• Senegal. Un’altra strage in mare sulla “rotta delle Canarie”
    https://www.meltingpot.org/2023/11/senegal-unaltra-strage-in-mare-sulla-rotta-delle-canarie

    Nonostante i due tentativi falliti, B. Diagne, trentenne senegalese originario del Baol, promette di imbarcarsi di nuovo su una piroga, se si presenterà l’occasione, il prima possibile. E’ uno dei sopravvissuti di quella che potrebbe essere una nuova terribile strage sulla cosiddetta “rotta delle Canarie” che dall’Africa occidentale va verso le isole spagnole, quindi in Europa. Da ormai diversi anni è da considerare una delle “rotte” più letali al mondo. Nella sua testimonianza, raccolta da Seneweb, Diagne racconta di quei tre terribili giorni sulla piroga e spiega che ha corso questo pericolo, rischiando la vita, per provvedere ai suoi (...)

    #Rapporti_e_dossier #Confini_e_frontiere #Mattia_Iannacone #Interviste #Radio_Melting_Pot

  • Le #Danemark offre des #barbelés coupants à la #Lituanie pour sa clôture antimigrants

    A Copenhague, le gouvernement social-démocrate, qui s’est fait élire en 2019 sur la promesse d’une politique migratoire ultrarestrictive, défend la construction de #clôtures aux frontières de l’Europe.

    Quinze kilomètres de #fils_barbelés. Voilà le généreux #cadeau du Danemark à la Lituanie : une contribution certes modeste à l’échelle des 500 kilomètres de clôture que l’Etat balte est en train d’installer sur sa frontière avec la #Biélorussie, pour empêcher les migrants d’entrer sur son territoire. Mais une #contribution symbolique, de la part du royaume scandinave, dont la première ministre sociale-démocrate, #Mette_Frederiksen, en poste depuis 2019, s’est fixé comme objectif d’atteindre « zéro demandeur d’asile ».

    Le 28 septembre, son ministre de l’immigration, #Mattias_Tesfaye – lui-même fils d’un réfugié éthiopien –, s’est rendu en Lituanie, pour rencontrer la ministre de l’intérieur, #Agne_Bilotaite. Il en a profité pour aller inspecter la clôture. Les barbelés envoyés par le Danemark ne sont pas des fils classiques, mais un modèle spécial, en accordéon, couvert de #lames similaires à celles d’un rasoir, pouvant causer des blessures mortelles.

    En 2015, ce sont ces mêmes barbelés que la Hongrie de Viktor Orban avait déployés à la hâte, face à la Serbie : un #mur antimigrants alors fortement décrié en Europe. Six ans plus tard, Mattias Tesfaye a estimé sur la chaîne TV2 que les critiques contre Budapest n’étaient « pas correctes » et que, face à « l’#immigration_incontrôlée », la clôture était une solution « de #bon_sens ». Au passage, le ministre danois a remercié Vilnius de ses efforts pour « protéger les frontières de l’Europe et de l’OTAN ».

    Indignation des ONG

    Mattias Tesfaye n’en est pas à son premier coup d’éclat. C’est à sa demande que les services de l’immigration ont suspendu les titres de séjour de plusieurs centaines de réfugiés syriens ces derniers mois. Il est aussi à l’origine du projet de loi, voté au Parlement en juin, qui devrait permettre à Copenhague d’externaliser l’asile dans des pays tiers, en dehors de l’Europe – le Rwanda faisant figure de favori.

    Au Danemark, son soutien à la construction du mur lituanien a suscité l’indignation des ONG. Amnesty International a accusé le gouvernement danois de faire preuve d’un « déni de la réalité » face à la crise migratoire actuelle. Le quotidien de gauche Politiken a dénoncé, de son côté, le cynisme du Danemark, qui « envoie 15 km de barbelés », quand « les migrants pris au piège meurent dans la forêt ».

    Dans les rangs de la majorité de centre gauche, cependant, les opinions divergent. Alors que la Liste de l’unité (rouge et verte) s’est dite « profondément consternée », le parti social-libéral défend le principe d’un mur aux frontières de l’Europe : « Nous ne pouvons pas accueillir tous les gens du Moyen-Orient et d’Afrique qui veulent venir ici », a estimé Andreas Steenberg, un des responsables du parti.

    En 2020, le Danemark a reçu 1 515 demandeurs d’asile et 1 017 autres depuis le début de l’année. Ces chiffres ne semblent pas émouvoir Mattias Tesfaye, qui a annoncé que Copenhague allait verser 33 millions de couronnes (4,4 millions d’euros) à la Turquie, pour l’aider à protéger ses frontières.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/10/02/le-danemark-offre-des-barbeles-coupants-a-la-lituanie-pour-sa-cloture-antimi

    #cadeau #murs #barrières_frontalière #externalisation #fermeture_des_frontières #murs_frontaliers #barrières_frontalières

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    Sur le mur entre la Lituanie et la Biélorussie :
    https://seenthis.net/messages/920493

  • E la corsia si trasformò in trincea. Come è stato curato il «paziente 1»

    Testimonianza. L’infettivologo di Pavia #Raffaele_Bruno racconta la sua lotta al contagio (HarperCollins)

    Un desiderio e un ricordo. Il trentottenne #Mattia_Maestri, il giovane e sano maratoneta la cui colonna sonora della vita può essere Born to Run di Bruce Springsteen e ormai noto come paziente 1, si risveglia dopo 20 giorni di coma con la voglia di mangiare una pizza con cipolla e salame piccante e in mente le ultime parole sentite da un infermiere prima di essere intubato: «Il coronavirus Cudogn ensa’ nianche addu sta» (il coronavirus non sa neanche dove sia di casa Codogno). Mai previsione più sbagliata. Ancora oggi, a quasi dieci mesi di distanza da quel 20 febbraio 2020 alle ore 20, ci ritroviamo a essere parte di una storia che credevamo e speravamo mai potesse accadere.

    Leggere Un medico. La storia del dottore che ha curato il paziente 1 (HarperCollins), scritto in prima persona dall’infettivologo del San Matteo di Pavia Raffaele Bruno con il giornalista di Sky Tg24 Fabio Vitale, non vuol dire tanto essere catapultati di nuovo nelle corsie d’ospedale di marzo e aprile con i pazienti moribondi in fame di ossigeno, quanto piuttosto rimettere in fila le priorità delle nostre vite: «Credo in Dio, ma quello che vedo in ospedale sta facendo vacillare la convinzione che ci sia qualcuno lassù che possa consentire tutto questo — scrive Bruno —. Un dio che lascia morire genitori o figli così, da soli. Avresti bisogno di una carezza, di una parola di conforto prima di andare via per sempre, e invece ti ritrovi in un letto d’ospedale con attorno medici e infermieri che non riesci nemmeno a vedere in faccia».

    Adesso siamo sotto Natale e abbiamo voglia più che mai di lasciarci tutto alle spalle. La testimonianza di Bruno ci fa capire perché ciò non è ancora possibile. La storia del dottore che ha curato il paziente 1 aiuta a ritrovare quella forza collettiva che in primavera ci faceva mettere sui balconi i tricolori, teli e cartelli con su scritto «Andrà tutto bene» e definire i medici eroi. Una resilienza che non può venire meno neppure in un’Italia con l’economia in crisi e i nervi a fior di pelle.

    Partito da Cosenza e dopo gli anni romani a Tor Vergata, Bruno cresce professionalmente all’epoca della lotta senza quartiere all’Hiv e all’epatite C, per trovare a Pavia le dimensioni di una città piccola, ma con la vivacità del grande polo universitario. È il 21 gennaio 2020 quando il dottore fa una promessa a sé stesso: «In palestra due volte alla settimana, niente alibi». Bike e tapis roulant, sessanta minuti che ricomprendono pure la doccia e il ritorno a casa. I casi di cittadini cinesi positivi a un nuovo coronavirus sono ancora a fondo pagina sui siti di informazione.

    Nel giro di un mese la palestra diventa un lontano ricordo, i giornali non parlano (quasi) d’altro. Per Bruno la decisione obbligata è di vivere in una sorta di isolamento dalla famiglia: camere separate per lui e la moglie, la figlia Matilde per un po’ dalla suocera. Le notti sono in reparto, le facce sono sempre le stesse, segno che nessuno riposa da settimane. Saltati riposi, permessi, congedi, ferie. I giorni passano e il virus non risparmia nemmeno i colleghi. Sono i mesi più duri, quelli in cui ai medici sembra di essere tornati nell’Ottocento. Senza certezze.

    Corre parallela la storia del paziente 1. «Se salvi Mattia, salvi l’Italia», si sente ripetere Bruno. La guarigione di Mattia può essere la prova che da questa malattia si può guarire, anche se dopo aver combattuto a lungo. Quel giorno arriva: «Caro Mattia, sei pronto?». «Per cosa, professore?» «Non volevi andare a casa?».

    Con il passare delle settimane subentra, però, anche l’insofferenza. Il dottore l’intercetta nelle parole di un passante: «Va bene, professore, lasci perdere. Prima ci chiudete in casa, poi non sapete dirci perché né per quanto tempo. La saluto, arrivederci». Scrive Bruno: «Resto immobile, seguendo con lo sguardo la sagoma di quest’uomo che scompare in un vicolo». Alla fine del libro la consapevolezza è che «siamo tutti dentro una pagina di storia condivisa che non va dimenticata. La normalità resta un privilegio. E la memoria l’arma più potente per affrontare nuove crisi».

    https://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2020/12/15/43/pe-la-span-classrossocorsiaspan-si-trasformo-in-trinceap-pcome-e-stato-cura

    #Italie #premier_patient_covid #covid-19 #coronavirus #patient_0 #patient_1 #témoignage

    • Un medico

      Raffaele Bruno è un medico, da un anno è Direttore della Clinica di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia. A gennaio, come molti dottori italiani, viene a sapere di un nuovo virus, che stava iniziando a far vittime in Cina: il SARS-CoV2. Ancora non può immaginare che, neanche un mese più tardi, si troverà a dover curare Mattia, un giovane uomo di Codogno, il primo paziente italiano conosciuto. È con la sua malattia che il Covid-19, rimasto fi no a quel momento un’idea spaventosa, diventa una realtà presente e terribile. Con il suo ricovero ha ufficialmente inizio, in Europa, la più grande emergenza sanitaria degli ultimi cento anni, ha inizio un’odissea che riguarderà prima il nostro paese, poi tutto il continente, infine il mondo intero. Bruno e i suoi colleghi dovranno affrontare un virus sconosciuto e tremendo, di cui nessuno sa nulla e che li farà sentire “come medici dell’800” che devono costruirsi le conoscenze sul campo. Scritto con Fabio Vitale, tra i principali volti di Sky TG24, Un medico racconta i primi mesi della lotta contro il Covid-19 nel cuore della regione italiana più colpita, la Lombardia, che suo malgrado si è improvvisamente e drammaticamente ritrovata a essere “il centro del mondo”. Una testimonianza diretta e indimenticabile che si legge come un romanzo, la storia che ricostruisce quei giorni terribili in cui però non si è persa la speranza. Un libro che ribadisce come di fronte alle avversità o alle grandi calamità sia necessario riscoprire il coraggio che è in noi e ciò che veramente è importante, un libro che ci ricorda quello per cui vale la pena di battersi e lottare.

      https://www.harpercollins.it/9788869059032/un-medico

      #livre

  • Mascherine e tamponi : i 4 errori del governo sui medici

    Rileggere con gli occhi di oggi la lunga teoria di circolari, ripensamenti, contrordini e indicazioni ad interim prodotta dal governo, dalle regioni e dagli organi tecnico- scientifici che ne hanno puntellato le scelte, è utile per spiegare la strage dei medici e degli infermieri. Una peculiarità tutta italiana, che, al di là dei lutti e del dolore dei familiari, costerà caro allo Stato in termini di risarcimento dei danni. La più drammatica delle giravolte, all’origine del perché l’Italia ha tardato nell’individuare i primi casi di Covid 19 e del perché gli ospedali sono diventati dei focolai, è quella iniziale. Risale a gennaio, quando a Wuhan già contano centinaia di morti e il nostro Paese è convinto che l’onda non arriverà. Tanto convinto da mandare al governo di Pechino, sotto forma di donazione, una parte della già esigua scorta nazionale di mascherine.

    Il 22 gennaio il ministero della Salute emette la sua prima circolare (“Polmonite da nuovo coronavirus, 2019 nCov, in Cina”: https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=Polmonite+da+nuovo+coronavirus%2C+2019+nCov%2C+i) diretta a tutti gli assessorati alla Sanità, con la quale definisce i criteri per considerare un paziente “caso sospetto”, da sottoporre quindi a tampone: oltre a chi è stato in Cina, include qualsiasi persona «che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato, senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio». Insomma, un’indagine a largo spettro.

    Se questa circolare fossa stata in vigore anche a febbraio, quando a Codogno #Mattia, il paziente uno, si rivolge al pronto soccorso, e a #Vo_Adriano #Trevisan, la prima vittima del virus, si sente male, le loro positività sarebbero emerse ben prima del famoso 21 febbraio, data di inizio del contagio italiano. Ma, nel frattempo, il 27 gennaio il ministero ha cambiato idea, e ha scritto una seconda circolare (http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=72847&parte=1%20&serie=null), di senso opposto alla prima, nella quale autorizza il test solo su pazienti che, oltre ad avere importanti sintomi, hanno avuto «contatti stretti con un infetto»,hanno «visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan», «frequentato un reparto Covid». In sintesi: tamponi solo a chi proviene dalla Cina. È il primo vagito di una linea governativa “anti-tampone”, che segue l’orientamento dell’Organizzazione mondiale della Sanità, e che durerà sino al 16 marzo, quando la stessa Oms farà inversione con un tweet: «Test, test, test». Prima del cambio di rotta, è solo violando il protocollo che due medici sottopongono al tampone Mattia e Trevisan. Scoprendo così che, da giorni, i loro ospedali sono diventati potenziali focolai.
    Il decreto mascherine

    L’onda è arrivata. E occorre arginarla. Ma dell’arma principale, le mascherine professionali (le famose FFp2- #FFp3) per medici e infermieri, l’Italia è sprovvista. A differenza di quanto successo in Germania, nessuno ha attuato i piani pandemici (che prevedevano di farne scorta non appena si fosse avuta notizia di un contagio uomo-uomo, circostanza verificatasi il 31 dicembre), e anzi, una buona parte dello stock è stata mandata, come detto, a Wuhan. Il governo capisce di essere con l’acqua alla gola, deve inviare i suoi soldati al fronte ma non ha fucili da fornire. Le prime 42 mila FFp2, infatti, saranno consegnate dalla Protezione civile solo il 3 marzo. Così, fa quello che può: si arrangia. Con il decreto legge n.9 del 2 marzo (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/02/20G00026/sg), «in coerenza con le linee guida dell’Oms», decide di equiparare le mascherine chirurgiche — che non sono Dpi (Dispositivi di protezione individuale) perché non proteggono chi le indossa ma filtrano solo in uscita — a quelle professionali. Gli operatori sanitari, per decreto, possono andare nei reparti Covid indossando solo queste. Sono seguite diverse precisazioni, ma ancora il 19 marzo regna la confusione, come dimostra un documento interno dell’ospedale Molinette di Torino, in cui si considerano idonee anche le chirurgiche, se non disponibili le rare #FFp2, all’«esecuzione del tampone in pazienti Covid-19 positivi». Niente quarantena per i medici

    Il 9 marzo il governo emette il decreto numero 14 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/09/20G00030/sg), nel quale dispone che «la quarantena obbligatoria non si applica agli operatori sanitari», i quali si fermano solo nel caso di sintomi manifesti o esito positivo di test. È un’altra mossa della disperazione, bisogna evitare il rischio che i reparti rimangano sguarniti. Addirittura la regione Lombardia va oltre, e pubblica il 10 marzo una direttiva che nega il test all’operatore asintomatico «che ha assistito a un caso confermato Covid senza adeguati Dpi». «La confusione sulle norme — sostiene Andrea Filippi, segretario della Cgil-medici — e quei decreti folli sono i motivi principali per cui gli operatori sanitari si sono ammalati. L’Oms ha sbagliato a dare linee guida che, evidentemente, erano pensate per Paesi del Terzo mondo che hanno zero possibilità di reperire Dpi».

    Tamponi e suicidi

    Siamo a metà marzo, nel pieno della crisi. La linea ora sarebbe quella di fare tamponi a tappeto, a cominciare da chi sta in prima linea. Tre circolari del ministero della Salute (20 marzo, 25 marzo, 3 aprile) lo imporrebbero. Ma, ancora una volta, la Lombardia si distingue. «Continua a farli solo a medici e infermieri che hanno la febbre superiore a 37 e mezzo», denuncia Carmela Rozza, consigliera regionale Pd. «L’assessore Giulio Gallera sostiene di aver disposto tamponi per tutti a partire dal 3 aprile, ma non risulta».

    «Così — lamenta il portavoce della Federazione degli infermieri, Paolo Del Bufalo — ci siamo infettati e abbiamo continuato a lavorare negli ospedali, nelle cliniche private e nelle Rsa per anziani, liberi di diffondere il virus». Una situazione pesante anche dal punto di vista psicologico. Oltre ai molti decessi tra gli infermieri si sono registrati due casi di suicidio: «Erano colleghi devastati dal senso di colpa per aver contagiato colleghi e assistiti». E c’è una nuova paura che da qualche giorno soffia in corsia: la richiesta dei risarcimenti. «Dobbiamo sollevare i professionisti da responsabilità, che non hanno», suggerisce Filippi della Cgil. «Ma no ai colpi di spugna: avere un soggetto che si assume l’onere dei risarcimenti è un diritto di cittadini e operatori». Poche protezioni per lavorare in corsia e test in ritardo: due mesi di tira e molla pagati a caro prezzo.

    https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/04/10/news/mascherine_e_tamponi_i_4_errori_del_governo_sui_medici-253609627
    #Italie #coronavirus #masques #stock #responsabilité #politique #médecine #science #test #dépistage #Codogno #patient_zéro
    #in_retrospect #OMS #chronologie #ordonnance #masques_chirurgicales #décret #décret #confinement #Lombardie #travail #conditions_de_travail

    #décès #morts (d’#infirmiers et #médecins à l’occurrence, dans cet article...)
    #suicide #suicides #culpabilité #culpabilisation
    #indemnisation #justice

    ping @simplicissimus @fil —> ça vaut la peine de traduire, avec deepl ça devrait suffire

  • I Black Bloc in azione a Milano
    Visti dal fotoreporter comasco #Mattia_Vacca ieri testimone dei violenti scontri

    I reportage giornalistici di Mattia Vacca sono ormai noti in tutto il mondo, i suoi scatti hanno collezionato premi prestigiosi ovunque. Ieri il fotografo era a Milano dove nel pomeriggio ha documentato gli incidenti causati da un gruppo di Black Bloc. Non esprimiamo nuovi commenti a quanto si è già detto diffusamente ovunque. Anche perché la foto sopra, scelta dall’ampia gallery di Mattia Vacca (che potete vedere integralmente qui), testimonia bene, ancor più delle auto incendiate, il livello dei delinquenti che se la prendono persino con una fioriera, non certo simbolo di chissà quale occulto potere.


    http://www.qtime.it/7766-i-black-bloc-visti-dal-fotografo-comasco-mattia-vacca-ieri-a-milano

    #noexpo #no_expo #black_blocks #Milan #photographie #expo_2015

    La galerie photo:
    http://mattia-vacca.photoshelter.com/gallery/No-Expo-Riot-in-Milan/G0000LTf3vVsVr1c

  • #6th_Continent – a photographic travelogue around the Mediterranean. Interview with #Mattia_Insolera

    Seven years. Thirteen countries. 23,084 km by motorbike, 19,270 km on all types of sea vessels. Mattia Insolera’s 6th Continent is an immense and highly poetic photographic project, capturing the essence of the peoples, cultures and migrations of the Mediterranean Sea. Scratching far below the surface of the touristic attractions and postcard landscapes, Mattia’s camera documents a myriad of contemporary realities: shipworkers and fishermen, migrants and traders, ports and markets, rituals and protests.

    Avec une #carte pour @reka:


    http://mondepasrond.net/2014/12/27/6th-continent-a-photographic-travelogue-around-the-mediterranean-inter
    #Méditerranée #photographie
    cc @albertocampiphoto