• « Nous n’en avons probablement pas fini avec l’inflation » | Alternatives Economiques
    https://www.alternatives-economiques.fr/nen-avons-probablement-fini-linflation/00105874

    L’Insee vient de rendre son verdict : la croissance française a été de 2,6 % en 2022. Si l’activité a ralenti au dernier trimestre, l’économie française résiste plutôt bien à la conjugaison de la guerre, de la forte inflation et des tensions créées par la reprise après les moments forts de la pandémie.

    Comment explique-t-on cette résistance ? Va-t-elle se poursuivre ? Que nous réservent les mois qui viennent ? Entretien avec l’économiste Véronique Riches-Flores

    https://justpaste.it/d8md7

    A mon (humble) avis, il y a beaucoup d’incertitudes dans cette analyse.

    Juste que ça, ça me paraît inévitable :

    J’ajoute que les banques centrales, en particulier la BCE, n’ont pas commencé à sérieusement réduire leur bilan, c’est-à-dire à récupérer de manière conséquente les liquidités qu’elles ont distribuées ces dernières années. Cela nourrit des comportements spéculatifs sur les marchés financiers, concernant les matières premières en tout premier lieu.

    #spéculation #marchés_financiers #BCE #banques centrales

  • Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

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  • Robinhood Promises Free Trades. Did Alex Kearns Pay With His Life? – Mother Jones
    https://www.motherjones.com/politics/2021/04/robinhood-gamestop-free-trades-alex-kearns

    aiju Bhatt and Vlad Tenev came up with the idea for Robinhood in 2012, after witnessing Occupy Wall Street. The protests, they’ve said, represented a boiling over of grievances among their generation, directed at the big banks that set off the 2008 financial crisis. Tenev and Bhatt, then in their mid-20s, friends going back to meeting as physics majors at Stanford, wanted to build something that might give their fellow millennials access to the wealth-growing power of the market. At the time brokerages charged $7 to $10 per trade. The idea for a $0 fee trading app, named after a wealth-redistributing outlaw, was born.

    While the app was in development, Robinhood built up its antiestablishment identity and courted millennials with teaser videos that razzed traders on the stock exchange floor, and with a lineup of celebrity investors—eventually growing to just about everyone from Ashton Kutcher to Jay-Z—who’d all come of age in the same Y2K moment as their target audience. Online, they created a minimalist launch page where interested people could drop their email address for access to beta versions of the app—and gamified it by allowing people to move up the line by referring friends.

    “The fact that we’re a brokerage leads people to think that a service like Robinhood should exist to make money,” Tenev said at the conference. “But that’s really not the case. The purpose of Robinhood is to make buying and selling stocks as frictionless as possible. If we make money as a side effect of that, that’s great.”

    But Robinhood’s profitability wasn’t a side effect of being frictionless. It was very much the point. From founding, its business model was dependent on customers trading frequently, allowing the company the chance to earn a different kind of commission—known as PFOF, or “payment for order flow”—from every transaction. The payments are essentially a finder’s fee given to Robinhood by so-called market makers, the Wall Street firms who make money executing individual investors’ trades. Since launch, Robinhood has enthusiastically embraced PFOF, arranging favorable rates that eclipsed other brokerages’, making it the company’s single largest source of revenue. The money flows evoke a key lesson of the digital age: If something is free, then you’re not the customer—you’re the product being sold.

    “Robinhood and the high frequency trading firms have the same incentives, which is to cause there to be as much trading as humanly possible, to create as much flow as humanly possible, which maximizes profits for the executing dealers and Robinhood,” says Dennis Kelleher, the president of Better Markets, a Wall Street reform nonprofit.

    As Sen. Elizabeth Warren pointed out in a February letter to Citadel’s CEO, the practice means the “more shares they see, the more bread crumbs they take.” It can also encourage brokers to seek market makers that will give them the best PFOF, rather than the best prices for their customers—despite an Securities and Exchange Commission (SEC) mandate known as the “best execution” rule that requires brokers to always seek the best deal for customers

    From its founding days, the app’s interface was overseen by Bhatt, who pushed an inviting feel in contrast to the intimidating or alienating vibe of other brokerages’ interfaces, full of analyst ratings and finance-speak. “We make use of simple colors to remove as much information as possible,” a company designer told a trade publication.

    “Baiju is someone who really cares about minimalism and clean design,” an early Robinhood design staffer told me. “It was important to him to build a trading platform in the most minimal way possible.”

    Robinhood also pioneered the selling of fractional shares, which Natasha Dow Schüll, an anthropology professor at NYU who wrote a book about addictive gambling design, compares to penny slots—small stakes bets that make users feel less risk and thus invite them to trade more. The app’s default settings flood users with emoji-laden push notifications that can coax customer trades. For new joiners, the notices direct them to lists of the app’s most popular stocks, or of “Daily Movers”: the 20 stocks with the biggest daily percent change in price—regardless of if the price went up or down. As Vicki Bogan, a professor and behavioral finance expert at Cornell’s business school, told a recent congressional hearing, such “cues, pushes, and rewards” work to “exploit natural human tendencies for achievement and competition…to motivate individuals to make more trades.”

    Parts of the app remind Schüll of Las Vegas casinos, where carpet is installed so it never presents a right angle, a stopping point that forces walkers to make a decision. “The last thing you want to do when you’re engaging a gambler—or in this case, a trader—is to put them in a position of a rational decision maker,” she says. “You want to have the carpet smoothly and seamlessly turn into the gaming area, so that the easiest thing for the person to do is to continue moving forward. You see that absolutely in the design of this app. It’s about instantaneity, immediacy, ease of access—you just kind of flow right into it.” This March, the House Financial Services Committee echoed concerns that platforms like Robinhood “encourage behavior similar to a gambling addiction.”

    #Robinhood #Gamestop #Marchés_financiers #Manipulation_mentale #Addiction #Jeu #Finance #Fintech

  • Beim jüngsten Armutsbericht der Bundesregierung auch von einem Reic...
    https://diasp.eu/p/12803000

    Beim jüngsten Armutsbericht der Bundesregierung auch von einem Reichtumsbericht zu reden, sei verlogen, sagte der Sozialethiker und Wirtschaftswissenschaftler Friedhelm Hengsbach im DLF. Seit der Abschaffung der #Vermögenssteuer gebe es gar keine Daten mehr über Reichtum oberhalb von gewissen Vermögenslagen. https://www.deutschlandfunk.de/armuts-und-reichtumsbericht-mischung-aus-zutreffenden.694.de.html?dr

    • Publications de Friedhelm Hengsbach :
      https://www.perlentaucher.de/autor/friedhelm-hengsbach.html

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      45 Min., 2017 - Conversation sur la #justice_sociale et le rôle des #marchés_financiers #EU / #UE / #Europe et #Dublin_III

      https://www.br.de/fernsehen/ard-alpha/sendungen/alpha-forum/friedhelm-hengsbach-sendung-102.html
      https://cdn-storage.br.de/geo/b7/2017-10/26/b64f6e4aba7f11e7bca2984be109059a_X.mp4

      avec un script de pdf :
      https://www.br.de/fernsehen/ard-alpha/sendungen/alpha-forum/friedhelm-hengsbach-110.html

      [...]

      Es gibt verschiedene Vorstellungen über Gerechtigkeit. Der Dialogpartner von Sokrates, Thrasymachos, sagte: „Was ist schon Gerechtigkeit? Doch nur das, was die Mächtigen für gerecht halten.“ Es wird also seit Urzeiten über Gerechtigkeit und was sie ist gestritten. Es gab Anfang des Jahrtausends eine große Debatte unter den Parteien, in der es hieß, die Deutschen müssten sich verabschieden von den traditionellen Vorstellungen über Gerechtigkeit, Verteilungsgerechtigkeit sei „out“, ebenso Bedarfsgerechtigkeit. Stattdessen müssten wir in einer Leistungsgesellschaft darauf Wert legen, dass Leistung sich wieder lohnt. Das bedeutet, Gerechtigkeit wird als Leistungsgerechtigkeit definiert und am besten als Marktgerechtigkeit. Das ist meiner Meinung nach selbstverständlich eine Verkümmerung dessen, was Gerechtigkeit sein
      soll. Denn man kann ja auch fragen, ob Gerechtigkeit nicht etwas zu tun hat mit der Anerkennung eines jeden Menschen als Person. Und dann könnte man sagen, Gerechtigkeit hat in erster Linie etwas mit Gleichheit zu tun. Das heißt, in einer demokratischen Gesellschaft oder in einer egalitären Gesellschaft – das ist vielleicht ein Zirkelschluss – gestehen sich die Mitglieder wechselseitig zu, das gleiche Recht zu haben und als gleiche Personen anerkannt zu werden. Das ist etwa der Kantische Imperativ: Der andere Mensch darf nie nur als Instrument zum eigenen Vorteil benutzt werden, sondern er muss immer auch als Zweck in sich selbst wahrgenommen werden. Das wäre eine Form der Gerechtigkeit, denn man könnte das sehr wohl noch verschärfen. Gerechtigkeit in einer ungleichen Gesellschaft, also in einer Gesellschaft, die von sehr ungleichen Machtverhältnissen bestimmt ist, müsste eigentlich definiert werden als das Recht auf Rechtfertigung. Und wer hat dieses Recht? Nicht die, die die gesellschaftlichen Verhältnisse verursacht haben, also die Mächtigen, sondern diejenigen, die davon betroffen sind.

      [...]

      à min.11 : « Was ist los mit Dir, Europa ? » / Qu’est-ce qu’il va pas avec toi, Europe ?
      https://www.westendverlag.de/buch/was-ist-los-mit-dir-europa

      [...]

      Ich denke, die Krise in Griechenland und auch in anderen, von der Finanzkrise in besonderem Maße betroffenen Staaten ist nicht in erster Linie individualistisch zu deuten. Das, was da mit diesen Legenden betrieben wird, ist gleichsam ein individualistischer Fehlschluss, wenn es heißt, dieses oder jenes Land hätte schlecht gewirtschaftet. Der Europäische Rat hat einmal festgestellt, dass die Finanzkrise und die Verschuldungskrise dieser Peripheriestaaten nicht in erster Linie diesen Staaten zuzurechnen sind, sondern dass diese Krisen systemisch bedingt sind. Ich denke auch: Die Banken haben die Krise verursacht und haben dann nach dem Staat gerufen, der sie retten sollte. Der Staat hat sie gerettet und sich dabei selbst hoch verschuldet. Und hinterher sagen die Banken, der Staat müsse seine Verschuldung abbauen, und zwar schnell, indem er die Sozialleistungen kürzt und die schwächeren Staaten sanktioniert. Das hat man getan, aber ich denke, dass das der falsche Weg ist. Es muss in erster Linie dafür gesorgt werden, dass die Arbeitslosigkeit der Jugendlichen beseitigt wird und nicht in erster Linie, dass die Gläubiger-Schuldner-Verhältnisse neu geregelt werden. Das sieht selbst Herr Schäuble ein: dass irgendwas geschehen muss mit Griechenland, dass die Gläubiger beteiligt werden müssen am Überwinden der Krise, die einzelne Länder in besonderer Weise betrifft.

      [...]

  • Quand la #banque_centrale donne gratuitement de l’argent aux grandes #banques_commerciales au lieu de financer la #reconstruction_écologique
    https://www.institut-rousseau.fr/quand-la-banque-centrale-donne-gratuitement-de-largent-aux-grandes

    Et toutes ces sommes sont empruntées à taux négatifs, à – 1 % ! Ce qui signifie que la banque centrale donne littéralement de l’argent aux banques privées pour qu’elles daignent venir lui emprunter des liquidités, alors même qu’on refuse toujours de financer directement les États ou d’annuler les #dettes_publiques qu’elle détient. D’ailleurs, les conditions à atteindre pour bénéficier du taux de – 1 % ont été considérablement assouplies. Auparavant, les banques devaient apporter la preuve qu’elles avaient accru leur portefeuille de prêts aux entreprises et aux ménages pour profiter du coût le plus favorable. Dans le cadre de cette nouvelle opération, elles peuvent se contenter de le maintenir à leur niveau d’avant la crise du Covid. Et on rajoute à cela que si jamais des emprunteurs font défaut, il y a désormais de bonnes chances pour que les banques soient remboursées directement par le Gouvernement. Rien que pour la première année de leur emprunt, ce sont donc 13 milliards d’euros qui seront versés gratuitement aux banques par la création monétaire ex nihilo de la banque centrale. Sur trois ans, près de 40 milliards d’euros seront ainsi offerts. N’a-t-on pas mieux à faire avec 40 milliards d’euros, comme lutter contre le #changement_climatique par exemple ?

    Dans le monde des économistes orthodoxes, personne ou presque ne s’inquiète de la « crédibilité » de l’action de la banque centrale, du risque d’#inflation sur les #marchés_financiers (c’est-à-dire de #bulles_financières que ce type d’action ne manquera pas d’engendrer), ou bien de l’impact sur les fonds propres de la banque centrale (qui pour le coup est absolument certain contrairement aux opérations d’annulation de dettes publiques détenues par la banque centrale). En 2008, nous avions été choqués de la socialisation des pertes et la privatisation des profits sans rien faire, sinon des réformes cosmétiques. Nous avons désormais fait mieux en passant dans une phase de couverture intégrale des pertes et de fabrication artificielle des profits grâce à une banque centrale dont l’indépendance farouche vis-à-vis des États n’a d’égale que sa complaisance et sa dépendance à l’égard du système financier privé.

    Si la proposition, portée notamment par l’Institut Rousseau, d’annulation des dettes publiques détenues par la BCE a suscité une levée de boucliers de la part d’un petit groupe d’économistes néolibéraux confortablement installés dans leurs certitudes, leur silence concernant les dérives de ces pratiques est en revanche assourdissant. À croire que l’indignation ne naît que lorsqu’on tente de rétablir la monnaie comme l’instrument d’émancipation sociale et politique qu’elle n’aurait jamais dû cesser d’être, mais pas quand la #création_monétaire de la banque centrale vise à faire des cadeaux perpétuels aux #banques_privées sans aucune contrepartie ou presque.

    C’est pourquoi il importe de rappeler une nouvelle fois que l’indépendance des banques centrales n’a rien de naturel et est foncièrement antidémocratique. Elle ne repose que sur une décision politique funeste, désormais inscrite dans les traités, qui la coupe du pouvoir délibérant de la collectivité et la place sous la coupe des marchés financiers. Cette architecture monétaire et financière relève entièrement d’un choix politique et idéologique qui repose sur l’idée que la monnaie doit être neutre, soustraite aux mains de politiques nécessairement démagogiques et confiée entièrement aux marchés privés qui nous conduiront vers la prospérité grâce aux vertus naturelles de la main invisible et de la libre-concurrence. Il est donc temps de comprendre que le sérieux et la raison ne sont pas du côté de ceux qui, par suivisme ou par intérêt, défendent ce type de pensée magique et nous imposent les sacrifices inutiles qui l’accompagnent, tout en bénéficiant allégrement de la création monétaire qu’ils dénoncent.

  • Privatisations : la République en marché - #DATAGUEULE 88
    https://www.youtube.com/watch?v=1hYR2o1--8s

    Tout doit disparaître... surtout les limites ! Depuis 30 ans, les privatisations, à défaut d’inverser la spirale de la dette, déséquilibrent le rapport de force entre Etat et grandes entreprises à la table des négociations. Infrastructures, télécoms, BTP, eau ... les géants des marchés voient leur empire s’élargir dans un nombre croissant de secteurs vitaux. Cédant le pas et ses actifs au nom de la performance ou de l’efficacité, sans autre preuve qu’un dogme bien appris, la collectivité publique voit se dissoudre l’intérêt général dans une somme d’intérêts privés ... dont elle s’oblige à payer les pots cassés par des contrats où elle se prive de ses prérogatives. Mais comment donc les agents de l’Etat ont-ils fini par se convaincre qu’il ne servait à rien ?

  • Comment l’#assurance_chômage a été transformée en machine à cash pour les marchés financiers

    Le gouvernement présente ce 27 avril son projet de réforme de l’assurance chômage. Il prévoit notamment d’augmenter les contrôles aux dépens des demandeurs d’emploi. But affiché : réduire le chômage et améliorer la situation financière du système, qui accuse une #dette dépassant les 33 milliards. Pourtant, les #recettes de l’#assurance-chômage sont suffisantes pour couvrir en l’état les indemnités versées aux chômeurs. Alors d’où vient cette dette, et qui la détient, empochant des centaines de millions d’euros d’intérêts ? Quel rôle jouent les #marchés_financiers ? Pour répondre à ces questions, un collectif de citoyens a réalisé un audit de la dette de l’Unédic. Explications.

    https://www.bastamag.net/Comment-l-assurance-chomage-a-ete-transformee-en-machine-a-cash-pour-les
    #assurances #finance #économie #chômage #France #financiarisation

  • Spéculer sur l’insertion des demandeurs d’asile en France, un nouvel investissement rentable pour les financiers - Basta !
    https://www.bastamag.net/Speculer-sur-l-insertion-des-demandeurs-d-asile-en-France-un-nouvel
    https://www.bastamag.net/IMG/arton6608.jpg?1519139136

    L’#accueil des #demandeurs_d’asile s’ouvre aux #marchés_financiers. C’est ce que prévoit le nouveau modèle de gestion des centres « #Pradha », chargés de l’#hébergement des personnes demandant l’asile. Ces centres – d’anciens hôtels bas de gamme – seront gérés au quotidien par une filiale de la #Caisse_des_dépôts sous contrôle du ministère de l’Intérieur, et sont en partie financés par le privé, grâce à un fonds d’investissement dédié. Côté accueil, accompagnement, insertion et encadrement, les coûts sont réduits au minimum, mais les partenaires du fonds – la #BNP, #Aviva, la #CNP assurances ou la #Maif – espèrent en tirer des bénéfices. Bienvenue dans l’« action sociale » du 21ème siècle.

    #spéculation #migration l’inverse d’exnatrié·es (plutôt qu’expatrié·es) c’est #innatrié·es ?

    • CDC Habitat leur promet un taux de rémunération fixe de 3,5 %, le double de ce que rapporte un prêt immobilier à des particuliers. Celui-ci augmentera en fonction du degré de réussite des objectifs sociaux du projet, évalués en fonction d’un certain nombre d’indicateurs assez basiques : scolarisation des enfants, signature de contrats d’accueil... « Difficile d’imaginer de quelle manière ils pourraient ne pas être atteints », relève dans un tract le syndicat Sud logement social (rattaché à l’Union syndicale Solidaires). Comment et par qui seront évalués ces critères, et jusqu’à quel taux d’intérêt maximum pourra être rémunéré Hémisphère ? Mystère, en l’absence de réponse de la Caisse des dépôts sur son fonds d’investissement.

  • Le retour de la #Grèce sur les marchés est-il une si bonne nouvelle ?
    https://www.mediapart.fr/journal/international/180717/le-retour-de-la-grece-sur-les-marches-est-il-une-si-bonne-nouvelle

    La Grèce s’apprête à faire de nouveau appel au marché pour financer sa dette, après trois ans d’absence et sept ans de crise. Mais ce retour n’a rien de l’épilogue d’une crise interminable. C’est bien plutôt une impasse de plus qui, cependant, met en relief l’exigence d’une réduction du stock de dettes.

    #International #Economie #crise_grecque #dette_grecque #marchés_financiers

  • Selon le #FMI, la Finance n’est pas un facteur clef de #Croissance
    https://reflets.info/selon-le-fmi-la-finance-nest-pas-un-facteur-clef-de-croissance

    Et dire que pendant trente-sept ans, les hommes politiques à qui l’on soufflait dans l’oreille, nous ont bassiné en nous expliquant qu’il fallait déréguler tout ça. Pour donner des ailes au #Secteur_financier, il fallait […]

    #Economie #bulle_financière #Bulles #Crise #croissance_économique #High_Frequency_Trading #Marchés_financiers

  • L’AMF, la grande lessiveuse des #marchés_financiers
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/301116/l-amf-la-grande-lessiveuse-des-marches-financiers

    L’Autorité des marchés financiers est-elle en train de mettre le couvercle sur les irrégularités commises par #Natixis_Asset_Management ? C’est ce que suggère elle-même la société de gestion, filiale de #BPCE. Le fait est que le gendarme des marchés protège plus les établissements financiers que les épargnants.

    #Economie #Autorité_des_marchés_financiers #Matthieu_Duncan

  • Les députés sous la dictée de la #Fédération_bancaire_française
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/171016/les-deputes-sous-la-dictee-de-la-federation-bancaire-francaise

    Des amendements pour durcir la taxe sur les transactions financières ont été rejetés, mercredi, en commission des finances de l’Assemblée. Des députés LR et socialistes se sont inspirés, quand ils n’en ont pas lu des extraits, d’une note blanche élaborée par le lobby bancaire, qui a ainsi obtenu gain de cause. Mediapart dévoile le pot aux roses.

    #Economie #Assemblée_nationale #Christophe_Caresche #Dominique_Baert #marchés_financiers #PLF_2017 #taxation_des_transactions_financières

  • Une si conciliante #Autorité_des_marchés_financiers
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/200716/une-si-conciliante-autorite-des-marches-financiers

    Pour mettre au jour les irrégularités commises par #Natixis_Asset_Management, l’Autorité des #marchés_financiers enquête à la vitesse d’une tortue, sans même respecter les délais prévus par sa propre charte. L’ex-patron de la société de gestion, #Pascal_Voisin, siège toujours dans une commission consultative du gendarme des marchés.

    #Economie #BPCE

  • #Brexit : la peur de la contagion s’étend en #europe
    https://www.mediapart.fr/journal/international/270616/brexit-la-peur-de-la-contagion-setend-en-europe

    Les incertitudes nées du Brexit ont à nouveau créé de fortes turbulences sur des #marchés_financiers, lundi 27 juin. La livre chute, les places financières dévissent. Plus inquiétant : la contagion gagne maintenant l’Europe. Les #banques italiennes sont sous le feu de la spéculation. La #Crise de la zone euro pourrait se raviver.

    #International #Economie #George_Osborne #Italie #Royaume-Uni

  • Banques centrales : le serpent qui se mord la queue
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/120216/banques-centrales-le-serpent-qui-se-mord-la-queue

    Les banques centrales perdent le combat contre la déflation. Les « junkies » des #marchés_financiers se mettent à douter de leurs « dealers ». Bain de sang pour les valeurs bancaires. Bienvenue dans le monde de la #NIRP (taux d’intérêt négatifs). Essayons de penser le pire.

    #Economie #actifs #Alana_Greenspan #Banque_du_Japon #BCE #BRI #Haruhiko_Kuroda #Japon #passifs #politique_monétaire #QE #Société_Générale #taux_d'intérêt_négatifs #zirp

  • Les aides massives des banques centrales aux grandes banques privées | Le Blog de la Résistance
    http://resistanceauthentique.wordpress.com/2014/08/27/les-aides-massives-des-banques-centrales-aux-grande

    Mais banques centrales et grandes banques privées ne sont qu’une seule et même entité , une seule et même banque, au final ; Ceux qui possèdent la FED par exemple (ses actionnaires), sont ceux qui possèdent les grandes banques privées qui la composent : c’est un faux paradigme, dans ce qui est un immense jeu de vases communicants ; dans lequel une poignée d’élus jouissent du privilège suprême : celui de la création monétaire ; Revue de presse 2013-2014 Z@laresistance (spécial été )

    Résumé : Depuis l’éclatement de la crise bancaire en 2007, les banques centrales des pays les plus industrialisés prêtent massivement aux banques à des taux d’intérêt très bas afin d’éviter des faillites, permettant aux grandes banques qui en bénéficient d’économiser des sommes considérables en termes de remboursement des intérêts.

    La Fed achète massivement aux banques des États-Unis des produits structuréshypothécaires, la BCE n’achète pas jusqu’ici de produits structurés mais elle accepte que les banques les déposent comme collatéraux, autrement dit comme garantie, des prêts qu’elle leur octroie.

    Les gouvernements, quant à eux, apportent leurs garanties et injectent massivement des capitaux afin de recapitaliser les banques.

    Les banques systémiques savent qu’en cas de problème, du fait de leur taille et du risque que représenterait la faillite de l’une d’elles (« too big to fail »), elles pourront compter sur le soutien des États qui les renfloueront sans sourciller.

    Les gouvernements empruntent sur les marchés financiers en émettant des titres de la dettepublique souveraine. Ils confient la vente de ces titres aux grandes banques privées. Les banques bénéficient par ailleurs de baisse d’impôts sur les bénéfices.

    De plus, au sein de la zone euro, les banques jouissent du monopole du crédit destiné au secteur public........

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    Les prêts massifs des banques centrales aux banques privées

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    #finance
    #économie
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    #dette_publique
    #dette_souveraine

  • Edito spécial du Mercredi 8 Avril 2014 : La victoire à la Pyrrhus des Etats-Unis sur BNP-Paribas Par Bruno Bertez | Le blog A Lupus un regard hagard sur Lécocomics et ses finances
    http://leblogalupus.com/2014/07/09/edito-special-du-mercredi-8-avril-2014-la-victoire-a-la-pyrrhus-des-et
    https://pbs.twimg.com/media/BsBmLIzIAAAx8n9.jpg:large

    L’Eurogroupe envisage « de réfléchir sur les moyens d’accroître la place de la monnaie européenne dans le commerce international ». C’est une des conséquences de l’affaire dite BNP-Paribas. D’autres banques sont concernées, on parle du Crédit Agricole et de Deutsche Bank entre autres. Nous dirons, il était temps, et nous ajouterons, il est trop tard. Il aura fallu quinze ans pour que les incapables qui gouvernent l’Europe se rendent compte qu’il est nécessaire de promouvoir la devise européenne dans les échanges internationaux ! Et dire qu’il a été crée avec la propagande mensongère : « Nous allons faire concurrence au dollar » !

    https://pbs.twimg.com/media/BriVnfgCYAAkzK1.jpg:large

    ..... Ainsi, les excédents des Chinois, des Russes, des Emergents, et des Pays Producteurs de Pétrole sont utilisés pour acheter des actifs financiers américains, -des promesses-, ce qui en quelque sorte stabilise le système. Grâce à ce recyclage, les Etats-Unis bénéficient d’un pouvoir d’achat supérieur à celui dont ils disposeraient s’ils devaient régler leurs déficits par des exportations, ou par de l’or, ou par toute autre marchandise ou service réels. Les Américains bénéficient de ce que l’on appelle l’excès d’épargne mondiale, le fameux « saving glut » théorisé par Greenspan, puis Bernanke. Ceci a été désigné par des nombreux économistes sous le nom de BWII, Bretton Woods II. C’est le fameux paradoxe de Jacques Rueff qui, en son temps, énonçait : les Etats-Unis sont un joueur de billes qui perd ses billes, mais ceux qui gagnent leur rendent afin que le jeu puisse continuer.......

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    Sur ce dernier point, on sait que la CIA est vigilante et procède à des écoutes et à des simulations pour ne pas être prise au dépourvu. On en a un indice dans l’affaire de Facebook où l’armée a cofinancé une étude sur les comportements émotionnels et leur manipulation. On sait aussi que Google fournit des informations suivies sur le sentiment à l’égard des marchés, ce n’est pas par simple curiosité. Les marchés sont maintenant considérés comme des lieux de stratégie, de possibles champs de bataille, et il faut pouvoir déceler tout ordre ou mouvement nuisible organisé ou non, hostile ou non.

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    #1984
    #économie
    #finance
    #Changes
    #Devises
    #Etats-Unis
    #Europe
    #Géopolitique
    #Gestion_du_risque
    #Titrisation
    #Produits_Structurés
    #Marché_Obligataire
    #Marchés_Financiers
    #Marchés_Boursiers
    #Actions
    #Mondialisation
    #Risques_géopolitiques
    #Russie

  • Lobby bancaire, est-il impossible de taxer les #marchés_financiers ?

    http://abonnes.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2014/05/05/est-il-impossible-de-taxer-les-marches-financiers_4411637_4355770.ht

    Mais quand, pour la Commission européenne et la coalition au pouvoir en Allemagne, la taxe devait toucher l’ensemble des produits financiers, y compris les plus spéculatifs, c’est-à-dire les produits dérivés, Bercy a tenté, et visiblement réussi, à vider le projet de la Commission de son contenu : Pierre Moscovici n’a pas hésité, dès l’été dernier, à parler d’une « proposition excessive » de la Commission européenne.

    « En osmose avec les banquiers, ils ont ainsi torpillé la réforme bancaire qui aurait dû séparer les activités de spéculation et les activités de crédit. Dernièrement, c’est la taxe européenne sur les transactions financières que Pierre #Moscovici et Bercy étaient en train de saboter », accuse Thomas Coutrot d’Attac dans une tribune.

    #fiscalité #taxe_tobin #groupes_de_pression #PS

  • The Stock Market May Have Crashed 18,000 Times Since 2006 — And No One Noticed - Tim Fernholz - The Atlantic
    http://www.theatlantic.com/technology/archive/2013/09/the-stock-market-may-have-crashed-18-000-times-since-2006-and-no-one-noticed/279725

    What if someone told you the stock market crashed and spiked 18,000 times since 2006, and you had no idea?

    That’s the contention of a group of scientists who study complex systems after analyzing market data, collected by Nanex, since the advent of high-speed trading. While the fallout of computerized algorithms has been seen before, including the infamous 2010 “flash crash,” when markets lost nearly 10% of value in just a few minutes, that same kind of sudden volatility is going on all the time, unseen.

    #flash_trading #trading_à_haute_fréquence #marchés_financiers #finance

  • TradeTech #1 : ça chauffe à haute fréquence | Sniper In Mahwah
    https://sniperinmahwah.wordpress.com/2013/04/21/tradetech-1-ca-chauffe-a-haute-frequence

    Je passe sur les interventions de l’après-midi, assez décousues suite à un changement de programme, ainsi que sur la mienne, qui clôtura cette journée assez mouvementée. J’ai ensuite eu l’occasion de parler de Michel Foucault et du « panoptique financier » avec un régulateur hollandais de l’AFM, Piebe Teeboom, de Nietzsche et de Toynbee avec un ingénieur français qui lance un hedge fund à partir du #data-mining, de sciences sociales avec le directeur d’Automated Trader, d’épistémologie avec le directeur d’une compagnie qui fabrique des réseaux de transmission à micro-ondes pour les #marchés_financiers, et de co-location avec un responsable technique de Nyse-Euronext. Je reviendrai bientôt sur les deux autres jours de TradeTech, où il fut notamment question des nouvelles technologies utilisées dans les marchés, dont de nouvelles puces électroniques qui vont doper les temps de calculs des #algorithmes de hft. Une seule chose est certaine : le rythme des avancées technologiques n’est pas celui des régulateurs. Mifid II doit rentrer en vigueur en 2015 voire 2016. D’ici là, nul doute que l’industrie des marchés financiers aura fait plus d’un pas supplémentaire pour aller encore plus vite, encore plus loin. Le #hft a donc un boulevard devant lui pour aller de l’avant.

    #finance

  • La bourse ou la vie ? | Fabrice Epelboin
    http://reflets.info/la-bourse-ou-la-vie

    Question centrale pour notre beau système en république populaire de France, qui a du empêcher de dormir ce week end notre président du pouvoir d’achat et des produits dérivés : la bourse, ou la vie ? A l’heure où le gigantesque château de cartes à rustine qu’est devenu le système financier mondial s’effondre, il semble que - dans le bassin Méditerranéen et aux alentours tout du moins, les différentes oligarchies se retrouvent les unes après les autres prises dans un étau entre leurs peuples - qui réclament des changements radicaux - et leurs ‘marchés’ qui réclament plus de sous (pour eux, et donc moins pour le peuple). Tunisie, Egypte, Maroc, Jordanie, Syrie, Bahreïn, Yemen, Grèce, Espagne, Angleterre, Israël... L’idée que la France soit épargnée relève de la méthode coué Barouinesque, tout aussi crédible qu’un nuage radioactif Ukrainien qui s’arrêterait aux frontières de notre beau pays. Tout est prêt, pourtant, pour que le feu prenne : une oliga

    #A_la_Une #Economie #Crise_de_la_dette_souveraine #Démagogie #Marchés_financiers #Racisme_ordinaire #WTFMonday