Dans le superbe #livre de #Igiaba_Scego, La linea del colore
►https://www.bompiani.it/catalogo/la-linea-del-colore-9788830101418
–-> livre déjà signalé ici autour de #Nadezhda_De_Santis : ►https://seenthis.net/messages/872094
... une émouvante description des émotions de la protagoniste du livre, femme noire, quand elle observe les détails de cette #fontaine :
Dans la #Piazza_Giacomo_Matteotti, à #Marino, près de Rome, la #Fontana_dei_quattro_mori :
▻https://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_Giacomo_Matteotti_(Marino)
Voici comment Scego raconte cette « rencontre » avec les visages sculptées (en italien, le livre n’a pas - mais bienôt j’espère - été traduit) :
«La mia testa ancora non ricordava nulla, ma il mio corpo aveva conservato in ogni centimetro di epidermide le immagine viste vent’anni prima duante la sagra a cui ero andata con Lorella, quell’antica collega di università, e sua madre.
Davanti alla fontana riprovai quella sensazione di insopportabile disagio.
Le due donne di tufo erano ancora lì, con lo sguardo sempre disperato. Sempre incatenate al palo della fontana, a seno nudo, con lo sguardo di chi sa che l’aspetta solo lo stupro.
Anche la prima volta fui atterrita da quella visione. Lorella e sua madre si trascinavano verso la fontana, la madre gridava alla figlia: ’Riempimi il bicchiere.’ E poi mi guardava con aria colpevole e balbettava giustificandosi: ’E’ il vino dei Castelli, la sagra, è la tradizione, lo capisci?’ Io annuivo senza staccare gli occhi attoniti da quella calca che si gettava sulle due statue, sulle povere ragazze di tufo, ragazze legate al palo che nessuno - tranne me - vedeva.
Scoprii solo in seguito che quella fontana fu costruita originariamente nel Diciassettesimo secolo e poi ricostruita dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale che l’avevano parzialmente distrutta. Fu la prima fontana di Marino a far sgorgare il vino.
Era l’anno di grazia 1925 e la sagra nacque in quell’anno, a tre anni dalla marcia su Roma di Mussolini. Da allora ebbe inizio quella tradizione che soppiantò totalmente la sagra precedente dedicata alla Madonna. La fontana era chiamata dei Quattro Mori: secondo la vulgata delle enciclopedie consultate quando ancora non c’era internet e niente era disponibile con un clic, i mori erano pirati turchi. Ma lì non c’erano pirati, c’erano solo schiavi. Persone incatenate, disperate sole, piegate in una posa inumana. Le donne avevano i seni che tremavano per il terrore.
Di quella fontana (mi bastò andare in biblioteca) scoprii altre cose: il nome di chi la ideò - #Sergio_Venturi -, e poi perché venne costruita. I marinesi volevano commemorare la #battaglia_di_Lepanto e #Marcantonio_Colonna, che ne fu uno degli artefici. Quella battaglia che contrappose cristianità e Impero Ottomano. Pensai che la parata che aveva visto era la commemorazione della sfilata trionfale di Marcantonio Colonna, una sfilata in cui le persone catturate erano il bottino di guerra, schiavi che i potenati si sarebbero divisi. Per un po’ quella fontana fu la mia ossessione. A causa sua, del resto, scelsi di inoltrarmi nel mondo dell’arte. Ma come ogni ossessione anche quella sfumò, pressata dalla mia quotidianità di allora fatta di esami, amori, piani per il futuro, incertezze che mi prendevano alla gola e non mi facevano respirare. O forse stavo solo dimenticando, perché è più facile rimuovere un dolore.
Ma quel giorno, al matrimonio di Stefania, percepii di nuovo quello sguardo afflitto su di me.
Ero ferma davanti alla fontana, come ferma lo era stata Lafanu Brown la prima volta che l’avevo vista, così come racconta in una sua lettera a Lizzie Manson, la sua prima istitutrice amica.
’Quelle donne, quelle mie antenate, perché noi discendiamo dalla sofferenza degli schiavi, vogliono che qualcuno dia loro voce. Oh Lizzie cara, lo vedo quanto si sforzano di protendersi verso di noi. Quando il loro busto si butta in avanti quasi per tuffarsi nel nulla. Baby Sue me lo ha raccontato una infinità di volte che lei, quando la tiravano fuori dalle segrete della nave negriera e poi la tenevano ferma in attesa del suo turno di essere violata, provava a divincolarsi e a buttarsi nell’oceano per trovare scampo a quell’incubo che nella sua Africa non aveva mai conosciuto. Baby è una orgogliosa Peul dell’entroterra, mai si era immaginata che potesse esistere qualcosa di più feroce di una iena affamata. Ma poi ha visto l’uomo bianco e ha capito che la crudeltà non ha limite. La mia Baby Sue, che ha trovato la calma in quelle sue torte zuccherate all’inverosimile. Perché solo quello zucchero poteva toglierle l’amaro che le impastava la bocca. lo stesso amaro che sento ancora sulla mia lingua.’
Io ancora non sapevo niente di Lafanu Brown. Queste parole le avrei lette mesi dopo grazie ad Alexandria Mendoza Gil, una collega di Stefania anche lei invitata al matrimonio. Stefania era una ricercatrice, e dopo il matrimonio lei e il marito sarebbero partiti per gli Stati Uniti, per Salenius, dove viveva anche Alexandria. Lavorava nel dipartimento di storia dell’arte, e stava facendo una ricerca sulle artiste nere del Diciannovesimo secolo.
Fu lei a posarmi una mano sulla spalla quando mi vide lì, davanti alle due donne incatenate, sull’orlo delle lacrime.
’Anch’io ho pianto la prima volta,’ mi disse in un inglese che odorava di manioca. ’Mia nonna è di Santo Domingo. Ho sangue nero nelle vene, come te. Questa fontana non può lasciarci indifferenti. E non ha lasciato indifferete nemmeno Lafanu Brown’.»
(pp.79-81)
#littérature #colonialisme #villes #post-colonialisme #post-colonial #toponymie
–-
ajouté à la métaliste sur l’#Italie_coloniale :
►https://seenthis.net/messages/871953
ping @cede