• mapsf: thematic cartography • mapsf
    https://riatelab.github.io/mapsf

    Create and integrate thematic maps in your #R workflow. This package helps to design various cartographic representations such as proportional symbols, choropleth or typology maps. It also offers several functions to display layout elements that improve the graphic presentation of maps (e.g. scale bar, north arrow, title, labels). mapsf maps sf objects on base graphics.
    […]
    Background
    #mapsf is the successor of #cartography. There are no plans for new features or enhancements in cartography, but basic maintenance and support will continue indefinitely. Existing projects that use cartography can safely continue to use cartography. New projects should use mapsf because it is friendlier, lighter and more robust.
    See mapsf vignette to migrate from cartography to mapsf.

  • MF-JSON update & tutorial with official sample | Free and Open Source GIS Ramblings
    https://anitagraser.com/2022/04/23/mf-json-update-tutorial-with-official-sample

    Since last week’s post, I’ve learned that there is an official OGC #Moving #Features #JSON Encodings repository with more recent sample datasets, including MovingPoint, MovingPolygon, and Trajectory JSON examples.

    Exemple de données :

    {
     "type" : "Feature",
     "temporalGeometry" : {
       "type" : "MovingPoint",
       "coordinates" : [ [ 111.9, 7.6 ], [ 111.3, 7.3 ], [ 111.1, 7.0 ], [ 110.7, 6.6 ], [ 110.2, 6.3 ], [ 109.9, 6.0 ], [ 109.5, 5.8 ], [ 108.6, 5.9 ], [ 108.0, 6.2 ], [ 107.0, 6.3 ], [ 105.8, 6.0 ], [ 105.0, 5.8 ], [ 104.1, 6.1 ], [ 103.4, 6.8 ], [ 102.5, 7.5 ], [ 101.5, 7.9 ], [ 100.8, 8.1 ], [ 100.1, 8.2 ], [ 99.4, 8.4 ] ],
       "datetimes" : [ "2018-12-31T06:00:00Z", "2018-12-31T12:00:00Z", "2018-12-31T18:00:00Z", "2019-01-01T00:00:00Z", "2019-01-01T06:00:00Z", "2019-01-01T12:00:00Z", "2019-01-01T18:00:00Z", "2019-01-02T00:00:00Z", "2019-01-02T06:00:00Z", "2019-01-02T12:00:00Z", "2019-01-02T18:00:00Z", "2019-01-03T00:00:00Z", "2019-01-03T06:00:00Z", "2019-01-03T12:00:00Z", "2019-01-03T18:00:00Z", "2019-01-04T00:00:00Z", "2019-01-04T06:00:00Z", "2019-01-04T12:00:00Z", "2019-01-04T18:00:00Z" ],
       "interpolation" : "Linear"
     },
     "temporalProperties" : [ {
       "datetimes" : [ "2018-12-31T06:00:00Z", "2018-12-31T12:00:00Z", "2018-12-31T18:00:00Z", "2019-01-01T00:00:00Z", "2019-01-01T06:00:00Z", "2019-01-01T12:00:00Z", "2019-01-01T18:00:00Z", "2019-01-02T00:00:00Z", "2019-01-02T06:00:00Z", "2019-01-02T12:00:00Z", "2019-01-02T18:00:00Z", "2019-01-03T00:00:00Z", "2019-01-03T06:00:00Z", "2019-01-03T12:00:00Z", "2019-01-03T18:00:00Z", "2019-01-04T00:00:00Z", "2019-01-04T06:00:00Z", "2019-01-04T12:00:00Z", "2019-01-04T18:00:00Z" ],
       "preasure" : {
         "type" : "Measure",
         "values" : [ 1004.0, 1004.0, 1004.0, 1004.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 1000.0, 998.0, 996.0, 996.0, 996.0, 1000.0, 1006.0 ],
         "form" : "A97",
         "interpolation" : "Linear"
       },
       "wind" : {
         "type" : "Measure",
         "values" : [ 0.0, 0.0, 0.0, 0.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 35.0, 40.0, 45.0, 45.0, 45.0, 40.0, 0.0 ],
         "form" : "KNT",
         "interpolation" : "Linear"
       },
       "class" : {
         "type" : "Measure",
         "values" : [ 2.0, 2.0, 2.0, 2.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 3.0, 2.0 ],
         "interpolation" : "Linear"
       }
     } ]
    }

    https://github.com/opengeospatial/mf-json

    #mf-json #map

  • Decolonize your eyes, Padova.. Pratiche visuali di decolonizzazione della città

    Introduzione
    Il saggio a tre voci è composto da testi e due video.[1]
    Mackda Ghebremariam Tesfau’ (L’Europa è indifendibile) apre con un una riflessione sulle tracce coloniali che permangono all’interno degli spazi urbani. Lungi dall’essere neutre vestigia del passato, questi segni sono tracce di una storia contesa, che si situa contemporaneamente al cuore e ai margini invisibili della rappresentazione di sé dell’occidente. La dislocazione continua del fatto coloniale nella memoria storica informa il discorso che è oggi possibile sul tema delle migrazioni, del loro governo e dei rapporti tra Nord e Sud Globale. La stessa Europa di cui Césaire dichiarava “l’indifendibilità” è ora una “fortezza” che presidia i suoi confini dal movimento di ritorno postcoloniale.
    Annalisa Frisina (Pratiche visuali di decolonizzazione della città) prosegue con il racconto del percorso didattico e di ricerca Decolonizzare la città. Dialoghi visuali a Padova, realizzato nell’autunno del 2020. Questa esperienza mostra come sia possibile performare la decolonizzazzione negli spazi pubblici e attivare contro-politiche della memoria a livello urbano. Le pratiche visuali di decolonizzazione sono utili non solo per fare vacillare statue e nomi di vie, ma soprattutto per mettere in discussione le visioni del mondo e le gerarchie sociali che hanno reso possibile celebrare/dimenticare la violenza razzista e sessista del colonialismo. Le vie coloniali di Padova sono state riappropriate dai corpi, dalle voci e dagli sguardi di sei cittadine/i italiane/i afrodiscendenti, facendo uscire dall’insignificanza le tracce coloniali urbane e risignificandole in modo creativo.
    Infine, Salvatore Frisina (L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio) conclude il saggio soffermandosi sui due eventi urbani Decolonize your eyes (giugno e ottobre 2020), promossi dall’associazione Quadrato Meticcio, che ha saputo coinvolgere in un movimento decoloniale attori sociali molto eterogenei. Da quasi dieci anni questa associazione di sport popolare, radicata nel rione Palestro di Padova, favorisce la formazione di reti sociali auto-gestite e contribuisce alla lotta contro discriminazioni multiple (di classe, “razza” e genere). La sfida aperta dai movimenti antirazzisti decoloniali è infatti quella di mettere insieme processi simbolici e materiali.

    L’Europa è indifendibile
    L’Europa è indifendibile, scrive Césaire nel celebre passo iniziale del suo Discorso sul colonialismo (1950). Questa indifendibilità non è riferita tanto al fatto che l’Europa abbia commesso atti atroci quanto al fatto che questi siano stati scoperti. La “scopertura” è “svelamento”. Ciò che viene svelata è la natura stessa dell’impresa “Europa” e lo svelamento porta all’impossibilità di nascondere alla “coscienza” e alla “ragione” tali fatti: si tratta di un’indifendibilità “morale” e “spirituale”. A portare avanti questo svelamento, sottraendosi alla narrazione civilizzatrice che legittima – ovvero che difende – l’impresa coloniale sono, secondo Césaire, le masse popolari europee e i colonizzati che “dalle cave della schiavitù si ergono giudici”. Era il 1950.
    A più di sessant’anni di distanza, oggi l’Europa è tornata ad essere ben difesa, i suoi confini materiali e simbolici più che mai presidiati. Come in passato, tuttavia, uno svelamento della sua autentica natura potrebbe minarne le fondamenta. È quindi importante capire quale sia la narrazione che oggi sostiene la fortezza Europa.
    La scuola decoloniale ha mostrato come la colonialità sia un attributo del potere, la scuola postcoloniale come leggerne i segni all’interno della cultura materiale. Questa stessa cultura è stata interrogata, al fine di portarne alla luce gli impliciti. È successo ripetutamente alla statua di Montanelli, prima oggetto dell’azione di Non Una di Meno Milano, poi del movimento Black Lives Matter Italia. È successo alla fermata metro di Roma Amba Aradam. È successo anche alle vie coloniali di Padova. La reazione a queste azioni – reazione comune a diversi contesti internazionali – è particolarmente esplicativa della necessità, del Nord globale, di continuare a difendersi.
    Il fronte che si è aperto in contrapposizione alla cosiddetta cancel culture[2] si è battuto per la tutela del “passato” e della “Storia”, così facendo ribadendo un potere non affatto scontato, che è quello di decidere cosa sia “passato” e quale debba essere la Storia raccontata – oltre che il come debba essere raccontata. Le masse che si sono radunate sotto le statue abbattute, deturpate e sfidate, l’hanno fatto per liberare “passato” e “Storia” dal dominio bianco, maschile e coloniale che ha eretto questi monumenti a sua immagine e somiglianza. La posta in gioco è, ancora, uno svelamento, la presa di coscienza del fatto che queste non sono innocue reliquie di un passato disattivato, ma piuttosto la testimonianza silente di una Storia che lega indissolubilmente passato a presente, Nord globale e Sud globale, colonialismo e migrazioni. Riattivare questo collegamento serve a far crollare l’impalcatura ideologica sulla quale oggi si fonda la pretesa di sicurezza invocata e agita dall’Europa.
    Igiaba Scego e Rino Bianchi, in Roma Negata (2014), sono stati tra i primi a dedicare attenzione a queste rumorose reliquie in Italia. L’urgenza che li ha spinti a lavorare sui resti coloniali nella loro città è l’oblio nel quale il colonialismo italiano è stato relegato. Come numerosi autrici e autori postcoloniali hanno dimostrato, tuttavia, questo oblio è tutt’altro che improduttivo. La funzione che svolge è infatti letteralmente salvifica, ovvero ha lo scopo di salvare la narrazione nazionale dalle possibili incrinature prodotte dallo svelamento alla “barra della coscienza” (Césaire 1950) delle responsabilità coloniali e dei modi in cui si è stati partecipi e protagonisti della costruzione di un mondo profondamente diseguale. Al contempo, la presenza di questi monumenti permette, a livello inconscio, di continuare a godere del senso di superiorità imperiale di cui sono intrisi, di continuare cioè a pensarsi come parte dell’Europa e del Nord Globale, con ciò che questo comporta. Che cosa significa dunque puntarvi il dito? Che cosa succede quando la memoria viene riattivata in funzione del presente?
    La colonialità ha delle caratteristiche intrinseche, ovvero dei meccanismi che ne presiedono il funzionamento. Una di queste caratteristiche è la produzione costante di confini. Questa necessità è evidente sin dai suoi albori ed è rintracciabile anche in pagine storiche che non sono abitualmente lette attraverso una lente coloniale. Un esempio è la riflessione marxiana dei Dibattiti sulla legge contro i furti di legna[3], in cui il pensatore indaga il fenomeno delle enclosure, le recinzioni che tra ‘700 e ‘800 comparvero in tutta Europa al fine di rendere privati i fondi demaniali, usati consuetudinariamente dalla classe contadina come supporto alla sussistenza del proprio nucleo attraverso la caccia e la raccolta. Distinzione, definizione e confinamento sono processi materiali e simbolici centrali della colonialità. Per contro, connettere, comporre e sconfinare sono atti di resistenza al potere coloniale.
    Da tempo Gurminder K. Bhambra (2017) ha posto l’accento sull’importanza di questo lavoro di ricucitura storica e sociologica. Secondo l’autrice la stessa distinzione tra cittadino e migrante è frutto di una concettualizzazione statuale che fonda le sue categorie nel momento storico degli imperi. In questo senso per Bhambra tale distinzione poggia su di una lettura inadeguata della storia condivisa. Tale lettura ha l’effetto di materializzare l’uno – il cittadino – come un soggetto avente diritti, come un soggetto “al giusto posto”, e l’altro – il migrante – come un soggetto “fuori posto”, qualcuno che non appartiene allo stato nazione.
    Questo cortocircuito storico è reso evidente nella mappa coloniale che abbiamo deciso di “sfidare” nel video partecipativo. La raffigurazione dell’Impero Italiano presente in piazza delle Erbe a Padova raffigura Eritrea, Etiopia, Somalia, Libia, Albania e Italia in bianco, affinché risaltino sullo sfondo scuro della cartina. Su questo spazio bianco è possibile tracciare la rotta che oggi le persone migranti intraprendono per raggiungere la Libia da numerosi paesi subsahariani, tra cui la Somalia, l’Eritrea e l’Etiopia, la stessa Libia che è stata definita un grande carcere a cielo aperto. Dal 2008 infatti Italia e Libia sono legate da accordi bilaterali. Secondo questi accordi l’Italia si è impegnata a risarcire la Libia per l’occupazione coloniale, e in cambio la Libia ha assunto il ruolo di “guardiano” dei confini italiani, ruolo che agisce attraverso il contenimento delle persone migranti che raggiungono il paese per tentare la traversata mediterranea verso l’Europa. Risulta evidente come all’interno di questi accordi vi è una riattivazione del passato – il risarcimento coloniale – che risulta paradossalmente neocoloniale piuttosto che de o anti-coloniale.
    L’Italia è indifendibile, eppure si difende. Si difende anche grazie all’ombra in cui mantiene parti della sua storia, e si difende moltiplicando i confini coloniali tra cittadini e stranieri, tra passato e presente. Questo passato non è però tale, al contrario plasma il presente traducendo vecchie disuguaglianze sotto nuove vesti. Oggi la dimensione coloniale si è spostata sui corpi migranti, che si trovano ad essere marchiati da una differenza che produce esclusione nel quotidiano.
    I confini coloniali – quelli materiali come quelli simbolici – si ergono dunque a difesa dell’Italia e dell’Europa. Come nel 1950 però, questa difendibilità è possibile solo a patto che le masse popolari e subalterne accettino e condividano la narrazione coloniale, che è stata ieri quella della “missione civilizzatrice” ed è oggi quella della “sicurezza”. Al fine di decolonizzare il presente è dunque necessario uscire da queste narrazioni e riconnettere il passato alla contemporaneità al fine di svelare la natura coloniale del potere oggi. Così facendo la difesa dell’Europa potrà essere nuovamente scalfibile.
    Il video partecipativo realizzato a Padova va esattamente in questa direzione: cerca di ricucire storie e relazioni interrotte e nel farlo pone al centro il fatto coloniale nella sua continuità e contemporaneità.

    Pratiche visuali di decolonizzazione della città
    Il video con Mackda Ghebremariam Tesfau è nato all’interno del laboratorio di Visual Research Methods dell’Università di Padova. Da diversi anni, questo laboratorio è diventato un’occasione preziosa per fare didattica e ricerca in modo riflessivo e collaborativo, affrontando il tema del razzismo nella società italiana attraverso l’analisi critica della visualità legata alla modernità europea e attraverso la sperimentazione di pratiche contro-visuali (Mirzoeff 2011). Come docente, ho provato a fare i conti con “l’innocenza bianca” (Wekker 2016) e spingere le mie studentesse e i miei studenti oltre la memoria auto-assolutoria del colonialismo italiano coi suoi miti (“italiani brava gente”, “eravamo lì come migranti straccioni” ecc.). Per non restare intrappolate/i nella colonialità del potere, le/li/ci ho invitate/i a prendere consapevolezza di quale sia il nostro sguardo su noi stessi nel racconto che facciamo degli “altri” e delle “altre”, mettendo in evidenza il peso delle divisioni e delle gerarchie sociali. Come mi hanno detto alcune mie studentesse, si tratta di un lavoro faticoso e dal punto di vista emotivo a volte difficilmente sostenibile. Eppure, penso sia importante (far) riconoscere il proprio “disagio” in quanto europei/e “bianchi/e” e farci qualcosa collettivamente, perché il sentimento di colpa individuale è sterile, mentre la responsabilità è capacità di agire, rispondere insieme e prendere posizione di fronte ai conflitti sociali e alle disuguaglianze del presente.
    Nel 2020 la scommessa è stata quella di fare insieme a italiani/e afrodiscendenti un percorso di video partecipativo (Decolonizzare la città. Dialoghi visuali a Padova[4]) e di utilizzare il “walk about” (Frisina 2013) per fare passeggiate urbane con studentesse e studenti lasciandosi interpellare dalle tracce coloniali disseminate nella città di Padova, in particolare nel rione Palestro dove abito. La congiuntura temporale è stata cruciale.
    Da una parte, ci siamo ritrovate nell’onda del movimento Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd a Minneapolis. Come discusso altrove (Frisina & Ghebremariam Tesfau’ 2020, pp. 399-401), l’antirazzismo è (anche) una contro-politica della memoria e, specialmente nell’ultimo anno, a livello globale, diversi movimenti hanno messo in discussione il passato a partire da monumenti e da vie che simbolizzano l’eredità dello schiavismo e del colonialismo. Inevitabilmente, in un’Europa post-coloniale in cui i cittadini hanno le origini più diverse da generazioni e in cui l’attivismo degli afrodiscendenti diventa sempre più rilevante, si sono diffuse pratiche di risignificazione culturale attraverso le quali è impossibile continuare a vedere statue, monumenti, musei, vie intrise di storia coloniale in modo acritico; e dunque è sempre più difficile continuare a vedersi in modo innocente.
    D’altra parte, il protrarsi della crisi sanitaria legata al covid-19, con le difficoltà crescenti a fare didattica in presenza all’interno delle aule universitarie, ha costituito sia una notevole spinta per uscire in strada e sperimentare forme di apprendimento più incarnate e multisensoriali, sia un forte limite alla socialità che solitamente accompagna la ricerca qualitativa, portandoci ad accelerare i tempi del laboratorio visuale in modo da non restare bloccati da nuovi e incalzanti dpcm. Nel giro di soli due mesi (ottobre-novembre 2020), dunque, abbiamo realizzato il video con l’obiettivo di far uscire dall’insignificanza alcune tracce coloniali urbane, risignificandole in modo creativo.
    Il video è stato costruito attraverso pratiche visuali di decolonizzazione che hanno avuto come denominatore comune l’attivazione di contro-politiche della memoria, a partire da sguardi personali e familiari, intimamente politici. Le sei voci narranti mettono in discussione le gerarchie sociali che hanno reso possibile celebrare/dimenticare la violenza razzista e sessista del colonialismo e offrono visioni alternative della società, perché capaci di aspirare e rivendicare maggiore giustizia sociale, la libertà culturale di scegliersi le proprie appartenenze e anche il potere trasformativo della bellezza artistica.
    Nel video, oltre a Mackda Ghebremariam Tesfau’, ci sono Wissal Houbabi, Cadigia Hassan, Ilaria Zorzan, Emmanuel M’bayo Mertens e Viviana Zorzato, che si riappropriano delle tracce coloniali con la presenza dei loro corpi in città e la profondità dei loro sguardi.
    Wissal, artista “figlia della diaspora e del mare di mezzo”, “reincarnazione del passato rimosso”, si muove accompagnata dalla canzone di Amir Issa Non respiro (2020). Lascia la sua poesia disseminata tra Via Catania, via Cirenaica, via Enna e Via Libia.

    «Cerchiamo uno spiraglio per poter respirare, soffocati ben prima che ci tappassero la bocca e ci igienizzassero le mani, cerchiamo una soluzione per poter sopravvivere […]
    Non siamo sulla stessa barca e ci vuole classe a non farvelo pesare. E la mia classe sociale non ha più forza di provare rabbia o rancore.
    Il passato è qui, insidioso tra le nostre menti e il futuro è forse passato.
    Il passato è qui anche se lo dimentichi, anche se lo ignori, anche se fai di tutto per negare lo squallore di quel che è stato, lo Stato e che preserva lo status di frontiere e ius sanguinis.
    Se il mio popolo un giorno volesse la libertà, anche il destino dovrebbe piegarsi».

    Cadigia, invece, condivide le fotografie della sua famiglia italo-somala e con una sua amica si reca in Via Somalia. Incontra una ragazza che abita lì e non ha mai capito la ragione del nome di quella via. Cadigia le offre un suo ricordo d’infanzia: passando da via Somalia con suo padre, da bambina, gli aveva chiesto perché si chiamasse così, senza ricevere risposta. E si era convinta che la Somalia dovesse essere importante. Crescendo, però, si era resa conto che la Somalia occupava solo un piccolo posto nella storia italiana. Per questo Cadigia è tornata in via Somalia: vuole lasciare traccia di sé, della sua storia familiare, degli intrecci storici e rendere visibili le importanti connessioni che esistono tra i due paesi. Via Somalia va fatta conoscere.
    Anche Ilaria si interroga sul passato coloniale attraverso l’archivio fotografico della sua famiglia italo-eritrea. Gli italiani in Eritrea si facevano spazio, costruendo strade, teleferiche, ferrovie, palazzi… E suo nonno lavorava come macchinista e trasportatore, mentre la nonna eritrea, prima di sposare il nonno, era stata la sua domestica. Ispirata dal lavoro dell’artista eritreo-canadese Dawit L. Petros, Ilaria fa scomparire il suo volto dietro fotografie in bianco e nero. In Via Asmara, però, lo scopre e si mostra, per vedersi finalmente allo specchio.
    Emmanuel è un attivista dell’associazione Arising Africans. Nel video lo vediamo condurre un tour nel centro storico di Padova, in Piazza Antenore, ex piazza 9 Maggio. Emmanuel cita la delibera con la quale il comune di Padova dedicò la piazza al giorno della “proclamazione dell’impero” da parte di Mussolini (1936). Secondo Emmanuel, il fascismo non è mai scomparso del tutto: ad esempio, l’idea dell’italianità “per sangue” è un retaggio razzista ancora presente nella legge sulla cittadinanza italiana. Ricorda che l’Italia è sempre stata multiculturale e che il mitico fondatore di Padova, Antenore, era un profugo, scappato da Troia in fiamme. Padova, così come l’Italia, è inestricabilmente legata alla storia delle migrazioni. Per questo Emmanuel decide di lasciare sull’edicola medioevale, che si dice contenga le spoglie di Antenore, una targa dedicata alle migrazioni, che ha i colori della bandiera italiana.
    Chiude il video Viviana, pittrice di origine eritrea. La sua casa, ricca di quadri ispirati all’iconografia etiope, si affaccia su Via Amba Aradam. Viviana racconta del “Ritratto di ne*ra”, che ha ridipinto numerose volte, per anni. Farlo ha significato prendersi cura di se stessa, donna italiana afrodiscendente. Riflettendo sulle vie coloniali che attraversa quotidianamente, sostiene che è importante conoscere la storia ma anche ricordare la bellezza. Amba Alagi o Amba Aradam non possono essere ridotte alla violenza coloniale, sono anche nomi di montagne e Viviana vuole uno sguardo libero, capace di bellezza. Come Giorgio Marincola, Viviana continuerà a “sentire la patria come una cultura” e non avrà bandiere dove piegare la testa. Secondo Viviana, viviamo in un periodo storico in cui è ormai necessario “decolonizzarsi”.

    Anche nel nostro percorso didattico e di ricerca la parola “decolonizzare” è stata interpretata in modi differenti. Secondo Bhambra, Gebrial e Nişancıoğlu (2018) per “decolonizzare” ci deve essere innanzitutto il riconoscimento che il colonialismo, l’imperialismo e il razzismo sono processi storici fondamentali per comprendere il mondo contemporaneo. Tuttavia, non c’è solo la volontà di costruire la conoscenza in modi alternativi e provincializzare l’Europa, ma anche l’impegno a intrecciare in modo nuovo movimenti anti-coloniali e anti-razzisti a livello globale, aprendo spazi inediti di dialogo e dando vita ad alleanze intersezionali.

    L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio
    Il video-partecipativo è solo uno degli strumenti messi in atto a Padova per intervenire sulla memoria coloniale. Con l’evento pubblico urbano chiamato Decolonize your Eyes (20 giugno 2020), seguito da un secondo evento omonimo (18 Ottobre 2020), attivisti/e afferenti a diversi gruppi e associazioni che lavorano nel sociale si incontrano a favore di uno scopo che, come poche volte precedentemente, consente loro di agire all’unisono. Il primo evento mette in scena il gesto simbolico di cambiare, senza danneggiare, i nomi di matrice coloniale di alcune vie del rione Palestro, popolare e meticcio. Il secondo agisce soprattutto all’interno di piazza Caduti della Resistenza (ex Toselli) per mezzo di eventi performativi, artistici e laboratoriali con l’intento di coinvolgere un pubblico ampio e riportare alla memoria le violenze coloniali italiane. Ai due eventi contribuiscono realtà come l’asd Quadrato Meticcio, la palestra popolare Chinatown, Non una di meno-Padova, il movimento ambientalista Fridays for future, il c.s.o. Pedro e l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (anpi).
    Si è trattato di un rapporto di collaborazione mutualistico. L’anpi «indispensabile sin dalle prime battute nell’organizzazione» – come racconta Camilla[5] del Quadrato Meticcio – ha contribuito anche ai dibattiti in piazza offrendo densi spunti storici sulla Resistenza. Fridays for future, impegnata nella lotta per l’ambiente, è intervenuta su via Lago Ascianghi, luogo in cui, durante la guerra d’Etiopia, l’utilizzo massiccio di armi chimiche da parte dell’esercito italiano ha causato danni irreversibili anche dal punto di vista della devastazione del territorio. Ha sottolineato poi come l’odierna attività imprenditoriale dell’eni riproduca lo stesso approccio prevaricatore colonialista. Non una di meno-Padova, concentrandosi sulle tematiche del trans-femminismo e della lotta di genere, ha proposto un dibattito intitolando l’attuale via Amba Aradam a Fatima, la bambina comprata da Montanelli secondo la pratica coloniale del madamato. Durante il secondo evento ha realizzato invece un laboratorio di cartografia con gli abitanti del quartiere di ogni età, proponendogli di tracciare su una mappa le rotte dal luogo d’origine a Padova: un gesto di sensibilizzazione sul rapporto tra memoria e territorio. Il c.s.o. Pedro ha invece offerto la strumentazione mobile e di amplificazione sonora che ha permesso a ogni intervento di diffondersi in tutto il quartiere.
    Rispetto alla presenza attiva nel quartiere, Il Quadrato Meticcio, il quale ha messo a disposizione gli spazi della propria sede come centrale operativa di entrambi gli eventi, merita un approfondimento specifico.
    Mattia, il fondatore dell’associazione, mi racconta che nel 2008 il “campetto” – così chiamato dagli abitanti del quartiere – situato proprio dietro la “piazzetta” (Piazza Caduti della Resistenza), sarebbe dovuto diventare un parcheggio, ma “l’intervento congiunto della comunità del quartiere lo ha preservato”. Quando gli chiedo come si inserisca l’esperienza dell’associazione in questo ricordo, risponde: “Ho navigato a vista dopo quell’occasione. Mi sono accorto che c’era l’esigenza di valorizzare il campo e che il gioco del calcio era un contesto di incontro importante per i ragazzi. La forma attuale si è consolidata nel tempo”. Adesso, la presenza costante di una vivace comunità “meticcia” – di età che varia dagli otto ai sedici anni – è una testimonianza visiva e frammentaria della cultura familiare che i ragazzi si portano dietro. Come si evince dalla testimonianza di Mattia: «Loro non smettono mai di giocare. Sono in strada tutto il giorno e passano la maggior parte del tempo con il pallone ai piedi. Il conflitto tra di loro riflette i conflitti che vivono in casa. Ognuno di loro appartiene a famiglie economicamente in difficoltà, che condividono scarsi accessi a opportunità finanziarie e sociali in generale. Una situazione che inevitabilmente si ripercuote sull’emotività dei ragazzi, giorno dopo giorno».

    L’esperienza dell’associazione si inserisce all’interno di una rete culturale profondamente complessa ed eterogenea. L’intento dell’associazione, come racconta Camilla, è quello di offrire una visione inclusiva e una maggiore consapevolezza dei processi coloniali e post-coloniali a cui tutti, direttamente o indirettamente, sono legati; un approccio simile a quello della palestra popolare Chinatown, che offre corsi di lotta frequentati spesso dagli stessi ragazzi che giocano nel Quadrato Meticcio. L’obiettivo della palestra è quello di educare al rispetto reciproco attraverso la simulazione controllata di situazioni conflittuali legate all’uso di stereotipi etno-razziali e di classe, gestendo creativamente le ambivalenze dell’intimità culturale (Herzfeld, 2003). Uber[6], fra i più attivi promotori di Decolonize your eyes e affiliato alla palestra, racconta che: «Fin tanto che sono ragazzini, può essere solo un gioco, e tra di loro possono darsi man forte ogni volta che si scontrano con il razzismo brutale che questa città offre senza sconti. Ma ho paura che presto per loro sarà uno shock scoprire quanto può far male il razzismo a livello politico, lavorativo, legale… su tutti i fronti. E ho paura soprattutto che non troveranno altro modo di gestire l’impatto se non abbandonandosi agli stereotipi che gli orbitano già attorno».

    La mobilitazione concertata del 2008 a favore della preservazione del “campetto”, ha molto in comune con il contesto dal quale è emerso Decolonize your eyes. È “quasi un miracolo” di partecipazione estesa, mi racconta Uber, considerando che storicamente le “realtà militanti” di Padova hanno sempre faticato ad allearsi e collaborare. Similmente, con una vena solenne ma scherzosa, Camilla definisce entrambi gli eventi “necessari”. Lei si è occupata di gestire anche la “chiamata” generale: “abbiamo fatto un appello aperto a tutti sui nostri social network e le risposte sono state immediate e numerose”. Uber mi fa presente che “già da alcune assemblee precedenti si poteva notare l’intenzione di mettere da parte le conflittualità”. Quando gli chiedo perché, risponde “perché non ne potevamo più [di andare l’uno contro l’altro]”. Camilla sottolinea come l’impegno da parte dell’anpi di colmare le distanze generazionali, nei concetti e nelle pratiche, sia stato particolarmente forte e significativo.

    Avere uno scopo comune sembra dunque essere una prima risorsa per incontrarsi. Ma è nel modo in cui le conflittualità vengono gestite quotidianamente che può emergere una spinta rivoluzionaria unitaria. In effetti, «[…] l’equilibrio di un gruppo non nasce per forza da uno stato di inerzia, ma spesso da una serie di conflitti interni controllati» (Mauss, 2002, p. 194).
    Nel frattempo il Quadrato Meticcio ha rinnovato il suo impegno nei confronti del quartiere dando vita a una nuova iniziativa, chiamata All you can care, basata sullo scambio mutualistico di beni di prima necessità. Contemporaneamente, i progetti per un nuovo Decolonize your eyes vanno avanti e, da ciò che racconta Camilla, qualcosa sembra muoversi:
    «Pochi giorni fa una signora ci ha fermati per chiederci di cambiare anche il nome della sua via – anch’essa di rimando coloniale. Stiamo avendo anche altre risposte positive, altre realtà vogliono partecipare ai prossimi eventi».
    L’esperienza di Decolonize your eyes è insomma una tappa di un lungo progetto di decolonizzazione dell’immaginario e dell’utilizzo dello spazio pubblico che coinvolge molte realtà locali le quali, finalmente, sembrano riconoscersi in una lotta comune.

    Note
    [1] Annalisa Frisina ha ideato la struttura del saggio e ha scritto il paragrafo “Pratiche visuali di decolonizzazione della città”; Mackda Ghebremariam Tesfau’ ha scritto il paragrafo “L’Europa è indifendibile” e Salvatore Frisina il paragrafo “L’esperienza del A.S.D. Quadrato Meticcio”.
    [2] Cancel culture è un termine, spesso utilizzato con un’accezione negativa, che è stato usato per indicare movimenti emersi negli ultimi anni che hanno fatto uso del digitale, come quello il #metoo femminista, e che è stato usato anche per indicare le azioni contro le vestigia coloniali e razziste che si sono date dal Sud Africa agli Stati Uniti all’Europa.
    [3] Archivio Marx-Engels
    [4] Ho ideato con Elisabetta Campagni il percorso di video partecipativo nella primavera del 2020, rispondendo alla call “Cinema Vivo” di ZaLab; il nostro progetto è rientrato tra i primi cinque votati e supportati dal crowfunding.
    [5] Da un’intervista realizzata dall’autore in data 10/12/2020 a Camilla Previati e Mattia Boscaro, il fondatore dell’associazione.
    [6] Da un’intervista realizzata con Uber Mancin dall’autore in data 9/12/2020.
    [7] Le parti introduttive e finali del video sono state realizzate con la gentile concessione dei materiali audiovisivi da parte di Uber Mancin (archivio privato).

    Bibliografia
    Bhambra, G., Nişancıoğlu, K. & Gebrial, D., Decolonising the University, Pluto Press, London, 2018.
    Bhambra, G. K., The current crisis of Europe: Refugees, colonialism, and the limits of cosmopolitanism, in: «European Law Journal», 23(5): 395-405. 2017.
    Césaire, A. (1950), Discorso sul colonialismo, Mellino, M. (a cura di), Ombre corte, Verona, 2010.
    Frisina, A., Ricerca visuale e trasformazioni socio-culturali, utet Università, Torino, 2013.
    Frisina, A. e Ghebremariam Tesfau’, M., Decolonizzare la città. L’antirazzismo come contro-politica della memoria. E poi?, «Studi Culturali», Anno XVII, n. 3, Dicembre, pp. 399-412. 2020.
    Herzfeld, M., & Nicolcencov, E., Intimità culturale: antropologia e nazionalismo, L’ancora del Mediterraneo, 2003.
    Mauss, M., Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, G. Einaudi, Torino, 2002.
    Mirzoeff, N., The Right to Look: A Counterhistory of Visuality, Duke University Press, Durham e London, 2011.
    Scego, I., & Bianchi, R., Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse, Roma, 2014.
    Wekker, G., White Innocence: Paradoxes of Colonialism and Race, Duke University Press, Durham and London, 2016.

    https://www.roots-routes.org/decolonize-your-eyes-padova-pratiche-visuali-di-decolonizzazione-della
    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue

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  • Rapid Response : Decolonizing Italian Cities

    Anti-racism is a battle for memory. Enzo Traverso well underlined how statues brought down in the last year show “the contrast between the status of blacks and postcolonial subjects as stigmatised and brutalised minorities and the symbolic place given in the public space to their oppressors”.

    Material traces of colonialism are in almost every city in Italy, but finally streets, squares, monuments are giving us the chance to start a public debate on a silenced colonial history.

    Igiaba Scego, Italian writer and journalist of Somali origins, is well aware of the racist and sexist violence of Italian colonialism and she points out the lack of knowledge on colonial history.

    “No one tells Italian girls and boys about the squad massacres in Addis Ababa, the concentration camps in Somalia, the gases used by Mussolini against defenseless populations. There is no mention of Italian apartheid (…), segregation was applied in the cities under Italian control. In Asmara the inhabitants of the village of Beit Mekae, who occupied the highest hill of the city, were chased away to create the fenced field, or the first nucleus of the colonial city, an area off-limits to Eritreans. An area only for whites. How many know about Italian apartheid?” (Scego 2014, p. 105).

    In her book, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (2014), she invites us to visually represent the historical connections between Europe and Africa, in creative ways; for instance, she worked with photographer Rino Bianchi to portray Afro-descendants in places marked by fascism such as Cinema Impero, Palazzo della Civiltà Italiana and Dogali’s stele in Rome.

    Inspired by her book, we decided to go further, giving life to ‘Decolonizing the city. Visual Dialogues in Padova’. Our goal was to question ourselves statues and street names in order to challenge the worldviews and social hierarchies that have made it possible to celebrate/forget the racist and sexist violence of colonialism. The colonial streets of Padova have been re-appropriated by the bodies, voices and gazes of six Italian Afro-descendants who took part in a participatory video, taking urban traces of colonialism out of insignificance and re-signifying them in a creative way.

    Wissal Houbabi, artist “daughter of the diaspora and the sea in between“, moves with the soundtrack by Amir Issa Non respiro (2020), leaving her poetry scattered between Via Cirenaica and Via Libia.

    “The past is here, insidious in our minds, and the future may have passed.

    The past is here, even if you forget it, even if you ignore it, even if you do everything to deny the squalor of what it was, the State that preserves the status of frontiers and jus sanguinis.

    If my people wanted to be free one day, even destiny would have to bend”.

    Cadigia Hassan shares the photos of her Italian-Somali family with a friend of hers and then goes to via Somalia, where she meets a resident living there who has never understood the reason behind the name of that street. That’s why Cadigia has returned to via Somalia: she wants to leave traces of herself, of her family history, of historical intertwining and to make visible the important connections that exist between the two countries.

    Ilaria Zorzan questions the colonial past through her Italo-Eritrean family photographic archive. The Italians in Eritrea made space, building roads, cableways, railways, buildings… And her grandfather worked as a driver and transporter, while her Eritrean grandmother, before marrying her grandfather, had been his maid. Ilaria conceals her face behind old photographs to reveal herself in Via Asmara through a mirror.

    Emmanuel M’bayo Mertens is an activist of the Arising Africans association. In the video we see him conducting a tour in the historic center of Padova, in Piazza Antenore, formerly Piazza 9 Maggio. Emmanuel cites the resolution by which the municipality of Padova dedicated the square to the day of the “proclamation of the empire” by Mussolini (1936). According to Emmanuel, fascism has never completely disappeared, as the Italian citizenship law mainly based on jus sanguinis shows in the racist idea of ​​Italianness transmitted ‘by blood’. Instead, Italy is built upon migration processes, as the story of Antenor, Padova’s legendary founder and refugee, clearly shows.

    Mackda Ghebremariam Tesfau’ questions the colonial map in Piazza delle Erbe where Libya, Albania, Ethiopia and Eritrea are marked as part of a white empire. She says that if people ignore this map it is because Italy’s colonial history is ignored. Moreover, today these same countries, marked in white on the map, are part of the Sub-saharan and Mediterranean migrant routes. Referring then to the bilateral agreements between Italy and Libya to prevent “irregular migrants” from reaching Europe, she argues that neocolonialism is alive. Quoting Aimé Césaire, she declares that “Europe is indefensible”.

    The video ends with Viviana Zorzato, a painter of Eritrean origin. Her house, full of paintings inspired by Ethiopian iconography, overlooks Via Amba Aradam. Viviana tells us about the ‘Portrait of a N-word Woman’, which she has repainted numerous times over the years. Doing so meant taking care of herself, an Afro-descendant Italian woman. Reflecting on the colonial streets she crosses daily, she argues that it is important to know the history but also to remember the beauty. Amba Alagi or Amba Aradam cannot be reduced to colonial violence, they are also names of mountains, and Viviana possesses a free gaze that sees beauty. Like Giorgio Marincola, Viviana will continue to “feel her homeland as a culture” and she will have no flags to bow her head to.

    The way in which Italy lost the colonies – that is with the fall of fascism instead of going through a formal decolonization process – prevented Italy from being aware of the role it played during colonialism. Alessandra Ferrini, in her ‘Negotiating amnesia‘,refers to an ideological collective amnesia: the sentiment of an unjust defeat fostered a sense of self-victimisation for Italians, removing the responsibility from them as they portrayed themselves as “brava gente” (good people). This fact, as scholars such as Nicola Labanca have explained, has erased the colonial period from the collective memory and public sphere, leaving colonial and racist culture in school textbooks, as the historian Gianluca Gabrielli (2015) has shown.

    This difficulty in coming to terms with the colonial past was clearly visible in the way several white journalists and politicians reacted to antiracist and feminist movements’ request to remove the statue of journalist Indro Montanelli in Milan throughout the BLM wave. During the African campaign, Montanelli bought the young 12-year-old-girl “Destà” under colonial concubinage (the so‑called madamato), boasting about it even after being accused by feminist Elvira Banotti of being a rapist. The issue of Montanelli’s highlights Italy’s need to think critically over not only colonial but also race and gender violence which are embedded in it.

    Despite this repressed colonial past, in the last decade Italy has witnessed a renewed interest stemming from bottom-up local movements dealing with colonial legacy in the urban space. Two examples are worth mentioning: Resistenze in Cirenaica (Resistances in Cyrenaica) in Bologna and the project “W Menilicchi!” (Long live Menilicchi) in Palermo. These instances, along with other contributions were collected in the Roots§Routes 2020 spring issue, “Even statues die”.

    Resistenze in Cirenaica has been working in the Cyrenaica neighbourhood, named so in the past due to the high presence of colonial roads. In the aftermath of the second world war the city council decided unanimously to rename the roads carrying fascist and colonial street signs (except for via Libya, left as a memorial marker) with partisans’ names, honouring the city at the centre of the resistance movement during the fascist and Nazi occupation. Since 2015, the collective has made this place the centre of an ongoing laboratory including urban walks, readings and storytelling aiming to “deprovincialize resistances”, considering the battles in the ex-colonies as well as in Europe, against the nazi-fascist forces, as antiracist struggles. The publishing of Quaderni di Cirene (Cyrene’s notebooks) brought together local and overseas stories of people who resisted fascist and colonial occupation, with the fourth book addressing the lives of fighter and partisan women through a gender lens.

    In October 2018, thanks to the confluence of Wu Ming 2, writer and storyteller from Resistenze in Cirenaica, and the Sicilian Fare Ala collective, a public urban walk across several parts of the city was organized, with the name “Viva Menilicchi!”. The itinerary (19 kms long) reached several spots carrying names of Italian colonial figures and battles, explaining them through short readings and theatrical sketches, adding road signs including stories of those who have been marginalized and exploited. Significantly, W Menilicchi! refers to Palermitan socialists and communists’ battle cry supporting king Menelik II who defeated the Italian troops in Aduwa in 1896, thus establishing a transnational bond among people subjected to Italian invasion (as Jane Schneider explores in Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, South Italy underwent a socio-economic occupation driven by imperial/colonial logics by the north-based Kingdom of Italy) . Furthermore, the urban walk drew attention to the linkage of racist violence perpetrated by Italians during colonialism with the killings of African migrants in the streets of Palermo, denouncing the white superiority on which Italy thrived since its birth (which run parallel with the invasion of Africa).

    These experiences of “odonomastic guerrillas” (street-name activists) have found creative ways of decolonising Italian history inscribed in cities, being aware that a structural change requires not only time but also a wide bottom-up involvement of inhabitants willing to deal with the past. New alliances are developing as different groups network and coordinate in view of several upcoming dates, such as February 19th, which marks the anniversary of the massacre of Addis Ababa which occurred in 1937 at the hands of Italian viceroy Rodolfo Graziani.

    References:
    Gabrielli G. (2015), Il curriculo “razziale”: la costruzione dell’alterità di “razza” e coloniale nella scuola italiana (1860-1950), Macerata: Edizioni Università di Macerata.
    Labanca, N. (2002) Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna: Il Mulino.
    Scego, I. (2014) Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Roma: Ediesse.
    Schneider J (ed.) (1998) Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, London: Routledge.

    https://archive.discoversociety.org/2021/02/06/rapid-response-decolonizing-italian-cities

    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue #afro-descendants #Cadigia_Hassan #via_Somalia #Ilaria_Zorzan #Emmanuel_M’bayo_Mertens #Mackda_Ghebremariam_Tesfau #Piazza_delle_erbe #Viviana_Zorzato #Via_Amba_Aradam #Giorgio_Marincola #Alessandra_Ferrini

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    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale :
    https://seenthis.net/messages/871953

    • #Negotiating_Amnesia

      Negotiating Amnesia is an essay film based on research conducted at the Alinari Archive and the National Library in Florence. It focuses on the Ethiopian War of 1935-36 and the legacy of the fascist, imperial drive in Italy. Through interviews, archival images and the analysis of high-school textbooks employed in Italy since 1946, the film shifts through different historical and personal anecdotes, modes and technologies of representation.

      https://vimeo.com/429591146?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=3319920



      https://www.alessandraferrini.info/negotiating-amnesia

      En un coup d’oeil, l’expansion coloniale italienne :

      #amnésie #film #fascisme #impérialisme #Mussolini #Benito_Mussolini #déni #héritage #mémoire #guerre #guerre_d'Ethiopie #violence #Istrie #photographie #askaris #askari #campagna_d'Africa #Tito_Pittana #Mariano_Pittana #mémoire #prostitution #madamato #madamisme #monuments #Romano_Romanelli #commémoration #mémoriel #Siracusa #Syracuse #nostalgie #célébration #Axum #obélisque #Nuovo_Impero_Romano #Affile #Rodolfo_Graziani #Pietro_Badoglio #Uomo_Nuovo #manuels_scolaires #un_posto_al_sole #colonialismo_straccione #italiani_brava_gente #armes_chimiques #armes_bactériologiques #idéologie

    • My Heritage ?

      My Heritage? (2020) is a site-specific intervention within the vestibule of the former Casa d’Italia in Marseille, inaugurated in 1935 and now housing the Italian Cultural Institute. The installation focuses on the historical and ideological context that the building incarnates: the intensification of Fascist imperial aspirations that culminated in the fascistization of the Italian diaspora and the establishment of the Empire in 1936, as a result of the occupation of Ethiopia. As the League of Nations failed to intervene in a war involving two of its members, the so-called Abyssinian Crisis gave rise to a series of conflicts that eventually led to the WW2: a ‘cascade effect’. On the other hand, the attack on the ‘black man’s last citadel’ (Ras Makonnen), together with the brutality of Italian warfare, caused widespread protests and support to the Ethiopian resistance, especially from Pan-African movements.

      Placed by the entrance of the exhibition Rue d’Alger, it includes a prominent and inescapable sound piece featuring collaged extracts from texts by members of the London-based Pan-African association International African Friends of Ethiopia - CLR James, Ras Makonnen, Amy Ashwood Garvey - intertwined with those of British suffragette Sylvia Pankhurst and Italian anarchist Silvio Corio, founders of the newspaper New Times and Ethiopian News in London.

      Through handwritten notes and the use of my own voice, the installation is a personal musing on heritage as historical responsibility, based on a self-reflective process. My voice is used to highlight such personal process, its arbitrary choice of sources (related to my position as Italian migrant in London), almost appropriated here as an act of thinking aloud and thinking with these militant voices. Heritage is therefore intended as a choice, questioning its nationalist uses and the everlasting and catastrophic effects of Fascist foreign politics. With its loudness and placement, it wishes to affect the visitors, confronting them with the systemic violence that this Fascist architecture outside Italy embodies and to inhibit the possibility of being seduced by its aesthetic.



      https://www.alessandraferrini.info/my-heritage

      #héritage

    • "Decolonizziamo le città": il progetto per una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana

      Un video dal basso in cui ogni partecipante produce una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana

      Via Eritrea, Viale Somalia, Via Amba Aradam, via Tembien, via Adua, via Agordat. Sono nomi di strade presenti in molte città italiane che rimandano al colonialismo italiano nel Corno d’Africa. Ci passiamo davanti molto spesso senza sapere il significato di quei nomi.

      A Padova è nato un progetto che vuole «decolonizzare la città». L’idea è quella di realizzare un video partecipativo in cui ogni partecipante produca una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. Saranno coinvolti gli studenti del laboratorio “Visual Research Methods”, nel corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale” dell’Università di Padova e artisti e attivisti afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      «Stavamo preparando questo laboratorio da marzo», racconta Elisabetta Campagni, che si è laureata in Sociologia a marzo 2020 e sta organizzando il progetto insieme alla sua ex relatrice del corso di Sociologia Visuale Annalisa Frisina, «già molto prima che il movimento Black Lives Matter riportasse l’attenzione su questi temi».

      Riscrivere la storia insieme

      «Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole», si legge nella presentazione del laboratorio, che sarà realizzato a partire dall’autunno 2020. «C’è una rimozione grandissima nella nostra storia di quello che ricordano questi nomi, battaglie, persone che hanno partecipato a massacri nelle ex colonie italiane. Pochi lo sanno. Ma per le persone che arrivano da questi paesi questi nomi sono offensivi».

      Da qui l’idea di riscrivere una storia negata, di «rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati», affermano le organizzatrici.

      Le strade «rinarrate»

      I luoghi del video a Padova saranno soprattutto nella zona del quartiere Palestro, dove c’è una grande concentrazione di strade con nomi che rimandano al colonialismo. Si andrà in via Amba Aradam, il cui nome riporta all’altipiano etiope dove nel febbraio 1936 venne combattuta una battaglia coloniale dove gli etiopi vennero massacrati e in via Amba Alagi.

      Una tappa sarà nell’ex piazza Pietro Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia. In Italia il dibattito si è concentrato sulla statua a Indro Montanelli, ma la toponomastica che ricorda il colonialismo è molta e varia. Oltre alle strade, sarà oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, ma che passa spesso inosservata.

      Da un’idea di Igiaba Scego

      Come ci spiega Elisabetta Campagni, l’idea nasce da un libro di Igiaba Scego che anni fa ha pubblicato alcune foto con afrodiscendenti che posano davanti ai luoghi che celebrano il colonialismo a Roma come la stele di Dogali, vicino alla stazione Termini, in viale Luigi Einaudi.

      Non è il primo progetto di questo tipo: il collettivo Wu Ming ha lanciato la guerriglia odonomastica, con azioni e performance per reintitolare dal basso vie e piazze delle città o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione. La guerriglia è iniziata a Bologna nel quartiere della Cirenaica e il progetto è stato poi realizzato anche a Palermo. Un esempio per il laboratorio «Decolonizzare la città» è stato anche «Berlin post colonial», l’iniziativa nata da anni per rititolare le strade e creare percorsi di turismo consapevole.

      Il progetto «Decolonizzare la città» sta raccogliendo i voti sulla piattaforma Zaalab (https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova), con l’obiettivo di raccogliere fondi per la realizzazione del laboratorio.

      https://it.mashable.com/cultura/3588/decolonizziamo-le-citta-il-progetto-per-una-riflessione-collettiva-sull

      #histoire_niée #storia_negata #récit #contre-récit

    • Decolonizzare la città. Dialoghi Visuali a Padova

      Descrizione

      Via Amba Alagi, via Tembien, via Adua, via Agordat. Via Eritrea, via Libia, via Bengasi, via Tripoli, Via Somalia, piazza Toselli… via Amba Aradam. Diversi sono i nomi di luoghi, eventi e personaggi storici del colonialismo italiano in città attraversate in modo distratto, senza prestare attenzione alle tracce di un passato che in realtà non è ancora del tutto passato. Che cosa significa la loro presenza oggi, nello spazio postcoloniale urbano? Se la loro origine affonda le radici in un misto di celebrazione coloniale e nazionalismo, per capire il significato della loro permanenza si deve guardare alla società contemporanea e alle metamorfosi del razzismo.

      Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole. L’esistenza di scritti, memorie biografiche e racconti, pur presente in Italia, non ha cambiato la narrazione dominante del colonialismo italiano nell’immaginario pubblico, dipinto come una breve parentesi storica che ha portato civiltà e miglioramenti nei territori occupati (“italiani brava gente”). Tale passato, però, è iscritto nella toponomastica delle città italiane e ciò ci spinge a confrontarci con il significato di tali vie e con la loro indiscussa presenza. Per questo vogliamo partire da questi luoghi, e in particolare da alcune strade, per costruire una narrazione dal basso che sia frutto di una ricerca partecipata e condivisa, per decolonizzare la città, per reclamare una lettura diversa e critica dello spazio urbano e resistere alle politiche che riproducono strutture (neo)coloniali di razzializzazione degli “altri”.

      Il progetto allora intende sviluppare una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana, il razzismo, l’antirazzismo, la resistenza di ieri e di oggi attraverso la realizzazione di un video partecipativo.

      Esso è organizzato in forma laboratoriale e vuole coinvolgere studenti/studentesse del laboratorio “Visual Research Methods” (corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale”) dell’Università di Padova e gli/le artisti/e ed attivisti/e afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      Il progetto si propone di creare una narrazione visuale partecipata, in cui progettazione, riprese e contenuti siano discussi in maniera orizzontale e collaborativa tra i e le partecipanti. Gli/Le attivisti/e e artisti/e afrodiscendenti con i/le quali studenti e studentesse svolgeranno le riprese provengono in parte da diverse città italiane e in parte vivono a Padova, proprio nel quartiere in questione. Ognuno/a di loro produrrà insieme agli studenti e alle studentesse una riflessione attraverso forme artistiche differenti (come l’arte figurativa, la slam poetry…), interrogando tali luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. I partecipanti intrecciano così le loro storie personali e familiari, la storia passata dell’Italia e il loro attivismo quotidiano, espresso con l’associazionismo o con diverse espressioni artistiche (Mackda Ghebremariam Tesfaù, Wissal Houbabi, Theophilus Marboah, Cadigia Hassan, Enrico e Viviana Zorzato, Ilaria Zorzan, Ada Ugo Abara ed Emanuel M’bayo Mertens di Arising Africans). I processi di discussione, scrittura, ripresa, selezione e montaggio verranno documentati attraverso l’utilizzo di foto e filmati volti a mostrare la meta-ricerca, il processo attraverso cui viene realizzato il video finale, e le scelte, di contenuto e stilistiche, negoziate tra i diversi attori. Questi materiali verranno condivisi attraverso i canali online, con il fine di portare a tutti coloro che sostengono il progetto una prima piccola restituzione che renda conto dello svolgimento del lavoro.

      Le strade sono un punto focale della narrazione: oggetto dei discorsi propagandistici di Benito Mussolini, fulcro ed emblema del presunto e mitologico progetto di civilizzazione italiana in Africa, sono proprio le strade dedicate a luoghi e alle battaglie dove si sono consumate le atrocità italiane che sono oggi presenze fisiche e allo stesso tempo continuano ad essere invisibilizzate; e i nomi che portano sono oggi largamente dei riferimenti sconosciuti. Ripercorrere questi luoghi fisici dando vita a dialoghi visuali significa riappropriarsi di una storia negata, rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati.

      La narrazione visuale partirà da alcuni luoghi – come via Amba Aradam e via lago Ascianghi – della città di Padova intitolati alla storia coloniale italiana, in cui i protagonisti e le protagoniste del progetto daranno vita a racconti e performances artistiche finalizzate a decostruire la storia egemonica coloniale, troppo spesso edulcorata e minimizzata. L’obiettivo è quello di favorire il prodursi di narrazioni dal basso, provenienti dalle soggettività in passato rese marginali e che oggi mettono in scena nuove narrazioni resistenti. La riappropriazione di tali luoghi, fisica e simbolica, è volta ad aprire una riflessione dapprima all’interno del gruppo e successivamente ad un pubblico esterno, al fine di coinvolgere enti, come scuole, associazioni e altre realtà che si occupano di questi temi sul territorio nazionale. Oltre alle strade, saranno oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, e l’ex piazza Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia.

      Rinarrare la storia passata è un impegno civile e politico verso la società contemporanea. Se anche oggi il razzismo ha assunto nuove forme, esso affonda le sue radici nella storia nazionale e coloniale italiana. Questa storia va rielaborata criticamente per costruire nuove alleanze antirazziste e anticolonialiste.

      Il video partecipativo, ispirato al progetto “Roma Negata” della scrittrice Igiaba Scego e di Rino Bianchi, ha l’obiettivo di mostrare questi luoghi attraverso narrazioni visuali contro-egemoniche, per mettere in discussione una storia ufficiale, modi di dire e falsi miti, per contribuire a dare vita ad una memoria critica del colonialismo italiano e costruire insieme percorsi riflessivi nuovi. Se, come sostiene Scego, occupare uno spazio è un grido di esistenza, con il nostro progetto vogliamo affermare che lo spazio può essere rinarrato, riletto e riattraversato.

      Il progetto vuole porsi in continuità con quanto avvenuto sabato 20 giugno, quando a Padova, nel quartiere Palestro, si è tenuta una manifestazione organizzata dall’associazione Quadrato Meticcio a cui hanno aderito diverse realtà locali, randunatesi per affermare la necessita’ di decolonizzare il nostro sguardo. Gli interventi che si sono susseguiti hanno voluto riflettere sulla toponomastica coloniale del quartiere Palestro, problematizzandone la presenza e invitando tutti e tutte a proporre alternative possibili.

      https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova

      https://www.youtube.com/watch?v=axEa6By9PIA&t=156s

  • The United States in four colors
    https://visionscarto.net/the-united-states-in-four-colors

    Title: The United States in four colors Keywords: #Algorithms #Coloring #Constraints Author: Philippe Rivière Date: April 2021 A mathematical theorem demonstrates that four colors are enough to color any map (without two contiguous regions sharing the same color, of course). In practice, coloring can be done by hand with patience, or by algorithmic techniques of “logic programming/answer set programming” or “constraint programming”. To compute this map, we used the Clingo solver (...) #Map_collection

  • The world in four colors
    https://visionscarto.net/the-world-in-four-colors

    Title: The world in four colors Keywords: #Algorithms #Coloring #Constraints Author: Philippe Rivière Projection: Bertin, 1953 Date: April 2021 A mathematical theorem demonstrates that four colors are enough to color any map (without two contiguous regions sharing the same color, of course). In practice, coloring can be done by hand with patience, or by algorithmic techniques of “logic programming/answer set programming” or “constraint satisfaction”. To compute this map, we used the (...) #Map_collection

  • #Chili : la lutte #Mapuche continue sous état d’urgence
    https://fr.squat.net/2022/01/27/chili-la-lutte-mapuche-continue-sous-etat-durgence

    Dans une partie des zones mapuche, soit les quatre provinces de Bío Bío, #Arauco, #Malleco et #Cautín, l’Etat chilien a décrété l’état d’urgence le 12 octobre dernier suite à l’offensive des groupes de lutte qui multiplient les attaques d’intérêts forestiers et les occupations de terres. Cela signifie notamment une augmentation de barrages policiers sur les […]

    #actions_directes #Amériques #arbres #Biobío #militaires

  • Penco (Chili) : revendication d’attaque incendiaire contre un camion forestier sur la Route Itata
    https://fr.squat.net/2021/12/31/penco-chili-revendication-d-attaque-incendiaire

    « Les gens veulent prendre leurs propres décisions pour des petites choses, mais prendre des décisions sur des problèmes difficiles et cruciaux requiert d’affronter des conflits psychologique et la plupart des gens détestent ça ». « Pour tout être humain ayant grandi au bord d’une rivière, la liberté est le concept le plus haut ». […]

    #actions_directes #Amériques #arbres #Chili #Mapuche #prison

  • Participer à cartographier le monde pour mieux prévenir les crises humanitaires

    Cartographier les zones de la planète les plus vulnérables pour faciliter l’intervention humanitaire en cas de catastrophe. C’est la mission que s’est fixée depuis des années le projet Missing Maps. Le tout grâce à la carte participative OpenStreetMap et à une armée de contributeurs bénévoles.

    « Au printemps dernier, les organisations humanitaires ont commencé à sonner l’alarme », rapporte Jana Bauerová, du bureau tchèque de Médecins sans frontières (MSF). L’une des pires sécheresses de ces dix dernières années, conjuguée à la pandémie de Covid-19 et aux divers confinements avaient plongé le sud de Madagascar dans une grave crise alimentaire. « Des collègues ont réalisé une mission d’exploration en mars », poursuit la jeune femme. Dans les districts les plus touchés, près de 28% des enfants de moins de 5 ans souffraient de malnutrition aigüe, dont une partie de malnutrition aigüe grave. Autrement dit, sans soins immédiats, leur chance de survie est faible.

    Problème : la zone est enclavée, beaucoup de routes ne sont pas carrossables, et surtout les cartes disponibles sont obsolètes. « Il y avait un fort besoin d’actualisation sur les populations, détaille Jana Bauerová, chargée de la communication et de la participation des communautés pour le projet Missing Maps au sein de MSF. On a donc mis en place une campagne pour cartographier les districts d’Amboasary et d’Ambovombe, dans la région d’Anôsy, les communes les plus atteintes, où nos collègues sur le terrain prévoyaient des projets de cliniques mobiles, d’accès à l’eau potable, également dégradé par la sécheresse, des actions de distribution alimentaire et même d’ustensiles de cuisine, certaines familles, au bord de la famille, ayant tout vendu. »
    Mieux visualiser les actions à mener

    « Nous avons pu cartographier 236 000 bâtiments et 7 239 zones résidentielles ainsi que 350 km de voies, précise Jana Bauerová. Cela a permis d’aider les collègues sur place à mieux visualiser la situation en prenant en compte les dernières données pour planifier les actions à mettre en place. » Mais au-delà de ces chiffres, les nouvelles données récoltées ont aussi permis à l’ONG de confirmer la pertinence de l’option de cliniques mobiles pour ces zones difficiles d’accès, et bien sûr d’organiser au mieux leur répartition.

    « Remettre les communautés les plus vulnérables sur la carte ». C’est le slogan du projet Missing Maps. Fondé en 2014 par les Croix Rouge américaine et britannique, l’Humanitarian OpenStreetMap Team (HOT) et Médecins sans frontières UK, le projet part du principe que « la plupart des endroits où se produisent des catastrophes sont absents des cartes libres et accessibles, et les premiers secours manquent d’informations pour prendre les bonnes décisions ». L’idée est donc de cartographier préventivement ces zones afin d’améliorer la réponse des ONG en cas de crises.

    Comment ? Grâce à la cartographie numérique participative. « Le principe consiste à mobiliser des contributeurs autour d’un projet précis », explique Martin Noblecourt, responsable du projet Missing Maps au sein de CartONG. Basée à Chambéry, en France, cette ONG a pour vocation de mettre la donnée géographique au service de projets d’intérêt général, à travers notamment un appui technique à des organisations qui ont des besoins en cartographie.
    « Un milliard de personnes vivent dans des zones non ou insuffisamment cartographiées »

    GPS, Google Maps… Les cartes sont entrées dans notre quotidien. Aujourd’hui, plus besoin de s’arracher les cheveux pour les plier, elles tiennent dans la poche et sont disponibles à tout moment. Mieux, elles sont sans cesse actualisées. Pourtant, qu’ils habitent dans des bidonvilles ou des régions reculées, « on estime qu’un milliard de personnes vivent dans des zones non ou insuffisamment cartographiées, ce qui a un gros impact sur les ressources auxquelles elles peuvent accéder, en cas d’urgence particulièrement, si on ne sait même pas que des gens vivent là », souligne Gihan Hassanein, chargée de la communication pour l’Humanitarian OpenStreetMap Team (HOT), l’ONG adossée à OpenStreetMap, ce projet qui a pour but de créer en ligne une carte libre du monde entier.

    Exister sur une carte n’a rien d’anodin, rappelle Christophe Chabert, cartographe indépendant et auteur du site Mind The Map. Il rappelle par exemple que le gouvernement de Jair Bolsonaro au Brésil veut demander aux peuples indigènes d’Amazonie de prouver, par des documents, qu’ils vivaient déjà sur ses terres lors de la signature de la Constitution de 1988. « S’il existait une cartographie qui recense les villages, on pourrait avoir un élément de preuve qui permettrait à ces populations d’accéder à la propriété sur ces terres », avance-t-il.

    Point essentiel, souligne Martin Noblecourt : les cartes sont réalisées sur OpenStreetMap, « le Wikipédia des cartes », « une carte du monde participative, collaborative et sous licence libre, donc qui peut être utilisée par tout le monde ». D’autres ONG pourront ainsi réutilisées librement ces données.

    Tout a commencé en 2010, explique la porte-parole de HOT, lors du tremblement de terre en Haïti. « Les dégâts étaient énormes à Port-au-Prince et il n’y avait pas de cartes fiables et actualisés de la ville. Les premiers secours ne savaient même pas où chercher les gens. » Une poignée de gens qui utilisaient déjà OpenStreetMap se sont alors réunis pour cartographier la zone à distance à l’aide des images satellites. Depuis, le petit groupe est devenu une ONG, qui n’a cessé de grandir, et des communautés de contributeurs locaux ont éclos autour du monde.

    Mais comment cartographier rapidement une région précise ? La première étape a lieu en ligne, explique le responsable projet Missing Maps de CartONG : des contributeurs tracent sur des images satellites les principaux éléments. Un outil permet de diviser la zone en petits carrés où ils identifient les quadrilatères ou polygones des bâtiments, les différentes voies, les cours d’eau. La deuxième étape se passe sur le terrain. « Cette partie à distance doit ensuite être complétée sur place, soit par des membres des ONG, soit par des contributeurs bénévoles locaux, qui se baladent avec un smartphone afin de récolter des informations sur des points précis tels que les centre de santé, les écoles, les installations sanitaires, etc. Ils peuvent aussi rajouter des informations plus qualitatives sur l’état de certaines infrastructures par exemple. » Un système de validations multiples permet de s’assurer de la fiabilité des données.
    « Mapathons »

    La démocratisation des images satellitaires, qui ne sont plus réservées à un usage militaire, et la multiplication des données disponibles ont mis la cartographie à la portée du tous. Pour participer, pas besoin d’être informaticien ou expert en cartographie, il suffit d’un ordinateur, d’une souris et d’une connexion wifi, expliquent les organisations. Et à la clé, la satisfaction d’avoir contribué, à son échelle et derrière son écran, à un projet à visée humanitaire.

    Pour encore plus d’efficacité, des « mapathons », où des anonymes viennent cartographier pendant un temps précis une zone précise, sont régulièrement organisés. En 2020, à la demande du Haut-Commissariat pour les réfugiés (HCR), CartONG a par exemple organisé plusieurs événements de ce type pour cartographier des camps de réfugiés au Soudan du Sud, au Soudan, en Birmanie et en Éthiopie, « des zones qui bougent vite et ne sont généralement pas sur les cartes officielles », commente Martin Noblecourt. « Ce qu’on voit essentiellement sur les images satellites, c’est le réseau routier, les tentes et quelques infrastructures pas forcément identifiées. Après, le personnel du HCR complète. » Selon le site de CartONG, quelque 700 contributeurs ont ainsi passé près de 700 heures à cartographier 180 000 bâtiments et 3 800 km de route. « Un moyen de calculer par exemple combien de tentes sont à moins de 50 ou 100 mètres d’un point d’eau et combien de personnes en dépendent. Et donc d’aider à la prise de décision : savoir où il faut réimplanter des points d’eau. »

    Évaluer les besoins, les représenter visuellement sur une carte, adapter les actions et mesurer leur impact… Les usages sont très variés. La pandémie de Covid-19 a par exemple généré des besoins en cartographie, notamment pour organiser les campagnes de vaccination. Mais il peut aussi s’agir de mieux préparer les populations aux catastrophes naturelles. « Nous venons de faire un projet au Tadjikistan qui a consisté à accompagner une ONG locale, The Little Earth, pour identifier des villages reculés et y collecter des données, notamment sur les réseaux hydrographiques et les risques que cela génère en termes d’inondations, les points de rassemblements, les installations sanitaires, etc. Et eux après, ont organisé des animations de sensibilisation au risque avec les habitants. »
    Renforcer les communautés contributeurs locaux

    Des projets collaboratifs qui permettent de créer une émulation locale. « J’étais justement en train de nettoyer les données », explique Jackson Mumbere Kombi au téléphone. En gros, un travail de tri. Il fait partie des centaines de membres de la communauté de contributeurs d’OpenStreetMap RDC (OSM RDC). Lorsqu’il a commencé à cartographier Beni, au Nord-Kivu, dans l’est de la République démocratique du Congo, en 2018, explique-t-il, « la carte était quasi-vierge ». Avec d’autres contributeurs, ils y ont progressivement ajouté des données basiques – bâtiments, routes, lieux publics (églises, marchés, etc.) puis des données plus précises comme la localisation des centres de santé par exemple ou encore la délimitation des parcelles agricoles. Au fil du temps, il s’est formé aux outils. Puis c’est lui qui a formé une petite équipe de jeunes de Beni, toujours avec OSM RDC, qui continue à travailler sur la carte et à l’actualiser.

    Il y a une « fierté » pour les habitants à être cartographiés, « à pouvoir dire : ici, c’est ma maison », affirme-t-il. « Et cela leur permet de mieux maîtriser leur milieu. « L’idée, c’est que si quelqu’un a besoin d’une information, il puisse la trouver facilement, justifie-t-il. Grâce à cette cartographie précise, pendant l’épidémie d’Ebola, on a pu mieux localiser certains contacts à risque. Donc mieux orienter les personnels de santé. »

    « Soutenir les communauté OpenStreetMap dans le monde. » Aujourd’hui, c’est ce à quoi travaille l’équipe humanitaire OSM (HOT), qui revendique 268 000 contributeurs, explique sa porte-parole. « S’assurer qu’ils ont l’équipement dont ils ont besoin, qu’ils ont les compétences dont ils ont besoin, s’assurer que les données sont de bonnes qualités », précise Gihane Hassanein. Les communautés OSM peuvent aussi postuler à des bourses pour des projets précis.

    L’un des derniers chantiers pour Jackson Mumbere Kombi à Beni reste d’ajouter les noms de rues manquants. Dans cette ville en proie à des massacres répétés depuis plusieurs années, l’enjeu c’est aussi la sécurité. Après, pointe le contributeur, il faudra s’occuper de rendre « visible » le reste de la RDC.

    https://www.rfi.fr/fr/technologies/20211128-participer-%C3%A0-cartographier-le-monde-pour-mieux-pr%C3%A9venir-les-c

    #humanitaire #cartographie #crises #cartographie_collaborative #cartographie_participative #catastrophes #OpenStreetMap #OSM #Missing_Maps #Humanitarian_OpenStreetMap_Team (#HOT) #MSF #cartographie_numérique #mapathon #images_satellitaires #mages_satellites #géographie_du_plein #géographie_du_vide

    #ressources_pédagogiques

  • Why it is essential for the #OpenStreetMap community to actively pursue #map #design #innovation | Imagico.de
    http://blog.imagico.de/why-it-is-essential-for-the-openstreetmap-community-to-actively-pursue-

    If the OpenStreetMap community wants to stay avant-garde in cartographic data collection and actively shape the future of that domain rather than swimming with the stream and becoming a mere data provider serving the cartographic data needs of data users with big pockets, it needs to be able to shape the map design depicting and presenting the data the mapper community collects.
    ...
    What is important is the realization that there is a need to act here and that an own and diverse innovative map design capability from within the OSM community that is not just piggy-bagged on the work of third parties outside the project but that is capable and willing to guide and shape design in its own direction, is essential for the long term success of OpenStreetMap. And that the technical foundations for this in the form of software that enables such innovative map design with flexibility, likewise need to be developed and shaped from within the project and can equally not just be attached to external endeavors which follow completely different economic goals.
    ...
    What OpenStreetMap is good at and where the proprietary competition has no chance against it is producing a map based on local knowledge, by the people, for the people – both in the data collection and mapping part and in the actual map design and production.

  • Le nouveau #DPE et la loi Climat et Résilience font exploser les ventes de #passoires_thermiques
    https://www.banquedesterritoires.fr/le-nouveau-dpe-et-la-loi-climat-et-resilience-font-exploser-les

    Le site « Se Loger » publie une étude¹ sur les ventes de passoires thermiques, autrement dit de #logements classés E, F ou G au titre du nouveau diagnostic de #performance_énergétique (DPE). La loi Climat et Résilience du 22 août 2021 prévoit en effet une interdiction de mise en location de ces logements à partir de 2025 (logements classés G), 2028 (étiquettes F) ou 2034 (étiquettes E). Pas moins de 4,8 millions de logements sont concernés pour les seules catégories F et G.

    […] Selon Se Loger, les propriétaires bailleurs de passoires thermiques qui mettent un logement en vente manqueraient de moyens – malgré des dispositifs comme #MaPrimeRénov' – pour assurer la #rénovation_énergétique de leur bien et préfèreraient donc s’en débarrasser dès à présent, avant qu’ils deviennent interdits à la location. Selon une étude de Notaires de France, 47% des propriétaires (bailleurs ou non) de logements classés F ou G seraient employés, ouvriers ou retraités. Cette proportion serait de 44% pour les logements étiquetés E. Or, ce type de profil, notamment les personnes âgées, a beaucoup de mal à trouver auprès des banques de quoi boucler une opération de rénovation énergétique, qui se chiffre à plusieurs dizaines de milliers d’euros pour des passoires thermiques. Le « prêt avance rénovation » – issu du rapport d’Olivier Sichel, le directeur de la Banque des Territoires, sur la rénovation énergétique – devrait permettre de financer cette soudure avec la garantie de l’État, mais il ne sera pas opérationnel avant le début de 2022 (voir notre article du 2 septembre 2021).

    1. https://edito.seloger.com/actualites/france/loi-climat-resilience-boom-mises-vente-passoires-energetiques-article

  • “What are you going to write for your second?” – An interview with Kenneth Field
    https://nightingaledvs.com/what-are-you-going-to-write-for-your-second-an-interview-with-kennet

    Recently, I had the chance to interview Kenneth Field about his newly published book, Thematic Mapping: 101 Inspiring Ways to Visualise Empirical Data. Kenneth is..

    #cartography #Data_Journalism #Data_Visualization #How_To #information_design #Maps

  • Milos Popovic/Милош Поповић sur Twitter :

    “My new map shows the % of female researchers in #Europe, according to #UNESCO data. Link to the data source is in the map just below the legend. 👩‍🔬 #women #science #womenintech #stats #maps #dataviz #DataScience” / Twitter

    https://mobile.twitter.com/milos_agathon/status/1456969757299822595

    #données #femmes

  • Testing client side #map renderers on #polygons | Imagico.de
    http://blog.imagico.de/testing-client-side-map-renderers-on-polygons

    In terms of the quality criteria i looked at here, that is primarily precision, resolution and aliasing artefacts in polygon rendering, the tested client side renderers perform somewhere between so-and-so and badly. Openlayers shows the overall best performance. Tangram is on the second place, primarily because of much more noisy results due to aliasing artefacts. Maplibre GL makes the bottom end with a massive bias expanding polygons beyond their actual shape essentially rendering many of the tests useless and making any kind of precision rendering impossible – while being subject to similar levels of aliasing as Tangram.

    Do i have a recommendation based on these results? Not really. It would be a bit unrealistic to make an overall recommendation based on a very selective analysis like this. Based on my results i would definitely like to see more examples of practical cartography based on the Openlayers vector tiles rendering engine.

    If i should really give a recommendation to people looking to start a map design project and wondering what renderer to choose for that it would be a big warning if you have any kind of ambition regarding cartographic and visual quality of the results to think hard about choosing any of the client side renderers discussed here.

    Comparatif de rendu des polygones avec #MaplibreGL #Tangram & #Openlayers qui s’en sort le mieux.

    Un peu en lien avec https://seenthis.net/messages/932812

    #tiles #vector