco, guardando fuori l’orizzonte.
      L’inverno e il mare alto non perdonano, le temperature sono rigide e i rischi per l’incolumità delle 54 persone che si trovano sulla nave Sea Watch non dovrebbero venire sottovalutati. Al tavolo della politica europea, però, lontano dalle onde alte due metri, non si è ancora presa alcuna decisione sulla sicurezza di queste persone, tenute in “ostaggio” senza l’indicazione di un porto sicuro di approdo.
      Malta, Italia, Spagna, Germania e Olanda hanno rifiutato nei giorni scorsi di aiutarli e a bordo della Sea Watch 3 così come della Sea Eye si sta vivendo un’altra odissea umanitaria: molto simile nelle modalità alle crisi che avevano tenuto in scacco in estate le navi Aquarius, Open Arms e Lifeline delle ong internazionali, e i pescherecci Sarost5 e Nuestra Madre de Loreto che dovettero attendere giorni e giorni prima di potersi mettere al riparo in porto. E perfino della Diciotti, la nave della Guardia Costiera Italiana, costretta a navigare da Lampedusa a Catania e infine rimasta bloccata nel porto etneo in attesa che dal Viminale arrivasse l’ok allo sbarco dei migranti, in gran parte profughi di guerra dal Corno d’Africa.

      La situazione a bordo della Sea Watch inizia a farsi proibitiva, anche a causa del peggioramento delle condizioni meteo: «Non abbiamo problemi con il carburante - rassicura il capitano - ma lentamente stiamo esaurendo le provviste di cibo fresco e di sicuro nelle prossime settimane, pur cercando a bordo di sprecare meno acqua possibile, avremo problemi ad avere acqua a disposizione a causa del nostro sistema di filtraggio».
      «Ma perché non ci permettono di entrare in Europa?», chiede Amina che ha 31 anni e viene dal Sudan: lei è la portavoce dei sogni di tanti dei suoi compagni di sventura, ma riesce anche a dare voce all’interrogativo di tantissimi soccorritori che in mare hanno speso le loro vite per salvarne altre. «Oramai è diventato sempre più difficile spiegare alle persone che abbiamo tratto in salvo e con cui stiamo condividendo tantissime emozioni contrastanti e ore infinite di attesa, che dobbiamo restare in mare un giorno in più, perché dall’Europa non riceviamo indicazioni per un porto sicuro», spiega ancora Ayla, la dottoressa olandese, convinta che «i Paesi europei abbiano scelto finora di non assumersi la responsabilità delle vite delle persone in gioco sul confine mortale dell’Europa».
      Come abbiamo raccontato su Avvenire, Amina e le altre 31 persone sono state salvate dalla Sea Watch 3 lo scorso 22 dicembre grazie alla collaborazione con la ong Pilotes Volontaires che sorvola i cieli con l’obiettivo di avvistare gommoni e imbarcazioni in emergenza. Da allora e in attesa di ricevere indicazioni per approdare sulla terraferma l’equipaggio del capitano Lancet non si è arreso e - sostenuto anche dalle persone salvate «Sono qui per aiutare», ha detto subito Youssef mettendosi a disposizione del comandante - ha continuato a pattugliare la zona di search and rescue (Sar) libica, rispondendo alle chiamate di soccorso. Così era accaduto per le 75 persone che erano a bordo di un gommone pochi giorni fa, ma di cui non si sono più avuto notizie, probabilmente perché ingoiati dal mare o ripresi da una motovedetta libica che li ha riportati nei campi di detenzione.

      «Ho davvero paura di tornare in Libia, ho provato a scappare due volte senza riuscirci - ha raccontato ancora Amina lasciando uscire le parole con lentezza -. Quello che ho passato è stato terribile», così tanto da non riuscire quasi più a parlarne, come accade spesso con i traumi più violenti. «Avevamo molta paura quando eravamo sul gommone. Non abbiamo usato il telefono satellitare per il terrore di essere localizzati e ripresi dai libici - ha aggiunto Youssef -. Grazie a Dio siamo stati molto fortunati e i nostri fratelli ci hanno salvati. E ora possiamo prepararci a scoprire quello che sarà il nostro futuro in Europa».

      I bambini provano a raccontare i loro giorni più tristi e le paure attraverso i disegni. Uno di loro ha riportato su carta tre momenti: la vista del barcone su cui sarebbero saltati per lasciarsi alla spalle l’inferno libico, poi il gommone che si sgonfia, mentre i 32 temevano di perdere la vita, e infine la visione della Sea Watch 3, l’unico soggetto disegnato completamente a colori. Un passaggio, dal bianco e nero del gommone alla vivacità della nave di salvataggio, che da solo spiega i timori e le speranze di chi adesso, finalmente al sicuro, non si spiega il perché delle porte chiuse.
      Un sogno e un desiderio, quello dell’Europa, che emerge ancora dalle parole straziate dal dolore di Amina: «Noi donne dobbiamo essere forti – si lascia andare la donna, mentre i medici di bordo le prestano le cure –. Soprattutto possiamo essere libere in Europa. Lì possiamo vivere la nostra vita, ecco perché voglio raggiungerla». Quell’Europa che però sembra aver voltato loro le spalle.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-migranti-bloccati-in-mare

    • E LA NAVE VA… È piena di naufraghi nessun porto la vuole

      Da dieci giorni in mare decine di profughi e nessuno li vuole

      C’è un bambino appena nato che ha trascorso la notte di Capodanno in mezzo al mare. Al largo di Malta. Le autorità europee hanno deciso che è bene così. Che se l’è meritata. Insieme a quel bambino ci sono due ragazzini un po’ più grandi, tre quattr’anni, altri tre adolescenti senza genitori, e poi ancora 26 adulti, tutti africani, tutti in fuga dalla guerra, scappati dai campi di prigionia in Libia. Stavano su un gommone il 22 dicembre, volevano arrivare in Sicilia, ma il gommone ha iniziato a sgonfiarsi, le onde erano alte, il vento gelido, e loro pensavano di essere a pochi minuti dalla morte. Poi li ha avvistati un piccolo aereo da ricognizione di una Ong tedesca, Dio lo benedica, ed ha lanciato la esseoesse ad una imbarcazione sempre della stessa Ong tedesca, la Sea Watch. L’aereo ha fornito al comandante della Sea Watch le coordinate del gommone, e la Sea Watch ha raggiunto i naufraghi in tempo. Li hanno fatti salire a bordo, li hanno asciugati, riscaldati, hanno dato loro da mangiare. Il bimbo neonato ha smesso di piangere. I 31 naufraghi hanno ringraziato il personale tedesco e olandese a bordo, erano commossi, non si aspettavano più di poter sopravvivere.

      Hanno raccontato a Ilaria Solaini, che è una giornalista inviata dell’Avvenire, i loro sentimenti, il terrore di morire o di finire nel lager libici. Hanno detto che avrebbero voluto poter parlare un minuto solo, al telefono, con i loro cari lasciati a casa. Ma non hanno potuto. Hanno chiesto di poter sbarcare in un porto europeo. Malta, Spagna e poi Italia hanno risposto con un no secco. Hanno detto che loro devono difendere i confini. Anche Germania e Olanda – che non dispongono di porti ( né di confini) nel Mediterraneo – hanno detto di no. Le onde da qualche ora si sono fatte più alte. Il meteo dice che da stanotte si va sottozero. Di acqua non ce n’è tantissima. Di cibo poco. I medici a bordo della nave temono che possano apparire delle malattie. I marinai temono che il mare possa alzarsi molto. Gli ausiliari temono il freddo. Fin qui sono riusciti a far dormire tutti, di notte, sottocoperta. Anche sottocoperta però, se si va sottozero, diventa dura. Intanto un’altra imbarcazione di una Ong tedesca, la See Eye, ha raccolto altri 17 naufraghi. Anche loro sono stati rifiutati da tutti i porti europei. Qui non c’è posto, hanno detto. Tornate in Libia. Buona Fortuna.

      L’altro giorno la Sea Watch ha ricevuto una richiesta di soccorso di un altro gommone ancora. Lo ha avvistato sempre l’aereo di ricognizione. Dall’aereo hanno detto che a bordo c’erano circa 75 persone. E hanno fornito alla Sea Watch, di nuovo, le coordinate. La Sea Watch però non ha trovato il gommone. Neanche l’aereo lo ha più visto. Spariti. Nella migliore delle ipotesi sono stati catturati dai libici, e portati in un lager sulla costa. Nella peggiore se li è mangiati il mare.

      E’ vero, i confini ora sono ben difesi. E i caduti tra le fila dei nemici aumentano a vista d’occhio. La vittoria è vicina. Vabbè, diciamo che comunque 32, più 17, più una ventina di persone di equipaggio, tra marinai, medici e ausiliari, in tutto fa un po’ meno di settanta persone. Cosa volete che sia se 70 persone passano il Capodanno in mare per decisione delle autorità europee. Con tutto quello che succede nel mondo volete scandalizzarvi per così poco?

      Facevo un po’ di conti. Se non calcoliamo i soccorritori, che comunque poi se ne torneranno a casa loro, si tratta di 48 persone più un neonato di un paio di chili. L’Europa comunitaria, secondo le statistiche ufficiali, ha 503 milioni, 679 mila e 730 abitanti. Voi dite che se ospita anche questi 48, più un neonato, scoppia? O dite che i suoi 15 mila 326 miliardi di Pil annuo potrebbero andare dispersi nel soccorrere questi 49 disperati?

      Eppure è così. Talvolta la politica è esattamente così. Succede che sia la ragion di Stato a prevalere sul senso di umanità. Succede spesso. Stavolta la ragion di stato non c’entra niente. C’entrano solo i calcoli politici dei leader europei. Quanto potranno costare 49 naufraghi? Qualche migliaia di euro, che sono niente per gli Stati. E diverse migliaia, o centinaia di migliaia di voti: che sono molto, molto per i partiti.

      P. S. Inizia così la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, redatta dall’Onu 70 anni fa: «Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità…» . Poi c’è l’articolo 13 che dice così: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese».

      E infine l’articolo 14, che si potrebbe anche imparare a memoria, perché è molto breve: «Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni». Chissà se i governanti di Germania, Olanda, Spagna, Malta e Italia hanno mai letto questi articoli. Si potrebbe proporre agli Stati europei di chiedere a chiunque entri in un governo della Ue di superare un esamino nel quale dimostra di conoscere la dichiarazione dei diritti dell’Uomo…

      http://ildubbio.news/ildubbio/2019/01/02/e-la-nave-va-e-piena-di-naufraghi-nessun-porto-la-vuole

    • Le Sea Watch 3, avec à bord 32 migrants depuis le 22 décembre, a été autorisé par les autorités maltaises à pénétrer dans ses eaux territoriales, pour s’abriter de la très menaçante météo. Mais ni accostage, ni soins ni accueil

      Un bateau de l’alliance #United4Med (Sea Watch et Mediterranea) a rejoint aujourd’hui (4/1/19) SeaWatch3. A bord le témoignage d’Alessandra Sciurba (Mediterranea) :
      https://www.instagram.com/p/BsNom3NCA1X

    • Un nouveau bateau de sauvetage affrété par la société civile basque et andalouse

      Le 14 ou le 15 janvier, partira de Pasaia, port basque, l’ex-chalutier l’#Aita_Mari, pour secourir en Méditerranée les personnes fuyant la Libye.
      Il fera escale le 16 janvier à Bilbao, passera par Barcelone puis par Majorque - avant de rejoindre les eaux au large de la Libye.
      Ce bateau a été acheté, dans cet objectif, par le gouvernement basque et remis en état par la société civile.
      Le projet est soutenu par deux associations, une basque et une andalouse.
      Les rescapés à bord, le bateau tentera d’accoster à Malte ou en Italie, mais aura toujours la possibilité, en cas de refus, de faire route vers un port espagnol, puisqu’il navigue sous pavillon espagnol.
      A son bord, sept bénévoles, 5 secouristes, 2 médecins.
      Il y aussi un mécanicien et un cuisinier.
      Et les deux capitaines, celui du bateau, et celui des secours.
      Une cabine est prévue pour un.e journaliste.
      L’équipe communiquera régulièrement et aura besoin de relai.

      Reçu via la mailing-list Migreurop

    • EU nations deadlocked on rescued migrants

      Nearly 50 migrants rescued in the Mediterranean by two ships run by rights groups are still looking for countries to take them in, one of the groups told AFP Saturday.

      “The situation is still the same,” a spokeswoman for one of the groups, Sea Watch, said.

      Their vessel, Sea Watch 3, was sheltering from stormy weather off the coast of Malta, which like Italy, has refused to allow the boat into port.

      It has had 32 migrants on board, three of them children, since rescuing them on December 22.

      A one-year-old baby and two children, aged six and seven, “are vomiting continuously and are at risk of hypothermia and dehydration,” Alessandro Metz of rights group Mediterranean wrote on Twitter Friday.

      The German NGO Sea-Eye also has a ship stranded in the Mediterranean with 17 migrants on board.


      https://www.thenational.ae/world/europe/eu-nations-deadlocked-on-rescued-migrants-1.809725

    • Ecco la diffida al governo per accogliere i 49 migranti bloccati in mare

      Azione di cittadinanza attiva in almeno 90 Province italiane: «Abbiamo consegnato in Prefettura un documento che obbliga le autorità ad adempiere alle leggi di soccorso di mare», spiega Antonio Nigro del movimento Move to resist, che ha mutuato il testo diffuso da Possibile

      http://www.vita.it/it/article/2019/01/07/ecco-la-diffida-al-governo-per-accogliere-i-49-migranti-bloccati-in-ma/150262

    • “La Chiesa accoglierà i migranti della Sea Watch”

      L’annuncio di Nosiglia durante la festa dei Popoli: un gesto simbolico ma concreto.
      «Voglio dichiarare la disponibilità della Chiesa torinese ad accogliere alcune delle famiglie che si trovano a bordo delle navi Sea Watch 3 e Sea Eye». Lo ha annunciato l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, oggi alla chiesa del Santo Volto, durante l’omelia nella Festa dei Popoli. «La nostra Chiesa, come si ricorderà - ha aggiunto Nosiglia - aveva già offerto questa disponibilità per i profughi della nave Diciotti, nel settembre scorso».


      https://www.lastampa.it/2019/01/06/cronaca/la-chiesa-accoglier-i-migranti-della-sea-watch-8uxIAoytx33U6r7hjA65UN/pagina.html

    • #Diaconia_Valdese e #FCEI pronti all’accompagnamento dei profughi della Sea-Watch
      Chiese evangeliche. “Il nostro sostegno alle ONG perché il soccorso in mare e l’accoglienza a terra sono un dovere umanitario. Per noi è anche la testimonianza dell’amore di Cristo”. FCEI e Diaconia valdese pronti all’accompagnamento e all’accoglienza dei 49 profughi della Sea-Watch e della Sea eye.

      “Confermiamo il nostro sostegno alle ONG che svolgono azioni di soccorso in mare e ci rendiamo disponibili a sostenere il trasferimento e l’accoglienza dei migranti salvati dalla Sea-Watch e dalla Sea eye”. Lo affermano congiuntamente il Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, past. Luca M. Negro, e il Presidente della Diaconia Valdese, Giovanni Comba. “Come FCEI siamo impegnati in un partenariato con Open Arms, la ONG che nei giorni scorsi ha salvato oltre trecento persone in mare – aggiunge Negro – e oggi sentiamo nostro dovere esprimere il sostegno attivo alla altre navi impegnate in azioni di soccorso che da giorni aspettano un porto sicuro in cui attraccare”. E infatti la vicepresidente della FCEI, Christiane Groeben, oggi 4 gennaio parteciperà alla delegazione di politici, esponenti della società civile e del volontariato che saliranno a bordo della Sea-Watch per chiedere con forza una rapida soluzione a quella che rischia di diventare una drammatica violazione del diritto alla protezione internazionale. “Stiamo lavorando con i nostri partner per costruire un corridoio europeo e la città di Heidelberg e le sue chiese hanno già manifestato la loro disponibilità all’accoglienza. Siamo pronti a farci carico del trasporto dei migranti nella loro destinazione finale e a collaborare per la loro accoglienza" aggiunge il presidente Comba.

      https://www.diaconiavaldese.org/csd/news/diaconia-valdese-e-fcei-pronti-all-accompagnamento-e-all-accoglienz

    • #Malte profite de l’urgence pour se délester de 220 migrants

      Le Premier ministre maltais a annoncé un accord pour le débarquement des 49 migrants bloqués sur deux navires d’ONG allemandes et leur répartition dans huit pays européens. Il se débarrasse en passant de 220 migrants déjà accueillis à Malte.

      Les 49 migrants coincés depuis parfois plus de deux semaines en mer avaient été secourus dans les eaux internationales au large de la Libye, le 22 décembre par l’ONG Sea-Watch pour 32 d’entre eux, et le 29 décembre par l’ONG Sea-Eye pour les 17 autres.

      Les pays européens se sont finalement mis d’accord pour les secourir. Ils doivent être transférés « dès que possible » sur des vedettes de la marine maltaise, qui les conduiront à La Valette. Ensuite, Malte a prié les navires des deux ONG de s’éloigner « immédiatement ».

      Les deux navires avaient été autorisés il y a une semaine à s’abriter du mauvais temps dans les eaux maltaises, mais l’accord en vue d’un débarquement des migrants a pris du temps parce que Malte exigeait d’y inclure 249 autres migrants que ce petit pays méditerranéen avait secourus et accueillis ces derniers jours.

      « Un accord ad hoc a été trouvé. Sur les 249 (migrants) présents à Malte et les 49 à bord (des navires de) Sea-Watch and Sea-Eye, 220 personnes seront redistribuées dans d’autres pays membres ou rentreront dans leur pays d’origine », a déclaré Joseph Muscat au cours d’une conférence de presse à Malte.

      Les migrants seront répartis entre l’Allemagne, la France, le Portugal, l’Irlande, la Roumanie, le Luxembourg, les Pays-Bas et l’Italie, a précisé Joseph Muscat.

      Parallèlement, 44 Bangladais du groupe des migrants déjà présents à Malte seront renvoyés dans leur pays, La Valette estimant qu’ils n’ont pas de raison d’y demander l’asile. Au final, 78 des migrants du premier groupe resteront à Malte, le plus petit pays de l’UE avec 450 000 habitants.

      « Malte n’a jamais fermé ses ports et reste un port sûr. Nous voulons simplement que tous respectent les règles internationales que nous n’avons pas créées, nous », a assuré le Premier ministre, malgré l’interdiction jusqu’ici exprimée.

      « Un signe de faiblesse »

      « Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles », a insisté le Maltais.

      « Chaque heure passée sans règlement n’était pas une heure dont j’étais fier », a-t-il ajouté, en regrettant que la solution n’implique que quelques pays et non l’ensemble de l’UE.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier à l’avenir maintenant que les navires de secours plus au sud se sont raréfiés, Malte avait plaidé pour une solution « complète et globale ».

      « Malte est un très petit pays et il est dans notre nature d’aider les personnes en détresse, mais en tant que Premier ministre, je ne peux pas me soustraire à la responsabilité de préserver notre sécurité et nos intérêts nationaux », a expliqué Joseph Muscat, répétant que le présent accord ne constituait pas « un précédent ».

      Le commissaire européen chargé des migrations, Dimitris Avramopoulos, s’est réjoui qu’une solution ait été trouvée pour permettre aux migrants de débarquer et a salué le geste de solidarité de Malte et des États membres.

      En Italie, la question faisait encore débat : le ministre de l’Intérieur Matteo Salvini s’oppose farouchement à tout débarquement, mais le chef du gouvernement Giuseppe Conte s’est dit prêt à aller chercher les migrants « en avion ».

      « À Bruxelles, ils font semblant de ne rien comprendre et facilitent le travail des passeurs et des ONG. Je suis et je resterai absolument opposé à de nouvelles arrivées en Italie », a réagi Matteo Salvini, également patron de la Ligue (extrême droite), dans un communiqué.

      « Céder aux pressions et aux menaces de l’Europe et des ONG est un signe de faiblesse que les Italiens ne mérite pas », a ajouté le ministre, qui a lancé mardi soir sur Twitter le mot d’ordre #SalviniNonMollare (« Salvini tiens bon »), parmi les plus partagés depuis en Italie.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/malte-profite-de-lurgence-pour-se-delester-de-220-migrants

    • Migranti, anche in Spagna stretta sulle Ong: Open Arms bloccata a Barcellona

      Dopo aver fatto sbarcare ad #Algeciras 311 migranti il 28 dicembre scorso, la nave sarebbe dovuta ripartire l’8 gennaio per una nuova missione. Ma le autorità hanno negato l’autorizzazione: così nel Mediterraneo centrale non ci sono più imbarcazioni delle organizzazioni per il salvataggio

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/01/14/news/migranti_open_arms_bloccata_in_spagna-216523058

    • "Je ne pourrai bientôt plus parler, je gèle" : faute de secours, 100 migrants ont passé plus de 12 heures en mer

      Pendant plus de 12h, la plateforme téléphonique Alarm Phone a alerté dimanche les autorités italiennes, maltaises et libyennes sur une embarcation en détresse au large de la Libye. Rome et La Valette ont, toute la journée, renvoyé la responsabilité à Tripoli qui a finalement coordonné le secours de ce canot en envoyant un navire marchand, plus de 12h après la première alerte.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14641/je-ne-pourrai-bientot-plus-parler-je-gele-faute-de-secours-100-migrant

    • Navire Sea-Watch bloqué en Méditerranée : « La mer est agitée et certains migrants sont malades »

      Après avoir été bloqué deux semaines début janvier en Méditerranée dans l’attente d’être accepté par un port européen, le navire humanitaire Sea-Watch erre une nouvelle fois en mer depuis son dernier sauvetage. Cinq jours se sont déjà écoulés, avec 47 migrants rescapés à bord dont huit enfants, et aucun signe encourageant de la part des pays européens.

      L’histoire se répète. L’ONG allemande Sea Watch, dont le navire humanitaire a secouru le 19 janvier dernier 47 personnes qui se trouvaient à bord d’un bateau pneumatique, attend depuis maintenant cinq jours l’autorisation d’accoster en Europe. Lors d’une précédente opération de sauvetage, le même navire avait erré deux semaines en mer avant d’être autorisé à débarquer ses rescapés à Malte le 9 janvier dernier. Un épisode qualifié de “record de la honte” par plusieurs ONG.

      L’équipage et les passagers actuellement à bord sont “assez stressés”, confie une porte-parole de Sea Watch contactée par InfoMigrants. “La nuit a été difficile. La mer est agitée et certains sont malades”, poursuit-elle, précisant que le groupe compte huit mineurs non-accompagnés et neuf nationalités différentes : Guinée, Sénégal, Guinée-Bissau, Mali, Sierra Leone, Centrafrique, Côte d’Ivoire, Gambie et Soudan.

      "Une fois de plus, nous sommes à la merci des autorités"

      “Aucun État n’a encore répondu à nos requêtes pour un port sûr”, déplore l’ONG sur Twitter, estimant que “l’Union européenne empêche le dernier navire humanitaire de travailler, alors que des centaines de personnes meurent en Méditerranée”.

      Les 47 migrants actuellement à bord du Sea-Watch ont été pris en charge après qu’Alarm Phone et l’avion de repérage Moonbird ont donné l’alerte. “Juste après le sauvetage, nous avons informé le MRCC de Rome puisque le port sûr le plus proche de notre position était celui de Lampedusa. Ils nous ont renvoyés vers les garde-côtes libyens. Nous avons essayé de les joindre, en vain. Nous ne savons même pas s’ils lisent nos emails”, explique la porte-parole de l’ONG jointe par InfoMigrants.

      Dans l’impasse, l’équipage du Sea-Watch s’est donc tourné vers le MRCC de Malte puis celui de Den Helder, au Pays-Bas puisque le navire humanitaire bat pavillon néerlandais. “Tous les deux ont décliné toute responsabilité. Nous avons demandé un port sûr à plusieurs reprises à tous ces interlocuteurs, mais nous sommes une fois de plus à la merci des autorités, dans l’attente d’un ordre de leur part”, affirme-t-elle.

      "La détresse des migrants comme outil de chantage politique"

      Dix jours avant ce nouveau sauvetage, le Sea-Watch et un autre navire humanitaire, le Sea-Eye, avaient finalement pu débarquer 49 migrants à Malte après plus de deux semaines d’errance en Méditerranée. Une période particulièrement difficile, les installations à bord des navires humanitaires ne permettant pas d’héberger durablement autant de personnes et les conditions météorologiques rendant la vie à bord très pénible.

      Malgré les demandes répétées des ONG, pendant 19 jours, le gouvernement maltais avait refusé de laisser débarquer dans son port ces 49 migrants : 32 secourus au large de la Libye le 22 décembre par le Sea-Watch et 17 autres sauvés le 29 décembre par le Sea-Eye.

      Redoutant de voir les arrivées dans ses eaux se multiplier et de devenir la principale porte d’entrée des migrants en Europe – l’Italie ayant fermé ses ports aux navires humanitaires – Malte a finalement négocié avec plusieurs pays européens un accord de répartition des 49 migrants ainsi que 249 autres recueillis quelques jours plus tôt par les autorités maltaises.

      "Nous voulions faire passer un message politique fort, à savoir que le fardeau devait être partagé car il s’agit d’un problème européen. Il ne s’agit pas d’un discours contre les ONG, nous voulons simplement que tous suivent les règles", avait déclaré le Premier ministre maltais Joseph Muscat au moment où l’accord a été trouvé.

      Mais Sea Watch ne l’entend pas de la sorte. “Nous ne pouvons pas nous retrouver encore dans cette impasse, c’était trop difficile la dernière fois pour notre équipage comme pour les rescapés. Il est inacceptable que les gouvernements européens utilisent des personnes en détresse comme outils de chantage dans leurs luttes de pouvoir”, conclut la porte-parole.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14700/navire-sea-watch-bloque-en-mediterranee-la-mer-est-agitee-et-certains-

    • Dutch refuse Italian request to accept 47 migrants on rescue ship: government

      The Netherlands refused on Monday an Italian request to take in 47 migrants on a humanitarian ship that is being blocked from Italian ports, saying there was a need to distinguish between genuine refugees and economic migrants.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-italy-netherlands/dutch-refuse-italian-request-to-accept-47-migrants-on-rescue-ship-governmen
      #Pays-Bas #tri #catégorisation

      Dans l’article on parle de:
      #genuine_refugees and #economic_migrants
      #terminologie #mots #vocabulaire

      v. aussi le tweet de Sea Watch:
      Le comunicazioni intercorse tra #SeaWatch e l’Olanda per la richiesta di porto rifugio (POR).
      https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1089815346113069057

    • Caso Sea Watch. Il Garante, Mauro Palma: “E’ illecita detenzione”

      Inviata informativa alla Procura di Siracusa e richiesto al Ministro dei trasporti Toninelli di consentire urgentemente lo sbarco: «Le persone sono la nostra giurisdizione, anche se con bandiera straniera». Intanto 50 organizzazioni scrivono al premier Conte: «Sbarco Immediato». E il Cnca si dice disponibile ad accogliere i migranti nelle sue strutture

      http://www.agenzia.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/617603/Caso-Sea-Watch-Il-Garante-Mauro-Palma-E-illecita-detenzione

    • Les migrants du Sea-Watch 3 vont pouvoir débarquer grâce à un accord entre sept pays européens

      L’Italie a annoncé un accord avec six autres pays européens pour répartir les 47 migrants bloqués depuis 12 jours en mer sur le Sea-Watch. Le navire est attendu dans la nuit au port de Catane, dans l’est de la Sicile.

      Les 47 migrants bloqués depuis près de deux semaines à bord du Sea-Watch 3 au large de la Sicile vont pouvoir débarquer grâce à un accord conclu mercredi 30 janvier entre l’Italie et six autres pays européens pour répartir les migrants.

      Le Sea-Watch 3, qui se trouvait depuis vendredi au large du port sicilien de Syracuse pour s’abriter du mauvais temps, « a reçu l’instruction de se diriger vers le port de Catane », environ 70 km plus au nord, où il est attendu dans la nuit, a annoncé une source ministérielle italienne.

      A la mi-journée, le chef du gouvernement italien, Giuseppe Conte, avait annoncé que les opérations de débarquement allaient débuter « dans les prochaines heures ». Les six pays avec laquelle l’Italie a conclu un accord sont la France, le Portugal, l’Allemagne, Malte, le Luxembourg et la Roumanie. Il n’était pas clair si l’Italie elle-même garderait une partie des migrants. Giuseppe Conte l’a laissé entendre mais son ministre de l’Intérieur, Matteo Salvini, qui s’y est toujours opposé de manière catégorique, ne l’a pas confirmé.

      « Prise d’otages européenne »

      « Nous sommes heureux que cette prise d’otages européenne prenne fin », a déclaré le porte-parole de Sea-Watch, Ruben Neugebauer. « En même temps, c’est un mauvais jour pour l’Europe car les droits humains ont une fois de plus été subordonnés à des négociations au sein de l’UE. Encore un jour amer », a-t-il ajouté.

      Depuis des mois, diplomates européens et humanitaires réclament un mécanisme permanent de répartition des migrants secourus en mer pour leur épargner les interminables discussions au cas par cas.

      Mais les cas pourraient devenir de plus en plus rares avec le blocage progressif des navires humanitaires privés, comme l’Aquarius de SOS Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) ou l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms.

      Le choix d’envoyer à Catane le Sea-Watch 3, affrété par l’ONG allemande Sea-Watch et battant pavillon néerlandais, semble répondre au souhait formulé par M. Salvini de voir la justice enquêter sur les activités de l’équipage.

      Le gouvernement italien lui reproche de ne pas avoir laissé les garde-côtes libyens se charger des migrants, puis de s’être précipité vers l’Italie plutôt que de chercher refuge sur la côte tunisienne, qui était beaucoup plus proche. Mais l’ONG assure n’avoir jamais reçu de réponse de Tripoli ni de Tunis.

      Le procureur de Syracuse, Fabio Scavone, a estimé lundi que le commandant du Sea-Watch n’avait « commis aucun délit » et avait seulement « sauvé les migrants et choisi la route qui semblait la plus sûre sur le moment ».

      Mais à Catane, le procureur Carmelo Zuccaro s’est montré particulièrement incisif contre les ONG depuis deux ans. En mars 2018, il avait obtenu le placement sous séquestre de l’Open Arms dans le cadre d’une enquête pour aide à l’immigration clandestine contre les responsables du bateau qui avaient refusé de remettre des migrants secourus aux garde-côtes libyens.

      La source au ministère de l’Intérieur a expliqué que Catane avait été choisie parce qu’elle compte des centres pour l’accueil des 13 adolescents du groupe. Les migrants majeurs seront conduits dans un centre d’identification et de premier accueil à Messine, également en Sicile.

      « Mission accomplie ! », s’est réjoui M. Salvini mercredi. « Encore une fois (...), l’Europe a été contrainte à intervenir et à prendre ses responsabilités ».

      https://www.france24.com/fr/20190130-migrants-sea-watch-italie-catane-salvini-accord-europeen

    • No more civilian rescue boats off Libyan coast

      The civilian rescue vessel Sea Watch 3, which was detained in Italy on Friday, is the latest of such boats to stop operations in the central Mediterranean. Now, only the Libyan Coast Guard is able to save migrants risking their lives at sea in an attempt to reach Europe from North Africa.

      The main non-government organizations rescuing migrants off the coast of Libya stopped their efforts in mid-2017, mainly because of increased threats from the Libyan Coast Guard. The news agency AFP compiled this update on migrant rescue organizations and their activities:

      The Maltese aid group MOAS, which was the first to carry out migrant rescue operations in 2014 and had deployed two vessels, transferred its activities to helping the Rohingya in Bangladesh in September 2017.

      At about the same time, Doctors Without Borders (MSF) ended its operations with the Vos Prudence, the biggest private boat deployed off Libya with a record 1,500 people rescued at the same time.

      Save the Children ended its search and rescue operations with the Vos Hestia in October 2017.

      In August 2017, Italian authorities impounded the Juventa, operated by small German aid group Jugend Rettet, after it was accused of helping Libyan human traffickers. Jugend Rettet has denied the charge.

      The Lifeline rescue vessel, operated by a German aid group of the same name, was impounded on arrival in Valletta, Malta, in June 2018, for alleged registration issues.

      The aid groups SOS Mediterranee and MSF stopped search and rescue operations with the Aquarius in December 2018 after it was stuck in a French port for two months following the revocation of its registration.

      In January 2019, Spanish authorities refused to allow the Open Arms ship to leave Barcelona harbor. In early 2018 the boat, operated by the Spanish NGO Proactiva Open Arms, was impounded for a month by Italy. It was then forced to take rescued migrants to Spain several times after Malta and Italy refused to allow them to disembark.

      The Sea Eye charity from Germany had several vessels impounded during 2018 but deployed another ship, the Professor Albrecht Penck, in December, rescuing 12 migrants. The boat is currently in Majorca and plans to set sail again in around two weeks, according to AFP.

      SOS Mediterranee has said it is looking for another boat and flag so it can continue search and rescue operations.

      In Italy a collective of associations launched the Mediterranea, flying an Italian flag, mainly to witness the situation for migrants off Libya.

      There are also two light aircraft which overfly the Mediterranean trying to identify and locate boats in trouble: the Colibri operated by French aid group Pilotes Volontaires, and the Moonbird operated by Sea Watch.


      http://www.infomigrants.net/en/post/14966/no-more-civilian-rescue-boats-off-libyan-coast
      #the_end

    • Sea Watch 3 still held in Catania, despite rescue vessel vacuum in the Mediterranean

      The crew of the migrant rescue vessel Sea Watch 3 are ready to continue life saving operations in the central Mediterranean but the vessel remains without permission to leave from Catania harbour, the NGO said yesterday.

      With NGO vessels being barred from leaving ports and coast guard and navy ships withdrawn from the area, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week.

      The Sea-Watch 3 vessel remains unable to leave Catania under orders of the port authority and is barred from performing essential search and rescue activities in the Central Mediterranean Sea.

      The vessel was recently caught up in another migrant stand-off between Malta and Sicily and was eventually allowed to disembark the migrants it had rescued in Catania.

      However, the vessel has not been allowed to leave, in what is reminiscent of the time it spent impounded in Malta during the summer of 2018.

      Earlier this year, the vessel, along with another ship operated by the Sea-Eye NGO, was left stranded off the coast of Malta for over two weeks.

      The rescued migrants were eventually disembarked in Malta after an agreement was reached between several member states. The vessels were then ordered to leave Maltese waters, with permission for a crew change reportedly denied.

      Maltese national Danny Mainwaring is among the crew members currently stuck on the Sea Watch in the port of Catania.

      In comments to The Malta Independent, Sea Watch said: “The Public Prosecutor’s Office of Catania stated that Sea-Watch and the crew of its last mission have committed no criminal offence and that all their actions in the rescue of 19 January were justified, as the vessel and her crew saved the lives of 47 people whose boat was bound to sink.

      “That mission culminated in a stand-off that saw vulnerable people stranded at sea on the coast of Syracuse as European leaders failed to provide a port of safety in a timely manner. Despite the public acknowledgement that Sea-Watch conducted itself within the law, the vessel remains barred from departing on technical grounds and awaits a visit from the Dutch flag state requested by the Italian Coast Guard.

      “The Sea-Watch 3 passed a flag state inspection in the summer of 2018, which also confirmed its correct registration. We find ourselves in a scenario reminiscent to that which unfolded in Malta that same summer, when the vessel was kept from leaving port for over four months while a record number of people drowned at sea.

      “EU governments have unanimously adopted a policy of attempting to criminalize sea rescue NGOs and instead finance, train and provide logistical support to the so-called Libyan Coast Guard.

      “Despite the fact that Libya remains in a state of civil war and migrants and refugees face well documented human rights abuses in its detention facilities, the EU is outsourcing a policy of forced return to the so-called Libyan Coast Guard in violation of the principle of non-refoulement.

      “This principle, enshrined in international law, prohibits governments from returning asylum seekers to a country in which they face a well-founded fear of persecution, and inhumane and degrading treatment.

      “With many national coast guard and navy assets withdrawn from the Central Mediterranean and no NGO vessels currently at sea, it is not known how many attempted crossings there have been over the past week. With absolute numbers of crossings declining but the death rate rising, one can only conclude that Europe has strayed from the spirit of cooperation and respect for human rights that it was founded on; the same spirit that breathed life into Operation Sophia when mass drownings alarmed the continent and the world in May 2015.

      “The Sea-Watch 3 and her crew are ready to sail and perform the essential life saving duties for which the organisation has been lauded across the world.

      “European governments must meet their responsibilities towards those in distress both at sea and on land. Rather than criminalize rescue NGOs, who are upholding this responsibility in Europe’s stead, governments must seek sustainable solutions while cooperating with NGOs and opening their ports to people rescued at sea.”


      http://www.independent.com.mt/articles/2019-02-11/local-news/Sea-Watch-3-still-held-in-Catania-despite-rescue-vessel-vacuum-in-th

    • When commercial ships tell migrants rescued at sea they are going to bring them to Europe

      Some commercial ships that have rescued people in danger have lied about their destination, according to a telephone hotline that helps migrants lost at sea. Alarm Phone says the crews of several ships led migrants to believe they would be dropped off in Europe, but instead returned them to Libya.

      https://www.infomigrants.net/en/post/15194/when-commercial-ships-tell-migrants-rescued-at-sea-they-are-going-to-b

    • When rescue is capture: kidnapping and dividing migrants in the Mediterranean

      EU member states are holding migrants hostage while playing pass the parcel with their fates. It’s a strategy that is as cruel as it is deliberate.

      The Italian minister of the interior, Matteo Salvini, is currently under investigation for abuse of power and the kidnapping of 177 migrants. These migrants were, on Salvini’s orders, confined to the coast guard vessel Diciotti for more than one week in late August last year. While this case received international media attention, it was not an isolated event. Over the last several years Italian ministers and politicians have repeatedly violated international and domestic law as they have sought to prevent individuals from migrating over the Mediterranean Sea. The disembarkation of rescued migrants has been denied or delayed many times. On a few occasions, Italy has arbitrarily closed its ports entirely.

      While the closure of ports and the kidnapping of migrants triggered a strong reaction from some citizens and municipalities, many seemingly do not care. They do not care about the kidnapping of people by the state, nor about an interior minister who violates the law. They just do not want the migrants to land in Italy. Yet, far from being an exclusive Italian affair, the above mentioned legal and political controversies are part of a European battle, in which member states compete to not take care of a few dozen people on a boat seeking asylum. In fact, the recurrent strategy of taking migrants hostage is a sign of how deep Europe’s crisis has become.

      Kidnapping migrants is a strategy designed to deter and exhaust migrants while putting pressure on other member states.
      Migrants as hostages of European politics

      31 January 2019: after being held on a ship of the NGO Sea Watch for 13 days by the Italian authorities, the 47 migrants who were rescued in central Mediterranean were finally authorised to disembark in Sicily, or to put it better they had been liberated. During the period of their captivity the Italian government had argued that the Netherlands should receive them, due to the Dutch flag on the Sea Watch vessel. The Dutch authorities refused to do so. The standoff resulted in a meeting at the European Commission in Brussels to discuss how to deal with the 47 migrants nobody wanted to take. After days of negotiations, the Vatican offered to host the minors while eight member states (France, Germany, Romania, Malta, Portugal, Spain, Luxembourg and Italy) agreed to take a few migrants each. Meanwhile, the NGO Sea Watch was defending itself against a cynical smear campaign in which the Italian government accused it of “putting migrants’ lives at risk”.

      This case is only the latest in a series of episodes that took place in central Mediterranean. The kidnapping of migrants has been repeatedly enacted by the Italian government and by Malta over the last year. It’s a strategy designed to deter and exhaust migrants, on the one hand, and to put pressure on the EU and on other member states, on the other. It is worth highlighting the continuity of this tactic. Among other episodes, in July 2018 the coast guard vessel Diciotti was prevented from disembarking rescued migrants in the port of Catania until the Italian president at the time successfully intervened. One month later, the Diciotti was again blocked for more than one week, this time with 177 migrants on board. In both these cases the rescue vessel was Italian. In more recent episodes the vessels have belonged to NGOs registered to other member states. In the closing days of 2018, 49 migrants had to wait 19 days after being rescued by the Sea Eye and Sea Watch vessels. They were finally disembarked in Malta on 9 January, and then relocated to other EU countries.

      The strategy of migrant kidnapping on the northern shore of the Mediterranean is part of a broader politics of migration containment. Together with the protracted detention of migrants on rescue vessels, the Libyan Coast Guard intercepts and rescues migrants in distress and takes them back to detention centres in Libya as a result of the 2017 Italy-Libya Memorandum of Understanding. International organisations like UNHCR and the IOM are involved in their containment in Libya once they arrive. In both cases – the confinement of migrants on rescue ships and the return of migrants to Libya – rescue at sea turns out to be a mode of capture.

      We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over.
      The European battle over numbers

      The migrants at the centre of these intra-European diplomatic battles are actually very few in number. Meetings, internal political crises, and struggles between states and non-state actors have resulted from a few dozen migrants seeking entry into Europe despite already being within European territory; confined to their rescue ships either in or just off European harbours for no other reason than member states’ refusal to take them. It is noticeable that the dispute among European countries was also predicated on migrants’ vulnerability: some member states have declared that they would welcome women and minors only. In this way, the right to protection and to mobility appear as a sort of “privilege” of those deemed to be the most vulnerable.

      The “fear of the small numbers”, as the anthropologist Ariun Appadurai calls it, has rarely been so evident. With just a few dozen migrants at issue, Salvini is by no means staving off a ‘crisis’ of quantity. Yet that is what makes recent events so troubling. They show that public sentiment does not soften when the counterargument focuses on how small the numbers are, as it has done so far. Both citizens’ active consensus and passive acceptance of migration containment has proved immoveable. The European front against migrants ultimately remains solid.

      At the same time, the anti-migrant front does not monopolise the field. Thousands of citizens mobilised across Europe and in Italy to demand the liberation of the detained migrants. Their solidaric reaction was not primarily driven by the fact that there were only a ‘few’ migrants to host, but by a conviction that those kidnapped – like with any other kidnapping – must be unconditionally released. As such, during the protests that haven taken place we have seen many more banners with the words “let them disembark!” than with more Italy-centric slogans like “not in my name”. In short, it’s not about Italy, it’s about the people on the ship.

      That central point is further enshrined in the “We are not fish” campaign, launched in Rome on 28 January 2019. We might have been pulled out of the sea, the argument goes, but we are no less human and we are not to be bartered and haggled over. The “We are not fish” campaign demands that Italian harbours remain open and that migrants are allowed to disembark. It opposes the fundamental inequality of lives that sustain the politics of migration, which is premised on the suggestion that migrants are not truly humans.

      The widespread citizen reaction against migrants’ seizure at sea and against deaths in the Mediterranean constitutes not only a fundamental ethical response, but also potentially a catalyst for actively refusing the leave-to-die politics playing out in the Mediterranean. Indeed, the ongoing civic mobilisation should be seized as an opportunity for moving beyond the horizon of a politics of rescue and the current debate that pivots around the question, should we rescue or not rescue the migrants?

      Indeed, a left-wing discourse on migration would require fighting the politics of migration containment as a whole, including the most recent bilateral agreement between Italy and Libya that the previous government led by the Democratic Party signed. It would also require challenging the racialisation and inequalities of lives enforced by the global visa regime, which forces many people across the world to become shipwrecked lives to be rescued. Neither the trial of Salvini nor the acceptance of the terms of the current debate centred around leave-to-die politics will liberate migrants from being held hostage to European politics. “We are not fish”. This motto is circulating widely. It posits the existence of a ‘we’, a common ground, between migrants and European citizens that refuses the reproduction of the asymmetries between ‘rescuers’ and ‘rescued’.

      https://www.opendemocracy.net/beyondslavery/martina-tazzioli/when-rescue-is-capture-kidnapping-and-dividing-migrants-in-mediterran

    • Un seul navire humanitaire est actuellement présent au large de la Libye

      Près de 17 000 personnes sont mortes en mer Méditerranée ces quatre dernières années. Pour tenter d’enrayer la tragédie, des navires humanitaires se sont relayés dans la zone de détresse, au large des côtes libyennes pour les secourir. Mais actuellement, un seul patrouille dans cette zone.

      Actuellement, seul le bateau Aylan Kurdi (anciennement appelé Professor Albrecht Penck) est actuellement au large de la Libye. Il appartient à l’ONG allemande Sea Eye.

      Où sont les autres bateaux d’ONG ? InfoMigrants fait le point.

      Les navires humanitaires qui sont bloqués dans des ports européens :

      – Le Sea-Watch 3 de l’ONG Sea Watch est en escale dans le port de Marseille pour un problème administratif relatif à son pavillon néerlandais (et effectuer sa maintenance). Il devrait repartir en mer mi-mars.

      – Depuis un débarquement en juin 2018 à Malte, le Lifeline de l’ONG allemande eponyme est bloqué au port de La Valette, à Malte, où les autorités contestent sa situation administrative.

      – Depuis le mois de janvier 2019, l’Open Arms de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms est bloqué à Barcelone par les autorités espagnoles. Au printemps 2018, ce navire avait été placé un mois sous séquestre en Italie avant d’être autorisé à repartir.

      – Début août 2017, la justice italienne a saisi le Juventa de l’ONG allemande Jugend Rettet, accusée de complicité avec les passeurs libyens mais qui clame depuis son innocence.

      Les ONG qui résistent :

      –Dans les airs, les petits avions Colibri de l’ONG française Pilotes volontaires et Moonbird de Sea-Watch mènent régulièrement des patrouilles pour tenter de repérer les embarcations en difficulté.

      –L’Astral, le voilier de l’ONG Open Arms, est actuellement à Barcelone.

      –En Italie, un collectif d’associations a lancé le Mare Jonio, un navire battant pavillon italien qui entend avant tout témoigner de la situation en mer. Il est actuellement à Palerme.

      Les navires humanitaires qui ont renoncé :

      Des ONG engagées au large des côtes libyennes ont suspendu leurs activités, face à la chute des départs de Libye et face à une intensification des menaces des garde-côtes libyens, qui considèrent les ONG comme complices des passeurs.

      – Suite aux pressions politiques, privé de pavillon, l’Aquarius de l’ONG SOS Méditerranée – qui a secouru près de 20 000 personnes en deux ans et demi - a mis fin à ses missions en décembre 2018. L’ONG espère toutefois trouver un nouveau bateau pour repartir rapidement en mer au printemps 2019.

      – Médecins sans frontières (MSF) a mis fin au même moment aux activités du Vos Prudence, le plus gros navire humanitaire privé actif au large de la Libye avec un record de de 1 500 personnes secourues en même temps.

      – Save the Children a également mis fin aux activités de sauvetage du navire Vos Hestia.

      – L’ONG maltaise Moas, la première à s’engager dans les opérations de secours en 2014 et qui a compté jusqu’à deux navires dans la zone, a transféré ses activités auprès des Rohingyas au Bangladesh.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/15426/un-seul-navire-humanitaire-est-actuellement-present-au-large-de-la-lib

    • Sea Watch segreto di Stato. Viminale e Infrastrutture: no accesso agli atti

      Non è possibile sapere da chi e come fu bloccata la nave. Ed è giallo anche sull’omesso sbarco dei minori. Cortocircuito tra Prefettura, Comune e Tribunale di minori

      Nel Paese dei misteri irrisolti anche la sorte dei migranti rischia di diventare un “segreto di Stato”. Non sarà infatti possibile sapere chi, nello scorso gennaio, ha dato l’ordine di bloccare a Siracusa la nave umanitaria Sea Watch, né chi e perché ha impedito lo sbarco immediato dei 15 minorenni, dirottando poi il vascello verso il porto di Catania.

      La conferma dello stato di riservatezza degli atti arriva dal Viminale, che ha respinto la richiesta di divulgazione dei documenti depositati presso il ministero delle Infrastrutture. Intorno al caso, dopo che Avvenire aveva documentato la smentita del ministero che esclude sia mai stato dato l’ordine di «porti chiusi», è stato eretto un muro di gomma. Nei giorni scorsi il Viminale aveva assicurato che da Salvini, contrariamente alle reiterate dichiarazioni pubbliche, non era mai partito alcun ordine di stop alle navi umanitarie né alcun «divieto di sbarco».

      Non restava che interpellare il dicastero guidato da Danilo Toninelli, competente per la Guardia costiera e i porti. Ma la nuova richiesta di accesso ai documenti è stata respinta. Motivo? «La tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Così il capo di gabinetto del ministro Salvini ha risposto all’istanza «indirizzata – viene precisato nella risposta – anche al ministero delle Infrastrutture», a cui era stata originariamente rivolta. Nella missiva, che reca la data del 26 febbraio, viene escluso per il caso Sea Watch l’obbligo di divulgazione delle informazioni.

      Secondo la legge richiamata nello scambio di documenti tra l’avvocato Alessandra Ballerini, che aveva chiesto trasparenza per contro di Adif (Associazione Diritti e Frontiere), e il prefetto a capo del gabinetto del ministro, viene invocata la norma che giustifica il rifiuto alla conoscibilità per «la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; la sicurezza nazionale; la difesa e le questioni militari; le relazioni internazionali; la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; il regolare svolgimento di attività ispettive». In quale di queste categorie rientri il caso della Sea Watch e dei minorenni bloccati a bordo per 13 giorni non è dato da sapere.

      Indirettamente, però, una cosa il Viminale la conferma. Se nei giorni scorsi era stata negata l’esistenza di deliberazioni riconducibili al ministro Matteo Salvini, adesso viene implicitamente riconosciuto che le decisioni furono prese formalmente dal ministero delle Infrastrutture. Una circostanza che di fatto esenta Salvini, che aveva dato “indicazioni politiche”, da responsabilità che eventualmente ricadrebbero su Toninelli.

      La gestione dei 15 minori non accompagnati e l’omissione dello sbarco immediato (come previsto dalle norme per i minorenni non accompagnati) potrebbe avere seguiti giudiziari. Da uno scambio di comunicazioni tra la prefettura di Siracusa, il Tribunale dei minori di Catania e il Comune di Siracusa risulta, infatti, che la scelta di trasferire la nave al porto di Catania, dopo giorni alla fonda davanti al “Porto rifugio” siracusano, sarebbe stata assunta dal Comando generale delle Capitanerie di porto, che dipende dal ministero delle Infrastrutture. Disposizione necessaria «in ragione della presenza di minori a bordo».

      A scriverlo è proprio la prefettura aretusea in una nota trasmessa il 31 gennaio (giorno dello sbarco) al Tribunale per i minorenni di Catania. Eppure ventiquattr’ore prima lo stesso tribunale aveva inviato i decreti di affido dei 15 minori ai Servizi sociali del Comune di Siracusa, che immediatamente aveva individuato e messo a disposizione 4 strutture del circondario. Invece, nessuno viene fatto sbarcare e in serata la Sea Watch, dopo una settimana di attesa in Sicilia, riceve l’ordine di procedere verso Catania. Una decisione, come sostiene il prefetto Luigi Pizzi in uno dei documenti ottenuti da Avvenire, dovuta alla mancanza di strutture di prima accoglienza idonee. Una carenza che però non risulta, vista la disponibilità certificata dal Comune e che sorprende anche il Tribunale che proprio dall’ente locale aveva ricevuto l’elenco dei centri di accoglienza.

      «Non c’era nessun bisogno che intervenisse il tribunale per far sbarcare i minori. La legge è chiara: andavano fatti sbarcare subito», dice Sandra Zampa, ex parlamentare del Pd e autrice della legge sui minori non accompagnati votata nella precedente legislatura con il sostegno del M5s. L’intervento del tribunale dei minorenni ha confermato l’efficacia delle norme, «interrompendo – spiega Zampa – l’omissione che si stava compiendo».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-segreto-di-stato

    • Sea Watch, inchieste sugli atti «top secret». Si muovono le procure

      Dopo che il Viminale si è rifiutato di rendere pubblici gli ordini, i pm accendono un faro. Il sindaco di Siracusa: «Anomalie, abbiamo le prove. Fare chiarezza». E accusa: «Ci furono ordini politici»

      Il caso Sea Watch, con lo stallo davanti al porto di Siracusa e poi il trasferimento nello scalo di Catania, avrà seguiti giudiziari. Sono almeno due le procure che stanno esaminando i fatti riguardanti l’omesso sbarco immediato dei 15 minorenni e le modalità con cui le autorità politiche hanno eretto un muro intorno alla catena di comando. Una barriera contro cui è disposta a fare breccia la giunta di Siracusa, che si dichiara pronta ad andare davanti ai magistrati per riferire tutte le anomalie registrate a fine gennaio.
      Le inchieste, a quanto trapela, riguardano non solo Sea Watch, ma anche altri sbarchi con le navi umanitarie costrette al largo per giorni prima di poter mettere al sicuro, sulla terraferma, i naufraghi scampati ai lager libici e alle tempeste. Vari esposti erano da tempo sui tavoli della procura di Roma e di alcune procure siciliane, che hanno acquisito quanto rivelato da «Avvenire» giovedì scorso. A cominciare dalla massima riservatezza apposta dal ministero dell’Interno sugli atti relativi alla Sea Watch, mentre il dicastero guidato da Danilo Toninelli ha lasciato trascorrere i 30 giorni previsti dalle norme per rispondere alle richieste di accesso civico agli atti presentata dall’Associazione Diritti e frontiere. Uniche spiegazioni sono arrivate dal Viminale con due risposte in apparente contraddizione. La prima, firmata dal Dipartimento Immigrazione, escludeva che fosse mai stato dato l’ordine di porti chiusi e divieto di sbarco. La seconda, siglata dal capo di gabinetto del ministro, precisava che «la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria». Da qualche parte, dunque, ci sono documenti che non si vuole rendere noti. Perché?
      Quanto all’ipotetico cavillo usato per trasferire la Sea Watch copn i suoi 47 naufraghi improvvisamente da Siracusa a Catania, emerge un dettaglio da un documento della prefettura di Siracusa, che come è noto risponde al Viminale. La lettera, visionata da “Avvenire”, è del 31 gennaio 2019, giorno in cui la nave ricevette l’ordine di lasciare le acque antistanti il “Porto Rifugio” di Siracusa per recarsi, scortata da Guardia costiera e Guardia di finanza, verso Catania. La missiva, indirizzata al presidente e al procuratore del Tribunale dei minorenni, rivela che la nave è stata dirottata «proprio in ragione della presenza di minori a bordo che in quella sede saranno immediatamente accolti in idonee strutture. Diversamente da quanto sarebbe avvenuto in questa provincia, ove non si dispone di centri destinati ai minori in argomento». Sarebbe questo, dunque, uno dei grimaldelli adottati per sottrarre la Sea Watch alla procura di Siracusa - che aveva escluso irregolarità commesse in mare dall’equipaggio - consegnando la nave umanitaria alla procura di Catania, mai stata tenera con le Ong. Il procuratore Zuccaro (Catania) ha però dato ragione alle indagini del collega Scavone (Siracusa) non ravvisando comportamenti illeciti dell’equipaggio.

      I fatti emersi in questi giorni hanno provocato la reazione del Comune di Siracusa, accusato di non avere a disposizione luoghi di accoglienza per minori non accompagnati. «Bisognerà far chiarezza su come si sono svolti i fatti», afferma Alessandra Furnari, assessore alle Pari opportunità sociali. Su richiesta del Tribunale dei minorenni erano invece state individuate strutture adeguate presenti nel comprensorio. «Sul trasferimento dei minori a Catania – prosegue l’assessore Furnari - non abbiamo mai avuto notizie ufficiali, ma solo colloqui telefonici con la prefettura». Scambi verbali senza che mai «la prefettura – insiste l’assessore - desse riscontro per iscritto». Una costante durante quei giorni ad alta tensione. «Ciò che ha caratterizzato tutta la vicenda - osserva il sindaco di Siracusa, Francesco Italia – è stata proprio l’assenza di risposte formali». Come se si avesse il timore di lasciare tracce. «In tutti gli sbarchi avvenuti a Siracusa precedentemente – ricorda Italia – i minori sono sempre stati accolti nelle strutture di II livello (le stesse predisposte per la Sea Watch, in linea con l’ordine del tribunale), senza che ciò creasse alcun problema». Per il primo cittadino c’è una sola spiegazione: «Si è trattato di decisioni di tipo politico».
      Ora a Siracusa attendono solo una convocazione da parte dei magistrati inquirenti. «Non abbiamo alcun problema a raccontare quello che è successo», ribadisce l’assessore Alessandra Furnari. E a differenza del muro di gomma eretto nei ministeri, le accuse della giunta possono essere «documentalmente provate, perché molti rapporti con il tribunale e con la prefettura, almeno da parte nostra, sono avvenuti per iscritto».

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sea-watch-inchiesta-su-atti-top-secret

    • Migrants on hunger strike in Malta after stuck for 2 months

      Many of the 49 people rescued in December by the #Sea_Watch and #Sea_Eye ships are engaged in a hunger strike, the platform Mediterranea Saving Humans reports. The migrants have been in a Malta center for two months and are protesting “against the de facto detention that they are illegally subjected to.”

      https://www.infomigrants.net/en/post/15616/migrants-on-hunger-strike-in-malta-after-stuck-for-2-months
      #Malte #grève_de_la_faim #attente #limbe #détention #Marsa

    • Migranti, la nave ong Alan Kurdi diretta a Malta. Esposto di Mediterranea contro il governo

      Dopo il rifiuto delle madri con figli di sbarcare a Lampedusa senza i loro mariti. La Procura di Agrigento dovrà aprire un fascicolo sulla mancata autorizzazione a entrare in acque italiane e la non assegnazione di un porto sicuro. E il capitano De Falco andrà sulla nave che partirà verso la Libia per soccorrere naufraghi

      https://www.repubblica.it/cronaca/2019/04/06/news/migranti-223409223

    • Italy’s prime minister and Matteo Salvini under investigation over detention of migrants

      Far-right politician Matteo Salvini and Italy’s prime minister Giuseppe Conte have been placed under investigation over the detention of 47 migrants.

      Mr Salvini said he was once again under investigation for alleged false imprisonment on Monday after a dispute earlier this year over whether the interior minister and Lega Nord party leader should be tried over the detention of 177 asylum seekers last August.

      The current case concerns the decision to prevent migrants from leaving a Sea-Watch ship, which rescued them off the coast of Libya on 19 January.

      Deputy prime minister Luigi Di Maio and infrastructure minister Danilo Toninelli, also face charges with Mr Salvini and Mr Conte.

      The 47 migrants were forced to wait off the coast of Sicily for more than a week after the ship was denied the right to dock in Palermo, inspiring an emergency appeal to the European Court of Human Rights and criticism from the United Nations.

      The Sea-Watch ship was only allowed to dock after other European countries agreed to accept the migrants.

      In March, senators stopped a criminal case against Mr Salvini for blocking a rescue ship in August 2018 after an Italian court ruled that he should be tried.

      Mr Salvini has repeatedly berated rescue ships and accused charitable organisations of aiding and abetting illegal immigration.

      “I am under investigation again, but as long as I am the interior minister, the government colleagues can say what they want, the Italian ports remain closed,” he said, maintaining his hardline stance on immigration.

      “Another 18 criminal proceedings can be opened, I don’t change my mind."

      Before the senate vote on Mr Salvini’s case in March, Mr Conte and Mr Di Maio, who leads the Five Star Movement (M5S), formally defended the minister.

      “If Salvini is responsible for the seizure [of the boat] then the whole government is responsible,” they said in a statement.

      Giorgia Linardi, a spokesperson for Sea-Watch in Italy, said the organisation had worked within the law and the boat was unjustly detained.

      “The detention on board for propaganda purposes cannot once again be unjustified, because it is protected be politics,” she said.

      “People fleeing Libya must be rescued and protected, not exploited.”

      The court will reportedly have three months to decide whether the four politicians should face trial.

      If the court decides to bring charges, the senate will vote on whether their parliamentary immunity should be removed.

      https://www.independent.co.uk/news/world/europe/matteo-salvini-italy-prime-minister-conte-migrants-detention-a8872301

  • Mineur⋅e⋅s isolé⋅e⋅s : Mettre chacun devant ses responsabilités [Actions collectives] ⋅ GISTI
    https://www.gisti.org/spip.php?article6032#nh2

    Une délégation se rend ce mardi 20 novembre à l’Elysée pour remettre les témoignages sur les MIE publiés sur Médiapart établissant la maltraitance dont sont l’objet les mineurs isolés étrangers de la part des Conseils départementaux et de l’État.

    https://blogs.mediapart.fr/jeunes-isoles-etrangers/blog
    #MIE #mineurs_isolés_étrangers #Gisti #maltraitance #exclusion #racisme @cdb_77

  • Dimenticati ai confini d’Europa

    L’obiettivo della ricerca è dare voce alle esperienze dei migranti e dei rifugiati, per rendere chiaro il nesso tra quello che hanno vissuto e le politiche europee che i governi hanno adottato.
    Il report si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia. Ciò che emerge chiaramente è che il momento dell’ingresso in Europa, sia che esso avvenga attraverso il mare o attraverso una foresta sul confine terrestre, non è che un frammento di un viaggio molto più lungo ed estremamente traumatico. Le rotte che dall’Africa occidentale e orientale portano fino alla Libia sono notoriamente pericolose, specialmente per le donne, spesso vittime di abusi sessuali o costrette a prostituirsi per pagare i trafficanti.

    Il report mostra che alle frontiere dell’Unione Europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani. L’assenza di vie legali di accesso per le persone bisognose di protezione le costringe ad affidarsi ai trafficanti su rotte che si fanno sempre più lunghe e pericolose. I tentativi dell’UE e degli Stati Membri di chiudere le principali rotte non proteggono la vita delle persone, come a volte si sostiene, ma nella maggior parte dei casi riescono a far sì che la loro sofferenza abbia sempre meno testimoni.


    http://centroastalli.it/dimenticati-ai-confini-deuropa-2
    #Europe #frontières #asile #migrations #droits_humains #rapport #réfugiés #Sicile #Italie #Malte #Grèce #Roumanie #Croatie #Serbie #UE #EU #femmes #Libye #violence #violences_sexuelles #parcours_migratoires #abus_sexuels #viol #prostitution #voies_légales #invisibilisation #invisibilité #fermeture_des_frontières #refoulement #push-back #violent_borders #Dublin #règlement_dublin #accès_aux_droits #accueil #détention #mouvements_secondaires

    Pour télécharger le rapport :
    https://drive.google.com/file/d/1TT9vefCRv2SEqbfsaEyucSIle5U1dNxh/view

    ping @isskein

    • Migranti, il Centro Astalli: “È emergenza diritti umani alle frontiere d’Europa”

      Assenza di vie di accesso legale ai migranti forzati, respingimenti arbitrari, detenzioni, impossibilità di accedere al diritto d’asilo: è il quadro disegnato da una nuova ricerca della sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati.

      S’intitola “Dimenticati ai confini d’Europa” il report messo a punto dal Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, che descrive, attraverso le storie dei rifugiati, le sempre più numerose violazioni di diritti fondamentali che si susseguono lungo le frontiere di diversi Paesi europei. La ricerca, presentata oggi a Roma, si basa su 117 interviste qualitative realizzate nell’enclave spagnola di Melilla, in Sicilia, a Malta, in Grecia, in Romania, in Croazia e in Serbia.

      Il report, si spiega nella ricerca, «mostra che alle frontiere dell’Unione europea, e talora anche a quelle interne, c’è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani». Secondo padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la ricerca mette bene in luce come l’incapacità di gestire il fenomeno migratorio solitamente attribuita all’Ue, nasca anche dalla «volontà di tanti singoli Stati che non vogliono assumersi le proprie responsabilità» di fronte all’arrivo di persone bisognose di protezione alle loro frontiere, al contrario è necessario che l’Europa torni ad essere «il continente dei diritti, non dobbiamo perdere il senso della nostra umanità». «Si tratta di una sfida importante - ha detto Ripamonti - anche in vista delle prossime elezioni europee».

      A sua volta, padre Jose Ignacio Garcia, direttore del Jesuit Refugee Service Europa, ha rilevato come «gli Stati membri dell’Ue continuano ad investire le loro energie e risorse nel cercare di impedire a migranti e rifugiati di raggiungere l’Europa o, nel migliore dei casi, vorrebbero confinarli in ‘centri controllati’ ai confini esterni». «La riforma della legislazione comune in materia d’asilo, molto probabilmente – ha aggiunto - non verrà realizzata prima delle prossime elezioni europee. I politici europei sembrano pensare che se impediamo ai rifugiati di raggiungere le nostre coste, non abbiamo bisogno di un sistema comune d’asilo in Europa».

      La fotografia delle frontiere europee che esce dalla ricerca è inquietante: violazioni di ogni sorta, violenze, detenzioni arbitrarie, respingimenti disumani, aggiramento delle leggi dei singoli Paesi e del diritto internazionale. Un quadro fosco che ha pesanti ricadute sulla vita dei rifugiati già provati da difficoltà a soprusi subiti nel lungo viaggio. «Il Greek Council for Refugees – spiega la ricerca - ha denunciato, nel febbraio del 2018, un numero rilevante di casi di respingimenti illegali dalla regione del fiume Evros, al confine terrestre con la Turchia. Secondo questa organizzazione, migranti vulnerabili come donne incinte, famiglie con bambini e vittime di tortura sono stati forzatamente rimandati in Turchia, stipati in sovraffollate barche attraverso il fiume Evros, dopo essere stati arbitrariamente detenuti in stazioni di polizia in condizioni igieniche precarie». Secondo le testimonianze raccolte in Croazia e Serbia, diversi sono stati gli episodi di violenze fisiche contro rifugiati e di respingimenti immediati da parte della polizia di frontiera.

      E in effetti nel nuovo rapporto del Centro Astalli, più dei soli dati numerici e dei carenti quadri normativi ben descritti, a colpire sono i racconti degli intervistati lungo le diverse frontiere d’Europa. Un ragazzo marocchino, in Sicilia, per esempio ha raccontato «di come i trafficanti gli abbiano rubato i soldi e il cellulare e lo abbiamo tenuto prigioniero in un edificio vuoto con altre centinaia di persone per mesi». «Durante il viaggio – è ancora la sua storia – i trafficanti corrompevano gli ufficiali di polizia e trattavano brutalmente i migranti». Nel corso di un tentativo di attraversamento del Mediterraneo ricorda poi di aver sentito un trafficante dire a un altro: «Qualsiasi cosa succeda non mi interessa, li puoi anche lasciar morire».

      Ancora, una ragazza somala di 19 anni, arrivata incinta in Libia, ha raccontato di come il trafficante la minacciasse di toglierle il bambino appena nato e venderlo perché non aveva la cifra richiesta per la traversata. Alla fine il trafficante ha costretto tutti i suoi compagni di viaggio a pagare per lei ma ci sono voluti comunque diversi mesi prima che riuscissero a mettere insieme la somma richiesta. Storie che sembrano provenire da un altro mondo e sono invece cronache quotidiane lungo i confini di diversi Paesi europei.

      Infine, padre Ripamonti, in merito allo sgombero del centro Baobab di Roma che ospitava diverse centinaia di migranti, ha osservato che «la politica degli sgomberi senza alternative è inaccettabile». Il Centro Astalli «esprime inoltre preoccupazione anche per le crescenti difficoltà di accesso alla protezione in Italia: in un momento in cui molti migranti restano intrappolati in Libia in condizioni disumane e il soccorso in mare è meno efficace rispetto al passato, il nostro Paese ha scelto di adottare nuove misure che rendono più difficile la presentazione della domanda di asilo in frontiera, introducono il trattenimento ai fini dell’identificazione, abbassano gli standard dei centri di prima accoglienza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/13/vaticaninsider/immigrazione-il-centro-astalli-c-unemergenza-diritti-umani-alle-frontiere-deuropa-v3qbnNIYRSzCCQSfsPFBHM/pagina.html

  • #malta Rocks #blockchain Summit
    https://hackernoon.com/malta-rocks-blockchain-summit-ff4a53681ff7?source=rss----3a8144eabfe3---

    2018 was an undeniably tough year for crypto — whichever way you slice and dice it, the industry as a whole felt it. Whether you’ve been dabbling in BTC for years or bought your first stash of Satoshi in late 2017, the last 12 months have been a challenging period. That said, the visionary vibe of this Maltese Summit was a stark contrast to a glum past year.No longer were people fixated on price and Bitcoin Futures contracts, instead, the focus was on building future-proofed projects, sustainable development and working with, not against regulators — leaving even the cynics giddy with optimism for the future.A packed crowd at the Main Stage.The Coinweb team landed in Malta on Hallows Eve. No ghosting here. Over 8,500 crypto enthusiasts occupied over three floors of the Intercontinental Hotel, (...)

    #cryptocurrency #regulation

  • Protection de l’enfance : mouvement d’inquiétude dans le Nord - Libération
    https://www.liberation.fr/france/2018/11/06/protection-de-l-enfance-mouvement-d-inquietude-dans-le-nord_1690263

    Mardi après-midi, quelque 650 agents de l’Aide sociale à l’enfance ont manifesté devant l’hôtel du département, à Lille. Ils s’alarment d’un manque de moyens qui aboutit à la mise en danger de ceux qu’ils sont censés protéger.

    A chaque fois qu’elle parle de lui, Luisa (1) a l’estomac noué, et la mine légèrement déconfite, rongée par l’angoisse et la culpabilité. Son propos est grave : « Tous les matins je me réveille en pensant à lui et je me demande si aucun drame n’est arrivé dans la nuit. » Luisa, 48 ans, est assistante socioéducative à l’Aide sociale à l’enfance (ASE) de Roubaix. Depuis quatre mois, elle tâche désespérément de trouver une place en foyer pour Malo, 14 ans, en « danger immédiat » dans son milieu familial. Cet été, le tribunal pour enfants de Lille a ordonné son placement dans un lieu sûr : « Malo vit seul avec sa mère suicidaire. Elle n’est malheureusement plus en mesure de prendre soin de lui, détaille Luisa. Son fils est livré à lui-même dans une maison mortifère. La situation est devenue trop dangereuse pour lui. » Problème : malgré la décision judiciaire de placement, Malo habite toujours chez sa mère car il ne reste plus aucune place de disponible pour lui en structure d’accueil. « La faute au département du Nord et à son président Jean-René Lecerf [divers droite] », selon Luisa, auquel elle reproche d’avoir « fait le choix » de supprimer 700 lits de foyers sur les 5 000 existants sur la période 2015-2018 (un lit coûte en moyenne 55 000 euros par an et par enfant). Une politique d’économies budgétaires lourde de conséquences pour les agents de l’ASE chargés de l’exécution des placements : aujourd’hui, un enfant peut attendre des jours, des semaines voire de mois dans sa famille avant qu’on ne lui trouve une solution. « Si la mère de Malo se suicide dans la semaine avec son gamin à la maison, qui est responsable ? » s’alarme-t-elle.

    Ce mardi après-midi, cette agente de l’ASE a manifesté aux côtés de 650 collègues devant les fenêtres de l’hôtel du département, à Lille, afin d’obtenir des « moyens concrets » pour pouvoir assurer la protection de « l’ensemble des enfants du territoire en péril dans leur environnement familial ». Des collègues venus des Unités territoriales de prévention et d’action sociale de Lille, Tourcoing, Wasquehal, Mouvaux, Haubourdin, Lambersart, Anzin, Saint-Amand-les-Eaux, Gravelines. Ils ont démarré le mouvement de protestation début octobre par une grève de dix jours, accusant le département de « non-assistance à enfants en danger ».

    Record de placements

    Car l’histoire de Malo n’est plus exceptionnelle. Dans l’agglomération lilloise, les situations dramatiques se sont accumulées. A Lille-Moulins, un nouveau-né a été « maintenu » quasiment deux mois à la maternité car aucune famille d’accueil n’est disponible dans le secteur, et reste pour l’heure en pouponnière. Faute de places définitives, Tom et Marine, frère et sœur de six et neuf ans, se font ballotter de foyer en foyer et rejoindront la semaine prochaine leur quatrième structure en l’espace de six mois. Martin, huit ans, vit pour sa part toujours chez ses parents malgré la décision de placement pour « négligences et maltraitances psychologiques » prise il y a quatre semaines. Même situation alarmante du côté d’Alice, seize ans, victime de violences physiques épisodiques par son père mais toujours logée sous son toit. Sans compter ces adolescents fugueurs qui décident un matin de frapper à la porte de l’ASE mais qui disparaissent dans la nature le soir venu, démoralisés de constater qu’aucune solution n’a pu leur être proposée. Ils ne reviennent jamais le lendemain.

    Selon les derniers chiffres officiels, le Nord est le département français qui enregistre le plus de mesures de placement (10 400 en 2015), bien loin devant le Pas-de-Calais (6 400) et la Seine-Saint-Denis (4 600). Sandrine, une collègue de Luisa : « Malheureusement, sur notre territoire, tous les signaux sociaux sont au rouge et nous conduisent inévitablement à un nombre très élevé de placements judiciaires. Beaucoup de familles sont en grosse difficulté économique. Certains quartiers détiennent des records en matière de taux de pauvreté et de taux de chômage. Des parents accablés sombrent dans la dépression, l’alcool, la drogue, et négligent leurs mômes sans vraiment s’en rendre compte, ou les maltraitent dans les pires cas. C’est justement à l’Aide sociale à l’enfance de proposer à ces enfants un avenir plus lumineux. On ne peut pas les abandonner à leur sort. Ou les balader de foyer en famille d’accueil alors qu’ils ont besoin de sécurité et de stabilité. Parfois, il m’arrive de me dire que nous sommes devenus plus maltraitants que ce qui se passe dans ces familles. »

    Rien que pour le secteur de Roubaix-Ville, 22 enfants sont actuellement en attente de placement. Pour la ville de Wasquehal, les agents de l’ASE en évoquent au moins dix. A Tourcoing-Mouvaux, le chiffre monte à 24 pour le mois d’octobre. Et le phénomène risque d’empirer : « Lors de la fermeture des 700 lits, on a essayé de replacer le plus d’enfants dans des familles d’accueil. Sauf que ces familles d’accueil ne se démultiplient pas à l’infini. Aujourd’hui, plus aucun assistant familial n’est disponible non plus, alerte Marie, assistante socioéducative de 28 ans. Certains ont le profil pour être épanouis en famille d’accueil, d’autres sont plus heureux en foyer. Il y a encore quelques années, on cherchait une place adaptée pour chaque gamin. Aujourd’hui, on cherche juste une place. Il n’y a plus de projet de fond, on ne fait plus que de la mise à l’abri », résume Rose, travailleuse sociale depuis dix ans.

    L’offre et la demande

    La mission est loin d’être évidente. D’après les travailleurs sociaux, l’ASE du Nord fonctionne désormais sur le modèle de l’offre et de la demande : les foyers, en position de force, peuvent se permettre de « choisir » les enfants qu’ils accueilleront. Les jeunes aux profils les plus complexes (problèmes psychologiques ou psychiatriques graves) deviennent des « incasables ». Et les lieux de placement ne se gênent plus pour procéder à des « fins de prise en charge » entraînant le retour immédiat de l’enfant dans son environnement familial, sans information ni autorisation préalable du juge pour enfants. « Chaque unité territoriale de prévention et d’action sociale en vient à se concurrencer et à devoir vendre la détresse de l’enfant dont il est référent pour obtenir la place en foyer, déplore Rose. On doit limite montrer le CV du môme et justifier pourquoi il mérite plus la place qu’un autre, pourquoi il ne décevra pas les éducateurs et se comportera de manière respectueuse etc. Nous sommes le service public, c’est ubuesque ! »

    D’un point de vue juridique, le département du Nord se trouve de fait dans une situation strictement illégale. « Lorsqu’on ordonne le placement d’un mineur, celui-ci doit être exécuté immédiatement. Si le département n’applique nos décisions que des mois plus tard, il est dans l’illégalité la plus totale », pointe Judith Haziza, juge pour enfants à Lille et déléguée régionale du Syndicat de la magistrature. Par voie de communiqué, le Syndicat a apporté son soutien officiel au mouvement social, « considérant que le manque de moyens matériels et humains alloués par le département à la protection de l’enfance a une incidence directe sur l’exécution des décisions de justice. » « Ce n’est pas à la justice d’adapter ses jugements en fonction du nombre de places disponibles en structures d’accueil. C’est à la politique départementale de s’adapter à la réalité du territoire et à nos décisions », souligne Judith Haziza.

    Désarroi

    Fin octobre, lors d’une conférence de presse, Jean-René Lecerf s’était défendu en expliquant qu’il n’avait pas supprimé mais « transformé » ces 700 lits en « 350 places pour les mineurs non accompagnés et 350 places en soutien éducatif à domicile ». Doriane Bécue, vice-présidente chargée de l’enfance du département avait pour sa part confirmé vouloir « réformer le système en privilégiant le préventif plutôt que le curatif ». Contacté par Libération, le département du Nord a simplement ajouté qu’il « souhaitait éviter la séparation par un placement et inverser la tendance en "réparant" les familles ». Judith Haziza : « Concrètement, depuis trois ans, qu’est-ce qui a été mis en place pour augmenter les moyens de la prévention ? On n’en voit aucun résultat. A l’heure actuelle, le nombre de saisines judiciaires dans notre tribunal ne diminue toujours pas. »

    Tout le désarroi des agents de l’ASE du Nord se trouve là : ils sont asphyxiés, coincés entre l’impossibilité de placer les enfants et l’incapacité d’intervenir correctement en « prévention éducative ». L’argent n’est nulle part, la bricole, quotidienne. Et les répercussions sur les enfants plus que préoccupantes. « Aujourd’hui, le département nous dit qu’on sauvera les jeunes par la prévention. C’est bien joli, mais on n’a aucun gros moyen pour le faire, donc on ne le fait pas, ou mal, explique Hélène, assistance sociale. Il faut détecter au plus tôt les négligences en famille. Le manque de stimulation pour la tranche d’âge 0-3 ans peut être irrévocable à vie. De même, un enfant victime de maltraitance risque de reproduire le même schéma une fois adulte. Plus on tarde à les placer, plus on les récupère profondément abîmés. » Et de conclure, en forme d’avertissement : « Si ces enfants ne sont pas protégés, ils n’arriveront pas à s’insérer dans la société. Ils auront besoin d’aides financières, de suivi médical et psychologique à vie. Tout cela coûte cher. Le département veut faire des économies ? Il fait un très mauvais calcul. »

    (1) A la demande des intéressés, tous les noms ont été modifiés.

    Les juges de Bobigny aussi

    Tandis que la colère gronde dans le Nord contre le manque de moyens humains et matériels affectés à l’Aide sociale à l’enfance pour exécuter les décisions de justice, la sonnette d’alarme a également été tirée en Seine-Saint-Denis. Dans une tribune publiée ce lundi par le Monde et France Inter, les quinze juges des enfants du tribunal de grande instance de Bobigny ont lancé un « appel au secours » et dénoncé « la forte dégradation » des dispositifs de protection de l’enfance. « Des mineurs en détresse ne peuvent ainsi plus recevoir l’aide dont ils ont besoin, faute de moyens financiers alloués à la protection de l’enfance par le conseil départemental, tributaire en partie des dotations de l’Etat », ont-ils écrit. Ce à quoi la ministre de la Justice, Nicole #Belloubet, a répondu : « Je ne nie pas la responsabilité de l’Etat, mais je dis que la mise en œuvre des décisions de nature civile comme celles dont vous me parlez qui concernent les enfants, cela appartient aux départements. » Retour à l’envoyeur, en somme.
    Anaïs Moran envoyée spéciale à Roubaix, Photos Antoine Bruy. Tendance Floue

    #ASE #protection_de_l_enfance #maltraitance #conseil_départemental #nord #seine_st_denis #état #manifestations #juge_pour_enfants

  • CE FIL DE DISCUSSION EST LA SUITE DE CELUI-CI :
    https://seenthis.net/messages/688734

    v. aussi la métaliste sur ce sujet :
    https://seenthis.net/messages/733721

    –----------------

    Traversée des Alpes : un aperçu du calvaire vécu par des milliers d’exilés

    Pour se rendre compte des risques que prennent les réfugiés qui traversent, au dessus de Briançon, la frontière entre l’Italie et la France, une journaliste a pris le même chemin, de nuit, pour éviter les patrouilles de police et de gendarmerie. Voici son récit.

    Pour atteindre la France par la frontière de Montgenèvre, ceux que l’on désigne comme « les migrants » doivent affronter les Alpes en évitant d’être pris par les patrouilles de police ou de gendarmerie, qui entravent régulièrement les droits des réfugiés à demander l’asile (lire notre enquête à ce sujet). Afin de nous rendre compte de la dangerosité de ce parcours singulier, nous avons accompli cette traversée. L’une d’entre nous – non habituée de la montagne – a tenté d’atteindre Briançon tandis que l’autre assurait ses arrières en cas de complications sur le chemin ou d’arrestation.

    Nous avions au préalable repéré les chemins « du bas », habituellement empruntés par les « clandestins », et listé les parcours dangereux à éviter. Un « luxe » dont ne peuvent se prévaloir les personnes qui se risquent en haute montagne en espérant se réfugier en France. Voici le récit de notre « migrante improvisée ». Nous avons aussi consigné son parcours sur la carte ci-dessous. les lieux d’accueil et les cols par lesquels passent les exilés, ainsi que les dangers auxquels ils font face.

    « Je prends le départ de Clavière le 3 octobre, à 18 h. Il fait beau. Je ne suis pas rassurée pour autant : j’ai l’impression d’aller vers l’inconnu, vers une barrière minérale écrasante. Alors qu’on aperçoit au loin, à travers les arbres, la Police aux frontières (PAF) de Montgenèvre, je dois m’accroupir. Je suis quasiment à découvert. Deux silhouettes de policiers scrutent l’horizon. Je dois attendre qu’un gros camion de transport de marchandises s’arrête devant eux pour poursuivre mon chemin. Au fur et à mesure que j’avance, je vois, jetés sur le sol, des vêtements et des papiers déchirés. Un groupe vient de me précéder. J’ai l’impression de suivre le petit Poucet ! Ma boule au ventre s’est dissipée. J’ai trouvé ma « vitesse de croisière » et commence à grimper dans une clairière alors que la nuit tombe.
    « En contrebas, des halos de lumière balaient le bois »

    Une fois en haut, j’aperçois l’ombre d’un homme, assis sur un talus surplombant une piste. Je le reconnais immédiatement grâce à son bob de couleur kaki assorti à son pantalon. Il s’agit du même homme en civil que nous avons observé à la longue-vue en début d’après-midi, vers 14h, alors que nous nous trouvions sur les hauteurs de Montgenèvre. Lui-même et un autre « civil » livraient cinq jeunes noirs – agenouillés au sol avec les mains sur la tête – à des gendarmes en uniforme. « Bob » donc, est assis sur un talus. « Bonsoir ! Que faites-vous ici si tard ? », lui dis-je aussitôt d’un air guilleret. « Je fais de la randonnée de nuit », me répond-il. « Moi aussi ! », rétorquais-je amusée. Puis, nous échangeons des banalités sur la météo, le temps de remarquer son sac à dos et les jumelles high-tech posées à côté de lui. « Au fait, quelle est votre profession ? », me demande-t-il alors que je m’apprête à le quitter. « Formatrice ! Et vous ? ». « Plasticien », bafouille-t-il. « Bob » était encore en poste de surveillance !

    Le secteur est quadrillé. Il n’est que 20 h, trop tôt pour risquer de me faire arrêter. Instinctivement, je m’engouffre dans le bois qui longe les pistes, grimpe la pente me retrouve sur un chemin rocailleux qui prend de l’altitude. Essoufflée, j’ai besoin de faire une pause. A peine adossée à un arbre, je perçois des éclats de voix et l’aboiement d’un chien. En contrebas, des halos de lumière balaient le bois. Pas de répit : j’accélère le pas et continue de monter à marche forcée, franchissant un lacet après l’autre, interminables. La nuit est noire et je n’y vois pas à 5 m.

    Vers 23h, je passe à vive allure devant les tourniquets d’un télésiège surmonté d’un panneau. Dans la pénombre, je distingue « Les Gondrans » inscrit en grosses lettres. Je poursuis ma route, et discerne les contours d’une bâtisse à droite, puis une autre à gauche devant laquelle stationnent des véhicules militaires. Finalement, je débouche sur un chantier de terrassement, près d’un lac. Ne sachant plus quel chemin prendre, j’allume mon smartphone afin de me géolocaliser.

    L’écran de mon téléphone m’éblouit. Le temps que mes yeux s’habituent de nouveau à l’obscurité, j’entends dans le silence de la nuit, un son très proche, comme des chutes d’eau. Je choisis la première piste qui descend avant de me retrouver devant le tourniquet d’un télésiège... Sans même m’en rendre compte, j’étais retournée sur mes pas. La nuit, tous les chemins sont gris !
    « Je suis perdue, je rebrousse chemin, les larmes aux yeux »

    Je dévale donc la montagne, aussi vite que je peux car chaque pas devient une vraie torture. Je ne peux pas m’arrêter, au risque de ne plus pouvoir marcher. Arrivée au bas de ce satané chemin rocailleux, je tourne sur un sentier qui s’enfonce dans la forêt. Je n’avais qu’une idée en tête : rejoindre le GR5, le chemin de randonnée balisé jusqu’à Briançon. Mais c’est sans compter la peur sournoise qui, petit à petit, altère mon discernement. Sans même m’en apercevoir, je traverse le GR5 et poursuis dans une direction erronée. Je croise un panneau en bois pourri qui indique Les Alberts. Ce dernier nom ne m’est pas inconnu : Alpha, le « migrant inconnu », avait été retrouvé mort au mois de mai à proximité de ce hameau. Je continue de marcher, pour me retrouver, au bout de plus d’une heure de marche, dans une petite clairière en-cul-de-sac. Le sentier s’est volatilisé !

    Une fois de plus, je suis perdue. Je rebrousse chemin, les larmes aux yeux, commençant à désespérer. Mes jambes ne me portent plus. Chaque cailloux fait l’effet d’une braise ardente sous mes pieds. Je me suis alors souvenu d’un repère indiqué par l’ami guide qui m’a rapidement initiée. « N’oublie pas que la Durance [la rivière qui prend sa source à Montgenèvre pour se jeter dans le Rhône à Avignon] est en contrebas du GR5 et que de là, tu verras la route nationale. » Je m’arrêtes donc et tends l’oreille. J’’entends alors le clapotis rassurant d’un cours d’eau. Pour en avoir le cœur net, je coupe à travers bois, et dévale une pente raide sur mon postérieur.

    Effectivement, la rivière se trouve en contrebas, et je peux enfin apercevoir les lumières de la nationale. Je n’ai plus qu’à suivre le torrent, en sens inverse du courant. Je finis par traverser un pont. Il ne me reste plus qu’à dévaler la pente pour retrouver mon confrère. Ce dernier m’attend, mort d’inquiétude, sur un parking de Montgenèvre. Il est 2h du matin. Je suis totalement épuisée. J’ai seulement ressenti un peu du calvaire enduré par les réfugiés qui tentent cette traversée, énième périlleuse étape sur le chemin de l’exil. »

    https://www.bastamag.net/Traversee-des-Alpes-un-apercu-du-calvaire-vecu-par-des-milliers-d-exiles

    #migrations #asile #réfugiés #Alpes #frontière_sud-alpine #Briançon #Mongenèvre #Hautes_Alpes #Briançonnais #Claviere #Clavière #Italie #France #frontières

    • Humiliations, mises en danger, violences : enquête sur les #abus_policiers contre les migrants

      Le #procès des « #7_de_Briançon », poursuivis après leur participation à une manifestation contre l’action à la frontière des militants d’extrême-droite de Génération identitaire, démarre ce 8 novembre. Le tout sur fond de crise franco-italienne, après l’intrusion récente côté italien de gendarmes français refoulant des migrants. Au quotidien, sur les chemins alpins qui relient les deux pays, les réfugiés voient leurs droits piétinés, subissent des courses poursuites dangereuses, des humiliations et même des #violences de la part des forces de l’ordre. Du point de vue des migrants, peut-on encore parler d’#État_de_droit ?

      « Nous gérons ensemble une frontière commune et il y a ponctuellement, des deux côtés, de petits incidents regrettables. » Par ces mots diffusés dans la presse le 16 octobre, l’Élysée tentait de minimiser une #crise_diplomatique en train de gonfler avec l’#Italie [1]. Le 12 octobre, deux gendarmes français étaient surpris par la police italienne sur la commune de #Clavière, en train de déposer en camionnette, côté italien, deux réfugiés, ce qui déclencha l’ire de Matteo #Salvini, le ministre de l’Intérieur issu du parti d’extrême droite La Ligue. Résultat, depuis le 20 octobre, des patrouilles de la police italienne gardent la frontière à l’entrée du village de Clavière, sur la route de Briançon à Turin.
      #militarisation_des_frontières

      Cette frontière a vu passer, depuis un peu plus de deux ans, des milliers d’exilés à la recherche d’un avenir meilleur. Pour éviter les forces de l’ordre et le poste de la #police_aux_frontières (#Paf) de #Montgenèvre, les migrants traversent à pied, par le #col_de_l’Échelle (1762 m) et, surtout depuis l’hiver dernier, par le #col_de_Montgenèvre (1854 m). Quand ils sont arrêtés, ils sont ramenés côté italien. La grande majorité retente alors la traversée, une deuxième, une troisième... et même parfois une dixième fois, jusqu’à atteindre #Briançon, un peu plus bas côté français. Au #Refuge_solidaire, lieu de premier accueil qui y est mis à disposition par la Communauté de communes, un peu plus de 6250 personnes sont passées depuis son ouverture en juillet 2017 [2]. Depuis des mois, des associations, notamment #Tous_migrants, dénoncent des pratiques policières violentes et illégales qui poussent les exilés à prendre toujours plus de risques en altitude.

      Saisis de cette alerte nous avons enquêté, autour de la frontière, sur ces possibles #violences_policières. Fin août une première fois, puis fin septembre et début octobre, nous avons d’abord circulé sur ces chemins en simples promeneurs. Nous avons ensuite complété nos observations par le recueil de plusieurs dizaines de récits d’exilés et de témoins oculaires. Enfin, des rapports d’ONG viennent confirmer la litanie des « incidents regrettables » constatés.

      Tourisme de masse et rejet des migrants

      Depuis les attentats de novembre 2015, la #France a rétabli les contrôles à sa frontière avec l’Italie. Ce qui se joue au cœur de la station de Montgenèvre apparaît comme un concentré des inégalités du monde. Skis aux pieds en hiver ou club de golf à la main en été, les touristes passent d’un pays à l’autre à leur guise. La traversée de Clavière à Briançon se fait sur 16 kilomètres de chemins. Pour un randonneur un peu expérimenté, c’est une belle demi-journée. Mais les migrants peuvent être amenés à prendre d’autres itinéraires, parfois plus en altitude, sur une durée de plusieurs jours, soumis aux dangers des accidents de terrain, du froid, de la déshydratation...

      Fatigués, ils descendent parfois à Montgenèvre, tels des papillons de nuit. Là, quelques habitants les mettent à l’abri. D’autres les dénoncent. « Je suis allé à un restaurant. Je demande : "Est-ce qu’il y a le numéro d’un taxi, je voudrais partir à la croix-rouge" », nous raconte Abdoulaye*, un Guinéen de 19 ans. Sans l’inquiéter, son interlocuteur le fait patienter. C’est finalement la police qui est venue le récupérer... D’autres s’offusquent des vêtements abandonnés en route par les migrants, en quantité pourtant infime par rapport aux deux tonnes de déchets déversés par les touristes sur les pistes de Montgenèvre, que des bénévoles ont ramassé au début l’été.

      Au moins par trois fois, cette frontière a tué. Début mai, #Blessing_Mathew, une jeune nigériane, se noie dans la #Durance. Elle aurait paniqué à cause d’une « course-poursuite » policière, accuse l’association Tous migrants. Le même mois, le corps d’un jeune homme, probablement mort d’épuisement, est retrouvé dans un bois proche du hameau des Alberts, sur la commune de Montgenèvre. Inconnu, les montagnards solidaires l’on dénommé #Alpha. Enfin, le corps de #Mohamed_Fofana, venu de Guinée Conakry, est découvert dans un vallon de Bardonecchia en Italie, après avoir passé une partie de l’hiver sous la neige [3]. Quand elle ne tue pas, la frontière peut aussi mutiler. L’hiver dernier, l’hôpital de Briançon a hospitalisé pour #gelures plus de 300 malheureux qui avaient tenté de braver la neige. Heureusement, les secours de la gendarmerie de haute montagne (#PGHM) et des CRS sauveteurs portent assistance à toute personne en détresse, sans distinction d’origine.
      #mutilations

      « Arrête-toi ou je te tue ! »

      La préfecture des Hautes-Alpes, rejette les accusations portées par les associations. « L’action conduite en matière de lutte contre l’immigration irrégulière est conforme en tout point aux règles de droit national, européen et international. Nous nous attachons à appliquer ces règles de droit avec humanité et discernement. Ces accusations reposent sur des supputations », nous indique-t-elle par courriel.

      Ce samedi 29 septembre, alors que nous cheminons en début d’après-midi, de Montgenèvre à Clavière, nous sommes pourtant témoins de faits donnant une autre vision de la situation. Au loin, deux « randonneurs » sortent du poste de la Paf. Allure sportive, t-shirts bleu ciel et lunettes de soleil. Dans le bois vers Clavière [4], au moment où nous croisons un groupe d’une dizaine de migrants originaires d’Afrique subsaharienne, l’un de ces deux « randonneurs » demande son chemin au premier migrant qu’il rencontre. Le second surgit alors en courant, comme sorti de nulle part. Il tient dans ses mains une perche en plastique bleu d’environ deux mètres, qui sert normalement au balisage d’une piste de ski. « Arrête-toi ou je te tue ! », hurle-t-il, juste avant de bousculer en passant l’une de nous deux. Il plaque ensuite un homme au sol. Nous constatons trois arrestations réalisées par les deux « randonneurs ». Les autres migrants se dispersent dans la forêt.

      Opération « anti-terroriste » au milieu des bois

      Au crépuscule, dans le même secteur, nous croisons un homme athlétique, tout de noir vêtu. « C’est la dame qui a été bousculée tout à l’heure ? », nous demande-t-il. Après avoir acquiescé, nous feignons la surprise, affirmant ne rien comprendre à la situation précédemment vécue. « Je suis de la gendarmerie. Nous menons une opération anti-terroriste à la frontière », annonce l’homme en noir. Puis il contrôle nos identités « par mesure de sécurité », avant de disparaître dans les bois. Dans sa réponse à nos interrogations, la préfecture ne nous a pas confirmé le cadre « anti-terroriste » de l’opération.

      Depuis le début de l’été, le recours à des #faux_randonneurs a déjà été constaté par des observateurs locaux. Nous avons eu un autre aperçu de cette pratique grâce à une observation réalisée à la longue-vue, de celles dont on se sert plutôt, habituellement, pour observer les chamois. Mercredi 3 octobre, à 16h10, nous nous trouvons sur un point surplombant le village de Montgenèvre. Deux hommes en civil – l’un couvert d’un bob et l’autre vêtu d’une veste sportive noire et orange – amènent cinq jeunes gens, dont la peau est noire, à des gendarmes en uniforme. « A cause de ces faux randonneurs, les migrants se méfient de tout le monde. Ils peuvent partir en courant quant on vient à leur rencontre pour les aider », explique un maraudeur solidaire.

      « Le gendarme l’a mis en joue »

      Après sa mésaventure au restaurant, Abdoulaye a tenté un deuxième voyage. « Nous avons pris la route à 14h. Un hélicoptère a survolé notre groupe, alors nous sommes restés cachés dans la brousse jusqu’à 21h. Ensuite, nous sommes montés. » Sa description indique que le groupe a emprunté le #col_des_Gondrans, à 2347 mètres d’altitude. Après une longue descente, par la route militaire du Janus, son groupe atteint Briançon au milieu de la nuit. Très choqué, après avoir emprunté le même chemin, Aïssa*, un jeune ivoirien, revient de loin. « J’ai cru que j’allais mourir ! Je ne pouvais plus respirer. Je crachais du sang et je n’arrivais plus à marcher », nous confie-t-il. Finalement ce sont des automobilistes qui l’ont secouru en appelant les pompiers.

      A la lumière de ces témoignages et de plusieurs dizaines d’autres, la #mise_en_danger des migrants semble évidente. Pour comprendre comment elle peut survenir, l’une d’entre nous – qui ne connaît pas la montagne – a entrepris la traversée mercredi 3 octobre. Cette « migrante improvisée » a pris des risques pour échapper à la police, s’est perdue de longues heures nocturnes et a éprouvé la peur et l’épuisement (retrouvez son récit dans cet autre article : https://www.bastamag.net/Traversee-des-Alpes-un-apercu-du-calvaire-vecu-par-des-milliers-d-exiles). La traversée des Alpes par les exilés relève d’une véritable prouesse périlleuse. Mais la #maltraitance qu’ils subissent peut s’avérer être encore plus grave.

      Nous avons rencontré une jeune habitante du Briançonnais, sous le choc d’avoir assisté à deux arrestations violentes. En début d’après-midi, le 2 octobre, « deux migrants couraient, poursuivis par des gendarmes en uniforme, raconte-t-elle. Un gendarme a fait un croche-patte à l’un d’eux. Un autre gendarme a mis-en-joue le second migrant. Il s’est alors mis à genoux, avec les mains sur la tête. Le gendarme l’a relevé et poussé violemment dans sa voiture banalisée ». Notre témoin confirme avoir vu une arme au bout du bras du gendarme. Ensuite, « le gendarme a donné un coup de pied au premier migrant arrêté sur le golf, alors qu’il était assis par terre. Il lui a également mis des #gifles. Avec un autre gendarme, ils ont fouillé son sac, et l’ont obligé à baisser son pantalon et à se mettre les fesses à l’air en public », afin de poursuivre la fouille.

      Violences et non-respect des droits ont lieu également à l’intérieur du poste de la Paf. « Nous avons quitté Clavière à 14h. Vers 7h du matin, nous étions presque arrivés à Briançon. Mais des policiers nous ont arrêtés et emmenés au poste [de la Paf] », raconte par exemple Moustafa* en anglais. Il est originaire de Sierra Léone. Avec lui, voyageait une personne se déclarant mineur. « J’ai dit : "Laissez au moins le mineur !" Il pleurait mais le policier n’en avait rien à faire. » Moustafa pensait que son jeune ami allait être protégé. La loi française oblige en effet les Conseils départementaux à mettre à l’abri tout mineur non accompagné. Il revenait donc aux services départementaux d’évaluer si cette personne était mineure ou non. « Ensuite, je voulais refuser de donner mes empreintes car je ne suis pas un criminel. Mais à ce moment là, j’ai vu un homme se faire frapper à la matraque parce qu’il refusait. Il avait le visage gonflé. » Une heure après avoir été arrêtés, Moustafa et son jeune compagnon sont déposés par une voiture de police, sous la pluie, « non loin de l’église de Clavière ».
      #MNA #mineurs_non_accompagnés

      Des migrants volés pendant leur arrestation ?

      Autre témoignage, tout aussi édifiant, celui de Moussa*, un malien de 16 ans. Nous l’avons rencontré dans un autre département où il vit désormais sous la protection de l’Aide sociale à l’enfance. Il a le regard d’une âme brisée et sa joue porte la cicatrice d’un coup violent. Le 4 août dernier, son groupe est très vite arrêté. Au poste de la Paf, il montre son acte de naissance, attestant de sa minorité (voir photo ci-dessous – cliquer pour l’agrandir). Les agents en prennent connaissance, mais le ramènent devant l’église de Clavière, en Italie. Moussa est formel, la Paf ne lui a remis aucun document, ni à lui ni à ses compagnons, alors qu’elle devait leur signifier officiellement un « refus d’entrée » [5], qu’ils devaient chacun signer. Comme beaucoup d’autres, ils n’ont pas vu la couleur de ce document, et les agents ne leur ont donné aucune information sur leur droits.

      Mais ce n’est pas tout : une fois revenu à Clavière, « j’ai fouillé mon sac, et j’ai vu qu’il manquait mon argent, 600 euros ! », témoigne Moussa. Idem pour Mario*, un jeune ivoirien du même groupe, qui déclare également que 200 euros ont disparu le même jour de ses affaires. Moussa rebrousse chemin avec Mario, en direction de la Paf. Vers minuit, ils arrivent à vingt mètres, côté italien, du panneau délimitant la frontière. A bord d’une voiture de police stationnée, se trouvent les mêmes agents qui les ont refoulés peu avant. Un « vieux aux cheveux gris » et « un grand baraqué », décrit Moussa. Celui-ci interpelle les policiers, et enregistre discrètement la conversation avec son téléphone. Nous avons pris connaissance de cet enregistrement lors de notre premier séjour au mois d’août. Des militants de #Chez_jésus, un lieu occupé pour accueillir les réfugiés, l’ont depuis mis en ligne, le 27 septembre.

      « La police, ils ont pris mon argent », accuse Moussa sur cet enregistrement. « T’accuses la police de #vol, ce soir t’es en garde-à-vue (...) Demain t’es dans un avion, (...) Paris-Tripoli, hein ! », répond l’un des policiers. Moussa insiste. Furieux, l’agent se fait encore plus menaçant : « Tu me traites encore une fois de voleur, je te jette là dedans. T’as compris ! » Mais Moussa poursuit sur sa lancée : « Vous volez mon argent. Comment je vais faire ? » A ces mots, le policier le saisit : « T’arrêtes de nous traiter de voleurs parce que je t’en colle une, hein ! » Le jeune malien rétorque : « C’est pas bon comme ça. C’est mon argent. T’as qu’à me tuer ! » Moussa déclare avoir alors reçu un coup dans le ventre de la part du « policier aux cheveux gris ». Mario, la voix haletante, tire Moussa en lui disant « Andiamo, andiamo » (on y va, on y va, en italien).

      Des forces de l’ordre en roue libre, des soutiens poursuivis

      Le type de faits que nous rapportons a également été constaté par une mission d’observation composée de douze associations pour les droits humains et les droits des étrangers [6], menée les 12 et 13 octobre 2018, et à laquelle participaient également des avocats. Selon ces constats, affranchies de tout respect de l’État de droit, les forces de l’ordre paraissent en roue libre. Dans un communiqué du 16 octobre, les ONG affirment que « de multiples violations des droits ont été constatées » et demandent que « cessent ces pratiques illégales et dégradantes ». En guise de première action judiciaire, onze référés libertés, dont huit pour des mineurs refoulés, ont été déposés devant une juridiction administrative. D’autres procédures devant des tribunaux sont annoncés.

      Pour l’heure, le procès qui retiendra l’attention sera celui de sept personnes solidaires des migrants qui se tiendra le 8 novembre à Gap. « Les 7 de Briançon » sont poursuivis pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière sur le territoire national et en bande organisée ». Ils risquent jusqu’à dix ans de prison et 750 000 euros d’amende. Leur tort ? Avoir participé à une manifestation, le 22 avril de Clavière à Briançon, qui dénonçait la présence des militants d’extrême droite de Génération identitaire [7]. Des personnes sans-papiers, retient le procureur, se trouvaient dans le cortège. Trois des prévenus, deux jeunes suisses et une italienne, avaient été arrêtés au soir de la manifestation et placés en détention provisoire durant neuf jours, à la prison des Baumettes à Marseille. Les quatre autres prévenus, de nationalité française, se sont vus signifier leur mise en examen lors d’une garde-à-vue en juillet. Avec leurs soutiens, ils comptent faire du rendez-vous de Gap le procès du « #délit_de_solidarité » et de la « militarisation de la frontière ».

      Alors que les premières neiges s’annoncent, les autorités italiennes et françaises font le choix de la fermeté. Le 10 octobre, la police italienne a expulsé les occupants de « Chez Jésus ». A Gap le 17 octobre, la préfecture a fait évacuer la Maison Cézanne. Propriété de la ville, elle était occupée par le collectif « Un toit un droit » pour l’hébergement de personnes sans-papiers. Malgré la répression, les personnes solidaires continuent de proposer des solutions. Le 19 octobre, un « centre social autogéré » a été ouvert à Gap par le collectif Cesaï, pour faire « face à la situation des exilés et laissés-pour-compte, et au vide culturel de la ville ». A la frontière, les montagnards solidaires s’organisent à nouveau. Durant les deux derniers hivers, leurs maraudes au col de l’Échelle et de Montgenèvre, auxquelles les autorités ont répondu par une cinquantaine de convocation à la police ou à la gendarmerie, avaient évité bien des drames.

      https://www.bastamag.net/migrants-refugies-route-police-violences-gap-alpes-briancon

      #anti-terrorisme #3+4_de_Briançon #violences_policières

    • Hautes-Alpes : huit migrants secourus à la frontière

      Huit migrants secourus hier soir, entre Clavière et Cervières. Le groupe a été localisé au #col_Saurel par les secours en montagnes italiens qui ont effectué l’intervention, informations de nos confrères du Dauphiné Libéré, ce matin. Selon le quotidien cinq personnes déjà secourues souffraient d’#hypothermie. Les trois autres devaient être également pris en charge.

      http://alpesdusud.alpes1.com/news/hautes-alpes/73181/hautes-alpes-huit-migrants-secourus-a-la-frontiere

    • Hautes-Alpes, frontière de tous les dangers

      Depuis deux ans et demi, des migrants empruntent la route périlleuse des Alpes pour venir en France. Ils tentent d’échapper aux interpellations et aux violences policières. Enquête sur la frontière.

      A Briançon, dans les Hautes-Alpes, le Refuge Solidaire, une ancienne caserne des CRS de secours en montagne mise à disposition par la Communauté de communes, ne désemplit pas. Comme chaque jour, un groupe de migrants vient d’arriver : des hommes jeunes, originaires d’Afrique noire. Ils sont exténués.

      En provenance du sud de l’Italie, ils ont pris un train à la gare de Turin, puis un car pour Clavière, dernier village italien collé à la frontière. De là, ils tentent la traversée de la montagne à pied, via Montgenèvre, côté français, jusqu’à Briançon. Ils sont de plus en plus nombreux à choisir cette route des Hautes-Alpes à mesure que la frontière plus au sud, par Menton ou la vallée de la Roya, se verrouille. Selon un décompte du 30 septembre, le Refuge Solidaire a accueilli 6350 personnes depuis son ouverture en juillet 2017.

      A la fin de l’été1, les bénévoles s’activent dans le garage aménagé en réfectoire. L’urgence est de nourrir les nouveaux arrivants affamés par de longues heures de marche forcée dans la montagne. Et tandis que, tels des écoliers à la cantine, les migrants font la queue devant les grandes marmites pour remplir leurs assiettes, Benoit Ducos, membre de Tous Migrants – une association citoyenne de sensibilisation au drame des exilés –, lance à leur intention : « Nous sommes des bénévoles ici.

      Depuis des mois les droits des personnes étrangères ne sont plus respectés à la frontière et les forces de l’ordre se rendent coupables de nombreuses violences. Nous avons besoin de recueillir des témoignages de personnes qui ont été attrapées par la police ou les gendarmes, qui ont été ramenées en Italie. »
      « Arrête toi ou je te tue ! »

      Quelques semaines plus tard, sur le chemin menant de Montgenèvre à Clavière, distant de 16 kilomètres, deux « randonneurs » cavalent après une dizaine de jeunes Africains. Ces hommes, aux muscles saillants dans leurs tee-shirts bleus, étaient sortis un peu plus tôt du poste de la Police aux frontières (PAF). « Arrête toi ou je te tue ! » hurle l’un d’eux aux fuyards en brandissant une perche en plastique bleu d’environ 2 mètres, qui sert habituellement à baliser les pistes de ski. Peu de temps après, il rejoint son collègue « randonneur », avec trois jeunes migrants dont un tenu fermement par le bras. Au crépuscule, sur le chemin du retour, l’un des faux randonneurs, tout de noir vêtu avec une capuche recouvrant sa tête, se présente comme gendarme et contrôle nos identités, justifiant d’une « opération antiterroriste à la frontière ».

      Ces interventions ne sont pas isolées. Dans son avis rendu public le 1er juillet, la Commission nationale consultative des droits de l’homme (CNDH) dressait un constat sévère, « sur une volonté politique de bloquer les frontières au détriment du respect du droit à la vie et à l’intégrité physique des personnes migrantes, contraintes d’entreprendre des parcours de plus en plus dangereux à travers les Alpes, comme en témoignent de multiples récits douloureux et des pratiques attentatoires à la dignité ». Des critiques documentées par treize ONG qui ont mené une mission d’observation à la frontière de Montgenèvre les 12 et 13 octobre – dont Amnesty International, la Cimade et Médecins du monde.

      Graves accusations

      Au Refuge Solidaire, Benoît Ducos recueille les récits alarmants des jeunes hommes qui se sont regroupés autour de lui. Pour échapper aux forces de l’ordre, ils se sont cachés en forêt, parfois plusieurs jours, ou ont pris des routes plus périlleuses, comme celle du col des Gondrans, à 2347 mètres d’altitude.

      Abdoulaye*, un Guinéen de 19 ans, y est passé lors de sa deuxième traversée. « Nous avons pris la route à 14h mais un hélicoptère a survolé notre groupe, raconte-il. Alors, nous sommes restés tapis dans la brousse jusqu’à 21h. » Aïssa*, lui, est un rescapé. Ce jeune Ivoirien peine encore à recouvrer ses esprits. « J’ai cru que j’allais mourir ! » finit-il par lâcher en retenant ses larmes. Totalement épuisé par la route des crêtes, il s’est affalé, avec une forte douleur dans la poitrine. « Je ne pouvais plus respirer. Je crachais du sang et n’arrivais plus à marcher. » Il s’est retrouvé seul, à une heure avancée de la nuit, dans le froid, en proie à une profonde terreur. Il doit son salut à un couple qui passait par là en voiture et qui a prévenu les pompiers.

      Les accusations portées contre des policiers ou des gendarmes sont graves : refoulement de femmes enceintes ou avec enfants, de mineurs isolés (qui doivent normalement être protégés selon la loi française) et de personnes malades ; menaces verbales, coups… Voire pire : guet-apens et courses poursuites mettant les personnes en danger et pouvant même, parfois, entraîner la mort. « Au début, les violences policières étaient très ponctuelles. Il s’agissait surtout d’insultes, d’intimidations et de pressions psychologiques pour décourager le passage. Mais ça s’est vraiment dégradé depuis l’intervention des identitaires (militants d’extrême droite venus intimider les migrants au printemps dans les montagnes, ndlr), avec des menaces arme à la main et même des vols d’argent ! » nous confie Benoît Ducos, inquiet.
      Morts dans la montagne

      A l’appui de leurs allégations, les observateurs locaux citent le cas d’« Alpha », un jeune Africain inconnu trouvé mort, vraisemblablement d’épuisement, en mai dans un bois en amont des Alberts, un hameau de la commune de Montgenèvre ; ou encore celui de Blessing Matthew, une Nigériane de 20 ans retrouvée noyée dans la Durance le 9 mai, après avoir paniqué à la suite d’une « course poursuite », affirme Tous Migrants. Pour les « sentinelles de la montagne », ces agissements sont destinés à dissuader coûte que coûte les « migrants » de venir en France. « Les guets-apens et courses poursuites dans la montagne pourraient constituer un délit sanctionné par le Code pénal français au titre de ‘mise en danger d’autrui’ ou de ‘manquement à une obligation de prudence ou de sécurité’, explique Me Maéva Binimelis. Sollicitée par Tous Migrants, cette avocate du Barreau de Nice vient de déposer une plainte contre X et des signalements auprès de procureur de Gap. D’autres suivront.
      Délit d’humanité

      Ces signalements sont, entre autres, documentés par Benoît Ducos, qui accumule les récits des victimes. Le 10 mars, il a pris dans sa voiture une famille nigériane perdue dans la tempête du col de Montgenèvre, à 1854 mètres d’altitude. La mère, Marcella, était sur le point d’accoucher. Aux portes de Briançon, la voiture est longuement arrêtée par un barrage des douanes malgré l’urgence, à 500 mètres de la maternité. Le bébé naîtra quelques heures plus tard par césarienne à l’hôpital de Briançon ; un accouchement risqué qui, sans l’intervention du secouriste, aurait pu se terminer par une issue dramatique.

      Depuis, Benoît Ducos a fait l’objet d’une enquête préliminaire ouverte par Raphaël Balland, le procureur de Gap, en vue de déterminer un éventuel délit pour « aide à l’entrée et à la circulation d’un étranger en situation irrégulière ». Cette enquête a été classée sans suite le 27 octobre pour « immunité humanitaire », juste avant l’ouverture, le 8 novembre, du procès des 7 de Briançon (lire nos éditions du 9 et du 12 novembre).

      Désormais, les migrants n’ont plus de refuge à Clavière. La salle paroissiale squattée depuis mars par des militants de No Border a été évacuée le 10 octobre par la police italienne. Les migrants doivent désormais se contenter d’un accueil de nuit ouvert par la paroisse d’Oulx, à 18 km de la frontière française. Depuis, les premières neiges sont tombées, rendant la montagne plus dangereuse. Pour beaucoup, cette traversée des Alpes représente un dernier obstacle avant d’atteindre le « pays des droits de l’homme ». D’où leur persévérance, malgré tous les obstacles. Au péril de leur vie.

      https://lecourrier.ch/2018/11/13/hautes-alpes-frontiere-de-tous-les-dangers
      #droit_à_la_vie #col_des_Gondrans

    • Danger at high altitude: Migrant routes in the Alps

      With the crossing from Italy to France at low altitude becoming more difficult, migrants have been trying to cross the border on foot via the high alpine passes between the two countries — at great personal risk. This week, emergency services were called to help more than 14 people lost in cold conditions in the Alps.

      It is already snowy high up in the Alps, but that hasn’t deterred small groups of migrants trying to walk, often in inadequate clothing, towards France. Just this week, there were at least two reports of lost migrants in the Italian media. All were in the Bardonecchia region east of Turin and near the Italian border with France, at an altitude of about 1,700-1,800 meters. These alpine paths have become increasingly attractive to migrants since 2015, when France reinstated border controls at the low altitude crossing between the towns of Ventimiglia and Menton.

      The Italian newspaper, Corriere Della Sera, reported that the rescued migrants were suffering from hypothermia but were not in any danger. After medical checks, they were taken to a migrant reception center in Oulx, west of Turin. However, videos of other rescues show migrants attempting snowy paths dressed in trainers, jeans, and thin jackets. On Monday, a further four migrants were rescued from the snow after they became lost.

      A ’state of emergency’

      The head of the Alpine emergency services in Piedmont, Luca Giaj Arcota, said last December that rescue services could no longer cope with the number of migrants attempting to cross at Bardonecchia, which “had reached critical levels.” In the past month, Italy has been hit by bad weather, causing chaos in many regions, including the Alps, and putting added pressure on emergency services.

      Giaj Arcota also said that Alpine rescuers don’t have the powers of the police, so they can’t stop people from walking on these paths, even when they could be putting themselves, and their rescuers, in danger. He called upon the Italian authorities to resolve the situation so that migrants are dissuaded from attempting the crossing.

      Shelters needed

      The aid agency Oxfam Italy has called on Italian authorities to create more shelters for people waiting to cross from Italy into France, particularly unaccompanied minors and single women.

      In a report published in June, Oxfam says the situation at Ventimiglia remains serious. It estimates that in the first four months of 2018, more than 4,230 migrants crossed the border at Ventimiglia, the majority coming from Eritrea, Afghanistan and Sudan. Between August 2017 and April 2018, the total number of crossings reached 16,500.

      French authorities criticized

      Oxfam says migrants trying to cross the border are often refused entry and denied the right to request asylum. It also accuses French police of falsifying declarations that migrants wanted to return to Italy voluntarily, and of denying migrants access to water, food, shelter and legal assistance.

      At Bardonecchia, border crossings have also led to conflict between Italy and France. In one incident, Italian authorities said that a French police patrol dropped migrants in the forest on the Italian side of the border, telling them to go back to Italy. Italy’s Deputy Prime Minister, Matteo Salvini, suggested that the French authorities were “treating Italy like a refugee camp.”


      http://www.infomigrants.net/en/post/13393/danger-at-high-altitude-migrant-routes-in-the-alps?ref=tw

    • Arriva l’inverno, emergenza migranti in val di Susa

      La Chiesa valdese organizza una raccolta di indumenti e scarpe invernali coinvolgendo le comunità locali.

      E’ passato un altro anno, siamo di nuovo oramai in inverno e nulla cambia sul fronte del rischio per i migranti che tentano di entrare in Francia attraversando le Alpi.

      Di queste ore la notizia del recupero di 14 cittadini maliani in difficoltà fra le nevi sopra Claviére, ultimo comune italiano in valle di Susa prima del confine. Il soccorso alpino ha salvato 10 persone a circa 1800 metri di quota, con un principio di ipotermia, mentre 4 risulterebbero ancora disperse, con il rischio di iniziare nel più tragico dei modi la nuova stagione fredda. Nei giorni scorsi altri interventi di aiuto sono stati richiesti e portati a termine dagli uomini del soccorso.

      A tal proposito le chiese valdesi locali si stanno mobilitando nella raccolta di indumenti e scarpe adatti per le rigide temperature di questi mesi.

      Lo spunto nasce da un appello del pastore valdese di Susa, Davide Rostan, in prima linea nel dare quotidiana assistenza a chi in difficoltà si trova a transitare per le vie alpine: «Servono scarponi o scarponcini con taglia dal 42 in su, al massimo un numero limitato di numeri attorno al 38 per le ragazze, giacche a vento/ pile, cappelli e guanti. Altri indumenti non servono e occupano spazio, la raccolta dovrà essere mirata e limitata a questi indumenti».

      Ad Oulx da qualche settimana è stato aperto in un locale dei salesiani vicino alla stazione un piccolo centro con una dozzina di posti letto e qualcuno che tiene aperto dalle 19 alle 8 di mattina tutti i giorni. Sono due operatori della cooperativa Talita Kum, uno dei partner di Diaconia Valdese nei progetti di accoglienza diffusa in bassa val di Susa. Tra i fondatori della cooperativa c’è anche don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno. Ad oggi in valle transitano circa 30 persone al giorno che tentano di attraversare il confine arrivando a Claviére con il bus e poi andando a piedi verso Briançon. Spesso vengono fermati dalla polizia di frontiere che li respinge e li lascia per strada fuori dalla frontiera anche di notte a 1800 metri. Nell’ultimo anno sono passate in Francia in questo modo circa 800 persone al mese. Ora però la polizia francese ha inasprito i controlli e a Claviére a parte due jeep della polizia o dei carabinieri che ora pattugliano il confine per evitare che i francesi riportino gli stranieri in Italia non c’è nulla. Solo dalle ore 20 alle 24 c’è un mezzo della croce rossa che da qualche giorno quando ci sono dei respinti li carica e li porta ad Oulx.
      Chi volesse partecipare può contattare la propria chiesa locale del distretto delle valli del pinerolese. Ad esempio ieri le chiese del primo circuito (Val Pellice) hanno comunicato durante il culto tali necessità, e ripeteranno l’appello la prossima domenica 25 novembre, lasciando alle singole comunità gestire le modalità di raccolta. Si farà infine una raccolta complessiva prevista per lunedì 26 novembre dalle ore 15 alle ore 19 nei locali della cascina Pavarin a Luserna San Giovanni, per poi trasportare quanto raccolto a Oulx.

      https://riforma.it/it/articolo/2018/11/19/arriva-linverno-emergenza-migranti-val-di-susa

    • Mort·es en montagne ? Le rôle politique de la violence policière à la frontière

      La frontière franco-italienne des Hautes-Alpes n’est pas (encore) fermée. Elle est une zone de passage pour plusieurs dizaines de personnes tous les jours depuis plus d’un an. Cependant, depuis l’été 2017, l’Etat français y déploie tout un processus de militarisation qui a pour vocation de produire une effet impressionnant, voire effrayant.

      La militarisation, c’est d’abord une intensification du nombre de policiers : à la Police aux frontières (PAF) présente depuis 2015, à la police et gendarmerie nationales, au PSIG, se sont ajoutés depuis 2017 des renforts de gendarmerie mobile, de CRS, et parfois de l’armée. La militarisation, c’est ensuite une intensification des équipements utilisés pour le contrôle. C’est enfin une diversification des pratiques de contrôle. Tous ces éléments constituent ensemble le dispositif de contrôle mis en place par l’Etat français pour « sécuriser », comme ils disent, la frontière franco-italienne.

      Ce tableau répertorie les différentes pratiques de contrôles en place dans le Briançonnais. On peut noter que celles en-dessous de la ligne rouge, se situent un cran au-dessus en terme de niveau de violence.

      Il est important de faire le lien entre le fait que ces dernières pratiques sont plus violentes, qu’elles ciblent uniquement les personnes identifiées comme “migrantes“, et qu’elles sont relativement invisibles (et en grande partie illégales).

      Cela met en lumière toute la fonction discriminatoire de la frontière. Un régime différent s’applique pour des personnes identifiées comme “migrantes“, comme si elles appartenaient à une catégorie différente de gens, dont la vie et les droits n’ont pas besoin d’être respectés.

      A aucun moment, on ne peut oublier que la discrimination entre les personnes qui subissent des violences à la frontière et celles qui n’en subissent pas s’effectue sur une base raciste. En quatre mois de présence dans la zone frontalière, j’ai recueilli une quarantaine de témoignages de personnes qui avaient été victimes de violations de droits ou de violences policières : à l’exception d’une, d’origine kosovarde, toutes les autres étaient Noires. Les personnes qui sont susceptibles d’être contrôlées dans la zone frontalière sont presques toutes d’origine africaine, quelques rares fois d’Europe de l’Est ou du Moyen-Orient.

      Cet article a pour but de déconstruire l’idée selon laquelle la zone frontalière, à cause de sa marginalité géographique (excentrée, dans les montagnes… ?) ou d’un contexte politique plus “tendu“, serait une zone “de non-droit“, comme on l’entend souvent, où auraient facilement lieu des bavures, des abus, des dérapages de violence.

      Je veux tenter au contraire de montrer que la violence, sous toutes ses formes (symbolique, psychologique, verbale, et physique) fait partie intrinsèque du dispostif de la frontière. Elle est même utilisée (directement ou indirectement) comme un outil politique puisqu’elle est censée avoir un effet dissuasif sur les personnes qui désirent passer la frontière.

      Je ne prétend pas que toutes les pratiques de violence dénoncées dans cet article émanent directement d’un calcul précis de la part d’une tête pensante et unique. Les acteurs du contrôle à la frontière sont divers et il y a plusieurs échelles de pouvoir. Le pouvoir est diffus, il s’étend du Ministre de l’Intérieur jusqu’au au gendarme mobile qui va effectuer le contrôle, en passant par la préfète des Hautes-Alpes. Tous ces acteurs ont des champs d’actions différents, rarement concertés ; il y a, outre la stratégie politique, de nombreuses logiques situationnelles liée au contexte immédiat sur le terrain.

      Je cherche plutôt à signifier que tous les éléments du dispositif frontalier se superposent et, combinés, participent à produire de la violence, sous de nombreuses formes. Celle-ci a un effet politique très clair, celui de marginaliser celles et ceux qui en sont victimes en créant une classe de personnes, ou une catégorie de population que le pouvoir étatique peut, en toute légitimité, contrôler par l’administration de la violence. A mon sens, c’est là même que se trouve le rôle du dispositif de la frontière : cette catégorie qu’elle crée, sur la base de discrimination économique et raciale, ce sont les “migrants“, “les clandestins“.

      Je vais tenter ainsi d’analyser trois manière très différentes dont la violence contre les personnes exilées se déploie à la frontière italienne dans les Hautes-Alpes, en soulignant à chaque fois la fonction politique de la violence et son rôle au sein du dispositif frontalier.
      1. Le spectacle de la militarisation de la frontière

      Plusieurs auteur·es militant·es analysent les zones de frontières comme une scène sur laquelle les Etats jouent une mise en scène sécuritaire1. Cette notion de « spectacle » de la frontière m’a tout de suite paru très juste pour décrire ce qui se passe entre Briançon etsur les cols de Montgenèvre et de l’Echelle. Le contrôle aux frontières est constitué d’un arsenal technologique (camions de gendarmes ou CRS, voitures de police, hélicoptère…) et humain, avec une présence policière disproportionnée, qui dessine, depuis l’été 2017, dans l’espace public des villages des Alpes, un décor « de guerre ». Il a été perçu comme tel par des habitant·es locaux, ainsi que par des touristes pendant l’été et l’automne 2017.

      Une fois le décor installé, s’ajoutent à cette scénographie policière les costumes et accessoire. C’est ainsi que je croise régulièrement, traversant la frontière en début de soirée, des équipes entières de gendarmes mobiles sortant du local de la Police aux frontières, et s’élançant à pied pour leur « mission » dans la montagne, entièrement vêtus et cagoulés de noir (tenue de camouflage), équipés de lunettes infra-rouges ou thermiques, de torches, et armés. Une vraie tenue de « commandos« , qui associe symboliquement les arrestations en montagne à l’accomplissement d’une mission d’intervention spéciale, comme dans des contextes de haute criminalité. Les témoignages des personnes exilées qui ont été arrêtées ou poursuivies par la police à travers la montagne mentionnent également des tenues de civil (costume du « randonneur »), les tenues de camouflage militaire pour les renforts de l’armée, et même depuis le début de l’été 2018 des jumelles thermiques qui permettent de traquer des silhouettes dans l’obscurité. Cette scénographie d’intervention spéciale véhicule en elle-même une grande violence symbolique et psychologique pour des personnes qui fuient précisément des conflits armés.

      Lever du rideau. La scène qui est jouée sous nos yeux : la « chasse au migrant ». Cette mise en scène perverse contraint les personnes exilées, pourtant théoriquement légitimes à se présenter à la frontière et demander une protection, à se cacher, se baisser, attendre des heures dans la neige, ou bien ramper à travers “la brousse“1. En d’autres termes, elle les oblige à jouer un rôle d’indésirables, à devenir malgré elles actrices tout autant que spectatrices de ce spectacle qui leur est adressé…

      Premier acte : identifier « le migrant » grâce aux équipements de vision nocturne. Pour cela, des études sur les formations de la police aux frontières ont montré que les critères utilisés pour l’identification des personnes portant un « risque migratoire » et donc soumises au contrôle d’identité à la frontière se fonde sur des critères aussi originaux que la couleur de peau et le style vestimentaire2. « Le migrant » est donc facilement répérable : « il » est Noir, « il » a un sac à dos et « il » se déplace en groupe, souvent la nuit et dans la forêt.

      Deuxième acte : l’arrestation. Celle-ci fait l’objet de différentes stratégies, dont la plus courante est de se rapprocher dans la plus grande discrétion, grâce aux tenues de camouflage, ou en étaignant les phares du véhicules afin de prétendre qu’il est vide ; puis en jouant sur l’effet de peur et de surprise en aveuglant les marcheurs et marcheuses nocturnes, au moyen de lampes torches et de phares, avec des cris ou interpellations. Certaines personnes ont raconté des arrestations plus spectaculaires encore, impliquant une menace à l’arme à feu :

       » Il y avait plusieurs voitures garées sur la route, ils ont éteint leurs phares, c’est pour ça que je suis passé sur la route, je ne les avais pas vus. Dès qu’on est arrivés sur la route, ils sont sortis en courant des véhicules, en agitant leur armes en l’air, en hurlant « Personne ne bouge ! ». Mon ami s’est jeté à terre, moi aussi j’étais [accroupi] par terre, pendant qu’ils nous ont interrogés. Ils nous ont interrogés avec leurs armes braquées sur nous. » (Alpha*3, témoignage recueilli le 29/04)

      Si les exilé·es n’endossent pas le rôle de criminels en cavale qui leur est imposé par le jeu policier en se « rendant » pacifiquement et en se soumettant au contrôle d’identité, alors commence le troisième acte : attraper l’indésirable. Les stratégies mises en place s’identifient souvent à des pièges ou des guet-apens, avec des véhicules ou des collègues camouflés en aval pour bloquer des personnes contraintes à s’enfuir dans leur direction.

      Régulièrement le guet-apens s’accompagne d’une autre pratique tout aussi spectaculaire : la course-poursuite. Le 19 mai, une nuit de gros orage, un jeune homme Nigérian me raconte qu’il vient d’être poursuivi par deux policiers ou gendarmes à travers la forêt et arrêté par deux autres qui se cachaient en avant dans les broussailles. Ainsi, durant mes quatre mois à Briançon, une quinzaine de course-poursuites similaires m’ont été relatées, à pied1 en voiture 2 ou véhicules de montagne3,, en motoneige4, sur les pistes, sur la route, sur les ponts. Certaines de ces courses-poursuites ont poussé des personnes à se cacher pendant des heures dans la broussaille, dans des abris de fortune ou des flaques d’eau gelée5, d’autres ont poussé des personnes à sauter sur le bas-côté d’un versant et dévaler la pente6, à sauter de tunnels ou de ponts. La fin la plus tragique d’une de ces odieuses dramaturgies a été, le 07/05/2018, la mort de Blessing Matthews, une nigérianne de 21 ans qui s’est noyée dans la Durance en tentant d’échapper à la police qui la traquait dans le village de la Vachette.

      Comble de l’imagination des cyniques metteurs en scène, la semaine du 15/04/2018, la zone de la frontière a servi de terrain d’entraînement aux chasseurs alpins qui s’entraînent dans le Briançonnais (comme cela s’est produit en 2017 dans la vallée de la Roya avec les sentinelles7) : quoi de plus parfait, pour s’entraîner à l’assaut contre une armée ennemie, que de jouer à la « guerre au migrant », puisque le décor est déjà installé ? Cet exemple montre qu’il faut s’attacher à comprendre la signification politique de ce spectacle.

      Cette mise en scène puise dans l’imaginaire qui justifie politiquement la militarisation de la frontière. Pour reprendre les mots de S. Le Courant et C. Kobelinksy (La mort aux frontières de l’Europe, 2017), « La politisation de l’immigration, lue à travers le prisme de la sécurité, fait des migrants irréguliers une des principales menaces – dans un continuum de menaces qui s’étend jusqu’au terrorisme – à laquelle l’Europe en formation doit faire face. Construit comme un problème sécuritaire, la réponse à la migration doit être celle de la sécurisation. » C’est cet imaginaire construisant les étranger·es sans visa comme des menaces qui justifie sur le terrain des pratiques de violence d’un niveau proche de l’intervention militaire, alors même que les cibles sont des personnes désarmées souhaitant se réfugier en France. Les spectateurs auxquels se destine la mise en scène sont alors les citoyen·nes « légitimes », français·es (habitant·es et touristes), militant·es locaux, médias, agents de police eux-mêmes, afin de construire une image de la sécurisation du territoire national par un gouvernement fort, dans le cadre de la lutte anti-terroriste.

      Les pratiques militaires doivent également être pensées dans une histoire et une géographie beaucoup plus larges. En 2006, A. Mbembé rappelait, dans Nécropolitique, que : “L’extraction et le pillage des ressources naturelles par les machines de guerre vont de pair avec des tentatives brutales pour immobiliser et neutraliser spatialement des catégories entières de personnes (…). En tant que catégorie politique, les populations sont ensuite désagrégées, entre rebelles, enfants-soldats, victimes, réfugiés (…) tandis que les « survivants », après l’horreur de l’exode, sont confinés dans des camps et zones d’exception.“ D’un point de vue symbolique, c’est la double charge de l’histoire coloniale et de la géopolitique néocoloniale actuelle qui est présente en substance dans la mise en scène de la militarisation de la frontière. D’un point de vue psychologique et traumatologique, cela rappelle que ces violences s’ajoutent pour les individus à toute une histoire personnelle fondée sur des violences vécues dans leur pays d’origine et accumulées pendant leur parcours migratoire. Ainsi, même quand la frontière n’est pas le lieu d’une violence physique directe à l’égard des exilé·es qui cherchent à la traverser, le déploiement d’un arsenal menaçant ravive le souvenir des violences passées, parfois intériorisées sous la forme du traumatisme : en témoignent les soins qui sont prodigués à certaines personnes après leur arrivée en France.

      Les spectateurs auxquels s’adresse le discours scénographique sont donc avant tout les victimes des contrôles à la frontière elles-mêmes. Le message, constitué de son, de lumières et de gestes, est on ne peut plus clair ; il vise à produire la peur, afin de dissuader ces mêmes personnes de tenter de nouveau le passage ; mais aussi, par extension, il s’adresse à tou·tes les autres exilé·es qui pourraient désirer venir en France, pour les décourager par avance : dans le langage néolibéral de l’Etat, on appelle ça “prévenir le risque migratoire“.

      2. Le contrôle absolu sur le corps des personnes, accaparées en territoire policier

      Toute cette dimension spectaculaire de la sécurisation de la frontière est paradoxale avec un autre aspect caractéristique de la violence qui y est prodiguée. Ce second type de violence peut s’exercer contre les étranger·es indésirables précisément parce qu’on se situe dans un territoire marginal, dans des espaces camouflés, et que les victimes sont dépossédées de tout moyen de contester ou rendre public ce qui leur est infligé.

      La soustraction de la personne arrêtée à l’espace public correspond à deux processus : le premier, c’est la soustraction au regard, la mise sous invisibilité qui affranchit l’agent de police du contrôle généralement garantit par le regard des citoyen·nes lambda. Le second, pour suivre l’analyse de F. Jobard (Bavures policières ?, 2002), il s’agit d’un rite de dégradation où l’interpellé·e, saisi·e dans l’espace public, passe sur le territoire policier. Jobard nomme accaparement ce rituel par lequel les personnes arrêtées passent sous le contrôle absolu de la police, au moyen de tout un tas de gestes ou de symboles (exhibition de l’arme, menottes, immobilisation à terre, enfermement dans le véhicule) qui font incarner aux policiers derniers une violence physique invincible, car ces symboles qui manifeste la puissance de l’Etat, et la continuité de l’Etat jusqu’au policier.

      Sur le plan symbolique, l’enfermement, l’interrogatoire, la fouille et la surveillance dans le poste de la police aux frontières, continuent de dérouler le spectacle qui vise à produire chez la personne arrêtée la conscience de la faute, puisqu’elle est traitée comme une criminelle ; mais surtout la peur. La personne se trouve dans un lieu clos, architecture suprême du territoire policier, où elle est physiquement à la totale merci des agents, lesquels bénéficient de tout le pouvoir symbolique de l’Etat français.

      Ainsi, dans cet espace cloisonné, dissimulé (car aucune ONG, aucun journaliste n’y a accès), aucun contrôle ne s’exerce directement sur le pouvoir de la police sur la personne arrêtée. La voie est libre à tous les abus de pouvoir et déchaînements de violence.

      Le 30 avril, je rencontre Bouba* qui me raconte son entretien avec les agents de la PAF :

      Quand il a dit « Vous les Noirs, » il s’est mis à rire. Sous forme de moquerie. Que nous les Noirs, nous sommes des menteurs. Je lui ai dit « Non, mais ne prenez pas tous les noirs pour la même chose, ne dites pas « Vous les Noirs », quand tu dis « vous les Noirs », c’est une discrimination. Ca c’est du racisme, ça veut dire vous êtes raciste. (Bouba*, 30/04)

      L’injure raciste produit l’humiliation et nie la légitimité de la présence de la personne sur le territoire. Un cran au-dessus dans la stratégie de la peur, la menace est une autre violence verbale. Les plus classiques : “on va vous renvoyer dans votre pays“, “on va vous mettre en prison“, “on va vous renvoyer en Libye“. Toute cette rhétorique vise à produire une fiction de sur-puissance de la police.

      Il y a une évidente continuité entre les menaces d’accaparement et de violence physique et l’application concrète de celles-ci. Le 17 mai, un groupe de mineurs est allé se présenter au poste-frontière pour faire valoir leur droit de demander une protection en France. Ils ont été refoulés, c’est-à-dire reconduits en toute illégalité côté italien par la police. Voici ce que l’un d’entre eux m’a raconté quand je l’ai rencontré en Italie :

      On est arrivés à la police (…) Il m’a demandé mon téléphone, (…) Il est en train de fouiller mon téléphone. Il m’a dit (…) si je ne vais pas parler, il va me gifler. J’ai dit ah si tu veux, parce que tu es mon chef, moi je ne connais pas. Il m’a giflé, une fois. [Ils ont demandé si] je sais qui était l’auteur, il m’a dit encore, si je ne vais pas parler, il va me gifler. (Tomba*, 17/05)

      Le 11 juin, j’ai rencontré Matthew*, un jeune homme qui avait été arrêté dans la forêt alors qu’il tentait de se rendre en France. Dans le poste-frontière, alors qu’il se mettait à genoux pour implorer les policiers de ne pas le renvoyer côté italien, plusieurs agents de police se sont jetés sur lui pour le battre à terre, le rouer de coups de poings. Quand nous nous sommes vus, le soir de cet événement, Matthew* portait des hématomes sur toute la partie gauche du visage et son tympan était abîmé. C’est dans cet état que la police aux frontières l’a forcé à retourner en Italie, le privant également d’accès à des soins.

      La première semaine de juillet a été marquée par des histoires semblables. Le 04 juillet, dans le local de la PAF, un policier ordonnait à quatre personnes arrêtées non loin de la frontière de vider leurs poches ; il a volé 50 euros à l’un d’entre eux, et les cartes SIM des téléphones des autres. Quand le premier a prétendu ne pas avoir de carte SIM, les policiers l’ont perquisitionné, et après lui avoir pris la SIM de l’une de ses poches, un des agents l’a giflé. Quelques jours auparavant, deux autres personnes avaient été battues et menacées, après quoi 300 euros leur avaient été volés.

      Ce second type de violence s’applique particulièrement aux personnes étrangères et en exil parce qu’elles ne possèdent pas d’existence politique dans le système légal qui en ferait des citoyen·nes en pleine possession de leurs droits : c’est ainsi que dans un précédent article, j’ai essayé de montrer comment, en renvoyant les gens côté italien, sans possibilité de pouvoir témoigner, rendre visible, porter plainte contre ces violences policières, la frontière fabrique toute une classe de personnes sans droits, sans pouvoir médiatique ou politique, invisibles au regard de l’Etat et de la société française.

      Je me suis appuyée sur les écrits de G. Agamben1 pour développer l’idée que ces personnes sont ainsi réduites à la frugalité de leur corps ; de la même manière qu’il a été possible de violer leurs droits sans entrave, il devient possible pour les forces de l’ordre de porter atteinte à leur corps, de laisser libre cours à une violence verbale et physique qui ne sera jamais dénoncée, jamais punie, et qui s’exerce en toute légitimité contre une classe d’indésirables dont les corps n’ont plus la même valeur que ceux des citoyen·nes légitimes. Encore une fois derrière ce pouvoir de faire souffrir les corps principalement Noirs des êtres catégorisés comme “migrants“, le poids de l’histoire de l’esclavagisme et de l’histoire coloniale, est criant.

      3. Laisser-mourir, la stratégie de la mise en danger en milieu montagneux

      La violence n’est pas uniquement présente directement dans l’interaction avec la police. Depuis mon arrivée à Briançon, en plein hiver, je constate qu’elle est diffuse à travers tout l’espace et tout l’environnement, si bien que je ne peux empêcher mes yeux de couvrir tout le paysage montagneux qui m’entoure d’un voile d’amertume et de haine.

      On l’a bien vu, ce qui a été médiatisé de la situation à la frontière des Hautes-Alpes, c’est l’aspect sensationnel lié au milieu de haute-montagne. Les médias et les réseaux sociaux se sont émus de Marcella, qui a accouché de justesse à l’hôpital de Briançon le 10 mars après avoir été trouvée dans la neige avec sa famille, par un habitant de Briançon ; ils ont photographié les silhouettes de personnes se frayant un chemin dans l’épaisse neige afin de gagner le territoire français ; ils ont filmé les gelures des pieds et des mains des personnes arrivant au Refuge solidaire de Briançon. On s’est exclamé à propos du danger des montagnes et on a déploré le sort des “pauvres migrants“ qui se trouvaient là et en souffraient, par accident, par hasard.

      Ce discours fait l’impasse sur une donnée essentielle : les montagnes ne sont pas dangereuses. Les différents cols possèdent chacun une route goudronnée qu’il est évident de parcourir en voiture ou en bus et de traverser ainsi, de l’Italie vers la France. Simplement, sur cette route, se trouve la police : le poste de la PAF, ou un poste mobile de surveillance. Et voici que toutes les personnes qui sont soumises au contrôle policier se voient refuser l’accès au territoire, et se trouvent donc obligées de prendre des chemins de montagne, plus dangereux, afin d’atteindre la France. Et dès lors que les renforts de forces de l’ordre aux frontières se mettent à peupler les forêts, sillonner les sentiers, à chaque fois, les chemins de contournement se font plus longs, plus périlleux, plus dangereux.

      Ainsi, toutes les violences liées au milieu de montagne qui se sont exercées contre les personnes exilées depuis 2017 n’ont rien d’accidents ou d’aléas naturels. Elles résultent d’une mise en danger des étranger·es exilé·es par les forces de l’ordre.

      Les policiers à la frontière sont eux-mêmes largement conscients de cette situation, puisque régulièrement, des mineurs qui ont tenté de se présenter au poste-frontière pour demander une protection, se voient refuser d’être entendus et pris en charge (ce qui est en théorie la procédure légale) mais suggérer plutôt un passage nocturne ou sportif à travers la montagne :

      On a montré nos documents et ils ont dit non. (…) Ils nous ont mis dans la voiture et déposés à l’entrée du village. Ils ont dit « la nuit vous pouvez passer [en vous cachant], mais pas la journée. » (Mouhammad, 02/06)

      L’incitation verbale à la prise de risques pour l’enfant exilé ne fait que mettre en lumière la conscience de ce jeu du danger par les agents qui constituent la frontière.

      Dans le cadre de mon analyse des différentes formes de violences policières à la frontière, je dirai que la troisième forme, la plus discrète, est celle-ci, qui agit de manière détournée et collatérale, en s’appuyant sur le milieu de montagne pour repousser des gens de l’autre côté.

      Mais ne nous y trompons pas : la montagne n’est en rien une frontière naturelle et la frontière n’existe que parce qu’il y a la police pour la garder. La simple présence policière est suffisante pour contraindre des personnes à traverser la montagne sur des sentiers isolés et ardus. Beaucoup des exilé·es qui arrivent dans les Hautes-Alpes ne connaissent pas le milieu de montagne et n’ont pas connaissance de certains réflexes préventifs contre les risques (risques d’avalanche en hiver, ravins et chutes de pierres…) ; quasiment aucun·e d’entre elles et eux ne connaît la géographie de l’endroit et n’a idée de la distance à parcourir ni des sentiers qu’iels peuvent prendre pour parvenir de la manière la plus sécurisée à Briançon. Enfin, aucune des personnes qui arrive dans les derniers villages italiens dans l’intention de traverser la montagne n’est équipée, pour la marche, ou contre le froid ; ni même équipée en eau ou en nourriture.

      C’est ainsi que des personnes qui se perdent en montagne, comme cela arrive très régulièrement, peuvent se mettre en danger de mort. Le 18 mai, le corps d’une personne identifiée comme Alpha Diallo a été retrouvé dans la commune des Alberts, sur le versant du col du Montgenèvre. Il a sans doute succombé suite à une chute mortelle. Le 17 mai, un homme arrive au Refuge Solidaire témoignant de la disparition d’un ami avec lequel il marchait depuis des jours depuis Turin, et avec lequel il s’est perdu ; son ami serait tombé d’épuisement, quelque part sur la route. Le 25 mai, une personne a été retrouvée morte suite à la fonte des neiges dans la commune de Bardonecchia. Aucune de ces morts n’est naturelle car aucune de ces personnes ne se trouvait perdue dans la montagne par hasard.

      La responsabilité plus directe des agents de la police aux frontières apparaît dans toutes les situations de non-assistance à personne en danger. En effet, une grande partie des exilé·es qui cherchent à rejoindre la France le font parce qu’iels ont besoin de soins médicaux auxquels iels ne parviennent pas à avoir accès en Italie. Beaucoup arrivent à la gare de Bardonecchia ou Oulx déjà malades ou vulnérables. La pratique du refoulement, à Clavière ou Bardonecchia, de personnes en situation de grande vulnérabilité, montre que la mise en danger des personnes exilées par la police n’est pas indirecte et ne repose pas que sur des attitudes passive : elle est bien une action.

      En plein hiver, quand les températures au col de Montgenèvre avoisinaient les -10°C, reconduire délibérément des gens dans la rue à Clavière (premier village italien en haut du col) alors qu’ils ne sont pas équipés contre le froid et n’ont aucun endroit où s’abriter est un acte de mise en danger. Quelle que soit la saison, renvoyer côté italien (a fortiori des femmes enceintes, des enfants, des personnes malades) tout en sachant qu’iels n’ont pas d’autre choix que de retenter de passer par la montagne jusqu’à y parvenir, est un acte de mise en danger. Le 11 juin, les agents de la PAF ont par deux fois refoulé un mineur gravement malade qui avait besoin d’une prise en charge médicale d’urgence. Loin de le conduire à l’hôpital de Briançon, situé à 20 minutes de la frontière, les forces de l’ordre ont conduit le jeune malade jusqu’à Clavière (Italie) et l’ont déposé sur le bord de la route ; quand il s’est représenté plus tard dans la même journée, on lui a à nouveau refusé l’accès au territoire français, et donc aux soins médicaux, sur la base d’une consigne de la préfète. La personne a dû être prise en charge à l’hôpital de Suse, à plus de 45 minutes de route.

      Le danger du refoulement n’a que trop bien été prouvé par la mort de Beauty, qui avait tenté de rejoindre la France, avait été arrêtée puis ramenée par la police française devant la gare de Bardonecchia, alors qu’elle était enceinte et atteinte d’un cancer ; elle a expiré à l’hôpital de Turin, le 25/03, dans les semaines qui ont suivi son refoulement.

      Il est intéressant de constater que le milieu de montagne accomplit exactement les fonctions qui sont celles du dispositif frontalier en Europe. Les risques de la montagne, illustrés par des cas emblématiques de blessés ou de morts (mais pas trop quand même, ce serait mauvais pour l’image de la France) assurent la fonction de dissuasion qui sert à prévenir les futures arrivées. La difficulté de la marche en montagne assure la fonction de tri des étranger·es, sur la base de la force physique, puisque seul·es les plus résistant·es parviendront à traverser. Le milieu de montagne est intégré au dispositif frontalier dont il agit comme un ressort important.

      La police aux frontières ne tue pas ; la frontière tue. La mort n’est jamais directement administrée par la police : causée directement par le milieu naturel, elle relève de la responsabilité partagée des Etats italien, qui par le traitement indigne des personnes exilées pousse celles-ci à fuir, et français, qui militarise sa frontière.

      Les politiques migratoires françaises et européennes ne sont pas de celles qui exterminent de manière ciblée et radicale une partie de la population. Elles reposent sur tout un dispositif qui, mécaniquement, en mer, en ville ou en montagne, va pousser au risque jusqu’au danger de mort celles et ceux qui s’y affronteront parce qu’iels n’ont pas le choix. C’est ce que S. Le Courant et C. Kobelinsky, dans La mort aux frontières de l’Europe (2017), appellent le laisser-vivre ou laisser-mourir de la frontière contemporaine. Ainsi qu’ils le soulignent, c’est le type de politique adapté au contexte économique néolibéral qui caractérise nos sociétés : ainsi, on va pouvoir canalyser un flux migratoire en laissant un peu entrer, quand c’est utile, en bloquant, quand c’est utile. La préservation de la vie, ou l’abandon à la mort, des individus, rentre dans ce calcul-là1.

      A la frontière franco-italienne des Hautes-Alpes, c’est ce jeu de blocage partiel qui est administré depuis un an, car si l’Etat souhaitait fermer complètement la frontière et bloquer réellement les exilé·es, il y parviendrait facilement. C’est pour cela qu’aucune des violences mentionnées dans cet article ne peut être comprise comme une simple bavure. La mise en danger des individus par la traversée fait l’objet d’un jeu politique, elle augmente et diminue comme un flux avec des périodes d’intensité de violences policières, souvent accompagnées de menaces à l’encontre des européen·nes solidaires, et des périodes plus calmes : on laisse un peu vivre, ou un peu mourir, selon ce qui est le plus efficace politiquement.

      CONCLUSION

      Une grande partie des données et des témoignages mentionnés dans cet article ont pu être recueillis grâce à l’existence d’un lieu solidaire localisé à Clavière, dans le premier village italien après le poste-frontière de Montgenèvre. Dans cette salle paroissiale occupée depuis le 22 mars 2018 par des militant·es français·es, italien·nes, et des personnes exilées, a ouvert un Refuge Autogéré surnommé avec autodérision “Chez Jésus“. Depuis quatre mois, ce lieu a permi d’agir contre la mise en danger des personnes qui traversent la frontière, grâce des actions de prévention des risques, à des pratiques de soin et de repos pour les personnes malades ou fatiguées, surtout celles qui sont refoulées après avoir déjà tenté la traversée. Il permet également de voir et de rendre visible toutes les violences subies par les personnes attrapées, enfermées, refoulées par la police aux frontières. Comme un pied dans une porte qui se referme, il maintient depuis des mois une présence quotidienne, jour et nuit, littéralement sur la frontière, de personnes ouvertement solidaires des exilées, et vigilantes aux violences policières.

      Ce refuge se revendique comme un lieu de lutte contre la frontière et le régime de violence qu’elle instaure. Les pressions policières et politiques auxquelles il fait face, ainsi que les militant·es qui le fréquentent, sont évidemment très fortes. La semaine dernière, des menaces d’expulsion ont été annoncées ; quelques jours plus tard, le lieu été agressé par des habitants locaux.

      De la même manière que les actions menées depuis un an par les habitant·es solidaires du Briançonnais, l’activité du lieu Chez Jésus montre que si la violence est intrinsèquement liée au dispositif frontalier, elle n’est pas une fatalité et il est possible de s’organiser pour résister contre elle. Les menaces d’expulsions explicites mettent danger l’activité du lieu. Un soutien humain (besoin de bras et de volontés supplémentaires), matériel ou financier, et surtout politique (en diffusant un discours de solidarité envers ce lieu), est vital pour que toutes les actions déployées depuis plusieurs mois continuent et que la résistance solidaire maintienne son pied dans la porte de la frontière.

      https://derootees.wordpress.com/2018/07/12/mort%c2%b7es-en-montagne-le-role-politique-de-la-violence-polic

    • À Briançon, l’urgence de sauver des vies

      [Alerte presse CAFFIM/Anafé]

      Mercredi 5 décembre 2018

      Nos associations (Amnesty International France, La Cimade, Médecins du Monde, Médecins sans frontières, Secours Catholique - Caritas France et l’Anafé) alertent sur l’insuffisance de prise en charge et sur les refoulements systématiques d’hommes, de femmes et d’enfants qui tentent de franchir la frontière franco-italienne, dans la région de Briançon, souvent au péril de leur vie, alors qu’un froid hivernal commence à s’installer.

      « Plus de trente personnes ont dû être secourues depuis l’arrivée du froid, il y a un mois, et nous craignons des disparitions. Certaines personnes n’ont pas de téléphones portables, rien sur le dos, alors qu’il fait -10°C dehors. Comment fait-on pour dormir tranquillement, alors qu’on craint que chaque nuit un accident mortel ne se produise dans nos montagnes ? », s’alarme Michel Rousseau de l’association briançonnaise, Tous Migrants.

      Les témoignages reçus indiquent que les personnes migrantes prennent de grands risques pour arriver à Briançon, malgré les alertes qu’elles reçoivent sur les dangers. Outre l’emprunt de chemins escarpés et enneigés, elles font face aux risques de courses-poursuites avec les forces de l’ordre dans les montagnes et à celui d’être refoulées vers Clavière, premier village italien où aucun lieu d’accueil n’existe et ce, malgré les températures négatives.

      « Les personnes refoulées en pleine nuit vers Clavière ont vécu de graves traumatismes, notamment lors du passage de la frontière. Elles ont besoin d’un accueil dans ce village. Pourtant les militants qui souhaitent leur venir en aide craignent d’être poursuivis en justice au titre de ce qui est appelé le « délit de solidarité », ajoute Agnès Lerolle, chargée de coordination des acteurs locaux engagés auprès des personnes migrantes à la frontière franco-italienne.

      « Nous soutenons les acteurs locaux qui chaque jour agissent auprès de ces personnes pour leur apporter une aide humanitaire et demandons aux autorités que ces hommes, femmes et enfants soient pris en charge tel que l’exige le droit », ajoute-t-elle.

      L’hiver dernier, trois personnes migrantes – à notre connaissance – ont trouvé la mort dans la région. La situation mérite une réponse humanitaire et juridique immédiate avant qu’un nouveau drame arrive. Les frontières françaises ne peuvent continuer à être des zones où le droit n’est pas appliqué. Les personnes migrantes doivent pouvoir y trouver la protection à laquelle elles ont droit, conformément aux textes internationaux, européens et français en vigueur.

      Des porte-parole et spécialistes sont disponibles pour des interviews.

      Reçu par email via la mailing-list Migreurop

    • RASSEMBLEMENT EN HOMMAGE À FALAH SAMEDI À MIDI à la MJC-centre social du Briançonnais

      Une collecte sera organisée pour la famille de Falah.
      Apportez un plat à partager

      Notre ami Falah est mort à Bourges jeudi 29 novembre. Pour sauver sa vie, il avait quitté son pays le Soudan et traversé les frontières.
      Il espérait trouver la paix, recommencer sa vie. Il attendait encore...
      A Briançon, il avait été accueilli par la MJC en octobre 2016 (deuxième CAO). Avec lui, nous avions marché pour le droit d’asile et pour la dignité.
      Il était notre ami, notre frère, notre filleul républicain... et nous l’aimions.
      Paix à sa belle âme.


      https://www.facebook.com/tousmigrants/photos/a.1705527143012191/2305574523007447/?type=3&theater

      Je n’en sais pas plus... je ne connais pas les causes de son décès... quelqu’un en sait plus ?

    • Parce que quand on en ferme un... il y en a certainement un autre qui va ouvrir...
      Un nouveau refuge autogeré s’ouvre

      Aujourd’hui a été ouverte la CASA CANTONIERA à Oulx, un bâtiment vide et inutilisé depuis des décennies. À partir d’aujourd’hui, il s’agit de lui redonner vie : contre les frontières et le diapositif qui les soutient et les détermine. Contre le Décret Salvini et sa politique de répression et de guerre aux pauvres. Pour un monde où toustes puissent choisir où et comment vivre.
      La situation à la frontière continue à empirer : la militarisarion est croissante, l’hiver est désormais arrivé. Le système de contrôle et de gestion toujours plus fort vient s’imposer sur toustes celleux qui, sans les bons papiers, continuent à vouloir traverser cette ligne imaginaire appelée frontière. Le Refuge Autogeré Chez Jesus, local occupé sous l’église de Clavière, a été expulsé depuis presque deux mois. Depuis ce jour, les personnes qui se perdent et risquent leur vie et leurs membres en montagne sont toujours plus nombreuses, aussi car elle n’ont ni les informations ni l’habillement adapté pour affronter le voyage. Sans espace et sans temps pour pouvoir s’organiser, se reposer, et repartir.
      Ce lieu veut egalement être cela.
      Un refuge autogeré pour celleux qui sont de passage, et qui ont besoin de plus de temps pour s’organiser que les quelques heures nocturnes offertes par les salesiens.
      Un lieu pour pouvoir s’organiser, contre les frontières sur ces montagnes ainsi que contre celles en ville, et le système qui leur est relié.


      http://www.passamontagna.info/?p=646&lang=fr

    • Migrants brave treacherous route through the Alps chasing dreams of asylum in France

      European leaders met in Brussels on Thursday, hoping to find a solution to the ongoing migrant crisis. Nearly 116,000 people have arrived in Europe this year by sea, mostly from North Africa, with 23,000 making it to Italy.

      But the Italian government is now cracking down on them. Hundreds are fleeing elsewhere, exposing themselves to new dangers.

      Sneaking through an Alpine pass and carrying what they could, CBS News was with a group of migrants as they tried to avoid being caught by French police who catch the vast majority and send them back to Italy. But the migrants are trying to cross the border into France in search of opportunities and a better life. When a car light comes on, everyone crouches down to try and hide.

      With safer routes blocked, thousands of ill-equipped migrants try the deadly route though the Alps. Some came from Africa, unaccustomed to snow or subzero temperatures.

      Dajabi is from the Ivory Coast. CBS News first met him at an Italian train station where many start the trip.

      “This is very, very difficult. This road is not for children,” he said, even though he is only 15 years old.

      Many of the migrants are from former French colonies, speak the language and dream of a future in France. In Italy, migrants are faced with an increasingly hostile environment and a new “security” law that could strip migrants’ benefits.

      The group followed GPS and their gut, traversing mountainous terrain and deep snow until they finally reached France. On Thursday, at a migrant refuge, they were exhausted but relieved.

      Lacina, 16, from Mali, said they wanted to come, so God made it happen.

      At the border between Italy and France, French police are returning a couple of migrants that they caught. Migrants are often found in the woods with hypothermia and frostbite. Last year at least three of them died along the way.

      https://www.cbsnews.com/news/migrants-brave-treacherous-route-through-the-alps-chasing-dreams-of-asylum-

    • Frontière franco-italienne – Briançon : nouvelles arrestations de maraudeurs solidaires

      Avec ses partenaires, La Cimade s’inquiète des nouvelles arrestations de maraudeurs solidaires dans la région de Briançon alors que les températures descendent sous les -15 degrés.

      Action collective

      Jeudi 13 décembre dans la nuit, trois personnes ont été arrêtées par la police à Briançon alors qu’elles portaient secours à des exilé·e·s par une température de – 15 degrés. Parmi les cinq personnes secourues, quatre étaient des mineurs voyageant seuls dont deux auraient été pris en charge au Refuge solidaire. Deux des maraudeurs ont été convoqués en audition libre vendredi 14 décembre. Le troisième est convoqué mercredi 19 décembre.

      Un peu plus tôt dans la journée, les « 7 de Briançon » avaient été condamné·e·s par le tribunal de Gap à de lourdes peines. Ce jugement a soulevé l’indignation des militant·e·s et organisations qui œuvrent pour défendre les droits des personnes exilées. Tous dénoncent les poursuites contre les personnes solidaires accusées de « délit de solidarité ».

      Malgré ces condamnations et face à la situation d’urgence en montagne, les maraudeurs du Briançonnais ont annoncé qu’ils et elles continueraient à venir au secours des personnes exilées à leur arrivée sur le territoire en leur apportant thé, nourriture, chaussures, vêtements chauds dans le village de Montgenèvre (maraudes que l’on peut désormais suivre sur https://twitter.com/nos_pas).

      Depuis, de nombreuses personnes se sont perdues en montagne et ont pu être secourues par des maraudeurs solidaires, alors que les conditions climatiques dans le Briançonnais sont extrêmes. Les personnes arrivent souvent transies de froid, en hypothermie, avec parfois des gelures et des blessures.

      En cette Journée internationale des migrants (où de nombreuses mobilisations sont prévues partout en France), nous rappelons à nouveau que les maraudes permettent de sauver des vies mises en danger par des politiques migratoires répressives et meurtrières pour des exilé·e·s. Par ailleurs, et à l’image de la CNCDH dans sa recommandation n°12, nous réitérons notre appel à mettre fin définitivement à la criminalisation des solidaires.

      Premiers signataires
      Organisations
      ACORT – L’assemblée citoyenne des originaires de Turquie
      Accueillir à Valleraugue
      ADA-Accueil Demandeurs d’Asile
      ADDE
      ADMIE (Association pour la Défense des Mineurs Isolés Etrangers)
      ADN – Association pour la démocratie à Nice
      AED (Association des avocats européens démocrates)
      AHSETI (Association Havraise de Solidarité et d’Echanges avec Tou-tes les Immigré-e-s)
      AID (Association Initiatives Dionysiennes)
      Alternatiba
      Alternative libertaire
      Alternatives et Autogestion
      AMDH MAROC
      Anafé (Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers)
      ANV-COP21
      ARCI
      ASEFRR EVRY (Association de Solidarité en Essonne avec les Familles Roumaines Roms)
      ASSOUEVAM (Association de soutien aux étrangers du Val de Marne)
      ASTI ROMANS (26)
      ATMF (Association de Travailleurs Maghrébins de France)
      Auberge des Migrants
      Bagagérue
      Barbed Wire Britain (UK)
      CEDETIM
      Cercle Louis Guilloux
      La Cimade
      La Cimade 66
      Citoyens Solidaires 06
      Collectif Haïti de France
      Collectif Droit de Rester, Fribourg (Suisse)
      Collectif Droit de Rester, Lausanne (Suisse)
      Collectif Loire « Pour que personne ne dorme à la rue » / “Un Toit c’est Tout” / “Un Toit pas sans Toit”
      Collectif migrant.e.s bienvenue 34
      Collectif Poitevin D’ailleurs Nous Sommes d’Ici
      Collectif R, Lausanne (Suisse)
      Collectif réfugiés du Vaucluse
      Collectif de soutien de l’EHESS aux sans-papiers et aux migrant-es (LDH)
      Collectif Voisins Solidaires de Mézy (78)
      Comede
      Comegas (Collectif des Medecins Généralistes pour l’Accès aux Soins)
      CNR (Collectif Nation Refuge)
      CRID
      DIEL
      Droits devant !!
      Emmaüs International
      FASTI
      Fédération Sud Education
      Forum Civique Européen
      GASPROM de Nantes (ASTI)
      GISTI
      Habitat&Citoyenneté
      IPAM
      Itinérance Cherbourg
      Jarez Solidarités
      Justice & Libertés 67 (Strasbourg)
      Kolone
      LDH
      LDH 06
      LDH PACA
      LDH Tarbes Bagnères
      Mom o’chaud en Aveyron
      MRAP
      MRAP 84
      Paris d’Exil
      PeopleKonsian
      Pratiques
      Refuges Solidaires
      RESF 13
      RESF 23
      RESF 48
      RESF 63
      RESF 65
      Réseau Foi Justice Afrique – Europe
      Revue Vacarme
      RITIMO
      Roya Citoyenne
      RSM 89 (réseau de soutien aux migrants 89)
      SAF (Syndicat des avocats de France)
      Secours Catholique – Caritas France
      SMG
      Solidaire 05
      Solidarité Migrants Graulhet (tarn, 81)
      Solidarité sans frontières (Suisse)
      Solidarity Watch
      SOS Asile Vaud
      Terre d’errance Norrent-Fontes
      Terre Des Hommes France, délégation de la Loire
      Tous Citoyens !
      Tous migrants
      TPC Maison Solidaire
      Turbulences
      UCIJ (Collectif Uni.e.s Contre une Immigration Jetable de la région nazairienne)
      UJFP
      Union syndicale Solidaires
      Union départementale Solidaires 79
      Utopia56
      Personnalités
      Lucile Abassade, Avocate au barreau de Bobigny
      Michel Agier, EHESS/IRD
      Christina Alexopoulos – de Girard, Psychologue clinicienne, anthropologue
      Jean-Claude Amara, Porte-parole de Droits devant !!
      Nasr Azaiez, Avocat au barreau de Paris et au barreau de Tunisie
      Anya Bakha, Médecin
      Florence Barthélémy, Bibliothécaire et militante
      Gilbert Belgrano, Retraité
      Emmanuel Blanchard, Président du réseau Migreurop
      William Bourdon, Avocat au barreau de Paris
      Vincent Brengarth, Avocat au barreau de Paris
      Mathilde Buffière
      Claude Calame, Historien, Directeur d’études à l’EHESS
      Françoise Carrasse
      Olivier Clochard, Membre du réseau Migreurop
      Fabien Cohen, Secrétaire général de France Amérique Latine (FAL)
      Mireille Damiano, Avocate, ancienne Présidente du Syndicat des Avocats de France
      Lionel Daudet, Alpiniste écrivain
      Marie-Madelaine Davée
      Martine Devries, Médecin à calais
      Bernard Dreano, Co-président du CEDETIM
      Patrice Dubosc
      Jean Dussine, Président d’Itinérance cherbourg
      Maxime Emmelin
      Eric Fassin, Sociologue, Université Paris 8
      Sonia Fayman, Sociologue, Cedetim-Ipam, UJFP
      Antonio Fernandes, Militant RESF48
      Paquerette Forest, Adhérente Tous Migrants
      Jacques Gaillot, Évêque de Partenia
      Anne-Marie Gautron
      Catherine Gégout, Ancienne Conseillère de Paris
      Marjane Ghaem, Avocate
      Guillaume Gontard, Sénateur de l’Isère
      Nadia Goralski, Institutrice retraitée Carpentras
      Anne Gorouben, Artiste
      Jacques Grange, Comédien, metteur en scène, auteur
      Gérard Grivet, Militant CFD-Terre solidaire St Etienne
      Augustin Grosdoy, Président honoraire du MRAP
      Kaddour Hadadi (HK), Chanteur
      Aline Hajduk, Retraitée
      Stéphanie Henry, Chargée de projets européens
      Marie Joinville
      Nicole Kahn
      Nastassia Kantorowicz Torres, Photographe indépendante
      Remi Kuentz
      Marie-Henriette La Rosa, Retraitée
      Paule Lachèvre, Auxiliaire de vie
      Aude Lagniet, Ancienne bénévole à l’association la maison solidaire de Saint Etienne
      Myriam Laïdouni-Denis, Conseillère régionale Auvergne Rhône Alpes, EELV
      Aude Lalande, Bibliothécaire
      Véronique Lalauze, Bénévole aux refuges solidaires de Briançon.
      Catherine Larat, Retraitée
      Georges Le Bris, Maire-adjoint de Cans et Cévennes
      Renée Le Mignot, Co-présidente du MRAP
      Annie Léchenet, Professeure de philosophie
      Michèle Leclerc-Olive, CNRS, Présidente de CIBELE
      Rosanna Lendom, Avocate au Barreau de Grasse
      Jean-Marc Lévy-Leblond, Professeur émérite de l’université de Nice
      Pierre Mairat, Co-président du MRAP
      Dominique Mandart, Membre du Comité d’accueil des Réfugiés Drôme
      Jean-Louis Marolleau, Secrétaire exécutif du Réseau Foi et Justice Afrique Europe
      Jean-Pierre Meyer, Syndicaliste
      Brigitte Nessler, Bénévole La Cimade Lyon
      Brigitte Pavy
      Frosa Pejoska, Enseignante
      Claude Penotet
      Michel Peyrache,Militant bénévole retraité
      Valentin Porte, Prédisent à TPC Maison Solidaire
      Jean-François Quantin, Co-président du MRAP
      Gilles Roborg
      Mady Roborg
      Pierre Rode, Consultant en communication, bénévole, acteur
      Christophe Ruggia, Cinéaste, co-président de la Société des réalisateurs de films (SRF)
      Sania, Peintre
      Danielle Simon-Goehry, Bénévole sur la Côte d’Opale
      Nan Thomas
      Monique Treuil, Militante RESF 48
      Anaïs Vaugelade, Auteure
      Simone Vaucher, AEFJN
      Laure Vermeersch, Cinéaste

      https://www.lacimade.org/presse/frontiere-franco-italienne-briancon-nouvelles-arrestations-de-maraudeurs-s

    • ‘The Alps have always protected people,’ says Frenchman convicted of helping migrants


      When far-right activists last spring descended on the French town of Briançon to prevent migrants from illegally crossing the border, some Alp residents quickly joined forces to stop them. “These mountains have always protected people,” they insist.

      “The Briançon 7” - a group of four French, one Swiss, one Swiss-Belgian and one Italian - propelled into the spotlight in April after having taken part in a spontaneous march of solidarity in which they escorted some 20 migrants across the French-Italian border. On Thursday, they were convicted by a southeastern district court for assisting the migrants in illicitly entering France in an “organised” manner.

      “It’s ridiculous!,” Mathieu Burellier, one of the “Briançon 7” activists told FRANCE 24 in an interview. “It’s out of the question to allow a group of fascists to come and roam around here around our homes, leaving people to die up there in the mountains. We couldn’t let that happen.”

      Burellier, who was also convicted of rebellion, was handed a four-month prison sentence along with another Frenchman, while the five others were given suspended six-month sentences.

      Their convictions have sparked outrage among rights groups, who have launched petitions and staged numerous protests to have the ruling annulled by the court.

      Locals turned activists

      The group’s “act of solidarity” is the second high-profile case in France in little over a year in which locals step in to try to help migrants. Last year, Cédric Herrou, an organic olive grower from southern France, was fined and handed a four-month suspended sentence for helping some 200 migrants illegally enter France from Italy. He also sheltered many of them at his farm. On December 12, however, France’s top appeals court overturned Herrou’s sentence. This came after the French Constitutional Council in July ruled that people cannot be prosecuted for helping migrants in distress, citing France’s emblem principle of solidarity. But the constitutional council ruling does not cover the act of directly facilitating illegal border crossings.

      Burellier, who is a Briançon resident himself, said the 15-kilometre march over the French Alps occurred “totally spontaneously”, and came as a response to a group of activists from the French far-right “Génération Identitaire” and the European anti-migrant “Defend Europe” turning up in the tiny town of 12,000.

      “Some of these guys had driven in from Germany and Slovenia. They started blocking the border on the Saturday and word quickly spread around town that they were out hunting migrants. There were also reports that some migrants had been beaten up,” 35-year-old Burellier said. “We didn’t know what to do. We had the choice of either trying to get rid of these neo-Nazis by confronting them by force, which we didn’t want to, or to find some other way to protect the migrants,” he said, noting that night-time temperatures dropped to between -5 and -10 degrees Celsius at the time.

      “Three migrants died up there last winter. We can’t let these mountains become a cemetery.”

      By Sunday morning, Alp residents on both sides of the border had settled on providing the migrants safe passage by escorting them over a mountain pass. “All in all there were like 200 of us; migrants, Italians, French and Swiss.”

      Partisan heritage

      “It’s part of our [Hautes-Alpes] partisan history and heritage to help out those in need. These mountains have always protected people,” he said, referring to the region’s long history of providing refuge for people persecuted for their religious or political views, especially during World War II.

      Burellier, who claims he never crossed the border himself but joined the march once it had already reached France, said he was never worried that there would be any legal repercussions to the rally.

      “It was a demonstration. I’ve taken part in hundreds in my life, so no, I was neither worried nor afraid,” he said.

      He said he was shocked when he learned that he faced charges over it, and stunned when the court this week finally delivered its verdict.

      “The court had two choices: to side with those advocating solidarity, or condemn people [in need] to death. It chose death. It’s a clear message for all the people in the Briançon valley who show solidarity,” he said, adding that the “Briançon 7” will appeal the ruling.

      In the beginning of December, a number of aid groups, including Amnesty International, Anafé, La Cimade and Doctors Without Borders, issued a warning about the potentially deadly situation for migrants trying to cross the French-Italian border via the Alps this winter.

      “More than 30 people have had to be rescued since the beginning of winter a month ago, and we fear deaths. Some people don’t have mobile phones or sufficient clothing,” they said in a joint statement, also lambasting authorities for threatening people with penalties for helping them.

      Burellier said that despite his conviction, he is prepared to take the risks. “It’s already -17 degrees Celsius out there and we’ve got to do what we can to prevent more deaths.”

      https://www.france24.com/en/20181216-france-alps-migrants-mountains-activists-convicted-winter-deaths-

    • Des personnes interpellées par la police pour avoir secouru des exilés en détresse dans les Alpes, par -15°C

      Alors que le froid hivernal saisit les Alpes, des citoyens ont été arrêtés par la police en fin de semaine dernière alors qu’ils portaient secours à des exilés en détresse. Un collectif réunissant plus de 100 organisations et personnalités sonnent l’alerte. Les maraudes permettent de sauver des vies, rappellent-ils. Il est temps de mettre fin à la criminalisation des aidants mais surtout aux politiques migratoires meurtrières. Nous relayons leur alerte.

      Nouvelles arrestations de maraudeurs dans les Alpes : des associations donnent l’alerte

      Jeudi 13 décembre dans la nuit, trois personnes ont été arrêtées par la police à Briançon alors qu’elles portaient secours à des exilé·e·s par une température de -15 degrés. Parmi les cinq personnes secourues, quatre étaient des mineurs voyageant seuls dont deux auraient été pris en charge au Refuge solidaire. Deux des maraudeurs ont été convoqués en audition libre vendredi 14 décembre. Le troisième est convoqué mercredi 19 décembre.

      Un peu plus tôt dans la journée, les « 7 de Briançon » avaient été condamné·e·s par le tribunal de Gap à de lourdes peines. Ce jugement a soulevé l’indignation des militant·e·s et organisations qui œuvrent pour défendre les droits des personnes exilées. Tous dénoncent les poursuites contre les personnes solidaires accusées de « délit de solidarité ».

      Malgré ces condamnations et face à la situation d’urgence en montagne, les maraudeurs du Briançonnais ont annoncé qu’ils et elles continueraient à venir au secours des personnes exilées à leur arrivée sur le territoire en leur apportant thé, nourriture, chaussures, vêtements chauds dans le village de Montgenèvre (maraudes que l’on peut désormais suivre sur https://twitter.com/nos_pas).

      Depuis, de nombreuses personnes se sont perdues en montagne et ont pu être secourues par des maraudeurs solidaires, alors que les conditions climatiques dans le Briançonnais sont extrêmes. Les personnes arrivent souvent transies de froid, en hypothermie, avec parfois des gelures et des blessures.

      En cette Journée internationale des migrants (où de nombreuses mobilisations sont prévues partout en France), nous rappelons à nouveau que les maraudes permettent de sauver des vies mises en danger par des politiques migratoires répressives et meurtrières pour des exilé·e·s. Par ailleurs, et à l’image de la commission nationale consultative des droits de l’homme (CNCDH) dans sa recommandation n°12, nous réitérons notre appel à mettre fin définitivement à la criminalisation des solidaires.

      https://www.bastamag.net/Des-personnes-interpellees-par-la-police-pour-avoir-secouru-des-exiles-en

    • Confine Italia-Francia: torna lo spettro dei “reati di solidarietà”

      Tutti condannati i sette attivisti che lo scorso 22 aprile avevano manifestato in solidarietà con i migranti da Claviere a Monginevro: l’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – motivata dal fatto che alcuni stranieri irregolari avevano approfittato del corteo per attraversare il confine tra Italia e Francia – mentre l’aggravante della banda organizzata era caduta subito durante l’udienza dell’8 novembre.

      A Gap, capoluogo del dipartimento delle Alte Alpi, la sentenza del 13 dicembre ha convalidato le richieste del procuratore Raphaël Balland: Benoit Ducos, Lisa Malapert, Théo Buckmaster, Bastien Stauffer e l’italiana Eleonora Laterza sono stati condannati a sei mesi con la condizionale, mentre Jean-Luc “Juan” Jalmain e Mathieu Burellier a dodici mesi, di cui otto con la condizionale e quattro da scontare in carcere. Burellier dovrà anche pagare un risarcimento di quasi seimila euro per aggressione a pubblico ufficiale.
      Fischi e proteste in difesa della solidarietà ai migranti

      Sconcerto e indignazione fuori dal tribunale, dove la decisione del giudice è stata accolta con un coro di fischi dai sostenitori accorsi per testimoniare la propria solidarietà agli imputati. La manifestazione di aprile, a cui aveva partecipato un centinaio di persone, era stata organizzata grazie al passaparola del movimento Tous migrants e degli altri gruppi che sui due versanti delle Alpi da alcuni anni si prodigano nell’accoglienza dei rifugiati.

      In particolare, questa marcia era una risposta al presidio improvvisato il giorno prima da Generazione identitaria, un gruppo di estrema destra che per giorni, senza autorizzazione, aveva piantonato il colle della Scala, che congiunge il Piemonte alla Val de la Clarée in Francia, con l’intenzione di bloccare chiunque cercasse di passare il confine senza documenti.

      Da Claviere a Monginevro: processo a chi manifestava

      Il processo si era aperto lo scorso 8 novembre davanti al Tribunale correzionale di Gap con un’udienza durata 17 ore: interrogati, gli imputati avevano risposto che si erano limitati a partecipare a una manifestazione pacifica, senza l’intenzione di accompagnare persone senza permesso di soggiorno oltre confine. «Non potevamo permettere che le nostre montagne fossero militarizzate e occupate dai fascisti», ha ribadito Benoît Ducos dopo la lettura della sentenza, sottolineando che nel frattempo nulla è stato contestato dalle autorità ai militanti di Generazione identitaria, nonostante le numerose infrazioni commesse dal gruppo, dall’occupazione abusiva di suolo pubblico al fermo di persone senza autorizzazione.

      Ducos, che fa parte dell’associazione Tous migrants, ha ricevuto il premio “Mediterraneo di pace” per aver trasportato all’ospedale sulla sua auto una donna incinta, gesto per cui a marzo era stato indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, inchiesta finita poi nel nulla.

      «La giustizia ha deciso di non procedere nei confronti dei fascisti di Generazione identitaria, ma di accanirsi su chi aiuta i più deboli – ha commentato Mathieu Burellier all’uscita dal tribunale – ed è un segnale molto grave: oggi lo Stato ha scelto la morte perché questa sentenza intima a tutti di lasciar crepare i migranti se non vogliono finire nei guai».

      Ai valichi Italia-Francia si gioca la solidarietà

      Eppure, soltanto il giorno prima, la Corte di Cassazione aveva deciso di invalidare la sentenza che condannava Cédric Herrou a quattro mesi, almeno per il capo d’imputazione che si riferiva all’aiuto dato in loco ai migranti: una buona notizia, che a molti era parso un timido segnale di inversione di tendenza sulla questione dell’accoglienza in Francia.

      La sentenza del 12 dicembre a favore di Herrou si basa infatti su una decisione del Consiglio costituzionale dello scorso luglio, che ha riconosciuto per la prima volta il valore costituzionale del principio di fraternità, mitigando in questo modo l’interpretazione del famigerato “reato di solidarietà”: diventa ora possibile aiutare stranieri in difficoltà sul territorio francese, ma resta netto il divieto ad agevolare l’attraversamento dei confini.

      Ora Herrou, simbolo della resistenza contro la chiusura delle frontiere in Val Roja, dovrà presentarsi davanti al tribunale di Lione per un nuovo processo. Mentre ai cosiddetti “sette di Briançon” non resta che fare ricorso davanti alla Corte d’Appello di Grenoble.
      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina?
      «Il tribunale ha preso una decisione politica»

      «Il tribunale di Gap – ha commentato a caldo l’avvocata Laura Martinelli, che da anni si occupa di fornire tutela legale agli immigrati – ha preso una decisione politica. Infatti, nonostante lo stesso procuratore avesse fatto cadere l’imputazione di banda organizzata, le accuse sono state portate avanti senza elementi che provassero effettivamente l’agevolazione dello sconfinamento di persone senza documenti. Una sentenza che convalida la gestione repressiva delle autorità alla frontiera, sia nei confronti dei migranti che dei cittadini solidali nei loro confronti».

      «In risposta all’ignobile presa di posizione dello Stato, che presenta come pericolose le persone che aiutano il prossimo, noi continueremo ad accogliere – ha detto Michel Rousseau, portavoce di Tous Migrants – chi arriva sulle nostre montagne. Abbiamo invitato il giudice a venire a vedere di persona la violenza e l’umiliazione che la polizia riserva ai più deboli proprio qui, alle porte d’Europa, dopo tutto quello che hanno già sofferto». L’indignazione porta ad un appello: «Dobbiamo presidiare le Alpi per evitare che diventino un cimitero, ora che l’inverno è di nuovo arrivato».

      La prima neve è caduta e di notte in montagna la temperatura scende diversi gradi sotto lo zero: l’anno scorso il gelo ha ucciso tre persone e i timori che accada di nuovo sono fondati. «C’è un posto, il confine, dove non ci sono regole – dice Agnés Ducos, attivista e moglie di Benoît – e dove i neri sono picchiati, maltrattati, umiliati. Condannando oggi chi è solidale con i migranti, la giustizia francese vuole mettere in difficoltà coloro che si battono sulla frontiera perché sono testimoni scomodi di quello che succede in questa zona franca, dove non esiste lo stato di diritto. Il nostro problema non sono le condanne di oggi, il nostro problema sono le persone che moriranno anche quest’anno alla frontiera».

      https://www.osservatoriodiritti.it/2018/12/18/confine-italia-francia-migranti/amp/?__twitter_impression=true

    • Briançon : les associations craignent que les migrants « meurent d’épuisement » dans la montagne

      Avec l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini en Italie et le durcissement de sa politique migratoire, les associations françaises de Briançon, à la frontière franco-italienne, craignent une arrivée massive de migrants par la montagne. Mais les sommets sont enneigés et les risques d’accident élevés.

      Les associations d’aide aux migrants à Briançon, dans les Hautes-Alpes, à la frontière franco-italienne, s’inquiètent d’un potentiel afflux de migrants dans les semaines à venir. En cause : le durcissement de la politique migratoire en Italie. « Le contexte en Italie a changé avec l’arrivée au pouvoir de Matteo Salvini. C’est un facteur d’aggravation de la situation pour nous », déclare à InfoMigrants Michel Rousseau, le porte-parole de l’association Tous Migrants à Briançon. « On craint de nouvelles traversées de la montagne dans les semaines à venir ».

      Michel Rousseau se dit particulièrement préoccupé par le sort des femmes et des enfants. « On a peur que des personnes vulnérables fuient l’Italie et s’aventurent dans les montagnes, vers le col de Montgenèvre, pour essayer de passer en France. Or, les familles ne sont pas préparées à ces traversées », s’inquiète le militant.

      Depuis la mi-novembre, la neige tombe dans les Hautes-Alpes, et « à 2 500 mètres d’altitude, il y a un mètre d’enneigement. La nuit, les températures descendent jusqu’à -10, -15 degrés », rappelle Michel Rousseau. Selon le bénévole, la traversée peut prendre plusieurs heures, en fonction des trajets empruntés et de la forme physique des migrants. « Entre la dernière ville italienne de Claviere et le Refuge de Briançon, il y a 17 km. Il faut au moins 3h de marche dans le froid glacial et la neige ».

      À ces nouvelles craintes d’arrivées, les associations redoutent les pressions policières. Depuis plusieurs mois, les forces de l’ordre patrouillent ponctuellement le long de la frontière. « On sait qu’il y a des renvois systématiques de migrants interceptés dans la montagne », continue Michel Rousseau. « C’est ce qu’on redoute le plus, que des personnes renvoyées vers l’Italie meurent de froid, d’accident, de fatigue là haut ». Car, selon le militant, pour chercher à éviter la police, des migrants prennent des risques. Dans des course-poursuites avec les forces de l’ordre, ils sortent des sentiers battus, se perdent, s’épuisent… « On craint les morts d’épuisement en montagne », précise-t-il.

      Michel Rousseau dénonce aussi les « ruses » dont feraient preuve certains agents. « Il y a des policiers très humains et bienveillants et il y en a qui se déguisent en randonneurs. Le souci, c’est que désormais quand les migrants voient des civils en montagne, n’importe quel civil, ils prennent peur, ils ne savent pas s’ils sont face à des bénévoles, des militants ou des policiers ».
      En attendant le retour de jours plus cléments, l’association Tous Migrants « encourage » les citoyens à « effectuer des maraudes ». « Plus de trente personnes ont déjà dû être secourues depuis l’arrivée du froid, il y a un mois », continue Michel Rousseau. « On ne demande pas aux gens d’être dans l’illégalité, mais de rester vigilant quand ils roulent en voiture dans la montagne. De regarder si personne n’est en difficulté. »

      Trois migrants ont déjà trouvé la mort dans la région, l’hiver dernier. « La situation mérite une réponse humanitaire et juridique immédiate avant qu’un nouveau drame arrive », expliquent les associations dans un communiqué publié la semaine dernière. « Les frontières françaises ne peuvent continuer à être des zones où le droit n’est pas appliqué ».

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13894/briancon-les-associations-craignent-que-les-migrants-meurent-d-epuisem
      #hiver #neige #froid

    • Des migrants en perdition entre l’Italie et la France

      16.11.2018

      Un groupe de migrants africains a composé le 112 jeudi soir vers 21h45 alors qu’ils tentaient de traverser la frontière franco-italienne par la montagne. En difficultés dans la neige et perdus au beau milieu du domaine skiable de la Voie Lactée, ces exilés ont demandé l’aide des secours. La nuit étant tombée, les hélicoptères n’ont pas pu décoller. Les recherches ont démarré à pied. Dix migrants, a priori Maliens, ont été récupérés sains et saufs par les bénévoles italiens du Soccorso Alpino Piemontese appuyés dans leur mission par des pompiers et des carabinieri. Ils étaient dispersés sur le chemin, éparpillés entre le #col_Saurel et le #col_de_Gimont, vers 2400 mètres d’altitude. « Mais il se peut que d’autres personnes soient encore en danger et nous avons très peu d’informations sur la composition exacte de ce groupe » précise le Peloton de gendarmerie de haute montagne (PGHM) de Briançon qui va reprendre les recherches dès ce vendredi matin sur le versant français avec l’aide du détachement aérien de la gendarmerie afin de survoler la zone. Car selon les premiers éléments recueillis par les sauveteurs, le groupe pourrait être initialement composé de quatorze individus. La presse italienne avance que les quatre migrants non secourus seraient parvenus à entrer sur le territoire français.

      Ces migrants en perdition seraient partis de Claviere (Italie) le jeudi vers 10 heures afin de regagner Briançon (Hautes-Alpes) sans se faire repérer par les patrouilles de gendarmerie ni par les policiers chargés de surveiller la frontière dans le col de Montgenèvre. Mais ils ont été pris au piège de la montagne en pleine nuit. Vers 3 heures du matin, ils ont été transportés par des ambulances de la Croix-Rouge vers un centre d’accueil à Oulx. Ils ne sont pas blessés.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2018/11/16/des-migrants-en-perdition-entre-l-italie-et-la-france

    • Accoglienza a #Oulx.

      Ogni notte il piccolo centro di accoglienza di Oulx, in Val di Susa, ospita una trentina di persone: si tratta di migranti che tentano di passare il confine fra l’Italia e la Francia e vengono respinti alla frontiera. Chiese e associazioni del territorio sono coinvolte in questo lavoro di accoglienza.

      https://www.rsi.ch/rete-uno/programmi/cultura/chiese-in-diretta/Accoglienza-a-Oulx.-Natale-a-Ravecchia.-Il-Localone-di-Mendrisio-11140320.html

    • Rejected By Italy, Thousands Of Migrants From Africa Risk The Alps To Reach France

      At a ski resort in northern Italy’s Susa Valley, outside Turin, children scoot their way onto the bunny slopes as others make snow angels.

      But deeper in these woods, not far from the border with France, a dangerous and sometimes deadly scene unfolds.

      Just after midnight, Red Cross workers pick up a 28-year-old man, an African migrant. His pulse is weak and his breathing is shallow — classic symptoms of hypothermia. The altitude is 6,000 feet and it’s 10 degrees Fahrenheit, but he’s not even wearing a jacket — just a hoodie, jeans and sneakers. One of his rescuers, Alessia Amendola, pours him some hot tea.

      “Immigrants are trying to go from Italy to France, illegally of course,” she says. “We are in the mountains, where it’s really dangerous.”

      On average, she and other Red Cross volunteers rescue 15 migrants per night. But they have rescued as many as 40 in one night. Most are from sub-Saharan Africa. They’ve already risked their lives crossing the Mediterranean Sea from North Africa to Italy. Now they’re trying to get out of Italy, which has made clear it doesn’t want them. But this time, they’re in an unfamiliar Alpine climate.

      “They don’t even know what they are going to face,” Amendola says.

      The Red Cross team picks up another migrant, delirious from the freezing cold. His eyes roll back as he collapses into their van.

      “Wake up! Wake up,” says rescuer Michaela Macrì, as she slaps his cheeks.

      He too has hypothermia, and possibly frostbite on his hands and feet. For a moment, he wakes up and says his name — Seidu. He’s from Senegal. He says he’s 14.

      In this border region, an estimated 5,000 migrants have attempted to cross into France in 2018, according to local municipalities and aid groups. About half make it — local municipalities say more than 2,000 have crossed since last spring. But many don’t.

      “We found several bodies of migrants this spring during the thaw,” says Paolo Narcisi, a doctor and the president of Rainbow For Africa, an Italian nonprofit medical organization. “But some bodies we’ll never recover. Because there are wild animals. Or the bodies decompose. If you don’t know the way, it’s easy to wind up off a cliff. And no one will ever find you.”

      To understand why migrants are taking such deadly risks to leave Italy, look no further than the country’s vice premier and interior minister, Matteo Salvini. In late November, his government passed a law that eliminates humanitarian grounds for granting asylum to people who are not fleeing political persecution or war.

      “You’re not fleeing war. You’re not escaping torture. What do you have to do? Go back to your country,” Salvini said during an interview with Italian broadcaster RAI shortly after the law passed. “We already have 5 million Italians living in poverty. So I can’t host hundreds of thousands of other people from the rest of the world.”

      In 2017, roughly 130,000 people applied for asylum in Italy, second only to Germany in the European Union for the number of first-time applicants. Refugee status was granted to 6,827 people; about 27,000 others received other forms of protection.

      More than 119,000 migrants arrived in Italy by sea in 2017, according to the U.N. migration agency. Figures from the Italian interior ministry show a dramatic drop in 2018, with only 23,011 migrants and refugees arriving — a decline of more than 80 percent.

      Migrants started passing through the Alps to France even before the recent immigration law. After terrorist attacks in Paris in 2015, France reinstated border controls with Italy. That sparked a wave of migrants who sought to cross the border in temperate conditions near the Mediterranean coast.

      Starting last spring, French police cracked down on undocumented migrants crossing the border, prompting migrants to move to the Alpine north, where border controls are more difficult to enforce.

      The United Nations has blasted Italy’s new law, warning it will violate human rights and fuel hate, as well as make it harder for migrants to access shelters. It’s feared that thousands will wind up living on the streets.

      Two migrants who are living on Italy’s streets are Abdul Razak and Harouna Waija, both 22 years old and from Ghana. Razak left because of poverty, he says; Waija because he converted from Islam to Christianity. His family wanted to kill him as a result, he says.

      In a train station near the French border in December, they are suiting up to cross the Alps. It is the first time they’ve seen snow. What looks like a second pair of jeans is coming out the ankles of Waija’s pants.

      “It’s five,” he says. He’s wearing five pairs of pants.

      Razak says he understands the risks and has nothing to lose. They’ve been sleeping on the streets after failing to gain asylum in Italy. The mountains can’t be much worse, he reasons.

      “I’m worried, but I have to try,” he says. “I want a better life.”

      The two agree to let me follow along, and are joined by four other French-speaking migrants.

      The odd car whizzes by on the nearby highway as snow crunches beneath their feet. It’s pitch-dark outside — easier to evade detection, but also easier to get lost.

      A passerby pulls over and points them toward the border. Soon, they’re in the woods, just a few feet from a border post flying the French flag — and French gendarmes patrolling the frontier.

      Whispers of “la police” ripple through the group. If they get any closer, they risk being caught.

      They change course again, and decide to take their chances deeper in the woods. To the left, there’s a ravine they want to cross. The other side is completely covered in trees they can use for cover.

      I walk with them for about 200 yards, until the snow starts coming up to my knees. I hear water running nearby, and worry about falling blindly into an icy river. I say goodbye and turn back, and the six migrants disappear into the darkness.

      The next morning, I get a call from Abdul Razak. He tells me he made it across the border to France. But after four hours of wandering in the snow, he was caught by French gendarmes and sent back to Italy.

      Harouna Waija wound up in an Italian hospital, where a nurse says he was treated for exposure. After a few hours on an IV drip, he’ll be okay.

      “Yesterday the cold was freezing me,” he says, with an audible shiver still in his voice. “My blood was frozen. It was very difficult.” Going through the icy Alps, he says, is “not a good way. I’m regret.”

      For now, the two are resigned to staying in Italy. Once spring comes and the snow melts, that’s another story, they say. The seasons will change. Italy’s crackdown on migrants might not.

      https://www.npr.org/2019/01/01/679840656/rejected-by-italy-thousands-of-migrants-from-africa-risk-the-alps-to-reach-fran

      –---------------

      Commentaire de Polly Pallister-Wilkins sur twitter :

      This piece from @NPR is frustrating in characterising border crossing of the Col de L’Écelle as ’illegal’. It isn’t. The people who are crossing have been illegalised. These distinctions matter because the it is this illegalisation that causes deaths.
      Crossing the Col de L’Échelle is not illegal. I do it a lot. It’s about whose crossing is deemed illegal that matters. It’s about those that have been made illegal by Italy’s asylum system. Crossing itself is not illegal. #violentborders


      The Italian-French borderline on the way to the Colle della Scala/Col de l’Échelle... easy crossing if you’re white.

      The road from Bardonecchia-Melezet and the Pian del Colle golf club up to the plateau of the Col itself at 1,762m, the lowest of the cols in these parts

      Other cols on or close to the Italian-French border in this region of Hautes-Alpes/Savoie/Piedmont region are Montgenèvre at 1,860m and more populated; the exposed Mont Cenis at 2,083m; and the beast of Col Agnel/Colle Dell’Agnello at 2,744m.
      Col Angel/Colle Dell’Agnello is the third highest paved road pass in the Alps, after the Stelvio Pass and Col de l’Iseran. Very different to and almost 1,000m higher than the Col de L’Echelle.

      The Col de l’Échelle (pics 1 and 2) kills but it is chosen because it is relatively safer and passable in winter than other crossing points like Col Agnel (pics 3 and 4).

      https://twitter.com/PollyWilkins/status/1080450228971556864
      #illégal #terminologie #vocabulaire

    • Un #rassemblement de soutien à deux maraudeurs sur le front de neige [VIDÉO]

      Entre 80 et 100 personnes se sont réunies, ce mercredi 9 janvier après-midi, sur le front de neige de Montgenèvre, pour apporter leur soutien à deux maraudeurs, jugés ce jeudi au tribunal de Gap pour, notamment, « aide à l’entrée, à la circulation ou au séjour irréguliers d’un étranger ».

      Ils se sont installés devant le télésiège du Prarial, sur le front de neige de Montgenèvre. Entre 80 et une centaine de personnes sont venues apporter leur soutien, ce mercredi après-midi, à deux maraudeurs, poursuivis pour « aide à l’entrée, à la circulation ou au séjour irréguliers d’un étranger » en France. Tous deux seront jugés, ce jeudi 10 janvier, au tribunal correctionnel de Gap.
      Sensibiliser aux maraudes

      Outre ce soutien, ce rassemblement avait également pour but de sensibiliser skieurs et habitants de Montgenèvre aux maraudes, effectuées chaque nuit sur le secteur de la commune pour venir en aide aux personnes en difficulté.

      « On souhaite également dénoncer les violences policières qui se déroulent quotidiennement à la frontière envers les personnes souhaitant passer en France », précisait également Michel Rousseau, porte-parole de Tous migrants, collectif à l’initiative, avec le comité de soutien aux « 3+4+2... », de ce rassemblement.


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/01/09/un-rassemblement-de-soutien-a-deux-maraudeurs-sur-le-front-de-neige-vide

    • Col du Montgenèvre (Hautes-Alpes) : jusqu’à quand la chasse aux migrants ?
      Les « maraudes » ont repris au col de l’Échelle et au col du Montgenèvre. Les maraudeurs sont harcelés par les forces de l’ordre. Jusqu’à quand ?

      Les « maraudes » ont repris depuis plusieurs semaines au col de l’Échelle et au col du Montgenèvre. Ces maraudes visent à porter assistance aux personnes qui risquent leur vie en tentant de franchir clandestinement la frontière entre l’Italie et la France, de se frayer un chemin entre ravins et champs de neige, de jour comme de nuit. Les maraudeurs accomplissent un devoir d’humanité.

      Les personnes auxquelles ils apportent leur secours sont des migrants, partis depuis longtemps, en général, de chez eux et qui après un long périple périlleux, après avoir connu accidents, violences et rackets divers, souvent plusieurs fois refoulés et emprisonnés avant d’arriver là, savent que leurs droits, ces droits figurant noir sur blanc dans la Déclaration universelle des droits humains de l’ONU, ces droits reconnus internationalement sur le respect desquels veille la Commission européenne des droits de l’homme (CEDH), émanation du Conseil de l’Europe, leurs droits donc leur seront déniés s’ils tentent de s’en réclamer en se présentant simplement à un poste frontière.

      La solidarité des habitants des montagnes des Hautes-Alpes, de part et d’autre de la frontière, ne faiblit pas. Les maraudeurs sont harcelés par les forces de l’ordre, police des frontières, gendarmes et CRS, ils sont en garde à vue, ils sont mis en accusation, ils sont condamnés. Tout l’espace frontalier est comme en état de siège, la chasse aux migrants est ouverte.

      Tout récemment l’un d’eux qui s’occupait d’une femme évanouie sur le front de neige, à Montgenèvre, et exigeait qu’on appelle les secours a été arrêté sous l’accusation de « rébellion »…

      Hier, mercredi, une réunion de masse des aidants à l’appel des associations, des collectifs, des diverses structures impliqué.e.s dans la solidarité avec les migrants a eu lieu à Montgenèvre. Une action visant principalement à la sensibilisation des touristes de la station auxquels il peut arriver de croiser, sur les pistes, des personnes en difficultés. Plusieurs banderoles ont été déployées, des pancartes évoquaient le sort de certaines victimes.

      Il s’agissait aussi d’exprimer la détermination des aidants avant que ne débute, ce jeudi, à Gap le procès pour « aide à l’entrée irrégulière » de deux maraudeurs dont les pourvois ont été rejetés. Un déploiement spectaculaire de forces de police avait été organisé par la préfecture. Il n’y a pas eu d’incident.

      Dans notre pays, gouvernement, forces de l’ordre, administration et justice sont mobilisés pour organiser la répression des migrants avec principalement la couleur de peau comme référence et point de repère. En haut de l’échelle, le cynisme de ceux qui prennent en otage une cinquantaine de migrants bloqués sur deux navires au large de Malte, la realpolitik de ceux qui condamnent l’Aquarius en lui refusant des papiers de navigation, et, à chaque niveau, des institutions qui contournent le droit ou l’ignorent, qui privent les associations de moyens ou les harcèlent de procédures, qui poursuivent des citoyens, les condamnent et les incarcèrent en espérant faire des exemples qui décourageront les actes de solidarité et d’humanité. Partout, des forces de l’ordre qui agissent sans retenue, par exemple confisquent papiers et argent. Nous vivons dans un régime d’indignité nationale.

      https://blogs.mediapart.fr/michel-pinault/blog/100119/col-du-montgenevre-hautes-alpes-jusqua-quand-la-chasse-aux-migrants

    • « Je ne suis pas maraudeuse » par #Laetitia_Cuvelier

      Je ne suis pas délinquante
      J’habite trop loin, j’ai des enfants, j’ai mal au genou,
      j’ai des excuses,
      des mauvaises excuses.

      Je connais ceux qui arrivent, je les aide quand je peux, pour les papiers, pour faire un bout de chemin, vivre le moment présent. Celui de la fraternité, qui nous rend vivants, si vivants.

      Je les entends me raconter l’effroi, la peur, l’humiliation, les violences…
      avec pudeur toujours.
      On m’a un peu tapé.
      J’entends leurs silences,
      je sais qu’ils sont les rescapés d’un enfer qui n’en finit pas.

      La nuit je suis dans mon lit, il y a mon amoureux à côté
      Les enfants là-haut, trois petits chéris, leurs rêves de neige, de montagne
      et de grands voyages.
      c’est doux c’est chaud

      Et je pense au froid, là-haut là-bas
      ça me réveille parfois
      Je les vois se noyer, je les vois courir, appeler
      Je les vois avoir froid avoir peur
      Je suis dans mon lit si loin,
      Je me sens lâche.
      Trop fatiguée, trop épuisée.
      Oui ce monde me fatigue.

      Je sais qu’ils recommenceront demain,
      que s’ils n’y arrivent pas ce soir,
      ils y arriveront un jour.
      Ils n’ont pas de valise, ils n’ont rien que leurs espoirs
      Et au creux du ventre ces nuits, ces jours, ces mois et parfois ces années d’humiliation.
      Je me sens lâche, et j’ai honte.

      Pour protéger notre pays, notre petit bout de terre,
      on violente, on humilie, on rejette, on accuse,
      on tue en Méditerranée ou dans les Alpes.

      Qu’apprendrons mes petits enfants
      dans leurs livres d’histoire ?
      Qu’est-ce que nous leur dirons ?
      Que nous avons laissé faire ?
      Que ces hivers-là, je n’avais pas la force, le courage, que j’étais trop loin, qu’il fallait que je raconte une histoire qui finisse bien à mes enfants ?

      Je leur dirai, qu’il y avait des voisins, des amis, des inconnus, des gens bien qui se levaient la nuit.
      Qui offraient du thé, un sourire, un bonnet, des gants.
      Qui donnaient à chacun la chance
      d’être un humain sur terre,
      ni plus, ni moins.

      Merci aux maraudeurs, merci à toi Pierre, mon ami,
      merci à toi Kevin que je ne connais pas.
      Merci à vous tous.
      J’espère un jour, oublier toutes mes excuses et venir avec vous.
      Etre DEBOUT.

      La Grave le 9 janvier 2019

      https://alpternatives.org/2019/01/10/je-ne-suis-pas-maraudeuse-par-laetitia-cuvelier
      #poésie #poème

    • SOLIDARITE dans les Alpes – #MDM PACA soutient le sauvetage des personnes en danger

      SOLIDARITE dans les Alpes – Médecins du Monde PACA soutient le sauvetage des personnes en danger en zone frontalière, leur accueil et leur mise à l’abri

      Dans les Hautes Alpes où toutes les vies ont la même valeur, les citoyens Alpins se mobilisent pour ne voir « aucun mort dans leurs montagnes ».

      Malgré tout, 3 personnes sont mortes l’hiver dernier en traversant la frontière transalpine italo-française dans sa partie Briançonnaise, d’autres ont été grièvement blessées. Plus de 25 personnes ont succombé à la traversée de cette frontière depuis 2015, dans sa partie sud le plus souvent, entre Vintimille et Menton.

      Médecins du Monde PACA, en assurant les permanences de soins le week-end au sein même du Refuge Solidaire de Briançon (en complément des permanences assurées la semaine par la PASS), prend en charge des personnes dont plus d’un tiers sont blessées à l’occasion de la traversée de cette frontière. Les hypothermies et les gelures sont les cas les plus graves et les plus fréquents, mais la traversée de la frontière, dans ces conditions et ce contexte extrêmement dangereux, entraîne aussi d’autres types de pathologies et de souffrances.

      La fermeture des frontières en est la cause. Personnes exilées, en demande d’asile, mineures, femmes et enfants, tous s’exposent à des risques mortels pour échapper aux représentants des forces de l’ordre.

      Ces représentants doivent obéir à des ordres où le contrôle des frontières doit être assuré aux mépris du droit des demandeurs d’asile et des mineurs, au mépris de toute assistance à personne en danger. Des ordres qui mettent eux-mêmes en danger parfois.

      Ce week-end encore, un mineur en hypothermie sévère était retrouvé sur le quai de la gare de Briançon. D’autres ont été pris en charge pour des gelures.

      Chacune de ces blessures étaient évitables si le droit d’exprimer sa demande d’asile en France était respecté, si la déclaration de la minorité était entendue et considérée.

      Pour éviter tout accident, toute disparition, toute blessure, toute mort, des citoyens solidaires, bénévoles, soucieux de la vie de chacun, organisent des maraudes de recherche et de sauvetage des victimes de la montagne. D’autres ouvrent des lieux d’accueil et de mise à l’abri.

      Aucune mise en danger n’est admissible.

      Aucune blessure n’est tolérable.

      Aucune mort n’est acceptable.

      Médecins du Monde PACA soutient pleinement les acteurs solidaires qui viennent en secours auprès des personnes en exil dont la vie est mise en danger par des politiques de fermeture de frontières illégales et irrespectueuses des droits humains.

      Le sauvetage et la mise à l’abri, en montagne comme en mer, NE PEUT PAS être condamné. Et ceux qui l’accomplissent ne peuvent pas être criminalisés.

      C’est la fermeture des frontières et les drames qui en découlent qui sont à condamner.

      https://blogs.mediapart.fr/mdm-paca/blog/120119/solidarite-dans-les-alpes-mdm-paca-soutient-le-sauvetage-des-personn
      #médecins_de_monde

    • Nos montagnes ne sont pas des cimetières !
      #Solidaires, janvier 2019
      https://solidaires.org/Nos-montagnes-ne-sont-pas-des-cimetieres

      Appel à une maraude syndicale des camarades de Solidaires des Hautes Alpes :

      En réaction à l’ignoble et systématique répression qui s’exerce dans les Hautes-Alpes contre toutes celles et ceux qui viennent en aide aux centaines de migrant-e-s qui passent la frontière par -15° via Montgenèvre et le col de l’échelle (3+4 de Briançon et maraudeurs solidaires), SUD-Solidaires-05 organise une maraude syndicale le samedi 26 janvier à partir de 16H à la Frontière de Montgenèvre au dessus de Briançon. L’initiative est soutenue par l’union syndicale Solidaires et s’inscrit localement dans le cadre d’une intersyndicale CGT, FSU, CFDT, Confédération Paysanne.

      Cette date s’intercale dans le très dense et infâme calendrier des procès de maraudeurs-euses solidaires systématiquement condamné-e-s et veut rappeler que, quotidiennement, dans la montagne, de pauvres gens sont, en plus du froid de la fatigue et de la peur, agressé-e-s, refoulé-e-s, dépouillé-e-s, traqué-e-s, mutilé-e-s.

      Inacceptable !

      Notre action a pour objectif de mettre en lumière ce qui se passe quotidiennement à la frontière et que nous ne pouvons pas laisser faire sans réagir. Comme les maraudeurs et maraudeuses du Briançonnais qui apportent boissons chaudes et vêtements adaptés aux personnes qui traversent à pied la frontière dans la neige nous voulons opposer entraide, solidarité et réconfort aux traques, lâchés de chiens et autres poursuites qu’impose tous les jours la police de l’air et des frontières.
      Sous couvert syndical avec drapeaux et moufles estampillé-e-s, dans la joie, la non violence et la détermination, le 26 janvier prochain portons secours à celles et ceux qui en ont besoin !

      L’Union Syndicale Solidaires Hautes-Alpes demande aux solidaires locaux, aux fédérations, aux syndicats de relayer le plus possible cet appel et de nous rejoindre pour dénoncer les violences et couvrir de solidarité, d’espoir et de drapeaux ce petit coin de montagne à forte charge symbolique.

    • Traversées des Alpes : « Les migrants sont victimes d’une #chasse_à_l’homme qui se répète chaque nuit »

      Trois migrants ont été secourus à Montgenèvre, cette semaine, alors qu’ils tentaient de passer d’Italie en France. Des militants déplorent les « chasses à l’homme » dont sont victimes les migrants dans la montagne lors du passage de la frontière.

      Mardi 22 janvier, dans l’après-midi, trois migrants qui tentaient la traversée de la frontière italo-française à pied, entre Claviere (en Italie) et Montgenèvre (en France), ont été secourus après avoir appelé le 112, le numéro d’urgence. Ils ont été retrouvés sous un télésiège en haut des pistes. La même semaine, sept personnes ont été emmenées à l’hôpital pour des #engelures.

      Avec les températures glaciales de ces derniers jours, les traversées de la frontière par les Alpes inquiètent les associations d’aide aux migrants qui organisent des maraudes dans la montagne pour leur porter secours. La nuit, elles descendent à - 15 degrés « mais avec le vent le ressenti tourne plutôt autour de - 20 degrés », explique Thomas*, un militant qui participe aux maraudes dans la montagne.

      Plus que le froid, c’est surtout la #pression_policière qui inquiète les militants. « La présence de la #police est devenue insupportable. Tous les soirs, là haut, c’est la chasse à l’homme », confie Thomas*. « Il y a des #courses-poursuites en montagne entre les policiers et les migrants, il y a des #chiens qui effraient les migrants. On nous raconte des choses invraisemblables. »

      Pour les militants, c’est à cause de ce « harcèlement » policier, que les migrants « finissent en haut des sommets sous des télésièges ». « La police pousse les migrants à se mettre en danger… Même ceux qui sont équipés pour faire face au froid risquent le pire. Quand vous fuyez la police, que vous creusez un trou dans la neige, la nuit, pour vous cacher, les risques de mourir sont grands ».

      La traversée entre l’Italie et la France peut prendre plusieurs heures, en fonction des trajets empruntés et de la forme physique des migrants. Entre Claviere et le Refuge de Briançon, il y a environ 17 km. Trois heures de marche sont nécessaires.

      Le harcèlement des forces de l’ordre concerne également les militants, ajoute Thomas. Mardi, la nuit où les trois migrants ont été secourus, les maraudeurs ont été incapables de travailler. « Ils n’ont rien pu faire, ils ont été contrôlés plusieurs fois, ils ont été victimes d’intimidation. Ils ont fini par rebrousser chemin », explique Thomas.

      L’association Tous Migrants déplore la multiplication des contrôles des militants associatifs, notamment lors des maraudes. « On nous met des amendes de stationnement, des amendes pour véhicules défectueux. On nous met des bâtons dans les roues », dénonce encore Thomas.

      Au mois de décembre, sept militants ont été condamnés par la justice. Le parquet leur reprochait d’avoir facilité, le 22 avril, l’entrée en France d’une vingtaine de migrants mêlés aux manifestants en forçant un barrage dressé par les forces de l’ordre.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/14734/traversees-des-alpes-les-migrants-sont-victimes-d-une-chasse-a-l-homme

  • #Angola : Les migrants africains en danger de mort

    Les autorités angolaises lancent « la chasse aux ressortissants sub-sahariens en situation irrégulière ». Une #opération dénommée « #expatriado » est en cours en ce moment. Elle vise à « expulser tous les immigrés en situation irrégulière en Angola ». Des ressortissants maliens témoignent des « cas d’#emprisonnement suivis de pires formes de #maltraitance et d’#humiliation ». Pour l’instant, difficile d’avoir des chiffres officiels sur le nombre de Maliens victimes. Mais ceux joints sur place appellent à l’aide des autorités maliennes.

    Selon certains Maliens, ces opérations d’expulsion ont débuté dans les zones minières. Elles se déroulent maintenant dans toutes les villes du pays, et concernent toutes les nationalités y compris les Maliens, qui sont parmi les plus nombreux. « Cela fait des jours que nous ne pouvons plus sortir pour aller au boulot par peur de nous faire arrêter », explique un ressortissant malien sur place. Selon lui, cette opération qui ne devrait concerner que les #sans-papiers, est aussi menée par les forces de l’ordre angolaises contre ceux qui sont en situation régulière. L’objectif, selon notre interlocuteur, est de soutirer de l’argent aux migrants.

    « Une fois entre les mains des autorités angolaises, il faut payer de l’argent ou partir en prison », témoignent certains migrants maliens, avant de confirmer que plusieurs d’entre eux sont actuellement en prison. En Angola certains Maliens ont l’impression d’être « laissés pour compte par les autorités maliennes ». Pour l’Association Malienne des Expulsés, « il est inacceptable qu’un pays membre de l’Union Africaine expulse d’autres africains de la sorte ». L’AME qui juge la situation « grave » en Angola, appelle les autorités maliennes à réagir.

    https://www.expulsesmaliens.info/Angola-Les-migrants-africains-en-danger-de-mort.html
    #migrations #asile #réfugiés #rafles #expulsions #renvois #chasse_aux_migrants #migrants_maliens

    • Briefing: Problems multiply in Congo’s Kasaï

      The Kasaï region in the Democratic Republic of Congo is struggling to recover from two years of intense conflict. The influx last month of more than 300,000 people from Angola, most of them long-standing migrant workers, has made a fragile humanitarian situation worse.

      Here’s our briefing on the risks for the region and the new challenges for the humanitarian response.
      What happened?

      In attempts to clamp down on what it called illegal diamond mining operations, Angola’s government ordered the expulsion of more than 360,000 Congolese nationals, forcing them to flee in October into the Kasaï region of neighbouring DRC.

      "This new shock is compounding an already dire situation in the same area that was the epicentre of the Kasaï crisis over the last couple of years,” explained Dan Schreiber, head of coordination in Congo for the UN’s emergency aid body, OCHA.

      Congolese migrants and officials said the crackdown was violent, telling Reuters that dozens of people were killed, with the worst attacks occurring in Lucapa in Angola’s diamond-rich Lunda Norte province. Angolan security forces denied the allegations.
      Where did they go?

      Most of those expelled crossed into Kamako in Kasaï province, where aid organisations are responding to the tail-end of the Kamuina Nsapu insurgency that first erupted in 2016. Some of the returnees include refugees who fled violence in Kasaï over the last two years, the Norwegian Refugee Council said.

      The NRC said conditions returnees face in Congo are “shocking”, including the risk of waterborne disease due to ineffective water and sanitation; thousands sleeping outdoors because of insufficient shelter; food prices tripling; and extortion of goods on both sides of the border.

      “Hundreds of thousands of people have been robbed of their right to a dignified existence,” said Ulrika Blom, NRC’s country director in DRC. “This is not a crisis that is about to begin, it is a full-blown emergency.”
      What has the reaction been?

      While local communities have generally been welcoming to the returnees, OCHA’s Schreiber said skirmishes erupted in certain villages, mainly over the strain on limited food resources.

      “Experience in the DRC does show that when you have a large influx of people arriving in an area it can generate tensions between host communities and the people who arrive,” he said.

      Schreiber said OCHA has seen most returnees wanting to move away from the border areas and toward other destinations inland, which could help ease the humanitarian strain in Kasaï, but he also warned that more returnees could arrive from Angola.

      “We don’t expect the first wave to be the last wave,” he said. “Expulsions from Angola are a cyclical phenomena that go all the way back to 2002-2003. It’s not a new phenomenon, but in this case we are seeing a major influx, and clearly the absorption capacity is not there.”
      Why is their arrival in Kasaï in particular such a problem?

      Kasaï was a relatively stable region in an unstable country – one currently dealing with multiple conflicts, an Ebola outbreak in North Kivu province, and one of the world’s most neglected displacement crises.

      The situation in Kasaï changed dramatically in 2016 when conflict erupted between the Kamuina Nsapu anti-government movement and Congolese security forces. The inter-communal clashes spread far and wide, soon engulfing the entire region.

      The conflict escalated in 2017, with massacres and mass graves, as well as general insecurity marked by banditry, and poor harvests that led to food insecurity and malnutrition.

      An estimated 5,000 people have since been killed and more than 1.4 million displaced.

      Toward the end of 2017 and into 2018, the crisis eased slightly, as national authorities regained control over large parts of the region. Despite isolated bouts of violence, aid groups say most militias have been formally disbanded and displaced communities are tentatively returning home.

      “But those returns are accompanied by many needs, because people are returning to burned villages, destroyed homes, and a lot of destruction,” said OCHA’s Schreiber.

      Two years of violence and displacement also mean locals have been unable to grow crops for three seasons, which has led to concerns over malnutrition. “We have really seen food insecurity skyrocket. So even in areas where returns have occurred, humanitarian needs have not come to an end,” Schreiber added.
      What are the risks?

      Although the current influx of people from Angola isn’t directly linked to the Kamuina Nsapu rebellion, aid groups are concerned about the implications of piling one problem on top of another in the same geographic area.

      For the most vulnerable groups, specifically women and children, the challenges that affect those displaced by the insurgency also pose risks for the new returnees from Angola.

      In May for instance, UNICEF reported that 400,000 children were “at risk of death” in the Kasaïs, because of food shortages.

      Yves Willemot, a spokesman for UNICEF in Congo, said the rate of severe acute malnutrition among children living in the region has improved slightly since earlier this year but “remains challenging”.

      “The security situation has clearly improved, but the impact on children is not ending in the short term,” he said.

      Among those newly returned from Angola are 80,000 children. They now are also at risk, forced to walk long distances while exposed to inclement weather, hunger, and the threat of violence. Willemot said basic services are lacking for them, including access to drinking water, schooling, and treatment for diseases like malaria and measles.

      Médecins Sans Frontières is among the NGOs initiating primary healthcare services for the recent arrivals, while also continuing interventions to assist the local population.

      In a recent report, MSF documented alarming levels of rape in the Kasaï region, saying it treated 2,600 victims of sexual violence between May 2017 and September 2018; 80 percent of those interviewed said armed men raped them.

      “The sexual violence committed in Kasaï was perpetrated largely by armed groups against non-armed people,” Philippe Kadima, MSF’s humanitarian advisor for the Great Lakes region, told IRIN. “Although the main conflict is over, we still see some violence happening in Kasaï.”

      For the more than 300,000 returnees, he said there are clear humanitarian concerns, but also the risk of insecurity. “The question is, how do you keep people secure?”

      “Displaced people become vulnerable, so it’s not that different to what the existing IDPs in Kasaï are going through… Security concerns, humanitarian needs, and risks of sexual violence are all factors when people become vulnerable,” he said.
      What about the longer-term challenges?

      Humanitarian needs remain critically underfunded in the Kasai region, said OCHA’s Shreiber, emphasising that beyond the immediate concerns are much broader needs in the region and the DRC as a whole.

      He added that the humanitarian response must help minimise the long-term impact of the crisis on those affected.

      “The longer we remain in this critical phase, the more we can expect to see humanitarian needs spiral out of control,” he said. “The current trigger of new humanitarian needs (the returnees from Angola) may be time-bound, but I think the impact will be lasting.”

      Schreiber said the Kasaï region remains vulnerable because it faces particular challenges, including decades of underdevelopment and inaccessibility as a result of poor road infrastructure, and he urged more development actors to get involved.

      “People in the Kasaïs are eager to rebound, to be back on their feet, and move on. There is no expectation that humanitarian assistance should continue forever in the Kasaï region,” he said. “People want to be autonomous, but what they need is support to build up their resilience and be able to move towards a situation where their most basic needs are met and they are able to think about their futures again.”


      http://www.irinnews.org/news-feature/2018/11/08/briefing-congo-kasai-angola-aid-conflict

    • Les violations des droits humains des migrants africains en Angola

      Les violations des droits humains des migrants africains en Angola

      Depuis un certain moment, la communauté africaine vivant sur le territoire angolais est l’objet de toute sorte de violation de ses droits les plus fondamentaux par les autorités de ce pays. La Charte Africaines des Droits de l’Homme et des Peuples protège les droits des migrants dans tous ses aspects contre les violations des droits et l’Angola est justement membre de l’Union Africaine. Ainsi, ces violations se matérialisent par des arrestations musclées et arbitraires, des emprisonnements dans des conditions inhumaines et dégradantes (art.5 de la Déclaration Universelle des Droits de l’Homme et de la Charte Africaine des Droits de l’Homme et des Peuples) de même que les expulsions collectives pourtant interdites par la Charte Africaine dans son article 12.5.

      L’AME est vivement préoccupée par les récentes arrestations, détentions et expulsions des centaines de milliers de migrants africains dont des maliens. Selon des informations recueillies auprès de nos sources sur place, une centaine de maliens sont concernés par cette situation qui évolue et change de jour en jour.

      Nous attirons l’attention de l’Union Africaine et de ses pays membres sur la situation inacceptable que vivent les étrangers sur la terre africaine d’Angola et rappeler que les droits de l’homme sont des droits inaliénables de tous les êtres humains, quels que soient leur nationalité, leur lieu de résidence, leur sexe, leur origine ethnique ou nationale, leur couleur, leur religion…

      L’Angola comme la plupart des pays africains s’est engagé à protéger, respecter et réaliser les droits de l’homme, non seulement de ses nationaux, mais de toute personne sous sa juridiction. Dans ce contexte, tous les étrangers se trouvant sur le sol angolais auraient dû bénéficier de la protection des autorités angolaises quelque soient les raisons qu’elles mettent en avant pour justifier ces expulsions.

      L’Organisation des Nations Unies (ONU) n’est pas resté silencieuse comme la plupart des pays africains, le Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l’homme a mis en garde sur les conséquences des expulsions massives de réfugiés depuis l’Angola, au cours des trois dernières semaines de ce mois d’octobre.

      Par ailleurs, le Secrétaire Général des Nations Unies a rappelé le 19 septembre 2017 que : « tout pays a le droit de contrôler ses frontières. Mais cela doit se faire de telle sorte que les droits des personnes ‘en mouvement’ soient protégés ».

      Au regard de tout ce qui vient d’être évoqué :
      1. L’Association Malienne des Expulsés (AME) pour sa part, exhorte le gouvernement Malien à tout mettre en œuvre pour la sécurisation de nos compatriotes et de leurs biens dans les pays d’accueil ;
      2. Appelle le gouvernement à communiquer davantage sur cette situation en donnant beaucoup plus d’informations aux familles des maliens vivants en Angola ;
      3. Encourage le gouvernement de continuer à œuvrer pour le respect des droits des migrants maliens et aussi pour le développement d’une relation franche entre les Etats africains en vue de la réalisation de l’unité africaine comme le prévoit l’article 117 de la Constitution ;
      4. Invite l’Union Africaine à dénoncer et prendre des mesures contre les violations des droits humains dans les pays membres ;
      5. Invite également les Etats membres de l’Union Africaine à renoncer aux expulsions massives des ressortissants d’autres pays africains et à mettre fin sans délais aux opérations actuelles en cour ;
      6. Exhorte l’U.A et les Etats à une plus grande implication des organisations de la société civile aux différents processus pour la gestion de la migration.

      http://www.expulsesmaliens.info/Les-violations-des-droits-humains-des-migrants-africains-en-Angola

  • #métaliste (qui va être un grand chantier, car il y a plein d’information sur seenthis, qu’il faudrait réorganiser) sur :
    #externalisation #contrôles_frontaliers #frontières #migrations #réfugiés

    Des liens vers des articles généraux sur l’externalisation des frontières de la part de l’ #UE (#EU) :
    https://seenthis.net/messages/569305
    https://seenthis.net/messages/390549
    https://seenthis.net/messages/320101

    Ici une tentative (très mal réussie, car évidement, la divergence entre pratiques et les discours à un moment donné, ça se voit !) de l’UE de faire une brochure pour déconstruire les mythes autour de la migration...
    La question de l’externalisation y est abordée dans différentes parties de la brochure :
    https://seenthis.net/messages/765967

    Petit chapitre/encadré sur l’externalisation des frontières dans l’ouvrage "(Dé)passer la frontière" :
    https://seenthis.net/messages/769367

    Les origines de l’externalisation des contrôles frontaliers (maritimes) : accord #USA-#Haïti de #1981 :
    https://seenthis.net/messages/768694

    L’externalisation des politiques européennes en matière de migration
    https://seenthis.net/messages/787450

    "#Sous-traitance" de la #politique_migratoire en Afrique : l’Europe a-t-elle les mains propres ?
    https://seenthis.net/messages/789048

    Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights :
    https://seenthis.net/messages/794636
    #paix #stabilité #droits #Libye #Niger #Turquie

    Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”
    https://seenthis.net/messages/880193

    Brochure sur l’externalisation des frontières (passamontagna)
    https://seenthis.net/messages/952016

  • Non, nous ne sommes pas trop nombreux !!!!!!
    http://www.cadtm.org/Non-nous-ne-sommes-pas-trop-nombreux

    Comme les saisons, bien que celles-ci-soient de plus en plus décalées, les rapports du GIEC [1] se succèdent et, avec eux, toujours plus d’échos médiatiques quant à l’imminence de la catastrophe (déjà là dans bien des régions). Si l’on ne peut que se réjouir d’une prise de conscience qui tend à se généraliser, force est de souligner que l’analyse des causes du problème est bien en-dessous des enjeux réels, quand elle ne passe tout simplement pas à côté du problème. Ainsi, on constate de part et d’autre un retour en force des idées que l’on peut qualifier de malthusiennes, à savoir qui pointent l’accroissement de la population comme le facteur numéro un de la dégradation des équilibres climatiques et écologiques.

    #transition_démographique #GES #productivisme #consumérisme #mécanismes_de_protection_sociale

  • IVG : « A l’hôpital, j’ai été immédiatement jugée » - Libération
    https://www.liberation.fr/france/2018/09/27/ivg-a-l-hopital-j-ai-ete-immediatement-jugee_1681710

    Invoquée par ceux qui refusent de pratiquer des avortements, une clause prévue par la loi Veil fait débat. Libération a recueilli les témoignages de quatre femmes qui se sont heurtées à des refus d’IVG.

    Emilie, 33 ans (travaille dans la communication à Paris) : « Elle m’a dit que je devais changer d’avis »

    « En novembre 2015, j’ai appris que j’étais enceinte. J’avais déjà avorté une fois à 18 ans. Comme je suis hyperfertile, je tombe enceinte même sous pilule. Je suis allée voir ma #gynécologue habituelle, que je consultais depuis environ quatre-cinq ans. Pendant vingt minutes, elle m’a expliqué que j’étais folle et qu’on n’avortait pas à mon âge. Je pleurais et elle me disait que c’était bien la preuve que ma décision n’était pas prise, alors que j’étais juste perdue et abasourdie. Elle m’a demandé - je m’en souviendrai toujours - : "Vous pensez qu’on fait des enfants avec des gens qu’on aime ?" J’étais dans les délais pour faire une interruption volontaire de grossesse médicamenteuse, mais elle n’a pas voulu le faire, m’a dit qu’il fallait que je réfléchisse. Ma décision était prise, mais elle m’a dit que je devais changer d’avis, que je devais en parler à mes parents… Alors que j’avais 30 ans ! Elle m’a donné les coordonnées d’un centre à la Pitié-Salpêtrière, où j’ai finalement fait une IVG sous anesthésie locale. Je ne suis plus retournée la voir. Maintenant, je consulte une généraliste, car je ne sais pas chez quel gynécologue aller. »

    Nadège, 46 ans (travaille dans le milieu de la santé à la Réunion) : « Il a jeté le comprimé sur la table »

    « En 2014, je suis allée voir un gynécologue à l’hôpital pour avorter. J’ai été immédiatement jugée. Il m’a fait une échographie et m’a obligée à regarder l’écran. Il a mis le volume à fond pour que je puisse écouter le cœur. Il m’a dit que je devais le garder. Je l’ai très mal vécu, je me suis sentie jugée comme si j’étais devant un tribunal. Je me suis sentie coupable. C’était ma troisième interruption volontaire de grossesse. Je lui en ai parlé d’une seule, mais pas des deux précédentes, par peur d’être montrée du doigt. La porte était entrouverte, il parlait fort, les autres patientes pouvaient entendre depuis la salle d’attente. Il me disait que je devais avoir honte. Puis il a jeté le comprimé [qui est utilisé pour l’IVG médicamenteuse, ndlr] sur la table. Quand je l’ai revu après l’avortement, il m’a dit "Vous avez bien saigné, ça vous a bien fait mal" ? J’y suis retournée quinze jours après pour faire un contrôle. Dans son cabinet, il y avait des photographies en 3D de fœtus accrochées sur le mur. Il m’a dit qu’il était très croyant. Il le faisait à contrecœur, il se foutait complètement du bien-être de la femme. Je suis sortie en larmes. »

    Audrey, 25 ans (esthéticienne en Guadeloupe) : « Elle a dit « les préservatifs, c’est pas pour les chiens ! » »

    « C’était il y a trois ans et demi. A l’époque, je travaillais dans l’Essonne. J’avais zappé une ou deux pilules et je m’en suis rendu compte trop tard. J’ai cherché un Planning familial près de chez moi. L’infirmière, très gentille, m’a fait voir le médecin, une dame d’une cinquantaine d’années. Elle ne m’a même pas dit bonjour. Elle m’a dit "les préservatifs, c’est pas pour les chiens !" sans même demander comment j’étais tombée enceinte. Au rendez-vous suivant, je lui ai présenté l’échographie qui montrait que j’étais enceinte de six semaines et demie. Elle m’a dit que c’était trop tard pour avorter, alors que je savais qu’une interruption volontaire de grossesse médicamenteuse était possible à trois ou quatre jours près. C’était mon quatrième avortement, mais la médecin ne connaissait pas mes antécédents. Elle m’a dit "vous n’avez qu’à assumer" et elle est partie. Je suis restée dix minutes seule. Elle est finalement revenue et m’a balancé les médicaments sur la table. Elle a bien insisté sur le fait qu’elle n’était pas d’accord. La secrétaire m’a vue pleurer, je lui ai demandé pourquoi le Planning familial travaillait avec des gens comme ça et elle a haussé les épaules. »

    Céline, 33 ans (ingénieure à Paris) : « J’ai finalement avorté à Amsterdam »

    « A 29 ans, j’ai fait un déni de grossesse qui a duré trois mois. Ma gynéco n’a pas vu que j’étais enceinte. Quand je m’en suis rendu compte, j’ai foncé la voir le soir même. Elle m’a prescrit une prise de sang, qui ne s’est pas révélée "assez concluante" selon elle, puis une échographie. J’ai prévenu le praticien que j’étais là pour savoir à combien de semaines j’en étais pour une IVG et que je ne voulais pas voir l’écran. Contre mon souhait, il m’a décrit le #fœtus, en me précisant le sexe. Il m’a dit "Oh là là, mais il est trop gros, vous êtes obligée de le garder." Le cauchemar a continué quand ma gynéco m’a annoncé le lendemain qu’elle "ne pouvait rien faire pour moi". J’ai dû me tourner vers un autre spécialiste, qui m’a confirmé qu’il était trop tard pour faire une #IVG légale en France depuis… la veille. Tout s’est joué à quelques jours. Je suis rentrée chez moi démolie. Ma gynéco a fait un tas d’examens pour ralentir le processus, malgré l’urgence. J’ai finalement avorté à Amsterdam. J’ai envoyé une lettre à ma gynécologue pour la mettre face à ses responsabilités et pour qu’elle me rembourse les consultations. Je n’ai jamais eu de réponse. »
    Juliette Deborde , Anaïs Moran

    L’histoire avec le planning familial est sidérante !

    #avortement #femmes #sexisme #clause_de_conscience #maltraitance #violences

  • La #police et les #indésirables

    Les #pratiques_policières de contrôles-éviction, visant à évincer certaines populations de l’#espace_public, participent aux processus de #gentrification. M. Boutros met en lumière le rôle central des forces de l’ordre dans les dynamiques de #transformation_urbaine.

    En décembre 2015, dix-huit adolescents et jeunes adultes du 12e arrondissement de Paris déposaient une plainte pénale collective à l’encontre de onze policiers d’une même brigade : le #Groupe_de_Soutien_de_Quartier (#GSQ), surnommé la « #brigade_des_Tigres » du fait de son écusson représentant un tigre fondant sur une proie. Les plaignants reprochaient aux policiers des #violences physiques, des #attouchements sexuels, des #arrestations_arbitraires, des destructions de biens et des #injures_racistes, à l’occasion de #contrôles_d’identité entre 2013 et 2015 [1]. Le 4 avril 2018, trois des policiers mis en cause ont été condamnés en première instance pour violences volontaires aggravées [2].

    La #plainte, parce qu’elle concernait un grand nombre de faits, reprochés aux mêmes policiers sur plusieurs années, a donné lieu à une enquête qui n’a pas seulement porté sur les faits dénoncés mais a également interrogé les pratiques quotidiennes de cette brigade, et les instructions qui lui étaient données. Au delà des preuves des faits de #violence, l’enquête de la police des polices a révélé une pratique policière jusqu’ici peu connue, que les policiers appellent le « #contrôle-éviction ». Il s’agit de #contrôles_d’identité dont l’objectif est de faire quitter les lieux à des personnes considérées comme « indésirables », même en l’absence d’infraction. Bien qu’il n’y ait aucune base légale à cette pratique, l’enquête a montré que la brigade des Tigres était missionnée par sa hiérarchie pour contrôler et « évincer » de l’espace public certaines populations, notamment des « #regroupements_de_jeunes », composés principalement d’adolescents #Noirs et #Maghrébins issus des #classes_populaires.

    Comment expliquer la perpétuation de telles pratiques policières en plein cœur de #Paris ? On le sait, en #France, le contrôle d’identité est un outil central du travail policier, et il cible de manière disproportionnée les jeunes hommes perçus comme Noirs ou Arabes et issus de #quartiers_populaires [3]. D’après des enquêtes ethnographiques, les policiers rationalisent ces pratiques discriminatoires sur trois modes : ces #contrôles_au_faciès permettraient de trouver des infractions, de recueillir des informations, et d’affirmer le #pouvoir_policier envers des jeunes en instaurant un rapport de force physique [4]. Si les enquêtes existantes ont examiné les rationalités policières des contrôles discriminatoires, on en sait peu sur les dynamiques locales qui façonnent ces pratiques. L’affaire de la brigade des Tigres permet d’analyser comment ces pratiques s’inscrivent dans une dynamique urbaine plus large, dans laquelle la police participe à l’instauration et au maintien d’un certain #ordre_social urbain.

    À partir d’une analyse de l’affaire de la brigade des Tigres (examen du dossier de l’enquête judiciaire, observation du procès, entretiens avec plaignants, habitants et avocats), cet article propose d’examiner la pratique du contrôle-éviction telle qu’elle s’inscrit dans une dynamique urbaine de gentrification, processus par lequel un quartier anciennement populaire se transforme progressivement avec l’arrivée de nouveaux habitants de classes moyennes ou supérieures [5].

    Des enquêtes étatsuniennes ont montré que, dans les quartiers en voie de gentrification, on observe une augmentation des contrôles policiers proactifs et agressifs ciblant les populations perçues par les nouveaux arrivants comme source de désordres et d’incivilités, notamment les SDF et les jeunes Noirs et Latinos [6]. Le procès des policiers du 12e arrondissement indique qu’une dynamique similaire existe à Paris. L’analyse montre que les plaignants étaient la cible de contrôles répétés et violents, souvent sans motif légal, parce qu’ils étaient considérés comme « indésirables » dans l’espace public, du fait de leur origine sociale et ethnique. Dans ce quartier où persistent des zones d’habitat social au sein d’un quartier largement gentrifié, des tensions grandissantes ont émergé sur la question de l’occupation de l’espace public. Certains habitants des classes moyennes et supérieures, majoritairement Blancs, ne toléraient pas la présence de jeunes hommes Noirs et Maghrébins des classes populaires dans l’espace public, surtout en groupes, car cette présence était perçue comme source d’incivilités et de désordres. Ces habitants réclamaient régulièrement des autorités des actions pour assurer la « tranquillité publique ». Pour répondre à ces demandes, le GSQ était envoyé pour procéder à des « contrôles-éviction » sur certains secteurs. Mais loin de cibler uniquement ceux les auteurs d’infractions, ces contrôles ciblaient les groupes d’adolescents issus de l’immigration et des classes populaires, quel que soit leur comportement.

    Ainsi, par les contrôles-éviction, la police accompagne le processus de gentrification et se met au service des acteurs qu’elle perçoit comme légitimes dans le quartier en leur garantissant un espace public libéré des « indésirables ».
    Contrôles violents, détentions illégales, injures racistes

    En décembre 2015, 17 garçons et une fille, âgés de 15 à 24 ans, tous issus de l’immigration et de familles populaires, déposaient collectivement plainte pour dénoncer 44 faits de violence commis entre 2013 et 2015 par les policiers du Groupe de Soutien de Quartier (GSQ) du 12e arrondissement de Paris. Les plaignants dénonçaient des agressions physiques lors des contrôles d’identité, tel que des coups de poing, coups de matraque, claques, clés de bras, et usage excessif de gaz lacrymogène. Plusieurs plaignants faisaient également état d’agressions sexuelles, notamment des attouchements des parties génitales lors des palpations de sécurité, accompagnés de coups et railleries si le contrôlé se débattait. Plusieurs plaignants dénonçaient également des injures racistes de la part de certains policiers (« sale noir », « espèces de singes », « je pisse sur le Ramadan »). Enfin, la plainte évoquait de nombreuses conduites au poste sans motif et hors du cadre légal, que les avocats qualifiaient d’« arrestations arbitraires et séquestrations ». L’enquête a en effet révélé que le GSQ emmenait régulièrement des adolescents au commissariat, sans se conformer aux procédures d’interpellation ou de vérifications d’identité. Dans leurs auditions, les plaignants racontent qu’on leur demandait le plus souvent de s’asseoir sur le « banc de vérif’ », et au bout de quelques heures, sans avoir vu d’Officier de Police Judiciaire ou fait l’objet de procédure de vérification d’identité, on appelait leurs parents pour venir les chercher.

    Suite à l’enquête de la police des polices, quatre policiers ont été renvoyés au tribunal correctionnel pour trois faits de violences physiques, pour lesquels il existait des preuves matérielles (certificats médicaux, photos, témoignages concordants). Les autres faits ont été classés sans suite pour insuffisance de preuves. Si les conduites au poste abusives n’ont pas été poursuivies pénalement, elles ont fait l’objet d’un avertissement ferme de la part du Procureur de la République. Dans un courrier au Directeur de la Sécurité de Proximité de l’Agglomération Parisienne, le Procureur s’alarmait d’un « grave dysfonctionnement sur le cadre des conduites au poste et des procédures de vérification d’identité au sein du commissariat du 12e arrondissement », et prévenait que l’absence systématisée de respect des procédures de vérification d’identité pouvait donner lieu à des poursuites pénales pour atteinte arbitraire à la liberté individuelle par dépositaire de l’autorité publique.

    Il ressort du dossier de l’enquête que les humiliations, les violences, et les conduites au poste hors cadre légal, avaient pour objectif de faire partir les personnes contrôlées de l’espace public. En effet, le GSQ était explicitement missionné par la hiérarchie du commissariat pour procéder à des « contrôle-éviction » sur certains secteurs ; et les éléments du dossier montrent que les contrôles se terminaient systématiquement soit par une injonction à quitter les lieux, soit par une conduite au poste. « La phrase qui revenait le plus souvent », raconte un plaignant, « c’était : ‘si on vous revoit ici, c’est commissariat direct !’ » (Entretien avec l’auteure, 24 mai 2018). Au procès, un des policiers confirmera : « On passe notre temps à expliquer aux jeunes qu’ils sont dans un lieu où ils n’ont pas à être ».

    Pour les avocats des plaignants, ces pratiques policières représentent un dévoiement des outils juridiques donnés aux policiers, et ont pour objectif non pas la lutte contre la délinquance mais le « nettoyage » des espaces publics. Comme l’explique Maître Felix de Belloy :

    Les policiers, pendant le procès, ont quasiment fait l’aveu qu’ils utilisent les catégories du code de procédure pénale pour faire un travail de nettoyage ou de gardiennage... Ils ont pris des bouts de code de procédure pénale, par exemple le contrôle, et ils ajoutent « contrôle-éviction ». On fait un contrôle pas pour contrôler leur identité mais pour qu’ils déguerpissent. Ou on les emmène au poste et on utilise la procédure de verif’ uniquement pour les mettre au frais quelques heures. C’est de la séquestration mais on appelle ça de la vérif’. Entretien avec l’auteure, 18 avril 2018

    Le dossier de l’enquête révèle que ces contrôles ciblaient toujours les mêmes personnes, que les policiers désignaient par le terme « indésirables ».
    Les jeunes Noirs et Maghrébins, des « indésirables » à évincer

    Dans le dossier de l’enquête figurent toutes les mains courantes d’intervention des brigades de l’unité d’appui de proximité, dans lesquelles les policiers résument leurs interventions. Sur environ 300 mains courantes d’intervention, aux côtés des interventions pour tapage ou vol, un tiers concernent des interventions pour des « indésirables ». Au procès, les avocats des plaignants ont interrogé les policiers mis en cause sur ce terme :

    Avocat : Dans la main courante que vous avez rédigée, vous avez écrit à « nature de l’affaire », en majuscules, « INDESIRABLES », et pour « type d’événement », « Perturbateurs - Indésirables ». Qu’est-ce que ça veut dire, « indésirables » ? (...) C’est qui les indésirables ?
    Policier : C’est un trouble à la tranquillité publique.
    Avocat : Donc les indésirables c’est les jeunes ?
    Policier : Ça peut être n’importe qui, ça peut être des jeunes, ça peut être des SDF. C’est des indésirables pour les gens qui habitent le quartier.

    En effet, les mains courantes pour « indésirables » indiquaient toutes que l’intervention ciblait soit des jeunes soit des SDF. Au procès, le chef de brigade a affirmé que le terme « indésirables » figure dans le logiciel de main courante, une information qui nous a été confirmée par plusieurs policiers dans d’autres commissariats [7].

    Le terme « indésirables » est apparu en France à la fin du XIXe siècle dans le cadre des débats sur l’immigration [8]. Il a désigné, au fil du temps, diverses populations considérées comme étrangères au corps national (les nomades, les juifs, et les Français Musulmans d’Algérie), et a justifié des politiques d’expulsion et d’internement. Dans les années 1930, le terme a été explicitement mobilisé dans les textes gouvernementaux et les lois sur l’immigration illégale, qui faisaient de « l’élimination des indésirables » une nécessité pour protéger le corps national. L’historien E. Blanchard note la disparition du terme des textes officiels et du langage bureaucratique après la deuxième guerre mondiale. Cependant, des enquêtes récentes montrent que le terme continue d’être employé de manière informelle par des agents publics pour désigner des populations perçues comme problématiques et dont il faut gérer la présence dans les espaces publics. Par exemple, pour les agents des transports publics, le terme indésirables peut désigner les SDF, les pickpockets, ou les vendeurs à la sauvette, et dans les politiques de logement, les indésirables sont les personnes étrangères ou d’origine immigrée dont il faut éviter la concentration dans les mêmes immeubles [9].

    Le procès des policiers du 12e arrondissement a révélé que le terme est également employé par l’administration policière pour désigner des catégories de personnes dont la présence dans les lieux publics est considérée comme problématique. Au procès, les policiers mis en cause ont affirmé que les « indésirables » sont des personnes commettant des incivilités ou causant un trouble à la tranquillité publique. Cependant, les éléments de l’enquête montrent qu’en réalité, ce ne sont pas uniquement les adolescents perpétrant des infractions qui sont ciblés, mais bien tous les jeunes hommes Noirs et Maghrébins issues de familles populaires présents dans l’espace public.

    Dans certaines mains courantes, les policiers justifient ces interventions par le fait que les jeunes « traînent toute la journée » et « causent diverses nuisances (tapage, incivilités en tout genre) ». Cependant, lors des interventions policières, aucune distinction n’est faite entre ceux commettant des infractions et ceux qui sont simplement là pour se retrouver entre amis. Dans une grande partie des résumés des mains courantes, il n’est fait mention d’aucune infraction qui aurait justifié le contrôle et il est noté que le contrôle s’est fait dans le calme et sans incident. Et pourtant, systématiquement, les jeunes « indésirables » sont contrôlés et évincés. Certaines mains courantes mentionnent simplement « Contrôle et éviction d’une dizaine d’indésirables. Pas d’incidents. RAS ». Ou encore : « Sur place nous avons constaté la présence de quatre individus discutant calmement. Nous leur avons demandé de quitter les lieux, ce qu’ils ont fait sans incident » [10].

    Ainsi, pour les policiers du GSQ, la simple présence d’adolescents Noirs et Maghrébins dans l’espace public est considérée comme « indésirable » et justifie un « contrôle-éviction », même si les adolescents sont calmes et ne commettent aucune infraction. Ce n’est donc pas l’infraction ou la suspicion d’une infraction qui justifie le contrôle, mais bien l’identité des personnes contrôlées, leur origine raciale et sociale. Cette stratégie policière assumée s’inscrit dans une dynamique urbaine plus large, dans laquelle la police est mandatée pour garantir à certains habitants un espace public libéré des « regroupements de jeunes ». Si les policiers contrôlent ces adolescents à répétition, les humilient, les frappent, les agressent sexuellement, et les conduisent au poste sans motif, c’est pour les chasser des espaces publics, pour leur signifier qu’ils n’y ont pas leur place.
    Le harcèlement policier et le processus de gentrification

    Au tribunal, les policiers et leur avocat ont expliqué que les contrôles répétés envers les mêmes adolescents répondaient à une demande des habitants du quartier, qui s’en plaignaient régulièrement. L’enquête a en effet montré que certains habitants appelaient la police et envoyaient des courriers de plainte à propos des nuisances causées par des regroupements de jeunes. Sur trois ans, vingt-six courriers ont été envoyés réclamant des autorités davantage de fermeté envers des « bandes » qui occupent certains espaces. La majorité des doléances dénoncent des nuisances sonores tard dans la soirée et réclament des verbalisations systématiques. Certains courriers mentionnent également des rodéos, des trafics, et des vols. En réponse à ces doléances, le commissariat envoyait des effectifs avec l’instruction d’effectuer plus de rondes, plus d’interpellations, et comme le montre le dossier de l’enquête, plus de contrôles-éviction.

    Les courriers de plainte, ainsi que les contrôles répétés, se concentraient sur un petit nombre de rues et places du quartier Reuilly-Montgallet, correspondant aux rues où des bâtiments HLM ont été conservés au sein d’un quartier qui a fait l’objet d’une forte gentrification depuis les années 1980 [11]. Avec l’arrivée d’habitants de classes moyennes ou supérieures dans ce quartier anciennement populaire, des tensions sont apparues entre les habitants, notamment sur la question de l’occupation de l’espace public. Dans mes entretiens avec des habitants du quartier, personne ne nie que les regroupements de jeunes sont parfois bruyants et que certains commettent des délits. Cependant, les tensions ne sont pas uniquement liées au bruit ou à la délinquance. En l’absence de lieux où ils peuvent se rassembler sans consommer, les jeunes des classes populaires se rassemblent en bas de chez eux, sur les places du quartier. Cette présence de « jeunes qui traînent » et qui occupent l’espace public n’est pas tolérée par certains habitants. Comme l’explique un militant du quartier, la transformation du quartier a amené une nouvelle catégorie de personnes « qui sont beaucoup plus dérangés par cette mixité sociale et qui finalement souhaitent faire en sorte que les anciens habitants quittent le quartier parce qu’ils ont l’impression que ça dévalorise, au niveau patrimonial, le quartier » (Entretien avec l’auteure, 31 janvier 2018.). Pour certains habitants, ces groupes de jeunes, majoritairement Noirs et Maghrébins, sont considérés comme potentiellement source d’incivilités et de bruit.

    Les éléments de l’enquête montrent que, pour régler les tensions entre les habitants, les politiques municipales et policières se sont centrées sur la répression et le harcèlement des adolescents en question. La mairie renvoyait systématiquement les courriers de plainte vers le commissariat, considérant que ce « problème » devait être réglé par la police (et non pas, par exemple, par la consultation des jeunes sur leurs besoins en termes d’espaces de socialisation). De plus, la mairie a fait enlever les bancs publics et installer des caméras de surveillance pour dissuader les jeunes de rester dans les rues où les tensions se concentrent.

    De son côté, le commissariat envoyait le GSQ « tenir le terrain » face aux jeunes. Le GSQ est une « police de la tranquillité publique », c’est-à-dire une brigade chargée de gérer les petits désordres urbains et de garantir la coexistence pacifique entre les gens [12]. À la différence des brigades anti-criminalité (les BAC), son objectif premier n’est pas la lutte contre la délinquance ; elle effectue des missions de sécurisation des secteurs sensibles. En particulier, le GSQ est une des brigades crées pour gérer les « jeunes qui traînent en bande » en bas des immeubles avec une approche purement répressive de harcèlement [13]. Bien que les doléances des habitants concernent des délits (tapage nocturne, rodéos), la police considérait que la simple présence de jeunes dans les rues, même en petits groupes calmes, était un problème à régler. Les bilans annuels du commissariat, inclus dans le dossier, mentionnent les « regroupements de jeunes » comme un « problème récurrent » ; les mains courantes d’intervention déplorent régulièrement la présence de jeunes qui « reviennent systématiquement sur ces secteurs malgré nos évictions répétées tout au long de la vacation » ; et les plaignants interrogés confirment que les contrôles se terminaient systématiquement par une injonction à dégager, même lorsque leur présence ne gênait personne et que le contrôle se passait bien. Ainsi, la police se basait sur les plaintes de certains habitants pour des problèmes de tapage et de délits pour justifier des pratiques de harcèlement policier envers les adolescents Noirs et Maghrébins du quartier, sans qu’aucune distinction ne soit faite entre ceux commettant des infractions et ceux simplement présents dans l’espace public.

    Dès 2013, certains adolescents du 12e et leurs éducateurs ont tenté d’alerter la municipalité, le commissariat, et les services de protection de l’enfance, sur les violences, y compris sexuelles, commises par les policiers du GSQ. Plusieurs réunions ont eu lieu, avec le conseil municipal de la sécurité et de la prévention, l’adjoint au maire chargé de la jeunesse et des sports, et avec la cellule de prévention du commissariat du 12e. Aucune autorité n’a réagi pour protéger ces enfants.

    En somme, les éléments de l’enquête laissent apparaître que, si le terme « indésirables » provient de l’administration policière (puisqu’il figure dans le logiciel informatique des mains courantes), la catégorie des « indésirables » est produite localement par une dynamique qui implique la police, certains habitants, et la municipalité. Indépendamment de la commission d’une infraction, les « indésirables » sont les adolescents et jeunes adultes qui se retrouvent en bas des immeubles, majoritairement des Noirs et des Maghrébins issus des classes populaires, et que la police doit « évincer ». Les contrôles-éviction s’inscrivent donc dans la dynamique urbaine locale où la police se met au service du processus de gentrification, en légitimant la présence de certains, et l’éviction d’autres, des espaces publics.
    Conclusion

    Les violences policières racistes sont de plus en plus visibles en France, notamment grâce à de fortes mobilisations autour d’affaires telles que la mort par asphyxie d’Adama Traoré lors d’un contrôle d’identité en 2016, ou le viol de Théo Luhaka lors d’un contrôle d’identité en 2017. Pour comprendre ces violences policières discriminatoires, des chercheurs se sont penchés sur l’héritage colonial de la police française, et sur les politiques policières contemporaines qui mettent l’accent sur l’anti-criminalité et le « chiffre » plutôt que sur la prévention [14]. Cet article met en lumière la contribution d’un facteur supplémentaire, le processus de gentrification. La transformation de quartiers anciennement populaires en quartiers bourgeois crée un terrain propice à des pratiques de #harcèlement_policier envers des jeunes issus des classes populaires et de l’immigration, qui sont catalogués « indésirables », et que la police tente d’ « évincer » des espaces publics, à force de contrôles, de coups, d’humiliations, et de conduites au poste abusives.

    http://www.laviedesidees.fr/La-police-et-les-indesirables.html

    #éviction #discrimination #urban_matter #géographie_urbaine #villes #xénophobie #racisme #éviction

    • VIDEO. « J’ai déjà vu des gamins de 8 ans se faire palper, contrôler, insulter » : un policier dénonce les abus de ses collègues

      Capuche sur la tête, plongé dans le noir, il parle sous couvert d’anonymat. Dans le documentaire réalisé par le journaliste Marc Ball Police, illégitime violence, diffusé sur France 3 Ile-de-France lundi 12 novembre, Frank*, un policier, dénonce les abus de certains de ses collègues dans les quartiers populaires. "La confiance est rompue entre les jeunes et la police. Les contrôles d’identité risquent à tout moment de déraper", explique le documentaire. C’est ce qu’a constaté Frank. D’après ce gardien de la paix, certains policiers "rabaissent" les personnes contrôlées. "J’ai déjà vu des gamins de 8 ans se faire palper, contrôler, mépriser, insulter. Des gamins d’origine africaine qui, à 8 ans, sont traités de ’#petits_négros', de ’#Maltesers”, de ’#Kit_Kat', de ’#Kirikou' quand ils courent dans la rue", raconte-t-il.

      https://www.francetvinfo.fr/faits-divers/police/video-jai-deja-vu-des-gamins-de-8-ans-se-faire-palper-controler-insulte

  • Autour des #gardes-côtes_libyens... et de #refoulements en #Libye...

    Je copie-colle ici des articles que j’avais mis en bas de cette compilation (qu’il faudrait un peu mettre en ordre, peut-être avec l’aide de @isskein ?) :
    https://seenthis.net/messages/705401

    Les articles ci-dessous traitent de :
    #asile #migrations #réfugiés #Méditerranée #push-back #refoulement #externalisation #frontières

    • Pour la première fois depuis 2009, un navire italien ramène des migrants en Libye

      Une embarcation de migrants secourue par un navire de ravitaillement italien a été renvoyée en Libye lundi 30 juillet. Le HCR a annoncé mardi l’ouverture d’une enquête et s’inquiète d’une violation du droit international.

      Lundi 30 juillet, un navire battant pavillon italien, l’Asso Ventotto, a ramené des migrants en Libye après les avoir secourus dans les eaux internationales – en 2012 déjà l’Italie a été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme pour avoir reconduit en Libye des migrants secourus en pleine mer en 2009.

      L’information a été donnée lundi soir sur Twitter par Oscar Camps, le fondateur de l’ONG espagnole Proactiva Open Arms, avant d’être reprise par Nicola Fratoianni, un député de la gauche italienne qui est actuellement à bord du bateau humanitaire espagnol qui sillonne en ce moment les côtes libyennes.

      Selon le quotidien italien La Repubblica, 108 migrants à bord d’une embarcation de fortune ont été pris en charge en mer Méditerranée par l’Asso Ventotto lundi 30 juillet. L’équipage du navire de ravitaillement italien a alors contacté le MRCC à Rome - centre de coordination des secours maritimes – qui les a orienté vers le centre de commandement maritime libyen. La Libye leur a ensuite donné l’instruction de ramener les migrants au port de Tripoli.

      En effet depuis le 28 juin, sur décision européenne, la gestion des secours des migrants en mer Méditerranée dépend des autorités libyennes et non plus de l’Italie. Concrètement, cela signifie que les opérations de sauvetage menées dans la « SAR zone » - zone de recherche et de sauvetage au large de la Libye - sont désormais coordonnées par les Libyens, depuis Tripoli. Mais le porte-parole du Conseil de l’Europe a réaffirmé ces dernières semaines qu’"aucun navire européen ne peut ramener des migrants en Libye car cela serait contraire à nos principes".

      Violation du droit international

      La Libye ne peut être considérée comme un « port sûr » pour le débarquement des migrants. « C’est une violation du droit international qui stipule que les personnes sauvées en mer doivent être amenées dans un ‘port sûr’. Malgré ce que dit le gouvernement italien, les ports libyens ne peuvent être considérés comme tels », a déclaré sur Twitter le député Nicola Fratoianni. « Les migrants se sont vus refuser la possibilité de demander l’asile, ce qui constitue une violation des accords de Genève sur les sauvetages en mer », dit-il encore dans le quotidien italien La Stampa.

      Sur Facebook, le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, nie toutes entraves au droit international. « La garde-côtière italienne n’a ni coordonné, ni participé à cette opération, comme l’a faussement déclarée une ONG et un député de gauche mal informé ».

      Le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR) a de son côté annoncé mardi 31 juillet l’ouverture d’une enquête. « Nous recueillons toutes les informations nécessaires sur le cas du remorqueur italien Asso Ventotto qui aurait ramené en Libye 108 personnes sauvées en Méditerranée. La Libye n’est pas un ‘port sûr’ et cet acte pourrait constituer une violation du droit international », dit l’agence onusienne sur Twitter.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/10995/pour-la-premiere-fois-depuis-2009-un-navire-italien-ramene-des-migrant

    • Nave italiana soccorre e riporta in Libia 108 migranti. Salvini: «Nostra Guardia costiera non coinvolta»

      L’atto in violazione della legislazione internazionale che garantisce il diritto d’asilo e che non riconosce la Libia come un porto sicuro. Il vicepremier: «Nostre navi non sono intervenute nelle operazioni». Fratoianni (LeU): «Ci sono le prove della violazione»

      http://www.repubblica.it/cronaca/2018/07/31/news/migranti_nave_italiana_libia-203026448/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
      #vos_thalassa #asso_28

      Commentaire de Sara Prestianni, via la mailing-list de Migreurop:

      Le navire commerciale qui opere autour des plateformes de pétrole, battant pavillon italien - ASSO 28 - a ramené 108 migrants vers le port de Tripoli suite à une opération de sauvetage- Les premiers reconstructions faites par Open Arms et le parlementaire Fratoianni qui se trouve à bord de Open Arms parlent d’une interception en eaux internationales à la quelle a suivi le refoulement. Le journal La Repubblica dit que les Gardes Cotes Italiennes auraient invité Asso28 à se coordonner avec les Gardes Cotes Libyennes (comme font habituellement dans les derniers mois. Invitation déclinés justement par les ong qui opèrent en mer afin de éviter de proceder à un refoulement interdit par loi). Le Ministre de l’Interieur nie une implication des Gardes Cotes Italiens et cyniquement twitte “Le Garde cotes libyenne dans les derniers heures ont sauvé et ramené à terre 611 migrants. Les Ong protestent les passeurs font des affaires ? C’est bien. Nous continuons ainsi”

    • Départs de migrants depuis la Libye :

      Libya : outcomes of the sea journey

      Migrants intercepted /rescued by the Libyan coast guard

      Lieux de désembarquement :


      #Italie #Espagne #Malte

      –-> Graphiques de #Matteo_Villa, posté sur twitter :
      source : https://twitter.com/emmevilla/status/1036892919964286976

      #statistiques #chiffres #2016 #2017 #2018

      cc @simplicissimus

    • Libyan Coast Guard Takes 611 Migrants Back to Africa

      Between Monday and Tuesday, the Libyan Coast Guard reportedly rescued 611 migrants aboard several dinghies off the coast and took them back to the African mainland.

      Along with the Libyan search and rescue operation, an Italian vessel, following indications from the Libyan Coast Guard, rescued 108 migrants aboard a rubber dinghy and delivered them back to the port of Tripoli. The vessel, called La Asso 28, was a support boat for an oil platform.

      Italian mainstream media have echoed complaints of NGOs claiming that in taking migrants back to Libya the Italian vessel would have violated international law that guarantees the right to asylum and does not recognize Libya as a safe haven.

      In recent weeks, a spokesman for the Council of Europe had stated that “no European ship can bring migrants back to Libya because it is contrary to our principles.”

      Twenty days ago, another ship supporting an oil rig, the Vos Thalassa, after rescuing a group of migrants, was preparing to deliver them to a Libyan patrol boat when an attempt to revolt among the migrants convinced the commander to reverse the route and ask the help of the Italian Coast Guard. The migrants were loaded aboard the ship Diciotti and taken to Trapani, Sicily, after the intervention of the President of the Republic Sergio Mattarella.

      On the contrary, Deputy Prime Minister Matteo Salvini has declared Tuesday’s operation to be a victory for efforts to curb illegal immigration. The decision to take migrants back to Africa rather than transporting them to Europe reflects an accord between Italy and Libya that has greatly reduced the numbers of African migrants reaching Italian shores.

      Commenting on the news, Mr. Salvini tweeted: “The Libyan Coast Guard has rescued and taken back to land 611 immigrants in recent hours. The NGOs protest and the traffickers lose their business? Great, this is how we make progress,” followed by hashtags announcing “closed ports” and “open hearts.”

      Parliamentarian Nicola Fratoianni of the left-wing Liberi and Uguali (Free and Equal) party and secretary of the Italian Left, presently aboard the Spanish NGO ship Open Arms, denounced the move.

      “We do not yet know whether this operation was carried out on the instructions of the Italian Coast Guard, but if so it would be a very serious precedent, a real collective rejection for which Italy and the ship’s captain will answer before a court,” he said.

      “International law requires that people rescued at sea must be taken to a safe haven and the Libyan ports, despite the mystification of reality by the Italian government, cannot be considered as such,” he added.

      The United Nations immigration office (UNHCR) has threatened Italy for the incident involving the 108 migrants taken to Tripoli, insisting that Libya is not a safe port and that the episode could represent a breach of international law.

      “We are collecting all the necessary information,” UNHCR tweeted.

      https://www.independent.co.uk/news/world/americas/santiago-anti-abortion-women-stabbed-chile-protest-a8469786.html
      #refoulements #push-back

    • Libya rescued 10,000 migrants this year, says Germany

      Libyan coast guards have saved some 10,000 migrants at sea since the start of this year, according to German authorities. The figure was provided by the foreign ministry during a debate in parliament over what the Left party said were “inhumane conditions” of returns of migrants to Libya. Libyan coast guards are trained by the EU to stop migrants crossing to Europe.

      https://euobserver.com/tickers/142821

    • UNHCR Flash Update Libya (9 - 15 November 2018) [EN/AR]

      As of 14 November, the Libyan Coast Guard (LCG) has rescued/intercepted 14,595 refugees and migrants (10,184 men, 2,147 women and 1,408 children) at sea. On 10 November, a commercial vessel reached the port of Misrata (187 km east of Tripoli) carrying 95 refugees and migrants who refused to disembark the boat. The individuals on board comprise of Ethiopian, Eritrean, South Sudanese, Pakistani, Bangladeshi and Somali nationals. UNHCR is closely following-up on the situation of the 14 individuals who have already disembarked and ensuring the necessary assistance is provided and screening is conducted for solutions. Since the onset, UNHCR has advocated for a peaceful resolution of the situation and provided food, water and core relief items (CRIs) to alleviate the suffering of individuals onboard the vessel.

      https://reliefweb.int/report/libya/unhcr-flash-update-libya-9-15-november-2018-enar
      #statistiques #2018 #chiffres

    • Rescued at sea, locked up, then sold to smugglers

      In Libya, refugees returned by EU-funded ships are thrust back into a world of exploitation.

      The Souq al Khamis detention centre in Khoms, Libya, is so close to the sea that migrants and refugees can hear waves crashing on the shore. Its detainees – hundreds of men, women and children – were among 15,000 people caught trying to cross the Mediterranean in flimsy boats in 2018, after attempting to reach Italy and the safety of Europe.

      They’re now locked in rooms covered in graffiti, including warnings that refugees may be sold to smugglers by the guards that watch them.


      This detention centre is run by the UN-backed Libyan government’s department for combatting illegal migration (DCIM). Events here over the last few weeks show how a hardening of European migration policy is leaving desperate refugees with little room to escape from networks ready to exploit them.

      Since 2014, the EU has allocated more than €300 million to Libya with the aim of stopping migration. Funnelled through the Trust Fund for Africa, this includes roughly €40 million for the Libyan coast guard, which intercepts boats in the Mediterranean. Ireland’s contribution to the trust fund will be €15 million between 2016 and 2020.

      Scabies

      One of the last 2018 sea interceptions happened on December 29th, when, the UN says, 286 people were returned to Khoms. According to two current detainees, who message using hidden phones, the returned migrants arrived at Souq al Khamis with scabies and other health problems, and were desperate for medical attention.


      On New Year’s Eve, a detainee messaged to say the guards in the centre had tried to force an Eritrean man to return to smugglers, but others managed to break down the door and save him.

      On Sunday, January 5th, detainees said, the Libyan guards were pressurising the still-unregistered arrivals to leave by beating them with guns. “The leaders are trying to push them [to] get out every day,” one said.

      https://www.irishtimes.com/news/world/europe/rescued-at-sea-locked-up-then-sold-to-smugglers-1.3759181

    • Migranti, 100 persone trasferite su cargo e riportate in Libia. Alarm Phone: “Sono sotto choc, credevano di andare in Italia”

      Dopo l’allarme delle scorse ore e la chiamata del premier Conte a Tripoli, le persone (tra cui venti donne e dodici bambini, uno dei quali potrebbe essere morto di stenti) sono state trasferite sull’imbarcazione che batte bandiera della Sierra Leone in direzione Misurata. Ma stando alle ultime informazioni, le tensioni a bordo rendono difficoltoso lo sbarco. Intanto l’ong Sea Watch ha salvato 47 persone e chiede un porto dove attraccare

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/21/migranti-100-persone-trasferite-su-cargo-e-riportate-in-libia-alarm-phone-sono-sotto-choc-credevano-di-andare-in-italia/4911794

    • Migrants calling us in distress from the Mediterranean returned to Libya by deadly ‘refoulement’ industry

      When they called us from the sea, the 106 precarious travellers referred to their boat as a white balloon. This balloon, or rubber dinghy, was meant to carry them all the way to safety in Europe. The people on board – many men, about 20 women, and 12 children from central, west and north Africa – had left Khoms in Libya a day earlier, on the evening of January 19.

      Though they survived the night at sea, many of passengers on the boat were unwell, seasick and freezing. They decided to call for help and used their satellite phone at approximately 11am the next day. They reached out to the Alarm Phone, a hotline operated by international activists situated in Europe and Africa, that can be called by migrants in distress at sea. Alongside my work as a researcher on migration and borders, I am also a member of this activist network, and on that day I supported our shift team who received and documented the direct calls from the people on the boat in distress.

      The boat had been trying to get as far away as possible from the Libyan coast. Only then would the passengers stand a chance of escaping Libya’s coastguard. The European Union and Italy struck a deal in 2017 to train the Libyan coastguard in return for them stopping migrants reaching European shores. But a 2017 report by Amnesty International highlighted how the Libyan authorities operate in collusion with smuggling networks. Time and again, media reports suggest they have drastically violated the human rights of escaping migrants as well as the laws of the sea.

      The migrant travellers knew that if they were detected and caught, they would be abducted back to Libya, or illegally “refouled”. But Libya is a dangerous place for migrants in transit – as well as for Libyan nationals – given the ongoing civil conflict between several warring factions. In all likelihood, being sent back to Libya would mean being sent to detention centres described as “concentration-camp like” by German diplomats.

      The odds of reaching Europe were stacked against the people on the boat. Over the past year, the European-Libyan collaboration in containing migrants in North Africa, a research focus of mine, has resulted in a decrease of sea arrivals in Italy – from about 119,000 in 2017 to 23,000 in 2018. Precisely how many people were intercepted by the Libyan coastguards last year is unclear but the Libyan authorities have put the figure at around 15,000. The fact that this refoulement industry has led to a decrease in the number of migrant crossings in the central Mediterranean means that fewer people have been able to escape grave human rights violations and reach a place of safety.
      Shifting responsibility

      In repeated conversations, the 106 people on the boat made clear to the Alarm Phone activists that they would rather move on and endanger their lives by continuing to Europe than be returned by the Libyan coastguards. The activists stayed in touch with them, and for transparency reasons, the distress situation was made public via Twitter.

      Around noon, the situation on board deteriorated markedly and anxiety spread. With weather conditions worsening and after a boy had fallen unconscious, the people on the boat expressed for the first time their immediate fear of dying at sea and demanded Alarm Phone to alert all available authorities.

      The activists swiftly notified the Italian coastguards. But both the Italian Maritime Rescue Coordination Centre, and in turn the Maltese authorities, suggested it was the Libyan coastguard’s responsibility to handle the distress call. And yet, eight different phone numbers of the Libyan coastguards could not be reached by the activists.

      In the afternoon, the situation had come across the radar of the Italian media. When the Alarm Phone activists informed the people on board that the public had also been made aware of the situation by the media one person succinctly responded: “I don’t need to be on the news, I need to be rescued.”

      And yet media attention catapulted the story into the highest political spheres in Italy. According to a report in the Italian national newspaper Corriere della Sera, the prime minister, Giuseppe Conte, took charge of the situation, stating that the fate of the migrant boat could not be left to Alarm Phone activists. Conte instructed the Italian foreign intelligence service to launch rapid negotiations with the Libyan coastguards. It took some time to persuade them, but eventually, the Libyans were convinced to take action.

      In the meantime, the precarious passengers on the boat reported of water leaking into their boat, of the freezing cold, and their fear of drowning. The last time the Alarm Phone reached them, around 8pm, they could see a plane in the distance but were unable to forward their GPS coordinates to the Alarm Phone due to the failing battery of their satellite phone.
      Sent back to Libya

      About three hours later, the Italian coastguards issued a press release: the Libyans had assumed responsibility and co-ordinated the rescue of several boats. According to the press release, a merchant vessel had rescued the boat and the 106 people would be returned to Libya.

      According to the survivors and Médecins Sans Frontières who treated them on arrival, at least six people appeared to have drowned during the voyage – presumably after the Alarm Phone lost contact with them. Another boy died after disembarkation.

      A day later, on January 21, members of a second group of 144 people called the Alarm Phone from another merchant vessel. Just like the first group, they had been refouled to Libya, but they were still on board. Some still believed that they would be brought to Europe.

      Speaking on the phone with the activists, they could see land but it was not European but Libyan land. Recognising they’d been returned to their place of torment, they panicked, cried and threatened collective suicide. The women were separated from the men – Alarm Phone activists could hear them shout in the background. In the evening, contact with this second group of migrants was lost.

      During the evening of January 23, several of the women of the group reached out to the activists. They said that during the night, Libyan security forces boarded the merchant vessel and transported small groups into the harbour of Misrata, where they were taken to a detention centre. They said they’d been beaten when refusing to disembark. One of them, bleeding, feared that she had already lost her unborn child.

      On the next day, the situation worsened further. The women told the activists that Libyan forces entered their cell in the morning, pointing guns at them, after some of the imprisoned had tried to escape. Reportedly, every man was beaten. The pictures they sent to the Alarm Phone made it into Italian news, showing unhygienic conditions, overcrowded cells, and bodies with torture marks.

      Just like the 106 travellers on the “white balloon”, this second group of 144 people had risked their lives but were now back in their hell.
      Profiteering

      It’s more than likely that for some of these migrant travellers, this was not their first attempt to escape Libya. The tens of thousands captured at sea and returned over the past years have found themselves entangled in the European-Libyan refoulement “industry”. Due to European promises of financial support or border technologies, regimes with often questionable human rights records have wilfully taken on the role as Europe’s frontier guards. In the Mediterranean, the Libyan coastguards are left to do the dirty work while European agencies – such as Frontex, Eunavfor Med as well as the Italian and Maltese coastguards – have withdrawn from the most contentious and deadly areas of the sea.

      It’s sadly not surprising that flagrant human rights violations have become the norm rather than the exception. Quite cynically, several factions of the Libyan coastguards have profited not merely from Europe’s financial support but also from playing a “double game” in which they continue to be involved in human smuggling while, disguised as coastguards, clampdown on the trade of rival smuggling networks. This means that the Libyan coastguards profit often from both letting migrant boats leave and from subsequently recapturing them.

      The detention camps in Libya, where torture and rape are everyday phenomena, are not merely containment zones of captured migrants – they form crucial extortion zones in this refoulement industry. Migrants are turned into “cash cows” and are repeatedly subjected to violent forms of extortion, often forced to call relatives at home and beg for their ransom.

      Despite this systematic abuse, migrant voices cannot be completely drowned out. They continue to appear, rebelliously, from detention and even from the middle of the sea, reminding us all about Europe’s complicity in the production of their suffering.

      https://theconversation.com/migrants-calling-us-in-distress-from-the-mediterranean-returned-to-

    • Libya coast guard detains 113 migrants during lull in fighting

      The Libyan coast guard has stopped 113 migrants trying to reach Italy over the past two days, the United Nations said on Wednesday, as boat departures resume following a lull in fighting between rival forces in Libya.

      The western Libyan coast is a major departure point for mainly African migrants fleeing conflict and poverty and trying to reach Italy across the Mediterranean Sea with the help of human traffickers.

      Smuggling activity had slowed when forces loyal to military commander Khalifa Haftar launched an offensive to take the capital Tripoli, home to Libya’s internationally recognized government.

      But clashes eased on Tuesday after a push by Haftar’s Libyan National Army (LNA) back by artillery failed to make inroads toward the center.

      Shelling audible in central Tripoli was less intense on Wednesday than on previous days. Three weeks of clashes had killed 376 as of Tuesday, the World Health Organization said.

      The Libyan coast guard stopped two boats on Tuesday and one on Wednesday, carrying 113 migrants in all, and returned them to two western towns away from the Tripoli frontline, where they were put into detention centers, U.N. migration agency IOM said.

      A coast guard spokesman said the migrants were from Arab and sub-Saharan African countries as well as Bangladesh.

      Human rights groups have accused armed groups and members of the coast guard of being involved in human trafficking.

      Officials have been accused in the past of mistreating detainees, who are being held in their thousands as part of European-backed efforts to curb smuggling. A U.N. report in December referred to a “terrible litany” of violations including unlawful killings, torture, gang rape and slavery.

      Rights groups have also accused the European Union of complicity in the abuse as Italy and France have provided boats for the coast guard to step up patrols. That move has helped to reduce migrant departures.

      https://www.reuters.com/article/us-libya-security/libya-coast-guard-detains-113-migrants-during-lull-in-fighting-idUSKCN1S73R

    • Judgement in Italy recognizes that people rescued by #Vos_Thalassa acted lawfully when opposed disembarkation in #Libya. Two men spent months in prison, as Italian government had wished, till a judge established that they had acted in legitimate defence.
      Also interesting that judge argues that Italy-Libya Bilateral agreement on migration control must be considered illegitimate as in breach of international, EU and domestic law.

      https://dirittopenaleuomo.org/wp-content/uploads/2019/06/GIP-Trapani.pdf

      Reçu via FB par @isskein :
      https://www.facebook.com/isabelle.saintsaens/posts/10218154173470834?comment_id=10218154180551011&notif_id=1560196520660275&n
      #justice

    • The Commission and Italy tie themselves up in knots over Libya

      http://www.statewatch.org/analyses/no-344-Commission-and-Italy-tie-themselves-up-in-knots-over-libya.pdf

      –-> analyse de #Yasha_Maccanico sur la polémique entre Salvini et la Commission quand il a déclaré en mars que la Commission était tout a fait d’accord avec son approche (le retour des migrants aux champs logiques), la Commission l’a démenti et puis a sorti la lettre de Mme. Michou (JAI Commission) de laquelle provenaient les justifications utilisées par le ministre, qui disait à Leggeri que la collaboration avec la garde côtière libyenne des avions européennes était legale. Dans la lettre, elle admit que les italiens et la mission de Frontex font des activités qui devrait être capable de faire la Libye, si sa zone SAR fuisse authentique et pas une manière pour l’UE de se débarrasser de ses obligations légales et humanitaires. C’est un acte de auto-inculpation pour l’UE et pour l’Italie.

    • Returned to War and Torture: Malta and Frontex coordinate push-back to Libya

      On Saturday, 14 March 2020, RCC Malta coordinated a push-back operation from the Maltese Search and Rescue (SAR) zone to Libya in cooperation with the EU border agency Frontex and the so-called Libyan coastguards.[1] Similar to the events we documented on 18 October 2019, the Maltese authorities instructed the so-called Libyan coastguards to enter a European SAR zone in order to abduct about 49 people and force them back to Libya.[2] Instead of complying with refugee and human rights conventions, the Maltese authorities coordinated a grave violation of international law and of the principle of non-refoulment, as the rescued must be disembarked in a safe harbour.[3] Clearly, Libya is not a safe harbour but a place of war and systemic human rights abuses. Every week, the Alarm Phone receives testimonies of torture, rape and other forms of violence against migrants detained in Libyan camps and prisons.

      On the same day, we alerted the Armed Forces of Malta to a second boat in distress in the Maltese SAR zone with 112 people on board.[4] Before their eventual rescue, the people spent about 48 hours at sea. Malta delayed the rescue for more than 18 hours, putting 112 lives at severe risk. Non-assistance, delays, and pushbacks are becoming the norm in the Central Mediterranean, causing trauma in survivors, disappearances and deaths, both at sea and in Libya.

      Europe continues to delegate border enforcement to the Libyan authorities to evade their responsibility to rescue the distressed to Europe. We hold Europe accountable for the abuses and suffering inflicted on migrants at sea and in Libya. We condemn the role of European institutions and member states, including Malta and Italy, in these human rights violations through bilateral agreements as well as the financing, equipping, and training of the so-called Libyan coastguards.

      Summary of the push-back by proxy case:

      On Saturday 14 March 2020, at 15:33h CET, the Alarm Phone received a distress call from 49 people, including one pregnant woman and three children, who were trying to escape from the war in Libya. They had left Tripoli the evening before on a white fiberglass boat. They shared their GPS position with us, which clearly showed them within the Maltese SAR zone (34° 26′ 39 ” N, 14° 07′ 86″ E, at 15:33h). The people on board told us that they had lost their engine and that water was entering the boat. We immediately informed RCC Malta and the Italian coastguard via email. We received updated GPS positions from the people in distress at 16:22h (34° 26 81′ N, 014° 08′ 56″ E) and at 17:07h (N 34° 27′ 12″, E 014° 09′ 37″), both confirming once more that they were drifting within the Maltese SAR zone.

      At 17:42h, RCC Malta confirmed via phone that they had sent two patrol boats for the two SAR events in the Maltese SAR zone to which we had alerted them: one for the boat of 49 people and another one for the rubber boat with 112 people on board. Soon after, at 17:45h, we talked to the 49 people on the boat who told us that they could see a boat heading in their direction. Unfortunately, the conversation broke off and we were not able to clarify further details. This was our last contact to the people in distress after which we could not reach them any longer. Since then, we have tried to obtain further details from RCC Malta, but they claim to not have any information.

      However, confidential sources have informed us that a Frontex aerial asset had spotted the migrant boat already at 6:00h when it was still in the contested Libyan SAR zone. At 18.04h, the Libyan coastguard vessel Ras Al Jadar intercepted the boat in the Maltese SAR zone at the position N34° 26’, E 14° 07’. This means that the European border agency Frontex, MRCC Rome as well as RCC Malta were all aware of this boat in distress and colluded with the Libyan authorities to enter Maltese SAR and intercept the migrant boat.

      On Sunday 15 March 2020, at 7:00h, we were called by relatives of the people on board who told us that the people in distress had just informed them that they had been abducted by a Libyan vessel from within the Maltese SAR zone and returned to Libya, where, according to their testimonies, they were imprisoned and battered. In the afternoon, we were called by the people who were on the boat, and they testified that before the push-back occurred they saw a helicopter circling above them. About 30 minutes later, according to their testimonies, a vessel of the so-called Libyan coastguard arrived on scene. The people stated that the Libyan officers behaved brutally toward them, beating them repeatedly. They also stated that they were prevented from filming and documenting these abuses as their phones were confiscated. Moreover, the people reported that they had travelled together with another boat, a white rubber boat with around 60 people on board (including 7 women and 1 woman with a nine-month-old infant). Also this second boat[5] was intercepted and returned to Libya and its passengers experienced similar forms of violence and abuse.

      https://alarmphone.org/en/2020/03/15/returned-to-war-and-torture/?post_type_release_type=post

  • « Guérir » l’homosexualité : des thérapies décriées, mais toujours pratiquées Pauline Rappaz/kkub - 24 Aout 2018 - RTS
    http://www.rts.ch/info/sciences-tech/medecine/9795937--guerir-l-homosexualite-des-therapies-decriees-mais-toujours-pratiquees.

    Thérapies « de conversion » ou « réparatrices », les traitements pour « guérir » de l’homosexualité remontent aux débuts de la médecine moderne. Ils continuent aujourd’hui d’être pratiqués, au grand dam du corps médical et des associations LGBTI.
    Début août, une affaire a fait grand bruit : un homéopathe français exerçant à Genève et à Lausanne propose de « guérir » l’homosexualité, même s’il se défend de toute homophobie.

    A la suite de cette affaire, le conseiller d’Etat genevois en charge de la Santé, Mauro Poggia, a demandé l’ouverture d’une enquête, et la Fondation suisse pour les médecines complémentaires a décidé de le suspendre.

    Or, tenter de soigner les personnes non-hétérosexuelles est une pratique plus répandue qu’on ne le pense. Ces traitements, appelés thérapies « de conversion » ou « réparatrices », consistent à ramener des personnes gays, lesbiennes, bi- ou trans-sexuelles « dans le droit chemin », c’est-à-dire les faire devenir hétérosexuelles.
    http://www.rts.ch/2018/08/23/18/44/9776253.image?w=900&h=506
    L’homosexualité comme maladie
    Ce type de traitements existe depuis le moment où l’on a considéré l’homosexualité comme une maladie, « aux débuts de la médecine moderne au XIXe siècle », explique Louis-Georges Tin, militant homosexuel français et directeur d’édition du « Dictionnaire de l’homophobie » (PUF, 2003).

    Le mot « homosexualité » est créé à cette époque, et désigne une maladie. « Or, les maladies, il s’agit de les guérir. De nombreux médecins très sérieux de l’époque ont essayé diverses techniques, pouvant aller jusqu’à la lobotomie », détaille l’auteur.

    Les choses ne changeront qu’en 1992, quand l’Organisation mondiale de la santé (OMS) décide de retirer l’homosexualité de sa liste des maladies mentales. A partir de là, considérer que l’homosexualité est une pathologie ne fait plus partie du discours officiel de la médecine.

    Spiritualité et pseudo-science
    Et pourtant, même si les méthodes évoluent, les « thérapies » pour la guérir se perpétuent. Florian Bardou, journaliste à Libération, a publié l’an dernier avec son collègue Pierre de Boissieu une enquête http://www.liberation.fr/france/2017/01/21/en-france-l-interdiction-des-therapies-de-conversion-n-est-pas-pour-tout- sur ces « thérapies de conversion ».

    Selon lui, ces pseudo-traitements sont proposés par deux catégories de personnes. « Ce sont souvent des groupes spirituels, liés à une grande religion ou à un mouvement sectaire. Ou alors des praticiens de santé - psychologues ou médecins - qui pensent encore aujourd’hui, à partir d’une pseudo-science, pouvoir ’guérir’ une personne dont l’orientation sexuelle n’est pas conforme à leurs désirs. »

    Des groupes spirituels comme ceux évoqués par Florian Bardou sont implantés en France. L’un d’eux, Torrents de Vie, possède une antenne à Neuchâtel.

    En menant son enquête, Florian Bardou a constaté que de nombreuses associations aux Etats-Unis et au Brésil mettent en garde contre ces thérapies. C’est moins le cas en Europe.

    En 2012 par exemple, l’Organisation panaméricaine de la santé a décrété que ces traitements ne reposent sur « aucune justification médicale » et qu’elles sont dangereuses pour la santé mentale de ceux qui les subissent. (lire encadré)

    Timides avancées législatives
    Les thérapies pour soigner l’homosexualité ne sont pas juste le fait de quelques personnes isolées qui les pratiquent, en France et ailleurs, estime Louis-Georges Tin, qui évoque un véritable « système ». Le but des militants est dès lors que les associations de médecins et les Eglises prennent position, en attendant que ces pratiques soient interdites par les Etats européens.

    Au mois de mars, le Parlement européen a adopté un texte qui appelle les Etats membres à interdire les « thérapies de conversion ». Ce texte n’est toutefois pas contraignant. Pour l’instant, en Europe, ces traitements ne sont interdits qu’à Malte, en vertu d’une loi entrée en vigueur début 2017, qui prévoit des peines pouvant aller jusqu’à un an de prison et 10’000 euros d’amende.

    Ce printemps, une députée de La République en Marche a déposé une proposition de loi pour que ces thérapies soient prohibées en France. L’Irlande et le Royaume-Uni ont également débattu de cette question, mais rien n’est inscrit dans la loi.

    « Pas nécessaire d’interdire » en Suisse
    Et en Suisse ? En 2016, la conseillère nationale Rosmarie Quadranti (PBD/LU) a déposé une interpellation. Dans sa réponse, le Conseil fédéral reconnaît que ces thérapies sont à la fois inefficaces et « sources de grande souffrance ». Il estime toutefois que le réseau de protection de la jeunesse est suffisamment développé, et qu’il n’est pas nécessaire d’interdire les « thérapies de conversion ». 

    A l’inverse, plusieurs pays extra-européens ont déjà légiféré sur la question, comme aux Etats-Unis où ces thérapies sont interdites dans plusieurs Etats, notamment en Californie et à New York.

    Au Brésil, une résolution de 1999 punit les traitements de « réorientation sexuelle ». Mais elle est remise en question depuis l’arrivée au pouvoir du président Michel Temer, proche des milieux évangélistes.

    Un « surcroît de violence » dans un contexte déjà homophobe
    « On a eu les témoignages de jeunes gens qui, culpabilisés par leurs parents, ont été conduits dans ces cabinets. Entrés dépressifs, ils sont sortis suicidaires », relate Louis-Georges Tin. « Il y a un risque pour la santé mentale de ces personnes, qui se trouvent déjà dans un contexte de violence homophobe, et que l’on expose à un surcroît de violence. C’est tout à fait grave », assène-t-il.

    Difficile de connaître l’ampleur de ces pseudo-thérapies, en l’absence de chiffres, mais les témoignages existent. Au Royaume-Uni, un rapport de 2017 montre que 7% des membres de la communauté LGBTI se sont vu proposer une « thérapie de conversion ».

    Générer l’aversion

    L’animateur radio britannique Peter Price a d’ailleurs décidé de témoigner publiquement. Il a raconté à la presse la « thérapie par aversion » qu’il a suivie dans une clinique privée. Le concept est d’exposer le patient à une stimulation sexuelle associée à une expérience désagréable.

    Peter Price a 18 ans quand il accepte de suivre ce traitement, pour « mettre fin aux angoisses de sa mère ». Installé dans une pièce sans fenêtre, il écoute un récit d’actes sexuels sur une cassette audio, et regarde des photos d’hommes en maillot de bain. Simultanément, on lui injecte des substances qui provoquent diarrhées et vomissements. La « thérapie » dure trois jours... Après cet épisode traumatique, Peter Price décide d’assumer qui il est, malgré les angoisses de sa mère.

    Thérapies #homosexualité #maladie #conversion #religion #spiritualité #pseudo-science #conversion #évangélistes #Malte #Suisse #France #Brésil #Royaume-Uni #aversion #orange_mécanique

  • de 1881 à 1904
    http://caminare.free.fr/1881a1904.htm

    1881 à 1904

    • 1881
    – février, Hubertine Auclert lance La Citoyenne, journal anticlérical qui combat sur tous les fronts : Pendant que nous serons exclues de la vie civique, les hommes songeront à leurs intérêts plutôt qu’aux nôtres ; articles de Séverine (Caroline Rémy) et Marie Bashkirtseff (artiste)
    – Blanche Edwards est reçue au concours de l’internat en médecine ; des étudiants brûlent son effigie sur le boulevard St-Michel
    – création de l’École normale supérieure de Sèvres pour les jeunes filles et de l’agrégation féminine
    – une femme mariée peut ouvrir un livret de caisse d’épargne sans l’autorisation de son mari
    – lois Jules Ferry : l’enseignement primaire public devient laïque gratuit et obligatoire tant pour les filles que pour les garçons de 6 à 13 ans

    #féminisme #historicisation
    Trouvé en cherchant des infos sur Marie Huot activiste végétarienne et féministe frmançaise qui aurais attaqué à coupe d’ombrelle un scientifique en plein disséction d’un singe et plusieurs années attaqué des Matadors avec un ami peintre à coup de révolver.
    anecdote raconté ici : https://www.youtube.com/watch?time_continue=917&v=RSuJfGABU74

    • fiche wikipédia de Marie Huot
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Marie_Huot_(1846-1930)

      Marie Huot, née en 1846, Mathilde Marie Constance Ménétrier, a épousé en 1869 Anatole Théodore Marie Huot, éditeur de la revue gauchiste parisienne, L’Encyclopédie Contemporaine Illustrée . Elle était également une amie proche du peintre suédois et mystique soufi Ivan Agueli à qui elle dédiera ses poèmes symbolistes, Le missel de Notre-Dame des Solitudes.

      Marie Huot s’est surtout fait connaitre en raison de ses actions activistes spectaculaires :

      Au collège de France, en 1883, elle agresse le scientifique mauricien Charles-Édouard Brown-Séquard avec une ombrelle, au cours d’une vivisection sur un singe1 ;

      En 1886, elle interrompt une lecture faisant l’apologie du traitement antirabique de Louis Pasteur à l’université de la Sorbonne, parce que ce traitement implique des expérimentations sur des animaux (chiens et lapins) mais surtout parce qu’il implique aussi des expérimentations humaines qui se soldent par une augmentation de la mortalité humaine par rage2 ;

      Elle aide son ami suédois Ivan Aguéli dans l’attaque à main armée qu’il perpétue à l’encontre de deux matadors à Deuil en région parisienne, le 4 juin 1900, et qui s’inscrit dans un mouvement d’opposition à la tauromachie qui touche les milieux républicains radicaux depuis les années 1850.

      Néo-malthusienne radicale, c’est à Marie Huot que l’on doit l’expression « grève des ventres »4, ainsi que la première conférence publique, en 1892, en faveur d’une limitation des naissances drastique5. Dans cette conférence, qui sera publiée en 1909 sous le titre "Le mal de vivre", Marie Huot, en véritable préfiguratrice du VHEMT, prône la disparition volontaire de l’espèce humaine par refus de procréer, à la fois par compassion pour les souffrances de celle-ci et pour celles qu’elle inflige aux autres animaux. 6

      Je connais pas ce VHEMT !